LUIGI AMADUZZI

UNDICI LETTERE
INEDITE
DI
VERONICA GAMBARA
E UN' ODE LATINA TRADOTTA IN VOLGARE

GUASTALLA
—Tipografia R. Pecorini. —
1889.

Alla Memoria
DEI MIEI DUE BAMBINI
OMERO E MARIA

È da ascriversi a danno delle lettere nostre che di Veronica non rimanga che un solo componimento latino, ma di tali pregi, per cui non dubito fin d'ora di affermare che nulla ha da invidiare alla lirica del Venosino. Coltivò la Gambara il latino, come vedemmo, in un tempo in cui era ridivenuto quasi lingua viva; ma una sola ode saffica ci è dato assaporare di lei, quasi assaggio della sua potenza lirica e della profonda conoscenza di quella lingua. La lettura di quella ci attrae al desiderio di averne altre, o ci fa supporre almeno che la Gambara non abbia potuto con un solo tentativo raggiungere tale altezza. Onde noi siamo indotti a credere che molte cose sue ancora rimangano sepolte.

L'entusiasmo per la religione che infiammò la Gambara agli slanci più sublimi della lirica, quello stesso le trasse dal cuore note di profondo sentimento, che volle essa cantare sulla lira del divino Orazio. Quest'ode fu scritta per la vittoria che Carlo V riportò il 25 Aprile dell'anno 1545 a Mühlberg, dove fece prigioniero Giovanni Federico Elettor di Sassonia e Filippo Langravio d'Assia. Il metro è saffico. Fu scelto avvedutamente, con preferenza, dalla Gambara, come quello che fu per Orazio il più prediletto per gl'inni, ed ha lo spirito e l' andatura appunto di un inno.

All'età di sessantadue anni si sente la nostra Veronica ancora tratta alla poesia da quel sentimento religioso e da quella fede ardente che era stato il dominio più potente della sua anima. Il trionfo dell'esercito cristiano sul protestante, quel trionfo per cui aveva fatto sì fervidi voti, le ridona la giovinezza.

Essa canta:

Inger ingentes pateras minister, Et rosa undantem Bromium corona, His dapes festas simul apparato Non sine cantu. Affer argutam citharam chelymque Huc, ubi ad fontis caput Hydroelli Quercus atque illex foliata densa Procubat umbra. Cæsaris jam jam video triumphum, Jam tubas audire licet sonantes, Jamque Io et voces resonare ovantum Littus ad Istri. Qui, coloratis violenter undis Sanguine involvit galeas virosque, Ac liquens divæ in gremium marinæ Corpora versat. Barbarus sensit quid Hiberus audax Quidque jam possit metuendus hasta Belga, quid testata patrum vigorem Itala pubes. En petit supplex veniam rebellis Teutonus, jam langravium inchoati Pænitet belli, solida revinctum Colla catena; Ille (nam Dij sic voluere læsi) Quod sacras auro spoliavit aras Templa dejecit, simulacra divis Ignibus arsit, Sensit ultorem scelerum tonantem Ac sui oblitus, rationis expers In Deos vana temerarius vi Arma paravit. Militem nullo procul ære duxit Cæsarem huic sese fore polliceri, Dum coruscantis Iovis arma jactat Nulla timere. Nescius quantum pater ille Divûm Fulminet telo horribili prophanos Ætera attollens humiles, superbos Trudat ad orcum. Ergo quid lex religiove spreta, Sanctio aut possit temerata patrum, Quid fides fraudata, quid ira justa Cæsaris, ipse Videris, tuto at mihi nunc licebit Bromium siccare merum, meique Cæsaris laudes resonare plectro utcumque loquaci. Di piene coppe liete mense appresta E Bacco spumeggiante orna, o coppiere, Di rose: un carme per segnal di fes ta, Canti il piacere. Qua d'Idroele al fonte ove fronzuto Stende suoi rami un elce e quercia antica Tu ne reca la cetra ed il liuto A l'ombra amica. Sale al trionfo Cesare; vittoria Squillan le trombe già; s'espande il grido Degli esultanti e l'inno de la gloria De l'Istro al lido. Il qual, ne l'onde già di sangue tinte Travolge armi ed armati e in seno al mare Le informi spoglie de le genti vinte Corre a versare. Ciò che potesse l'animoso Ispano, Il formidabil Belga, e de l'antico Onor la fede in petto d'Italiano Provò il nemico. Il Teutono ribelle umilemente Ecco perdono chiede, ed il Langravo Dell'intrapresa guerra omai si pente Caduto schiavo. Ma, (degli offesi Dei tal fu il volere), Poichè gli altari dispogliò; distrusse Templi de' Numi e in cenere le intere Statue ridusse, Sentì il tonante vindice de' rei; E fuor di senno, con isforzo vano L'armi volle brandir contro gli Dei Con empia mano. Lontan, senza mercè trasse sue genti, A cui novello Cesare votossi, Mentre di Giove non temer potenti L'armi vantossi. Ma non conobbe come sul profano Caggia fatal di Giove il dardo acuto; Abbia Olimpo l'umil, abbia l'insano L'Erebo muto. Ciò che legge o pietà valga spregiata; Dei padri il detto violato e oppresso Di Cesare il rigor, la fè beffata, Vedrai tu stesso. Io di Bacco il licor mescere intanto E le lodi intonar solo desio; Ed alla cetra disposare un canto Pel Cesar mio.

Domina in tutta l'ode una soave armonia imitativa, che molto bene si ottiene coll' accoppiamento dell'adonio agli endecasillabi, armonia che può sembrare alquanto soverchia e dare al componimento un'andatura piuttosto monotona. Non si trova in quest'ode grande copia di concetti originali, ma si mantiene grave, maestosa, ispirata, e lo stile vi è terso, la disposizione delle parti perfetta.

(1506-22 Maggio)

(Autografa — Archivio di Stato di Modena — Cancelleria Ducale — Letterati)

Al Cardinale Ippolito d'Este

Una sincera e sviscerata servitù, Illust.mo et Rever.mo Signor mio Singolarissimo porgie ardire a servitori de domandare a suoi signori qualche gratia con manco timore che non farianno sel scudo de quella non havesseno a me hora aiutata da uno aiuto tale, dirò quatro parole con manco respecto confidandomi in quella e più ne la humanità de Vostra Signoria el Todeschino vien lì pur per quella sua facenda che da Messer Alphonso Vostra Signoria Reverendissima alli giorni passati intese il quale essendo stato di quanto ricerchava compiaciuto, voria con l'aiuto de Vostra Signoria mandare ad effecto el desiderio suo, per il che ho scritto a Messer Francesco Gerbinato tutto el bisogno suo et quanto ricerca unde prego Vostra Signoria Reverendissima degni ascoltarlo dal dicto Messer Francesco et potendo senza incomodo non li sia grave aiutarlo; perchè alla servitù li porta il conte et Madona mia matre et io con tutta casa mia farà non picciola gratia et finendo alla bona mercè de Vostra Signoria humilmente basandoli la mano una con li sopranominati quanto più posso mi Raccomando

De Vostra Signoria perpetua
indegna serva

VERONICA DA G.
scripsit

Io penso pur in che modo potesse satisfare a questo mio desiderio Signore mio Singolarissimo el quale e di fare cosa grata a V. S. ma la trista mia sorte mel vieta. la quale mi ha fata cusì da poco e tiemi si bassa che non mi lassa se non questo povero animo e sincero che mi tormenta el quale dono a Vostra Signoria e pregola si degni acetarlo che certo le riess.……………………e in segno di ciò comandarmi qualche cosa che più grato pegno non poteria havere e per non più fastidirla facio fine raccomandandomi humilmente a la bona gratia di Vostra Signoria basandoli la mano etc. brixie

22 Madij 1506.

Quella che naque serva di Vostra
Signoria gratiosa su..…scripsit

(Foris) Allo Ill.mo et Rev.mo Signor mio Singolarissimo lo Signor CARDINALE da ESTE.

(1508-23 Giugno)

(Autografa — Archivio di Stato di Modena — Cancelleria Ducale — Letterati)

Al Cardinale Ippolito d' Este

Son certo che apresso de molti seria chiamata prosuntuosa scrivendo (anci Tediando) le orecchie loro con mie zanze. Ma Vostra Signoria Illustrissimo e Reverendissimo Signor mio Singolarissimo che apresso le altre divine parti ha in se: possede tanta humanità che fra mortali il fà imortale mi dà ardire de scriverli queste poche parole, rendendomi certa che più tosto incolparà la servitù li porto, che atribuirlo a prosuntione alchuna con questa credenza adonche li ho scritto per satisfatione del debito mio, et per pregare anchora Vostra Signoria che voglia fare un rebuffo a zan pietro bresano portator presente che su mia fe ho hauto la magior fatica del mondo a Tenerlo qui questi pochi giorni. Tanto desidera esser continuo ali servicij de Vostra Signoria la quale prego per punitione del fallo voglia comandarli chel venga a stare 15 o 20 giorni con meco quando bene el non volesse, scriverei anchora ma temo tanto da fastidirla chio farò contra mia voglia fine. Non finendo Signor mio de racomandarme Tante volte a Vostra Signoria quanti pensieri nascono nel animo di quanti amanti amano e quanti sono et humilmente li baso le belle manine pregandola di novo voglia racordarse de mia baseza. De bressa ali 23 de zugno 1508.

Quella fidel serva che tanto
ama e adora V. Signoria

VERONICA

(Foris) Alo Ill.mo e Rever.mo Signor mio Sing.mo Signor CARDINALE da ESTE etc.

(1518-27 Agosto.)

(Autografa — Archivio Gonzaga di Mantova. Rub.a E. XXXVII. 2)

Al Marchese di Mantova.(24) Una simile lettera scrisse alla Marchesa Isabella d'Este.

Ill.mo et Exc.mo Dùo meo obs.mo Dùo Marchioni Mantuæ Mantuæ.

Ill.me et Exc. Dùe mi obser.me Cum lachrimosi singulti et cum il magior cordoglio et insoportabile affanno, si possi mai explicare, adviso V. Ex.ia, si como ricerchi il debito, qualmente heri sera ad hore XXIII piacque al summo Idio chiamarsi la bona anima del Ill. S.re mio consorte. Perdita la magiore si potessi mai haver per me, et prima ben confessato pero et havuti li Sacramenti debiti di S.ta nostre ecclesia, il malo suo è stato una pestifera et acutissima febre continua che l'ha conducto a morte. Sum certissima che di questa malissima nova ni havera V. Ex.ia quella tristeza che ricerchi la servitute nostra verso di lei, a la quale insieme cum li figlioli orphani de continuo me rac.do Corrigiæ XXVII. Aug.ti 1518.

De V. Ex.ia

Bona Servit. VERONICA
de Correzo Contessa

(1518-3 Settembre.)

(Autografa — Archivio Gonzaga di Mantova.)

A Francesco Gonzaga Marchese di Mantova

Ill.mo et Ex.mo Dùo Dùo meo col.mo Dùo Fran.o Mar. chioni Mantuæ ac S. R. E. Conf.rio

Ill.mo et Ex.mo Dùe Dùe semper col.me Mando da V. Ill.ma Ex. il presente mio canc.rio per exponerli alcune mie particulari come da epso in longo quella intendera, pregola et di gratia supp.la ad volersi dignare di essere contenta prestarli quella indubitata fede che la Ill.ma S. V. se degnaria per sua humanitate a me propria prestare: In bona gratia di la quale dil continue me rac.do Corrigiæ III. sept.io 1518.

Ill.me et Ex.me D. V.

Dedilissima servitrix VERONICA
de Corrigio Comitissa.

(1519-31 Marzo.)

(Autografa — Archivio Gonzaga di Mantova)

A Federico II Gonzaga Marchese di Mantova

Ill.mo et Ex.mo Dùo Dùo meo obs.mo D.no Federico Marchioni Mantuæ

Ill.me et Ex.me Dùe Dùe obser.me Con quello acerbis.o dolore et cordoglio che se ricercha a la continue servitute mia portava allo Ill.mo S.re q. patre di V. Ex.tia et medesmamente a quella, ho inteso de la morte del p.to S.re suo patre, la quale me ha causato summa displicentia, il mi caso quantunque insupportabile sia, con debita reverentia mia non posso se non pregare V. Ex.ia a doverlo, per essere quella prudentiss.a, al meglio la puote tolerare: et benche la perdita sia stata grande et similmente comune alli servitori soi, nondimeno la debbiamo tolerare, per essere quella benedecta anima andata ad fruire meliore patria: et essendo V. Ex.tia remasto suo legitimo successore, p.mo, ringratiandola de le offerte la ci fa, la prego ad volermi una con li mei figlioli accettare per sua bona servitrice, et loro per fidelissimi servitori: In cui bona gratia del continue et me et li p.ti mei figlioli me raccomando. Corrigiæ ultimo martij MDXIX.

Ill.ma et Ex.me D. V.

Fidelis servitrix
VERONICA de Corrigio
Comitissa

(1523-27 Maggio.)

A Federico II Gonzaga Marchese di Mantova

(Autografa — Archivio Gonzaga di Mantova)

Ill.mo et Ex.mo Dùo Dùo Fed. de Gonzaga Marchioni Mantuæ exc.a S. R. E. Cap.neo gènli D.uo meo osb.mo

Ill.ma et. Ex.me Dùe Dùe obs.me Voluntera haveria satisfacto ad quanto me commanda V. Ex. se M.ro Gaspare Campana se fusse retrovato in Gorezo: sono da circa due giorni chel Sig.r Ioanne de Medice lo riciercò per uno de suoi che per combatere, adesso mandarò volante ad farlo revenire, et operarò quantum in me erit che subito se ritrova da V. Ex. ne mancharo de diligentia a fine che quella vengha servitu: in bona gratia de la qualle sempre me raccomando. Corigie XXVIII Maij MDXXIII

E. Ell.me ac Ex.me d. V.

Ser. VERONICA de Corrigio
Comit

(1547-12 Ottobre.)

(Autografa — Archivio Gonzaga di Mantova.)

A Pietro Maria Cornacchia, segretario del Cardinale Ercole Gonzaga

Al Molto Rev.do S.re Mes.r Pietro Maria cariss.o et hon.mo

Rev.do S.re Da ogni altro che da V. S. pensarei essere tenuta fastidiosa, ma da lei per l'amor li porto e per quello credo la mi porti, non penso sarò tenuta tale. Mando due navi a Venetia, una di legne simplice, l'altra con circa 100 asse, le legne vorei secondo il solito, che Mons.r Rev.mo mi fesse la gratia in tutto di condurle senza dacio secondo il solito e le asse pagar per la metà. Questo piacere mi fu fatto lanno passato, e spero mi sarà concesso per il presente. Io scriverei a S. S.in R.ma ma per dire il vero mi par cosa troppo bassa per le orecchie sue. Voi sarete la lettera mostrando questa mia a S. S. R.ma e pregandola in nome mio mi faccia questo favore, che alla grandezza sua et alla servitu mia è veramente poco, nondimeno lo reputarò per gran mercede, e così finendo e rimettendomi al portator presente farò fine, raccomand.mi a V. S. infinitamente e pregandola basi la mano in nome mio a S. S.r R.ma suplicandola mi conservi in sua bona gratia et di nuovo mi racc.do In Coreggio alli 12 di 8bre 1547.

Al servitio di V. S. VERONICA da C.

(1549-24 Novembre.)

(Autografa — Archivio Comunale di Novellara)

A Costanza Gonzaga Contessa di Novellara

Tornò messer Gian Lodovico Fontana Figliola cara tutto consolato, et mi disse la presta espeditione di quelli poverini, del che vi prego a solicitare a cio usciamo di questi travaglij. mi allegro certo de la ubidientia del comun figliolo, il quale se ben fa il debito suo, nondimeno son rari come le mosche bianche, e, sapiate che quello che voi con tanto dispiacere sentite, farà che come già vi scrissi vi sarà come un cane in chatena e, Dio fa ogni cosa per il meglio, si che lassate seguire quello (che) ha ordinato il Cielo, perchè molte volte nescimus quid petamus. La lettera di sor barbara, a me non pare di poco momento, non per lei, ma vedendo che la religione (la) se ne risente e per questo la mandai. Pur come ho detto, lassate fare al Cielo il corso suo, e vivete voi allegramente. Intendo che avete bonissima ciera. Dio vi conservi quanto desidero. Io sono stata male chon catarro e tosse bestialissima, e, certo non potevo più. Incontrarà a me come a papa Paulo che sano un giorno l'altro affogato dal catarro, pur faccia Dio la volontà sua. Di questa nova eletione papale non so dire, Dio faccia creare un pontificio che sia a proposito e bono per la sede apostolica chio per me non spero bene venga chi vole. Vedete se il diauolo mi tenta nè mi lassa hauere riposo, che mi è venuto un pensiero che se ridolphi fusse papa, harei peggio da lui che da un turco, a tale che tremo di paura sia, per chè sio vedessi sprezzato da chi penso et ho pensato sempre esser honorata morirei di doglia, e, sio vedessi mancarmi di queste promesse che tante volte a bocca, e per tante lettere mi ha fatto impazzarei, sì che per manco male desidero non mettermi a questo pericolo et, tocchi il papato a chi vole, da lui in fora et piglio lo augurio, quando desiderai con tanta efficatia che venesse al Casino, sperando havere il meglio tempo che havessi mai e, per il contrario non hebbi il più infelice. Sì che figliola mia, questi sono li contenti che mi da la mia mala fortuna. O, che pagarei parlarvi, o. Con questo fine mi vi raccomando con tutto il core che Dio vi conservi. In Correggio alli 24 di 9bre 1549.

Vostra madre VERONICA.

(Foris) Alla Ill. S.ra COSTANZA Contessa di Novellara figliola hon.

(1549. 31. Dicembre.)

(Autografa. — Archivio Comunale di Novellara)

A Francesco Gonzaga Conte di Novellara

Non saria in potere di qualsivoglia grave errore non che di un picciolo come è il non havermi scritto sin hora, Ill. figlio cariss.mo scemare voi punto de l'amore e de la opinione chio tengo di voi, per che a tanti segni ho conossuto la bontà v.ra che li bisogneria più d'un peccato a farmi credere il contrario, sì che perseverate pur in amarmi et esser mio perchè mentre vivo sarò la medesima: la nova che mi havete dato del Ill.mo ridolphi ussita da così grand'omo mi è stata carissima e quasi chio la tengo per ferma. Dio volesse figliol mio che havessimo questa gratia dal Cielo, che invero penso ne haveressimo mille commodi et utili salvo se li honori e le grandezze non li facessero cangiar natura, il che mi pareria miracolo, considerato la bontà et virtù di quel Sig.re Staremo a vedere e pregaremo Dio ne provedi d'un bon pastore, si come l'ho pregato in questo sonetto, qual mando a ms Giberto aciò ne lo mostri e lo judicate, ma tenetelo apresso di voi aciò non si vedano le mie sciocchezze et a voi di core mi racco In Coreggio l'ultimo dì del 49.

Vostra seconda Madre
VERONICA C.
a di C.o

(Foris) Allo Ill.o Sig.r Conte FRANCESCO GONZAGA Conte di Novellara come figlio hons.

(1550-25 Febbraio.)

(Autografa — Archivio di Stato di Modena — Cancelleria Ducale — Letterati.)

A Gaspar da Prato

Hebbi dominica sera Messer Gaspar una breve lettera da mio figliolo fatta alli 18 che mi scrive queste poche parole. Signora ho hauto la Vostra e quella de Messer Gasparo circa al negotio nostro ma perche il messo parte hor hora non posso rispondere per la prima Commodità scriverò a tutti, basta che quel che ho ditto è ditto nè mi mutaro mai, e voglio esser servitore di sua Eccelenza a suo dispetto, mi è parso farvi intender questo ació no state suspeso come stavo anchio. Credo non passara quatro o sei giorni, che haveremo la risposta di ogni cosa, poi concluderemo, ho havuto caro saper la gionta delle nostre perchè dubitavo fossero mal capitate, son vostra et mi raccomando insieme con la Consorte.

In Coreggio Alli 25. di Febraro 1550.

Tutta Vostra VERONICA G. de C.

(Foris) Al Magnifico Messer Gaspar da prato Amico hon.

(1550-3 Marzo.)

(Manoscritta — Archivio di Stato di Modena — Cancelleria Ducale — Letterati.)

A Gaspar da Prato

Magnifico Messer Gaspar mio, ho hauto la lettera vostra et ho visto quanto mi scrivete e perchè tutto oggi son stato in letto con un poco di fastidio, non vi respondo de mia mano così li dico chio non mancarò solicitare la cosa con li Signori miei figlioli ació presto si veda el fine di questo benedetto accordo, ne altro occorendomi son vostra et mi raccomando,

In Correggio Alli 3 de Marzo 1550.

Non mi par poter viver tanto Messer Gaspar mio chio veda questa pratica finita, però siate certo che non mancarò et spero la finiremo presto e bene a laude di Dio, et mi raccomando.

Vostra VERONICA G. de C.

(Foris) Al Mag.co Messer Gasparro prate amico hon.