ANTONIETTA GIACOMELLI

Il gran nemico

TREVISO
PREM. STAR. TIP IST. TPRAZZA
1908

Questa chiacchierata, di molto ampliata per la stampa, è stata in parte tenuta nella Scuola Libera Popolare di Treviso.

Lo sapete, amici operai, chi sia il gran nemico? No?

Eppure, c' è a questo mondo una cosa che è la rovina di tanti, che fa spendere un monte di quattrini—un grumo de schei—che fa perder la testa, la forza, la bellezza, la gioventù, la salute, spesso la ragione o la vita; che è causa di disordini, di vizî, di delitti, di disgrazie e di dolori d' ogni genere; una cosa che popola gli ospitali, i manicomi, le carceri, e altri luoghi ancor più tristi…

Possibile non abbiate ancora indovinato?

Eppure, chissà quanti fra voi, o fra i vostri, cominciano ad essere vittime del gran nemico… Giacchè esso vi aspetta, vi insidia—el ve fa la tira—proprio da traditore, dappertutto.

Alla mattina, appena uscite di casa, lo trovate a poca distanza dalla vostra porta. È una robetta piccola, graziosa, che pare un diamante. La prendete, in principio, come un rimedio, un conforto, —vi pare vi dia calore, forza, coraggio. È il primo tradimento che, in forma di grappa o simili. vi prepara il nemico. Dopo sentirete più freddo, più debolezza, più miseria di prima. E allora, giù un altro bicchierino…. e così via.

VINI
NOSTRANI E MERIDIONALI
Nero Tranial litro
Bianco Brindisial litro
Clintonal litro
Grappaal litro
Vermouthal litro
Cognacal litro
Alleaticoal litro

Più tardi, soprattutto alla sera, il nemico vi aspetta ancora, ad ogni cinquanta passi, sotto la forma di baccaro, di clinton, di tanti altri vini più o meno traditori, che vi tentano tanto più in quanto, disgraziatamente, costano poco.

Del resto, ahimè, ormai costano pochissimo tutti… Si dice: «El bon marcà strazza la borsa»: ma in questo caso si potrebbe dire anche: «El strazza l' omo».

Un operaio, infatti, mi diceva l' anno scorso: «Adesso per imbriagarse basta quaranta schei; e sicome che el crinto el fruta tanto, da qua un pochi de ani bastarà diese schei.» Non son passati che pochi mesi, e la previsione di quell'operaio si è già avverata, anzi è già stata superata.

Pensare che, in certi paesi delle nostre provincie, vi sono degli osti, e perfino dei signori. proprietari di cantine, i quali, per consumare il troppo vino che producono, danno da bere per dieci centesimi all' ora! E c' è della gente che accetta questo schifoso mercato, e butta giù vino a più non posso, come se non si ricordassero neanche più d' essere nomini, ma pensassero d' esser diventati tanti vasi vinari, da riempire finchè traboccano….

Vergogna!

E che dire di quegli osti, e soprattutto di quei signori, i quali, per il loro interesse, imbestialiscono a questo modo il nostro popolo? Io dico che, in confronto, i ladri e gli assassini che stanno in galera, sono dei galantuomini.

E le Autorità?…

C' è da far rizzare i capelli—proprio veguir i cavei driti—al pensiero di questo spaventoso aumentare del gran nemico, dell' alcool. Perchè è proprio lui, il nemico, l' alcool, quella sostanza fermentata la quale, nel vino e soprattuto nei liquori, è diventata la massima delle piaghe sociali, il massimo dei flagelli.

Non toccherebbe a me, che non sono un medico, nè una medichessa, (sapete che adesse ci sono anche le medichesse,) di parlarvi del male che fa l' alcool al corpo umano. Ma che volete? Voglio troppo bene al mio prossimo per non sentirmi fortemente spinta a contribuire anch'io, come posso, alla lotta che s' è dovuta intraprendere contro il flagello.

E perchè non crediate io voglia far la dottora su cose delle quali non m' intendo, vi dirò che intorno a questo argomento ho parlato con molte persone che la sanno lunga, e ho letto molti scritti di scienziati e di bravissimi dottori.

Ma, prima di parlar del male che fa l' alcool al corpo umano, vi dirò, amici, qualchecosa del bene che, generalmente, si crede ancora ch' esso faccia, e che la scienza e l' esperienza provano ch' esso—salvo in casi di certe malattie acute —non fa.

I medici stessi, in gran numero, avevano creduto che il vino fosse utile, anzi necessario, alla salute, e l' avevano inculcato alla gente. Questa poi, per effetto di maggiore ignoranza, è andata anche piú in là, sempre più in là, fino al punto al quale siamo arrivati.

Ora però, i medici moderni, dopo nuovi studi ed esperimenti, hanno capito che si trattava di un grosso shaglio. Altri medici conservano ancora



qualche affezione all' idea vecchia che una certa quantità di vino faccia bene.

Noi però vogliamo andare col progresso, non è vero, amici? poichè siamo gente piuttosto avanzata… E perciò ascolteremo i medici moderni. i quali fondano la loro opinione sui risultati più recenti della scienza e dell' esperienza.

Ed ecco quello che dice la scienza…

Ma voi mi domanderete: Quale scienza?

Già, la scienza è una parola generica, che comprende molti rami di studio. Ma in questo caso si tratta di quella scienza speciale che si chiama fisiologia (la quale studia il corpo umano, l' uomo fisico,) e di un' altra scienza speciale che si chiama chimica, e che, applicata alla fisiologia, si chiama chimica fisiologica.

Che cosa studia la chimica?

Dovete sapere che in natura vi sono delle sostanze che si chiamano elementari, (ciascuna delle quali contiene una sola specie di materia.) e corpi composti, che sono formati di diverse sostanze elementari.

Ora, la chimica è quella scienza che cerca di scomporre i composti nei loro elementi, e conoscerne le proprietà.—Questa scomposizione dei corpi si ottiene per mezzo di energie fisiche, come la luce, il calore, l' elettricità, ecc. (Qui vedete uno degli strumenti che adoprano i chimici, e che si chiama storta).

Orbene, la chimica, (la quale. in quest' ultimo tempo, ha fatto grandi progressi), applicata al corpo umano, ha riscontrato che questo è composto delle segnenti sostanze: acqua, sali, grassi, e quelli che, in termine scientifico, (andrei troppo in lungo se dovessi, qui, spiegarvi che cosa sono) si chiamano idrocarbonati, o idrati di carbonio, e materie azotate, o albuminoidi.

Ora, il nostro corpo, per riparare alle sue perdite continue, ha bisogno di nutrirsi con alimenti che, a mano a mano, gli rimettano queste sostanze. E, per ciò che riguarda quelle che al corpo danno più nutrimento, cioè gli idrocarbonati e gli albuminoidi, vi dirò che nella birra son contenute in quantità ben piccola, nel vino in quantità piccolissima, minima, e che negli spiriti non esistono affatto.

Da tutto questo, dunque, risulta non esser vero che le bevande alcooliche sieno un nutrimento, e quindi rinforzino e sieno una cura per la povertà di sangue, per l'anemia. Ciò che ha potuto farlo credere è quella sensazione di benessere che si prova al primo bicchiere. Ma, che volete, figliuoli? quel benedetto liquido che tanti considerano come il loro migliore amico, il grande aiuto nella vita, è, invece, il più perfido dei traditori.

Sempre mediante quelle analisi della chimica fisiologica, si sa che 200 grammi di pane o un piatto di fagioli, nutrono assai più che 4 litri di vino, e che un bicchiere d'acqua e zucchero o un uovo, sostentano più di 5 litri. Vedete un pò'!

Sicuro, l' alcool è un traditore, perchè esso produce sempre l' effetto opposto alla sensazione del primo momento. Guardate se vi dico bugie:

È dunque provato dalla scienza che, quantunque ci sembri l' alcool ci nutrisca, esso, in realtà, non nutre. Non solo: ma, mentre generalmente si crede che il vino aiuti la digestione, in seguito ad osservazioni fatte per mezzo della sonda gastrica, (strumento che penetra nello stomaco,) hanno verificato che anche dosi moderate di vino e di birra possono disturbare la digestione.

Tanto peggio, poi, se si tratta di vini bianchi o fatturati, e di certi liquori che contengono, oltre l' alcool, altre sostanze nocive, e di quelli che si chiamano aperitivi. Per esempio il vermouth, l' assenzio, il bitter e il fernet, e tanti altri alcoolici, fabbricati con un' arte, che vorrei chiamare diabolica, tanto sono un intruglio—un missioto—di veleni, e tanto son presentati in modo da darla ad intendere. Questi poi sono ancor più velenosi se presi a digiuno.

Altro inganno dell' alcool è che, quando beviamo vino, birra o liquori, ci pare ch' essi ci riscaldino, e perciò crediamo sia utile bere quando fa freddo. Ma, invece, il calore che si sente al momento, è causato dall' affluire del sangue, e quindi del calore, alla pelle. Da questa poi esso si disperde al di fuori; e tanto più presto quanto più è fredda l' aria, producendo quindi un raffreddamento interno, che si è molte volte riscontrato col termometro. Questo può essere assai pericoloso, e anche causa di polmoniti, e rende il freddo esterno più difficile da sopportare.

Tant' è vero che i moderni navigatori ed esploratori del polo Nord, dopo le esperienze fatte, non fanno più uso di alcoolici. Il famoso Nansen (che avrete sentito nominare per quel suo ardito viaggio di esplorazione verso il polo, che durò più di tre anni) sopportò, insieme ai suoi compagni, perfino 52 gradi sotto zero; e nessuno aveva fatto uso di vino nè di altre bevande alcooliche, e nessuno mori.

Anche le guide alpine, quegli uomini che tanto si espongono al freddo e alla fatica sulle altezze nevose dei monti, dove accompagnano, aiutano nei passi difficili, e in qualche momento devono perfino portare, gli alpinisti, son venuti alla conclusione di astenersi dagli alcoolici.

Un'altra sensazione che si prova quando si beve è quella della forza fisica; e da ciò viene la persuasione che avete, che vino, birra e liquori aiutino nei mestieri faticosi. Motivo per il quale tanti facchini finiscono avanti tempo, alcoolizzati.

Infatti, quando uno ha cominciato, bevi e bevi, ci si abitua talmente l' organismo, che, realmente, non è più capace di far niente se non ha



bevuto. Disgraziati, che si sono assassinati da loro stessi!

Perfino quelli che bevono moderatamente, quelli che, perciò, non si potrebbero chiamare bevitori, se si astengono dal vino, soffrono e, anche, possono un poco risentirne nella salute. E da questo sopratutto viene la persuasione che il vino sia necessario. Ma è una cosa passeggiera, e che non tocca a chi non ha mai cominciato.

Certo, se si tratta di uno sforzo momentaneo, giova l' eccitamento dell' alcool, come la frustata al cavallo. Ma il povero cavallo, frustandolo, lo avete voi rinforzato? Dopo un poco subentra maggior stanchezza, e allora… siamo daccapo!

E a proposito dei tradimenti del nemico, sapete quale altra scoperta fanno quelli che osservano gli uni e gli altri? Nientemeno che, facendo a meno di quel benedetto bicchiere, (quel fanfarone il quale vi fa credere che senza di lui siete dei buoni a niente) si resiste di più, non solo al freddo, ma anche alla fatica!

Adesso vi par proprio che ve l' abbia detta grossa, non è vero? Eppure, statemi a sentire, perchè ho da raccontarvi delle cose che vi faranno restare a bocca aperta.

Mica storie da ciarlatani, sapete, di quelle che raccontano nelle fiere: ma fatti di verità, accertati da persone di scienza e di coscienza.

Queste le racconta il signor Rochat di Firenze, un uomo benemerito, il quale da tanti anni lavora per salvare il nostro popolo dall' alcoolismo.

«Un medico inglese, il dottor Parker, prese dei soldati, ch'egli divise in due squadre, per formare un terrapieno. Ad una diede da bere, durante il lavoro, birra e altre bevande alcooliche; all' altra, invece, acqua, thè, caffè e cioccolata. Nel primo giorno la prima squadra fece più lavoro della seconda; ma nei giorni successivi fu quella degli astemi che fece maggior lavoro. Fatta la controprova, cioè rovesciate le parti, ancora questa volta la palma fu ottenuta dalla squadra degli astemi. (Si chiamano cosi quelli che si astengono da ogni bevanda alcoolica.)»

«Il capitano Ross fece la stessa esperienza, con due imbarcazioni di marinai, in una corsa di resistenza, con egual successo per gli astemi. Dopo il suo viaggio al polo artico, scrisse:» «Se dipendesse da me, come capitano di vascello, darei lo sfratto a tutte le bevande alcooliche, non fosse altro che perchè indeboliscono i miei marinai.»

«Potrei citare varie corse e marcie di resistenza, vinte da astemi. Cosi quella del giugno 1893 da Berlino a Vienna (578 Km.) fu vinta da due astemi.»

«Weston, che percorse 7445 Km. in cento giorni, il capitano Webb, che traversò a nuoto la Manica, (largo braccio di mare che divide l' Inghílterra dalla Francia,) non fecero mai uso di bevande alcooliche. I più celebri ciclisti, nelle loro corse di resistenza,» se ne astengono pure.

«L' atleta canadese Cyr, che all' ultima esposizione di Parigi attrasse l' ammirazione di migliaia di persone per la sua gran forza muscolare, era astemio.»

Vi pare impossibile? Ebbene, sentite quello che dice un altro, il dottor Bunge dell'Università di Basilea.

«L' errore che l' alcool rinforzi gli stanchi è funesto specialmente per la classe popolare. La povera gente, a cui il guadagno basta appena per vivere, sedotta da questo pregiudizio, spende una gran parte di quel che guadagna in bevande alcooliche, invece di provvedersi di un alimento sano e sufficiente.»

«Più che da tutte le deduzioni scientifiche, la completa inutilità, anzi il danno, delle dosi anche le più moderate, di alcool, è provato già mille volte dagli esperimenti fatti nell' alimentazione degli esereiti. Fu constata to che i soldati, in tempo di guerra e in tempo di pace, in tutti i climi, al caldo, al freddo, ed alla pioggia, sopportano meglio tutti gli strapazzi delle marcie più faticose quando si astengono completamente da ogni beranda alcoolica.»

«Queste esperienze furono fatte dall' esercito inglese, nelle campagne di Cafreria, nell' Africa occidentale, durante la guerra con gli Ascianti,» nel Canadà e nell' India.

«L' ammirabile resistenza dei Boeri alle ingenti fatiche dell'ultima loro guerra, il loro sangue freddo, la sicurezza del tiro, vanno in gran parte attribuiti all' astinenza assoluta da ogni bevanda alcoolica, imposti sin dal principio dal loro generale Joubert.»

«In seguito a molte osservazioni ed esperimenti, e nella marina militare e nella mercantile, migliaia di bastimenti prendono il mare, specialmente in America e in Inghilterra, senza una goccia di bevande alcooliche a bordo,»

«La maggior parte dei pescatori di balene sono completamente astemi, e non bevono a bordo una sola goccia di bevande alcooliche durante le loro grandi fatiche.»

Non avete idea, amici, del numero e della gravità delle malattie alle quali van soggetti i bevitori. Un frate cappuccino, il Padre Roberto da Nove, ha tenuto, con proiezioni, e poi stampato, una splendida conferenza, intitolata L' Alcoolismo. In questa egli descrive a così vivi colori—oltre a tutte le altre conseguenze del bere—le malattie dei bevitori, che non si può leggerla senza che venga la pelle d' oca.

Sentite che cosa il P. Roberto—che ha molto studiato sui libri di medicina—dice degli effetti dell' alcool nello stomaco: «Liscio e rosato allo stato normale, si copre in breve di placche rossastre, di sangue e di muco. Succedono le ulceri, che determinano ben presto una specie di stato cancrenoso, lacerando le pareti, e annientando l' attività del fornello della vita.»

«Quante difficoltà di digestione, che si curano inutilmente con le tinture, con gli amari, non hanno all' origine che un bicchiere di troppo, bevuto alla sera!»

Segue poi la descrizione dei mali del fegato, il quale ha, nel nostro corpo, funzioni molto importanti, ed è quello che più soffre per l' azione dell' alcool.

E insieme a lui si ammalano i reni. la milza. (che alle volte s' ingrossa fino a oltrepassare il peso di un kilo,) e nel ventre si forma un liquido che obbliga al taglio per l' estrazione, e che può arrivare fino a 30 litri per volta!

Un quadro terribile è poi la descrizione degli effetti dell' alcool sul cuore, e degli sforzi che fa il bevitore per sostenersi con lo stesso veleno che lo uccide.

Indi dopo avere esposto gli effetti dell' alcool sui polmoni. P. Roberto dimostra come il bevitore non possa resistere al bacillo della tubercolosi, —la terribile malattia di petto, che ora fa si gran strage. Tanto, che si calcola il 70 per cento dei casi di tubercolosi sia dovuto al bere.

Siccome poi il bevitore, di fronte a qualunque malattia che lo possa prendere, ha assai meno resistenza, ne risulta - dai calcoli fatti - che l'ottanta per cento dei casi di morte precoce son dovuti, direttamente o indirettamente, all'alcoolismo.

(Ci sono alcuni casi di malattia nei quali l'alcool è giovevole, anzi necessario. Ma son casi speciali e passaggeri, nei quali c' è bisogno di un forte eccitamento momentaneo. Dice anzi, a questo proposito, il già citato dott. Bunge, che le bevande alcooliche devono essere ordinate solo nei casi di malattie acute e momentaneamente, non nei casi di malattie croniche, per la stessa ragione per la quale, nei casi cronici, non si può ordinare la morfina.)

L' alcool ha poi il potere di far invecchiare presto. Un bevitore di 40 anni, come constatano i medici, può avere le arterie (le vene più grosse) indurite come uno di 60. Motivo per il quale nei bevitori sono assai frequenti i casi di apoplessia, cioè i cosidetti colpi, che ora lasciano un uomo, ancor giovane, morto fulminato, ora, ripetendosi, lo uccidono un po' alla volta. nel corpo e nell' intelligenza.

È poi inutile citare qualche bevitore divenuto molto vecchio: giacchè eccezioni ve ne sono in ogni cosa. A questo proposito vedevo l' altro giorno una certa statistica, secondo la quale, per un bevitore arrivato a 90 anni, se ne trovano diecimila morti innanzi tempo.

Quale vergogna, non è vero? (specialmente se si pensa ai tanti che son morti e muoiono per le cause più nobili.) morire per una causa cosi bassa, mentre abbiamo il dovere di vivere in modo da poter compiere il nostro dovere fino all' ultimo!

A proposito poi della morte precoce a cagione del bere, aggiungerò che la maggior parte delle Compagnie inglesi di assicurazioni sulla vita accordano, a quelli che non bevono alcoolici. una riduzione di tassa del 15 per cento. E sapete che la gente d' affari difficilmente si sbaglia nel fare i conti.

Non v'è forse nessuna cosa al mondo intorno alla quale vi siano tanti pregindizi, frutto d' ignoranza, come le bevande alcooliche. Non solo, con esse, si crede di nutrirsi, di riscaldarsi e di rinforzarsi, ma perfino (sempre per quell' inganno della sensazione del momento) si crede di trovarvi un vantaggio nello spirito.

E, invece, l' alcool è il più terribile nemico del sistema nervoso. Quando, dopo aver bevuto, ci sentiamo eccitati, non è forza, quella, ma debolezza. Ne sia prova il fatto che i bevitori sono facili alla collera e alla violenza, o di umore variabile, scontrosi, fastidiosi, come si dice da noi, o pieni di stranezze. E un uomo in collera e che si abbandona ad atti violenti, o al malumore e ai capricci, è uno che ha perso la padronanza di sè medesimo, quindi tutt' altro che un forte.

Altri, quando hanno bevuto son presi dalla tristezza e dal pianto, altri da un' allegria smodata, che poi lascia abbattuti, sconfortati, umiliati.

Altro inganno è quello che fa credere l'alcool aiuti nei lavori dell' intelligenza: ogni vampata del momento prepara la decadenza.

Per cui il bere è una speculazione sbagliata, un cattivo affare, anche per quelli che nel vino e nei liquori credono di trovare il coraggio tra le difficoltà, il conforto alle pene della vita, e perfino le buone inspirazioni.

Andando sempre più avanti, offeso nel cervello e nella spina dorsale, il bevitore comincia ad esser colpito dal tremito delle mani. Poi viene la paralisi progressiva delle gambe, di tutte le membra. L' intelligenza va mancando sempre più, fino



all' ebetismo: oppure, dopo un periodo di allucinazioni, di visioni spaventose, si manifesta il delirium tremeus, la furia alcoolica, che finisce con la morte più orrenda.

Di anno in anno, cresce rapidamente il numero dei pazzi. E questo è dovuto principalmente all' alcoolismo. che ora ha ereditato anche le vittime della pellagra. Giacchè, dove han voluto combattere la pellagra cou l'alcool, hanno avnto il risultato di sostituire alla pazzia pellagrosa la pazzia alcoolica.

Ormai i pazzi non sanno più dove metterli, e le Provincie dovranno spendere degli altri bei milioni in manicomi.—Mi ricordo che, ancora parecchi anni fa, il Direttore di un grande manicomio mi raccontò che la Commissione gli aveva detto: «Qui bisogna mandar fuori un po' di matti, perchè altrimenti non c' è posto per i nuovi.»

Si sorride del modo, non è vero? ma poi ci si domanda con angoscia: Fin dove arriveremo?

Ho nominato, prima, le statistiche. Sapete che cosa sono le statistiche? Son calcoli, a base di ricerche nella popolazione, che sarebbe bene di mettere sotto agli occhi di tutti.

Vi assicuro che, se vedeste questi specchietti, questi numeri che crescono d' anno in anno con una rapidità spaventosa, vi sentireste rabbrividire. E, ancora, convien pensare che gran parte delle vittime dell' alcool—sia come malati, pazzi, e morti, sia come delinquenti—non figurano nelle statistiche, giacchè sempre non si può, nè si vuole, risalire alle cause dei malanni.

A questo proposito tornerò a citarvi una pagina del dottor Bunge, che riguarda, con le statistiche alla mano, i rapporti fra l' alcoolismo e la criminalità.

«I giudici, gli impiegati di polizia, i direttori di carceri di tutte le nazioni, sono unanimi nel dichiarare che i delitti, dal 70 all' 80 per cento, sono consegnenze dell'abuso degli alcoolici.»

«Il ministro Everett riferisce che, negli Stati Uniti di America, il consumo delle bevande alcooliche, negli anni 1860-1870, rappresenta per la nazione una spesa diretta di tre miliardi, e una indiretta di 600 milioni di dollari; (il dollaro vale circa 5 lire); ha distrutto 300,000 vite umane, ha mandato 100,000 bambini nei ricoveri, almeno 150,000 persone nelle carceri e negli ospizi; ha cagionato almeno 2000 suicidi, la perdita di almeno 10 milioni di dollari per incendi e violenze, e fatto 20,000 vedove e un milione di orfani.»

«Per la maggior parte degli Stati d'Europa le cifre non sarebbero meno desolanti.»

Infatti, in Francia, nel Belgio, in Inghilterra, il 53 per cento dei reati contro il buon costume, e in Germania il 60 per cento, son commessi da bevitori. Su cento condannati per violenze, ferimenti e omicidio, si contano in Francia 88 alcoolizzati, 65 in Germania. Nella Svizzera, su 2500 delinquenti esaminati, 1030 erano bevitori.

In Francia, nel dipartimento della Creuse, dove bevono poco, v' è in media un condannato ogni 1514 abitanti. Nel dipartimento della Senna inferiore, dove bevono molto, v' è un condannato ogni 138 abitanti!

In Italia, su 507 delinquenti esaminati da un professore, 379 abusavano degli alcoolici, e su 57 interrogati da un magistrato, 56 erano dediti al bere.—Un uomo di Stato ebbe a dichiarare nel nostro Parlamento che i nove decimi dei reati che si commettono in Italia hanno origine nelle osterie.

Per questo è ottima cosa quella riforma di un articolo del Codice, per la quale l' ubbriachezza, o qualsiasi alterazione prodotta dall' alcool, sarà considerata nei reati, invece che come circostanza attenuante, come circostanza aggravante.

Vi ho citato molte cifre: ma, ripeto, gran parte delle vittime dell' alcool non figurano nelle statistiche. A questo proposito dice il prof. Bunge: «Non dimentichiamo che solo una parte minima del male viene registrata in cifre nelle statistiche. Dal primo bicchiere bevuto, alla malattia, alla pazzia, al delitto, alla disperazione, al suicidio, son mille le gradazioni della miseria. Solo chi rotola sino all' altimo scalino è raccolto dalla statistica.»

«Non dimentichiamo inoltre che ognuno di questi sciagurati distrugge la salute, la virtù, la felicità di molti altri. Quante famiglie rovinate, quante lagrime versate da innocenti, quanto disonore e quanti dolori, dei quali neppur l' eco arriva agli uffici di statistica!»

E a proposito di questo. Anche quei disgraziati ragazzi che in parte vanno a popolare gli istituti di correzione, per lo più son figli di alcoolisti. Dico in parte, perchè per la maggior parte non vi è posto.

Infatti, adesso il Governo ha abbassato l' età nella quale esso fa internare ragazzi da correggere, (i quali, spesso, non hanno bisogno d' altro che di essere tolti ai genitori, che sono la loro rovina), perchè il numero di quelli che ne avrebbero bisogno cresce talmente che occorrerebbero nuovi istituti. E il Governo pare che—per economia —aspetti a mantenerli in galera, quando saran grandi.

Che calcoli sieno questi, lascio giudicare al vostro buon senso.

Con le statistiche alla mano, vedreste—oltre al numero dei bevitori malati, inebetiti, pazzi o delinquenti, —il numero dei nati-morti, dei sordomuti, dei rachitici, dei nani, dei deformi, degli scrofolosi, dei tubercolosi, degli isterici, degli epilettici, dei deficienti, degli squilibrati, degli ebeti. dei degenerati, dei pazzi, degli affetti da spinite, da paralisi congenita, da tendenza al malcostume o ai reati di sangue, dei delinquenti d' ogni genere, dei morti, e fra questi dei suicidi, per esser figli di bevitori.

Nei bambini e nei fanciulli, poi, le bevande alcooliche, anche in piccole quantità, sono addirittura un tossico, un veleno. Esse ne rallentano il crescere del corpo e lo sviluppo dell' intelligenza, li rendono inquieti, capricciosi, irritabili, e li preparano a tutte le malattie nervose, compresa quella, terribile, dell' epilessia, il cosiddetto mal caduco. Aggiungete poi che, intanto, essi prendono l' abitudine di bere, per modo che, quando saran grandi, il vizio si sarà già bello e impadronito di loro.



Per cui verrebbe proprio voglia d' imprecare quando si vedono padri e madri, e santoli e compari condurre i bambini e i ragazzetti all' osteria, o, anche in casa,—come fanno tanti genitori— forzarli a bere magari con le botte, e gloriarsi se bevono molto e volentieri!

Cosa vuol dire l' ignoranza! e l' ostinazione dell' ignoranza, anche quando chi ne sa di più cerca di persuadere in contrario. Perfino si vedono bambini lattanti col bavagliolo macchiato di vino, o ai quali madri o padri insensati fanno bere liquori e acquavite, e danno la pappa inzuppata nel vino o nell' alcool!

Rammento una donna, la quale teneva in braccio un figliuoletto che pareva un morticino, e raccontava con molta compiacenza, alle comari che la circondavano, che il suo piccino, invece del latte, beveva ogni mattina la so bela scueleta de vin! —Invano ho tentato di farle intendere come essa assassinasse la sua creatura. «Signora, ghe fortifica», mi rispondeva tranquillamente,—e non vedeva che bel campione andava tirando su!

Povere creaturine, vittime del pregiudizio e della superbia ignorante dei propri genitori, condannate al vizio, alle malattie, forse al delitto, al disonore, ai dolori più strazianti, non si ha da poterle, in aleun modo, salvare?

Ho accennato poco fa alle conseguenze terribili che nei propri figli trasmettono i bevitori, e quelli che, anche senza essere bevitori per abitudine, li hanno generati in istato di ubbriachezza. Momenti, questi, nei quali nessuno è degno di dar la vita ad una creatura, dalla quale un giorno si sentirà dare il santo nome di padre o di madre… Ma devo aggiungere che specialissimo danno reca pure al bambino il bere della madre durante il tempo della gravidanza e quello dell'allattamento, giacchè il bambino ne assorbe parte dell' alcool, che in quei periodi iniziali gli riesce più che mai dannoso.

Perciò, tanto le donne gravide come quelle che allattano, dovrebbero astenersi completamente dalle bevande alcooliche. Altro che dare alle balie vini generosi, come fanno certi signori, per amore del bambino!

Sarà bene per il corpo del bambino, e sarà bene per l' anima. Converrebbe che le donne le quali stanno formando, o nutrendo col proprio latte, una creatura, pensassero sempre che compiono un alto e sacro ufficio. Giacchè esse la stanno preparando alla vita, e dipende in gran parte da loro il mettervela bene o male armata contro i mali del corpo e quelli dell' anima. Se vi pensassero, cercherebbero di vivere in modo da compiere degnamente, fin dal principio, la loro missione…

E a proposito della donna che beve: sino a poco tempo fa, nei nostri paesi era cosa rara. Ma adesso? che cosa non tocca di vedere, specialmente nelle campagne? Oltre al gran vino che bevono, quante non sono le donne, le giovinette, che cominciano anch' esse la giornata, con quel maledetto bicchierino? E vi può essere, domando, qualche cosa che desti più ribrezzo e spavento di una donna, non dico neanche ubbriaca, ma anche solo alterata dall' alcool? Oltre ai danni accennati sin qui, pensiamo che l'alcool toglie la coscienza, e con essa il pudore e la volontà…

«Se sapesse» mi diceva, giorni sono, una buona suora dell' ospedale «che cose si vedono in Maternità dopo che han cominciato a bere anche le donne, anche le ragazze… E che infelici bambini nascono… I ga dé tuto.»

Ah! troppo pochi pensano, troppo pochi sanno, quale terribile responsabilità sia quella che si ha riguardo ai figli.

Ve lo ripeto, amici, una grandissima parte delle malattie, delle deformità fisiche, dei difetti morali e intellettuali,—cioè delle cattiverie, della stupidità, delle pazzie—hanno origine dai vizi, e specialmente dal bere e dal malcostume. E se si rifletta che lo stesso malcostume è in gran parte conseguenza del bere (come vi



ho detto, la maggiore scostumatezza si riscontra nei bevitori, e la maggior parte di certi turpi reati vengono commessi da bevitori abituali, o in momenti di ubbriachezza) si capirà che la principale origine di tanti guai sta nell' alcool.

Quante volte, considerando quelle povere creature che sono difettose, o sofferenti, o poco intelligenti, o anche mostruose, o cretine, o degenerate. ce la prendiamo con Dio, o con la sorte: e se sono, o paiono, cattive, ce la prendiamo con loro. E giù imprecazioni, bestemmie, parolacce, e botte, e peggio, di tanti genitori, o nonni, i quali, invece, spesso, (giacchè i cattivi germi, ripeto, passano per più generazioni,) dovrebbero rimproverare sè stessi per aver vissuto malamente, in un modo colpevole sopratutto da parte di chi ha da mettere al mondo altri esseri.

Uno scienziato che ha esaminato 200 criminali, scelti a caso, ha riscontrato che 42 avevano il padre alcoolizzato. - Un altro scienziato, su 814 figli di alcoolizzati, ha trovato 322 degenerati (alterati moralmente, nella coscienza, cattivi senza loro colpa) 136 epilettici, 141 pazzi. Poco meno della metà dei fanciulli ebeti sono figli di alcoolisti.

Quando vedo un ubbriaco giovane, e peggio ancora se' è una donna, e tanto più se sono una coppia, penso sempre con spavento e pietà che forse pochi momenti dopo potrà venir data la vita ad un essere infelice, forse a un delinquente, che, a sua volta, e senza sua colpa, trasmetterà in altri le conseguenze di un' ora di spensieratezza. le conseguenze, forse, dell' ignoranza.

Ah! quando vado all' ospedale e vedo certe creaturine infelicissime, che desterebbero ribrezzo se non destassero un' infinita pietà, poveri innocenti che scontano le colpe dei genitori o dei nonni, io provo dei sentimenti che nessuna parola potrebbe esprimere…

Ho qui un giornale anti-alcoolista, il Bene sociale di Firenze. il quale ha in fronte queste parole dei grande statista inglese, Gladstone: «L' alcool, ai giorni nostri. fa più vittime che non ne facciano la peste, la carestia e la guerra.» E si potrebbe aggiungere «i disastri».

Quando leggete sul Gazzettino di scontri ferroviari. di naufragi. di scoppi nelle miniere o nelle navi. di frane. di terremoti. d' inondazioni, è un gran parlarne, un grande impressionarsi per il numero delle vittime. Ma quanto più terribili non sono le stragi, continue e nascoste, che fa l' alcool. serpeggiando nel sangue. guastando gli organi, delle moltitudini; dell' alcool che, giorno per giorno, ora per ora, fa il suo lavoro, continuo e inavvertito?

Mentre non ci si pensa, mentre, spesso, non lo si sa, anzi par di fare buon sangue, in una fraia. (compresa quella del giorno delle nozze, che può esser la rovina del figlio primogenito,) è un lento avvelenarsi e preparare avvelenati i figliuoli, i quali un giorno avrebbero diritto…. stavo per dire di maledire i genitori,—certo di rimproverarli, in euor loro, amaramente.

E non è questo il più esteso e il più grave dei disastri? E non dovremmo far di tutto per combatterlo?

Voi udite spesso, amiei, dai socialisti. (e. se vi trovaste fuori del Veneto, la udireste anche dai democratici cristiani.) la parola coscienti. non è vero?

Che cosa vuol dire essere dei coscienti?

Vuol dire aver coscienza, cioè conoscenza, di qualche cosa. Ma son tante. potreste dire. le cose delle quali si può aver conoscenza. Che cosa danque s' intende quando, così, in blocco. si dice: dovete essere dei coscienti?

I democratici cristiani e i socialisti, di solito, intendono esser coscienti dei proprî diritti di fronte agli altri. soprattutto come classe proletaria, di fronte alla classe di chi possiede e di chi comanda—Ma, insieme a questa coscienza. —anzi, per poterla avere—è necessario aver coscienza della nostra dignità d' uomini, del valore e degli scopi della vita, e quindi del dovere che abbiamo di vivere da uomini e non da bestie, (e peggio, perchè le bestie certi disordini, certi eccessi, non li commettono.) del dovere di preparare sane, forti e virtuose le generazioni dell' avvenire.

E invece, oltre a quelli delle tristi eredità che si trasmettono, quanti altri danni il vizio arreca alla famiglia! Ho io bisogno, amici, di ricordarvi, di descrivervi, tutte le altre conseguenze del bere, e di quell' altro viz o del malcostume che ne è naturale conseguenza, e che è ancor più colpevole dell' alcoolismo, perchè ancor più offende la giustizia?

Baruffe coi compagni, e non di rado con conseguenze di disgrazie, di uno che va all' ospedale o al cimitero, e l' altro in prigione. Le paghe che se ne vanno in tasca all' oste e peggio; la famiglia che patisce, che spesso si corrompe, per mancanza del necessario; continue scene in casa, botte, parolacce, bestemmie, pianti della donna, spaventi dei figliuoli.



E questi che, a mano a mano, pèrdono il rispetto, perchè rispettare non possono più, questo padre degradato e imbestialito, che risentono l' influenza dei cattivi esempi, che cominciano a non ascoltar più. a sbandarsi, a bere e a fumare, quando possono, anche loro, a diventare insolenti, in famiglia e fuori, sboccati e viziosi.—Non parlo delle ragazze, quando appena sono un po' grandine… e di quel che succede. (La maggior parte, infatti, di quelle disgraziate che servono al vizio—parlo sempre con le statistiche alla mano—son figlie di bevitori.)

Ma adesso c' è anche di peggio. Fino a ieri la moglie di qualche ubbriacone o giocatore andava, talvolta, sul tardi, all' osteria, per trascinar via il marito. Ma ora, sempre più, le mogli ci vanno anche loro, per conto proprio. e ci conducono i figliuoli, a quella bella scuola… E le figliuole più gran li, intanto, magari, son lasciate tentare qualche giro per la città, intorno ai caffè nei quali vegliano quei signori… che hanno pochi scrupoli.

Ah! amici, quante e quante cose dolorose vi sarebbero da dire a questo proposito!

Mi limiterò a leggervi queste poche righe di un articolo che trovo nella Gazzetta di Venezia.

«Per vedere le rovine che fa l' alcool, basta entrare, specialmente il sabato e la domenica, in certe callette dove vegetano e prosperano, all' ombra delle catapecchie proletarie e delle antorità, quelle sentine del vizio che sono gli spacci del baccaro. Padri e madri, figli e figlie, si affollano in quelle anticamere del manicomio, della galera e del postribolo, a consumarvi in poche ore il guadagno di una settimana e a perdervi la salute e l' onestà.»

In quanto alla parte economica, in Italia ora si spendono 1760 milioni in bibite alcooliche: poco meno di tutte le spese di Stato—2000 milioni— sommate insieme! Non c' è da arrossire e da spaventarsi?

Notate che nel conto, naturalmente, non son calcolati i danni economici delle giornate di lavoro perdute, delle spese per malattie e per tante altre tristi conseguenze, che si verificano nelle famiglie dei bevitori.—E dire che gran parte di questo dispendio, diretto o indiretto, viene dalle classi povere, che di povere ne divengono misere, in ogni senso, materiale e morale….



Sì, il vizio è la massima causa di miseria, come è la massima causa di malattie e di delitti. Esso s' impossessa di tutto l'uomo, corpo e anima. gli toglie l'intelligenza, i buoni sentimenti, la coscienza, la dignità, e arriva sino e snaturarlo, a farne un miserabile, riproduttore di altri miseri.

Avevo dunque ragione, mi pare, di dire che, sotto ogni rapporto, dobbiamo essere dei coscienti, cioè sapere e pensare ciò che siamo come uomini, e come dobbiamo regolarci nella vita, per noi, per la famiglia, per la società.

Davvero, non sono dei coscienti quelli che vediamo andar per le strade barcollanti, a cantoni, col cappello di traverso, col viso alterato, o rossi come il vino, o pallidissimi, con gli occhi stravolti, col sorriso ebete, che urlano, bestemmiano o cantano, stonando orribilmente, con la voce rauca e con la lingua grossa, che fanno cose stomachevoli, che spesso cadono sconciamente, che insomma danno di sè lo spettacolo più schifoso che si possa immaginare.

In verità, non capirò mai come la gente si diverta di simili brutture.

Io dico che anche chi, vedendo un ubbriaco, ride e scherza, oppure lo guarda con indifferenza, senza disgusto nè tristezza, è un incosciente, giacchè, anche se l' ubbriachezza non arrecasse i danni che arreca, e anche se non è arrivata al punto che ho descritto, è sempre una vergogna, poichè priva l' uomo della ragione, della volontà, della dignità, di tutto ciò che maggiormente lo distingue dalle bestie.

Mi pare poi che uno il quale abbia l' abitudine di ubbriacarsi, vedendo un ubbriaco dovrebbe arrossire, pensando di essersi trovato e fatto vedere anche lui, in quello stato. Invece, dicono che la gente non si vergogna di ubbriacarsi, che anzi tanti lo fanno apposta, come una bella cosa. È vero? è possibile?

Racconta la storia che a Sparta (una delle principali città dell' antica Grecia, più antica ancora di Roma, e che esisteva parecchi secoli prima della venuta di Cristo) gli anziani, per inspirare ai giovani orrore dell' ubbriachezza, ubbriacavano apposta degli schiavi, per offrirli loro come esempio a rovescio,—come specio, si direbbe da noi..

Era una cosa orribile, non è vero, amici?



prima di tutto che ci fossero degli schiavi. e poi che se ne servissero anche ad usi così immorali. Ma è anche ben triste il dover pensare che adesso—dopo tanti secoli di cosiddetto progresso —questo non gioverebbe neanche più. perchè l' ubbriachezza non vi desta lo schifo e l' orrore che destava nei giovani spartani.

Eppure, queste vizio che degrada l'uomo e lo fa offendere tutte le leggi divine ed umane, dovrebbe destarne molto più ancora a noi; a noi ai quali, alcuni secoli più tardi, Gesù ha portato la buona novella, e che perciò sappiamo d' esser figli di Dio, e fratelli in Lui, creati tutti per una grande missione di bontà, di giustizia, d' amore e di lavoro.

Davvero non capisco come gente che si pretende religiosa, possa, dopo essere stata in chiesa, dimenticare all' osteria ogni dignità e ogni dovere di nomini e di cristiani, ai quali è tanto inculcato, dai precetti della Cuiesa, la temperanza e la cnstodia dei sensi.

Bel modo di santificare il giorno del Signore, e, profittando dell' astensione dal lavoro, di dare al proprio corpo. al proprio spirito, alla propria famiglia, quello a cui hanno diritto! Finora la legge sul riposo festivo non ha servito ad altro che a far lavorare di più gli osti e i bettolieri,—i soli che abbiano il diritto di tenere aperto: per cui, da una legge in sè ottima, è risultato un danno, un gravissimo danno.

Cosa vuol dire esercitare i diritti senza aver coscienza dei doveri!

A quelli, poi, che in chiesa vanno poco o niente, e preferiscono andare a predica dai socialisti, vorrei far osservare che i lavoratori non potranno arrivare molto avanti nella rivendicazione dei loro diritti, con le conquiste nel campo morale e nel campo economico, se non cominciano con liberarsi da una schiavitù vergognosa come è quella del vizio. Giacchè solo i temperanti, i sobrî, son forti, e perciò degni e capaci d' innalzarsi, di liberarsi: solo i temperanti, i sobrî, sono nomini, nel senso alto e virile della parola,— giacchè solo essi serbano al loro corpo quel rispetto che gli dobbiamo, come sede e strumento dell' anima, e come eventuale riproduttore nel genere umano.



A tanti, poi, che hanno in mano la vita delle persone, come cocchieri, barcainoli, macchinisti, conduttori di tram, eccetera, converrebbe ricordare la responsabilità terribile che hanno di fronte al prossimo.

Su questo stesso giornale antialcoolista, Il Bene Sociale, prima delle citate parole del Gladstone, vi sono queste altre, che S. Pietro dirigeva, in una lettera, ai primi cristiani: «Siate sobrî, e vegliate.»

Come son belle, non è vero? e quanto dicono queste poche parole… Siate sobrî e vegliate, —cioè siate temperanti, affinchè possiate sempre essere desti, pronti, coscienti e forti, tra i doveri e le lotte della vita.

Badate, amici: io non vorrei, stasera, avervi offesi, come se pensassi voi siate una massa di ubbriaconi… È anzi molto probabile che gli ubbriaconi non abbiano voglia di venire alla Scuola Libera Popolare, e preferiscano starsene all' osteria.

Ma, perchè il bere faccia male al corpo, all' anima, alla mente, e rechi grave danno nelle famiglie, non è necessario arrivi sino all' ubbriachezza: tanto più che vi son molti i quali portano, come si dice, il vino, oppure finiscono con farci l' abitudine; e allora il veleno lavora egualmente e di più, e di più si consuma. E i liquori poi rovinano un uomo e la sua discendenza anche senza ch' egli si sia mai ubbriacato.

Vedete queste due teste? Sembrano due uomini, non è vero? molto molto diversi uno dall' altro. Eppure, son due ritratti della stessa persona. a pochi anni di distanza. Guardate che belle fattezze, che occhio vivo, intelligente, che espressione sana, onesta e vigorosa.



Ma costui s'è lasciato prendere dal nemico, e è diventato un vecchio innanzi tempo,—non un vecchio dall' aria veneranda, bensi una schifosa rovina, che di umano non ha più niente.— E quanti non ne incontriamo, quanti non ne vediamo, intorno a noi? O, anche se non sono ridotti a questo punto, quanti non se ne scorgono, sempre più numerosi, coi segni manifesti della deca lenza, dell' alterazione, sia nel fisico, sia nel carattere, sia nell' intelligenza? E con qual pena, di volta in volta che si vedono, si notano i progressi continui che fa in essi il nemico?

Ormai siamo ad un punto che, spesso, guardo con tristezza i fanciulli e i giovani, pensando a che cosa, con questo rapido aumento del bere, vanno incontro… Per esempio, alla nostra scuola di cori, in cui il canto fa apparire sui volti de' giovani la fierezza gentile, la vivacità, l' entusiasmo,



nella simpatia e nell' allegrezza con le quali, quando vengo a trovarli, li guardo, mi sento amareggiata dal pensiero che forse fra poco tempo la luce di quegli occhi sarà offuscata, la voce di quei petti sarà rauca o spenta.

E penso così, perchè, ormai, il troppo bere non è più—come era anni fa—una cosa di alcuni, che si segnavano, per cosi dire, a dito, ma è diventata quasi parte della vita, dei pensieri, dei discorsi, della generalità del nostro popolo, grandi e piccoli. È diventata una specie di mania, per cui si arriva fino al delitto—che dovrebbe venire ogni volta denunziato e punito con la prigione—di divertirsi ad ubbriacare bambini, fino al punto di farli morire, o di metterli in pericolo di vìta.

Dicano poi i maestri come stieno a scuola la maggior parte deì fanciulli al lunedì: assonnati, tardi a capire, nervosi, e, in campagna, addirittura, alle volte, ubbriachi. Oppure, questi piccoli incoscienti, figli di più incoscienti ancora, fanno i buli, raccontandosi l' un l' altro a gara le sbornie, le bale fatte… C' è da piangere, e c' è da arrossire.

In città, non siamo ancora, generalmente, a questo punto, ma ci si avvia. Tempo fa, andando per la strada, vidi un gruppo di ragazzine, fra le quali una pareva aver qualche cosa di molto interessante da raccontare. Infatti. c' era stato il dì prima un pranzo di beneficenza per bambini: e le compagne le domandavano che cosa fosse stato loro imbandito. E la bambina, con un tono di grande soddisfazione, cominciò: «Intanto, un bon goto de vin!»

Potrà parere una piccolezza, che non valga la pena di essere raccontata; ma nella voce, in tutto il fare di quella piccola non più alta di questo tavolino, c' era l' eco di tutta la passione —starei per dire di tutto il culto—del bere che c' è ora nella gente.—Ma non so se mi fece più pena la bambina del popolo, che mostrava di già preferire il vino perfino ai dolci e alle frutta, o i grandi, le persone istruite, che han così poco giudizio da offrire ai bambini el bon goto de rin.

Infatti, non intendo mica, sapete, amici operai, che gli amatori e le vittime dall' alcool sieno solo fra il popolo. Ve ne sono in tutte le classi come enorme è il consumo di vini d' ogni qualità e d' ogni prezzo, di liquori di tutti i colori e di tutti i sapori, e con tutte le droghe immaginabili.

E si consumano nei caff'è dei signori e in quelli dei poveri, nei bar di lusso e nelle bettole sporche, nelle bottiglierie raffinate e nelle osterie d' infimo grado, nelle pasticcierie dove va la gente sazia, e nelle tabaccherie ove passano tutti i più poveri e tutti i più piccoli, nelle stanze di ricevimento delle signore e nelle stamberghe dove magari mancherà il pane.

Sicuro, anche fra le signore si va insinuando l' alcoolismo. E io stessa, amici, che vi parlo con tanto fervore d'anti-alcoolista, lo confesso, ho avuto un momento nel quale ho sentito che guai se non prendevo una forte risoluzione.

Ve lo dico per offrirvi una prova del pericolo che si nasconde anche sotto l' uso moderato degli alcoolici, e anche nelle persone che non sarebbero inclinate al vizio.—Infatti, ormai son famiglie intere che si trovano in preda al nemico,—che dico? sono interi paesi alcoolizzati,—in particolar modo nelle regioni montuose del confine, dove tornano gli emigranti.

E devo dirvi che in Italia c' è ancor poco alcoolismo in confronto della Russia e della Francia nella quale i liquori e gli aperitivi, sopratutto l'assenzio, stanno avvelenando quel popolo, in qualche provincia ridotto in gran parte al colmo della miseria, fisica, morale ed economica. E ve lo dico, e vorrei poterlo far sapere e tutto il popolo italiano, perchè si fermi sulla diccesa del precipizio.



Insieme al regno dell' alcool si va estendendo sempre più quello di un altro veleno,—il tabacco. Quanti, ormai, sono schiavi del tabacco al punto da non esser più capaci di star mezz'ora senza fumare! E adesso si vedono anche i fanciulli coi calzoni corti, i quali se ne vanno per la strada tutti superbi,—povere creature. —perchè hanno in bocca una spagnoletta. E non sanno, i piccoli incoscienti, come un fanciullo che fuma perda tutta la sua semplicità e la sua grazia, tutto ciò che lo rende simpatico e caro. Nè sanno che cosa il fumare a quell' età prepari per l' avvenire, per la salute, per l' intelligenza, per la moralità; e pare non lo sappiano neanche i genitori.

Ma, sui danni del tabacco, oggi non mi estenderò, perchè si andrebbe troppo in lungo e perchè andrei troppo fuori del mio argomento principale. Invece, giacchè ci troviamo insieme, e vedo che mi ascoltate volontieri, da buoni figliuoli, credo bene di parlarvi oggi stesso, e molto francamente, di un altro nemico. E tanto più che questo è stretto parente dell'alcool, (in gran parte anzi si potrebbe dire figlio) e che estende molto più ancora dell' alcoolismo la sua tirannia e quindi i suoi danni terribili, nell' individuo e nella sua discendenza. Intendo il libertinaggio. o malcostume.

Anche questo, adesso, comincia fino dall' adolescenza, negli anni nei quali il corpo e l' anima, non ancora formati, ne ricevono i danni più grandi. E quí pure ci sarebbe da dirne di grosse ai genitori.

Che educazione c' è, adesso, nelle famiglie? Nella maggior parte non v' è più nè principí, nè direzione, né ordine, nè disciplina. Nè padre nè madre sa uno farsi ascoltare, anzi, spesso, neanche se ne curano. Non pensano che ad accontentare i figliuoli, - o a coprirli di male parole e maltrattarli, secondo l' umore,—e spesso sono i primi a dare i cattivi consigli e i cattivi esempi.

Alcuni sono cosi perchè non credono più in niente; altri perchè hanno una religione che non è la vera. Giacchè la vera religione è fede sincera e viva, che insegna e aiuta a mettere in pratica il dovere, la virtù,

E così, è ormai tutto un lasciar andare a quel che piace, a quello che fa comodo al momento, a quello che suggerisce, che offre, l' ambiente, il contorno.

E che cosa ci sia in questo contorno, lo vedete, amici…. Ad ogni passo, ad ogni momento, —su pei muri, sui banchetti dei libri, nelle edicole dei giornali, nei teatri, nei teatrini di certi caffè, in certi cinematografi, sulle scatole dei fiammiferi, sulle cartoline, a momenti dappertutto —c' è qualchecosa che (sempre col fine di far denaro) eccita le più basse passioni.

E queste passioni, prima di tutto, vi conducono a quei luoghi infami nei quali, in tutti i modi più scellerati, si attirano tante sciagurate donne, che la gente disprezza, (senza pensare come e perchè possono essere arrivate li) e che non sono, meno delle altre, sorelle nostre.

Ma quali tremende vendette aspettano tanti di quelli che ne approfittano! Oltre la corruzione dell' anima, germi di mali orribili, ch' essi poi trasmetteranno nelle spose e negli innocenti che metteranno al mondo.

Certuni, che vogliono fare quello che loro piace,—senza badare se con ciò offendono la giustizia e fanno del gran male, a sè e agli altri,— mostrano di scandalizzarsi quando si parla di queste cose.

Sicuro, il male sì ha da farlo liberamente, si ha da potersi divertire—anche le donne—con tutte le letture e tutti gli spettacoli più osceni, (anzi si ride di quelli che protestano e non ne vogliono sapere,) gli nomini hanno da poter fare tra loro qualunque discorso più sporco. Ma se qualcheduno parla di queste cose per dimostrare che sono infamie, allora, oibò! è uno scandalo, una vergogna, si offende il pudore!

Infatti, è successa anche adesso adesso, al Congresso femminile di Roma.

Vi sono stati dei giornali (certo, qualcuno di voi ne avrà letto,) i quali han voluto far credere che fossero state dette, a questo proposito, delle brutte cose. E siccome la gente crede ai giornali più che al Vangelo, è stato un gridare allo scandalo per tutta l'Italia.

Ebbene, amici, io c' ero, e posso dirvi come l' è andata. Quelle signore e quei giovani, (poichè c' erano con noi anche dei bravi figliuoli, che combattono il male, prima di tutto in sè stessi, per vivere da galantuomini) hanno avuto il coraggio di dire la verità; e cioè che questo e questo, che si dice esser necessario e non esser male, non è necessario ed è male, e causa d' infamie e di dolori senza fine, e perciò non si deve fare.

Avete capito, adesso, perchè quelli che non han niente voglia di rinunziare a certe abitudini, si sieno seccati e, in cuor loro, vergognati, e abbiano voluto vendicarsi di quelli che dicevano la verità senza complimenti?

E volete un esempio, fra i tanti, della sincerità di quelli che si scandalizzano di noi, che parliamo forte di queste cose? State a sentire, perchè è proprio bellina.

Anni fa, in un teatro di questo mondo, hanno rappresentato una commedia, intitolata Gli arariati. Quella commedia metteva in scena le terribili conseguenze, nella famiglia, di quelle cose che si dicono lecite e necessarie. Era la commedia più morale che si potesse immaginare, non solo nello scopo, ma anche nelle scene, nei dialoghi, in tutto.

Qualche tempo dopo, io espressi ad una persona il desiderio che quella commedia, o qualche altra di quel genere, si ripetesse in quel teatro. Quella persona fece un atto quasi di spavento.

«Le pare? Ma se è stato un disastro! Sapesse quanti, dopo, hanno protestato per quella produzione, hanno detto di esser uscíti dal teatro disgustati, scandolezzati!»—«Davvero?» risposi, «Poveri innocenti!»

Poco dopo, nello stesso teatro, si rappresentavano di quelle commedie che usano adesso, nelle quali si mettono in scena le cose più vergognose. Ebbene, la gente ci andava tranquillamente e ci si divertiva un mondo, anche signore e signorine… E se qualcheduno si permetteva di scandalizzarsene, ne facevano le meraviglie, come di scrupoli da bigotti.

Ah! miei buoni amici, impariamo ad essere sopratutto onesti e sinceri, prendiamo in orrore queste falsità, queste ipocrisie, le quali non sono altro che la bestialità umana la quale non vuol sentire la parola della verità e dell' onestà, della giustizia e della salute sociale.

Ognuno il quale voglia essere un galantuomo —e, più ancora, ognuno il quale voglia essere un cristiano—potrà avere delle debolezze, potrà cadere molte volte, giacchè la virtù. in un simile ambiente, è assai difficile; ma esso non può sostenere il pregiudizio che non s' abbia neppur da combattere per un avvenire di purezza e dì forza. che faccia sparire dalla faccia della terra l' infamia della prostituzione, e soprattutto della prostituzione regolamentare, legalizzata, quasi una funzione dello Stato.

Pochi sanno, perchè non si vuole sapere nè pensarvi, (forse per pudore?!!!) quali abissi d' iniquità, di delitti, di mali e di dolori, vi sieno sotto alla prostituzione, che giustamente fu chiamato il cancro civile. Ma le persone che si son messe a studiarla negli archivi delle società che se ne occupano, e soprattutto nel lavoro pratico, restano con impressioni che accompagnano, come un martello che batta continuamente, per tutta la vita.

Ecco perchè parliamo forte e chiaro, e non badiamo alle critiche di chi non vorrebbe sentire. Poichè—come si legge in una epistola di San Giovanni—«il timore non sta colla carità», chi ama non teme. E perciò, a noi che amiamo tutte le nostre sorelle e tutti i nostri fratelli, nessuna critica e nessuna calunnia possono far paura.

Ultimamente, a Milano, ho preso parte al Convegno contro la Tratta delle bianche. (Si chiama così l' infame commercio di quel le canaglie che, in tutti i modi più scellerati, reclutano le serve del vizio. E queste si chiamano schiave bianche, perchè gli schiavi, che ancora c'erano ultimamente, erano negri.)

A quel Convegno c' era un altro di quei giovani che possono parlar forte contro la cosiddetta morale doppia, stando alla quale agli nomini sarebbe permesso, e senza limiti, quello che, anche in minima misura, disonora una donna. E possono parlar forte perchè, di questo permesso che loro accorda il mondo,—ma che non accordano Iddio nè le leggi della giustizia,—essi non approfittano. E, ragionando di tutte le infamie e di tutte le conseguenze di questa morale doppia, fabbricata dagli uomini per loro comodo, quel giovane ha ottenuto il massimo dei successi che possa avere un oratore: giacchè egli ha fatto piangere.

Perciò, figliuoli, (parlo soprattutto ai giovani,) se volete prepararvi alla vita degnamente, dovete aprire gli occhi su tutte queste cose, ribellarvi ai vecchi pregiudizi dalla gente la quale dice che così si ha da pensare e da fare perchè così si è sempre pensato e sempre fatto, e dire: «Io non voglio profittare di tradizioni inique, io non voglio perdere coi vizi la dignità umana e la salute, e preparar la rovina della famiglia che mi formerò un giorno. Voglio combattere il buon combattimento, voglio essere un uomo onesto, un uomo forte e. per quanto può dipendere da me, un uomo sano. E soltanto allora mi sentirò degno della vita, degno del nome di uomo, di sposo, di padre, di cittadino, di cristiano.»

Conosco tutti i pregiudizi che sussistono a questo proposito, come a quello dell' alcool: pregiudizi che son tenuti su da medici arretrati. Ma anche questi vengono, e sempre più, smentiti dalla scienza e dall' esperienza. Cosa che si può riscontrare— oltrecchè nella vita dei giovani, forti, operosi e coraggiosi, dei quali vi ho parlato, e dei loro compagni—in molti articoli, opuscoli e libri dei medici più moderni, fra i quali parecchi professeri di Università.

Ma, in pari tempo, son troppo vecchia, e troppo conosco il mondo, e troppe confidenze di giovani ho ricevuto, per non sapere quanto questo combattimento sia per voi difficile, e perciò quante riforme esso esiga.

Riforma, anzitutto, della dieta, (cioè di quello che si mangia e che si beve) e soprattutto guerra al nostro solito gran nemico. Giacchè l' alcool—l' abbiamo visto con le statistiche alla mano—come è il massimo eccitatore della collera, e perciò provoca le questioni, le risse, i ferimenti e gli omicidi,—così è il massimo eccitatore della passione sessuale.

È pure necessario evitare—per quanto lo permetta l' ambiente—le suggestioni delle compagnie, delle letture, degli spettacoli, di tutto quello che ora inventano per far denaro, e che è fatto apposta per eccitare le passioni… mentre poi creano tante esigenze da render difficili i matrimoni.

Ma soprattutto è necessario innalzare il cuore, lo spirito, tutta l' anima, nutrirli di nobili sentimenti e di grandi ideali, che distolgano da ogni bassa preoccupazione e liberino da tutti i rispetti umani che rendono schiavi del pregiudizio. È necessario riempir la vita di lavoro, di esercizi fisici all' aperto, di forti e salutari impressioni, con le letture, con le escursioni, con tuttociò che parla di verità, di bontà, di bellezza, con tutto ciò che solleva fino a Dio.

Qualcuno fra voi, a questo nome, sorride?

Permettetemi di dirvi che sorridete di Chi non conoscete ancora, di Chi forse non avete avuto modo di conoscere… Possiate un giorno, in un giorno di valore e di vittoria, sentire d' averlo trovato!

Molt' altro ancora dovrei dirvi, figliuoli, sullo scabroso argomento dell'onestà della vita. Ma forse noi c' intendiamo lo stesso,—specialmente con quelli che sentono il disgusto di ogni bassezza e vogliono liberarsi da tutte le tirannie, quelli i quali sentono che dobbiamo essere dei ribelli.

Qualcuno mi trova sovversiva? Siamo in molti sovversivi, ormai, sapete? E, ciò che più importa, cresce il numero dei giovani,—dei giovani i quali, contro tanta corruzione, reagiscono con vivo risveglio di coscienze e di cuori. —Il mondo, vile, non crede, o ride: ma son dessi che preparano l' avvenire.

Ah! guai se al mondo non ci fossero i sovversivi, quelli che non s'accontentano del tran tran di questa società, che è così mal piantata e va così male, quelli che non vogliono si dica che il mondo conviene prenderlo com' è, che sarà sempre così.

No, amici, giacchè Dio ci ha dato il còmpito della lotta per il progresso, per l' ascensione umana e sociale, e per questo Cristo ha detto: «Io non porto la pace, ma la guerra.»

Non guerra d' odio, ma d' amore, non guerra d' armi, ma d' opere di giustizia.

Ma quì non vi sono solo dei giovani, vi sono anche delle ragazze. Perciò potrò tanto più aver scandalizzato qualcuno di quei tali rigidi custodi del pudore, se mai qui ve ne fossero. Ah! essi non temano, chè non sono i rivendicatori di una morale unica per i due sessi quelli che demoralizzano o smaliziano le vostre ragazze: a questo ci pensano ben altri!

Noi, invece, diciamo che è ora di finirla con questi pregiudizi, che ne hanno procurato abbastanza dei guai. Diciamo che è una cosa assurda e colpevole lasciar che le ragazze vivano nel mondo,—con tutto quello che ci capita!—vadano incontro all' amore e al matrimonio, senza che si sia parlato loro sul serio di cose che riguardano i loro massimi doveri e dalle quali dipende l' avvenire loro, delle loro famiglie, e della razza umana.

Cari amìci. badiamo piuttosto a che le nostre ragazze non si mettano addosso tanti fronzoli. —tanti sfrogni e strighezzi—e non si pitturino tanto il viso e i capelli, e non le studino tutte per far la caccia agli uomini… Badiamo a che, per procurarsi tutto questo, non diventino troppo compiacenti… Badiamo a non lasciar loro in mano certi romanzi e certi giornaletti, e a non lasciarle andare a certi divertimenti che servono proprio da richiamo al vizio…

E nel tempo stesso parliamo loro chiaro, su tutto. Giacchè, ripeto, non è cosa onesta nè prudente, lasciare che una ragazza non sappia, o non consideri, tutti i pericoli e tutti i doveri, tutte le responsabilità alle quali va incontro, specialmente nell' amore e nel matrimonio.

Non è onesto lasciarle sposare, ignoranti o poco e male informate, un uomo che può corromperle, o comunicar loro, e, per mezzo loro, ai figliuoli, dei mali orrendi. Perciò esse, come i loro fratelli, devono sapere in tempo il rispetto che si deve al proprio corpo e alla propria anima. Devono sapere qual cosa sacra sia dar la vita ad una creatura umana. Devono, insomma, anch' esse, essere delle coscienti, e non dei giocattoli in balia del primo che càpita, e che loro piace, o che i genitori trovano essere un buon partito… salvo ad aprire gli occhi quando è troppo tardi, e per piangere le lagrime più amare.

No no, figliuole, non ho scrupolo di parlar chiaro davanti al pubblico e davanti a voi. E in faccia a tutti voglio anche dirvi che noi donne abbiamo a questo mondo le responsabilità più grandi. Giacchè è la donna che forma l' uomo, nel proprio seno, sulle proprie ginocchia, nella casa, in quegli anni nei quali si prendono i sentimenti, le idee, le abitudini, per tutta la vita.

E voglio dirvi pure che una donna può essere salvezza e rovina. E perciò, invece d' esser loro causa di perdizione, dovete aiutare gli nomini nella lotta che hanno da sostenere contro il male.

E dovete pure imporvi di non sposare un vizioso,—sia uno scostumato, sia un bevitore, un fumatore o un giocatore—finchè non si sia corretto. Se quell' nomo vi ama veramente, di fronte alla vostra fermezza, e col vostro aiuto, egli troverà la forza necessaria per vincersi. E so di ragazze le quali in questo modo son riuscite a correggere dei viziosi, che altrimenti sarebbero stati la rovina loro e di tutta la famiglia a venire.

Solo conducendo gli altri al bene, vedete, figlinole, potrete meritare quel nome di angeli, che gli nomini vi danno alle volte molto a buon mercato.

E adesso, vediamo che cosa si potrebbe fare —fuori di questa cerchia interna—per quella santa guerra contro il vizio, che meglio si potrebbe chiamare crociata.

In molti paesi si son fondate Società di temperanza, Leghe anti - alcoolisle, Leghe per la moralità, Leghe contro la prostituzione, ecc. Si fanno conferenze, si stampano articoli, opuscoli, giornali, si tengono Congressi. Si fanno petizioni ai Parlamenti, per l' introduzione, la riforma, o l' applicazione, di certe leggi. Si dimostra la necessità dell' insegnamento antialcoolista ai fanciulli, e di una educazione che, avvertendo in tempo i giovinetti e le giovinette di certi pericoli e di certi doveri, li salvi dalla corruzione o dalle cadute, che spesso sono effetto di ignoranza. E, in altri Stati, per mezzo delle leggi e per mezzo del lavoro di molte persone di buona volontà, si è già ottenuto molto.

Ve ne farò pochi cenni, riguardanti solo l'alcoolismo, che è il tema principale del mio discorso.

In un opuscolo del Prof. Cherubino Villa, —L' alcoolismo—vedo che, fin dal 1810, il Padre Matthew, cappuccino, in Irlanda predicò con tanto zelo, che la Società di temperanza ch' eli vi aveva fondata ebbe in un anno 200,000 soci, e si chiusero 237 osterie. E sapete quale ne fu la conseguenza? Si potè chiudere anche una delle prigioni della città di Dublino, perchè il numero dei condannati scese da 3200 a 1600; e, mentre l' anno prima v' erano stati 59 condannati a morte, l' anno dopo ve ne fu uno solo.

Alla Lega degli astemi d' Inghilterra, erano inscritte, l'anno scorso, 160,000 persone, a quella della Svezia, 100,000, a quella della Francia 15,000.

(I soci della Lega svizzera,—della quale sono anima, alcune donne benemerite—portano come distintivo un nastrino celeste sul petto. Penso all' allegria che mi farebbe, incontrare una quantità di gente decorata per quel motivo… Confesso che quel nastrino mi piacerebbe assai meglio di tante croci di cavalieri e di commendatori.)

Fra le varie altre opere anti-alcooliste delle quali parla il Prof. Villa, mi è caro citarne due che provano l' iniziativa delle donne contro l' alcool.

Negli Stati Uniti d' America, dopo 25 anni di ammirabile propaganda, una signorina. Miss Willard, (che negli ultimi 10 anni aveva tenuto una conferenza al giorno, girando per tutte le borgate della nazione,) lasciò un' associazione anti-alcoolista femminile che contava 300,000 socie.

In Inghilterra, in occasione del giubileo della regina Vittoria, sette milioni di donne firmarono una petizione, che domandava addirittura il divieto della produzione e della vendita delle bevande spiritose, in Inghilterra e nelle colonie inglesi. —E sì che, già da molti anni, in Inghilterra l' alcoolismo è esteso anche fra le donne. Ma si vede che avevano capito qual razza di nemico si fossero tirato in casa e in corpo!

Se quelle donne non hanno ottenuto tutto quello che chiedevano, hanno però ottenuto molto, cioè leggi severe e applicate, riguardo alla vendita delle bevande alcooliche e all' ubriachezza.

Negli Stati Uniti d' America. 25 milioni di abitanti non hanno nessuno spaccio di bevande alcooliche, e il numero degli astemi arriva colà a 18 milioni.

E da noi, che cosa si fa?

Si sono istituite, nell' alta Italia, varie Leghe, non di astemi, bensi di propaganda anti-alcoolista. Ma quegli alcuni volonterosi sono ben poco aintati.

In quanto al Governo, esso si preoccupa di tutt' altro… Tutt' al più, pensa a far consumare il troppo vino che lascia produrre, facendone, per esempio, con paterna previdenza, bere di più ai fanciulli e alle fanciulle negli istituti di correzione…

I Municipî—salvo onorevoli eccezioni— (fra le quali merita d' esser segnalato, per tutta



la sua azione igienica, quello di Padova) non se ne curano. Non se ne curano nemmeno per valersi delle disposizioni di Pubblica sicurezza, secondo le quali potrebbero opporsi a questo continuo aprirsi di nuove osterie e bettole, e esigere la chinsure degli esercizi all' ora prescritta.

Poi abbiamo contro di noi gli interessi dei produttori di questo veleno in maschera, e anche di quelli che, sia col bicchiere, sia col bicchierino, lo dispensano. E quindi, noi anti-alcoolisti, ci tiriamo addosso tutt' altro che le loro benedizioni.

Ma questo non deve distoglierci dal compiere il nostro dovere d' uomini e di cittadini. Ben al disopra dell' interesse particolare di Toni, di Mènego e di Bastian, del possidente tale e dell' industriale tal altro, sta il grande interesse collettivo vostro, e di tutti. E non solo quello della borsa, ma quello della salute, della pace, della bontà, della dignità dell' onore, e di tutto il resto.

E se vi sarà meno gente che dà da guadagnare a tutti quelli che speculano sull' alcool,—produttori, industriali, osti, bettolieri, (compresi i tenitori di bar, i tabaccai, e certi caffettieri.) invece di aprirsene ogni giorno di nuove di quelle trappole, se ne andranno chiudendo.

I tenitori, in parte si metteranno a vender bevande che non fanno male, come si è già cominciato in certi paesi, con la cosiddette trattorie di temperanza; altri, penseranno a lavorare in altro modo.

E sarà tanto di guadagnato anche per essi e per le loro famiglie. Infatti, le statistiche provano anche questo, che è ben naturale: le più numerose vittime dell'alcool, si riscontrano fra quelli che lo vendono, e nei lori famigliari.

(In Francia, dove la mortalità per alcoolismo, fra i contadini è del 9 per cento, è del 21 per cento fra gli osti, e del 27 fra i liquoristi e i camerieri di caffè ecc.)

E allora anche i proprietari di terre, i fabbricatori di liquori e… di vini, (giacchè sapete che si suol dire che il vino si fa anche con l'uva,) e lo stesso Governo, penseranno,—invece che ad altri vani modi di superare la crisi vinicola—a quello cui li spingerà l'interesse, e che avrebbero dovuto pensar prima, per coscienza.

E cioè: 1°ree; limitare di molto, e preferibilmente alla collina, (dove la produzione è minore e migliore) la coltivazione della vite; e per buona parte dell' uva (che è una vera medicina, tanto è salutare) adottare il sistema, già trovato, della conservazione.—2°ree; Adoperare diversamente, per usi industriali, gran parte dell' alcool che ancora si producesse.

Inoltre, sarebbero necessarie:

Leggi più restrittive, e applicate, riguardo agli spacci di bevande alcooliche e ai loro tenitori, e all' ubbriachezza.

Istituzione di speciali luoghi di cura per gli alcoolisti.

Apertura di trattorie di temperanza.

Rendere obbligatorio l'insegnamento anti-alcoolista nelle scuole e nelle caserme. In queste, e nelle fabbriche, nelle officine, nei laboratori, nei pubblici ritrovi, nelle stazioni, nei tram, sulle cantonate, a grandi caratteri, esporre avvertimenti riguardanti i danni dell' alcool.

Promuovere Leghe di temperanza, specialmente fra i giovinetti delle scuole.

Ma per arrivare a questi risultati converrebbe essere in molti a combattere contro il nemico. E invece, oltre agli interessi di quelli che guadagnano sull' alcool, abbiamo contro di noi, prima di tutto, ripeto, l' indifferenza del Governo. Anzi il Governo è in vari modi complice, incoraggiatore, dei vizi del popolo; cominciando da quel birbo gioco del lotto ch' esso vi offre e che è una tassa di più e delle peggiori.

In quanto ai privati, vi son tanti i quali, non contenti di non interessarsi di queste cose, mettono in ridicolo quelli che se ne occupano. Ci chiamano esaltati, gente che ha buon tempo, seccatori del prossimo.

«Mi no vado a combàtar»—non voglio seccarmi—la gran parola del nostro dialetto, che si ripete continuamente, e che ci fa poco onore… «Pensi per sè, chè vivrà più a lungo» mi son perfino sentita dire.

Ma vi pare che, se si avesse a pensare solo per sè, senza amare e aiutare il prossimo, e esserne amati e aiutati, sarebbe un bel vivere? Brr, che freddo, amici! E quali conti da rendere al Padre comune!

E intanto, perchè non si vuole andar a combatar, i nemici, ben più terribili di qualunque esercito sul campo di battaglia, si avanzano sempre più, contro di noi e contro il nostro paese.

E se seguitiamo di questo passo, in pochi anni gran parte della popolazione—soprattutto per eredità—sarà alcoolizzata, e appestata da germi ancor più tristi, quelli della corruzione.

E poi si avrà coraggio di dire che si ama la patria? Pensare a tutto quello che hanno fatto e sofferto i nostri vecchi per liberarla e farne una grande nazione! Se vedono in giù, sarebbero essi contenti di noi?

Nella già citata conferenza di Padre Roberto, leggo, a proposito del suo confratello, il Padre Matthew, che aveva vinto l' alcoolismo in Irlanda:

«Mentre il frate redimeva l' Irlanda moralmente, O' Connell la sollevava, e la redimeva politicamente. Ben si può dire che il leader((1) Parola inglese, che si pronuncia lider, e significa guidalore.) della politica combattè a fianco del leader della morale, e che la temperanza predicata dal Matthew preparò quella forza d' animo e quella tenacia di volontà, per le quali i popoli diventano liberi.»

Badate: liberi dallo straniero, ma liberi anche da quegli altri, e più terribili, nemici e tiranni, che sono i vizi.

In fondo a tutti i malanni, c' è quello che non ci amiamo abbastanza. Da questo dipende l' indifferenza, e da questo in gran parte derivano quelle continue lotte, di persone e di partiti, per le quali ci rodiamo il fegato l'un l'altro, con questo bel costrutto!

Mentre, invece, se ci si avvicinasse almeno per le cose nelle quali non è questione nè di religione nè di politica - come sarebbe l' alcoolismo - oltre a vincere i nemici, perchè l' unione fa la forza, s' imparerebbe a conoscerci meglio, a compatirci, (così ci si correggerebbe un po' dei nostri difetti) e quindi ad aiutarci a vicenda anche in altre cose.

Possibile non abbia a venire il giorno nel quale si finisca con l' intendersi, se non nelle idee, almeno in quella carità, cioè in quell' amore, nel quale, come dice S. Paolo, «sta tutta la legge»? e senza il quale non può esistere nè vera religione, nè vera giustizia, nè vero amor di patria?

Ma, prima vi farvi un certo invito per un' altra sera, mi viene in mente di rispondere ad una certa domanda che scommetto vi sarete fatta più volte durante la mia chiacchierata.

«Che cosa pretenderebbe dunque questa signora? che non si abbia a berne neanche un un poco di quel buono? adesso poi che si può averlo per niente! Che s'abbia a rinunziare all' allegria di riunirsi intorno ad un fiasco? Acqua sola? Che malinconia! Noi la ringraziamo tanto, ma non andiamo d' accordo».

Sentite, amici. Vi dirò che, fra gli anti-alcoolisti, vi sono due scuole. Quelli che stanno per l' astensione completa, e quelli che si accontentano della temperanza, di una cosa onesta, come dicono i nostri contadini.

Io vi dichiaro che, per conto mio, sto coi primi, tanto è l' odio (e stasera ve ne sarete accorti!) che sento per l' alcool, a motivo di tutto il male ch' esso fa a questo mondo.

Starei per l' astensioue anche perchè, ripeto, si comincia con poco, e non si sa dove si vada a finire. Quanti sono stati temperanti per anni ed anni, e poi, l' occasione, o la compagnia, o per farsela passare in qualche dispiacere, o per chissà che, han finito con lasciarsi prendere la mano.

In quanto all' allegria, è questione di gusti. A uno fa allegria il vino, ad un altro fanno allegria altre cose. A me, per esempio, che volete, figliuoli? fa allegria una tavola preparata senza vino.

Voi non ve la potete neppur figurare, non è vero? una tavola prepar ata senza vino. Eppure, vi dirò anche questa: adesso vi son famiglie che hanno bandito il vino dalla loro tavola.—E io mi son trovata più volte, a pranzo, in qualcuna di quelle famiglie; e vi assicuro che siamo stati allegri lo stesso, e forse di più. Vi pare impossibile?

Il vino, è vero, mette in corpo un' allegria liversa….. Ma è proprio allegria vera di quella genuina? che dopo lascia contenti, e tranquilli? E quante cosiddette allegrie non finiscono nelle più grandi malinconie di questo mondo?

Basta, a me non tocca dettar legge. Io mi accontento di avervi dimostrato tre cose:

1. che il vino (salvo in certi casi di malattie acute) non dà salute, nè forza vera, tanto che, di solito, gli astemi son quelli che stanno meglio, che son più forti e che vivono di più;

2. che anche il bere moderato può render più difficile la lotta che dobbiamo sostenere contro i nervi e contro le passioni;

3. che è facile andar crescendo, finchè non si sia più padroni di frenarsi.

Del resto, ognuno rifletta, sperimenti, e risolva da sè.

E ora, veniamo all' ultima cosa che volevo dirvi.

È vero, pur troppo, amici, che non avete altro, o quasi altro, che l' osteria; ed è altrettanto vero che anche nella questione dell'alcoolismo entra la questione sociale… Ma abbiamo tutti il dovere di tendere a rimediare, senza aspettare d' aver conquistato tutto quello a cui si aspira, lasciando intanto rovinarsi quelli che ci sono adesso, e, in questi, quelli che verranno dopo; dobbiamo cercar di rimediare, accontentandoci intanto del poco, per farcene gradino, via, al molto.

Quello che si dovrebbe fare dal Governo e dai Municipî, con le leggi e coi regolamenti, e quello che dovrebbero fare i privati in generale, con le associazioni e con la propaganda, l' abbiamo visto. Ora vediamo che cosa potreste far voi, amici operai, per aiutarvi in questa lotta, che non è di classe, ma di umanità.

Infatti, non è a meravigliarsi che frequentiate le osterie. Avete delle brutte abitazioni, (se le facessero, finalmente, queste benedette case popolari!) spesso avete la famiglia dispersa, o, per le difficoltà della vita e la scarsa educazione, poca pace in casa. Perciò non può far piacere l'idea di passarvi la sera e il giorno festivo.

Non avete cose adattate e di poca spesa da leggere. Quello che più avete sottomano sono i pettegolezzi della cronaca, spesso assai poco edificanti, e quei pessimi giornali illustrati che si trovano per le edicole, pieni di porcherie, e di brutte figure a bruttissimi colori, che non so se offendano più la morale, il buon senso o il buon gusto.

È ben triste e vergognosa cosa per noi, che si sia finora pensato così poco, in Italia, a buoni periodici popolari, e a spargere libri, opuscoli, foglietti volanti, massime, figure, che vi istruiscano su tutte le cose e tutti i pericoli della vita, su tutti i doveri e i diritti umani, che aiutino voi e le vostre donne a educare i figliuoli.

Giacchè questi spesso riescono malsani o cattivi per l' ignoranza propria, e soprattutto per l' ignoranza dei genitori, che non hanno saputo allevarli igienicamente da piccoli, e più tardi non sanno educarli.

Non avete nessun divertimento, tranne le carte e le bocce; e anche quelle le trovate all' osteria.

Che cosa fare, dunque, per passarsela un po', alla sera e alla Domenica, fuori dell' osteria? che cosa fare per istruirsi, per educarsi un po'meglio?

È tanto tempo che vado mulinando nella testa questi pensieri, piena di tristezza per non poter rimediare. E quanti quanti sogni ho fatti, specialmente pensando a quello che, dal popolo o per il popolo, si fa in altri paesi…

Basta, lasciamo andare, per adesso, i sogni. E dico per adesso, giacchè molte cose le quali in passato parevano sogni, son diventate realtà. Molte, sì, ma ancora troppo poche—oh! troppo poche…. Il mondo, amici, ha da farne della strada ancora,—e quanta!…

Dunque ora ci sarebbe da vedere che cosa di pratico si potrebbe provare intanto, così, per cominciare questa battaglia contro il nemico, anzi contro i nemici.

Io ce lo avrei un progetto da esporvi e da mettere in discussione. Ma questa non potrebbe aver luogo stasera, perchè vi ho trattenuti già troppo a lungo.

Perciò vi pregheremo di tornare un altro giorno. apposta per sentire il progetto, (che altri amici vostri appoggeranno,) e farci su i vostri ragionamenti; giacchè ognuno potrà dire la sua. Anzi, sarei tanto contenta se intanto ciascuno pensasse una cosa che gli piacerebbe, e si preparasse ad esporla, così, alla buona, come vi ho parlato anch' io, e anche più alla buona ancora, se occorre.

Se tornate, e conducete con voi altri, e anche le vostre donne, sarà segno che siete pronti a ribellarvi alle peggiori schiavitù: quella dell' ignoranza e quella del male, così strettamente congiunte. Sarà segno che volete preparare a voi stessi e ai vostri figliuoli una vita più degna e migliori conforti. Sarà segno che, contro ogni difficoltà, siete armati di quell' arma che, fra tutte, è la più potente, la buona volontà.

Lieta in questa speranza, io vi saluto, amici, con le parole le quali, nell' ora pìù solenne che registri la steria, ai più umili fra il popolo, annunziarono



Cristo, l' Apportatore della buona novella, il divino Rivoluzionario, il primo Compagno vostro, o lavoratori: «Pace in terra agli uomini di buona volontà».

Chi è? pag. 3

Traditore! » 6

Quello che dice la scienza e quello che dice l' esperienza » 9

All' ospedale » 15

Al manicomio » 17

In galera » 20

Poveri figliuoli! » 23

E poi? » 29

A precipizio » 38

Gli altri nemici » 43

Siamo onesti! » 48

Sì, anche alle ragazze » 52

Quello che fanno gli altri » 55

Quello che non facciamo noi » 57

E dunque? » 63

Agli «uomini di buona volontà » 65

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Franco di porto
Rivolgersi alla Tipografia del Pio Istituto Turazza—Treviso.