Faustina Maratti Zappi:

COLLECTED POEMS





Assembled by
Cynthia Hillman and
Courtney K. Quaintance


The Italian Women Writers Project
The University of Chicago Library

Chicago
2007

These poems appear in chronological order based on Bruno Maier's history of the publication of Le Rime di Faustina Maratti Zappi.1. Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 119-123.

CHe? non credevi forse, anima schiva, Cader sotto il mio giogo alto, e possente; Credevi tu quell' orgogliosa mente Mantener sempre d' ogni affetto priva? Sotto qual clima, in qual estrania riva Alma si trova, ch' il mio ardor non sente? Arser gli Dei, non che la mortal gente Alla mia face eternamente viva; E tu sola pensasti andar disciolta? Or mira: preparata è la catena, Il giogo, e i lacci, onde fia l' alma involta. Così parlommi Amore, e la serena Tranquilla pace fu dal mio cor tolta: Ahi lacci, ahi giogo, ahi servitude, ahi pena!

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 113.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); and Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

QUal ora il tempo alla mia mente riede, In cui la cara libertà perdei, E volse i lieti giorni in tristi, e rei Amor, che nel mio sen tiranno siede. Tento disciorre allor dai lacci il piede, E trar d'affanni l' alma mia vorrei, Ripensando all' orror de' pianti miei, E quale ho del servir cruda mercede. Così quando ragion l' armi riprende Meco risolvo, e di giust'ira accesa, Sveller tento lo stral, che il sen m'offende. Ma il tento invan; poichè quel ben, che ha resa Serva l'anima mia, se un guardo tende, Vinta rimango, e non ho più difesa.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 115.

This poem also appears in: Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 211.

IO porto, ahimè, trafitto il manco lato D' un dardo il più crudel, ch' avesse Amore, Poichè nulla scopria d' ascpro rigore, Ma di cara dolcezza era temprato. Dolce mi giunse, e dolche ha il sen piagato; Ma quanto dolce più, più crudo al core. Mentre fra duolo, espeme, i giorni, e l' ore Traggo, or misera, or lieta in dubbio stato. Fora meglio per me, se con fierezza Tutti impiombava Amor gli strali, ond' io Per aspra ardessi, e rigida belezza; Che così col destino acerbo, e rio Or non avrei più guerra, e sua durezza Avrei vinta col fin del viver mio.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 114.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); and Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 385.

NOn so per qual ria sorte, o qual mio danno Cangiasse Amor lo stato, in ch' io vivea; Allor che in pace i giorni miei traea, Scarca dal peso d' ogni grave affanno. Pria mi sembrò cortese, ed or tiranno Fa crudo strazio di mia vita rea, Ei mostrar volle in me quanto potea L' Arte crudel d' un lusinghiero inganno. Ond' io son giunta a tal, che al mio peggiore Lassa acconsento, e in mezzo a' miei tormenti Chieder non so ragion del fuo rigore. Anzi vuol quel crudel, ch' io mi contenti Del proprio male, e al misero mio core Nè pur l'antica libertà rammenti.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 115.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); and Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

PEnsier, che vuoi, che in così torvo aspetto All' agitata mente ti appresenti? Perchè le pene all' alma accrescer tenti, E pormi in seno, oimè, nuovo sospetto? Già sento il gelo, che mi scorre in petto, E in parte i rai di mia ragione ha spenti; Già sento intorno al cor roder Serpenti, Svelti dal crine orribile d' Aletto. Dimmi, e qual fallo in me conosci, Amore, Che a un così rio martire or mi condanni, Me, che si fida il tuo bel foco accese? Contro un ingrato cor mostra rigore, E dell' alta ira tua sol provi i danni Quel, che tue giuste, e dolci leggi offese.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 114.

This poem also appears in: Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 210.

BAcio l'arco, e lo strale, e bacio il nodo, In cui sì dolcemente Amor mi strinse; E bacio le catene, in cui m' avvinse: Auree catene, onde vie più m' annodo. E il suo bel foco, e la sua face io lodo, Che a un così puro ardor l' alma costrinse, Soave ardor, ch' ogni mia pena estinse, Talchè vivendo io ardo, e ardendo io godo. Tempo già fu, che in lagrimosi accenti D' amor mi dolsi, e non sapea, che sono Nunzj del suo piacer pochi tormenti. Or al Nume immortal chieggio perdono, E voi tutti obliate i miei lamenti: « Voi che ne udiste in rime sparse il suono.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 118.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 345-346.

QUest'è il Faggio, Amarilli, e questo è il rio, Ove Tirsi il mio ben, lieto solea Venire alle fresch'ombre allor, che ardea Con maggior fiamma il luminoso Dio. Quì, di quest'onde al dolce mormorìo, Mentre l' armento suo l' erbe pascea, Steso sul molle praticel, tessea Belle ghirlande al suon del canto mio. Quà vinse Alessi al dardo; ivi per gioco Sciogliea * Bergalli has "Sciolgea". le danze, e quì dove pur ora Nascer si vede, e la viola, e il croco. Quì, disse, io t'amo, e il volto, che innamora Uomini, e Dei tinse d'un sì bel foco, Che dir non so, qual mi restassi allora.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 116.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 206.

DA poi che il mio bel Sol s' è fatto Duce D' ogni mia voglia, e d' ogni mio pensiero, Ed ha sovra il mio cor libero Impero Con quel raggio immortal, che in lui riluce; Ei l' Alma regge, ei le dà moto e luce Per calcar di virtude il cammin vero; Nè vuol, che tema il piè l' erto sentiero, Che a gloriosa eternità conduce. E bench' io 'l segua a passi lenti, e tardi, Pur mi rinforza, e dà spirto, e vigore Co' saggi detti, e co' soavi sguardi. Così vo dietro al chiaro suo splendore, Nè cale a me, se giungo stanca, o tardi, Purch' io sia seco al tempio alto d' Onore.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 116.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 341.

ALlor, che oppressa dal gravoso incarco Sarà degli anni questa fragil salma, E più da rimembranza afflitta, l' Alma E il cor, che visse al ben oprar sì parco; E me vedrò presso l' orribil varco, Che pon molti in tempesta, e pochi in calma, E lei vedrò, che che miete lauro, e palma, Pormisi a fronte con lo strale, e l' arco; Ahi qual farà il mio duolo, allor che l' ombra D' ogni mia colpa in volto orrido è fosco Minaccerammi ciò che il mio cor teme! Deh tu, Signor, questa mia mente sgombra, Fa, che il pianger sul fallo, or che 'l conosco, Serva di scampo alle ruine estreme.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 117.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 345; and in Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 388-389.

AHi, che si turba, ahi, che s'innalza, e cresce Il Mar, che irato la mia Nave porta, E un vento rio l'incalza, e la trasporta Fra scogli, ove a sè stesso il flutto incresce. E più la pena all' alma, e il duol s'accresce, Ch' io perder temo l' Astro, che mi è scorta, Che ben splende da lungi, e mi conforta, Ma il Ciel s'oscura, e in un confonde, e mesce Lampi, e saette; ahi quanto, ahi quanto è grave L' aspro periglio, e non ho chi m' invola Al fier naufragio, alla spietata sorte; E meco il mio nemico ho su la Nave, Egli col ferro, io disarmata, e sola; Or come potrò mai scampar da morte?

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 117.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo (Venezia: per Costantino Pisarri, 1709); Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 211.

DOlce sollievo delle umane cure, Amor, nel tuo bel Regno io posi il piede; E qual per calle incerto uom, che non vede Temei l' incontro delle mie sventure. Ma tu l' oggetto di mie voglie pure Hai collocato in così nobil sede, E tal prometti al cor bella mercede, Ch' io v'imprimo contenta orme sicure Soave cortesìa, vezzosi accenti, Virtù, senno, valor d'alma gentile Spogliato hanno il mio cor d'ogni timore Or tu gl' affetti miei puri, innocenti Pasci cortese, e non cangiar tuo stile, Dolce sollievo de' miei mali, Amore.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 80.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.; Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 113; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 207; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 341; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 384-385.

INvido Sol, che riconduci a noi Pria dell' usato il luminoso giorno; Odo il nitritto de' Corsieri tuoi, Già miro l' Alba frettolosa intorno. Deh non partire, o Sol, da flutti Eoi: Lascia, che l' ombre ancor faccian soggiorno. Col puro scintillar degli astri suoi Non è il Cielo men bello, o meno adorno. Se pietoso trattieni un qualche istante I raggi, e il corso, io sull' Altar di Delo Voglio svenarti un' Agna ancor lattante. Ah sordo Nume io t' ho pregato in vano! Tu sorgi, e al sorger del tuo raggio in Cielo Gir dee l' altro mio Sol da me lontano.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 81.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 120.

AHi ben me 'l disse in sua favella il core E 'l aer grave, ch' io sentia d' intorno, Senz' acque il rivo, ove sovente io torno, E la depressa erbetta, e il mesto fiore. Me 'l disse l' Augellin, che le canore Voci men lieto disciogliea sull' orno; Me 'l disse il Sole, il di cui raggio adorn Parea cangiato in pallido colore. Nè lieto il pesce al Fiumicello in fondo, Nè Zeffiro scherzava in su la Riva; Ma il tutto era in silenzio alto, e profondo; Ciascun dir mi volea, che l' alma, e viva Luce del mio bel Sol, si chiara al Mondo; Dagli occhi miei lontana egra languiva.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 83.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 125; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 348.

MUse, poichè il mio Sol gode, e desìa Legger miei carmi, ed ascoltar mie rime, Fate voi, che di Pindo all' alte cime Felice io giunga per l' alpestre via. Fate, che dolce io canti, e l' aspra, e ria Sorte, e mia fera doglia il cor non lime; Ma ch' io colga per voi le glorie prime, E l' alma torni al bel piacer di pria. Me fortunata, se con nobil canto Cinger potrò di rai, sparger d' onore, E render degno il nome suo d' Istoria. Vegga egli poi qual puro lume, e santo Sfavilla in me di non mortale ardore, E legga con la mia l'alta sua gloria.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 84.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 125; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 207.

QUando l' almo mio Sol fra gli altri appare A far di sua virtù ben chiara mostra, Pria d' un vago rossor le guance inostra, Segno d' alma gentil, che fuor traspare. Indi scioglie i bei Carmi, e l' alte, e rare Idee si ben co' dolci atti dimostra, Che fa bell' onta all' età prisca, e nostra, Onde quella n' invidj, e questa impare. Bello è il veder quando fra gli altri ei sorse, Prender mill' alme incatenate, e liete Dalla sua voce d' ogni cor tiranna! Nol crederà l' età ventura, e sorse Dirà ch' io cresco il vero, o Amorm' inganna; Ma il Tebro il dica, e voi, voi che 'l vedete.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 85.

This poem also appears in:Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 122.

DOnna, che tanto al mio bel Sol piacesti, Che ancor de' pregi tuoi parla so vente, Lodando, ora il bel crine, ora il ridente Tuo labbro, ed ora i saggi detti onesti; Dimmi, quando le luci a lui volgesti Tacque egli mai, qual uom, che nulla sente? O le turbate luci alteramente, Come a me volge, a te volger vedesti? De' tuoi bei lumi alle due chiare faci Io so, ch' egli arse un tempo, e so, che allora … Ma tu declini al suol gl' occhi vivaci? Veggo il rossor, che le tue guancie infiora; Parla, rispondi. Ah non risponder, taci, Taci, se mi vuoi dir, ch' ei t'ama ancora.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 86.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 126; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 208; Ceva, Teobaldo, Scelta di sonetti: con varie critiche osservazioni: ed una dissertazione intorno al sonetto in generale (Venezia: Presso Giacomo Storti, 1791), p. 216; and Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 348.

QUesta, che in bianco ammanto, e in bianco velo Pinse il mio genitor modesta e bella È la casta romana verginella Che il gran prodigio meritò dal cielo. Vibrò contr' essa aspra calunnia un telo, Per trarla a morte inonorata; ond' ella L' acqua nel cricro a prova tolse, e quella Vi s' arrestò come conversa in gelo. Di fuor traluce il bel candido cuore; E dir sembra l' immago in questi accenti A chi la mira, e il parlar muto intende: Gli eroi latini in forza di valore Difenda pur, che a forza di portenti Le Vergini romane il Ciel difende.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 87.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 129; Ceva, Teobaldo, Scelta di sonetti: con varie critiche osservazioni: ed una dissertazione intorno al sonetto in generale (Venezia: Presso Giacomo Storti, 1791), p. 218; Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 389-399.

CAdder preda di morte, e in pena ria M' abbandonaro e 'l genitore e il figlio, Questi su 'l cominciar del nostro esiglio, Quegli già corso un gran tratto di via. Obliarli io credea, com' altri oblia La memoria del mal dopo il periglio; Ma sempre, o vegli o sia sopito il ciglio, Me gli offre la turbata fantasia. Sol con queste due pene, iniqua sorte, Sempre m' affliggi, or mancan altri affanni? Ah se ti mancan, chè non chiami morte? Venga pur morte, e rompa il corso agli anni. Amaro è sì, ma sempre fia men forte, Che la memoria de' sofferti danni.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 88.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 119; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 346.

PRese* Ceva has "Perse". per vendicar l' onta, e l' esiglio, Marzio de' vinti Volsci il sommo Impero, E impaziente, inesorabil, fero Cinse la Patria di mortal periglio: E ben potea sotto l' irato ciglio Servo mirar lo stuol de' Padri intero, Ma si oppose Vetturia al rio pensiero, E andò sola, ed inerme incontro al Figlio. Quando a baciarla ei corse, allor costei Ferma, che figlio tu di rupi alpine, E non di Roma, o di Vetturia fei. Egli allor diè la pace al Campidoglio, E quel, che non potean l' armi latine, Fe d' una Donna il glorioso orgoglio.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 89.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 126; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 208; Ceva, Teobaldo, Scelta di sonetti: con varie critiche osservazioni: ed una dissertazione intorno al sonetto in generale (Venezia: Presso Giacomo Storti, 1791), p. 219; Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano. Poeti Italiani Contemporanei Maggiori e Minori Preceduti da un Discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo Scritto da Cesare Cantù (Paris: Baudry, 1847), p. 1030; and Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 349.

PEr non veder del vincitor la sorte Caton, squarciossi il già trafitto lato; Gli piacque di morir libero, e forte Della Romana libertà col fato. E Porzia allor, che Bruto il fier consorte Il fio pagò del suo misfatto ingrato, Inghiottì il foco, e riunissi in morte Col cener freddo del Consorte amato. Or chi dovrà destar più meraviglia Col suo crudel, ma glorioso scempio, L' atroce Padre, e l' amorosa Figlia? La figlia più: prese Catone allora Da molti, e a molti diede il forte esempio, Ma la morte di Porzia, e sola ancora.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 90.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 121; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 209; Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano. Poeti Italiani Contemporanei Maggiori e Minori Preceduti da un Discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo Scritto da Cesare Cantù (Paris: Baudry, 1847), p. 1031; Antologia femminile (Torino: Tip. Canfari, 1840) p. 85; and Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 346.

POichè narrò la mal sofferta offesa Lugrezia, al fido stuol, che avea d'intorno. E col suo sangue di bell'ira accesa Lavò la non sua colpa, e il proprio scorno* Bergalli has "scorno i". Sorse vendetta, e nella gran contesa Fugò i superbi dal regal soggiorno; E il giorno, o Roma di sì bella impresa Fu di tua servitù l' ultimo giorno. Bruto ebbe allora eccelse lodi, e grate, Ma più si denno alla femminea gonna, Per la grand'opra inusitata, e nova: Che il ferro acquistator di libertate Fu la prima a snudar l'inclita Donna, Col farne in sè la memorabil prova.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 91.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 130; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 209; Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano. Poeti Italiani Contemporanei Maggiori e Minori Preceduti da un Discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo Scritto da Cesare Cantù (Paris: Baudry, 1847), p. 1030-31; Antologia femminile (Torino: Tip. Canfari, 1840) p. 86; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 340; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 390-91.

POichè il volo dell' aquila latina Fece al corso del sol contraria via, Posando in Oriente, Italia mia, Fosti a i barbari re scherno e rapina. Ma non è ver, che nella tua ruina, Tutto perdesti lo splendor di pria: Veggio, che dell' antica signoria Serbi gran parte ancora, e sei reina. Veggio l' eroe dell' Alpi, il tuo gran figlio Stender lo scettro sovra il mar Sicano, Acquisto di valore e di consiglio. E veggio poi, che l' occidente onora Altra tua figlia nel gran scoglio ispano: Italia, Italia, sei reina ancora.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 92.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 123; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 347.

SE mai degli anni in un col corso andranno Al guardo de' Nipoti i versi miei, Meravigliando, essi diran: costei Come sciogliea tai Carmi in tanto affanno? Ben ranamentando ogni crudel mio danno Tesierne istoria all' altr' età potrei, Ma piacer nuovo del mio mal darei Al cor degli empj, che gran parte v' hanno. Talchè racchiudo, per miglior consiglio, Mio duol nel seno, e vò contra la sorte Con alta fronte, e con asciutto ciglio. E s' armi pur fortuna, invidia, e morte, Che mi vedran fu l' ultimo periglio Morir bensì ma generosa, e forte.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 95.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 121; Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 347-348.

IO non sò, come a questa età condotte Reggan quest'ossa ancor carne, e figura, A così acerba estremità ridotte Furon dall'ostinata mia sventura. Qual empio pellegrin, che in buja notte Tolto ai perigli della strada oscura, Le sante leggi d' amicizia rotte, Oro, ed argento al buon Ospite fura: Tal l' altrui rea nequizia, e il fier livore Mi si fe incontro d' amistà col manto, Che la maschera poi tolse al furore. Sicchè talor su la mia sorte ho pianto, Ma pur sovente empiendol di rossore Passai superba al mio nemico accanto.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 96.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 123; and Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 210.

IO mi credea la debil navicella Rotta dall' onde, e stanca dal cammino Ritrar nel Porto, che scorgea vicino, Che troppo o scorse in questa parte, e in quella. E credea già calmata ogni procella, E sazio in parte il mio crudel destino, E che il Ciel più sereno a me il divino Raggio mostrasse di propizia Stella. Ma da barbaro clima un vento è sorto, Che mi sospinge a forza in uno scoglio, Talchè il Naviglio ahi fia dall' onde assorto! E sì del vento rio cresce l' orgoglio, Che la tema di morte in fronte io porto: Ma pur convien, ch' io vada ov' io non voglio.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 124.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

CHi veder vuol come ferisca Amore; E come tratti l' arco, e le quadrella, Come incateni, e come di più bella Fiamma accresca alla race eterno ardore; Venga, e miri l' altero almo splendore Del mio bel Sole, e l' una, e l' altra Stella; La lieta guancia, e i bei crin d' oro, e quella Fonte, chiaro gentil specchio del core. Chi poi desia veder qual nesca affanno Da così desia veder qual nasca affanno Da così vaghe forme, e sì leggiadre, E come strazj Amore un cor già vinto; Venga, e miri il mio mal, vegga il mio danno, Come da' rei martirj è il mio cor cinto, Amari Figli d' un si dolce Padre.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 124.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

OMbrose valli, e solitarj orrori, Vaghe pianure, e rilevati monti, Voi da ninfe abitati, e fiumi e fonti, Che pur sentite gli amorosi ardori; Verdi arboscelli, e variati fiori, Che al ciel volgete l' odorate fronti, Vi sieno i zeffiretti e lieti e pronti, Cortese l' alba, e april v' imperli e infiori. Felici voi che dal bel piè sovente Calcati siete, o dalla bella mano Tocchi, o dal guardo del mio Sol lucente. Voi che già spirto un tempo aveste umano, Voi dite a lui, qual pena il mio cor sente, Il cor che vive, ahimè, da lui lontano.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 126.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano. Poeti Italiani Contemporanei Maggiori e Minori Preceduti da un Discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo Scritto da Cesare Cantù (Paris: Baudry, 1847), p. 1031; and Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 350.

DOv' è, dolce mio caro amato figlio; Il lieto sguardo, e la fronte serena? Ove la bocca di bei vezzi piena, E l'inarcar del grazìoso ciglio? Ahimè! tu manchi sotto il fier periglio Di crudel morbo, che di vena in vena Ti scorre, e il puro sangue n' avvelena, E già minaccia all' alma il lungo esiglio. Ah! ch' io ben veggio, io veggio il tuo vicino Ultimo danno, e contro il ciel mi lagno, Figlio, del mio, del tuo crudel destino! E il duol tal del mio pianto al cor fa stagno, Che spesso al tuo bel volto io m' avvicino, E nè pur d' una lagrima lo bagno.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 118.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 387.

OVunque il passo volgo, o il guardo io giro, Parmi pur sempre riveder l' amato Dolce mio figlio, non col guardo usato, Ma con quel per cui sol piango e sospiro. E tuttavia mi sembra, assisa in giro Del picciol letticciuolo al destro lato, Udir le voci, e scorger l' affannato Fianco, on' a forza egli trae 'l respiro. Poc' aspro è forse il duol che diemmi Morte, Togliendo al caro figlio i bei prim' anni, Che vieni, o rimembranza, e 'l fai più forte? Ma tutti almen non rinnovarmi i danni: Ti basti rammentar l' ore sue corte, E ad uno ad un non mi contar gli affanni.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 127.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 387-388.

AMato figlio, orche la dolce vista Sicuro affiggi nel gran Sole eterno; Nè tema hai più di cruda State, o Verno; Nè gioja provi di dolor commista; Vorrei, che a quel pensier, che si m' attrista Della perdita tua dessi governo: Che quantunque dal falso il ver discerno Tropp' ei l' anima mia turba, e contrista. E non vorrei, pe 'l duol, ch' ogn' altro avanza Essere a te men cara appresso Dio, Poichè già non piang' io tua liera sorte. Piango solo la morta mia speranza Di quà vedetti, e tanto è il desir mio, Che dolce, e bella mi parrebbe morte.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 127.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Antologia femminile (Torino: Tip. Canfari, 1840) p. 87.

BOsco caliginoso, orrido e cieco, Valli prive di sole, e balze alpine, Sentieri ingombri di pungenti spine, Scoscesi sassi, umido e freddo speco; Rupi voi, che giammai non udiste eco, Rendete umana voce; e voi vicine Deserte piagge, sparse di ruine, Udrete il duol, che quì mi tragge seco. L' udrete, e forse al suon de' miei lamenti, D' intorno a me verran mossi e condutti Da insolita pietà tigri e serpenti; Che udendo poscia i miei dogliosi lutti, E il rigor degli acerbi miei tormenti, Non partiran da me cogli occhi asciutti.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 119.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; and Lirici del secolo XVII: con cenni biografici (Milano: E. Sonzogno, 1878), p. 347.

SE è ver, che a un cenno del crudel Caronte, In un con noi su la funesta Barca La rimembranza degli affanni varca Di là dell' altra sponda d' Acheronte, Credo, che allor, che il ferro, e la man pronte Avrà contro il mio fil la terza Parca, E vedrà l' alma di sue spoglie scarca Starle de' mali la memoria a fronte. Passerà forse il nudo spirto mio Là negl' Elisj, ov' Innocenza è duce. Lieto a goder tranquilla aura serena. Ma a por su tanti, e tanti affanni obblìo, Temo, che quante pigre acque conduce Il negro Lete basteranno appena.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 120.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 212.

SCrivi, mi dice un valoroso sdegno Che in mio cor siede armato di ragione: Scrivi l' iniqua del tuo mal cagione, E scuopri pur l' altrui livore indegno. Mi scuoto allor, qual della tromba al segno Nobil destrier, che non attenda sprone; Ma sorge un pensier nuovo, e al cor s' oppone, Ond' io so di me stessa a me ritegno. No, che a vil nome, e ad opre rie non voglio Dar vita: e lascio pur, che il tempo in pace Cangi l' asprezza d' ogni mio cordoglio. Così del vulgo reo vendetta face Chi, piena l' alma d' onorato orgoglio, Sen passa altier sopra l' offesa, e tace.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 128.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

FRa cento d' alto sangue illustri, e conte; Questa onor di Liguria alma Eroina Altera innanzi và, come Reina; Tanti rai di virtù l' ornan la fronte. Se poi tra Ninfe non isdegna al fonte Condur la Gregia, e al Prato, e alla Collina; Arcadia bella, come Dea l' inchina, Ed empie del suo nome e 'l Bosco, e 'l Monte. Or come posso, Pastorella umile, Cantar dell' alta Donna, anzi pur Diva, Cui non ritrovo in terra altra simile? Ah s' ella vuol, che eternamente viva Suo nome, e Battro ne risuoni, e Tile, Ella sol di se stessa, e canti, e scriva.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 128.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

AH rio velen delle create cose, Nimica di virtude, e di fortuna, T' è forza uscir dalla spelonca bruna, Ove il terror del sacro Eroe t' ascose. Mira in qual' alto penitenza ei pose Carro di gloria; e qual grave importuna Serie di ceppi qui per te si adana; Mira, e le man ti mordi abominose. Cinta già il collo di servil catena, Fra i peggior mostri per tuo rio tormento, Avvinta al cocchio trionfal ti mena. E dei seguirlo a passo tardo, e lento, E fissar sempre in così orribil pena Tutti i tuot cento livid' occhi, e cento.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 129.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716-1720), v. 2.

OR qual mai darem lode al pregio vostro Noi dell' Arcadia poveri Pastori? Serto noi ti farem di Rose, e Fiori? No, che cinto vai tu di Lauri, e d'Ostro. Forse a suon di Sampogna, o con inchiostro Diremo al tuo gran nome Inni canori? No, ch'hai tu d' Elicona i primi onori, E perde appo il tuo canto, il canto nostro. Tu, che di Costantino i pregi, e il vanto Fai risorger sul Tebro, e gli dai palma, Sotto il Vessillo glorioso, e santo; Tu, ch'hai maggior il cor d'ogni pensiero, Tu solo puoi cantar di tua grand' alma, Alma immortal, degnissima d'impero.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 122.

This poem also appears in: Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 212.

NUovo al bel Tempio suo crescendo onore, Cresce l' antico onor della divina Immago, cui del Ciel l' alto favore A noi mandò nella fatal ruina. Ma chi ritolse il Tempio a un fosco orrore, Chi gli diè nuova fronte, e a lui vicina Fè sorger Fonte, onde vie più s' onore L' alta Città delle Città Reina? E chi richiama da un oscuro fondo Le sepolte memorie? E chi 'l primiero Splendor rende al bel Tebro, e 'l fa giocondo? Chi domò il Trace? chi porrà l' Ibero L' alta pietà del successor di Piero.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 131.

DOnna Real, che d' Imeneo la legge Soave senti, e suo poter sovrano, Vien meco, e ascolta ciò, che non invano Dentro i fati mia mente or vede, e legge. Un de' tuoi figli il Popolo corregge Nuovo Catone, e Dittator Romano; Guida l' altro nel Mar con pronta mano Di Pier la Nave, e la governa, e regge. Altri premendo a tergo le nemiche Schiere, fa che ne morda in vano il freno Il duro Scita, e il fero Trace indegno. E a tal virtude le Romane antiche Opre, già rese son famose meno: Cesari e Fabj, non l' abbiate a sdegno.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 131.

O dell' Arcade Selve nobili pastorelle, sagge non men che belle, io vorrei pur quel chiaro sasso, che di Getilde il cener chiude, e seco ogni virtude, ornar di palma, o d'amaranto, o giglio, qual mi date consiglio? Tu Fidalma gentil, di quegli allori, di cui non mai ti fu Parnaso avaro, donami poche frondi, perch'io la degna tomba orni e circondi. Elettra, e tu, c'hai per tuo nobil vanto scioglier sì dolce il canto, dettami i carmi, ond'io gl'incida in questa dell'immortal Getilde urna funesta. Si dirà poi: "Due valorose e belle Arcade pastorelle poser tai fregi a lei, che illustre visse: Aglaura era con elle, e pianse e scrisse".

Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 36-37.

A Prudenza Gabrielli Capizucchi Edera, onor delle erudite fronti, Lauro d'Ascrea collina, Elitropio fedele al suo pianeta, Timo cresciuto appo l'Aonie fonti, Rosa de' fior reina, Amaranto con fronda eterna e lieta, serto a questa formando illustre pietra, diranno al passaggier: "Qui giace Eletra".

Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 37.

La bella Arcadia, che d'applauder gode a quei, ch'offre virtude alti portenti, volse a tue regie scene i lumi intenti e a quanto vide e udì diè pregio e lode. Pianse in veder però l'invitto e prode Tolomeo fatto scopo a' rei tormenti; e odiò Alessandro, in cui credea non spenti gl'ingiusti sdegni, e ne temea la frode. Ma se fu lieta poi, quando da rea prigion videl sottratto e al fero scempio torlo il german, che un regno a sé togliea, fu sol, regio pastor, perché l'idea e dell'opra magnanima l'esempio, mirando te, nel tuo gran cor scorgea.

Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 38.

Epistoletta allo Zanotti Ricevo la bellissima frottoletta, che tu mandi invece di quella gentil cagnuola e bella c'hai promesso ad Idastide voler mandarmi, e non la mandi più. Tu dài la colpa a un satiro, dici che t'ingannò, getti con modi scaltri la colpa adosso agli altri, come se fosse lecito mancare a me, com'altri a te mancò. Non è scusa legittima, nè si tratta così. Se aver non puoi la stessa cagnoletta promessa, trovane un'altra. In Felsina quando di cani carestia mai fu?

Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 91n.

D'Appio a fuggir la scellerata voglia e d'un ingiusta servitù l'orrore, Virginia al disperato genitore vittima offerse la sua intatta spoglia. Padre, dicea, m'accidi; il reo non coglia, coglia più tosto morte il mio bel fiore. Sei tra doglia agitato e tra furore: vinca, ah vinca il furor, ceda la doglia. Così cadde innocente; e 'n varia sorte fur visti il padre in faccia scolorita, ella più che mai lieta incontro a morte. Vergine illustre, al più grand'uopo ardita, n'insegni tu, casta egualmente forte, che ben si cangia coll'onor la vita.

Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 106.

Il ricever le code è una funzione, che prima si facea segretamente, e si facea con tanta soggezione, che nol sapesse il fier viceregente. Adesso van le code in processione, Palazzo le riceve allegramente e tutti in concistoro i cardinali dicon: Che belle code d'animali! Ci son tanti animali e tante code sulla del Tebo gloriosa riva, che alle codi di Tracia e tante lode io non credea doversi, e tanti evviva. Crescimbeni, degli Arcadi custode, vuol ch'ogni suo pastor suoni la piva, spara Castello, si canta il Tedeo e si appara a damasco il Colosseo. Illustri codi, e degne di sonetti, che Roma tanto riverisce e onora! Corrono donne e corron giovanetti, corrono per vederle i vecchi ancora. Guidi non lodò mai con più concetti le code de' cavalli dell'Aurora; come se fosser venute dal cielo, ognun s'affretta per toccarne un pelo. Chi dice: Ecco la coda del Visire, e quest'altra sarà del gran Signore. Un altro guarda e poi comincia a dire: Tutte due sono dell'Imperatore. Il popol dice cosa da morire: chi osserva la grossezza e chi il colore. Insomma, chi ha la scuffia e chi ha il cappello fa per queste due code un gran bordello.

Maier, Bruno, Faustina Maratti Zappi: donna e rimatrice d'Arcadia (Roma: L'Orlando, 1954), p. 123.

Se Martello di me non si fa gioco, Il che col suo compar saria un mal tratto, Et io gliene direi cose di foco, Madama, voi volete il mio ritratto, Et a questo pensando, e ripensando, Ne sono diventato quasi matto. Ora da parte ogni scusa lasciando, E n' avrei ben da dire cinque, o sei, La effige mia, qual' io mi son, vi mando. Ma almeno almeno volentier saprei, Che cosa avete a farvi d' un mostaccio, Ch' entro il ghetto ne pur vorrian gli ebrei. Non fui mai certamente in tanto impaccio Si come adesso, e pure, e vel vedete, Per ubbidirvi i' faccio quel che i' faccio. Se del ritratto d' un poeta avete Qualche prurito, con quel del Zanotti Oh sì che un bell' onore vi farete. Per gli orbi istorie scrivo, e fo strambotti, Et un poeta son giusto a pennello, Da far su gli uscj a le taverne i motti. Mai non ho visto il Dolce, ne il Ruscello, E i versi faccio così a discrezione, E li misuro poi col zolfanello. Proccuratel di qualche poetone, Come faria il marchese Orsi, il Manfredi, Il Lapi, il Lenzi, o simili persone. Cotai ritratti sarian degni arredi Del vostro gabinetto; e di costoro Più un pelo vale, ch' io da capo a piedi. Ma dachè il mio volete, e non il loro Sia fatto il voler vostro quanto i' posso, Et utinam valesse egli un tesoro. Troppo troppo m' avete piede addosso, E dentro i' sento certo bulicame, Che mi vi vorrei dare in pelle, e in osso. In pelle, e in osso, perchè del carname Non ve ha cica, e per li dipintori Sare' un modello da fare un carcame. Dipinto a sottilissimi colori Riceverete adunque il mio sembiante, In cui scherzar vedrete mille Amori, Ma segnatevi pur ben bene avante D' aprir l' ordigno, e ben chiudete il passo Ad ogni passione ribellante; Che quì bisogna aver l' occhio al compasso. So, che vostra virtù mai non si lascia Vincer, ne torcer dal diritto un passo, E che d' amor voi non temete ambascia, Si che appetto di voi perde ogni donna, E Lucrezia sarebbe una bagascia; Ma talor d' un cor saggio anco s' indonna Una rara beltà com' è la mia, E fa piaga, che passa oltre la gonna. Prima osservate la fisonomia, E l' aria grave; un po mista d' amaro, Come d' uom, ch' abbia la malinconia; Ch' abbia molto bisogno, e niun danaro, E debba dare senza avere a avere, Cose che in verità non van del paro; Con poca entrata, et un tristo mestiere; La moglie pregna, ed otto figli vivi, Ch' è pur la gran tristizia da vedere. Gli occhi son piccolini, e poco vivi, Ma puri, e dolci, e d' un alzar modesto Si come quelli de' contemplativi. Il naso ha un poco più del disonesto, Che ardito in fuor si sporge aspro, e membruto, Ma nulla apporre se gli può nel resto. Se ben dice Martel ch' egli è sparuto, Perchè non aquilin tra il grande, e il giusto Come quel suo, di cui va pettoruto. Bel naso liscio! Il mio nobile ha il fusto, E piove ingiuso appunto tale, e quale Scrive Svetonio, che l' aveva Augusto. Io non intendo quì del suo dir male, Comare mia gentil, ma non bisogna, Ch' ei creda poi, che il mio sia uno stivale. Se certo naso, che abbiam quì a Bologna Costì mandar potessi, egli vedrebbe Al paragon, che il suo è una vergogna. La bocca è grande, e quale aver la debbe Un uomo, che sia grande oltre natura, E che a grossi bocconi nacque, e crebbe. Oh se vedeste, come sua figura, Così com' ella è attiva, oh questa questa, Direste è fatta con architettura! E in vero il mastro v' adoprò le sesta, E fecela capace d' ingojare Di caci, e di pagnotte anche una cesta, Acciò che non avesse ad aspettare Un corpo, il doppio lungo del malanno, Quel cibo, che lo debbe nutricare, Che a l' individuo troppo faria danno, Se quando il cibo sta già sotto il naso A entrar nel corpo ci volesse un' anno. Un largo buco si vuole a un gran vaso, E una gran bocca ad un uom grande, adunque La mia vedete non è fatta a caso. Certo il ritratto è simile, quantunque A prima vista ravvisarmi in esso Pochi sapranno, ma certo qualunque Udrà da voi: Gli è il mio compare; apresso Dirà, guatando: Gnaffe, e' gli rassembra; Quello è il suo naso, e quel mostaccio è desso. Ma sapete perchè simil non sembra? Perchè nessuno in cotanta adornezza Mai d' avermi veduto si rimembra. Talor fa un neo cangiar cera, e bellezza; Ne più quel desso par con briglia, e sella Asino avvezzo a basto, ed a cavezza. Pensate s' ebbi mai chioma sì bella, E infarinata come questa stassi, Che parer fammi la diurna stella. Non son di quei, che adoperin compassi In arricciarmi il crin; la mia parrucca Sempra strigata par con gli scardassi. Chi fa il bel damerin quel s' imbacucca Co' zazzeroni; il galantuom di tali Poltronerie tosto si nausea, e stucca. Sentite un caso, che pochi n' ha eguali: Nol crederete, e pur vi dico il vero, E lo vedrete scritto negli annali. Quel, che m' ha pinto è stato un cavaliero, De' primi primi di questa cittate, Che in ciò che fa mostra giudicio intero. Il qual veggendo mia necessitate, E ch' era di miserie un' arsenale; Disse: ti vo ritrar per caritate. Io senza porvi sovra olio, ne sale, Ratto quel dì, che impose a lui tornai, Così che mi parea proprio aver l' ale. E dissi: signor Conte, eccomi; omai Mi pongo in positura; ed ei: pian, piano, Ridendo allora, che ci son de' guai. Così assestato vuoi tu andare in mano Di quella donna cotanto famosa? Se ti vedessi non sembri un cristiano. Quella faccia è un tantin troppo schifosa, Quella parrucca pare una nequizia, E vorresti passar per bella cosa! Così ti parlo per nostra amicizia. Assettatì un po poco; Giampierino, La non vorrà veder cotal spurcizia. Indi al suo camerier, ch' era vicino: Pulitelo ben ben, con diligenza, Ch' io 'l vo ritrarre in questo ramettino. Quel panciuto, con poca coscienza, Tosto di testa il parruccon mi caccia, Senza ne anche dirmi: con licenza. E con cald' acqua, a con nudate braccia, E con sapone duro, e con capecchio Così fregommi, e rifregò la faccia, Ch' io non mi conoscea più ne lo specchio; E pria che di lavarmi terminasse Tre volte l' acqua si mutò nel secchio. Come poi la parrucca m' acconciasse, E con qual scempio, i' nol so dir; parea Propio, che qualche rozza egli stregghiasse, Et io per amor vostro mi tacea, Pur qual vedete, dopo tai carezze, Divenni bello, e certo i' nol credea. Questa è la storia de le mie bellezze, E un' altra volta ch' abbia tempo, i' voglio Pingervi ancor le interne mie fattezze; Idest il mio costume, e come soglio Viver, ma pingerolle con inchiostro, Che co i colori saria un grande imbroglio. Scusate intanto se dinanzi al vostro Giudicio sommo, innanzi a voi, che un arca Di saper siete, e di virtute un mostro, Io, degli allocchi principe, e monarca, Di comparire ardisco con canzoni Come se il Casa fossi, anzi il Petrarca. Oh quel vostro ritratto è ben de' buoni! Quell' è un regalo, e per lodarlo a pieno Virgilio, e Omero sarien duo poltroni. Egli di voi cotanto m' ha ripieno Lo spirto, e tanto voi mi siete cara, Che se i' nol veggo par che i' venga meno. Ell' è sentenza tra noi trita, e chiara, E omai passata in ogni altro idioma, Che certamente siete la più rara, E degna cosa, che si mostri in Roma.

Zanotti, Giampietro, Poesie di Giampietro Cavazzoni Zanotti (Bologna: Stamperia di L. della Volpe, 1741-45), v. 3, p. 148-154.

Mai non guatò sì lieta alcuna madre Figlio, per morto sospirato, e pianto, Poichè con esso udì tornar le squadre, Con quanto gaudio, Compar mio, con quanto Affetto accolsi il ritrattino vostro Dal mio desir tanto aspettato, e tanto. Ma perchè invano poi gettar l' inchiostro In far quella protesta di bruttezza? Non siete bello, ma non siete un mostro; Ne per esser compar ci vuol bellezza. Mi fe bramosa d' esservi commadre Del vostra ingegno la sublime altezza. Di quei che hanno, o d' aver credon leggiadre Fattezze, e portamenti, altrove, e in Roma Ve ne fur sempre, e ve ne son le squadre; Ma essendo, per lo pi&ugvae;, bestie da soma Credon, che il farsi amabile consista Nel vestir lindo, o ne la bella chioma. Stolta colei, che cerca tal conquista, O scintilla per lor sente d' affetto, O degna di nutrirsene la vista. Hanno costor perduto l' intelletto, E le stupide donne adescan solo, Non quelle, che virtude han per oggetto. No, non ne abbiate dispiacere, e duolo, E siate pago di vostra figura, Compar mio dolce, ch' io ve ne consolo. Vi basti, che imprimete orma sicura Per le vie di Parnasso — Oh come raro Due sommi pregi suol unir natura! Martello, il compar vostro, è in ciò preclaro; E veramente egli può dir, che in lui Bellezza, e poesia vanno del paro. Ei sel conosce, e quinci al guardo altrui Il, suo ritratto in pastorali spoglie Espose in fronte a i dotti libri sui. Oltre, che altero vanne, e si raccoglie Talor ne le altrui case onestamente, Senza, che il sappia la gentil sua moglie; Dianzi tornò da la francesca gente Con parrucchino, ed aria peregrina, E cento vaghe damoselle in mente. Non ha molto incontrollo una mattina Manfredi, onor di Felsina famosa, Ch' or di se adorna la città latina, E vistolo in un' aria sì fastosa Con collar quadrilatero attillato, Gli disse: O tu sei pur la bella cosa! Torna al tuo picciol reno. Oh quanto grato Sarai con sì vezzoso portamento A lo stuol de le ninfe abbandonato! Ma chi sa, Compar mio, se non mi pento, Se morte non mel vieta, o infermitate, E se si cangia il mio nemico vento, Che inaspettata un dì non mi vediate Con voi (però s' intenda a le mie spese) In Bologna passar tutta una state? Ma non voglio che più sien contese Tra il buon Manfredi, e voi, dachè rivale Vel dichiarate in scritto, ed in palese Egli è una testa piena di gran fale, E m' ha cortesemente, giunto a pena, Con un sonetto suo fatta immortale. Come volete poi, che con serena Fronte i' nol guardi, e nol ringrazj almanco, Dar non potendo ricompensa piena. Anzi avvertite, Compar mio, ch' io stanco, Tutti i gelosi, e ben lo sa taluno, Che m' ebbi a fronte con le mani al fianco. Gradisco tutti i chiari spirti, e ognuno Venero, e inchino come cosa santa, Ma di me donno non ne vo nessuno. Gnaffe, se lunge, e se compare, tanta V' avete gelosia, che fia d' appresso Senza la parentela sacrosanta? Cari ambidue mì siete a un tempo istesso, E potete ambidue con rime, e prose, Pormi ne l' alto tempio di permesso, Fra le antiche, e le nuove alme famose.

Zanotti, Giampietro, Poesie di Giampietro Cavazzoni Zanotti (Bologna: Stamperia di L. della Volpe, 1741-45), v. 3, p. 155-157.

Ad Aglauro Eulibio è in Umbria sul tuderte colle, ove di sua vendemmia e di sua messe, qual mai restigli ancor tratto di giorni vuol nudrirsi in bramata alma quiete; e Aglauro nol saprà? l'illustre affetto di quel Tirsi che in Pindo ape ingegnosa colse con nuova leggiadria di stile miele d'inimitabile dolcezza? Aglauro, a cui tessono ancora sul Tebro verdi serti le Ninfe a proprio vanto? E del cui nome ogn'altra itala sponda fan risuonar le sette arcadi canne? Stanco, non d'anni e non d' eletti studi, ma d'aspre cure, faticosi giorni, affollate città, straniero orgoglio, fuggii gli avari lidi. Or non respiro aer umido e freddo e denso fumo; ma di colli a cui dier l'utili piante Bacco, Cerere, Pallade e Pomona, l'aria leggiera sotto azzurro cielo. Cademi, è ver, sotto alla man che 'l rade, bianco in gran parte dalle gote il vello; ma che però? spesso alle nove Suore, delizie di riposo a' forti ingegni, volge i pensier la rigogliosa mente. A chi guardingo non recar mai danno la gola, il sonno e l'oziose piume, d'undici lustri e più non grave è il peso. Dal lato ove il sol cade in tempo estivo, un mio fertile campo alta fa sponda del biondo Tebro al tortuoso corso che suol talor per nevi sciolte o nembi con ruinoso orgoglio urtar le ripe: ma non fiero così, come allor quando il sempre infesto vento affrico sforza l'etrusca Teti a fargli argin co' flutti, ond'ei respinto dalla doppia foce tutte le ripercosse acque rivolve de' sette colli alla città superba: riurtano spumanti impetuose l'onde i gran ponti e su gli arcati dossi tentano vie di trionfal ritorno: mentre dalla corrente altre vaganti minaccian dentro le allagate valli sommergimento a gli edifici vasti, belle regge d'eroi, tempi di Numi. Su quella sponda io mi giacea l'altrieri ozioso, veggendo alla pastura su distante collina una mia bianca lanosa greggia e i mansueti buoi nel grembo ad un altro riposato suolo fender il grato solco: e sorger vidi di mezzo all'onda un maestoso veglio: divise innanzi a lui le rispettose acque scorrean d'intorno alla purpurea clamide imperial, che fin al cinto scender io gli vedea dagli atlanei omeri avvezzi ancor dell'orbe al pondo: d'Apollo e Giove i trionfanti rami gli cingevan le tempia. O padre Tebro, ti ravviso e t'inchino, esclamo allora; accogli un figlio tuo;Senna e Tamigi tributari già tuoi sulle vantate rive lor non potero in tanti lustri mostrarmi oggetto a traviar bastante dal mio ritorno a te quel che seguimmi per tutt'altro sentier, fedel desio. Fra queste, perchè mie, dolcissim'ombre, l'almo riposo, la tranquilla vita facilmente contenta ed ozi illustri, passager neppur mai volger pensiero non mi fanno alle già piene d'affanni poco ammirate altrui splendide pompe; nè a quelle mai da i possessor vegliate con occhi d'Argo, arche di pallid'oro. Pregoti sol che, se le sciolte nevi, o le nubi, quand'Iride è lontana, tutte l'urne versando, ergon tropp'alto de' flutti tuoi devastori il corso, tu protegga la sponda ov'io t'onoro. Sereno a me rivolse Tebro il ciglio: fe' amico cenno con la fronte e sparve.

Rolli, Paolo, Liriche, con un saggio su la mèlica italiana dalla seconda metà del cinquecento al Rolli e al Metastasio e note con Carlo Calcaterra. (Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1926), p. 281-282.

Risposta di Aglauro Eulibio è in Umbria! Eulibio? e dovrò crederlo? Eulibio il Pastore! che nella vivida sua fresca etade amò cotanto Aglauro; che seco ognor guidava il gregge a pascere al colle, al prato e sull'erbose margine di fonti e di ruscelli e quivi al placido mormorar d'acque e sussurrar degli alberi, a vicenda cantar sovente udivasi gli Amori, ahimè, di Tirsi, ond'ei pur venera meco il gran nome e l'onorate ceneri, Eulibio è in Umbria? eh! sono idee che turbano la desiosa fantasi d'Aglauro. Ma no: non sono senza obietto immagini queste: io non sogno: ecco del saggio Eulibio noti alle Muse e a me versi e caratteri scritti dal colle di Tuderto in Umbria. Oh somma Deitade, onde si mouvono tutte le geste ed i pensier degli uomini, moderatrice dell'umano arbitrio, io mille volte e mille ti ringrazio che del Tamigi dalle spinde torbide un suo splendido onor rendi all'Italia: de' venti rei tu raffrenando l'impeto allontanasti le procelle e i turbini e la ferocia di masnade barbare che mari, selve, fiumi e monti infestano; e salvo all'Umbria conducesti Eulibio, onde i vanti le accresca altro Properzio. Deh! ti piaccia che il piè tosto rivolgane a i sette colli, e si la brama adempiasi di tanti e tanti che abbracciarlo anelano: se a' lor desiri e a' voti miei propizio Nume sarai, prometto offrire al tempio sette della mia greggia agnelle candide.

Rolli, Paolo, Liriche, con un saggio su la mèlica italiana dalla seconda metà del cinquecento al Rolli e al Metastasio e note con Carlo Calcaterra. (Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1926), p. 281-282.