LA
RESVRRETTIONE
DI GIESV CHRISTO

NOSTRO SIGNORE,
Che segue alla Santissima Passione
descritta in ottaua rima

DA
MODERATA FONTE.

CON PRIVILEGIO.

IN VENETIA,
APPRESSO GIO. DOMENICO IMBERTI.
M.D.XCII.



SI COME non par conueniente Illustrissima Signora il dedicar compositioni à chi non ha alcuna proportione col soggetto ch' esse contengono, così stimar si deue esser molto à proposito, quando la persona à cui si dedica l' opera hà molta conformità con le cose delle quali in essa composition si ragiona. Questa operetta ch' io espongo à gli occhi del mondo, è sacra, & celeste per lo soggetto di che tratta, ch' è GIESV CHRISTO Saluator nostro risuscitato. Era dunque conueniente ch' io ne facessi dono à persona religiosissima, la quale hauesse in se affetto celeste di deuotion tale che fusse corrispondente alla materia di che si tratta. Per tanto ie la dedico à V˙ S˙ Illustrissima poi che fra le molte ch' hoggidì di deuotione, e di christiana luce (oltra la nobiltà del sangue) risplendono, odo ch' ella, come fra Stelle il Sole, viue si grata à Dio, & sì essemplare, & pregiata al mondo, che non si pregian più le gemme, ne meno è MARGARITA, od' altra gioia più eccellente, e più pretiosa di lei in terra. De' cui alti, e diuini meriti hauendomi più volte data marauigliosa relatione l' Eccellentissimo Sig. Oratio Guarguante Medico dottissimo, & giudiciosissimo à nostri tempi, chiarissimo Filosofo, & Poeta gratiosissimo, di bontà ingenua, & di honoratissime creanze; ha egli così riuolta ancor me alla diuotion di lei, che di già ardirei d' annouerarmi tra quelli che più fedelmente, & isuisceratamente la osseruono. Confidatami dunq; nella gran benignità, & cortesia di V˙ S˙ Illustrissima ho preso ardire di consacrarle questa mia breue fatica in segno della riuerenza ch' io le porto & porterò sempre. Nè in vero saprei à chi più degnamente dedicarla, essendo rare al tempo nostro quelle che possedino tutte le perfettioni in suprema eccellenza come V˙ S˙ Illustrissima. Percioche chì vuole considerar le marauiglie del suo nobilissimo sangue sì da parte di padre come di madre, io trouo ch' ella è vscita delle due antichissime famiglie Langosca, & Montasia, & ch' ella fu figliuola del Conte di Stroppiana felice memoria, personaggio divalor inuitto, e di nobil grandezza d' animo, e di stato. Poi che essendo Ambasciator dignissimo molti anni del Serenissimo Duca Carlo di Sauoia à Carlo V˙ e di poi nel trattato della pace vniuersale fra le due Maestà di Spagna & Francia, ben si sà quanto fu adoperato dal Serenissimo Duca Emanuel Filiberto per esser restituito ne gli stati che da Francesi gli erano stati tolti, & occupati, & quanto riuscì egli in tale maneggio gloriosamente dando felice fine à tal importante negotio con la conclusione della suddeta pace, & col mezo del matrimonio di sua Altezza con Madama Margarita figliuola del Rè Francesco primo, & sorella d' Henrico secondo Rè di Francia. Della quale miracolosamente nacque il presente Serenissimo Duca Carlo Emanuel. Et finalmente restituito ne' suoi stati il Duca Emanuel Filiberto, delle prime cose che fece non fu il creare gran Cancelliere il suddeto padre di V˙ S˙ Illustrissima come infinitamente bene merito di sua Altezza. Il qual grado è 'l primo, & principale che si dia in quei paesi, & è capo del Senato, & della giustitia, & ha auttorità in ogni sorte di maneggio. Et qual virtù, qual gloria mancò à questo Signore & à tutta anco la Illustrissima Casa Langosca, così ne' tempi passati come à dì nostri. Certo niuna. Forse le mancano titoli, e stati hauendo sempre signoreggiato Città, & Terre principalissime come anco al presente possiede bellissime Castella, & altre honorate Giuridittioni. O quali sono i thesori delle sue memorabili attioni, & honori, ch' io trappasso così per breuità sotto silentio. S' io miro poi alla splendidezza della Casa Montasia è manifesto come l'Illustrissima sua madre è non pur di famiglia nobile, & illustre, ma ricca, splendida, & congiunta strettamente con le gloriosissime famiglie, Triuultia, Boromea, Visconta, & Arconata principalissime in Milano, & c' hebbe ella vn fratello che fu Conte di Montafia che seruì alla Corona di Francia con mirabil valore, & con altretanta gloria. Et ch' ella fu Dama maggiore della suddeta Serenissima Duchesa di Sauoia; Dopò la cui morte ella ritiratasi dal le grandezze del mondo à seguir le grandezze del Cielo si è ridotta à viuer priuatamente, & santamente, & per essemplare di santità da tutti al presente è riputata. Et spetialmente con la patientia hauuta nella morte del suo vnico figliuolo spirito di diuino ingegno, & di cui V˙ S˙ Illustrissima è rimasta herede di grandissime ricchezze, e stati. Io non ricorderò poi le degne, & honoratissime qualità & maniere delle due Illustrissime sue sorelle, L' vna la Marchesa di Pianezza, accasata con l' Illustrissimo, & Eccellentissimo Sig. Conte Francesco Martinengo, hora Luogotenente generale di sua Altezza in Piemonte; & l' altra la Contessa di Vische maritata al Signor Conte di Vische già figliuolo della felice memoria del Sig. Carlo Birago che fu Vice Rè nel Marchesato di Saluzzo; Perche è impresa; rispetto à lor tanti meriti; che ricercarebbe non semplice lettera, ma compita historia. Si come volendo io parlar di V˙ S˙ Illustrissima ch' è soggetto mirabilissimo più tosto ci bisognarebbe stile, e pennello angelico che humano. Et chi sapria così ben dipingere (oltra la chiarezza del sangue, la ricchezza de' stati, & la gloria della sua fama) le bellezze di lei esteriori, & interne; la gratia, con la grauità, & affabilità dell' aspetto, & de i costumi; la benignità, & grandezza del cuore? Chi potria esprimere com' ella è di si alto ingegno che non pur la propria casa, ma sarebbe atta (com' anco è meriteuole) di gouernar Regni, & Imperij? Et chi sarebbe sofficiente per ispiegar l' essempio da lei dato di vera deuotione, & com' ella in vn tempo istesso si renda così grata à Dio, & gratiosa al mondo insieme? Certo specchisi ciascuno in così chiara imagine d' ogni perfettione, perch' assai meglio con la vista ammirare, & con l' esperienza imitare si può vna tal marauiglia, che con basso in gegno, & con rozza penna celebrar, & descriuere. Tuttauia almen non deggio tacere il mirabil magistero che Dio ha in lei operato, poi ch' essendo perla & MARGARITA di tanto valore, era ben degno per formarne vn gioiello pretiosissimo che si scegliesse il più puro, e forbit' oro che ritrouar si potesse nelle ricche minere de gli huomini valorosi. Et ecco l' Illustriss. Sig. Bernardino Parpaglia Conte della Bastia, de' Signori di Rouigliasco, prudentissimo Consiglier di stato, & hora Ambasciator dignissimo, del Serenissimo Sig. Duca di Sauoia à questa Serenissima Republica, di sangue nobilissimo, & illustre, il cui lignaggio, oltra le molte giuridittioni che ha posseduto, & hora possiede, ha hauuto nell' armi, nelle lettere, nelle Ambasciarie à Pontifici, & nelle Prelature personaggi di suppremo valore. Esso Signor prudentissimo d' aspetto singolare, e di venerabil presenza, pieno di benignità, può dirsi fortunatissimo in hauer per consorte, non dirò mirabillssima Donna, ma gloriosissima Dea in terra, con la quale sendo vnito di catena sacra del matrimonio santo, con tanto feruor celeste, con tanta lode de gli huomini, con tanta pace d' animo, con tanto zelo di fede, con tanta osseruanza di religione, e con tanto ardor di carità, può credersi che le sue anime quasi prouino in terra la beatitudine del Cielo. Queste perfettioni di V˙ S˙ Illustrissima quasi fiori colti dalle mani angeliche ne gli horti celesti delle gratie diuine che dal ciel piouono in lei, riposte nella fronte di questa mia operetta hauran tal forza che co i raggi del suo splendore potrà rischiarar l' oscurità del mio stile. V˙ S˙ Illustrissima dunque la riceua, & fauorisca benignamente poi ch' el soggetto solo di che ragiona è dignissimo di lei, ch' io baciandole la mano, l' opera, & me insieme al suo gloriosissimo nome dono, dedico, & consacro. Di Venetia a di xxviij. Marzo M.D.XCII.

Di Vostra Signoria Illustrissima

Deuot. Ser.

Moderata Fonte.



SCENDER Dio da l' Empireo, in humil Regno, Assumer carne, e colpe; e pene, & ire Patir diuine, e humane; e Rèseruire D' immortal mortal fatto, al seruo indegno. Suelar figure, oprar piu segni in segno Di sua possanza; e in fin se stesso offrire Vittima al Padre, e à noi cibo; e morire Per saluar chi l' offese, ahi, sopra vn legno; Ben fu impresa immortal, ma non bastante Ben gloria singolar, ma non compita; Altra fede, altro fin ci ha scorti inante. Ecco risorge hor CHRISTO à noua vita, E dà speme, e fa strada al mondo errante Di sorger seco; e' l chiama, aspetta, e inuita.



Descritta.

DA MODERATA FONTE.

TRionfante Giesù spiega la palma Di sua chiara vittoria, e 'l bel mortale Veste di pompa gloriosa, et alma, Risuscitando in sua virtù immortale. Riede al corpo diuin la celeste alma, Poi riede al Mondo, e affida ogni mortale; Con misterio, & essempio alto, e supremo; Del suo risuscitar, nel giorno estremo. Risorge Dio; ma qual si mostra? e come Dal gran partir diuerso è 'l gran ritorno? Già sprezzato, hor temuto il suo gran nome; Già seruo, hor Rè d' alta grandezza adorno. Già tutto sangue il bel viso, e le chiome, Hor tutto luce, e Sol, dentro, e d' intorno. Suo voler, suo poter, ch' in segni espresso, Quel ch' è fede in altrui, gloria è in se stesso. Quella luce, che pria rinchiusa apparse Qual perla in oro, in adombrato manto, In quella sacra humanità, che sparse Vn diluuio di sangue, vn mar di pianto; Hor chiara splende; hor le reliquie sparse Del Tabernacol suo celeste, e santo Raccoglie, hor si riuela alto, e potente, Il gran concetto de l' eterna mente. Ritorna vincitor, quasi gigante Per ignoto sentier d' ombra, e d' horrore. Riede à la sposa il poco amato amante; Ingrata sposa à si tenero amore. Serban le cinque sue ferite sante, Di cinque gemme, oriental colore. Par che in uece di spin gli ornino il crine Rose viuaci, e stelle mattutine. Era ne l' hora, che le guancie asperse D' ambra, e di minio, in ciel scopre l' aurora, E nel corpo solar l' ombre sommerse Di raggi il suo bel vel ricama, e indora. Nè vago piu la stagion bella aperse Il manto, che di smalti orna, e colora, Quand' ei da sè sorse, e voltò la dura Pietra, e confuse ogni ordin di Natura. S' inchina a l' apparir del sommo Sole Il Sol ministro de i superni ardori. Hà la sua Primauera altre viole, Le sue viole altri soaui odori. Hà fontane di gratie elette, e sole, Di bontà frutti, e di dottrina fiori. Quiui in vece d' augei celeste, e noua, Intonan melodia gli angeli à proua. Moue la pietra egli, che moue il Cielo; Facile impresa à Dio sono i suoi modi, Ma miracolo à noi; cui, fosco velo D' ignoranza il cor cinge in stretti nodi. Scorre à vn tanto apparir per l' ossa il gelo Di spauento à gli audaci, empi custodi, Sbigotisce ogniun d' essi, e crede, e teme Ma non basta, Lor manca amore, e speme. L' hanno visto à morir; quand' egli volse; Come huom simile à lor, per opra altrui. Hor veggion che da sè l' alma raccolse, Nè come sanno, od in virtù di cui. Incompreso miracolo gli colse Ciechi à vn tal lume, e non fidarsi in lui; Che di pietre, acqua, e foco, & aria assai Volte videro vscir, ma il Sol non mai. Dal gran fulgor, da la mirabil opra Fugge atterrita la profana torma, E narra che Giesù tornar di sopra Viuo hà veduto in gloriosa forma. Cerca ogni Fariseo che 'l ver si copra, E del contrario il Giudaismo informa; Che sia stato da suoi, fanno vscir voce, Furato il Seduttor, che morì in Croce. Pietosa in tanto in solitaria cella La sposa de lo spirto eterno, e Santo, Piange il caro figliuol, pensando à quella Strage, e vendetta intolerabil tanto; Debita à nostra humanità ribella, E ch' ei portò sopra 'l diuin suo manto; Recente e 'l fatto, il cor più che mai langue Del stratio vsato à l' innocente sangue. Sà ben che già nostro infelice seme Tralignò da la gratia, e in modo offese L' alto Motor, che à le infinite, estreme Colpe, infinita pena il ciel richiese; Ma l' huom soggetto terminato, e insieme In ira à Dio per replicate offese, Non potea satisfar con pena intera; E inhabile à pagar tal debito era. Ma sua propria bontà Dio spinge. Ei troua Degna pietà, che à nostri error precorse; Compassionò tanta miseria; e noua Maniera di giustitia oprò, e discorse. Il figliuol suo, solo atto à si gran proua Mandò, che grato in suo voler concorse. Ei mandato, ei mandante; egli hauer deue, E paga; e 'l mondo debitor riceue. Questi, e d' altri del Ciel misterij occulti, Trà se ben volue la fedel Maria. Non già che in tutto à lagrime, à singulti, Possa, e à caldi sospir troncar la via. Sempre hà nel petto, anzi ne l' alma sculti I cari gesti, e la sembianza pia. Sempre ha in memoria il figliuol morto, e i modi Di sua morte, Il flagel, la croce, e i chiodi. Sospira assai, ch' ancor d' udir le sembra I suoi santi sospir nel suo tormento. Parle anco hauer quelle sacrate membra, Quel santissimo corpo in braccio spento. Ma pur soffre (o pietà) che si rimembra, Che 'l Rè del Ciel rester à almen contento. Pur che l' alta giustitia in Dio s' appaghe Benedice le lagrime, e le piaghe. Bello era il suo dolor ne i vaghi gesti, E le lagrime sue rideanle in viso. In lei d' humane gratie, e di celesti Risplendeua il miracolo indiuiso. Gli Angeli stupefatti, hor lieti, hor mesti Contemplauano in lei, fra 'l pianto, e 'l riso, Bellezze, di cui mai null' huom s' accese, E sol da chi le fece amate, e intese. Talhor il Sol, quando co' suoi splendori Vince hor la nebbia, hor vinto si confonde, Imita del bel viso i bei pallori, E 'l color, ch' al pensier vario risponde. Così dietro la nebbia de' dolori Hor appar il suo lume, hor si nasconde. Ma bella è in tutti i modi. Il duol ch' accoglie Puo cangiar sua beltà, non le la toglie. Ma Regina de i Troni; à cui s' aspetta Alta corona di ridenti Stelle; Non pensa à sè, non cura che negletta Appaia al mondo, à gli vsi suoi ribelle; Sol pensa à Dio, sol brama à lui diletta Bellissima apparir fra le più belle. E sostiene i martir, pensando al fine Di riparar l' angeliche ruine. Et aspetta costante, e si conforta Ch' ei suscitar promise il terzo giorno. Et armata di fè, brama, e sopporta Il successo, e l' indugio del ritorno. Quando fia mai quella dolce hora scorta Che risurga il mio Sol di gloria adorno, Dicea, non più soggetto à Croce, à lacci, E ch' io 'l veggia, che l' oda, e che l' abbracci? Quando 'l vedrò de' suoi chiari splendori Illustrar del mio cor l' oscura stanza? Quando vsciran di così acerbi fiori Soaui frutti à l' alta mia speranza? Quando in vece di pianti, e di dolori Fruirò la celeste sua sembianza? Cangiando in verde, e gloriosa palma L'aspro coltel, che mi trafisse l' alma? Disse, bramò, sperò, sofferse, e ottenne Gran cose la gran Donna. O pia credenza. Ma qual le occorse poi gaudio solenne Del figlio à l' apparir, à la presenza, La grandezza del fatto in se 'l ritenne Chiuso; ne 'l cape humana intelligenza: Pia cosa è il creder, che il misterio è tale, Che nol potè ridir lingua mortale. Ma non sapendo il gran secreto occolto Le tre del buon Giesù dilette amanti, Che 'l nome han de la madre, e che sepolto L'hauean con gran pietà duo giorni inanti; Nel cor dolenti, e lagrimose in uolto, Pensando à le giuste opre, à i detti santi, Piangean per morto il viuo esse, che priue D' un tal maestro in odio han d' esser viue. Ma che non può, quando è possente, Amore? In vita, e in morte, e dopo morte dura. Di cor l' amaron viuo esse, e di core L' amano estinto, & n' han cordoglio, e cura; E trouar così estinto il lor Signore Vogliono, e riuederlo in sepoltura. Che se ben morta è sì cara persona, Non è morto l' amor, che à ciò le sprona. Preso insieme vn voler, pigliano ancora La nota strada, à l' horto, al monumento; Fanno cor, benche sian sole a quell' hora, Nè de Giudei, nè d'altro hanno spauento. Comprato hauean (perche era in vso all'hora D' unger il corpo essanimato, e spento Per conseruarlo) ancor semplici, e ignare; Vnguenti, e cose pretiose, e care. Così andando vn pensier lor cade in mente, Che tronca in sul fiorir l' opra gradita, Come aprirem la tomba? E chi possente, E pietoso verrà per darci aita? Dicean tra lor; chi 'l graue marmo algente Ci leuerà, c' hà in sè la nostra vita? Ma quiui giunte; o marauiglia, o strano Incontro, o duol fallace, o timor vano. Trouanlo aperto, e quiui è vn giouenetto, C' ha 'l suo vestir più candido che latte. Testimonio del fatto e 'l luogo, e 'l letto Funebre, oue posar le membra intatte. Ma non vi è 'l più; vi manca il corpo eletto, Onde restar dolenti, e stupefatte. Vn corpo estinto era lor gioia, e speme, Esso han perduto, e ogni lor bene insieme. Restaro à guisa d' huom, ch' in terra ascosto, Ò per tema de ladri, ò de nemici, Habbia ogni suo Thesor, sperando tosto Ricourarlo, e passar suoi dì felici. Poi troua che gli è stato il suo depposto Tolto, e si duol, che posto è frà mendici. Così afflitte restar, tal si stimaro Misere senza il lor Thesor più caro. Ma sourà ogn' altra si conturba, e duole Com' huom che d' una in altra angustia cade Del nobil Siro la famosa prole, Famosa d' ignominia, e di beltade; Colei, che quasi augel notturno al Sole, Venne adorna di pianto, e d' humiltade, E lauò i piedi à Christo, indi asciugollo Con la pompa c' hauea sparsa sul collo. Lauò le piante à Christo, e 'l proprio core Purgò da l' empie colpe, ond' era oppresso. Beate colpe; hor qual merto è maggiore D' vn fallo in terra odiato, e in Ciel rimesso? Maddalena peccò, vinse il suo errore Vinse il proprio voler, vinse Dio stesso. Fu gran mezo il peccar, ch' ei perciò nacque, E viuer, e morir con noi gli piacque. Felice peccator, quando conuerso, Come costei, spegne i vietati ardori; Che sì bello compar, del pianto asperso Del pentimento de' suo' andati errori; Che fra tante opre, e in tutto l' vniuerso Qui non è forma che più Dio innamori. L'huomo (o vsanza del Ciel) ch' erra, e gli spiace Giustificato, più che 'l giusto piace. Nostra fragilità quanto stimata Da chi la pose in noi. Sà che in noi pose Terra, e d' human voler; sà che ci è grata Ciascun' opra che al senso egual compose, E n' ha pietà. Cosa veduta è amata. Mal ponno amarsi le inuisibil cose. Però fessi egli humano, e in mille forme Fuor che in peccar, si rese à noi conforme. Hor tanta peccatrice, che lasciato Hauea sè per Giesù (gran cambio) in pegno, E prima amata, amò l' amante; e amato L'hauean così, quanto se tolta à sdegno, Da che pianse pentita, e dal peccato Andò à la gratia, e del cor vinto in segno Di vergogna, e d' amor liscio, e pennello Pinse il bel viso, e 'l fè parer più bello. Costei, che viuo hauea osseruato tanto, E seguito, e seruito il suo bel Sole, Cogliendo auida ogni hor dal labro santo I sacri fior dell' alte sue parole, E morto poi sì lagrimato, e pianto Che nulla più; sin che in angusta mole Col core insieme, e ogni suo ben sepulto Lasciollo, anzi 'l portò ne l' alma sculto. Quando poi 'l marmo al suo ritorno aperto, E sparito, ò rapito vn tanto bene, (Come è già detto) e 'l sasso, e il cor diserto Trouò de lo sperato, e de la spene; Al nouo danno, e duol dubbia del certo, Ma certa del suo mal di pene, in pene Era caduta, alhor, che vide, e intese L' Angelo, e 'l fatto onde 'l vigor riprese. Non vogliate temer dic' ei di quanto Vedete oltra human vso; ecco io v' apporto Liete noue di quel, ch' amate tanto; Pigliate in vece del timor conforto. Hor potrete con giubilo, e con canto Viuo trouar quel, che cercaste morto. Quel, che morì, quel, che piangeste assai, E' suscitato, e non morrà più mai. E' suscitato eterno, e glorioso; Ma qui 'l vederlo à voi non si concede, Che i cari figli suoi; padre amoroso; Come promise, in Galilea precede. Là voi 'l vedrete, in tanto il cor doglioso Vestite di piacer, l' alma di fede. Gite là quanto prima, e voi felici Siate lor d' vn tal gaudio annontiatrici. Non mai tenero fior da primauera, Cui lungo humor fece inchinar le foglie, Così rinfranca vna ridente spera, Di Sol che dia su le sue belle spoglie; Come la dolce Angelica maniera, Ch' ogni lor dubbio in allegrezza scioglie Ristorò l' alme afflitte, e tornò insieme Ne i lor visi il color, ne i cor la speme. Cangian il dubbio in fede, il pianto in riso E 'l lamento in lodar chi lor consola. Ritornan frettolose; E 'l grande auiso Lor dolce spron; ma inanzi il pensier vola. Ricourato il Thesor del Paradiso, L' ascosa gemma, e pretiosa, e sola, Partonsi, e tanto è 'l ben ch' in lor si troua Che 'l core è picciol spatio, à sì gran noua. Giunsero à la Città doue trouaro I Discepoli ancor poco contenti, E de l' intesa gioia, il caso chiaro Esposero a l' afflitte, oscure menti; Ma Pietro che piangendo, in duolo amaro, Sequestrato s' hauea da l' altre genti, Quel che amò più, quel che più, offese, occolto Giacea nel suo martir chiuso, e sepolto. Non potea tolerar ch' ei solo hauesse E negato, e lasciato al maggior punto Il suo caro Maestro, e non perdesse La vita seco, e nel suo amor congiunto. Che hauer parte con Dio nel suo interesse Et vnirsi con Dio (benche defunto Quanto à l' humanità) gratia infinita Era, e vita il morir per la sua vita. Non potea sofferir, tal' hor, ch' in mente Sue promesse volgea per tema rotte, Ch' ei già propose ardito, e prontamente; E al gran bisogno in nebbia hauea ridotte Il Mal proua l' amico; Ahi ben si pente Ch' ei non fu vero amico; E in sì gran notte Che non hauea mostrato al suo Signore Generoso, e leal, gran fè, gran core. Quanti sono i pensier, tante ò più sono Le lagrime ond' allaga il senil petto. Parli anco vdir de' santi detti il suono Che incostante, infedel l' hauean predetto. Poi gli souuien, che di sua morte il dono Rende il dolor de nostri falli accetto; Confortasi tra sè, che vn error tanto Paga il pentir. Segue il perdono al pianto. Gli occorre in mezo al duol largo conforto L' amor di Christo, e la bontà eccessiua. Quanto ci amò, che è per noi nato, e morto, Per noi uil fango, & ombra horrida, e schiua E stupisce in pensar quanto à gran torto, L' huom fugge vn tanto amico, e l' odia, e schiua E come anco vn tal mostro apprezzi, & ami Dio patiente, e il soffri, aspetti, e chiami. Impossibil gli par che l' huom pensando A vna tanta bontà non si confonda. E non dia al mondo, e a' proprij affetti bando, E d' altretanto amor non gli risponda Così và il fedel Pietro argomentando, E tanto inanzi il suo pensier profonda Ch' ei scorge cose altrui velate, oscure E crede per le andate à le venture. Da tanta fede inanimato, ardito, Del buon Giesù di doppio amor s' accende, Che solea ueder viuo, e seco vnito Trattar diue materie, opre stupende. Ciechi occhi, muta lingua, e sordo vdito. Par c' habbia hor che no 'l vede, e non l' intende, E non discorre seco, i pensier santi Di cui pronta memoria hà sempre inanti. O quanto è senza meta, e senza freno D' una perdita tal l' aspra sua doglia. Ma poi che lui ueder non puote, almeno Non è che i luoghi pij veder non voglia, Cerca, e bacia il santissimo terreno, Ch' ei già cercò con la sua bella spoglia E si rimembra quanto ei passò seco; Quiui orò, qui mangiò, qui parlò meco. In mezo i suoi ramarichi ode in tanto Che ritornan le Donne, e che fan fede Di Giesù suscitato; O Dio con quanto Gaudio; ma il gran misterio alcun non crede. Corre Pietro a tal suon, corre altretanto Il buon Giouanni, ogni Discepol riede. Pensa ciascun gran cose. Hor come? Hor donde Del misterio incapace, e si confonde. Longo fora à contar ciò, che discorse Ciascun; chi le parole hebbe per vere, E in parte lor die fè; chi 'l pose in forse, E le Donne chiamò sciocche, e leggiere. Al parer uario, in che ciascun concorse, Tornar le Donne afflitte; e 'l Ciel cadere Giudicò Maddalena. A la diletta Giouane ogni parola è una saetta. Quando costei tutta felice riede Con le compagne, e i cari amici auisa De la gran noua, e che nissun le crede, Onde riman con la sua fè derisa; Crebbe il dolore, e in lei mancò la fede, E restò d' huom, ch' erra di notte in guisa, Per dubbia via, con picciol lume al vento Se 'l lume glie (c' ha sol per guida) spento. Ella nel fin dopo lamenti tanti, Che da sì bella bocca espresse il duolo. Così risolue, e 'l suo parer và inanti Sul morto Rè de l' uno, e l' altro polo: Che (s' ei non è, risuscitato) i santi Membri inuolati habbia il nemico stuolo. Così crede anco, e approua il suo pensiero Il giouane Giouanni, e 'l vecchio Piero. Per accertarsi dunque ambi in camino Entrano seco. Ella ritorna ancora. Non hà ben visto, ò dormia in sul matino Forse anco, ond' era cieca, ò di sè fuora. Giungono frettolosi al bel giardino, Indi al sepolcro; Hor qui ogni cor s' accora Guardan ma in vano. Ah così ardenti voglie Paga vedouo letto, orfane spoglie? Entra Pietro, entra il Vergine, (Amor rende L' huom curioso) e timido, e deuoto Fra quei panni, e pel sasso i lumi intende, Nè scorge altro, che i panni, e 'l sasso voto. O stupor, o dolor. Quanto si stende Il lor trauaglio. Hor viuono essia voto. Deh lor fosse (o pietà) dato in conforto Perder se viui, e trouar Christo morto. Fu stupor, fu ventura, al duol tenace, Che alcun non disperossi, e non vscio O di vita, ò di senno. E poi che piace Così al voler che d' ogni cosa è Dio; Partonsi al fin, ma con sì poca pace, Ch' à pena dir ponno à la Donna, à Dio. Non si part' ella. Ahi chi, sì mesta, e sola L' amorosa Discepola consola? Partonsi gli altri ella in quell' orto resta Quasi vn bel fior, che solo à sè simigli. Sparso ha 'l Thesor de la dorata testa, Che ondeggia vago sui i natiui gigli. Par che il terren sotto il bel piè si vesta D' herbe, e di fior, più verdi, e più vermigli. Et che il girar de l' vna, e l' altra stella A sassi, à sterpi dia senso, & fauella. Par che ogni ramo, ogni arbore, ogni foglia Col pianto suo moua à pietade, e à riso. Et che ogni herbetta appalesar le voglia Il miracol gentil con muto auiso. Benche vezzosa ella di cor si doglia Ride ogni cosa inanzi al suo bel viso. Ma giace ella con fredde, immote membra E mira il caro sasso, e vn sasso sembra. Lo suentolar dell' increspate, e bionde Treccie, hor reti di caste alme, pudiche, Ch' in sul bel collo, e in sul bel petto, l' onde Vaganti imitan, su le spiaggie apriche; O pur l' errar de le nouelle fronde, O 'l tremolar de le mature spiche, Col moto de la lagrima corrente, Fà sol costei dal sasso differente. Fissa è in vn sol pensier, ma da quel solo Forma mille pensier, ma tutti acerbi; Come andasse la cosa, e con qual dolo Le fusse il suo ben tolto, oue altri il serbi: Qui certo ei non si troua; O caso, o duolo, Qual dolcezza fia mai chel disacerbi? Talhor pensa sognarsi, e spesso riede Anco à mirar nel marmo, e nulla vede. Christallina rugiada à i rai nascenti Del matutino sol, ch' asperge i fiori, Sembran le perle lucide cadenti Che fregian del bel viso i bei candori. Mira ella il caro sasso, e de' suoi ardenti Zefiri accende, e di soaui odori, E com' ei sia, cagion ch' ella si lagna De le lagrime sue l' ingemma, e bagna. Aspro sasso, dicea, dou' io sepolto Lasciai 'l commun Fattor, fattura ingrata, Dou' è 'l Maestro mio? chi 'l tiene occolto? Così mia vita ho nel tuo sen fidata? Ben più che sasso sei stupido, e stolto, Che tanta gloria hai così mal guardata. Dou' è l' anima mia? chi l' hà rapita Che diè morendo à mille vite, vita? Dou' è quel morto che diè morte à Morte? Quel morto eccelso sopra tutti i viui? Ingrata Maddalena, Hor per qual sorte Essendo ei morto ancor tù spiri, e viui? Morta in lui sono, e frà le membra morte Cerco di me. Se del mio sol mi priui Infido marmo, e al mio desir contendi, Almen me stessa à me medesma rendi. Deh come incauta i miei thesor celesti Abbandonar potei? deh perche mai Partimmi, e in questi alberghi atri, e funesti Mie viue fiamme, e 'l morto cor lasciai? Oue fù il senno? oue l' amor? Ben presti Volsi i passi, e i pensier quanto mancai. Che farò lassa? in tal mia sorte ria Sarai tu marmo almen mia compagnia. Mai non mi leuerò da questa pietra C' ha qualità da l' ossa sacrosante. E se giusta dimanda il Ciel penetra, Qui mi viurò, qui mi morrò costante. Farà del pianto mio la flebil cetra Perpetue essequie à questa tomba inante. E lei ciascuno April, mentre io sia viua, Coronerò di verdeggiante oliua. In sembianti sì teneri, in sì cari Detti ella sfoga i suoi graui tormenti, Che 'l buon Giesù v' accorre, e i pianti amari Inuisibile ascolta, e i dolci accenti. Quel che 'n sè cape 'l ciel, le terre, e i mari De la bella Contritta ode i lamenti. Ei, che non uisto, il tutto vede, e mira, Mira hor costei che per suo amor sospira. Ella non sà d' esser vdita, ei l' ode, Lui stima ella lontano, egli l' è presso. Ella il cerca, ei la troua, e d' udir gode La dolce Amata esser conuersa in esso. La Giouane di cor piange, e si rode, Che non sà 'l ben che l' è dal Ciel concesso. Oh sel sapesse. O porria fine al pianto, O d' allegrezza piangeria altretanto. Tra sì vaghi singulti, ella si piega Anco à guardar per la marmorea stanza; E mentre hor mira, hor bacia, e piange, e priega, Nè mai le par che visto habbia à bastanza; Scorge; mentre così sua doglia spiega; Seder nel sasso, in giouenil sembianza, Duo Damigelli, con bellezze innate, Forme immateriali, Alme beate. Chiare han le faccie, soura human costume, Gli eletti Nuntij del diuin soccorso. Con niuei manti, e con dorate piume, Tremule, e vaghe sul lucente dorso. Non iscorge la Donna vn tanto lume, Pur le lagrime frena à mezo il corso, Ch' essi le chieggion, con parlar soaue, La cagion del suo duol, chi offesa l' haue. Ella gli mira, e si consola in parte A tal uista, à tal voce humile, e pia. Forse chi sà? Sapranno essi in qual parte L' inuolatore, e l' inuolato sia. Forse da lor piglierà 'l modo, e l' arte Per informarsi; e l' animo, e la via Per ricourarlo, ouunque il Rè de' Cieli, Insepolto cadauero, si celi. Però piangendo, ahi lassa ella risponde M' è stato quindi il mio Signor furato. Se sapete ou' ei sia, chi mel nasconde Deh nol tenete in cortesia celato. Ecco in questo Giesù, tra fiori, e fronde Incognito apparir da vn' altro lato. Velato appar, che le sue luci sante Copron di Giardinier panni, e sembiante. Fingesi nouo, e con pietà le chiede Perche pianga ella, e di qual noua acerba Si dolga. Ella si volge 'l mira, e 'l crede Vil huom che innesti i tronchi, e incida l' herba. E ch' à punto ei sia questo, ha certa fede, Quel che, le hà tolto il suo Maestro, e 'l serba. Ah bella, incauta Donna, ah che pur miri? Non è questo colui, per cui sospiri? Questi non è coltor dorti, e di prati, Ma d' alme; egli è la sua bramata spene. Come nol riconosci? Ecco i tuoi grati Cordogli hà vditi, e à confortar ti viene. Hor non sente il tuo cor (se pur velati Gli occhi ti son) che questi è 'l sommo bene? Quel che ti fè sì bella, e ch' in tè pose Nel viso eburneo, le vermiglie rose. Piagne la bella Donna e 'l languidetto Guardo riuolto, in gratiosi gesti, Deh, dice, hai forse tu, l' amato obbietto Tolto à questi occhi? Oimè, che ne facesti? Deh lascia ch' io 'l ricouri, ah, qual ricetto Indegno forse à tanta altezza desti? Così dicendo, anco il bel viso gira Al marmo pur, sua calamita, e 'l mira. Scoperse alhor Giesù quell' auree chiome, Quel Sol, ch' unqua human dir non circonscrisse. E suelossi, e Maria, chiamò per nome, Con la solita voce, e più non disse. Tosto ch' ella il conobbe, io non sò come Di souerchio piacer non impazzisse. Cadde à suoi piè tremante, e 'l gaudio è tale, Che non vi giunge essempio alcun mortale. Maestro mio, dic' ella, e più non puote Parlar, che 'l troppo ben le occupa 'l senso; Ma in vece di parlar riga le gote D' un nouo pianto del piacer immenso. Al moto, al guardo, à le fattezze note, Al' apparente Dio di gloria accenso, Cade à suoi piè tutta impedita, e sente Che 'l gaudio, più che 'l duol, turba la mente. Quest' è quel raggio pur celeste, e santo Ch' illustrò del mio cor l' oscuro abisso, Questo è pur quel c' hò sì cercato, e pianto, Dice tra se, c' hò sì ne l' alma fisso. Certo io degna non son d' un fauor tanto. Seco io douea morir, s' ei meco, è visso Ma preuiemmi il suo amor. Ben saggia io fui Che lasciai d' esser me, per esser, lui. Con ciò, teneramente abbracciar vuole Quei santi piè; suo priuilegio antico; Ella, in cui chiaro appar qual chiaro Sole Segno di ferro, e di voler nemico. Ma le 'l vieta Giesù, da quel che suole Diuerso assai, benche à l' vsato amico. Non mi toccar dic' ei, che al diuin trono Del mio gran Padre, asceso ancor non sono. Non mi toccar ch' à te mortal non lice Già più abbracciar questi celesti piedi. Non mi toccar, ch' à render l' huom felice, Sol basta il veder Dio, tu mi odi, e vedi. Non mi toccar, ch' ancor ben la radice Non tocchi al ver, sol quel che vedi credi. E amando in mè l' humano, e l' apparente, Non leui al mio gran Padre, e al Ciel la mente. Con ciò risueglia in lei, l' alto, Signore Nouo, e diuin pensier, cui 'l primo cede. E le infiamma, conferma, e illustra il core, Ne l' amor, ne la gratia, e ne la fede. Inspirata costei, dal nouo amore, In lui tutto ama, e tutto spera, e crede. Già 'l confessa increata, vnica essenza Perpetuo Agente, eterna Onnipotenza. Ei dice al fin, Và mia Diletta, e troua Gli sconsolati, e cari amici miei, E poni in lor, con replicata noua, Fede nel dubbio, ond' hor tu certa sei. Di lor, ch' in noua forma, e in virtù noua Comparirò ne' campi Galilei. Che quanto io già, promisi lor, viuendo, Ratificar, risuscitato, intendo, Detto così, ne la sua immensa luce, Si rinchiuse, e sparì com' un baleno. E d' odor, che l' Arabia non produce, Sparendo, rifragrò l' aria, e 'l terreno. Resta la Donna, à cui l' eterno Duce Partendo, dipartì l' alma dal seno, Pur tra lieta, e dolente, e del diuino Precetto ansia, e gelosa, entra in camino. Torna ella in fretta al lagrimoso, e tristo Collegio allegra di sua gran ventura, O cara Imbasciatrice; e d' hauer visto, Narra, del suo Signor l' alta figura: Com' ella poi, per far del Cielo acquisto, Lasciasse il mondo, e in parte alpestre, e dura Gli Angeli, in vece di repaci belue, Dal ciel trahesse ad habitar le selue; Hor non dirò, che me n' inuola, e suia Cleofà, e Luca, un par d' amici veri, Che per la varia noua, hor buona, hor ria, Sopra Giesù facean varij pensieri. Mesti nel fin si posero essi in via; Com' huom che di sua impresa poco speri; Ragionando trà lor, com' à gran torto L' hauean gli Hebrei perseguitato, e morto. Hor discorrean come potè mancare Send' egli Dio, ch' in Dio non cade morte. E s' egli era huom, come pote tornare Da morte à vita altre persone morte. E s' ei tal gratia altrui potè prestare Com' à sè manchi, e s' è voler, ò sorte. O s' è pur ver, che suscitato ei fia, Perche lor non appar, come à Maria. Hauean verso Emaus, preso il camino, Castel non molto da Sion distante: E d' vn tanto trauaglio, a capo chino, Sen' gian con mesto, e languido sembiante; Quando improuiso vn nobil Pellegrino, Per la medesma via, lor si fè inante. Et a i cordogli lor soprauenuto, Diè, qual si suole, e riceuè il saluto. Poi, come da' lor visi habbia raccolto, Che qualche alto pensier l' alma lor prema; Lor dice che dà inditio il tristo volto Di mal presente, ò di futura tema. E che 'l graue dolor, nel petto accolto, Con riferirlo altrui tal' hor si scema. Però gli esorta che ciò ch' essi dui Trattan, partecipar voglian con lui. Deh, dicon quei, tu sol dunque non sai, O Pellegrin, l' acerbità seguita? Non sentisti vn Giesù ricordar mai, Di chiara fama, e d' innocente vita? De' miracoli suoi la gloria homai Celebre in tutta Palestina è gita. Noi sperauam per lo suo eccelso ingegno, Già ricourar de' nostri antichi il Regno. Ma mentre il grido và di voce, in voce Di sua dottrina, et opre alte, e stupende; Ah che non può l' inuidia empio, e feroce Mostro? I Prencipi Hebrei si pugne, e accende; Ch' essi l' han preso, e condannato in croce. Tal hoggi di ben far frutto s' attende. Com' è che non ne vdisti tù nouella, Se d' altro hoggi in Sion non si fauella? Poi seguì Cleofà, ciò c' hauean detto Le Donne, e che fu Pietro à l' horto anch' esso. E ch' essi fè, senza veder l' effetto, Poca hauean data à l' vno, e à l' altro messo. Ma c' hauea lor molto alterato il petto Maria, con replicar nouo successo, Ch' ella Giesù, mentre piangea ne l' horto; Risuscitato, e in noua forma ha scorto. O Cleofà, con chi ragioni? e rendi Ragion de' tuoi dolori? A chi ti uede Fin dentro l' alma? e quanto gli apri e stendi Sà di te meglio? e cio che il tuo cor chiede? Informi l' informato, e non comprendi; Ricco d' amore, e pouero di fede; Che se di Giesù parli egli è quel d' esso, E à lui conto, e ragion dai di se stesso. A gli espressi ramarichi, à le molte Querele, il saggio Pellegrin risponde, O semplici Alme, o menti tarde, e stolte A creder quel c' hor nulla nebbia asconde. Suelate hor son pur le figure occolte. Qual dubbio v' auilisce, e ui confonde? Hor per vietar che 'l mondo non perisse Non fu necessità che Dio patisse? E per tal via, poi sorto glorioso Risalisse à l' eterna alma contrada? Lasciando essempio, e mezo ad huom noioso D' alzarsi al Ciel per la medesma strada? Non già de le delitie, e del riposo, Ma del flagel, del laccio, e de la spada, Del patir, ò sforzato, ò di sua voglia, Vergogna, infirmità, miseria, e doglia. Questo vostro Giesù, non è quel forse Vero Messia, da vostri antichi tanto E predetto, e bramato? Ei venne à porse Tra voi per adempir l' Oracol santo. E sofferse per voi quanto gli occorse, Acciò per lui facciate anco altretanto. E che poi seco, in gloria alta, immortale, Siate à parte del ben, com' hor del male. Non hauete ancor mai letto, e notato Sin da Mosè, quanti Profeti furo Ch' infiniti misterij han profetato Circa il Messia, benche 'l parlar fu oscuro? Hor chiaro appar quel che fù già velato, Hora è presente quel ch' era futuro. Et è caduta ogni lor profetia Sopra il vostro Giesù, Dunque è 'l Messia. Non dubitate nò, fate argomento Dal passato, al presente, à l' auuenire, E crediate che 'l Ciel rimarrà spento, Pria ch' ei le sue promesse habbia à mentire. Non mai musica man, dolce Istromento Trattò meglio, e s' udì l' aria ferire, Com' ogni essempio, ogni bella ragione Il dotto Pellegrin tratta, ed espone. Restano quei tutti ammirati, attenti Del parlar, del saper via più c' humano, E già lor par, da tai ragion possenti Vinti, la verità toccar con mano; Quando, già sendo i bei raggi lucenti Febo per attuffar ne l' Oceano, Giunti insieme ad albergo, in modo grato Finse il buon Pellegrin pigliar commiato. Con allegar c' hauea da gir più inanti Per gran negotij, e non potea con essi Restar, Ma quei c' haueano i detti santi Ne l' alma, quasi in duro marmo, impressi; E per sì cari modi, e bei sembianti Già l' amauano assai più che sè stessi; L' instano à riposarsi, e in cortesia Per quella notte à far lor compagnia. Deh rimanti con noi, dicean, Signore; Onde vuoi gir, che giunto è 'l giorno à sera? Quasi dicendo, senza il tuo splendore Qual alma auuien ch' in tenebre non pera? Tu 'l vel de l' ignoranza ad ogni core Sgombri, e dai luce; e l' ombra oscura, e nera De la colpa rischiari à noi d' intorno, E in terra, e in ciel doni perpetuo giorno. Il grato Pellegrin, ch' esser d' alcuno Vinto non vuol d' amore, à preghi cede De la supplice coppia, e seco d' vno Voler, pon nel felice albergo il piede. Già, per romper ciascun d' essi il digiuno, A l' apparata mensa intorno siede; Gode, nè sà di che, mentre dispensa Cibi in tauola, l' hoste. O casa, o mensa. A prima giunta iil Pellegrin ignoto Dato di mano al pan ch' inanzi scorge, Lo benedice in modo alto, e diuoto, E spezza insieme, & à i compagni porge. Al gran costume à gli duo serui noto, Ch' vsar solea 'l Signor chiaro s' accorge Homai ciascun del caro inganno, e pio, Che 'l lor compagno, è 'l lor Maestro, e Dio. Spezza egli il Pane, e spezza insieme il velo De l' ignoranza, e frange ogni durezza De' lor cor, de' lor occhi. E' il Re del cielo Visto, e creduto, hor n' han piena contezza Tremando, amando essi tra caldo, e gelo, Di stupor, di vergogna, e di dolcezza, Braman, nè mirar sanno il lume santo Per riuerenza. Ei lor dispare intanto. O quai restar, benche contenti, e paghi Del gran successo. Essi 'l parlar mouendo, Deh come ardeano, i cor nostri presaghi, Diceano, al ragionar dolce, e stupendo. Non indarno erauam sì ingordi, e vaghi Noi di tal compagnia. Così dicendo, D' altro cibo cibati alto, e diuino, Tornano indietro, ond' han preso il camino. Era il viaggio lungo, e 'l poter scarso Al gran desir, quando ritorno fero In terra santa, oue trouar, ch' apparso Era il Signor, nouellamente à Piero. E di loro auuentura il grido sparso Noua allegrezza à' lor compagni diero. Con dir che dopo il parlar seco hauuto Ne lo spezzar del pan l' han conosciuto. Così rimasto in tal fiducia, in tanta Gioia il picciol Collegio, in chiuso loco; Per tema de' Giudei, che la lor santa Fede, e religion stimauan poco; Stando essi solitarij; O Dio con quanta Fiamma, e vehementia d' amoroso foco; Ecco il Signor, che vuol l' accesa speme Loro adempir, si scopra à tutti insieme. Scopresi à tutti, e sol Thomaso è quello Che da tal compagnia si troua absente. Fatto agile, e sottil, del chiuso hostello Rese ogni vscio al passar non resistente. Oltra cha tanta auttorità con ello, Che cede la natura à l' accidente. Entra Giesù, & annontia in sua virtute, A Discepoli suoi pace, e salute. Quando così apparire à l' improuiso Lo veggion essi, e che son gli vsci chiusi, Tremar nel core, e si smarir nel viso Del nouo modo, e ne restar confusi. Ch' un' ombra lor fu di vedere auiso, Benche sia quel, che di veder son vsi, Quella serena faccia, e quella voce Soaue, ahi che mancò, spirando in Croce. Mosso à santa pietà, mou' ei le sante Parole. Ah non vi prenda alcun timore. Quel son ben io, che vi paio al sembiante, Il vostro Dio, fatt' huom per vostro amore. Che soffersi fatiche, e pene tante, Che pagai col mio sangue il vostro errore. Quel son io, che crudel morte ho patita Per voi notar nel libro de la vita. Eccomi quì, di me mirate i chiari Segni, e 'l toccarmi ancor vi sia concesso, Acciò 'l tatto, e la vista à voi dichiari Che con l' alma, e col corpo io son quel d' esso. Non ha carne lo spirto. A questo i cari Serui ripiglian l' animo depresso. Racconsolasi ogni alma, e in dolce, e pio Modo già gusta vn vero ben, ch' è Dio. Per più accertarli, il Signor volse ancora, Oltra il moto, la voce, e la sembianza; (Ancor che non hauea bisogno alhora Beato, e d' immortal d' altra sostanza) Mangiar in lor presenza. Aciò ben fuora Fur d' ogni dubbio, s' alcun lor n' auanza. Già non dubita alcun piu che non sia Figliuol di Dio, quel che fu di Maria. Giesù da capo annontia lor la pace, Indi soffiando in lor spira, & infonde Lo spirto suo, spirto d' amor verace, Gaudio, che rende nostre alme gioconde. Fiamma, ch' acende d' amorosa face; Virtù, che si dilata, e si difonde Per ogni parte; heredità che poi Dura per tutti i secoli tra noi. Spirollo, & inspirò sue gratie in quella Picciola Chiesa di fedeli vniti, E la rese beata à fin poi ch' ella Beasse i penitenti, e i conuertiti. E che com' ei patì morte aspra, e fella, Per cagion de' seguenti, e de' seguiti, Tal ella di sua fè dispensi i frutti In ogni età, che sieno vtili à tutti. Spirollo, e disse. Hor riceuete in dono Lo spirto che dal Padre, e da me viene, Col qual possanza, e auttorità vi dono Di scioglier, e legar l' alme terrene. Potrete, in vece mia, voi dar perdono A' penitenti, à gli ostinati pene. Quei che voi legarete in Ciel legati, Quei che sciorrete fien sciolti, e beati. Molte altre cose ei lor ricorda, e molte Ch' essi essequir doueano; indi partisse. Le quai con gran feruor furon raccolte Da' suoi diuoti, e nel più interno fisse. Ma Thomaso, oue sei, c' hai tante volte Pianto il caro Maestro? Ei pur predisse Che saria viuo il terzo dì, tornato A riuederti, e non l' hai tu aspettato? Thomaso vien, poi che spedito ha certo Suo negotio, à i compagni. Ah tardi viene. E gli troua sì lieti, che di certo, Pensa ch' occorso è lor qualche gran bene. Rendono essi à Thomaso il fatto aperto, Che fù à l' humil suo cor troppo alta spene; De l' apparso Maestro, e qual si suole, Gli riferiscon gli atti, e le parole. S' io non vedrò, rispond' ei, con questi occhi La sua faccia immortale, e gloriosa, E s' auuien ch' io, con queste man non tocchi Il segno d' ogni piaga aspra, e penosa: E che à ragionar seco io non mi abbocchi, Mai crederò così impossibil cosa. E in tal mia opinion sarò costante Fin che viuo apparir mel vedrò inante. Nè per cosa che mai detta gli fosse, Con mille, e piu ragion d' alcun di loro, Da sì torto pensier punto si mosse. Il che assai spiacque à tutto il Concistoro: Otto volte hauea già Febo rimosse Le tenebre dal ciel coi raggi d' oro, Da che apparue il Signor, da che rimaso Ne la sua pertinacia era Thomaso. Quando il Re de la luce, che dispone I cori à modo suo quando gli piace; E per giustificar, con gran ragione, Che la sua Deità non è mendace; Stando pur chiusa ancor l' humil magione Da capo entra a prouar, ch' egli è verace. E che la sua parola vnqua non mente, E Thomaso con gli altri iui è presente. Entra Giesù improuiso, e gli saluta Dando lor pace; indi Thomaso chiede. O Thomaso, com' è, tua fè caduta? Chi volea morir meco, hor non mi crede? Ecco le mie ferite. homai ti muta. Giunga la mano oue mancò la fede, Pon quì le dita, e credi, e riman forte, E costante, e fedel fin à la morte. Trema Thomaso, e diuien rosso, e bianco Al gran mandato, e non sà qual s' eleggia. Brama obedire, & è suo debito anco, Teme accostarsi, e tra duo cor vaneggia. O come illuminato, o come franco, Nou' Aquila nel Sol mira, e fiammeggia. Humil risguarda, e à pena, o mio, risponde, Signore, e Dio, poi tace, e si confonde. Perche vedesti, aggiunge ei, m' hai creduto, Beati quei, che senza opre, e segnali, Creduto han quel, che non han mai veduto Credono, e crederan morti, e mortali. Così detto, il Signor, così 'l perduto Racquistato con proue, e ragion tali, Mancò da lor. Mancò sol di presenza, Che vi rimase in gratia, & in potenza. Col cor lo seguono essi; indi feruenti. E lieti piu ch' ei lor promesso hauea D' apparir piu solenne, i dì seguenti, A la vista di molti in Galilea; Se ben temean de le nimiche genti, L' amor preualse ch' i lor cori ardea. L' vn amor caccia l' altro. essi han nel petto Giesù, per cui già obliano il proprio affetto. Sen' vanno in Galilea, doue aspettando Il dì statuto à la promessa gioia; Con diuersi essercitij, iua ingannando Ciascuno il tempo, e del tardar la noia. Tra gli altri Simon Pietro; il qual piu amando, Il suo Signor, più l' aspettar l' annoia; Nel mar di Tiberiade, era tornato, Con hami, e reti, à l' essercitio vsato. Seco era Andrea, Natanael, Giouanni, Con Giacomo, e altri duo, d' un voler gito. Teser le reti, e i consueti inganni, E la barchetta allontanar dal lito. Sen van pescando, e frà piaceri, e affanni Spendon la notte, e van di sito, in sito. Spendon la notte, e la fatica; e 'l giorno Fan, senza preda onde partir, ritorno. Mesti, hauendo gittato il tempo, e l' opra Per riposar ritornan, la mattina. Ciascun lascia le reti, e 'l remo adopra, Già la barchetta al lido s' auuicina; Quand' ecco vna persona apparir sopra La riua, e caminar ver la marina, Che chiede lor, se vettouaglia, e alcuna Prouision, concesso ha lor, fortuna. In van distese habbiam le reti, in vano Tutta notte l' ingegno, e 'l tempo speso, Risposer quei; che 'l mar, e 'l pesce, vano Il pensier nostro, e la fatica ha reso. Rigettate la rete à destra mano, Quel replicò, che non fia in vano, hor teso. Essi à tanta parola obedienti Tentan da capo in mar gli algosi argenti. Ma cinto à pena han da la destra sponda Con l' aggroppato lin, le destre arene Che la rete dal peso sì profonda, Si gran copia di pesce accoglie, e tiene. O marauiglia. Hor lascia il pesce l' onda, E da se stesso à imprigionarsi viene. Deh come auuien ch' in mano hor si conceda Al predator la già fuggente preda? Stupefatti del caso, essi à fatica Trahean la rete, e la barchetta à riua. Ma Giouanni; che senza ch' altri il dica, Pensa onde vscir può l' opra altera, e diua; S' accosta à Pietro, e dice; ecco l' amica Luce, ecco il Sole ond' ogni ben deriua. Quest' è 'l Signor, che regge il tutto. Ei pose Creator legge, à le create cose. Pietro, ch' era dal mezo in giù, discinto Non pur, ma nudo; pescareccia vsanza; Ma di fede nel cor legato, e cinto Non pur d' amor vestito, e di speranza; Gettasi, à questo, vn manto intorno, e spinto Dal gran desir, precorre ogni tardanza. Lanciasi à nuoto, e gli altri non aspetta, Ch' ogni prestezza è tarda à tanta fretta. Hor và notando, hor par c' habbia à le piante Ale, sì preme il mar, come la terra. E giunge in breue, ou' e 'l cor gito inante, Per non esser lontan, molto da terra. Gli altri che si trahean graue, e pesante Il lin che tanta preda asconde, e serra; Giunser più tardi, e sendo al lito sceso Ciascun, trouar sul lito il foco acceso. V' era ancor pane, e sù i carboni ardenti Pesce, ch' in breue si trouò arrostito. Et iui accosto il Rè de gli elementi che gli raccoglie à famigliar conuito. Com' ei gli scorge tutti esser presenti, Fà a ciaschedun, che mangi seco inuito. O caro prandio, à tè nullo agguagliarti Si può de' regij, e nulla lode darti. O quanti Heroi, quanti gran Rè sarieno Lieti, d' esser chiamati à sì gran mensa, Et esser pescatori, e 'l capo, e 'l seno Nudi, abbracciar questa grandezza immensa. Ben accorto, i Discepoli, s' hauieno, (Tai gratie sopra gratie ei lor dispensa) Che questi era il Maestro, e qual discreti Stauan con gran silentio humili, e cheti. Cibati i corpi, e via più gli occhi, e 'l core Essi del lor Signor c' hauean presente; Chiama egli Pietro à sè, (Pietro maggiore Constituto in sua vece, in terra agente,) E dice, o Pietro, e tù m' ami di core Piu di questi altri? Io v' amo internamente, Ei dice. Aggiunge alhor la voce eterna, Dunque gli agnelli miei pasci, e gouerna. Appresso egli il dimanda, o Pietro m' ami? Voi sapete Signor, Pietro ritoglie, Ch' io v' amo certo, e quanto adempir brami Le vostre eccelse, e sacrosante voglie. Fa che gli agnelli miei pasci, e disfami, Soggiunge il Pastor sommo. Indi discioglie L' amoroso parlar da capo, e chiede Pur Pietro ancor, se l' ama egli con fede. Dolcemente importuno, anco il richiesto Richiede, anco prouar vuole il prouato. Deh non t' affliger nò, Pietro di questo Costume antico, e priuilegio vsato. Suole ogn' amante sempre esser molesto, Et amando bramar d' esser amato. Così se l' ami, hor brama vdir più espresso. L' eterno amante, anzi l' Amore istesso. Sattrista Pietro al triplicato suono, Di tal dimanda; indi 'l parlar dà fuori; Come s' io v' amo? ogn' hor fui vostro, e sono; Voi 'l cor vedete, o scrutator de' cori. Perche voi sete interamente buono V' am' io, non sol per tanti alti fauori. Voi m' hauete creato, e ricreato, Come non debb' io amar s' io sono amato? Tu dunque, che di me più acceso amante Ti mostri, aggiunge la bontà diuina, Le pecorelle mie fido, e costante Pasci di giusto essempio, e di dottrina. Tu che guida, e Pastor t' elessi inante Pasci 'l mio gregge, e dietro mè camina. Seguimi, e segui tù l' eccelsa impresa, Che capo, e Duce hor sei de la mia Chiesa. In verità, quand' eri giouanetto D' anni, e di senno, à tuo piacer volgeui E la voglia, e la vita, il van diletto Seguendo de' piacer fugasi, e breui. Hor che inuecchiato sei, che sei perfetto Di tempo, e di pensier maturi, e greui, Retto sarai sforzato, e al fin contento. MIEte in piacer, chi semina in tormento. Seguimi pur ne l' opre sante, e imita La patientia mia ne' dolor tuoi. O come gode Pietro, e d' infinita Gioia colma lo spirto, e i pensier suoi. Poco è l' offrir, dic' ei, l' alma, e la vita, Che v' offrirei quel, che mi deste uoi. Vorrei cosa trouar, di piu valore De l' alma mia, per farui hostia maggiore. Volgesi intanto, e vede il suo diletto Con discepol, che dietro gli veniua. Secretario di Dio, vergine eletto Tromba di sapientia eterna, e diua, Ch' i misterij del ciel sognò sul petto Di Giesù mentre dolce egli dormiua. Dice Pietro à Giesù. Questo Donzello, Che dee far? de seguirui? O che fia d' ello? Non che segua, che aspetti il mio ritorno Voglio io, che importa à te? Giesù rispose. Vdì 'l motto ciascun, la voce intorno Tosto volò come il Signor l' espose; Che Giouanni douea godere il giorno, Fino al mancar de le presenti cose. Dopo questo il Signor ratto dispare, E lascia i serui, essi le reti, e 'l mare. S' vnir poscia in gran numero i fedeli E giro al sacro, auuenturoso monte, Doue promesso hà il gran Motor de' cieli Far le sembianze sue piu aperte, e conte. Orano attenti. Ad alme oranti sueli, O chiaro Sol, la tua diuina fronte. Ecco vien l' aspettato, e gli consola, E paga il suo venir, la sua parola. Come tenero Padre di famiglia, Cui di lasciar la casa, e i figli preme Per gir lontan, non pria la strada piglia Che gli raccolga caramente insieme. Altri abbraccia, altri affida, altri consiglia E porge i baci, e le parole estreme, Ordini lascia, e fà procure, e doni Pria che la cara sua patria abbandoni. Così Giesù, sapendo esser vicino Il tempo già, ch' egli tornar douea Al suo gran Padre, al Regno suo diuino, Donde senza partir tolto s' hauea; Tenero Padre, pria ch' entri in camino, Chiama à sè ciaschedun, ch' in lui credea, E prima annontia lor, prima dichiara De la partenza sua la noua amara. Poi gli auisa, gl' inanima, e conforta Che vadan predicando arditamente Per ogni parte, e faccian saggia, e accorta Ne' sacri studij, la diuersa gente. E le imprimin nel cor fede non morta, Ma viua, e di sante opre illustre, ardente. Chi fia fedele, e haurà battesmo hauuto Fià per tal segno in Ciel riconosciuto. Portate, dicea lor, questa partita In pace; Sò che 'l dolor vostro è graue, Ma credete, e sperate, che ispedita Questa vita, che par tanto soaue, Meco verrete à goder quella vita In Ciel, che alcun trauaglio in se non haue Sopportate gli indugij, ch' io fratanto Manderoui 'l mio spirto eterno, e santo. Mai v' abbandonerò ne' vostri affanni, Ne' trauagli, ne' pianti, e ne le pene Sempre vdirò le vostre voci, e i danni Vostri ristorerò con maggior bene. Nè mai per tempo, e per riuolger d' anni Mi scorderò di voi, se haurete spene. E se ben voi non mi vedrete, sempre Con voi son, fin che 'l mondo si distempre. Io lascio giudicar da chi per proua Sà, quanto è 'l separarsi acro, & amaro Da quella cosa, in cui l' huom gusta, e troua Quanto desia di pretioso, e caro, Il gran dolor, che per sì acerba noua Percote ogni alma; alhor ch' aperto, e chiaro Odon, che 'l lor Signor partir si deue, E che soli restar denno essi, in breue. Ei gli consola dolcemente; e appresso gli esorta, inanzi che lor dia licenza, Che riedano in Sion, dou' anco espresso, Lo riuedranno inanzi à la partenza. Poi dispar' egli, e fanno essi regresso Dou' hanno à riueder l' alta prasenza. Vanno in Sion, doue à gli auisi vditi Stanno perduti, attoniti, e smarriti. Questa ben doglia, e afflittion lor sembra Intolerabil più, che se lor fosse Spiccato il cor dal petto, e da le membra, L' alma in tal guisa gli traffisse, e scosse. Che non pensa ciascun? che non rimembra? Quanti sospir, quante parole mosse Furon tra lor? Ben proua il santo stuolo Mortal dolor. Ma non si mor di duolo. In mezo à tante lagrime ancor riede Il pietoso Maestro, e dice loro. Non vi smarrite amici, habbiate fede, Ch' io darò à vostri affanni ampio ristoro. Io vado à prepararui in ciel la sede, Conforme à i merti, nel mio eterno Choro. S' io non v' andassi, alcun non saria certo D' hauer tal premio, de' suoi affanni in merto. S' io non v' andassi, alcun di voi pensiero Non si torria più del superno Regno. In van sarei venuto à patir fiero Stratio, per voi condur dou' io disegno. Che stando meco haureste vn ben intero, Nè piu fareste sopra il ciel disegno. Basteria sol la gloria del mio viso, A far la terra vn Cielo, vn Paradiso. Ma non è 'l mondo à me conueniente Loco, à me Dio del Cielo, e de la terra. Nè meno è questa volontà, nè mente, Del mio gran Padre che voi stiate in terra. Ma che meco v' alzate, oue in lucente Parte godiate il ben, ch' in me si serra. Rimaneteui dunque in pace, e sia Fatto il vostro voler la voglia mia. Con questo gli pon seco egli in camino Fuor de la Terra, per campagne, e riui, E uà al Castel di Marta, assai vicino, Sul vago monte de' fecondi Oliui. Quiui da i cari Apostoli, il diuino Amor piglia il commiato vltimo, quiui Mentre gli benedice, e le man stende S' alza da terra, e verso il Cielo ascende. Candida nube di lucente argento Ponsi alhor tra lor occhi, e 'l caro obietto. Ah più nol veggion essi, e 'l guardo intento Hanno in lei, che 'l lor ben, loro ha interdetto. Il miracol risueglia il sentimento, Che 'l dolor torria 'l senso à l' intelletto. Gia la perdon di vista, e restan senza Color di ghiaccio. O perdita, o partenza. Mentre miran così stupidi ancora, Nè san gli occhi leuar, nè 'l cor dal cielo. Ecco apparir duo gioueni, che à l' ora Spiegano il bianco, e rilucente velo. Che lor dicono. O voi che mirate hora Più verso 'l Ciel con sì cupido zelo? Questo Giesù, c' hor è sù in Ciel salito, Così vn dì tornerà com 'è partito.

IL FINE.