LE FESTE RAPPRESENTATIONE AVANTI IL SERENISSIMO Prencipe di Venetia NICOLO DA PONTE Il giornio di S. Stefano 1581. DI MODERATA FONTE

Io del tempo veloce Figliuol nacqui: & son l'Anno Homai quasi passato, Che giunto di me stesso al fin mi trovo; E per dar loco al novo, Vengo a pigliar commiato Da voi d'ogni splendor Principe adorno, Et da voi degni Eroi; Mentre godete in questo almo soggiorno; Con pensier dolci a lato. Ben desiava presentarmi a voi Con qualche ricco dono; Ma perche dato v'ho quanto io potea Darvi di bello, e buono, Nè par ch'altro mi reste, Condotte v'ho le feste: Le quai con dolce suono, E dilettosi carmi Qui doppia festa in vostro honor faranno. Qual prato senza fiori, Qual senza gemma anello,



Et qual orbato il ciel de' suoi splendori: Tal fora, e via men bello Senza le feste il mondo, Che noi rendiamo sì lieto, e sì giocondo. Noi già fummo ordinate Per onesto riposo, Et per memoria d'opre alte, e pregiate; Acciò l'altrui famoso Esempio inanimasse A le virtù le menti pigre & basse. Et in qual loco mai Troviam miglior ricetto Ch'in questo? I giorni qui felici, e gai Rendon doppio diletto: Qui, come in Paradiso, Con virtù regna pace, e festa, e riso. Veramente altro bene Non si ritrova al mondo, Che star in festa, e in gioco. I diletti, e' piaceri Son la vita de l'huomo: In essi si contiene La felicità somma, e 'l sommo bene.



E chi prende altra strada Che questa, si può dir misero, e stolto: Per tanto io, che son vero Seguace di quel saggio Epicuro, che tanto al mondo intese; Havendo udito il suono Di queste feste amiche, Che fan sì bella festa, Son venuto a godere Con voi, spirti felici, De la vostra allegrezza, Se degno io sono di vostra compagnia. Nè Zeusi mai, nè Apelle, Nè stil raro, e felice D'altro pittor illustre; Nè sì diserta, e sì faconda lingua Fù mai, che degna fosse Di figurar in carte, O d'esprimer in voce a l'altrui senso Quanto virtute è bella. Chi conosce costei, s'accende in guisa De l'amor suo; ch'alti pensieri infonde; Che fuor di se non mira altro, nè chiede: La sua rara bellezza Fura gli spirti, anzi gli porta in cielo. O felice costui, Che la conosce, & ama, Poi ch'ella è 'l vero bene;



Et chi lei prezza, ha in odio ogni altra cura; I fugaci diletti, e' piacer vani Son come fior caduchi, Nido di serpi venenosi, e rei. Io sol virtute ammiro, E son così del suo bel viso acceso, Ch'altro non penso al mondo. E perch'odo, che qui meglio si scopre Il suo splendido raggio; Qui dove in propria stanza ella risiede, Son venuto a fruir cupido amante Sua dolce, e cara vista, Che fuor di voi Principe illustre, e degno Traspar, qual Rosa suole Di chiaro vetro, ò 'l Sol di sottil velo. Et insieme con lei vi riverisco. Nè men fò riverenza A questi eccelsi Eroi, In cui mostra si chiari i lumi suoi. Ma che veggi' io? che fai tu qui, nimico De la virtù, seguace d'Epicuro? Partiti sciocco, e rio da gli occhi nostri. Ep[icureo]. Anzi io volsi a te dir quel, che facevi Tra feste, e canti, tu che sei 'l ritratto De la malinconia; se non c'in forse Stetti, se fossi mai venuto in senno: Ma poi, che chiaro son, che ne l'antico Error sei più che mai, mi maraviglio Come tra i piacer nostri entrato sei. Certo io credea, ch'in qualche grotta hor fossi A contemplar la stoica scientia,



Ch'insegna altrui, come tra vivi huom viva Peggio, che morto, senza alcun ristoro. E perche pur pietà di te mi stringe; Deh dimmi; non è mai per haver fine Questa sciocchezza tua, che sendo al mondo, Disprezzi il mondo, e 'l ben che 'l mondo porge? A che dunque sei nato? e perche avesti Da la madre natura il comun uso De le cose da lei prodotte in terra? Non sai, che ci fè gli occhi, e loro obietto Fè la varia bellezza de le cose? Diede a la bocca il gusto; e volse ch'ella Appetisse il sapor de i lauti cibi. Così piace a gli orecchi il dolce suono. Che dirò poi de gli altri piacer tanti, Che per via de l'ingegno ella n'appresta? La danza, il giuoco, e 'l ragionar d'amore, E 'l tender reti a i vaghi augei ne' prati, O a la riva d'un fiume argenteo, e chiaro Porre a gl' incauti pesci insidie ascoste; Over, sedendo a l'ombra in vago colle, Mirar giù per vicini aperti campi Dietro a timide lepri i veltri in caccia, Et goder poi le prede a lauta mensa; O quanto appaga il cor, quanto altrui giova: Ne' quai tutti piacer ridotti insieme Conchiuderò, che 'l sommo ben si trovi, Di che privando tu te stesso vieni A dimostrar, che sei pazzo solenne.

O d'ogni ben, felice Prencipe, ò compagnia lieta, e contenta, Quanti ancor tu godesti Di tai diporti honesti, Sannol quest'acque, e la tua cara Brenta; Sannol le dolci ville, Ove fosti sovente: Così 'l ciel lungamente A te doni passar l'hore tranquille, Et è posteri tuoi mill'anni, e mille. Non ti basta infelice esser sommerso Tu ne le vanità, ne' falsi errori, Ch'ancor cerchi di trar teco nel fondo Quei, c'han di te miglior conoscimento. O miser, s'una volta comprendesti La bellezza di quella, ch'amo tanto; Certo tu sprezzeresti ogni altro vile Obietto, e sol di lei pensiero avresti. Hor non sai tu, ch'i tuoi diletti sono Dolci al principio, e ne la fine amari? O di quanto piacer, di quanta festa S'è veduto uscir morte, e strage orrenda. Non è cibo sì grato, che non fatij A lungo andar, né musica sì dolce, Ch'al fin non fastidisca; e ben spesso D'un grande amore un maggior odio nacque.



La caccia hai tu comune co i leoni; E l'aquila di te sa prender meglio I volanti uccelletti. Oltra di questo, Ogni bel ballo tedia; e gran fatica D'ogni picciol piacer compagna è sempre. Non parlo poi de la tua instabil mente, C' hor quella cosa, hor questa ama, e desia Senza misura; e se non la consegue, Come si cruccia, e 'l ciel biasma, & s'adira? Come afflige li spirti, e geme, & piagne? Ma 'l pensier mio, che in saldo obietto fonda La speme, e l'amor suo stabile e vero, Lei possedendo ogn'hor beato vive: Si che dovresti homai conoscer quanto Sei stolto a non stimar, che la virtute È solamente il vero, e sommo bene. Nasce da la radice Il frutto, che gli altrui corpi alimenta; Da la virtù di questi Sacri spirti celesti Nasce Venetia il ben, chè si sostenta. Le gratie, fide ancille Del bel corno lucente Ridon continuamente Ne' tuoi felici alberghi e a mille a mille Destanvi del suo amor chiare faville.

Prencipe saggio, & voi Padri prudenti, Di cui famosa và dal Thile al Gange La riverita, e valorosa insegna; La Sibilla son'io, detta Eritrea, Ch'udendo il suon del glorioso nome, Che la vostra virtù nel mondo sparge; Son venuta a vedervi, & rallegrarmi Con voi di tanti vostri honori, & pregi; Et insieme a predir Prencipe a voi, Cometa vostra gloriosa vita, Per lunga età durar dè ancora al mondo; Che così 'l ciel dispon pe' vostri merti, Et per universal gran beneficio Di quest'alma Repubblica, che sotto Il governo di voi dispensa i giorni Hora in virtute, hora in modesti giuochi, Et vive in pace, e in allegrezza tanta. Sempre nel suon non lice Una corda toccar, ma spesso tenta L'huomo hor quei nervi, hor questi, Perche più gioia presti: Tal sì degne alme, a cui meglio talenta Virtù, (che sì arricchille D'honor) talhor la mente Pur disvian dolcemente Da i pensier gravi, a fin che sì tranquille Volte a breve piacer, ch'insieme unille.

La Sibilla è costei? miglior ventura Non ci potea incontrar di questa certo Ond'habbia a terminar tanta contesa; Vogliam giudice farla ambo d'accordo, E star contenti a quel ch'ella decide? Ep. Col mio cor parli. St. Hor tu dunque incomincia. Ep. Nobilissima Donna; antico, e novo Disparer è tra noi, del qual si crede Ciascuno haver dal canto suo ragione; E perche desiamo homai por fine A tanta lite, pregoti ch'intendi Le ragion nostre, e dij giusta sentenza: A fin che quei che sono, e che verranno D'ambe le parti, sappian chiaramente Discerner, e seguir la miglior via. Hor odi. È in tanto error costui sommerso, Che si và segregando d'ogni bene che l'huom gusta, fruisce, vede, e sente, Per abbracciar le nebbie, i sogni, e l'ombre. Io temo ch'ei con tutti i suoi seguaci Habbia scemo il cervello, ò pur che privo De i sensi viva a guisa d'uom di pietra; Segue una vanità, cui nome ha dato Di Sapienza, e di virtù morale: E ritroso, e fantastico, e solingo Sen và sprezzando ogni piacer mondano, In cui tengo io che 'l sommo ben si trovi; Affermando ei, che quella è sol la vera Felicità, che da virtù depende.



St[oico]. Così dico io, così stimo, e confermo; Ma mi rimetto poscia al gran giudicio Di lei sapientissima, ch'intende La verità. Così in tuo arbitrio sia Mirabil Donna il giudicar tra noi, Che ben conosci tu da te medesima, Senza ch'io m'affatichi in farlo chiaro, Quanto errando travij, quanto s'inganni Costui, che de' piacer fugaci è servo, A creder che sia in essi il vero bene, E non ne la virtù, che mai non manca. Hor dà sententia, e nostra lite acqueta. Sib[illa]. Non ha ciascun di voi ragion, né torto, Et ambo avete il torto, ambo ragione A contender di ciò, che non dovreste. Il chiuso enimma hor v'apro. I naturali Piacer biasmar non dei Stoico del tutto, Né tu lodarli sopra ogni altra cosa; Perche (quantunque il vero ben non sieno) Se l'huom discretamente, e con misura Gli gode' anch'essi son parte di bene. Così la sapienza humana tanto Non si dee vilipender, che l'huom viva A guisa de le bestie ignaro, e vile; Né tanto anco essaltar, che riputata Sia la felicità sola, e perfetta. Parte anch'ella è di bene; e l'huom trovando (Come fa questi eccelsi Padri apunto) Fra tali estremi il mezo, e d'ambi fatto Partecipe, si può la strada aprire, Ch'al vero, eterno, e sommo ben conduce:



Il qual (Se ne bramate haver notizia) È 'l sol de le virtuti, e di Natura Maestro; e padre, e creator del tutto. Et è quel, ch'io mostrai già tanto tempo Al grande Augusto Imperator Romano: Che nel cerchio del Sol fanciullo in grembo De la vergine madre era; di cui Già mille cinquecento, e ottantaun'anno Nacque in giorno simile al giorno d'hieri, Per dar salute a la natura humana. E la festa, e 'l piacer c'haver dimostra Questo sì degno, e nobil concistoro, Fedele amico a quel gran Rè de i Regi, Da sì alta memoria origin prende. E di più ricordandosi in tai giorni, Ch'alcuni altri fedeli ascesi sono A godere esso ben perfetto, e vero, Ei si rallegra; avendo certa speme, Per gratia di colui, che 'l tutto regge, Di gir anch'esso al tempo terminato A fruir parte in ciel di tanta gloria. St[oico]. Poscia che m'hai svelati i sensi, e l'alma, A cui gran tempo fù celato il vero, Da l'error mio rimovomi, e m'acheto, Rendendoti di ciò gratie infinite. Ep[icureo]. Così faccio io; che conoscendo quanto Fallace opinion m'ha trasportato Dietro il senso fin'hor, senza alcun freno; Temprerò le mie voglie, & con virtute Saran sempre congiunti i miei diletti.

Ben radoppiar la festa Si dee, ch'uscito è fuore Lo Stoico, e in un l'Epicureo d'errore. Aventurato a pieno Chi può frenar sue voglie Che di poco sudor gran frutto coglie. Chi saper brama assai, Scacci ogni affetto immondo; Ch'assai sa, sa viver nel mondo. Chi'l sommo ben desia Trovar, da giusto huom viva; Che per giustizia al sommo ben s'arriva. Et s'alcun non intende, Come a ciò si prepari, Da voi gran Duce, e chiari spirti impari.

Non è questo il mio tempio, e 'l sacro albergo, Ove talhor per mio diporto io vegno? Non è qui 'l loco, ove sovente aspergo Del mio liquor più d'un fecondo ingegno? Non è questo il mio Prencipe, a cui vergo Perpetue carte in stil sublime, e degno? Non è de' cari miei questo il collegio, Spirti di tanto honor, di tanto pregio? Io son la Poesia venuta homai Per questo anno a pigliar da voi licenza Alme cortesi; & vi ringratio assai Di sì benigna, & graziosa udienza. Co i novi giorni, e co i fioretti gai Tornerò forse a questa alma presenza: Così al ciel piaccia, che la state, e 'l verno Con gaudio a voi tornar possa in eterno. Dunque in pace restate; e con voi tutta Questa città meravigliosa, e bella, Per nido d'ogni ben qua giù produtta, Di virtute, e di Dio divota ancella. E 'l colmo de la gloria in voi ridutta, Sempre guardi, e conservi amica stella; E piovan gratie in voi sì nove, e sole, Che da lor vinte sian le mie parole.

Lieti dì, felici feste, Senza cosa, che v'annoi, La bontà del Rè celeste V'apra ogni anno, o chiari Eroi; E per mille etadi, e poi Ogni gratia, e ben vi preste. Lieti dì, felici feste. O felice compagnia; Che virtute apprezza, et ama; Ben ciascun di noi vorria Celebrar la vostra fama, Ma già l tempo ci richiama; Il cor nostro con voi reste. Lieti dì, felici feste.