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ALESSANDRA MACINGHI NEGLI STROZZI

LETTERE
DI UNA
GENTILDONNA FIORENTINA
DEL SECOLO XV
Al FIGLIUOLI ESULI
PUBBLICATE
DA CESARE GUASTI

IN FIRENZE
G˙ C˙ SANSONI, EDITORE
1877

Verso of Title Page

Tip˙ e Lit˙ Carnesecchi, Piazza d' Arno

Dedication

ALLE DONNE ITALIANE
LE QUALI PREGO
LEGGANO QUESTO VOLUME
COL CUORE

PROEMIO

LETTERE DI MADONNA ALESSANDRA MACINGHI NEGLI STROZZI

LETTERA PRIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio˙ A dì 24 d' agosto 1447.

Carissimo figliuolo. A' dì passati ebbi una tua de' 16 di luglio, alla quale farò per questa risposta.

E ' n prima t' avviso come, per grazia di Dio, abbiàno allogata la nostra Caterina al figliuolo di Parente di Pier Parenti, ch' è giovane da bene vertudioso, ed è solo, e ricco, e d' età d' anni venticinque, e fa bottega d' arte di seta; e hanno un poco di stato, ch' è poco tempo che' l padre fu di Collegio. E sì gli do di dota fiorini mille; cioè, fiorini cinquecento ch' ell' ha avere di maggio nel 1448 dal Monte; e gli altri cinquecento gli ho a dare, tra danari e donora, quando ne va a marito; che credo sarà di novembre, se a Dio piacerà. E questi danari sono parte de' vostri e parte de' mia. Che s' io non avessi preso questo partito, non si maritava quest' anno; però che, chi to' donna vuol danari; e non trovavo chi volesse aspettare d' avere la dota nel 1448, e parte nel 1450: sicchè, dandogl' io questi cinquecento tra danari e donora, toccheranno a me, s' ella viverà, quegli del 1450. E questo partito abbiàn preso pello meglio; che era d' età d' anni sedici, e non era da ' ndugiar più a maritarla. Èssi trovato da metterla in. maggiore istato e più gentilezza, ma con mille quattrocento o cinquecento fiorini; ch' era il disfacimento mio e vostro: e non so come la fanciulla si fussi contentata; che, dallo stato in fuori, non v' è grascia, che ci è de' soprossi assai. Ed io, considerato tutto, acconciar bene la fanciulla, e non guardare a tante cose: e parmi esser certa la starà bene come fanciulla di Firenze; che ha la suocera e' l suocero che ne sono sì contenti, che non pensan se non di contentalla. O! Non ti dico di Marco, cioè il marito, che sempre gli dice: Chiedi ciò che tu vuogli. E come si maritò, gli tagliò una cotta di zetani vellutato chermisi; e così la roba di quello medesimo: ed è' l più bel drappo che sia in Firenze; se lo fece ' n bottega. E fassi una grillanda di penne con perle, che viene' fiorini ottanta; l' acconciatura di sotto, e' sono duo trecce di perle, che viene fiorini sessanta o più: che quando andrà fuori, arà in dosso più che fiorini quattrocento. E ordina di fare un velluto chermesi, per farlo colle maniche grandi, foderato di martore, quando n' andrà a marito: e fa una cioppa rosata, ricamata di perle. E non può saziarsi di fare delle cose; che è bella, e vorrebbe paressi vie più: che in verità non ce n' è un' altra a Firenze fatta come lei, ed ha tutte le parti, al parere di molti: che Iddio gli presti santà e grazia lungo tempo, com' io disidero.

Del mandare Matteo di fuori, non vorrei per ora; pero che, perchè sie piccolo, pure ne sono più accompagnata, e posso mal fare sanz' esso; almanco tanto la Caterina ne vadia a marito: poi mi parrebbe rimanere troppo sola. Per ora non ho il capo a mandarlo: che se vorrà esser buono, lo terrò qua; che non può esser preso per le gravezze insino a sedici anni, ed egli ebbe undici di marzo. Hollo levato dall' abbaco, e appara a scrivere; e porrollo al banco, che vi starà questo verno: dipoi vedrèno quello vorrà fare; che Iddio gli dia quella virtù che gli fa bisogno.

De' fatti del Comune, t' avviso che ho debito fiorini dugento quaranta, e sono istata molestata da no' meno di quattro Ufici, che hanno a riscuotere pel Comune: da se' mesi in qua non ho mai avuto a fare altro, che andare ora a questo Uficio e ora a quest' altro. Ora, per grazia di Dio, mi sono accordata co' loro per ensino a febbraio; che pago, tra tutti, il mese fiorini nove o circa. Aspettasi che la gravezza nuova esca fuori per tutto ottobre; che se mi fanno il dovere, come dicono, di non porre albìtro a vedove e pupilli, non arò duo fiorini; che forse non farò tanto debito. E poi che' l Duca è morto, istimasi non se ne pagherà tanti, se già il Re di Ragona non ci dessi noia; che già ha cominciato presso a Monte Varchi, a un castello che si chiama Cennina. Dicevasi, quando l' ebbono, che si riarebbe l' altro di, chè non vi potevano istare. Sonvi già stati tre settimane, e ancora sono atti a starvi; che v' era drento tal contadino, che solo del grano e della roba vi lasciò si dice ne viverebbono un anno. Dícesi che innanzi si riabbia, si spenderà più che quaranta migliaia fiorini. Iddio provvegga a' nostri bisogni.

Dice la Caterina, che tu faccia ch' ell' abbia un poco di quel sapone; e se v' è niuna buon' acqua o altra cosa da far bella, che ti prega gliele mandi presto; e per persona fidata, chè se ne fa cattività.

Non ti maravigliare s' io non ti scrivo ispesso, che sono infaccendata ne' fatti della Caterina. Ristorerotti quando Matteo arà apparato a scrivere: ma non guardare a me. Fa' che per ogni fante mi scriva, se no' dovessi dir altro che tu sta' bene, e Niccolò. Non so come tu ti porti nelle faccende che tu hai a fare, come se' sollecito: che Iddio il sa, il dispiacere ebbi quando intesi non potevi venire quando fusti a Livorno; perchè tal cosa si dice a bocca, che non si dice per lettera. Che a Dio piaccia vi rivegga sani enanzi ch' io muoia. Fa' sopra tutto, figliuol mio, che tu ti porti bene en modo, che dove l' anno passato mi desti tanto dolore de' tua tristi modi, tu mi dia consolazione:. e considera allo stato tuo, e quello che Niccolò ha fatto inverso di te, che se' degno di baciare la terra dove e' pone e piedi. E dico quello medesimo per tuo amore, chè se' più obrigato a lui che a tuo padre o tuo' madre, quando penso quello ha fatto di te, che niun altro l' arebbe fatto; sicchè fa: ne sia conoscente, e non essere ingrato del benificio hai ricevuto tu e' tua, e ricevi tu continovamente. Non mi voglio distendere in più dire; che mi debbi oggimai intendere chè non se' un fanciullo; che di luglio n' avesti diciannove, e bastiti. Fa' soprattutto masserizia; che ti bisogna, chè sta' peggio non ti credi. Nè altro per questa m' accade dirti. E Dio di male ti guardi. None scrivo a Niccolò della Caterina, che n' è stato avvisato da Giovanni e Antonio. Raccomandaci lui. E se se' cassiere, portati en modo abbia onore; e tieni le mani strette, ch' io n' abbia avere più dolore ch' io abbia avuto.

LETTERA SECONDA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 4 di novembre 1448.

Ne' dì passati ebbi una tua de' dì 8 d' agosto, alla quale non ho fatto prima risposta perchè ho auto male di scesa più d' un mese; e rincrescemi oggimai lo scrivere, chè forte invecchio, e divento poco sana plu l' un dì che l' altro. E ancora non ho sollecitudine a scriverti, perchè fo iscriverti a Matteo; e sì perchè s' avvezzi a dettare un poco le lettere; chè quando iscrive adagio, e che ponga il capo a quello ha fare, iscrive bene: e così dice Antonio Strozzi, e Marco (che ho mostro loro de' fogli ch' egli scrive), che ha buona forma di lettera: ma quando iscrive ratto, diresti che non fussi di suo' mano; e tal differenza è da l' una a l' altra, quanto, il bianco dal nero: e no gli posso tanto dire, che voglia iscrivere adagio. Fa' , quando gli scrivi, ne ' l riprenda, chè gioverà; e che sia buono e riverente; chè pure teme quando tu gli scrivi: e scrivigli ispesso, acciò che abbia cagione di scrivere a te. E quando tu scrivi a Marco, raccomandagliele; e così a Antonio degli Strozzi: chè ciascuno di loro gli può dare buono ammaestramento; e temerà più loro che me. Che Iddio a tutti dia quella grazia e virtù ch' io disidero.

Da Lorenzo a questi dì ebbi una lettera de' dì ventotto di settembre, e l' apportatore ne fu Pagolo Salterelli, elle mi dice che Lorenzo si doveva partire a' dì 21 di settembre per Londra, e la compagnia che doveva andare con lui si partì e no gli fece motto, sì che rimase a piè: e così mi scrive Lorenzo, e che crede vi starà buon pezzo innanzi che truovi compagnia; e anc' ora siàno nel verno: che se non è partito, potrebbe istare tutto il verno a partirsi; chè è cattivo tempo a cavalcare sì lungo viaggio: e non so come s' ha il modo a stare a Vignone insino a primavera, bisognando. E malvolentieri, potendo istare altrove, lo manderei a Londra, perchè sento v' è la morìa, e Bruggia; chè, secondo iscrive Iacopo, ve ne muore otto e dieci per dì; si che v' è mala istanza per ora. Iddio gli dia a pigliar buon partito. Insino d' agosto ci venne Granello da Ricasoli, e domanda' lo molto di Lorenzo. Dissemi infine, ch' era di buono sentimento; ma che aveva bisogno di persona sopra capo, che lo tenessi in paura, chè farebbe bene. Io ho scritto a Iacopo quello mi pare sia di bisogno; e quando sentirò sia partito per andare a Londra, iscriverrò a Lodovico e farogli scrivere a Antonio quello fia utile: chè non mi pesa però tanto la penna, che quando s' ha scrivere cosa che sia utile per voi, ch' io nollo faccia; e de' fatti tua e de' sua ho provveduto al tempo, quando è stato di bisogno. E basti.

In questa state mi venne a vedere Piero de' Ricci; che l' ebbi molto caro, e domanda' lo di te. Dissemi che tu stavi molto magro della persona ma che eri sano; e che tu non avevi desto, come bisognerebbe; e che Niccolò si portava così bene di te, che mi piace. E priegoti ne sia conoscente de' benifici ha' ricevuti da lui, e siagli ubidiente più che se fussi padre; chè non potresti fare mai tanto bene, che lo meritassi di quello ha fatto a te: sicchè giusta tuo' possa, non essere ingrato inverso di chi t' ha fatto uomo. Che Iddio di te e degli altri mi faccia contenta.

Del lino non t' ho mai scritto alcuna cosa, chè te l' ho fatto iscrivere a Matteo; e parmi che se hai ' l capo a mandarlo, ti sia troppo indugiato a comperarlo, che no l' arai a sì buono mercato come l' aresti auto già fa uno mese: né ancora, chi mi l' avessi arrecare, n' arei migliore mercato della vettura; chè un mese fa mi promisse il Favilla vetturale recarme in dono: or non so come si farà. Avvisamene quanto n' ha' fatto.

I' ho ' vuto lettere da Roma, d' Andrea Bizeri, come t' aveva mandato il finocchio. Ara' lo dipoi auto: avvisane, a ciò possa ringraziare chi te lo mandò.

El Re si dice ch' è tornato costà: avvisane qualche cosa. Che Iddio metta pace per tutto. Fa' di scrivere a Lorenzo; che mi dice è assa' tempo non sentì novelle di te. Fa' di scrivergli duo versi; e sempre gli ricorda il ben fare, chè non fia altro che utile.

La morìa ci fa pur danno, da quattro a cinque per dì; e a' dì 29 del passato si disse che n' era morti undici di segno: ch' è mala novella per noi, che non abbiàno il modo a fuggire. A Dio piaccia provvedere a' nostri bisogni.

Avvisoti come pel Comune si vendè una casetta di messer Palla a Niccolò d' Ainolfo Popoleschi, la qual casa confina colla nostra da duo latora, che è in sul canto della via dirieto, cioè tra la stalla e la camera terrena nostra, e ' l muro di detta casa è in sulla corte nostra; Che da lato ritto all' entrar della corte v' è la nostra casa vecchia, e da lato a l' uscio dirieto v' è la stalla nostra, come tu sai, e da lato manco v' è il muro di detta casa. Ora di nuovo il detto Niccolò Popoleschi l' ha venduta a Donato Rucellai, fratello di Giovanni; e lui ha mandato a me, ch' io gli debba dare parola che comperi detta casa, chè no ne può far carta sanza la parola mia, perchè non v' è altri ch' io a' confini. Hogli risposto, c' ho veduto che la casa è mia compera prima che altri, e ch' io lo voglio iscrivere a' mia cognati e a te, e quello diliberrete se ne faccia, se ne farà: e dicoti che s' io avessi il modo a danari, non m' uscirebbe delle mani; però che se altri la compera e volessi murarvi, ci toglie il lume a la cocina terrena e alla corte e a tutto il terreno dirieto; che non varrebbe nulla questa casa, ogni volta perdessi il lume della corte. Sicchè te l' ho voluto iscrivere; e mostra questo capitolo a Niccolò, che intenderà meglio, e ricorderassi di questa casetta meglio di te. Sarebbe la spesa in su' settanta florini, però che se n' ha fiorini sei di pigione: e non ti posso iscrivere appunto il pregio, chè insieme con questa ha venduta quella ch' era di madonna Maddalena o vero del Conte da Poppi; sicchè di questa non ci è pregio, ma vassi secondo la pigione. E s' i' fussi nel 50 come i' sono nel 1448, non me la lascerei uscir di mano, che la pagherei de' danari s' hanno a riavere dal Comune; che gitterebbe un grande acconcio a questa casa. E nollo dico per me, che poco tempo ci ho a vivere; nia per voi, o per chi di voi uscissi; Che sempre non si starà in tante fatiche: Che con quella casetta s' acconcerebbe questa, che sarebbe la più bella casa di questo quartiere. Io non arei lasciato per cosa del mondo ch' io non ve n' avessi iscritto. Avvisate ora di vostro pensiero; ma fa' di rnostralla a Niccolò che intenderà me' di te tutto. Che Iddio vi dia della suo' grazia. Né altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, in Firenze.

No' siàno per grazia di Dio sani.

LETTERA TERZA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. Al dì 13 di luglio 1449.

Per Soldo ebbi l' ultima tua, che fu de' dì 3 del passato; e non ho fatto prima risposta, aspettando farla per Matteo: farolla per questa. Avvisoti come Soldo giunse qui a' di 15 del passato, ed era di malavoglia. Anda' lo a vicitare più volte, e ragionammo insieme del mandare Matteo, come ero contenta di farne la volontà di Niccolò e tua, veduto il gran disidèro avete di tirarlo innanzi e farlo da qualche cosa non guardando a la consolazione mia, ma all' utile vostro, come sempre ho fatto, e così farò insino al fine. E pensa se m' è dura cosa, quando penso come io rimasi giovane allevare cinque figliuoli, e di poca età come savate E questo Matteo mi rimase in corpo, ed òmello allevato credendo che altro che la morte no ' l partissi da me; e massimamente, di tre, avendone due di fuori, mi pareva fussi a bastanza. Ora veggo quanto me n' avete iscritto, e mostromi le ragioni che questo è l' utile e l' onore vostro; e simile me n' ha detto Soldo: ho diliberato non guardare che di tre figliuoli niuno n' abbia a' mie' bisogni, ma fare il ben vostro. E si t' avviso come l' ho messo in punto d' ogni cosa; cioè, un mantello nuovo in quella forma mi disse Soldo, e un gonnellino pagonazzo, e un farsetto di quello medesimo, e camice, e altre cose che mi pare sia di bisogno; e simile e coltellini, e pianelle fratesche, e palle, e tutto quello ha' chiesto a Matteo, è comperato. Ebbi da' Capponi, con parola di Soldo, per comperare quello e' fa di bisogno, fiorini otto.

Ora, dovendo partire a questi dì, il fanciullo è ito a vedere e a far motto a questi mia e vostri parenti. Infine, tutti m' hanno gridato ch' io ho poco caro questo fanciullo, e ch' i' sono una pazza a rnandallo per questo tempo; sì per la morìa ch' è per tutto, e sì pel gran caldo ch' è, che le persone grandi e che son usi a cavalcare, è loro ispiacevole il camminare, non che al fanciullo, ch' è di gentile compressione: che se pella via non ammalassi di morbo (che non sare' gran fatto), per gli alberghi che hanno a fare, son certa nol condurrebbe sanza una febbre; chè conosco la natura sua: e seguendone men che bene pella via, non riuscirebbe il pensier tuo, ed io non sare' mai più contenta, e detto mi sarebbe Ben ti sta. Che insino a Neri di Gin Capponi mi mandò a dire ch' i' ero una sciocca a mandallo. E più iermattina ci venono dua Frati dell' Osservanza di san Francesco, ch' erano molto amici di vostro padre, e sì mi sconfortorono del mandarlo ora; ch' è troppo gran pericolo. E tanto m' hanno detto loro, e gli altri che ci voglion bene, ch' io iscrissi duo versi a Soldo, che per verun modo non volevo mandallo ora; ma più qua a settembre che sarà migliorato la cosa, e passato il caldo, lo manderò. E non avendo altra compagnia, manderò Agnolo da Quaracchi, o Pagolo che stette con Niccolò quando era qua. E pertanto abbiate pazienza, pella salute sua, un mese e mezzo o due, il più; chè quando fussi morto, noll' aresti né tu ned io. A fine di bene fo tutto; sicchè dillo con Niccolò, che gli è ' n punto, e non ha se non a salire a cavallo: e altra ispesa non bisognerà fare, dal cavallo in fuori: che abbia pazienza do' mesi, che certo lo manderò. Che Iddio gli dia della suo' grazia, com' io disidero.

Mandoti sotto lettere di Marco una procura, che in quel modo la faccia fare; e togli notaio intendente, e in carta di pecora vuol essere: sicchè falla fare più presto che puoi, e mandala sotto lettere o, di Marco o d' Antonio Strozzi, . in quel modo venga più sicura; chè è di nicistà adoperarla pe' mia e vostri fatti.

Della casa non s' è fatto nulla; chè Donato Rucellai non è a Firenze per rispetto della' morìa che ci fa danno, che ci è dì ne va venti o ventiquattro: ed io ancora me ne vo a Quaracchi; e non sendo quivi buona stanza, n' andrò in quel di Prato. Si che per ora non si ragiona di casa; e non perdiàno le ragioni nostre: la casa non ha uscire di noi, s' io vivo.

Avvisoti come è morto Antonangiolo di Carlo Macigni, di morbo, in duo dì. Iddio gli abbia fatto perdono. La Ginevra di Niccolò Soderini dice ti scriverrà una lettera quanto vorrà faccia del lino. Ragionerò con Soldo di certi danari s' hanno a riscuotere per voi a Pesero: si che domandanelo, chè, troppo lungo sarebbe a scrivere. E ancora ti ricordo che quando Matteo verrà, o vero sarà costà, elle tu no gli faccia come ho sentito facevi a Lorenzo. Sieti raccomandato, chè non ce ne riman più. Né altro per questa. Iddio di male ti guardi. Raccomandaci a Niccolò. Non gli ho fatto risposta, che ho ' vuto tanta faccenda tra ordinare Matteo e accordarmi con que' delle Vendite e ordinare d' andare in villa, che ma' più non v' andai, ch' io non n' ho ' vuto agio. Poi Matteo è stato in villa, e sono stata sola. Abbiatemi per escusata. Per la tua Allesandra, in Firenze. Domattina, se a Dio piacerà, n' andrò in villa. Iscrivimi ispesso, e dove sete.

LETTERA QUARTA



A Filippo degli Strozzi, in Salerno.

Al nome di Dio. A dì 26 dicembre 1449.

Ho ' vuto più tue d' agosto in qua, e mai a niuna l' ho fatto risposta: e la cagione ne fu, prima il male mio, che mi cominciò a dì nove settembre. Poi a dì 26 di detto, cominciando la morìa a Quaracchi, allato a noi, ne mandai Matteo in Mugello alla Caterina e a Marco, ed èvi stato più di duo mesi: sicchè però non t' ho risposto alle tue, chè io non potevo, e Matteo non era meco. Farotti risposta pell' avvenire, se a Dio piacerà.

Da Marco fusti avvisato come i' ebbi el mal de' pondi, e com' io dovevo fuggire in Mugello a casa sua la moria, che già s' appressava a Quaracchi; e venendomi el male, non mi pote' partire: e mentre avevo male, ne comincio a morire quivi, come t' ho detto di sopra. E non sendo migliorata en modo ch' io potessi andare in Mugello, Zanobi mio fratello mi mandò a dire mi levassi di quivi, e andassi a stare co' lui a l' Antella, che v' era sano e buona stanza: e così feci: che stavo in modo, ch' a fatica mi vi condussi; e per grazia di Dio i' guari' . E trovandovi buon essere, e sendo nel prencipio già del verno, e presso a Firenze; istimando che la cosa ci migliorassi, come ha fatto; e ancora sentendo Niccolò voleva passare di qua; io non mi parti' di quivi, e sonmivi stata insino a di 16 di questo, che siàno tornati in Firenze per cagione della venuta di Niccolò; che mi vi sare' stata ancora duo mesi, tanto che qui fussi netto a fatto, che non ci morissi più niuno di segno; che ancora ne va quando quattro, e quando cinqu' e sei per di. Vero è, ch' è di otto non ci ène ito più d' uno il dì: e perchè ha fatto altre volte a questo modo, non ci s' assicura la brigata. A Dio piaccia liberar tutto da questa pistolenza.

Fu' avvisata da te, e prima da Soldo degli Strozzi e da Matteo di Giorgio, della morte del nostro Filippo; che n' ebbi un gran dispiacere, ed ho, considerando il danno che getta a noi prima, e poi a tutta la casa; che la virtù sua era tanta, che a tutti dava riputazione. Non si può riparare a questa morte: convienci avere pazienza a quello vuole Iddio. Ancora mori F. della Luna; che n' è stato un gran danno. E qua morì Antonangiolo Macigni, e molti altri nostri parenti degli Strozzi. E a questi dì è morto la Margherita di Pippo Manetti con dua figliuoli: sicchè questa volta ci è tocca la nostra parte. A Dio piaccia per suo' misericordia far fine. E po' rispetto della morte di Filippo, ho tue lettere e da lacopo, come Niccolò e lui s' hanno accozzare a Barzalona: che Iddio dio loro buon viaggio. Avvisimi ch' io faccia onore a Niccolò, che iscavalcherà in casa nostra; e come ne menerà Matteo seco a Barzalona, e ch' i o lo metta in punto. Così ho fatto, e aspettolo co' letizia; chè ho gran voglia di vederlo. Io m' ingegnerò di fargli quello onore che a me fia possibile. So non potrei nè saprei fare quello onore che merita; ma arammi per escusata quando farò quello ch' i o potrò, e fia volentieri: che Iddio lo conduca a salvamento. Ieri senti` ch' era a Roma: istimo si partirà di là fatto le feste, e qui l' aspettiàno a dì 4 o 5 di gennaio.

Per Soldo ti mandai due palle gonfiate e un paio di coltellini e una dozzina di penne; chè veduto che Matteo non veniva, le die' a lui. Avevo ordinato di mandarti le pianelle fratesche, e gli sciugatoi e' fazzoletti, tutto per Matteo: ora conviene le mandi per altri. Avvisami se di costà ci viene vetturali. E ancora -ti manderei del finocchio, vogliendone. El panno per le camice è ordinato di farlo; che insino a ora abbiàno penato a filarlo, perchè n' ha ' vere l' Alessandra le camice. Sarà in tutto braccia cento dieci o dodici; ed è fine, forse troppo per camice; che quando sarà fatto, e bianco, vogliendolo vendere, arò grossi quattro del braccio; che così si vende: ma nollo puoi avere prima che aprile o maggio, per rispetto dello ' nbiancare. Quel fino mi mandasti, m' ha fatto una bella riuscita. Vendenne libbre 12 e mezzo grossi 25. Quando t' abbattessi averne del buono, e dell' altro a buon pregio, to' lo per me, e avvisami del costo: e dove vogli e danari, e darogli. To' ne insino a libbre dugento. Credo quest' anno che viene, qua se ne ricorrà poco. Io non ho però fretta; ma quando ti venissi alle mani la buona derrata, te lo ricordo.

Sono avvisata che vorresti ch' io ti mandassi per escritta ciascuno debitore da Pesero, e le chi avere ch' i' n' ho: e farollo ora ch' i' sono tornata a Firenze. E quando Niccolò sarà partito di qua, tutti gli leverò in sun un foglio, en modo lo ' ntenderai: e' mallevadori di detti debitori ancora ti leverò; e tutto ti manderò.

Della casa di Donato Rucellai no s' è fatto per questa morìa, che non ci è stato a Firenze: avvisandoti che l' è mie' compera, e può tenere sanza mia licenza; e a me non termine, che ho tempo parecchi anni a comperalla aspetto il termine de' fiorini cinque della dota della Caterina: come tu sai, viene il primo dì d' aprile nel 1450; allora potrò fare col nostro, e vedrèno quello che vorrà dire quando arò e danari en mano.

Credo che da Marco se' avvisato come la Caterina è grossa; ed ha a fare il fanciullo a mezzo febbraio. A me parrebbe, essendo in quello stato, pigliarne sicurtà che no si perdessi que' cinquecento fiorini s' hanno avere dal Monte; che si perderebbe l' avere e la persona a un' otta: che se Iddio facessi altro di lei innanzi aprile, ce gli perderemmo. I' l' ho detto con Antonio degli Strozzi: in ogni modo gli pare si spenda fiorini 12; che così costerà di sicurtà per questi tre mesi, cioè gennaio e febbraio e marzo. Aspetterò Niccolò, poi ci ha essere tosto, e farò quanto me ne dirà. Marco no gli pare si faccia; che, dice ch' ella istà si bene della persona, che, no gitterebbe via questi parecchi fiorini: e a me pare di volègli gittare, e stare nel sicuro. No gliene iscrivere però nulla, a ciò no l' abbia per male; ch' è faccenda tocca a noi. Priego Iddio ne la tragga al tempo debito con salute dell' anima e santà del corpo, come disidero.

Ho pensiero, piacendo a Dio, qua d' aprile venire per quel santo Perdono a Roma: e se per niuno modo tu potessi fare di venirvi, a ciò ch' io ti vedessi innanzi ch' io morissi, mi sarebbe una gran consolazione; che vedi ch' io non ho altro bene in questo mondo che voi tre mia figliuoli; e per la salute vostra mi v' ho levati a uno a uno dinanzi, non guardando a la mia consolazione: e ora ho tanto dolore di levarmi dinanzi questo utimo, ch' io non so come mi viverò sanza lui; chè troppo gran duolo sento, e troppo amore gli porto; chè somiglia tutto il padre, ed è fatto un bello garzoncello in questo tempo è stato in villa; elle avendol veduto prima, e vedendo ora, è rimutato. Piaccia a Dio n' abbia consolazione. E per tanto ti priego, Poi ch' i' rimango così isconsolata, darmi un poco di rifrigiero in questa mia venuta costà a Roma: che Iddio mi presti tanta vita ch ' io vi rivegga tutti, come disidero.

Da Lorenzo ho lettere d' ottobre, che sta bene: iscrivigli spesso, che faccia bene. I' ebbi la procura mi mandasti: quando bisognerà altro, te n' avviserò. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, in Firenze.

LETTERA QUINTA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 8 di febbraio 1449.

A' dì 30 del passato per Niccolò ebbi una de' dì 4 di dicembre, e dipoi a' dì 7 di questo ebbi un' altra tua de' dì 24 passato. Farò questa appresso risposta.

Veggo Niccolò alla partita sua t' ha lasciato carico del governo di costì,, e tutto ha rimesso in te: che mi pare abbi usato inverso e una gran liberalità, e grande onore t' ha fatto, e grande amore veggo ti porta; e hanne fatto ora tale isperienza ch' è noto a ciascuno: e, secondo le parole tue, mi pare tu lo conosca. E pertanto i' ti ricordo che tu faccia onore a chi n' ha fatto a te: che, secondo m' ha detto Niccolò, che portandoti bene a questo punto, e faccendo il debito tuo come t' ha ordinato, ti darà ta' luogo e aiuto, che tu rileverai la Casa tua, e me fara' contenta. E m' ha detto molti pensieri ha fatto sopra, a' fatti tua; che n' ho preso assa' conforto. Ed è cosa ragionevole, che faccendo ' l debito tuo, adoperando la virtù, che faccia quello che dice: si che tutto sta in te, l' utile e l' onore tuo, e la consolazione mia. E pertanto ti priego, consideri i' luogo dove se' rimaso, e lo ' ncarico t' ha lasciato Niccolò, che tu governi en modo abbia- onore; chè ora si coglie il fatto tuo, e ha' fare pruova di te in questo tempo Niccolò non v' è. Che se farai il contradio, mi dice se' spacciato, e che ma' più, gliene dica nulla, ch' i' perdere' tempo. So che conosci il bisogno tuo: e sopra ciò non dirò altro, se no che l' opera loda il maestro. Priego Iddio che ti dia quella grazia e virtù che ha' di bisogno.

Niccolò per grazia di Dio si condusse, come ho detto di sopra, qua a' di 30 passato, e qui en casa iscavalcò. Non ci è stato continovamente a mangiare, ch' è ito duo dì a casa Antonio degli Strozzi, e una mattina a casa Francesco della Luna, e una sera a cena co' Lionardo Mannelli: tutto i' resto del tempo è stato qui a mangiare e abergo continovamente. E così ci è stato la Lena sua sirocchia, e la moglie di Bernardo Tanagli, e la Ginevra d' Antonio da Ricasoli, e la Checca; e tutto il parentado ci è venuto a vedello: e Marco ancora ci venne di Mugello; che v' è la Caterina in parto, che ha fatto il fanciullo, e sta bene. Sì che gli è stato fatto grande onore da tutto il parentado: ed ècci venuto a vicitallo de' maggiori cittadini di Firenze. Io gli ho fatto in tutte le cose quello onore che m' è stato possibile, e volentieri: e quello non s' è fatto, è suto per non potere nè sapere più. Aràmi auto per escusata. Èmi stato la venuta sua di consolazione: e dispiacere m' è suto la partita del mio Matteo; che ancora non sono in me. Non mi distendo sopra il fatto suo per ora, che nulla ne potre' dire; ma per altra te n' avviserò. Partironsi di qua a' dì 6: che Iddio die loro buon viaggio e conducagli a salvamento.

La sicurtà ti scrissi fece Antonio degli Strozzi insino a' dì 7 del passato, costò fiorini dodici larghi, e grossi otto diè al sensale. Tutto pagò Antonio, sicurò e Quaratesi e' Capponi pe' tutto di 16 d' aprile nel cinquanta, e allora è il termine della dota della Lessandra, che oggimai è il tempo da tranne le mani. E ci è stato delle cose e de' ragionamenti per lei; ma non è paruto a Niccolò. Èssi ordinato alcune cose, che piacerebbono a tutti: ma Antonio Strozzi si va a Roma, e Marco è ritornato in Mugello: che non credo niuno di loro ci sia prima che a mezza quaresima; e par loro s' indugi tanto che tornino. Così farò, e quanto ne seguirà sarai avvisato.

Dell' andata da Roma, Niccolò me n' ha molto isconfortata, e dice che ' niun modo non vi vada: e per ora n' ho levato il pensiero. Se altro diliberrò, te n' avviserò.

Della casa di Donato Rucellai s' è ragionato con Niccolò, e medesimamente Donato s' accozzò co' lui, e no ne furono daccordo; che ne chiede più che cento fiorini, e non se ne viene quaranta. Abiàno fatto por mente che nolla può comperare nè lui nè altri sanza mia licenza, ed ho termine a comperalla anni trenta. E pertanto abiàno diliberato lasciarla istare, non perdendo le nostre ragioni, tanto che si rechi a le cose ragionevoli.

Chiesi el lino, e dissiti de' danari, perchè è mio pensiero rivenderlo e trarne il costo : e se mi venissi la libbra come quello mi mandasti, si raddoppierebbe e danari, essendo buono come quello dice Niccolò; che ' l mio non fu del vantaggiato: e qua pare bello, che ' l più grosso vende' duo grossi la libbra. Io no n' ho per ora bisogno; ma quando ti viene a le mani del buono e a buon pregio, fa' ch' i' n' abbia almeno libbre cento. Vorrò, quando l' Allesandra mi sarà fuori di casa, fare delle cose per voi. Che se Iddio mi dessi grazia che niuno di voi tornassi qua a casa vostra, abbiate delle cose vi sarà di bisogno. La Ginevra di Niccolò Soderini mi dice che vorrebbe libbre dugento di lino vantaggiato, che tu gliele comperassi, e mandassilo ' Andrea Bizeri a Roma, e a lui escriverrà ti mandi e danari che ti costerà posto a Roma. Niccolò ti scriverrà una lettera fra pochi dì, di quello che vorrà; e simile a Andrea Bizeri, che faccia il pagamento dove tu dirai. Intenditene, prima che lo mandi, con Andrea; ed egli è uomo sodisfarà a quanto ti prometterà. E fa, se lo comperi, sia meglio che ' l mio, se ma' può essere, a ciò si chiami ben servita da te. I' n' ho comperato del grosso da quegli m' hanno a dare a Quaracchi, che m' è costo la libbra soldi 3, denari 4, là in villa. Hovvi speso lire 30, tanto n' ho tolto: sì che del grosso son fornita per ora; e libbre 30 ho di quello mi mandasti: e per ora no n' ho bisogno di costà; si che piglia il destro tuo di comperarmelo.

Matteo andò con Niccolò, e andò volentieri, e bene a punto. Grande amore gli dimostrò, in, questi parecchi dì che ci è stato, el fanciullo: molto gli piace l' aspetto suo, e credo gli piacerà più l' un dì che l' altro. Prego Iddio che gli dia tal virtù e grazia, ch' io ne sia consolata. Fa' di scrivere ispesso a Lorenzo. Nè altro per questa. Iddio vi conservi nella grazia sua, come disidero. Per la tua Allesandra, in Firenze.

LETTERA SESTA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 5 di giugno 1450.

A dì 25 passato fu l' utima ti scrissi. Dipoi ' ho una tua de' 16 del passato. Farò per questa risposta. D' Antonio degli Strozzi e da me se' avvisato quanto è seguito de' danari del Monte, di quegli s' è rimessi come ordinasti, e di quegli si sono ritenuti: che per l' accordo ho fatto col Comune mi bisogna de' fiorini novanta, che a questi di ho fatto levare il debito ch' i' ho da giugno 1449 indrieto; che sono presso a fiorini 400, che, secondo me, n' arei a pagare da ottanta* e po' v' è di spesa da otto o dieci fiorini, che sarebbono circa di fiorini ottantotto o novanta. Fra pochi dì credo si pagherà, chè siàno presso al termine; e ' Antonio Strozzi ho detto che faccia la ragion mia, e così il pagamento, e di tutto ti mandi el conto. El resto de' danari riserbai, fu più per amore di Marco che per altro; che più volte mi disse che da te aveva avere danari, e vidi no gli seppe bene, di quegli s' avevano a rimettere a te, no gli serbai quegli che diceva avere da te. Risposigli, che s' erano serbati e danari pella casa di Donato; che ogni volta tu mi scriverrai quello ch' egli ha avere, e ch' io gliele dia, ch' io gliele farò dare ' Antonio. Lessemi un capitolo d' una tua lettera, che dice m' aresti scritto ch' io gliele dessi di questi; ma dubitavi non fussi contenta. Dissi ch' i' ero contenta di quello ti contentavi tu, che da te aveva a uscire il pagar lui e ' l comperare la casa; sicchè io la rimettevo in te, che quello tu mi scriverrai ch' i' faccia, quello farò. Fa' d' avvisarmene. Ancora s' ha a trarre di questi danari fiorini 12 larghi e grossi otto per la sicurtà si prese sopra' detti danari, e braccia otto di panno pagonazzo mandato alla Caterina quando fece il fanciullo; che così s' usa per tutte: che debbon essere fiorini dieci. E tutti questi ha ' vere Antonio; che in tutto debbon essere fiorini 23. Poi si ritenne per certe ispese si fanno a voler riavere e danari dal Monte; cioè un danaio per lira, e per la partita che montorono da sei fiorini. Credo d' Antonio ne sia avvisato a punto; che lui e ' Marco l' hanno fatte queste spese.

Da marzo in qua non ho auto lettere da Matteo, che ne sto co maninconia. Ècci stato lettere da Niccolò, che l' ha ' ute Antonio; ma di Matteo non dice nulla; che non mi pare buon segno. I' ho sentito che o corriere o fante si sia, ch' è venuto da Barzalona, dice e' gli trovò a camino presso a Barzalona; sì che ora vi saranno. Iscriverrogli una lettera, a Matteo, e dirogli quello mi parrà sia di bisogno: ed ho pensiero iscrivere a Niccolò, che se ' l fanciullo non facessi per lui, e che non facessi buona riuscita, come l' uomo istimava, non lo mandi ad altri e' a me, e che di fatto lo rimandi in qua. Priego Iddio me ne mandi quelle novelle disidero; che ' niuno modo posso alle volte accordarmi a esser contenta averlo levato da me.

Delle mandorlo mi mandasti ne feci quanto mi scrivesti, e ' l lino serbai per me, come per altra t' ho detto.

Ho caro abbi preso amicizia cogli ' mbasciadori, che sono uomini molto da bene; e così dell' avere ritrovato il parentado con Giannozzo: che ha' fatto bene. Quando sarà tornato, andrò a vicitarlo, che so mi dirà novelle di te: che Iddio me le mandi buone.

La moria ci è cominciata, ed enne morti alcuni che hanno isbigottito la brigata: assai ne muore di questi forestieri che vanno e tornano da Roma. Fassi stima de' terrazzani, chè sono persone da bene. Non si potrà quest' anno fuggire pelle ville, chè quasi per tutto il contado fa gran danno, e massimo in questo nostro piano; che da Peretola insino a Prato non è villa che non ne muoia; eccetto che a Quaracchi non v' è nulla ancora; ma a Campi fa gran fracasso. t cinqu' anni affittai il mio podere a un buono lavoratore e ricco, ed erano tra uomini e donne' e fanciugli diciassette, che n' è morti dodici: evvi rimaso un uomo, di tanti, e quattro donne. E ancora non ha fine; che ve n' è degli ammalati. E tanto la gente che vi muore, e le case si sono vote, che de' poderi assai ne rimarranno sodi: che così rimaneva il mio, se non ch' e parenti loro m' hanno detto che faranno la ricolta, e lavorrannolo per quest' altr' anno. Che se non avessino fatto così, non trovavo chi vi volessi andare, tanto è la gente impaurita. E ancora ho avere una brigata di fiorini da loro, che me gli credetti perdere: pure m' hanno promesso darmegli ora alla ricolta. Che Iddio provvegga a' nostri bisogni.

I' mi credetti quest' anno poter estare a Firenze; e se la seguita come ha fatto dal primo dì di questo in qua, non ci si starà troppo. Non ho fatto ancora diliberazione d' andare più in un luogo che un altro: quando la farò, ne sarai avisato. Che Iddio mi dia a pigliar buon partito. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra che fu di Matteo Strozzi, in Firenze.

Ricordoti iscriva ispesso a Lorenzo.

LETTERA SETTIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 22 d' ottobre 1450.

L' utima ti scrissi fu a dì 5 di giugno, e per allora t' avvisai quanto era di bisogno. Dipoi ho ' vuto più tue, e a niuna ho fatto risposta, perchè tu vegga che Matteo non ci è, e che oramai è di bisogno uno di voi torni qua; che i' sono oggima' d' età da volere essere governata, e son poco sana, e fatica mi pare lo scrivere. E poi questo andare pelle ville fuggendo la morìa, m' ha ancora isviata dallo scrivere. Ma ho detto alle volte a Marco e ' Antonio Strozzi ti scrivino due versi per mie' parte. Ora di nuovo ho due tue, l' una de' dì 23 dì settembre, l' altra de' dì 4 d' ottobre. Farò risposta. Veggo che ' l pensiero di Niccolò è di me narne seco di costà Matteo; che l' ho caro, chè di meglio ne sarà assai a essere presso a te. Ma fa' che tu no gli dia busse: fa' che abbia discrezione di lui; che, a mie' parere, ha buono sentimento: e quando errassi, riprendilo dolcemente; e farai più frutto per questa via, che colle busse. E questo tieni a mente. E' m' ha iscritto molte lettere, e così ' Antonio e a Marco, che sono si bene iscritte e dettate, che basterebbe a un uomo: che me ne conforto assai di lui, e vorre' lo presso a me. E se Niccolò facessi la via di qua alla tornata sua a Napoli, non so s' io mel lasciassi uscire tralle mani. Che Iddio dia lor grazia, che piglino buon viaggio.

A Giovanni Lorini veggo ha' dato un sacco di lino di mazzi trenta e di peso di libbre cento cinquanta, e che debba riuscire al peso di qua cento settanta. Per ancora no l' ho avuto, che dice era molle, e hallo tratto a Pisa del sacco e sciorinatolo; che l' ho ' vuto molto per male. Che se i dieci mazzi del vantaggiato fia più bello che quello di Giovanni, dubito non mi sia iscambiato dell' altro mezzano. Ne darò libbre cinquanta alla Ginevra, e faròmi dare fiorini due e mezzo di suggello, come mi scrivi. E quando l' arò avuto, te n' avviserò, e la spesa arò fatta. Questo di ho da Francesco di Batista vetturale il lino mi mandi; cioè mazzi diciannove, sono a peso libbre cento cinque. Parmi sia bello. Die' gli di vettura un fiorino istretto, cioè lire quattro e soldi quattordici; che disse Batista così aveva avere: se avessi avuto più che ' l suo dovere, fattegli dare costà al detto Francesco, che viene costì. E a lui ho dato uno sacco, cioè due sciugato' cuciti insieme, e drentovi libbre tredici di finocchio, che sono più di settanta mazzi, e ventidue marzolini. Sono piccoli, ma credo fien buoni, chè sono di buon paese, e qua hanno gran nome i marzolini da Cavagliano: ma non sono ancora fatti; che n' ho partiti alcuno, e veggo hanno buona cera. Ancora n' ho comperati venti da Lucardo, che sono grandi e begli, e credo buoni; che pesa l' uno libbre due e mezzo. E per non pagare vettura, no gli die' a quel Francesco reca il finocchio. Non costerà nulla di vettura quello ti reca ora; e se ti chiede nulla, contentalo di buone parole a ristorallo. E così m' ingegnerò mandarti quest' altro, che non se ne paghi nulla. Le camice farò e' fazzoletti di mandarti più presto che i' potrò: e se Soldo a suo ritorno costà le vorrà recare nelle bisacce, potrà; chè fia poco vilume. Io no l' ho ancora veduto poi ci venne, che ero in villa; e quando lo senti' che ci ora, venni a Firenze; trova' er' ito a Pesero. Dipoi ci fu' un' altra volta, e lui era malato, e ancora non è guarito. Vedrollo innanzi si parta di qua; e mosterrogli quelle scritture de' debitori di Pesero. Non è tempo ora a farvi nulla, rispetto la moria che v è. E quando fie tempo, v' è uno ch' era grande amico di Matteo, che m' avviserà di quello arò a fare: ch' è poco il figliuolo mi fece motto.

Al ritorno di Franco farò quanto mi di' : ma e' ci è di quegli che non fanno carestia di parole; e chi vuole degli amici assai , ne pruovi pochi.

Tu sai più volte t' ho scritto da giugno a drieto dell' andare a Roma: e questo era mio pensiero; prima, per avere il perdono; e poi, che speravo vederti, credendo avere in questo tempo l' Allesandra fuor di casa, e la morìa fussi cessata; che, essendo nel verno, non si stimava facessi più danno che la state, come fa. E pertanto soli consigliata da chi bene mi vuole, per queste due cagioni, cioè l' Allesandra e pella moria, ch' io farò il meglio a starmi a casa. E cosi farò, se altro non venissi di nuovo. Agnolo da Quaracchi vi va, fatto Ognissanti: e dice se troverrà da venire costà a te per acqua, lo farà; chè ti vuole vedere prima che muoia, se a Dio piacerà, che glie ne dia la grazia. Dell' Allesandra non bisogna ragionare mentre è la morìa, che le genti dabbene son tutti fuori di Firenze. Alle volte ricordalo ' Antonio Strozzi, chè non può altro che giovare.

La Caterina istà bene, e ' l suo fanciullo; e Marco e Parente si portano benissimo di lei, e pella suo' persona non gli manca, se non ch' ha mala suocera. Ma ben ti dico non sono parenti da farne conto di servigio niuno; ma a noi basta che lei istie bene. Priego Iddio a tutti dia di suo' grazia. Istannosi in villa presso a Giovanni Portinari; ed io mi sto all' Antella con Zanobi, chè v' è sano. Alle volte vengo a Firenze, quando ho faccenda, per due dì. Ora ci sono istata tre di, aspettando il lino desti a Giovanni Lorini. Non è giunto per ancora. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, in Firenze.

La morte di Francesco sanza dubbio è danno a tutta la Casa. Iddio gli perdoni. E la tratta d' Anton de' Signori è stata molto utile. Iddio lodato di tutto.

LETTERA OTTAVA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 6 di dicembre 1450.

A dì 28 del passato ti scrissi, e manda' tela per Bartolommeo Serragli, che so ne farà buon servigio. Dipoi ho una tua de' 10 del passato. Farò per questa risposta; e ad alcun' altra parte di lettere m' ha' iscritte più tempo fa; che non ho fatto risposta per non mi fidare di chi i' l' ho date.

In prima, ti mando pel Favilla vetturale, nostro debitore di circa 2 ducati, quattro camice, sei fazzoletti da mano, uno sciugatoio: tutto ben rinvolto, come vedrai. Le camice tagliate e cucite a modo nostro, e, così e fazzoletti e lo sciugatoio, come s' usa qua. Non ho fatte più camice, chè non so se queste ti piaceranno; e così l' altre cose: che non sendo a tuo modo, le serberò al mio Matteo: e se le ti piacciono, avvisera' mi di quello che tu vuoi, e te ne manderò. Che se Iddio mi presta vita qualc' anno, e la Lesandra m' esca di casa, vi fornirò sì di pannilini la casa, che starete bene: chè in vero, mentre s' ha le fanciulle in casa, non si fa altro che per loro: sicchè quando ne sarà fuori, non arò attendere ad altro che a fare per tutti a tre voi. E quando mi sarò fornita un poco meglio a masserizia, vorrò che tu faccia pensiero a tornare a casa; con tutto che ce n' è in modo non aresti da vergognarti; che potresti fare onore a un tuo amico, quando ti capitassi a casa: ma di qui a due o tre anni sarà tanto meglio. E sì vorrò darti donna; che se' oggimai d' età da sapere governare la brigata, e a me darai consolazione; che no n' ho niuna, se non ch' i' vivo a speranza d' averne di te e degli altri: che Iddio per sua misericordia me ne conceda la grazia disidero. Niccolò, quando fu qua, mi disse che presto voleva tu tornassi di qua, e che tu togliessi donna: e loro ti darebbono avviamento ci potresti istare, che vorrebbono più tosto che tu facessi le faccende loro che altri; e che ti darebbono tale aiuto e favore, ch' io mi chiamerei molto contenta. E molte altre parole, che dimostrava portarti grande amore. E certo, credo ti farà ogni bene, se nella stanza che ha fatta a Barzalona tu abbi governato bene costi, e che truovi le cose in modo s' abbia a lodare di te: che Iddio gliene dia la grazia.

Per una lettera mi scrivesti più tempo fa, che messer Giannozzo, che fu costà imbasciadore, ti disse che volle ch' io dessi la Caterina al fratello di Franco, e ch' io non volli: ed è vero, perchè io non ne fu' consigliata da chi ben ci vuole; però che sendo fratello di Franco, non ha di molte parti di quelle c' ha Franco, le quali non bisogna narrare. E quando l' uomo si rimette nelle mani o va per consiglio a gran maestri, ti convien fare quello che vogliono, o bene o male che si sia; e se tu non lo fai, dicono quello che disse a te messer Giannozzo. E così quando ci fu Niccolò, m' arrecò innanzi pella Lesandra uno, che poco si vede del suo, e niente fa; confortandomi molto ch' io gliele dessi. Niccolò ti potrà dir tutto. So che Giannozzo l' ebbe per male, e però ti disse quelle novelle. I' m' ingegnerò quanto sarà possibile dargli buon capitale, che faccia qualche cosa. Così ho detto a Giovanni Luna e ' Antonio degli Strozzi, che trovando d' allogarla bene, e bisognassi, oltre a' mille fiorini ch' ell' ha in sul Monte, arrogerne cento o dugento fiorini, che i' sono contenta; pure che sia persona che ' l meriti, e che sia d' averne aiuto e favore: altrimenti non vo spendere più un danaio che quegli ch' ell' ha. E per ancora non c' è alle mani cosa buona: che quando ci sarà, ne sarai avvisato. Che Iddio gli apparecchi buona ventura. Quando scrivi a Giovanni della Luna e ' Antonio Strozzi, raccomandala loro; e così a Marco.

Credo se Agnolo potrà tanto camminare, ch' è pur vecchio, verrà a vederti; che n' ha voglia, ed io ne l' ho pregato: e se viene, domandera' lo di nostri fatti, e saperatti dir tutto, chè fa tutte nostre faccende. Io gli do fiorini due larghi per ispese da Roma costà; e così quando viene in qua, fa' che abbia da spendere, e dàgli buona compagnia. Se none starà troppi dì a Roma, verrà col Favilla. E ancora per detto Favilla ti mando coppie quattro di marzolini begli; e quattro coppie te ne mandai a dì 5 di questo, per un vetturale manda costà l' Avveduto che istà qua in Dogana. Non ho saputo il nome del vetturale, ma son certa ne farà buon servigio. Pesò col sacchetto libbre quindici di buon peso. Non ha aver nulla di vettura. Qua gli die' un grosso per gabella: promisigli di scriverti gli dessi guadagno. Francesco di Batista non è tornato; e però ti mando questo marzolino per duo persone, acciò non si paghi vettura. Vorrei mi mandassi pel Favilla., se tu ha' attitudine, libbre venti di mandorle e dieci libbre di capperi, se di costà vengono: non più che per trenta libbre, mi recherà il detto Favilla sanza costo. Fàllo, acciò i' l' abbia a tempo della quaresima.

Come per altra ti dissi, ebbi da Giovanni Lorini libbre cento cinquantaquattro di lino col sacco, cioè mazzi venti del grosso e nove del più fine: e a dirti el vero, non ci è stato il più vantaggiato che il primo mi mandasti, che fu cento venticinque libbre; che ancora n' ho parecchi mazzi.

Tu sai che più tempo fa comperai la Cateruccia nostra ischiava; e da parecchi anni in qua, poi no gli ho posto le mani a dosso, s' è portata tanto male di me e di questi fanciugli, ch' è stato una cosa da nol credere, se no chi l' ha veduta: e Lorenzo nostro te ne potrebbe dire assai; e così Matteo, se a Dio piacerà venga costì, te ne dirà il vero di sua portamenti con esso noi. Ho sempre sofferto, perchè i' non posso gastigarla; e ancora credendo che tu ci venissi una volta per un mese; chè, sendoci, se ne piglierebbe partito, o veramente si ridurrebbe un poco meglio. Ora da parecchi mesi in qua ha detto e dice non ci volere istare; ed è tanto la diversità sua, che niuno può co lei: e se non fussi per amore della Lesandra, t' arei detto di venderla; ma vorrei trarmi di casa prima la Lesandra, per la mala lingua ch' ell' ha. Ma io non so se me la potrò tenere tanto: ma ben ti dico, poi me la leverò dinanzi; chè non vorrò questa battaglia: che fa quel conto di me, che s' io fussi la schiava e ella la donna; e tutti ci minaccia di far male, en modo che la Lesandra ed io abbiàno paura di lei. Zanobi mio si torna meco qui: ella no lo vorrebbe, e fa pazzie: ed io ho diliberato si stia meco per mia compagnia; e ancora egli è governato, chè all' Antella era solo e stentava; sicchè l' ho ridotto meco. Non è uomo che la gastigassi; che gliene farei dar parecchi, ma no lo farebbe. Sicchè, veduto e modi sua, s' io ne pigliassi partito, non ti sia maraviglia; che tutto farei per estare in pace. E priegoti quanto so e posso, che alla tornata di Niccolò tu pigli licenza per due mesi; no dico pel fatto della schiava, ma per consolazione di me; che mi credo morire con questa voglia di vederti; e credetti venire a Roma pel Perdono, e per vederti: ora, per amor della Lesandra che non è allogata, non mi vo' partire di qui: e sie' certo, che s' io fussi venuta a Roma, e tu non vi fussi venuto, credo sarei venuta insino a Napoli per vederti. Sicchè, fa' quanto tu puoi d' avere licenza da Niccolò, e vieni a vedermi.

Ara' sentito la morte di Soldo, al quale Iddio abbia fatto perdono; che gran danno n' è stato. Son ita a vicitare la donna, e molto m' ha detto la raccomandi a Niccolò e a, te, che avete le scritture e tutte le ragioni di Soldo nelle mani, e che s' ha a riscuotere costà da cotesti Signori tanti danari, che sarebbe bene se si riscotessino: e molte novelle dice. Ha fatto suo procuratore Niccolò a riscuotere costà. Fate d' aiutare que' popilli; ch' è mercè, chè qua estanno alidamente. Raccomandala a Niccolò quando è t' ornato : che Iddio die loro buon viaggio.

Avvisoti come Macigno di Giovacchino ha tolto donna la figliuola d' Agostino Capponi e sirocchia di Luca Capponi: è vedova, che a' uto duo mariti; ma è d' età d' anni 25, con fiorini mille di dota. Iddio presti loro lunga vita.

Avvisami qual marzolino è migliore, o quel piccolo o questo grande, acciò sappia, per quest' anno che viene, di quello m' ho a fornire; che a buon' otta te lo manderò. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, in Firenze.

LETTERA NONA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 11 di dicembre 1450.

Pel Favilla vetturale, che viene costà con some di Ghezzo della Casa, ti mando dodici marzolini de' più begli s' è trovato qui in Firenze; e credo saranno buoni, secondo il saggio n' abbiàn fatto: e quattro coppie te ne mandai a di 5 di questo pel garzone dell' Avveduto, ch' era bello, peso libbre quindici: sicchè t' ho mandato de' grandi e de' piccoli. Avvisami quali sono i migliori, e l' anno nuovo mi fornirò a buon' ora; che te gli manderò al tempo. A volergli conservare, si vogliono tenere o veramente in un saccaccio unto d' olio, o vero in un vaso dove ne sia istato dell' olio buono. Così dicono che gli tengono questi di qua.

Ancora ti mando pel detto Favilla quattro camice e sei fazzoletti e uno isciugatoio. Guarda se le camice e l' altre cose ti piacciono; e se staranno a tuo modo, potrò farne un' altra volta più, e mandartene. Tutto ti portano sanza costo di vettura, che così m' hanno detto lui e quello dell' Avveduto. Questo Favilla è fedel persona, ed era grande amico di vostro padre, e restò a dare insino a Pesero parecchi ducati; che n' ha dato parte, e credo sia il resto ducati dua. È pover uomo: non voglio gliele faccia ritenere ora: ma domandalo se è nostro debitore di nulla. E se tu avessi da dargli soma niuna per di qua, digliele che voglia iscontare que' due ducati, e sarà contento, che altre volte me l' ha detto, che volentieri gli sconterebbe in vetture. Sicchè se lo puoi adattare a guadagno niuno, fàllo; no lasciando a drieto Francesco di Batista, che ti serve volentieri. E' tornò qui a dì 6 di questo, e recommi una tua de' 14 passato, che mi di' ch' io ti mandi le cose chiestemi pel detto Francesco; e così mi disse a ogni modo volerle recare. Io l' avevo promesse, prima che tornassi, al Favilla, che a ogni modo ti vuole venire a far motto; che s' io no gliel' avessi date, are' fatto pazzie. È buon segno quando l' uomo è servito volentieri. Vorrei che al ritorno loro in qua mi mandassi libbre venti di mandorle e dieci di capperi, se di costà vengono, a ciò ch' io gli abbia a tempo alla quaresima; e dànne a ciascuno parte, che nulla costerà la vettura: ma fa' non sieno più che libbre trenta in tutto; che assai mi basterà, e loro volentieri lo recheranno.

Ancora ti mando con quelle camice due chiavicine avute dalla donna fu di Soldo; che l' ho messe nel fondo di quella taschetta del cuoio, ove sono le dette camice.

La fanciulla d' Iacopo, che era con Filippo a Barzalona, l' aspetto ogni ora qui, chè a dì 8 giunse la galea di Giovenco della Sfufa in Porto; sicchè presto ci doverrà essere. Mandala Iacopo a me, ch' io la tenga insino si mariti; e così mi priega Lorenzo. Hogli risposto che l' ho cara, e faronne come se fussi mia: che volentieri gli farò vezzi per amor suo e di voi; chè a loro sono troppa obrigata, tanto si sono portati bene inverso della mia famiglia; che mentre istarà meco, no gli lascerò mancar nulla di quello mi fia possibile. Iddio ci presti pur vita e sanità a tutti lungo tempo, se ' l meglio debb' essere.

A dì 6 ti scrissi, e l' ho data al Favilla. Credo ara' prima questa, che viene pel fante. Iscrissiti sopra al fatto della Lesandra, come avevo dato commessione a Giovanni della Luna e Antonio Strozzi che, trovando cosa buona, e bisognassi arrogere fiorini dugento, ch' i' sono contenta, pure che sia uomo lo meriti: e quando il caso fussi che oltre a' mille, ch' ell' ha in sul Monte, s' avessi arroger questi, m' ingegnerò tràgli di qua del mio, e conservare voi, s' io potrò: chè ' n niun modo non vorrei darvi esconcio di danari. Preghiamo pure Iddio che gli apparecchi buona ventura: e se nulla seguirà, ne sarai avvisato.

Da Niccolò da Barzalona ci è lettere de' 20 del passato, che pel primo passaggio ne verrà di costà: che Iddio gli apparecchi buon viaggio e conduca a salvamento. Ricordati, quando il mio Matteo c' è, che tu gli faccia vezzi, e faccia istia netto e pulito; chè ancora ha bisogno gli sia ricordato. E se non è peggiorato della condizione e de' modi, so che ti piacerà l' aria sua: ch' era grazioso fanciullo, e ben si faceva volere a tutti. Priego Iddio me ne dia consolazione, come disidero. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, in Firenze.

Avvisoti come a dì 30 passato Francesco di messer Arnaldo Mannelli, suocero di Franco Sacchetti, colla donna e un fratello di lei d' età d' anni 22 e dua figliuoli, ch' ell' aveva d' un altro marito, andando a spasso passavano Arno, e tutti affogorono: ch' è stato una iscurità. Avvisotene acciò vada a vicitare Franco; chè la donna sua è figliuola del detto Francesco.

LETTERA DECIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 10 d' aprile 1451.

L' utima ti scrissi fu a dì 11 di dicembre, e non t' ho iscritto poi, che ho ' vuto male di stomaco, e non ho potuto istar chinata a scrivere. Sommi medicata un mese, e assa' bene sono migliorata; e se non fussi la quaresima, credo sarei guarita. Verranne la pasqua, se a Dio piacerà: penso guarire.

Del mese passato, d' Antonio Strozzi fusti avvisato come abbiàno maritata la Lesandra a Giovanni di Donato Bonsi, ch' è giovane dabbene e virtuoso e dassai, ed ha tante buone parti in sè, che i' tengo certo ch' ella istarà bene quanto io. Per quello sento di lui, e quanto n' ho veduto in questa state passata in villa di Riccardo Macigni, molto ne sono contenta; e benchè sieno sette frategli, lui sta di per sè dagli altri. Truovasi ora a Roma per certe faccende o vero compagnia aveva col Castellano di Castel Sant' Agnolo, che mori. Non sarà qui insino a otto dì di maggio. Ha di dota, tra danari e donora, fiorini mille. So che d' Antonio se' avvisato di tutto, di questa materia.

Pel Favilla ebbi la cesta, drentovi libbre 36 di lino e un sacchetto di libbre 51 di mandorle, libbre 24 di capperi, 3 alberegli di confezioni; ogni cosa buono e bello. Vennono a tempo rispetto il mal mio, che te ne fo onore. Mandai delle mandorle e de' capperi alla Caterina la suo' parte; e così Antonio Strozzi, parecchi; elle non potevo far di meno: che molto caro l' hanno avute, chè non n' è stato qua quest' anno. E più, pel detto, mandasti a Marco cento dieci libbre di lino. Dissemi detto Favilla ch' era rimaso daccordo teco avere di vettura, di tutto, lire quattordici, e che da te aveva un ducato e mezzo, ch' erano, secondo disse lui, lire 6 e soldi 18. Restò avere lire 7, soldi 2: volli ritenègli queste lire 7: pregommi che pel caso suo, ch' io gli dessi lire 4; e lire 3 soldi 2 iscontassi: e così feci. Ho posto a suo conto lire 3, soldi 2; che tanti gli ho ritenuti. Marco mi die' la suo' parte della vettura, cioè lire 7; che tanti gliene toccava. Di nuovo ho ' vuto 12 coppie di buttarage, molte belle. Fa' bene a ricordarti di me, che oggimai ho bisogno di vezzi' da voi: ma vorrei fussi presso a me! Priego Iddio ci die grazia siàno sì presso, che insieme abbiàno consolazione, come desidero.

Della giunta costì di Niccolò e Matteo sono allegra: chè non ti potre' dire la maninconia ho ' uto già duo mesi, non sentendo niuna novella di loro, e sempre mi die' a ' ntendere che qualche fortuna gli avessi fatti mal capitare: sempre ne domandava Antonio o Marco, se di loro sentivano nulla: dicevammi di no. Ora sentendo son giunti sani e a salvamento, m' hanno detto il caso intervenne loro; che Iddio sia ringraziato, che gli liberò di tanto pericolo. E fece bene Antonio a non mel dire: tra ch' io avevo male, credo di dolore sare' morta. Fa' lor vezzi, e massim' a Matteo, che non se ne sa fare da sè; che debba esser consumato: e se vedi abbia bisogno d' alcuna cosa di qua, avvisami e manderò tutto; che Iddio vi dia della suo' grazia. Fa' che mi scriva ispesso. Arei ora gran bisogno di lui, rispetto e bisogni della Lesandra, e del rispondere alle lettere, che non posso tanto iscrivere. Non guardare ch' io non risponda a tutte le tue: fate pure di scrivermi ispesso; e ora che v' è Niccolò, attiemmi la promessa del venire in sin qua: e se possibile fussi ci venissi innanzi la Lesandra andassi a marito, ci sarebbe a tutti una gran consolazione tu ti ci trovassi: che Iddio te ne dia la grazia, se debb' essere il meglio.

Per ancora non ho preso partito nè diliberato nulla della Cateruccia, che poi ci venne quella ischiavetta da Barzalona è migliorata, e sta assai in pace. Di quella di Iacopo, fo pensiero tenella tanto la Lesandra vada a marito: poi se ne piglierà partito: di tutto sarai avvisato. Nè altro per questa. Raccomandaci a Niccolò, e a te raccomando Matteo. Che Iddio di male vi guardi. Per la tua, in fretta, Allesandra, in Firenze.

LETTERA UNDECIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 27 di febbraio 1452.

A questi dì passati, per Piero Borromei, ebbi una tua de' 31 di dicembre, e prima una de' 14 di detto; poi, per Bagnacavallo, una de' 9 di gennaio. A tutte per questa risposta.

Secondo ho da Matteo nostro da Roma, t' ha !scritto della giunta di Niccolò e sua quivi; che fu a di 8 di gennaio: e così istimo t' arà detto la cagione del restare Filippo a Napoli; che era sì piccola faccenda quella restava a fare, che, se altro non v' è di nuovo, tosto l' attendo qui; che mill' anni mi pare di vederlo, e bisogno ce ne sarebbe della venuta sua rispetto Anton Macigni e Niccolò Soderini, che in ogni modo mi vogliono torre il podere fu di Zanobi, e forte minacciano di disfarmi; e molte novelle dicono: e ben che le ragioni sieno per me, pure ci è anche alcuno dubbio, dove mi posson dar noia, non con ragione, ma colla forza di Niccolò Soderini: e credo, per meno ispesa e per far più brieve, si riduceranno in Palagio con darmi pitizioni: e se la forza sua potrà più che la ragione mia, lo tirerà a sè; ma se la ragione arà luogo, che non mi sie fatto torto, sarà mio. Aspetto ognora cominci a farmi qualche richiesta, ed io m' apparecchio alle difese: e così farò quanto mi fia possibile. E se Filippo ci venissi, sarèno tanto più a dire le ragioni mie: che Iddio ne lasci seguire il meglio di tutto. Come seguirà, sarai avvisato.

Delle ragne non ho fatto nulla, però che me ne sono informata, e truovo che volere una da uccellini, bella come vorrebbe essere, a mandarla costà non costerà manco di sei fiorini. E per questo mi sono istata; che mi par tempo da non ispendere i danari in simile cose, che se n' ha a fare cose di maggiore bisogno: però che ci è il Comune che m' ha a consumare, che già hanno posto su questa gravezza nuova, che si scoperse a dì 20 di questo, gravezze 32, che m' hanno posto fiorini 5, soldi 16, denari 10 a oro: sicchè fa, tu il conto, quello me ne tocca a pagare; che puo' fare sieno, tra spese di partite, altri fiorini sei per gravezza. Fa' il conto, se' vie trentadua, quante sono: e questi shanno a pagare in pochi mesi, che di marzo se n' ha pagar sei, -e così mese per mese; e già è passato el termine di sei gravezze. Sicchè avendo a pagare il Comune, e piatire co Niccolò Soderini, mi pare dovere lasciare indrieto le ragne. Abbi il capo alle cose che sono di maggiore importanza, che per te si farà.

L' età di Filippo è anni ventiquattro, compiè a dì 4 di luglio passato; e a dì 7 di marzoche viene, farà anni dodici che si partì dì Firenze. E tu avesti a dì 21 d' agosto che passò, anni venti; e fa ora di questo mese anni sette ti partisti di Firenze. E Matteo arà il primo dì di marzo anni diciassette, e a dì 7 dì questo fece anni tre si partì di qua. La Caterina ha anni ventidue a maggio che viene: la Lesandra compiè diciotto d' agosto che passò. Sicchè se' avvisato di tutti.

E torniàno al fatto tuo. Che se' d' età da governarti in altra maniera non fai, e oggimai doverresti correggerti, e dirizzare l' animo tuo al ben vivere; che insino a qui è stato da riputar fanciullo: ma ora non è così, e sì pell' età e sì perchè non si può mettere gli error tuoi per ignoranza, e perchè non conosca quello che tu fai; che se' di tale intelletto, che conosci il male e ' l bene, e massimamente quando ne se, ripreso da' tua maggiori. Io intendo che tu non fai e portamenti ch' io vorrei; che n' ho dispiacere assai, e con gran paura istò, che tu non abbia un dì una gran rovina di capitare meno che bene: chè chi non fa quel che debbe, riceve quello non crede. Che oltre agli altri affanni ch' i' ho, m' è il tuo il maggiore. E avevo fatto pensiero che per uscire di spesa e di noia, e ancora per aiutarvi far bene, di vendere il podere dell' Antella; che, pagato gli obrighi che vi sono, ne traessi fiorini ottocento netti; e trecento n' ha Filippo: e facevo conto tra tu e Filippo gli avessi a trafficare, acciò voi cominciassi avanzare l' anno qualche cosa. E per quello senta di te, comprendo se' più tosto da sapere gittar via, che avanzare un grosso: ch' è il contradio del bisogno tuo. E veggo certamente ha' far danno e vergogna a te e a noi; Che intendo tu hai costumi che non sono buoni.; e riprenderti non giova nulla: che mi dà mal segno, e fammi tirare indrieto d' ogni buono pensiero che mi viene inverso di te. E non so perchè tu seguiti le tue volontà; conoscendo, prima ne fai dispiacere a Dio, ch' è sopra tutto; poi a me, che gran passione mi s' è a sentire e mancamenti tuoi; e ' l danno e la vergogna che ne seguita, lascio considerare a te: e dispiacere ne fai a Iacopo, e grande. E se tu cominciassi ora, sarebbe d' averne isperanza; ma egli è anni che tu cominciasti a fare delle cose non ben fatte, e per amore di me se' stato sopportato. Ma i' credo che se tu non rimuti e modi tua, ch' e prieghi mia non faranno più frutto per te. E bastiti questo. Sie savio, chè ti bisogna, e farà per te.

Da Bagnacavallo ebbi tremila spilletti. La Caterina e la Lesandra ha la parte sua; e caro gli hanno auti.

Io non ho trovato a questa gravezza nuova voi siate a nulla: e così alla passata non avesti nulla. Ma avete debito, come altre volte t' ho scritto, di gravezze vecchie: ch' è degli anni quattordici, fiorini 200; che si chiamò la Settina quella gravezza. Di poi avete debito qualche fiorini 70. E le due gravezze utime non avete nulla. Sieti avviso.

La imagine mandai alla Nunziata, come per altra tho detto. Fa' di scrivere a Filippo, e a Matteo a Roma; e manda le lettere a me, che le manderò.

Tedeschino è stato qui; e simile uno che dice està costì in casa. Non so il nome, chè no lo intendo. Ma Tedeschino dice, va innanzi alla Lugrezia quando va alla chiesa. E lui fia apportatore di questa; e che no la dia in altra mano che la tua. Avvisami se così arà fatto.

Ricordoti non ti getti drieto alle spalle le mie riprensioni, che sono con amore e con lagrime. E priego Iddio che ti disponga a fare quello ch' io disidero. Nè altro per questa m' accade dirti. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra fu di Matteo Strozzi, in Firenze.

Avvisoti che Iacopo e Niccolò ha di gravezza fiorini 39 e soldi: Donato Cavalcanti, fiorini 4 o circa: Francesco Strozzi, fiorini 8 e soldi: la redità di Zanobi, fiorini l. Ècci di maleposte, e grida assa' . Fessi lo sgravo; si dice saranno cinque uomini per tutta la terra. Nè altro.

LETTERA DODICESIMA



A Matteo degli Strozzi, in Roma.

Al nome di Dio. A dì 9 di settembre 1458.

I' ho ricevuto più tue, ed è parecchi mesi non ho scritto nè a te nè a Filippo. Sodisfarò a parte per questa, non ci si trovando Lorenzo; che ho una tua a lui de' 2 di questo. Risposta.

I' ho messo in ordine le camice, cioè sei; e braccia quattro di panno lino pelle mutande, che a tuo modo le fara' fare; e mazzi cento o più, se quello vuogli, di finocchio, e bello: e come arò persona fidata, lo manderò.

Lorenzo si partì di qui a dì due, e andò a stare duo dì en Mugello colla Caterina: e di là si partì a dì 4 per la via di Bologna. Honne assa' pena; più perchè none stava della persona come vorrei. Da altra parte, sono rimasa molto sola. Priego Iddio che l' accompagni, e conducalo sano e salvo.

Veggo che da Filippo non hai mai auto il tuo dovere: hogli scritto che non ha fatto bene, e che ti provvegga di tuo dovere più presto può, acciò non abbi da dolerti di me nè di lui. I' gli fo ritenere fiorini 200 per mia bisogni; che n' ho auti parte, e del resto ciascuno abbi rerrata sua. Così gli ho scritto: vedrèno che farà. Di' che per tutto questo ' avere Filippo costì, e forse che farà un passo insin qua: sia alla buon' ora. Da lui ho, per una scrive a Lorenzo, che se s' ha abboccare co' Niccolò, forse si distenderà insin qua. Iddio gli dia a pigliare quel partito che sia el meglio.

Ara' sentito come a dì 7 morì Benedetto Strozzi, dal martedì sera al giovedì, a ore 17. Benchè alcun dì prima avessi chiocciato, non era in modo, che sempre andò per casa, e non pareva che avessi male. Dicono che aveva una posta nel corpo; ma pe' segni che ebbe, si tiene morissi di pistolenzia. Non so ne fa guardia, e tutti v' andiàno. Ène stato grandissimo danno, prima alla stia brigata, poi a noi e a tutta la Casa; che era il ricorso d' ognuno, e non è in Casa uomo, che tanto danno gittassi la morte sua, quanto di lui. Bisogna avere pazienza; e che Iddio abbia dell' anima misericordia. A dì 12 si fanno le messe. L' ha tre fanciulle e duo maschi, e la donna grossa di mesi sette.

Giovanni Bonsi è stato anche lui a gran pericolo di morire, che cadde della mula: vogliendo salire a cavallo, la mula lo scagliò a terra; ebbe una gran picchiata nell' anca. Pure, per grazia di Dio, è migliorato; non però che se ne possa andare in villa, che v' ha la brigata: sicchè ho sempre che fare.

La mia ischiavetta feci tornare, e non ebbe di quelle cose: lo ' nfiato tornò adrieto: dicono era esciesa. Iddio lodato. Gran paura avemmo tutti. Nè altro per questa. Siàno al presente sani: e così spero sentire di voi. Che Iddio sia ringraziato di tutto, e mantengavi sani come disidero. Per la tua Allesandra, in Firenze.

Manda la sua a Filippo, che sia in questa.

LETTERA TREDICESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 19 di febbraio 1458.

A dì 20 passato fu l' utima mia; ho dipoi la tua de' 19 dicembre, che m' è suta di consolazione, veduto che del caso occorsovi pigli tutto per lo meglio: che ha' preso buon partito, chè non ci ha rimedio. Di poi hanno appressato e confini miglia 50, e abbiamo auto licenza di potere iscrivere sanza mostrare le lettere agli Otto, le vostre e le mie. E così ha ' vuto Batista, e degli altri, di potere scrivere, da' fatti di stato in fuori, ciò che l' uom vuole.

Egli è di nicistà, veduto e casi vostri, e per la salute vostra, provedere che s' io mancassi, che quello che pervenissi a voi di mio, non vi fussi tolto per le gravezze vostre; fra e quali sarebbe el podere da Pazzolatico. E a salvare questo, bisogna che tu faccia qua un procuratore a fare e disfare ogni lodo e compromesso fatto: e fa' la procura in Matteo di Giorgio o ' n chi ti pare. Filippo e Matteo l' ha mandata a questi dì; e perchè non ci è la tua, non si può far nulla: sicchè mandala più presto che puoi, e ' nanzi che facciate troppo debito col Comune.

Presi partito di vendere el podere da Campi, e bisogna che si sodi; e perchè non ci è altro dubbio che ' l vostro, chi ha comperato vuole el sodamento di tutti a tre voi, e la ritificagione, come facesti a messer Otto: ed ho preso che fra un anno sarà fatto detta ritificagione e sodamento, se no ne rimango condannata. E per tanto bisogna che tu facci fare detta procura; e mandala presto, e per buon modo. E così arò da Filippo e Matteo; che di questa di già glie n' ho scritto; e la prima ho auta due dì fa. Estimo ancora di vendere dell' altre terre; chè, veduto come e fatti nostri vanno, so che queste mie cose s' hanno a consumare non pigliando questa via, che è più l' utile vostro. E per tanto fa' , alla avuta di questa, el bisogno: so che da Batista sarai avvisato di tutto.

Avvisoti come a dì 9 si maritò l' Isabella a Marco di Giovanni di Marco, setaiuolo e merciaio e setaiuolo minuto: e non ha più, el padre, de' maschi, ma ha sette fanciulle; una maritata, e sei en casa, che cinque hanno la dota al Monte: ècci detto che stanno bene di roba, e sono le migliori persone; che temono Iddio, che è buona parte. Abbiamo fatto le nozze; e per quello vegga di loro, mi pare ch' ell' abbia auto una gran ventura; essendo della qualità ch' ell' è, e ' l mancamento della vista corta ch' ell' ha, come tu sai; che nell' allogarla non abbiàno guatato tanto a metterla in roba, quanto a metterla en luogo sia amata e ben trattata: che è questo el bisogno suo, secondo si vede. El garzone ha ventun anno; e Pierotto, che fia apportatore di questa, ti dirà com' egli è fatto, che iarsera lo vide in casa di Francesco Strozzi a cena. Abbiàgli fatto più onore che non si fece alla mia, per amore d' Iacopo: e così farò per l' avvenire. So che Batista avviserà Iacopo di tutto, e de' danari ch' i' ho auti da lui, e di quegli torrò per bisogno suo; chè voglio fornirla delle cose ha di nicistà, ch' ella paia fanciulla da bene, chè tanto più sarà riguardata. Non ho tempo di scrivere a Iacopo, ma so che da quest' altri sarà avvisato.

L' alberello dello arimatico ti manderò: ma la migliore medicina che sia allo stomaco è il guardarsi della bocca. Così ti ricordo: e così, poichè abbiamo licenza di scrivere l' uno all' altro, fa' di scrivere ispesso, e come tu stai della persona; che n' arò piacere. Nè altro. Raccomandaci a Iacopo: che Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, in Firenze.

LETTERA QUATTORDICESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 20 di luglio 1459.

A dì 29 passato fu l' utima mia. Di poi ho due tue: l' una de' 19 di detto, e de' 5 di questo: e quella piccola, di' mi scrivesti, della giunta costì d' Antonio, questa non è comparita. Risposta alle due.

Dicerto, che Bernardo ha fede in te, e grande; e prima che ti mandassi el figliuolo, e tanto più poi te lo mandò. La Gostanza ne sta sanza pensiero di lui, ed io ne l' ho confortata. Pochi dì fa la vidi, e dissemi ch' io ti scrivessi che tu dicessi ' Antonio ch' ella stava bene, e che per quest' anno non vuole ire al Bagno. Andonne in Mugello; sicchè non si maravigli Antonio se non ha suo lettere. Salutalo per mia parte.

Niccolò veggo era in ordine di venirne in costà. Secondo sento da Francesco Strozzi, non arai bisogno di più fanciugli per ora: e così sete forniti di schiave; e se Matteo n' è il gastigatore, arà faccenda, e non piccola. Sarete una bella brigata!

Marco ebbe la tua; e perchè ser Niccolò dì Francesco è nel letto colle gotti, non s' è fatto, o vero lodato: chè voglio ser Niccolò m' ordini in che modo e' s' ha a fare, acciò che la ragione abbia el luogo suo. E niuno partito s' è preso dell' altre cose: quando se ne piglierà, lo saprete. E libri si stimorono, come ti dissi; ma no ci è ancora comperatore. Quando troverrò, gli darò via. Lucco se n' ebbe, come per altra ti dissi, fiorini 12 larghi e soldi 4; hottene fatto creditore al Libro mio.

Matteo ha pagato dipoi tre catasti per me: ha ' uto da me, per quattro catasti, fiorini 24 larghi e lire 4 e soldi 9 denari 4; e lire 25 per un moggio di grano ebbe da me. Se tu ne vuo' fare ricordo, tu puoi; ed io ne fo ricordo al mio quadernuccio, e ' nfilzo le polizze che mi manda. Vanno a Monte nel 1462: bisogna pagarne pochi, chè rimarrei tosto al verde.

Da Iacopo d' Ariano avesti le cose ti mandai. Trist' a quegli uccelli che innanzi v' arriveranno. Non aver pensiero si venda lo scacchiere.

El finocchio e' marzolini ho a mente; e assaggerò meglio el finocchio quest' anno che ' l passato, che sento l' avesti amaro.

Da Lorenzo ho più lettere, e non mi dice cosa d ' importanza. Ben dice che per un garzone che andò con lui, che torna in qua, e che per lui mi scriverrà di più cose; che è persona fidata. Aspettolo ognora. Fia in questa una sua a te, e una di Niccolò, che no la mando a Roma; che, sendo partito, non vorrei capitassi male: e però la mando a te. Se da Lorenzo, arò lettera, che sia di suo' fatti, te la manderò.

A Giovanni Bonsi ho fatto lasciare la casa teneva a pigione, ed hollo ridotto qui perchè non abbia quella spesa. Da altra parte, non volendo appigionare questa, estarà meglio abitata che serrata: e standoci io drento, mi passerò meglio, avendo la Lesandra meco, che star sola. E ancora quando i' non pagassi così el Comune, non sarei gravata; che lui ha poca gravezza. Sicchè, considerato tutto, l' ho messo qui, per lo meglio.

Francesco Strozzi mi dice, che un suo amico (e non vole dir chi si sia) gli ha detto che l' erede di Lionardo e di Piero e Matteo, per ragione della bottega dell' arte della lana, ha ' vere da Tinoro Guasconi circa di settecento fiorini, e che se n' ebbe una volta la sentenzia contro a Tinoro; e che questo suo amico gli ha mostro la via da ritràgli. Dice avere escritto a Niccolò che gli segni e libri della bottega, e che Niccolò gli dà parole. Entenderai da Niccolò, venendo costi, che cosa ell' è. Non m' ha però detto ch' io te lo scriva: ma dice, Niccolò non ha el capo se ne tragga nulla; e non sa a che fine se lo faccia. Non siàno ora in termine da riscuotere. A mio parere, doverrai sentire da Niccolò quello che Francesco scrive. Va cercando noia, e tiene l' anima co' denti, chè ogni di ha male.

L' Arcivescovo entrò en Firenze a dì 15, e non ha fatto niuna onoranza per ancora. Dicesi la farà, ma io, nol credo; che è pover uomo, e non vorrà espesa. E per voi si fa: che sentendo che voi avete avere la sella e freno, è uscito fuori uno Andrea di Signorino, e dice aveva avere da questo prete, che vi lasciò questa redità, da 80 fiorini. Ora Francesco dice, noi non siamo reda. Non so come si faranno, chè da fare ci è assai. Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi. Saluta la brigata per mie' parte. Per la tua Allesandra, Firenze.

Avvisoti, che capitando costà una schiava, che qui era de' figliuoli di Guglielmo di Guarta, che in costà si manda per vendere, è ladra pessima: sì che no te ne venissi pensiero di torla.

Ara' sentito del parentado della figliuola di Piero di Cosimo a Guglielmo de' Pazzi: e ancora de' figliuoli di Benedetto di Peraccione degli Strozzi. El maggiore ha la figliuola d' Agabito de' Ricci, e Pagolo ha questa di Filice Brancacci: sicchè si vorrà fare pensiero per una per te ; che Iddio, ci metta innanzi qualche cosa di buono, se ' l meglio debb' essere. Che Iddio vi mantenga sani lungo tempo, e in filicità dell' anima e del corpo.

Siàno a dì 21, e di nuovo non v' ho altro a dire, se no che stiate sani.

LETTERA QUINDICESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 21 di luglio 1459.

A dì 29 passato fu l' utima mia: di poi ho due tua; l' una de' 7, l' altra de' 19 detto. Risposta al bisogno.

Per ancora non s' è auto el costo del contratto da Mariotto Rucellai; e lui non ha auto la ratificazione ha fare co Marco Parenti: e lui dice ne lasci l' affanno; sicchè non me ne do pensiero: che se la vorrà, la ratificazione, bisognerà che paghi.

Avvisoti come parlai a Tommaso Soderini per que' candellieri: disse me gli manderebbe: per ancora no gli ho auti. Quando gli arò, ne sarai avvisato.

Le galee sento pure si sono costì condotte: Iddio ne sia ringraziato. Hanno auto assai tribolazioni, e di morte e d' altre fortune: sono delle cose che dà il mondo. Arò piacere abbi trovato le cose ti mandai: avvisa in che termine le truovi.

Gerardo aspetto ognora con disiderio, per sentire di te novelle di bocca, e come della persona se' ridotto: che Iddio me ne mandi quelle ch' io disidero.

Delle mie faccende non ho poi tratto a fine altro, per buono rispetto: quando ne seguirò più una cosa che altra, te n' avviserò: che Iddio el meglio ci dimostri.

Anche dispiacere assai n' è l' avere grande gravezza, e più dispiacere n' è la mia che la vostra, che getta maggior danno: chè, volendo pagare, ci ho a mettere del capitale; non pagando, avere noie assai: e ' n ogni modo ch' i' fo, vo a star male. Engegnerommi di pagare mentre ch' io potrò; e quando non arò danari, aranno pazienza; e farèno el meglio si potrà.

El conto dell' Isabella non ho fatto a punto; ch' è difficile a fare a me, benchè sia piccola cosa. È in assai, partite, e non so fare tante ragioni: e quest' uomini hanno che fare de' lor fatti

Avvisoti che ho fatto lasciare la casa a Giovanni Bonsi, ed è tornato qui colla brigata, e hacci messo le sue masserizie. Hollo fatto a fine che non abbia quella ispesa: e poi, s' io diliberassi d' andare a stare altrove, la casa starà meglio abitata che serrata; e s' i' pure ci stessi, sarò accompagnata, e passerommi tempo con manco maninconia. E ancora non pagando le gravezze, non sarei gravata per rispetto delle cose sua: sicchè m' è paruto el meglio di far cosi.

L' andata per te a Santa Maria in Pianeta si farà; e se a rinfrescare dell' aria mi sentirò da potervi andare, ch' io soddisfaccia al tuo obrigo, lo farò: quanto che no, e' ci è Pagolo, che v' andrà volentieri: e porterò il torchietto d' una libra, come di' . Non te ne dare pensiero; mettilo per fatto.

Le lettere di Giovacchino manderò; e viciterò le sorelle per suo amore: estanno bene. Nè altro m' accade. Raccomandami a Iacopo; e tu t' ingegna di star sano, e di governarti bene: e così ti conforto al ben fare, che te ne seguirà utile e onore: e i' so quello ch' io mi dico.

Avvisoti che due de' figliuoli di Benedetto di Peraccione hanno tolto donna: Niccolò ha la figliuola d' Agabito de' Ricci, e Pagolo ha tolto la figliuola di Filice Brancacci, quella che teneva la Caterina di Piero Ardingelli; che s' è auto a dispensare in Corte pel parentado ch' era tra loro. E Piero di Cosimo ha dato la figliuola a Gugliemo de' Pazzi.

Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi. Per la tua Alessandra, in Firenze.

LETTERA SEDICESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 27 di luglio 1459.

A dì 21 fu l' utima mia. Ho questo di la tua de' 14 detto. Risposta al bisogno.

Veggo el difetto non fu tuo, del non fare risposta alla mia così presto come disideravo. Poco portava; ma a me pareva essere estata un anno sanza vedere vostre lettere, non che un mese. E questo m' interviene perchè ho poca consolazione, o vero ne piglio, dell' altre cose: pure quando ho duo versi o da te o dagli altri, mi consolo un poco.

Le cose da Quaracchi, per buona cagione, non se n' è preso ancora partito; che stimo fare la ricolta del vino. Quando se ne piglierà, lo saprai. Al fatto di quello ha' in mano di mio, fara' ne quello ti pare o discrezione o quel modo sia la pace tra voi. Scrissi a Lorenzo, che i' non avevo terminato ancora quello s' avessi a fare del danaio; ma che la mia entenzione era che, s' i' vendevo e beni in su ch' i' ho la gravezza, ch' i' ne fussi aiutata per potere soprire a questa stribuzione, acciò non avessi enpaccio chi ha comperato da me. Sì che altro per ora non bisogna dirne. Vorrei m' avvisassi quanti furono e danari ti dissi mi serbassi per espese nella malattia di Lorenzo, quanti furono, e quanti i' n' ebbi; chè te ne farei creditore al Libro: e ancora vedrei come i' resto. Si che fàllo quando hai agio, chè non è di fretta.

La Gostanza di Bernardetto està sanza niun pensiero d' Antonio; e i' ne l' ho molto confortata. Enne più contenta l' un dì che l' altro, della venuta sua costì, e niuna tenerezza n' ha dell' averselo levato da sè: che così potessi fare io!

Ha' preso buona volta a scusarti dello scrivere mala lettera, benchè a me pare che tu la faccia buona. Accetto che tu dica vero; che a me enterviene che rade volte, per ben ch' io le ' ntenda, e ch' io no le legga parecchi delle volte; chè tanto mi pare esser con voi.

È vero che l' amicizia tra Bernardo e te ha fatto ritrovare el parentado: e quando la Gostanza è a Firenze, espesso mi fa motto qui in casa. È molto amorevole e da bene.

Se del lino non v' è quest' anno migliore che quello mandasti, no ne mandare più, chè ho, del migliore qui. El finocchio e' marzolini ti manderò, e ' ngegnerommi tu sia ben servito.

Ho inteso che la Caterina vende le possissioni, eccetto la casa da Spicciano con due poderi. Quello sento riserba per sè. Accozzossi con Niccolò suo al Bagno, e doverono rimanere in questo di vendere. Luigi era più duro al vendere. Sento che hanno voglia di venire a Bologna, e che là hanno mandato assai cose. E se là n' andassino, la Caterina e mona Ghita dicono n' andrebbono a stare co loro: che è comoda istanza e presso a Firenze; che le donne potrebbono andare e venire. Evvi Francescoloro fratello; e arebbe, se questo faranno, gran consolazione insieme. Ha' fatto e fa' bene aiutargli e servirgli di quello puoi: e Niccolò è molto benvoluto qui da molti.

Di' che ha' ' iutato ritrarre danari a Giovanni di messer Manno, e che l' hai convitato a mangiare: che ha' fatto bene per ogni rispetto, e massimo per amore di Vanni. El ben fare non si perde mai.

Niccolò veggo pure ne viene costà. Ha ' vuto questa sua venuta una gran lunghezza. Che Iddio salvo ve lo conduca. Arete faccenda tra le schiave e' fanciugli.

Vende' lucco, e posi e danari a tuo conto. Al fatto del Catasto, piglierò quel modo ci parrà meglio. Noli ce n' è posti più per ora: non so come si faranno.

La Ginevra se n' andò; ed io andai pochi dì fa a Quaracchi: non feci nulla: evvi gran caldo, e disagio assai v' ho in questo tempo. Tornerovvi quando l' aria sarà più rinfrescata, se a Dio piacerà.

A Matteo scriverrò, poi che da lui non viene lo scrivere a me; che non viene se non da straccuraggine. Avvisami se giova lo scriver mio.

L' Arcivescovo entrò una mattina a buon ora, e sanza onoranza niuna. Va questa nostra onoranza della sella come l' altre. Hollo sia per lo meglio.

Da Lorenzo non ho poi altro. E se Niccolò viene costi, e di lui abbiate ragionamento, en modo che tu creda abbia avere effetto, me n' avvisa per buon rispetto. Nè altro per questa; se no che, se v' è Niccolò, di' che quest' anno m' ingegnerò di mandarvi el finocchio dolce, poi che l' anno passato fu amaro. La brigata istà bene di qua. I' mi sto pure trista, e massimo questa mattina, che sono un poco ravviluppata. Iddio, che può, vi mantenga sani. Per la tua Allesandra, in Firenze.

LETTERA DICIASSETTESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 6 di settembre 1459.

Figliuol mio dolce. Ensino a dì 11 del passato ebbi, una tua de' 29 di luglio, come el mio figliuolo caro e diletto Matteo s' era posto giù ammalato: e non avendo da te che male si fussi, senti' per quella una gran doglia, dubitando forte di lui. Chiama' Francesco, e mandai per Matteo di Giorgio, e intesi d' amendue come el mal suo era terzana: che assai mi confortai, però che delle terzane, non s' arogendo altra malattia, non se ne perisce. Di poi, al continovo da te son suta avvisata come la malattia sua andava assottigliando; che pur l' animo, ben che avessi sospetto, mi s' allegierava un poco. Dipoi ho come addì 23 piacque a Chi me lo diè di chiamallo a sè, con buon conoscimento e con buona grazia e con tutti e sagramenti che si richiede al buono e fedele cristiano. Per la qual cosa ho auto un' amaritudine grandissima dell' esser privata di tale figliuolo; e gran danno mi pare ricevere, oltre all' amore filiale, della morte sua; e simile voi due altri mia, che a piccolo numero sete ridotti. Lodo e ringrazio Nostro Signore di tutto quello ch' è sua volontà; chè son certa Iddio ha veduto che ora era la salute dell' anima sua: e la sperienza ne veggo per quanto tu mi scrivi, che così bene s' accordassi a questa aspra e dura morte: e così ho ' nteso per lettere, che ci sono in altri, di costà. E bene ch' io abbia sentito tal doglia nel cuore mio, che mai la senti' tale, ho preso conforto di tal pena di due cose. La prima, che egli era presso a di te; che son certa che medici e medicine e tutto quello è stato possibile di fare per la salute sua, con quegli rimedi si sono potuti fare, si sono fatti, e che nulla s' è lasciato indrieto per mantenergli la vita; e nulla gli è giovato: chè era volontà di Dio che così fussi. L' altra, di che ho preso quieta, si è della grazia e dell' arme che Nostro Signore gli diè a quel punto della morte, di rendersi in colpa, di chiedere la confessione e comunione e la strema unzione: e tutto intendo che fece con divozione; che sono segni tutti da sperare che Iddio gli abbia apparecchiato buon luogo. E pertanto, sapendo che tutti abbiàno a fare questo passo, e non sappiàno come, e non siàno certi di farlo in quel modo che ha fatto el mio grazioso figliuolo Matteo (chè chi muore di morte sùbita, chi è tagliato a pezzi; e così dimolte morte si fanno, che si perde l' anima e ' l corpo), mi do pace, considerando che Iddio mi può far peggio: e se per sua grazia e misericordia mi conserva amendua voi mia figliuoli, non mi dorrò d' alcun' altra afrizione. Tutto el mio pensiero è di sentire che questo caso tu lo pigli pel verso suo: chè sanza dubbio so che t' è doluto; ma fa' che non sia en modo che t' abbia a nuocere, e che non gittiàno el manico dirieto alla scure: chè non ci è ripitío niuno nel suo governo: anzi è suto di volontà di Dio ch' egli esca delle sollecitudine di questo mondo pieno d' affanni. E perchè veggo, per la tua de' 26 detto, avere di questo caso tanta afrizione nell' animo tuo e nella persona; che m' è suto, ed è, e sarà insino ch' io non ho tue lettere che tu pigli conforto, tal pena, che m' ha a nuocere assai. E non piaccia a Dio che i' viva tanto ch' i' abbia aver più di queste! Considero che avendo auto el disagio delle male notti, e la maninconia della morte e dell' altre cose, che la persona tua non de' stare troppo bene: e tanto mi s' avviluppa questo pensiero el dì e la notte pel capo, che non sento riposo. E vorrei non avere chiesto consiglio a persona; anzi, aver fatto quello che mi pareva, e volevo fare: chè sarei giunta a tempo ch' io arei veduto e tocco el mio dolce figliuolo vivo, e are' preso conforto, e datone a lui e a te. Voglio riputare tutto pello meglio. Vo' ti pregare (s' e mia prieghi possono in te, come i' credo) che tu ti conforti avere pazienza per amore di me; e attendi a tutta la salute della tua persona, e poni un poco da parte le faccende della compagnia. E sare' buono a purgarti un poco, pure con cose leggeri, e massimo con qualche argomento; e poi pigliare un po' d' aria, se per niun modo potessi: ricordandoti, che abbi più caro la tua persona che la roba; chè, vedi, tutto si lascia! Ed io, madre piena d' affanni, che ho a fare sanza voi? Ch' è a me sentire facciate della roba assai, e per essa vi maceriate la persona vostra con tanti disagi e sollecitudine? Duolmi, figliuol mio, ch' i' non sono presso a te, che ti possa levare la fatica di molte cose, che aresti di bisogno: che dovevi, el primo dì che Matteo malò, dirmi en modo ch' i' fussi salita a cavallo, che ' n pochi di sarei suta costì. Ma i' so che per paura ch' io non ammalassi e non avessi disagio, nollo facesti: e i' n' ho più nell' animo, ch' io no n' arei auto nella persona. Ora di tutto sia Iddio lodato, chè per lo meglio ripiglio tutto.

Dello onore che ha' fatto nel seppellire el mio figliuolo, ho ' nteso che ha' fatto onore, a te e a lui: e tanto più ha' fatto bene a onorallo costì, chè di qua non si costuma, di quegli che sono nel grado vostro, farne alcuna cosa. E così ne sono contenta che abbi fatto. Io di qua, con queste due esconsolate figliuole, della morte del lor fratello ci siàno vestite:3. Cioè, preso bruno per la morte ec. e perch' io non avevo ancora levato el panno per farmi el mantello, l' ho fatto levare ora; e questo pagherò io. E braccia tredici di panno do per una di loro; che costa, a danari contanti, fiorini quattro e un quarto la canna; che sono in tutto canne sei e mezzo. Questo farò pagare a Matteo di Giorgio, e da lui ne sara' avvisato.

La copia della sua volontà ho veduta; e così si vuole mettere in asseguzione, più presto che si può, quello che è per soddisfacimento dell' anima sua. L' altre parti più a bell' agio si possono fare; e di così ti priego che faccia, e me avvisa se nulla posso far qua; che ci è una sorella del tuo ragazzo che avesti di qua, che è maritata, e none può andare a marito, che è una gran povertà la sua. Per altre te l' ho raccomandata, e mai n' ebbi risposta. Ora essendo questo caso, si vuole aiutarla: che sono in tutto fiorini quindici: e non voler mancare. E in caso che del suo non vi fussi tanto, che si potessi fare quello che lascia e questo, vo' lo fare di mio, o vo' fare del tuo; chè tanto è una medesima cosa. Sieti avviso, e avvisa come sta, e quello si può fare.

Veggo Niccolò era malato di terzana; che, oltre alla pena mia, ho auto dispiacere per più rispetti. A Dio piaccia per sua misericordia liberarlo.

Da messer Giannozzo ho per sua benignità una lettera, che n' ho preso assa' conforto, veduto l' affezione e amore ti porta, e con quanta carità e con quanti assempri m' induce aver pazienza. Che Iddio gliene renda merito. E perch' io non mi sento di tale virtù, ch' io sapessi e potessi fare risposta a un tanto uomo quanto è lui me ne starò; ma tu per mia parte gli fa' quel ringraziamento che t' è possibile. E me avvisa, e spesso, come ti senti: che Iddio me ne mandi quello disidero; chè, perch' io sia usa avere delle avversità pe' tempi passati, questo mi fanno più sentire. Ancora ringrazia per lettera Bernardo de' Medici; chè non ti potre' dire con quanto amore mi venne a vicitare e confortare, e quanto si duole del caso e della passione nostra. Non dirò più per questa, per non ti dar tedio a leggere; se no ch' io aspetto tue lettere che ti conforti, e di sentire che tu sia sano: che Gesù benedetto ce ne conceda la grazia, come disidero. Per la tua poverella Madre, in Firenze.

LETTERA DICIOTTESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 13 di settembre 1459.

A dì 6 fu l' utima mia; e benchè gran doglia fussi nel cuor mio a fare risposta a tal novella, pure mi feci forza a farti que' parecchi versi: chè, oltre al dolore e la grande passione ch' i' avevo della morte del mio dolce figliuolo, avevo ancora gran pena di te; chè consideravo, e considero al continovo, come la tua persona debba stare ' avere sopportato tanti affanni nell' animo e nella persona, come tu hai. Dipoi ho la tua de' 30 passato, che mi fu un poco di rifrigiero alla mia passione. Risposta per questa.

Non dubitar punto che i' ho sentito un gran duolo; e son certa che se tu avessi per alcun modo potuto fare ch' io non avessi per lungo tempo sentita questa novella, l' aresti fatto; ma non era possibile a farlo, e però fu di bisogno la sentissi prima da te che da altri. E non è dubbio, a mio parere, che ne ricevi danno assai, e più ancora di me: però che a me è danno per l' amore materno, che è grande quanto dir si può; e a te è l' amore dell' esserti fratello, e al modo tuo ne traevi frutto, ed era presso a te a poterti aiutare della sua possibilità, e, confortare l' un l' altro al bisogno: chè è gran consolazione, quando l' uomo ha delle fortune, avere de' sua presso a sè; ed io ne so ragionare, che sono escussa d' ogni consolazione; e credo che più te n' avvedrai di qui a un anno che ora, chè di più in più t' arebbe levato della fatica assai. Ora questa è materia che quanto più se ne ragiona, tanto è di più pena a chi tocca; e pertanto ti priego pigli buon conforto; chè, secondo tu di' , non gli è mancato alcuna cosa, nè per l' anima nè per el corpo: ch' è da starne paziente, considerato ch' è suto volere di Dio chiamarlo a sè così giovane: chè quanto a migliore otta ci partiàno di questa misera vita, minore fastello di peccati ne portiàno E così io mi conforto a pazienza; che non ci è rimedio a questa morte; e veduto el governo che ha ' uto, per una lettera tanto dolce e confortativa, che ho auta da Fra Domenico di Santa Maria di Monte Uliveto, che lo confessò, e di passo in passo mi dice come si governò a quello istremo punto; che è quello che mi fa dar pace e mitica un poco el mio duolo. Ora si vuole porre questo da canto; e la prima cosa, che si sodisfaccia agli obrighi che ha lasciato per l' anima sua; e quello che tu ha' promesso tu, ancora si soddisfaccia. Di' che lo botasti qua all' Annunziata, di porlo di cera: avvisami se s' ha a fare più in un modo che ' n altro, che la farò fare. La pianeta non so dove ti botasti di farla; e non sendo obrigato di porla più in un luogo che ' n un altro, mi parrebbe, e così mi contenterei, la facessi costà, acciò che di lui vi fussi qualche memoria. E ' ntorno all' onore del corpo, per la mia de' sei dì t' avvisai di quanto aveva seguìto, di vestire queste due fanciulle, che altro di casa loro non hanno avere. Iddio lodato.

A la parte dell' esser o vero lasciatomi reda, non me ne sono informata che sia da fare; ma secondo mia voglia, è di non pigliare questo carico, che mi sarebbe di danno, secondo mio credere. A questo piglierò consiglio da Tommaso, che duo dì fa tornò d' ufficio: e tu arai veduto dipoi come stanno e suo' fatti, e avisera' mi e dirotti di mio parere.

Tu di' che ti pare necessario di fare pensiero d' accostare Lorenzo in qua più presso a noi. A questo ti dico, che tu sai che la voglia mia era questa, e scrissitene duo versi: rispondestimi cota' ragioni, ch' io restai paziente; sì che a questa parte lascerò pigliare el partito a te: chè non avendo io a stare dove voi, tanto mi fa che istia a Brugia, quanto a Napoli o in Catalogna; chè a un modo ne arò consolazione: sì che a te tocca a pigliare partito di quello s' ha a fare; e conosci meglio el bisogno di questo, che non fo io; però che l' amore e la passione mi vince tanto, che forse non vederei così tutto. E pertanto non dirò altro sopra di ciò.

Avvisa se Niccolò è guarito; che mi piacerà sentire di sì. La nostra Checca è stata da diciotto dì ammalata di febbre continova; ora gli è scemata, che n' ha piccola cosa, secondo el medico. A me pare abbia maggior male non dicono, però ch' è molto lassa, che non vorrebbe fare altro che giacere; ch' è cattivo segno, quand' uno enfermo megliora, e sta giudicato nel letto. Poi ha lo stomaco, che spesso non ritiene el cibo. O che sia la paura ch' i' ho di nolla perdere, o quello si sia, a me pare che abbia gran male. Iddio l' aiuti; chè s' ella mancassi, mi mancherebbe un gran conforto.

Non bisogna raccomandare la vita mia a me per vostro amore, ma a voi bisogna raccomandarvi la vita vostra per amore di me, che vivo della vita e sanità vostra: che a Dio piaccia per sua misericordia mantenervi amendua lungo tempo con quella sanità ch' io disidero per l' anima e per el corpo.

Da Lorenzo ho lettere de' sette del passato, ch' era a Brugia, e fra pochi dì si partiva e andava fuori per due mesi.

Fra Domenico ringrazia; che s' io arò tempo gli risponderò; e se pure non gli facessi risposta alla sua, farai tu el bisogno e mia scusa. Per la tua madre Allesandra, in Firenze.

Tenuta a' dì 15. Perchè non pigli ammirazione dello scriver mio in questa, che dico, s' io non ho a stare dove voi; per tuo avviso, i' non dico questo perch' io non disideri con tutto el cuore e l' anima mia di stare sempre ch' i' vivo dove voi, e non ho altra paura se non di non morire prima ch' io ne rivegga niuno di voi; e perchè està a te el diliberare l' andar mio e lo stare, dissi così: che veggo per quest' utima tua el pensiero avate fatto, che in questa quaresima venissi a Roma, e voi ne saresti venuti per duo mesi; chè mi stimo che a quelle parole non fussi tuo pensiero ch' i' venissi a stare con voi: sì che, figliuol mio, avvisa se l' animo tuo è ch' i' venga o ch' i' stia, chè sappia el certo della tua volontà; che così seguirò. Che Iddio ti dimostri quello debb' essere el meglio per voi e per me. La Checca è dipoi meglio.

LETTERA DICIANNOVESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 2 di novembre 1459.

A dì 24 di settembre fu l' utima mia. Ho dipoi la tua per Gherardo; che piacere ebbi della sua venuta, che a bocca mi disse buone novelle di te, e come stavi benissimo della persona, e che eri ritornato nell' esser tuo di prima innanzi che avessi male: che ringraziato sia Iddio che t' ha renduto buona sanità. Risposta per questa alla tua.

Se' avvisato per più lettere come piacque a Dio insino a dì 23 d' agosto chiamare a sè quella benedetta anima del mio Matteo, al quale Iddio abbia fatto misericordia. E stimo che da Filippo sia suto avvisato quanto e' fece de' suo' fatti, e come lasciò quel poco che aveva: che mi scrisse che, come avesse recato al netto, t' avviserebbe, e così me, quello vi fussi di suo, tratto quello aveva da me. Ora al fatto della morte non bisogna pensare, chè non ci ha rimedio. Àmmi dato e darà insino al fine assai amaritudine; e più perchè non mi vi trovai a dargli aiuto nè conforto niuno. E bench' i' sappia che nulla gli mancassi, pure ho pena ch' i' non mi vi trovai. Or alle cose che non è rimedio non è da pensare, e recarsi a pazienza: chè tutto fa Iddio per lo meglio dell' anime nostre. Confortoti a pazienza, e pregare Iddio per lui: e apparecchianci avere dell' altre; che ci percuote Iddio, e le gente del mondo. A tutto ci bisogna preparare a portare en pace.

Avvisoti come Antonio Macigni è stato malato bene un mese di terzana, e ora pareva guarito e sanza febbre: mossesegli a dì 20 del passato uscita, e fra duo di calò forte; en modo che Niccolò Soderini, era podestà di Prato, subito ci venne e sì gli fece far testamento, e fecesi lasciare, per più cagioni e ragioni mostrò avere contro al detto Antonio, ciò ch' egli ha. Di che n' è seguìto grande iscandolo tra la Caterina di Giorgio e' Macigni contro a Niccolò; e han tratto fuori el testamento che fece nostro padre, che dice che lascia reda Zanobi e Antonio; che mancando l' uno, redi l' altro; e mancando amendue sanza reda, che la redità torni a Giovacchino e Carlo, o loro figliuoli: sì che, essendo morti Zanobi e Antonio sanza reda, dicono che ciò che rimase di loro perviene ne' detti Macigni. Ora s' ha a vedere se gli hanno ragione; che avendola, ci bisognerà por su e danari s' ebbono da messer Otto. Aiuterommi quanto sarà possibile, adoperando amici e parenti come bisognerà. Se pure la ragione fusse per loto, bisognerà avere pazienza. E torto non ci hanno a fare. No mi mancava altro per ristoro delle mie fatiche! che a Dio piaccia porvi fine, se è di sua volontà. Sieti avviso. La retificazione ebbi: èssi fatto quello bisogna: e riebbi le spese: tra la tua, che fu uno ducato e mezzo, e quella di Filippo fu mezzo ducato, en tutto s' è auto grossi 31 ; che mi diè meno grossi 2 che non vi costorono. Sia al nome di Dio, che se n' è uscito delle sue mani.

Delle possissioni da Quaracchi non ho preso ancora partito per buona cagione. Sono cose buone, e il luogo, che sempre si troverrà comperatore.

La gravezza mia è grande, e non posso fare di non pagare; chè ho doppia ispesa non pagando, e vanne in tante noie di me e d' altri, che ho cominciato a pagare; e perensino a questo dì i' n' ho pagati cinque catasti, che sono fiorini 45. E della gravezza vecchia, n' ho pagate tre gravezze, che son fiorini 24. E così farò, mentre arò da pagare: quando non n' arò più, farò sanza pagare. Ragionasi, che non si può fare di manco che uno catasto il mese.

E candellieri non sono per ancora compariti. Aspetterò che Tommaso Soderini torni da Pisa; che ci sarà per tutto questo mese; e vedrò se gli potrò avere, e te n' avviserò.

Piacemi abbi trovato el corbello en buon ordine: e per questa galea d' ora die' a Batista un corbello piccolo, drentovi un mezzo staio dì ceci tra bianchi e rossi, e dieci marzolini, duo alberegli d' uve secche, e finocchio, e onde dieci d' aromatico rosato vantaggiato: e abbi cura di no ne pigliare pel caldo, che è troppo di spezie; e quando ne pigli, fa' piccola presa, chè è di grande sustanza; e fanne masserizia, chè si conserverà uno anno buono.

A Giovanni ho detto del panno: attende a chi l' ha a domandare. E gli spilletti saranno co' guanciali di Francesco, e a mona Maria e la Checca per tuo' parte aranno la parte loro.

L' andata da Santa Maria Impruneta è fatta; che vi mandai Pagolo a dì 21 passato; el portò torchio d' una libbra.

Veggo che poco ha' da fare costì; e la pratica di Niccolò è tornata in acqua: che tutto si vole pigliare per lo meglio.. Ho più lettere da Filippo poi che fu el caso del mio Matteo; e sì gli parrebbe ch' io t' avessi escritto che ti dovessi ritrarre di costà, e venissi a Napoli. E ancora gli parrebbe ch' io lo dovesse iscrivere a lacopo, acciò che se si volessi provvedere d' un giovane, che possa. Non te n' ho mai volato direi alcuna cosa, perchè essendo la guerra nel Reame, come v' è, e ancora s' aspetta maggiore per mare e per terra, non mi pareva che per nessun modo ti parta per ora di costi; che ho pena che lui vi sì truova. Da altra parte conosco la natura di te e di lui, e non so come v' accordassi ensieme. Sicchè per questo non te n' ho iscritto. Ora i' t' ho avvisato di quanto mi scrive ch' è suo pensiero: avvisandoti ch' io non so come l' aria di là ti comportassi; che per Matteo v' è stata cattiva, e si me lo menò. Sicchè fa' tuo pensiero, e tieni questo a te, nè a Filippo no ne dire nulla: chè se lo diliberrà, te n' avviserà: che gli ho detto, ch' io non te ne voglio scrivere nulla. E pensaviti su coll' animo riposato prima che pigli partito: e tieni tutto a te.

Niccolò è ' guarito, e per tutto el passato doveva tornare a Roma.

Questa mattina ho lettere da Filippo; è mi dice ch' io ti scriva che ti ritragga in qua; e che i' lo scriva a lacopo: e che ha scritto a te e a lacopo quello gli pare che tu facci. Sì che da lui intenderai, e sarai avvisato del suo pensiero; ed io sarò contenta a quello farete. Pensa pure a quello. che fai, ennanzi che pigli partito: che Iddio ti metta innanzi quello che debb' essere el meglio. A me escrive che in questo verno pigli partito delle possissioni e d' alcune masserizie; e che passando tu in qua, o per mare o per terra, ch' i' fussi in luogo atto a venirne teco. Ora el tempo mi consiglierà; e se diliberrai passare di qua, me ne darai avviso: e io alsì a te di mio pensiero. Nè altra per questa. Iddio vi mantenga sani e ' n suo' grazia, come disidero. Per la tu' Allesandra, Firenze.

El corbello arai, secondo mi disse Batista, per Esmeraldo Boni.

Sono a dì 3, e ho da Filippo come a dì 25 passato fu a Napoli l' armata de' Franzesi, che sono diciotto galee, una galeotta; e fecionsi vedere. La terra esparò loro di molte bombarde; ma andavano sì discosti, che nolle temevano. E ancora dice non s' erano ispiccati di que' mari; e che loro di qui hanno auto poca paura, perchè la terra era molto bene fornita. E questo ho da Filippo. Ancora m' avvisa come è morto messer Giannozzo Manetti, che aveva male in una gamba, e per saldarla andò al Bagno, dove la ristrinse, e la febbre gli diè a dosso grande; in pochi dì si spacciò.

LETTERA VENTESIMA

A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Per Gherardo fu l' utima mia, che arò piacere che Iddio l' abbia condotto a salvamento. Ho dipoi una tua de' 9 d' ottobre, che n' ho preso conforto, e si perchè eri sano, e perchè della perdita grande che abbiàn fatta del nostro Matteo veggo che la pigli en pazienza; che me ne dài assa' conforto. E poi che a questo non è rimedio, si vuole por fine allo scrivere di questa materia; e solo a pregare per l' anima sua, e attendere a star sani, e a vivere mentre che a Dio piace: chè lo scrivere de' fatti sua è da dar pena ad amendue. E però porrò fine; ed altro non c' è da dire di sue faccende.

Avvisa' ti del pensiero aveva fatto Filippo che tu ti rappressassi en qua, e da lui ho lettera che te n' ha avvisato, e così lacopo. Ben mi dice che tu non pigli partito, se non hai prima di mio parere. Così mi scrive aver detto a Iacopo e a te. I' te ne dissi, per la lettera che ti portò Gherardo tuo, un poco di mio parere, che si vuole pensare più di sette volte en sulle cose, ennanzi che se ne pigli partito; e chi va con pensato, fa alle volte meglio che chi corre a furia. E pertanto a me non pare che per uno anno si debba ragionare di levarsi di costi; chè essendo la guerra grande nel Reame, non vi s' ha a far nulla: ed io en questo mezzo potrò assettare le cose di qua: chè mi pare pure Filippo si dirizzi ch' io vadia a stare dov' è lui. Essendo la guerra, non è per ora da ragionarne; chè non vorre' che lui solo vi si trovassi. Niccolò se n' è venuto a Roma; che gittò un bel tratto: ed è sano, e sta bene.

Ara' sentito come l' armata de' Franciosi giunse ne' mari di Napoli, e non si poterono appressare alla terra per rispetto delle bombarde che trassono que' drento; e stettono una brigata di dì, en modo che mancava la vettuvaglia. Dipoi Giovan Coscia iscese en terra è del Prencipe di Rosano, che è cognato del re Ferrando, e si fece el parentado; che el detto Prencipe diè una sua figliuola a un figliuolo del Duca di Calavria, cioè del figliuolo del re Rinieri che è governatore di Genova: e fatto el parentado, e dato loro recitto tra nelle terre del Prencipe di Taranto e di questo di Rosano, alcune castella sì sono rubellate, ed è enpedita la strada che viene a Roma; che da Napoli a Gaeta non si può venire per terra, e poco per mare. E da Filippo non ci è lettere espesso come suole. Ònne da lui de' 7 del passato, e dice che non può avere che danno di questa guerra; ma che è parecchi mesi ch' è ito a tentone nelle faccende, e atteso a ritrarsi; e che non è troppo avviluppato: e così mi dice Matteo di Giorgio, che è duo mesi non v' ha rimesso danaio. Ora si sta a vedere che seguiteranno; chè el Re si dice è a Capova con le genti sue dell' arme, e che gli è bene in punto. Che a Dio piaccia metter pace per tutto; che assai dispiacere ho che Filippo vi si truova: che Iddio lo guardi l' avere e la persona.

Sentisti la morte d' Antonio Macigni, e come e figliuoli di Giovacchino e Carlo si preparavano a volere questa redità d' Antonio per vigore del testamento di nostro padre, che lasciò reda costoro, dopo la morte di Zanobi e Antonio, morendo sanza reda. E sonsi volti per ora a' beni d' Antonio, che sono nelle mani di Niccolò Soderini; e si piatiscono al Palagio del Podestà: e dicono, ed è chiaro, che se vincono e beni d' Antonio, che sono convinti e beni di Zanobi; e bisognerebbe che noi ponessimo su e danari s' ebbono da messer Otto. E per ancora non sono tanto ennanzi el piato, che si vegga quello c' ha essere el fine: che stimo sarà piato lungo, e arà che fare l' una parte e l' altra. Iddio, che può, ci aiuti: che mai ho avere riposo! Pure, quando bisognerà, in questo caso adoperrò gli amici; che pure ce n' è alcuno; en modo ch' io non ho paura d' inganno niuno. E se per via di ragione del Podestà non vincono, per altra via non tireranno a loro nulla. Iddio ne tolga loro la forza. E di quanto seguiranno, ne sarai avvisato.

Batista tolse donna, e ha fatto bel parentado, e n' è tutto lieto: sì che co lui te ne rallegra.

Fia in questa una lettera ti manda Niccolò. Nè altro per questa; se non che ti ricordi di star sano e di buono governo: che a Dio piaccia mantenervi lungo tempo, come disidero. Per la tua Allesandra, in Firenze.

Giovanni Bonsi aspetta per le galee el panno, e a chi l' abbia a chiedere quando giugneranno a Livorno.

LETTERA VENTUNESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 28 di febbraio 1460.

Del mese passato fu l' utima mia. Ho poi dua tue de' 3 e 24 passato. Risposta al bisogno.

Per la mia di novembre ha' ' nteso quale è ' l pensiero e l' animo mio; e veggo che se' contento ch' i' faccia la mia volontà, e che i' pigli el partito mi pare: che mi piace che tu sia di queste cose, che son di qua, contento a quello farò; però ched io non ho altro pensiero, nel finire le possissioni ed acconciare le cose ci resteranno, se no di fare l' utile e salvamento vostro: ch' è mio debito far così, e non ci ho maggiore interesso che ' l vostro. I' ho ' nteso e del consiglio di Tommaso e d' altri, e tutto s' acconcerà per miglior modo, e più sicuro si potrà: che presto si farà quello s' ha a fare. Le possissioni per ancora non sono vendute; che non siamo, del pregio, dove vorremo. Ora di queste non se ne ragioni più: lasciatene el pensiero a me, e quando saranno finite v' avviserò.

Le carte, o vero panni dipinti, ebbi duo mesi fa, e per più mie ne se' avvisato: che la sua diedi a Iacopo, come m' avevi avvisato più volte. Dimostrò d' averla molto a grado, e gran profferte ci fece. L' altre due ho in casa.

La ritificagione facesti a messer Otto, per non averne trovato ricordo, non n' ho potuto dimostràgli le bugie sue: che già me ne ricorda a me, che tu lo facesti; ma dicendo di no lui, no gliel' ho potuto provare. Ma ora che i' ho ' vuto la picchiata co' Macigni, è cancellata. Chè, come ti scrissi, avemo una condannagione di fiorini cinquecento; cioè, che cento, che ebbe Francesco Macigni di que' di Zanobi, s' intendino in questi cinquecento; che restono a pagare a noi fiorini quattrocento. E di questi abbiàno a pagare in duo paghe: l' una a mezzo questo, che di già n' hanno auti fiorini 75, e l' altra a mezzo marzo. Non so se si vorranno indugiare e' resto della prima paga insino al termine utimo, cioè di marzo. Arroto a' vostri affanni avete questa picchiata, che non è a voi piccola. Iddio lodato di tutto, e con pazienza bisogna portare e nostri danni.

Io disiderrei che tu non t' obrigassi a partito nessuno in coteste parti per verun modo; però che l' utile e ' l ben vostro mi pare sia di stare presso l' uno all' altro; e che di più consolazione sarebbe a voi e a me l' essere in luogo di potere dare aiuto e favore l' uno all' altro, per molti casi che possono avvenire: che stando tu in coteste parti, mi pare averti mezzo perduto. Sete ridotti a sì piccolo, numero, che a ogni modo e per molti rispetti mi piacerà che tu pigli partito d' andare a trovar Filippo, e di far quel che per più sue t' ha detto. I' non mi distenderò sopra di ciò in altro dirti, perchè nostre faccende non si sentan per tutto: chè istimo le lettere mie ne sia fatto el servigio che delle tue, che poche n' ho che no sieno istate aperte. Donde si venga el difetto, non so. Insino alle tue che vanno a Filippo, sono trassinate. Sicchè cose che fussino d' importanza non mi scrivere, se no per persona fidata: e così farò a te. Filippo mi se n' è doluto più volte, che le sono state aperte. E gran mancamento di chi lo fa: e bench' e nostri fatti no sono di troppa importanza, pur è mal fatto.

Piacemi Iacopo avesse la mia: attendone risposta. Veggo è stato malato di male di fianco, e che migliorava: così piaccia a Dio liberallo in tutto, e conservallo lungo tempo a' sua figliuoli.

Non m' accade altro per ora. Filippo e le nostre fanciulle sono sane per ora; Iddio lodato. I' mi sto pure chioccia; che sono nel tempo che ci appressiamo al nostro fine: che Iddio me lo dia con salute dell' anima. La Checca ti manda mille salute. Che Iddio t' allumini del meglio dell' anima e del corpo: e fa' di star sano. Per la tua Allesandra, in Firenze.

LETTERA VENTIDUESIMA

A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 6 di marzo 1460.

A di 28 passato fu l' utima mia, e l' ho di già data a Lodovico, che la mandassi sotto le sue; chè aspettava el fante da Roma parecchi dì fa, e non è venuto. Ora ho la tua per Coppino; che m' è stata di consolazione, sentire novelle di te a bocca; che mi dice tu se' in buon punto della persona: che assai mi piace; e così piaccia a Dio conservarti lungo tempo, con salute dell' anima e del corpo, come disidero.

Veggo la venuta tua a Bruggia n' è suto cagione la malattia di Iacopo; che ha' fatto bene a venire a vicitarlo e a provvedere che abbia el governo suo; benchè essendovi la donna e Tommaso suo nipote, no gli doveva mancare governo; e così Giovacchino e degli altri, che debbono aver fatto quanto è loro possibile: e così tu dipoi ara' fatto la tua diligenza per la santà sua. Dicemi Coppino, che gli ha ' uto gran male, e che è assa' disfatto della persona; e che pure migliorava: che mi piace; e tu mi di' ch' e medici dicono non porta pericolo, che debba migliorare: e così priego Iddio che gli renda buona sanità. Viene inverso la primavera, che è buon tempo a riaversi della persona, se farà buona guardia della bocca: e così lo conforta per mie' parte.

Ricordoti el metterti in ordine ed assettare le tue faccende di costà, e di ritrarre quel poco che tu hai di costà, e ridurti di qua con Filippo, che mi dice avertene iscritto più volte; e così dice a me, ch' io te lo scriva: che per molti casi che possono avvenire, estate meglio l' uno presso all' altro: che se venissi caso nessuno (che Iddio ce ne guardi), si perde l' avere e la persona a un tratto. E poi che Iddio v' ha privati di casa vostra, essendo voi ensieme, e non estando io della persona peggio ch' io mi stia, forse diliberrei venire a vivere e morire con voi. Ora Iddio vi dia a pigliare el partito che debb' essere el meglio.

Avvisoti ch' e dua panni dipinti ch' i' ho, l' uno è de' tre Magi che offersono oro al Nostro Signore; e sono buone figure: l' altro è un pagone, che mi pare gentile, ed è adorno con altre frasche. A me paiono belli: serberonne uno, come di' ; perchè a quello di' per altra tua che costano, non se ne trarrebbe qui fiorini tre dell' uno; che sono piccoli panni. S' i' trovassi da vendergli bene, gli venderei tramendua. El Volto santo serberò; che è una divota figura e bella.

Le possissioni mie, non ho ancora fatto altro.

Avvisoti che non mi scriva cose d' importanza, e così farò a te, se no quando le puo' mandare per persona fidata: chè tutte le tue mi sono aperte; e così quelle tue vanno a Filippo, che mi se n' è doluto. Così debbano fare delle mie. E pertanto sieti avviso.

I' ho lettere questo dì da Filippo, che sta sano: dice che ha lettere da te di rado: sicchè fa' di scrivergli più spesso che non fai. Consumasi che, non potendo tornare a Napoli per rispetto la guerra, perde el tempo suo e spende assai. Non si può quello che uomo vorrebbe. A Dio piaccia metter pace per tutto.

La Caterina e la Lesandra stanno bene, e così gli altri; Iddio lodato! Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra Strozzi.

LETTERA VENTITREESIMA

A Iacopo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 10 di marzo 1460.

Carissimo quanto maggior fratello. Più tempo fa non t' ho scritto per no esser suto di bisogno. È questa perchè ho sentito tu ha' ' vuto gran male; che m' è assai dispiaciuto. Pure, per grazia di Dio, mi dice Lorenzo che cominciavi molto bene a migliorare, e che eri fuori di dubbio: che molto mi piace, Iddio lodato. Aspetto con disiderio di sentire sia in tutto libero e sano. Così te ne conceda Iddio la grazia, come tu disideri.

I' ho scritto più tempo fa a Lorenzo, ched io voglio a ogni modo che si rappressi in qua, veduto non essere altri che lor due: ch' io mi contento che stia più presso a noi, che non è; e che s' accozzi con Filippo; e che elegghino una stanza che faccia per loro, e che fussi comoda ancora a me; che, s' i' vivo, vorrei vivere con loro, piacendo a Dio. E così ho detto a Filippo che gliene scriva più volte, e che ne scriva a te, che tu lo solleciti di questa tornata di qua. Ora ho lettere da lui, e del partirsi di costà non me ne dice nulla; che me ne fo maraviglia, sappiendo che è la mia volontà che venga accozzarsi con esso noi. E facevo pensiero che ora al maggio andare a trovàgli a Roma tramendua, ed e mie' fatti e' loro s' acconciassino en modo, che quel poco del tempo ch' i' ci ho a vivere ne stessi contenta; e da altro canto, s' i' mancassi, acconciargli ensieme en modo non avessino a quistionare, anzi avessino a stare come buon frategli e vivere en pace: che tocca a me a farlo, e acconciargli ensieme mentre ch' i' vivo. Ora i' ti priego, Iacopo, che se vedessi che lui non avesse el pensiero a fare questo passo, che per mio amore gliele dica, che non mi voglia disubbidire di questa domanda, che è lecita, e gli fia d' utile e d' onore. Avvisandoti, che se non mi dà questo contento, che non farà per lui. E questo ti dico perchè lo dica a lui. Fàllo, e confortanelo in mio servigio.

Fusti avvisato come la tua Lisabella fece la fanciulla femmina, e che stava bene; che è grassa e fresca. Così la mantenga Iddio lungo tempo.

A Coppino dissi che per mie' parte ti confortassi, e sopra tutto a far buona guardia della bocca e d' ogni altra cosa che t' avessi a offendere la persona; che vieni in buon tempo a riavere le forze e ridurti in buona sanità. Così piaccia a Dio che sia come disidero. Nè altro per questa. A te, alla Lugrezia, mi raccomando; e mille salute a Lionardo e a la Margherita: che Iddio presti a tutti buona vita. Per la tua Allesandra Strozzi, in Firenze.

LETTERA VENTIQUATTRESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 11 d' aprile 1461.

A dì 2 passato fu l' utima mia. Non ho da poi tua, che quella de' 8 di febraio, che ne fu apportatore Coppino. Per quella tua intesi della malattia di Iacopo: el simile mi disse Coppino; ma poselo fuori di pericolo della morte. Dipoi ho sentito da molte persone come a dì 13 di marzo egli era piggiorato en modo che, rispetto la malattia aveva, pochi dì poteva durare: per la qual cosa ho ' uto gran dispiacere per molti rispetti, e massime per la sua famiglia; che sono e primi che ne ricevono danno. Iddio sa el bisogno nostro; e non fa se non bene, e per salute dell' anima nostra: così arà fatto per salute dell' anima sua, se l' arà chiamato a sè, ed arà fatto el passo suo: che così abbiàno a far noi. Estimo che arà acconci e fatti sua: e trovandosi fuori di casa sua, e fuor di sua parenti; da voi en fuori, non so a chi si lasci carico di suo' fatti. Se a te avessi lasciato a nulla, per mio consiglio nollo accettare, e rinunzia a ogni governo che t' avesse lasciato; perch' e fatti delle redità sono di gran pericolo, e di noie e briga assai, e non farebbe per te; e sopra tutto fa' che non t' obrighi a nulla, nè a persona, e sia chi si vuole; chè sai non puoi obrigare se no la persona. E a questo sia savio, e ti sia detto per tutte le volte. Non dico che, mentre istai costà, non facci quel buono che puoi; ma sanza obrigo niuno. E questo ti basti intorno a di ciò. Ricordoti che di que' pochi danari ha' di mio, che tu, non avendo ritratto, gli ritragga, e facci quanto per altra ti dissi. Ho da Filippo che Niccolò scrive che, seguendo la morte di Iacopo, Lionardo si mandi a lui a Roma ; sicchè non potrebbe avere miglior compagnia che la tua. L' apportatore di questa sarà Batista Strozzi: sara' co lui. Che Iddio vi dia a pigliare el partito debb' essere el meglio; che Iddio lo conduca a salvamento. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, in Firenze.

LETTERA VENTICINQUESIMA

A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 25 d' agosto 1461.

Di poi partisti da Roma non t' ho iscritto per non essere accaduto el bisogno. Ebbi poi la tua da Bologna, che ne fu apportatore Lodovico Strozzi: eriti condotto sano tu e la compagnia; che mi piace: Iddio lodato! Dovevi partire di quivi a' dì 20, per essere a Vinegia, e poi per la più pressa tirare costi a Bruggia. Così arò piacere abbi fatto: che Iddio per tutto v' abbia fatto salvi. Tommaso se n' è venuto teco: è buon compagnone, e portati grande amore. Attendo novelle della giunta vostra costi; che Iddio me ne mandi le buone disidero.

El trebbiano ho comperato per mandare al Governatore di Perugia per tuo' parte; e Giovanni ha cerco per migliore che ha trovato; e questo dì lo debba mandare. Costa lire 8 el barile; e' fiaschi, lire 4, sol. 13; e per vettura, fiorini 2 larghi. Pagherassi della Veronica, vendendola: se none, Giovanni gli trarrà da Filippo. Sopra di ciò non accade altro. E marzolini, queste fanciulle gli mettono a ordine, e darannosi a Matteo Buonaguisi, come per altra ha' detto.

Da Filippo ho lettere di quanto è seguito tra voi de' fatti vostri, e in che appuntamento sete rimasi; che alla buon' ora sia tutto: e così ho visto come la facesti co' Niccolò; che ogni omo faccia per sè. Sete oramai d' età di non avere balia sopra capo, della discrezione ch' è lui; che un altro non credo se ne trovassi di sua condizione: e non che inverso di voi, ma veggo come la va sottilezzando per le nipoti: per ancora non ha fatto loro nulla en dosso; e simile alla Lugrezia. Duolsene la madre forte; che per la malattia della Margherita, e per altre spese, tutto hanno fatto del loro; chè nulla anno auto da lui. Ha proferto lo panno per le cioppe molto escarso; e delle gamurre, che hanno nicistà d' una per uno quelle duo fanciulle, no ne vole per ancora udir nulla; che dice ha da te, che l' hanno buone en dosso: e non è così, che sono di già consumate, e sono per ogni dì per casa: e' panni che sono a cammino, di loro, dice la Lucrezia che non sono buone a rifare, tanto sono miseri. Ora i' ho scritto a Niccolò, che non me ne dia carico; chè altro che malavoglienza non arei o da lei o da lui. E così m' ingegnerò di fare: chè sono diferenziati l' animo di Niccolò da lei.

Avvisoti che la lettera tu mandasti ch' io gli dessi in suo' mano, della Lugrezia, come si facessi (secondo dice la Lucrezia), che la gli cadde, e la madre la lesse, e forte era crucciata. Andandovi a vedere dipoi la Margherita, che ancora non è del tutto libera del male, e la madre cominciò forte a dolersi di te, che tu avevi escritto che la guardassi, che la dota sua, Donato non vi ponesse su le mani. E di questo non ti potre' dire quanto isdegno n' hanno preso, e non pote' mai con buone parole raumiliarla. Dipoi, da me e la Lucrezia, dissi: tu non dovevi mostrare la lettera a mona Lena, avendo veduto che v' era su cosa ch' ella n' avesse dispiacere. Ella rispose en più modi; che comprendo lei medesima ne fu cagione, ch' ella la vedesse. Mostrò di no ne fare caso delle parole della madre, nè di quello tu gli dicevi della dota; ma faceva caso del dire, ch' ella s' era per rimaritare: e questo dimostrò che gli dolesse; ma che sapeva che tutto veniva da quella buona lingua di Tommaso Ginori, e che nel pagherebbe a tempo. Ora i' non so vostre trame: dissegli che ti scriverei, che attendessi a fare e fatti tua, e a lei lasciassi fare del suo a suo modo. E bene dimostrassi ta' parole non esser contenta ch' i' te le scrivessi, te lo dico di nuovo, che lasci fare a lei del suo, e non te ne impacciare; chè sono cose di poco onore. Credo di costà ne sentirai novelle da Carlo, chè stimo la madre glie l' arà iscritto. Tommaso è lo ' ncaricato della chinea e della sella e del pigliare marito: digliele per mie' parte, ma non gliene scriva però nulla. E attendete a fare e fatti vostri, e sbrattarvi di costà presto. E a lei non è di bisogno scrivere. E' ricordi ti die' Filippo della donna, abbi a mente.

El famiglio tuo venne da Roma, e giunse colla febbre, che tre dì l' ebbe a cammino: tennilo qui tre dì, governandolo bene, e col pollo pesto sera e mattina, credendo la febbre passassi; ma ella cresceva. Quando vidi questo, con buon modo lo feci contento che andò a Santa Maria Nuova; e là lo raccomandammo al medico, e no gli è mancato nulla. Che se guarisce, e torni costà, si loderà di noi. È migliorato; ma dubito che none stia un pezzo con un poco di febbre; e se si mette a cammino, che non sia ben guarito, dubito no rimanga su pell' abergo. Terròlo qui el più ch' io potrò, tanto che riabbia, le forze, e poi si ritorni costà: che Iddio gli renda la santà presto, se ' l meglio debb' essere: che dispiacere ho ' uto del mal suo per tuo amore, che lo menasti teco. El cavallo, Giovanni l' ha governato, ed è guarito del dosso.

L' apportatore di questa Ha Antonio di Bernardo de' Medici, che viene a stare nella compagnia di Cosimo: è a te singulare fratello; e sai quanto tutti noi siàno obrigati a Bernardo, e simile a lui; che siàno tenuti di baciare la terra dove Bernardo pone e piedi, per l' amor grande ci porta, e quello ha fatto per noi, e fa continovamente; ed è molto affezionato a' fatti nostri. Sì che, per ogni rispetto, li sete troppi obrigati. E pertanto fàgli quello onore t' è possibile, e quella buona compagnia che si richiede. Non dico che gli dia aiuto nè consiglio; però che l' ha da sè el consiglio, ched è un giovane di tal vertù, che pochi se ne truova de' suo' pari, e l' aiuto ha da più possenti di te. Pure te lo raccomando, che fia costà più forestiero dite. È molto amorevole; e poi tornò da Napoli, m' è venuto a vicitare espesso: e così ora che s' aveva a partire, m' è venuto a vicitare con tanto amore, come se mi fussi figliuolo: e certo i' gli porto grande amore, e troppo mi duole la partita sua, che ne venga tanto in là. I' t' ho raccomandato a lui, e così lui raccomando a te, che ne faccia quello, bisognando, come se fussi Filippo: chè grande amore porta a tutti noi, ed è giovane che merita ogni bene, ed ha una buona maniera e graziosa. E duol bene a Filippo la partita sua, chè stimava ridurselo presto a Napoli: e' glie ne diè avviso tardi, che di già aveva preso partito per costi. Tutto sia per lo meglio; e Iddio gli dia buono viaggio, e per tutto l' accompagni e conducalo sano e salvo. E così disidero sentire di voi siete giunti a salvamento; che grazia ve n' abbia concesso Iddio; come disidero.

È dipoi tornato el famiglio a casa; e fògli fare buona vita, che si riabbia della persona.

Siàno a dì 28. Questo dì torno. Ieri ebbi la tua de' 20 dì da Bologna, e quella di Filippo oggi la manderò: è stata assai a cammino. Veggo non se' ito a Vinegia, rispetto le novelle avesti di costà, che presto era di bisogno fussi costà. Tutto per lo meglio. El trebbiano andò per buon modo: e' marzolini ci sono quest' anno tristi, che ne mandàmo a Niccolò Strozzi a Roma, erano de' più belli si trovassino, e dice Filippo che no riescono buoni. Pure ti se ne manderà, come t' ho detto. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

LETTERA VENTISEESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, in Bruggia.

Al nome di Dio. A dì 15 di marzo 1461.

Dei mese passato ti scrissi, e ne fu apportatore Giannino. Dipoi ho la tua de' dì 5 passato. Risposta al bisogno.

Piacemi che sia tornato a salvamento della persona, e che attenda a uscire di noie con dare espaccio alle faccende della redità; e di' che pensi fra un mese esserne fuori: che quando fussi esbrattato in due, mi parrebbe tu ne fussi a buono mercato. Non estò però molto sicura che tu n' esca netto e sanza danno: quando e' fussi che tu non vi mettessi del tuo, altro che ' l dispiacere e la fatica, mi parrebbe avessi fatto un buon passo per te; chè ragione sarebbe, per far bene, non ricever male. Così piaccia a Dio che sia. Di Niccolò no me ne maraviglio punto, che sia in quella forma; chè è la natura sua così, che sempre inverso di voi è stato meno conoscente che negli strani. Lodate Iddio, che v' ha dato tal virtù, che sanza lui potete fare.

Altro espasso vo' che pigli che delle duo lettere, che non te le vo' mandare, acciò non vengano in man d' altri; se già non vedessi di mandarle per man sicura, che solo tu l' avessi. Bisognerebbe capitassino in man di Tommaso Ginori: sono di mano del suo Francesco a mona Checca: no l' ho mostre; ma dissigli quello tu mi scrivi. Dice, tu ha' buon tempo; che vorrebbe poter essere a ragionare teco delle damigelle, come faceva quando tu eri qua; che quando se ne ricorda, non può fare no rida. Raccomandasi a te.

L' amicizia e benivolenza che ha' preso co' nostri embasciadori, e massimo co Bonaccorso Pitti e co' lor giovani, assai mi piace. È Bonaccorso molto estimato sì per la virtù sua e per rispetto del padre; ha ' cquistato gran nome. in quest' andata, d' essersi governato molto sodamente. Delle pratiche tenute con messer P˙ consigliatene con Filippo, ma attendi prima a sbrattarti, e poi sarai consigliato di quello arai a fare. Ha' fatto bene a dar carico della donna per Filippo e per te a Bonaccorso; ma no ne fia nulla, perchè vorresti fare le nozze dove non piace a chi può. Iddio sia quello che metta pace negli animi di chi n' ha bisogno, e buono amore, e carità per la innocenza vostra. Di' che quelle lettere erano sotto lettere d' Antonio de' Medici. Non ve n' era niuna di sue: ebbi el mazzo da Matteo di Giorgio, e le lettere feci dare tutte.

Ieri entrò messer Piero de' Pazzi en Firenze con gran trionfo e magnificenza, più che ' ntrassi cavaliere già gran tempo. Non è però da farvi su gran fondamento; chè alle volte a Firenze si dimostra una e fassi un' altra. Hanno detto miracoli de' tuo' fatti, e Donato e messer Piero non se ne possono saziare di dire bene dite. Non ho enteso che se ne dica Bonaccorso per ancora; che ne doverrà dire el simile. Ancora Montelupo, donzello della Parte, m' è venuto a vicitare, e m' abbracciò per tuo' parte, e gran festa mi fece per tu' amore, e dissemi come tu eri molto a grado agli embasciadori: che m' è stato di consolazione sentire tale novelle dite da tutti. Ringrazione Iddio, che da lui abbiàno tutte le virtù e le grazie: che noi, per no' medesimi, non possiàno nulla; da lui solo abbiàno tutto. E per tanto lodo e ringrazio el Signore, e priego ci dia grazia che noi ne siàno conoscenti, de' doni che ci dà. Del ben fare non se n' ha che bene da Dio e dal mondo. Così ti conforto sempre avere timore di Dio, e a far bene; che così piaccia a Dio sia. Ricordoti, secondo sento, che chi sta co' Medici sempre ha fatto bene, e co' Pazzi el contradio; che sempre sono disfatti. Sieti avviso.

Da Filippo ho lettere, che vuole andare per duo mesi a Napoli, non vedendo le cose en modo vi si possa fermare: ma trovandole che al tempo nuovo prosperassino, come e' crede, vi si fermerà: se no, tornerà a Roma. Iddio per tutto l' accompagni.

Giovanni della Luna duo dì sono gli cadde la gocciola: ha perduto tutto il lato ritto, e non favella, e sta male: Iddio l' aiuti.

Bernardo de' Medici è tornato da Mellano, che v' è sta' imbasciadore; e sta bene. Piacemi che Antonio e tu v' amiate come frategli; e così vi mantenga lungo tempo Iddio: raccomandami a lui. Di Tommaso non sento nulla; e la Lucrezia a questi dì mi domandò quello che n' era, che nulla ne sentiva: sicchè avvisa come gli sta. Di' ' Antonio, ch' i' ho ' vuto una sua, che è stata di consolazione. Non accade altro. Siàno a dì 26, ed ho la tua per Pieretto, de' 26 passato. Risposta.

Attendi a dar fine alle cose di costà quanto t' è possibile, chè mi piace; e tanto più, quanto non credi averne danno. Ho ' nteso quella pratica hai con messer P˙: hotti detto in poche parole; con Filippo te ne ' ntendi, che sa meglio di me quello è da fare. Ma, per quello ho sentito per altri tempi, non è da ' mpacciarsi con loro, per avere delle traverse, che n' ha' ' vuto assai. Poi non ha qua la riputazione tu credi, per rispetto ch' è amico de' Franciosi; ch' è contradio a chi può più di lui. Ha in quest' andata più perduto che acquistato; e bastiti. Questo no ne ragionare con altri, che non potrà essere nollo senta. A Bonaccorso per Giovanni gli mandai la lettera, e molto ti lodò; e disse a Giovanni, che della licenza, tasterebbe s' ella si potesse avere, pognendo il caso in altri che in te. Son cose di carico assai: da lui ne doverrai essere avvisato. Le lettere tutte si dierono bene.

Giovanni Bonsi finì parte della casa, e parte ne restò, come per altra ti dissi: aspettiàno risposta da te, che s' abbia a fare di quel prezzo di 20 ducati e di que' duo imbrattimi.

A dirlo a te, Lodovico si frammette malvolentieri per G˙ co messer Zanobi; chè altro che nimicizia non se n' acquista. Scriva a Macigno; chè a lui starà meglio che noi. Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, in Firenze.

LETTERA VENTISETTESIMA



A Filippo degli Strozzi.

Al nome di Dio. A dì 17 di dicembre 1463.

. . . . . . . . . . . El finocchio e ' l marzolino avesti: di' che sono ventitrè marzolini, ed è vero; chè uno parti' per saggio; che erano ventiquattro, sì che restorono ventitrè. Hai auto la ragione tua: el partito fu mio. El finocchio non fu bello nè buono; ma poi ch' i' l' avevo, te lo mandai così fatto com' io l' avevo, acciò che non dubitassi ch' io non te ne volessi mandare. Ha' fatto bene a fare masserizia del vecchio; che veggo fate più masserizia non credevo, e fate bene.

Del fratello di Nofri veggo, per le ragioni che di' non ti pare di torlo, possendo averne un altro: sia col nome di Dio. Quello di Niccolò di Barla non è ora in età da ciò, e di lui non bisogna parlare per ora. Altre volte ti dissi del figliuolo di Lotto Lotti, che debba avere in su' 14 anni; e vogliendo tu un fanciullo di casa, si restò indrieto questo. Allora e' m' aveva buona vista: el maggiore è un dassai garzoncello, en modo che lo tiene presso a sè. Questo che ci voleva dare, pareva isperto, ma non come il maggiore. Ora i' non so se tu t' avessi el capo a questo, vogliendolo Lotto mandare; chè è parecchi mesi non vidi la Lorenza, ch' è in uficio: e fanciugli estanno qui a bottega. Sì che avvisa di tuo pensiero: e se non fussi per le cagioni che mi di' , che non està bene dua frategli ensieme, ti direi togliessi questo di Sandro, che è da farne più a suo modo che di quest' altri; e da altra parte è povero, ed è mercè a fargli del bene. Pure rispondime; e in questo mezzo i' m' informerò di questo di Lotto, che cosa egli è; che, di casa, no ne so più niuno dal fatto vostro. Di quello de' Giacomini, altro non accade dirne; che son certa non diranno di no, che volentieri te lo manderanno.

Avvisoti come gli Strozzi hanno fatto parentado co' Pitti, e questo si è una figliuola di Benedetto di Pieraccione, che ha ' uto duo mariti: è d' età d' anni da 49 a 50: ha tolto Ruberto è ' l terzo marito. Essene fatto festa di questo parentado, che dicono è così buono .... Tanto più sarà da stimare questo parentado, che in questa pasqua vi sarà .... cavaliere: chè il Popolo di Firenze, veduto la sua gran virtù e la sua buona fama,....ha deliberato fare questo magno Cavaliere; che ben gonfierà la vescica: e se ha fatto bene pel passato, farà bene e meglio per l' avvenire. Ancora ha tolto donna un figliuolo di Benedetto di Piero Strozzi, che ha nome Filippo, s' i' ho buo' ricordo; e stette en Catalogna co Matteo di Giorgio....povero .... Ha tolto una figliuola di Giorgio Buini: ha mille dugento fiorini di dota; ma non v' è altro, chè sono....

Io scrissi a Luigi, o vero risposi, che Giovanni no m' aveva voluto dire che faccenda era la vostra; ma credevo era del dare e dell' avere, che non era cosa s' appartenessi a me; ma ch' egli era stato servito da te ne' sua bisogni, e non ti voleva fare il dovere; e che questo era mai fatto: che seguitandone tra noi meno.... onore, come mi dice, ch' i' prieghi Giovanni, che abbia riguardo a l' onore suo e tuo, che lui ne sarà cagione, per non volere fare il dovere a chi esconciò sè per servirlo; e alcun' altre parole buone. En questo punto n' ho risposta, e mi ringrazia, e mandamene una a Giovanni, che in effetto dice, fargli fare una promessa di cento cinquanta fiorini per tutto ottobre, e dargli ora 20 tappeti; e pure si gli raccomanda che aspetti Niccolò, che certo farà il dovere. Altro non dico, perchè da Giovanni ne sarai avvisato della concrusione della sua lettera: i' per me none gli risponderò più, chè non sono cose da me. Che Iddio v' allumini la mente di fare il dovere l' uno all' altro; e guardivi Iddio di male lungo tempo. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze, vi si raccomanda.

LETTERA VENTOTTESIMA



A Filippo degli Strozzi.

Al nome di Dio. A dì 22 di marzo 1463.

A dì 15, per Francesco di Sandro Strozzi ti scrissi; e per non aver tempo, non feci risposta alla tua de' dì 6 di detto: farolla per questa.

Sarà di poi arrivato costi el detto Francesco, e vedrai la vista sua, se somiglia Nofri: che a me non pare. Hogli detto che io sono quella che te l' ho dato, e che l' onore di lui ha esser mio; chè t' ho pregato lo tolga: e così l' opposito; che non si portando bene, i' n' aro il carico da voi; e lui n' arà danno e vergogna e che in qua sarà rimandato. Risposemi, che aveva pensiero di farmi onore, e simile a tutti gli altri. Così mi piacerà che faccia.

Dissiti come da Miraballa m' avevo fatto dare fiorini 4 di suggello, e a lui dissi ti portassi el conto di quello che spendeva; che lire 7 pagò qua per vettura d' una bestia insino a Roma, come da lui sentirai: credo ne facesse ricordo a un suo libricciuolo portò seco: sì che di tutto ti fa' render conto. E così se avessi preso danari da Niccolò Strozzi.

Raccomandotelo; chè ' l padre l' ha dato a mie' caldo, e raccomandato a me: dissi, che l' opere sue, essendo buone, si farebbono essere raccomandate per loro medesime: sicchè, poi che se l' arrecano da me d' averlo mandato, quando ti paressi, ch' io avessi a ricordàgli più una cosa che un' altra, avvisamene, e gli farò duo versi, e riprendendolo del mancamento; e alle volte gli farò un verso, ricordandogli che mi faccia onore. Così gliene dia Iddio la grazia.

Da Lorenzo ho lettere de' 3 di febbraio, che l' arrecò Francesco di Sold Strozzi: non so per che via s' è venuto, che non l' ho veduto ancora. Estimo Lorenzo all' auta di questa sarà tornato costi; che mi piacerà sia con salute dell' anima e onore del corpo. Concedagli Dio buon viaggio.

Veggo, sopra il carico ch' io ti scrissi che t' era dato, e simile Matteo te ne scrisse, puossi considerare en buona parte donde viene; ed ho molto caro che le sieno bugie, più che l' opposito. Iddio rallumini la mente a chi dice quello che non è; ed è d' avere compassione a tali nature. La verità ha sempre suo luogo. Attendete pure a far bene; e guardatevi, come tu di' , di non fare torto a persona; chè facendolo, offenderesti Iddio e l' anima vostra, ch' è il tutto. Ennanzi men roba, che offendere quel Signore che ci ha a giudicare l' opere nostre. E in questo mondo è brieve questa nostra vita; e ci bisogna adoperare che nell' altra vita, che non ha fine, viviàno co riposo. E una delle cose che ci dannano, si è il non fare il debito al prossimo; chè lo dice il Vangelo: Fa' al prossimo tuo come vorresti fussi fatto a te. E questo ti scrivo, so che lo sai; ma ve lo ricordo, perchè sete della mia carne e sangue, e grande amore ne porto all' anima e al corpo; ed è mio debito ricordarvi el ben vostro. Sono molto contenta della buona fama e dell' esser tuo, e honne gran consolazione e piacere, che per le parole de' maldicenti sempre vada diritto, sempre con salute dell' anima. Così priego Iddio che ve ne dia la grazia. Di Tommaso Lottieri, mi disse Giovanni che a lui l' aveva detto, e che si lodava così di te; e che tu avevi una schiava che sapeva così ben fare, e ne disse molto bene; e del desinare che tu gli avevi fatto così alla sprovveduta, che sare' bastato a molti forestieri: sì che ne disse bene a Giovanni. Se ad altri ti diè carico, non so: questo mi disse Giovanni aver da lui. Non è in questo fatto farne più caso si bisogni, sentendoti netto. E così di quello de' Mannegli non è da por mente a sue parole.

Per altra ti dissi delle terre vendute, e de' danari rimessi a Roma a Niccolò Strozzi, cioè fiorini 134, ensino a dì 10 di questo: e ancora ti dissi de' duo pezzi di vigna mi restano a vendere; e poi è spacciato Quaracchi.

La morìa ci è pure un poco ritocca, ma in gente manuali: ma ci si fa una gran guardia, e sta alle volte dì quindici nulla si sente: poi ritocca, pure in gente di bassa mano. E non ci si sta sanza sospetto: per ancora e cittadini ci si stanno. Credo bene che fatto pasqua, chi arà villa che vi sia buona istanza, vi s' andrà a stare, tanto si vegga quello che fa. Giovanni quest' anno s' è stato colla brigata in villa, e starà mentre che v' è sano. Lui ci viene alle volte, o per mia fatti o per sua; e sta duo dì per volta, secondo el bisogno suo e mio. Marco ha comperato un podere in Mugello presso al suo, con un poco di ceppo di casa; che sendoci morìa, e là fussi sano, forse vi s' assetterebbe. Ha speso fiorini 400. Di' che per ogni via faccia pensiero di partirmi, essendoci morìa: farèno quello erederrò che ben sia. Che Iddio m' ammaestri del meglio.

Della Marietta non sento altro. Aspettasi la madre ogni dì, che è a Bologna, stata già uno anno. A buon fine credo l' abbia fatto. Se a 45 pare di stare a vedere ancora un anno, sia alla buon' ora. Pure, quando cosa buona ci capitassi, saranne avvisato di tutto.

Sono a dì 23, ed ho la tua de' dì 10. Risposta al bisogno. Se' avvisato della vendita de' duo pezzi di terra, e de' danari rimessi a Niccolò; e questo di ho lettere da Roma, come e danari se ne farà la tua volontà; e di già dice Niccolò avertene iscritto. Di' che teco non bisogna pigli escusa del pigliare il danaio ho di bisogno, ma ch' io gli spenda pure utilemente. A che ti dico, che i' ti scrissi bene per avere materia di darti che leggere: ma più lo feci perchè sapessi quello che volevo fare de' danari, perchè non crediate ch' io me gli spenda in altro. E s' io mancassi, voglio che sappiate ch' i' non ho danari nella cassa; ma questi s' hanno a spendere nella più utile cosa ch' i' abbia, ch' è l' anima mia. E delle male ispese mi guardo, e di spendere inutilemente. E sopra di ciò non n' accade altro dirne. Farò sempre quello crederrò sia bene per me e per voi.

Sono molto contenta d' avere inteso che abbia soddisfatto a quanto ti lascio el mio figliuolo; che ha' fatto bene, e ricorditi dell' anima sua.

Di Niccolò Magalotti, entendo l' ha' mandato fuori per tue faccende. Doverrassi riconoscere de' sua mancamenti, che n' ha auto una grande esbrigliatura. Del padre di 32, si tornò, come ti dissi, a sedere, e sta bene.

Di Batista non ho poi domandato nè sentito altro. Da Lorenzo ha' lettere più fresche di me. Dirò a Giovanni s' informi che mercatanzia v' ha su Niccolò, e che quantità: che te ne dia avviso. Aspèttallo la madre e la donna al maggio.

Entendo che ' l lino della Caterina tu l' abbia in casa, e mandera' lo per terra: vienne ora de' vetturali, secondo sento. El lino mi restò di tuo, pòllo a mie' conto, cioè libbre 42.

A Giovanni Bonsi farò comperare gli occhiali e de' più fini, come tu di' , e per primo si manderanno.

Questo dì si comperorno gli occhiali, e ti si mandano sotto lettere di Niccolò Strozzi a Roma pel fante: sì che fa' d' avergli. Nè altro per questa m' accade. Raccomandomi a te; che Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, in Firenze.

Da Ruberto Mannelli, che viene di Levante, mi disse novelle di Lorenzo, che stava bene; e che del zucchero non ve n' ha trovo, e però non ve n' ha mandato. E così mi dice Ruberto, che non ve n' era; non enporta.

LETTERA VENTINOVESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 7 d' aprile 1464.

A di 23 del passato fu l' utima mia. Ho poi una tua de' 20 di detto, e di' che ne fia apportatore Giovanni del Mugnaino vetturale, pel quale mandi un sacco di 25 mazzi di lino alla Caterina en luogo di quello t' ha chiesto: e più di' , che al vetturale si paghi, per vettura o passaggi, fiorini uno larghi. Così si farà quando el lino giugnerà; chè la lettera venne sì presto, che nolla recò el vetturale, ma venne pel fante: ebbila da Miraballi. Ora aspetterò el vetturale, che fra pochi dì ci doverrà essere. Farò d' avere quello della Caterina, che non si scambi con quello mandi alla comare. Arà ben caro tal presente, più che se avessi fatto presenti di confetti. Da Giovanni credo sia avvisato della spesa si fece nel cero, che glie l' ho fatti buoni; e così e danari degli occhiali, tutto ho pagato.

Ancora di' che se' contento, che quello mandi alla Caterina nolli costi danaio. Questo voglio detto, perchè mi par troppo lino a donare a Marco, che ha el modo a pagare; e quando gliene donassi dieci mazzi per volta, era assai, e innanzi, tra duo volte. Quando volessi donargliele, i' no gli dirò altro ensino non ho risposta da te; e auta, ne seguirò la tua volontà.

Per una tua a Giovanni Bonsi di' che ' l fanciullo di Sandro era a dì 25 giunto costi: che Iddio lodato. Arai dipoi veduto se l' aria sua ti piace, e me ne di' quello te ne pare. Avete costi Andrea, che se ne dice miracoli della virtù sua, e massimo Tommaso Ginori, che venne el dì della pasqua, e me n' ha detto molte cose delle virtù ch' egli ha: e così della Marina, de' vezzi ch' ella ti fa. E sentendo tante cose, non mi maraviglio che vogli endugiare ancora un anno, e che si vada adagio al darti donna. Fai come colui che voleva endugiare la morte e ' l pagamento el più che poteva. Non hai più ch' una femmina per casa, e se' ben governato; e se to' donna, n' arai parecchi, e non sai come ti starai. Sicchè mi pare tu sia savio a pigliar tempo, e del buono, quando lo puoi pigliare. I' ho detto a Tommaso parecchi cose a che avevo el pensiero: non so che si seguirà.

È vero che la morìa pur segue, ma non tocca de' buoni: abbianne qui en vicinanza dirimpetto al Pescione. Iddio ci aiuti.

Arai auto dipoi e fiorini 134, che mi scrive Niccolò avertegli rimessi: avvisa quando gli hai auti. E così per mano di Niccolò ara' gli occhiali: se a salvamento si conducono, credo l' amico tuo sarà ben servito. Avvisa come son giunti sani.

A Lorenzo non escrivo perchè non so che sia tornato di Cicilia. Ruberto di Ramondo e Francesco di Soldo, che vennon di Levante, me ne dissono novelle, che gli stava bene. Iddio lo rimandi sano, e lungo tempo vi mantenga, com' io disidero.

Tornò qui Giovan Tornabuoni, e non sento dire nulla della figliuola di Lorenzo. È ben grasso, ed ha presso al 40, al modo tuo. Non credo Giovanni lo facessi: e quando pur volesse la madre non è di quel volere, se non si rimuta d' animo.

Ara' sentito della galea perduta en Fiandra, che è stato grande scurità: perduto tante persone e la roba. Iddio abbia ' vuto misericordia di loro. Estavo prima co pensiero di Lorenzo quando sento che va in mare: ma ora ne starò con maggiore paura quando saprò abbia andare o tornare per nave: che l' Agnol Rafaello l' accompagni. Avvisa se è tornato, o quando l' aspetti: che di male vi guardi Iddio. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

Raccomandoti Francesco: se non è con tante virtù come Andrea, abbi pazienza, e ' nsegnategli, chè ha buon sentimento, e credo apparerà.

LETTERA TRENTESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 9 d' aprile 1464.

A dì 7 ti scrissi quanto m' accadeva allora; e credendo Tommaso partissi quel dì, essendo soprastato alcun dì, è scaduto che, vogliendo acconciare e fatti mia, truovo che, vogliendo fare testamento, non posso fare ch' io no lasci mia ereda universale: e perchè, non sapiendo questo, mai n' ho auto teco ragionamento, te n' avviso che ti pare da fare; e considerare bene a tutto, che chi io lasciassi mia reda è obrigato a' mia debiti di gravezze o d' altro; benchè altri debiti non ci è di mio: e così avendo danari, ancora sarebbe di detta reda: e così le masserizie si trovassino di mio. E pertanto a me parrebbe che, rispetto e danari avete o dandovene più, per non mettere confusione tra voi e altri, di lasciare voi mie' erede universale; e non aresti avere a fare con altri: e quando el caso della morte mia venissi, rifutare la redità, essendovi dannosa; e le masserizie farne danari, del meglio; con tutto che, togliendo donna, pure se ne scemerà qualcuna; e avendomi a partire di qua, se ne trarrebbe: e la casa e el podere alla Lesandra, come altre volte abbiàno ragionato. Sicchè fa' pensiero a questo fatto come ti pare el meglio; avvisandoti che, essofatto ch' i' ho l' avviso da te di questa reda, farò quello arò a fare. Sicchè avvisami di tuo parere, più segreto che si può; che non si sappi per altri che per voi: chè ci è chi v' ha a dar noia. E questo è Lodovico e Batista, che a questi dì hanno minacciato Lorenzo, e vennonmi a dire molte novelle, come da Tommaso sentirai, chè li ho detto tutto. E infine mi dicono, che innanzi espiri el compromesso che hanno co Lorenzo, vogliono cercare di fare qua che non perdino le loro ragione: e che se mai se ne potranno valere o qui o altrove, lo faranno. E mi dissono ch' io lo scrivessi a Lorenzo e a Niccolò; che loro avevano iscritto a tutti e a te, e che voi davate parole; e che Niccolò scriveva loro, che non poteva avere niuna cosa da Lorenzo; il perchè facessino el fatto loro: sì che i' te n' avviso. A Tommaso ho detto più particularmente, chè ve lo dirà a bocca. Quando m' ebbono detto tutto, dissi loro, che di questo fatto non sapevo risponder loro; ma ben sapevo che Lorenzo, per questa redità d' Iacopo, aveva messovi la persona e l' avere e l' onore; ch' i' non sapevo quello volevano che si facessi. E così alcun' altra parola che accadde. Dipoi mi dolfi che tra loro avessi a sequire discordia, e che se vedevano ch' io mi potessi adoperare a nulla di buono in questo fatto, che me lo dicessino, e lo farei volentieri. Dissono di no, ch' io non ero da questo; ma che me lo venivano a dire acciò che, sequendo nulla contro a Lorenzo, ch' io ne fussi avvisata, ch' io non mi maravigliassi di loro. E a te ne scrivo, perchè non so se Lorenzo s' è tornato: e poi gliele dirà Tommaso a bocca.

Ancora da Tommaso sentirai come, ragionando co lui di volerti dar donna, egli è uomo da fatti, e presto te n' ebbe una in pratica, e andolla a vedere per recartene novelle. Ragiona' ne più tempo fa con Marco, e non gli va a pelo per alcuna cagione; e dicemi: per ancora non si sa che voglia donna, e no l' abbiamo detto, e per questo non possiamo intendere dove ci abbiamo a capitare. Per che si sia domandato delle fanciulle per uno di fuori, non s' è nominato Filippo Strozzi; eccetto che, per mano di Ramondo, a Ruberto Pitti. Sì che Marco ha openione che, quando si dicessi per te, di trovar meglio che questa de' Soldani. E pertanto gli pare da cercare se meglio si può fare: e quando non si trovassi meglio, della qualità di questa se ne troverrà, e più belle; che, secondo Tommaso, ella pare troppo fanciullina, e pur v' è el tempo da essere più fatta che non è. Non sono cose d' andare così alla prima che viene altrui alle mani. Marco ha openione di trovar meglio: e dice ci metterà el capo; e trovando nulla di buono, s' avviserà. Chè non è da stare a vedere, chè gli anni passano; ed io ne sono sollecitata per più lettere da Niccolò Strozzi. Pognàno 4 per 34 anni, non è da indugiare, abbattendosi a cosa buona: chè a Dio piaccia di trovare come disidero.

Raccomandoti Tommaso: è fedele persona, e portavi grande amore; sicchè, quando gli potete fare del bene, fatelo. Ancora ti raccomando Franceschino. Voi avete Andrea che ha tante virtù, che gli altri vi parranno e da poco e addormentati. None isbigottite Francesco. Dategli animo, chè credo pure n' arete buon servigio. A Dio piaccia. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Manderotti gli Otto, chi e' sono, in questa, o te gli dirà Tommaso. Per la tua Allesandra Strozzi, in Firenze.

Sabato sera giunse el lino. No l' ha recato quel Giovanni del Mugnaino, ma e' l' ha recato Mariano di Bino vetturale; e vuole più vettura: Marco gli darà quello che scrivi, fiorini uno larghi. No gli ho detto che no gli costa nulla; ma mi domandò s' io era avvisata del pregio. Dissi di no. E' mi disse ch' io te lo dicessi, che ne dessi avviso. Fa' ora che ti pare, e avvisami.

LETTERA TRENTUNESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 21 d' aprile l464.

A dì 9 per Tommaso Ginori fu l' utima mia: dipoi ho dua tue, de' 4 e 9 detto. Risposta al bisogno. Condussesi costì Francesco di Sandro; e veggo dipoi l' ha' provato, e ti pare pure da poco ne' fatti di casa: ed è vero; chè procede en buona parte da chi gli allieva. Questo suo padre è buono uomo e favellante, ma non è secondo la vista che mostra; chè l' ho pratico ora, per l' amicizia presi di questo fanciullo, e sommi adoperata al maritare d' una sua figliuola, cioè di confortare e parenti di chi l' aveva a tòrre, en modo che s' è fatto el parentado: sicchè non m' è riuscito come credevo. È la donna da più che non è egli. Hanno gran famiglia, e poca roba, e debbangli allevare grossolanamente. Pure fatene la diligenza vostra; e tu hai Andrea, che gli doverrà ensegnare: e non sendo grosso istormento, doverrà pure apparare. Che Iddio ce ne dia onore. E fiorini 4 ebbe qua, io gli ho fatti buoni a Miraballi per parte.

Facestimi creditore de' fiorini 134, auti da Niccolò, e per me da Miraballi: n' ho ritenuto e fiorini 18 che ebbi per duo catasti: pagherogli ora, che ho venduto uno pezzo di vigna fiorini 10 lo staioro: credo sia staiora sette; pure nollo so a punto: hassi a misurare, e poi ne farèno la carta, e piglierò e danari: sicchè pagherò e fiorini 18 a Miraballi, e cancellerassi tale partita: e del resto de' danari pagherò duo catasti e un mezzo danaio per lira, che s' hanno a pagare per tutto questo. Credo si sosterrà el dì ensino a mezzo maggio, che saranno circa di fiorini 23. E il resto de' danari ch' avanzerà serberò, essendoci morìa, come si dimostra essere; che avendo bisogno di qualche fiorino, per avergli a mie' posta; e no n' avendo bisogno d' adoperargli, qua al settembre so che s' arà a pagare qualche catasto, e potrò mettergli quivi, che tanti meno ve ne trarrete di mano: che mai s' ha a fare altro che pagar catasti! che se ci fussi punto di sospetto di guerra, sarèno disfatti (Iddio ce ne guardi!); tanti se ne paga ora, che la terra è in pace e tranquilla: per molti, altro non si può fare. Iddio provvegga al nostro bisogno. Avvisa se così ti pare da fare.

E' mi resta ora a vendere a Quaracchi un pezzo di vigna; che trovandone el pregio ch' i' voglio, la venderò; e non trovando, si resterà: fa buon vino per la state, e se 45 avessi pensiero di venire mai a berne, sarebbe poi contento ch' io noll' avessi venduta. I' v' ho presso che contenti del finire le cose. Solo mi resta questa vigna, che te n' ho detto mio pensiero: e per altra ti dissi quello mancav' a acconciare e fatti mia. Aspetto tua risposta, e darògli spaccio.

La vigna venduta avete a sodare voi; e perchè la procura facesti più tempo fa in Giovanni è spirata, è di bisogno ne rifacciate un' altra in detto Giovanni, che possa sodare per voi, come stava quella; e noi farèno la carta; e Giovanni e Marco s' obrigherrà per qualche mese, tanto s' abbia da voi detta procura. Ancora mi dice Giovanni, che in su detta procura potete obrigarvi a Giovanni in quelle cose ha sodo per me, o sodassi di cose vendute o che s' avessino a vendere, dove Giovanni avessi a sodare: so che m' intendi, meglio nollo so dire, el bisogno.

La Caterina ebbe i' lino: pare a lei e a Marco buono e bello. No gli ho detto che tu glielo doni. Fagli tu duo versi, e digliele tu medesimo: che pure parrà che tu ti ricordi di lei; e che poi che Iddio l' ha private ditale consolazione, quanto aspettavano di vedere alla tornata vostra ennanzi e vostri casi, che faccendogli duo versi e tale dono di questo lino, n' arà piacere, e no gli parrà in tutto essere privata dell' amor fraternale: e un poco di caldo gli darai di te, che da persona non hanno. Avevoti detto per altra, che Marco aveva el modo a pagare: di poi mi pensai che li è ben fatto donargliele; che pure arà quello di dire: Me lo mandò mio fratello!

Ho visto quello ti scrive 15, che mi piace; ma non è da porvi speranza nelle parole. Trovommi a' dì passati, e fecemi molte offerte. Ringrazia' nelo. Potrebb' esser che si ravvedrebbe: e tu fa' sempre il debito tuo con ogni omo, come ha' fatto per ensino a qui. Altro di lui non accade.

I' ho ' nteso el capitolo auto dall' amico tuo, e la risposta che gli ha' f atta. Piacemi; però che non mi gusta, rispetto el padre e' frategli.

Altro non so; ma così per la prima, non mi piace.

La figlia di Lorenzo si sta così: non ho sentito di poi altro. Aspettacisi la madre. Questa moria dà loro gran noia, alle fanciulle, chè pochi parentadi ci si fa. Veggo che voi di costà n' avete anche sospetto, e di già ve n' è morti alcuni: che n' ho dispiacere assai, più essendo costà che qua, e co più sospetto ne starò. Priegoti quanto so e posso, che tu ti sappi guardare, e non aspettare che la cosa trabocchi prima ti parta: fa' d' essere de' primi: ricordandoti, ch' e nostri passati, tutti sono iti di tale male, da Matteo mio figliuolo in fuori: sicchè stieti a mente. Lorenzo doverrà esservi presto; e di poi pigliate partito, seguitandovi tal male: che Dio e San Bastiano vi scampi di questo e d' ogni altra tribolazione, come disidero. E a campar la vita, è buono a por le faccende e' guadagni da parte. E più rompe e disegni la morte, che altro. Attendete a vivere el più che potete. E morto qui di pesta Piero Piaciti da sabato a ore 22 a lunedì a 20 quattr' ore. Sonsi trovate la madre vecchia, e la moglie col corpo grande, e sei figliuoli, sole e sanza governo d' anima, e male governo del corpo. Non vi si trovò che duo servigiali di Santa Maria Nuova. Non è chi faccia loro un servigio: ensino al pane, non truovano chi lo cuoca loro: ogn' uomo fugge: aveva un ragazzo, e gli Otto l' hanno fatto mandar via. È una iscurità a sentire quello si fa. Iddio ci aiuti.

Morì Giovanni della Luna, tre dì fa, pure della sua malattia. Feciogli grande onore.

Piacemi che abbi cancellato Miniato: come lo veggo, gliele dirò.

Dicevo che mettessi el lino a mie' conto, perchè facendone delle cose per te e per Lorenzo, mai n' avessi aver nulla: ensieme sta meglio a mie' conto. Fallo, come per altra ti dissi. I' credo, secondo l' ordine del passato, che arete bisogno delle camice, ed io non ho ancora in ordine di farle. Do ordine di fare el panno, e per questo soprastò qui: che me ne sarei ita in villa; ma lo voglio mettere in ordine prima. Fia bello di filo come le camice logore. Iddio vi dia grazia logoriate ancora questo, con santà dell' anima e del corpo. Nè altro per questa m' accade.

Non vi sendo Lorenzo, no gli scrivo; chè a te iscrivo a bastanza. Leggi quando non hai troppa faccenda. Che Iddio di male vi guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze; a voi mi raccomando.

LETTERA TRENTADUESIMA

A Filippo Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 28 d' aprile 1464.

A dì 21 fu l' utima mia. Non ho poi tua: ho per questa manco a dire. Ma solo fo per avvisarti che ieri ci mandorono gli Uficiali della Torre, che sono sopra' confinati, una richiesta a Lorenzo e Giovacchino, che la mandò Lodovico e Batista, che fra cinque dì fussino compariti dinanzi all' Uficio loro. È grande vilume di scrittura; e conta come hanno avuti danari e gioie e masserizie (e conta per nome tutto) della redità di Iacopo; e come Lorenzo e Giovacchino feciono accordo con tre uomini diputati da' creditori, che fra dite anni debbano avere accordato detti creditori de' detti beni di Iacopo, o vero della redità. Ora, noll' avendo fatto, e Sendo el termine di detto accordo, e noll' avendo osservato, si richiama di loro. Ell' è tanta scrittura, ch' io non te ne posso dare notizia per ora; ma farolla copiare, e manderovvi la copia. Altro sopra di ciò non cale dire per ora; che non so altro. Quando sentirò più oltre, ve n' avviserò. Holla mostra a Marco, se a me venissi contro di nulla per averla riceuta: dicemi di no. No so a che si riusciranno.

39 va tuttavia pensando se 55 può far danno ' 39, che dice crede di no. Iddio, che può, provvegga al bisogno.

Da Tommaso ne sarai avvisato della proposta mi venne a fare Lodovico e Batista di questo che hanno fatto. 52 m' ha molto detto sopra' fatti di 45; e comprendo nel parlar suo che abbia sospetto che, a tempo, 47 non mutassi animo contro a 45. Non m' ha però detto nè che nè come; ma nelle parole dette, non vi so vedere altro drento. E così 39 di' s' adoperi e truovi 33 a 45. Sì che te n' avviso a ciò che vegga, gli amici di 45 come so' di buon volere inverso di lui. Dicoti questo non perché sia di bisogno farne risposta, ma perchè sappi tutto. Son cose che poco portano a no le fare.

Da Niccolò Strozzi ho lettere, che Tommaso era partito insino a dì 19 da Roma: doverrà essersi condotto presto costà; chè quando ha far la cosa, non està a dormire. Da lui intenderai molti ragionamenti. E più mi dice Niccolò averti mandato a dire, che morendone costi di pesta, come n' è. cominciato, te ne vada a stare co lui a Roma, e la tua brigata mandi a Castello a mare, dove ha tolto la casa. Se tu facessi questo del venire a Roma, sendovi buon essere, Niccolò are' caro ch' io mi ritrovassi insieme con voi: ed io lo farei volentieri, non mi sentendo della persona peggio mi senta ora; e non avendo altre noie ch' i' m' abbia, verrei a starvi un mese, essendo sano a Roma: che credo di si, poi Niccolò ti manda a dire che vi vada. Avvisa se vi fai pensiero d' andarvi: che Iddio el meglio ci dimostri.

Io non escrivo per ora, la Lorenzo, perché non ho sentito sia tornato di Cicilia: se fussi tornato, mostragli el capitolo gli tocca.

La morìa da otto dì en qua ci fa poco danno. Non so se si seguiterà questo miglioramento. Iddio faccia el meglio.

Per ancora non s' è fatto la carta della vigna; che abbiàno auto dell' acqua en modo non s' è potuto entrare nelle vigne per misuralle: farassi più presto si potrà. Sento che s' è perduto buona parte del vino pel freddo c' è stato a questi di: che presso a qui è venuto di molta neve; sicchè ho paura che ' l comperatore non sia isbigottito, avendo ricevuto danno le vigne. Pure no ne sento nulla: quando altro seguirà, ne sarai avvisato. Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi. Per la tua Allesandra di Matteo Strozzi, in Firenze.

LETTERA TRENTATREESIMA

A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 30 d' aprile l464.

Sabato pel fante ti scrissi a bastanza; e questa solo perchè ho fatto copiare la richiesta ha ' uta Lorenzo e Giovacchino, come vedrai. Èvvi su, credo, di molte bugie: fra l' altre, dice Lorenzo ha ritratto per me danari, che non avevo aver nulla. E di questo dice le bugie: sì che così vi dev' essere dell' altre, come vedrai. Mandoti la copia della domanda che fanno: e no sendo tornato Lorenzo, l' addirizzo a te, e sotto questa per Giovanni Arrighi te la mando. Sicchè siate avvisati.

Sento pure la morìa vi fa danno. Se ti se' partito, ara' fatto bene: se non, partiti, e va dov' è sano: chè piacere arò sentire ti sia partito, essendo costi cattiva istanza. Che Iddio vi guardi di questo e d' ogn' altra malattia. Attendete a star sani, e a godere quello che avete guadagnato. Che Iddio di male vi guardi, e ci presti vita, e ci possiamo rivedere insieme, se ' l meglio debb' essere. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

Nigi di Nerone è gonfaloniere di giustizia.

Della figlia di Lorenzo non si dice ora nulla, e l' amico se ne torna alla stanza sua a Roma.

LETTERA TRENTAQUATTRESIMA

A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 11 di maggio 1464.

Addì 30 del passato fu l' utima mia, e con essa ti mandai la copia della richiesta che mandorono Lodovico e Batista, e a Giovanni Arrighi la die' , ch' e' mi venne a far motto s' io volevo ti dicessi nulla, che veniva costa: sicchè li dissi come ti volevo mandare una lettera; e gliele mandai a casa. Promissemi di farne buon servigio; che non ti trovando a Napoli, ti verrebbe a trovare a Castello a mare. Piaceràmi n' abbia fatto buon servigio come mi promesse; tu n' avvisa.

Ebbi ensino a' dì 3 di questo una piccola tua; fu coverta d' una di Giovanni Bonsi, e non v' accade risposta; chè da Giovanni fusti servito del meglio che c' era, secondo mi disse, e doverrà essere al tempo che dicesti.

Iermattina venne Girolamo Strozzi, e recommi una tua de' 28 passato: none si fermò, che disse aveva fretta di trovare Lodovico e Batista, e poi tornerebbe da me, che aveva bisogno di parlarmi. Non è per ancora tornato; e ben sai ched io, bench' i' abbia vostre lettere, ho caro di sentirne novelle anche di bocca da chi v' ha veduto, non che da chi è stato en casa con voi: chè gran consolazione m' è l' udirne buone novelle di voi; che sempre aspetto el giovedì con disiderio, che è il dì che ' l fante viene, per sentire novelle di voi; che Iddio me le mandi buone: sicchè, venendoci, l' udirò volentieri; e non venendo) manderò per lui.

De' fatti di Lodovico e di Batista non so che me ne dire, perchè non so quello s' è tra loro; e quando i' bene lo sapessi, non sono cose da me. Ma quelle dua partite che dice Lorenzo ha tratto, l' una di lire 70 di grossi, che dice tu rimettesti a Iacopo e compagni, questi credo fussino e mia che mandasti a Lorenzo; l' altra partita di lire 27 di grossi, dice che gli ha tratti per me, e ch' io non dovevo avere alcuna cosa: comprendo, se gli ha tratti, sieno quegli avevo avere per le spese fatte nell' Isabella: e se queste dua partite ha tratto, come dicono, è ragione ch' e' gli abbia tratti, chè erano mia. Non so se dell' altre si dicono el vero; ma di queste hann' eglino il torto. Ora Iddio gli metta d' accordo e buona pace tra loro, come disidero.

A Tommaso non dissi ch' i' volessi lino, nè ch' io no vi volessi mandar nulla: però che non ho vegghiato tutto el verno se non per voi; e non ho invidia del lino che doni a persona, e massimo alle tue sirocchie; che n' ho più piacere di quello mandi a loro, che s' io l' avessi io: e non te ne chieggo perchè no n' ho bisogno, chè n' ho ancora parecchi mazzi. Poichè mi mandi e nove mazzi, non posso dire i' no gli voglio; ma di comperarne più ora per me, nollo fare, chè no n' ho bisogno: quando ne vorrò, te lo dirò; chè so che del lino o d' altro bisogno, non ho se none a chiedere. Tommaso, se te lo disse, fece per darti noia; che lo disse a me, che in que' dì era venuto el lino, e domandòmi se era mio. Dissi di no: rispose, tu mi trattavi male. Sicchè lo disse da sè, se lo disse. Ho ben caro che motteggiate, e che vi traiate tempo nello scrivere meco alle volte, quando vi manca faccenda. Degli sciugatoi n' ho fatti e bianchi una pezza: se n' avete di bisogno, lo dite e ve ne manderò: sono pel viso e un poco tondi, che ne leverà il sucidume. Avvisa.

Escritto insino a qui, venne Girolamo a vedermi, e lo domandai come tu stavi della persona, e così Lorenzo: dissemene molto bene; ch' è cosa che assai mi piace. Era istato con Lodovico, e mi dice gli rispose molto aspramente. Non ci era Batista en Firenze: ma dice, ancora si raccozzerà co loro. Credo ne faranno di sue parole poco conto. A me sa male che si richiamano di Lorenzo in luogo che non può venire a difendere le sue ragioni; ed ho paura per questo no ne segua più inconvenienti. Niccolò ha il loro compromesso nelle mani; e mi dice che rivogliono la scritta o vero copia del detto compromesso. Dice avertelo scritto, e non ha da te risposta. Dice che indugerà el più potrà a darla, ma che non può fare di manco di nolla dare. E' Cambini gliela chieggono per lor giustizia: che mandando questa copia, farà più chiaro l' Uficio ha dare la sentenzia contro a Lorenzo: sicché te n' avviso, se tu potessi provvedere a nulla, tu provvegga. Ho detto a Girolamo t' avvisi di quello ha da Lodovico e Batista: dice di farlo. Escrivo a Niccolò che soprattenga la scritta; chè dandola, farà danno a Lorenzo assai, per non potere essere a dire le sue ragioni.

La morìa, secondo dice Girolamo, vi fa costà poco danno, e tu hai mandato via la brigata, e tu ancora ti dovevi partire: che fara' bene, chè ti leverai dal praticare colle genti, e parte andrai a spasso alla villa, che ti sarà utile alla persona. Lorenzo veggo soprastarà. un poco al tornare: sia alla buon' ora. Engegnatevi pure di mantenervi la vita con santà. La moria ancora qua, per ora, fa poco o non punto di danno.

Non s' è fatta ancora la carta della vigna, chè s' è preso errore nella misura: hassi a rimisurare; e perché i' non ho chi solleciti che si rimisuri, e accozzare le parti, s' è ancora così. Se Iddio vorrà, e ' l tempo non dia noia, chè assai ci piove, si rimisurerà. Abbianvi picchiata, chè ' l freddo ci ha tolto el vino di piano, e poco n' è nel poggio. Lodato Iddio di tutto. Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi lungo tempo.

Non guatare al mio bello scrivere: e s' io fussi presso a voi, non fare' queste letteracce; chè direi a bocca e fatti mia, e voi e vostri. Pazienza! Per la tua Allesandra, Firenze; siàno a' dì 12.

LETTERA TRENTACINQUESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Castellammare.

Al nome di Dio. A dì 19 di giugno 1464.

A' 13 di questo ti scrissi alquanti versi, e con essa uno fardellino di dodici sciugatoi pel viso, per te e pe' Lorenzo; e tutto ho diritto a Bettino a Roma, non trovando vetturale che venga costà, e gli ho detto le mandi a Nofri, e dipoi a te: quando l' hai auto, avvisane. Più dì sono ebbi una tua de' 13, e poi una de' 24 del passato: non ho fatto prima risposta, perchè avendo acconcio e fatti mia, e l' Allesandra e sua, aspettavone copia di quanto aveva fatto lei per vostra chiarezza. No ne vole meno di 4 fiorini larghi: abbialla lasciata, e detto no la levi; chè diliberàmo tu e Lorenzo facciate qua un procuratore, come ti dico a piè della copia del testamento, ch' i' ho fatto, che possiate fare compromesso colla Lessandra di cose liquide e non liquide, e d' ogni ragione eziandio che pervenissi da testamento: sì che potendo fare questo procuratore prima che la tornata di Lorenzo, fàllo; e così la procura, che si possa sodare le vigne; che è tre mesi te lo scrissi, e mai n' ha' risposto nulla. E di questa procura per sodare questa venduta, fàllo come prima puoi; che chi s' obrigò per voi sia isciolto.

Del testamento ch' i' ho rifatto, parve a ser Pagolo che ne fu rogato, e a Tommaso Davizzi, di non fare tanti codicilli, ma di rifare: chè, dalla casa e ' l podere en fuori, è el resto, come vedi, un medesimo effetto di quello di prima; eccetto quello arroto alla Marcherita e alla Cateruccia: del resto sete reda voi. Del farvi donagione de' danari auti non so che si bisogni, chè gli avete nelle mani; e così ha essere vostro, e la casa e ' l podere e le masserizie; che di nuovo non mi s' ha a rassegnare el mio; che tutto fie vostro: e non che dopo la vita mia, ma in vita hanno a essere vostre, quando fussimo in luogo da poterle godere insieme; che a Dio piaccia sia a' mie' dì, se è il meglio. E intorno a questa parte non ci è da dire altro, a mie' parere.

I' ho ' nteso el pensiero di 45, e come vole esser fatta la sua mercatanzia. Cercherassi così pianamente. E' ci è una figliuola di Francesco di messere Guglielmino Tanagli, che credo la manderebbe, alle parole ha usate di dire. La madre è de' Guidetti. Qui sono tenuti persone da bene: non so di fuori. Farebbelo di mandarla, perchè ha da tredici figliuoli, e vorrebbe gliene fussi cavati qualcuno. Sicchè dillo all' amico, se gli piacerebbe; e piacendogli, mi metterei a cercare delle virtù e delle bellezze. Ma insino ch' io non so se la nazione gli piace, non vo' cercare altro li questa.

40 andò a vedere 46: ebbelo caro; e disse che si credette potere fare del bene al suo amico 45; e che non può, ma col tempo estima pure s' acconcerà la cosa. Compresi che passando el padre di 32 a Volterra, che (piacendo a Dio) s' acconcerà tutto bene: ma no credo passi di questo pezzo. Doverra' n e da lui averne avviso, cioè da 46: altro non accade dime.

Da Giovanni Arrighi doverrai avere auto la mia. Di poi ebbi un' altra cedola da 55 e dal fratello: poi non ho sentito altro. Non sanno ch' i' ve n' abbia mandato copia.

La nipote di Giovan Francesco si sta così. Aspettasi la madre da Bologna che se ne la meni. Altro no ne sento: è in villa colla Iacopa. Ègli morto a questi dì, di pesta, dua sirocchie della madre; quella che fu in casa e Salviati, e questa di Giachinotti; che ci hanno molto isbigottiti. A 53 si vorrebbe fare, avendo el pensiero alla cosa: sarebbono pochi quegli che non s' avvedessino ch' io mi ricordo di voi, e nei panno e nell' altre cose. Conosceretemi quando i' non ci sarò: è di nicistà, a mie' parere, che tu tolga chi faccia, che tu non abbia la dozzina delle camice stracciate; ched io ci sono per poco tempo, e massime ora che siàno in sul tavoliere; chè ci fa la moria pur danno, e cominciaci a morire delle persone da bene. Marco e la brigata sono per ancora a Firenze, chè ci è escarso dove andare: chè pe' le ville ne muore. E' faceva pensiero d' andarne in Mugello: ora non ha tanta casa vi possa istare; sì che si sta qui. Non so quello si farà: partito bisognerà che pigli.

Quanto di' de' fatti di 52 ho ' nteso: parmi tu abbia ragione; e ' ntendo a che cammino vorrebbe andare: passerommi co lui di leggiere; e 45 fa bene a star desto con 47, e fare e portamenti per l' avvenire come ha fatto pel passato: Iddio gliene conceda la grazia.

Dissiti del tempo di 45: dell' avere non si ragiona, chè ci è oppenione n' abbia forse più che non ha. Sie pure tutto con salute dell' anima.

Se' di proposito che fra un anno t' abbiàno trovato donna, ed io co lei ne venga a stare con voi: e se così sarà, n' arò piacere. Iddio ci apparecchi qualche buona ventura. E per Lorenzo ci è tempo a pensare, se si farà per lui come per te.

De' marzolini e del finocchio m' ingegnerò di mandartene al tempo, e del migliore ch' io potrò avere. A Manfredi Isquarcialupi mi son fatta pe' marzolini, chè ha l' amicizia dove è de' buoni: dice mi farà servire bene. El panno per le camice non è ancora bianco; chè è tre mesi che ci abbiàno auto tempo molto piovoso e poco sole: come sarà bianco, le taglierò e cucirò, piacendo a Dio, e stando sana. Siàno a dì 2, e altro non ci è a dire. Siàno tutti sani, Iddio lodato.

Hanno posto pel Papa la trentesima, e chi non paga cade ' n iscomunica papale; sì che abbiamo, oltre al catasto, questa di nuovo. Dice Giovanni tu t' ingegni di dar fine a que' drappi, no l' avendo fatto. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

Fia in questa la copia di quanto s' è fatto.

LETTERA TRENTASEESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Castellammare.

Al nome di Dio. A dì 15 di settembre 1464.

A dì 2 fu l' utima mia, e apportatore ne fu Iacopo d' Ariano, el quale venne costà alla fiera di Salerno; e per lui ti mandai del finocchio e dodici camice, sei per te e sei per Lorenzo. Avvisa quando l' ha' ' uta, e che servigio n' ha fatto.

Duo dì sono ch' i' ebbi dua tua; l' una de' 14 del passato, e l' altra de' 31: risposta al bisogno. Non è dubbio che gli animi d' alquanti cittadini per la morte seguìta non abbino fatto in tra loro nuovi pensieri del governo della terra; ma per ancora non si sente; chè la cosa è fresca, e Dietisalvi è stato ammalato. Non si sente altro, se no che s' attend' a ben vivere: e de' fatti vostri o di niuno che sia in vostro grado, non se ne ragiona; sicchè ha' fatto bene a non escrivere a nessuno di questa materia. E per questo non bisogna ch' i' stia a Firenze; chè non arei guatato per morìa che vi fussi, quando bene ne fussi iti venti per dì, se io avessi inteso un piccolo accennamento di ragionamento di questa materia: ma nulla se ne ragiona. E cittadini sono, rispetto la moria, per le ville, e non si sente troppo: ma da Ognissanti en là si doverrà sentire qualche cosa. E non dubitare che quando sentissi cosa alcuna, che si favellerà dove e con chi bisognerà: e non si lascerà, nè per danari nè per non volere, adoperare amici e parenti; anzi non si lascerà a far nulla. Ma s' aspetta, prima di sentire qualche cosa che l' uomo abbia da parlarne, qualche movitiva e qualche indizia di loro pensiero, di chi governa. Come ti dico, Dietisalvi è stato ammalato: Bernardetto non è, secondo sento, da farne troppo conto. el tuo messere A. non è però dove tu credi; e stimo bene che sia di buon animo inverso dite: ma, secondo entendo, non è però el principale: e d' uffici o d' ordini di nuovo non sento, se no d' un bel Prioratico, ch' entrò el primo di questo: che quello che v' è di meno riputazione, fuori dell' ufficio, si è Giovanni d' Anton di Salvestro, che è gonfaloniere di giustizia: evvi parecchi de' Signori che sono uomini maturi, e altre volte suti gonfalonieri di giustizia: sì che questo hanno fatto: altro non so. Dissi a Giovanni che ti scrivessi qualche cosa in questa parte, se sapeva altro. Loderei alle volte che tu scrivessi Duo versi a Tommaso Davizzi, che è in luogo da sentire; e raccomàndategli: ed io anche lo farò, quando bisognerà: e in questa parte non mi peserà la penna, avvisarvi quando vedrò el bisogno. Che no l' ho fatto da dua mesi en qua di scrivervi espesso, perchè non ci è suto cosa d' importanza. La morte di Cosimo stimai lo sentissi più presto che da me, e però no lo scrissi. E di grado, estimo siate più tosto in migliore che piggiore: e per ora non è da scriverne a persona; quando sarà el tempo, vi si dirà.

Veggo messer Agnolo ha ' uto signoria di costa. Sento che presto vi viene, e da lui entenderai come le cose passano di qua. Sento che s' egli ha signoria, che gli è privato dello stato di qua: chè così ci è l' ordine pe' cittadini; che si fece a tempo del gran Siniscalco degli Acciaiuoli.

Io m' ingegnerò di mandarti del marzolino e parecchi mazzi di finocchio da seme, per la galea di Bernardo Bonsi. Ha il padre che sta male: dubitasi che morrà: non so se questo lo stogliessi della galea. Francesco Bonsi, fratello di Giovanni, anche lui sta male: ècciene per dua dì. Mori messer Piero de' Pazzi: dicesi per loro disordini si perdono la vita. E Niccolò Giugni, anche lui ha male, e se ne dubita: poco danno ne fia.

Di' a Lorenzo che a dì 6 ebbi la sua lettera de' 14 d' agosto, con due lettere: una di Luigi Pitti, l' altra a Zanobi Biliotti; ch' i' l' ho date. Altra risposta non n' accade; nè altro per questa. Iddio di male vi guardi.

Piacemi che siate sani, e stiate allegri: così vi mantenga Iddio lungo tempo, come disidero. Attendete a star sani, chè col tempo s' acconciano le cose.

Anton di Puccio è quasi guarito; che ha ' uto gran paura: ha dato molti danari per Dio, ha tratti prigioni delle Stinche; e tanto ha fatto, e' ha riceuto grazia di guarire. Per la tua Allesandra Strozzi, alle Selve.

LETTERA TRENTASETTESIMA

A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 13 di dicembre 1464.

A dì 30 del passato fu l' utima mia, e ne fu apportatore Perantonio Buondelmonti. Ho dipoi dua tue, l' una de' 20 passato da Capova, e l' altra de' 2 di questo. Risposta sotto brevità, perchèTommaso soprirà a bocca; che fia apportatore di questa: e co lui ne viene Girolamo di Lotto Lotti, come vedrai. Credo ne sarai ben servito, che è pratico, ed è sanza niuno vizio o di giuoco o d' altro; e mi dice che ,io ti scriva che quando sarà costà, e nel fare delle faccende egli errassi in alcuna cosa, che tu lo riprenda come se ti fussi fratello. E così fate che Giovacchino ne pigli el carico di mostràgli el bisogno.

Del Santuccio n' avete dato lezione a messer Simone fratello di Bettino: sia alla buon' ora.

E' ci è su molti che dicono averla prima che costui: sentira' lo da Tommaso, se se ne ricorderà; chè molte cose v' arà a dire a bocca, che bisognerebbe avessi l' arte della memoria.

Per questa tua de' 2 di questo entendo el bisogno che aresti d' avere licenza di potere venire per un mese insino qua per faccende che ti sarebbono d' utile e onore; e a me sarebbe di gran consolazione. E perchè non mi sono sentita molto bene, pezzo fa, del mio male, e non sono ita fuori, lo conferi' co Giovanni e Marco. Parve loro mi forzassi andare a chiederne consiglio a messer Agnolo, piuttosto che a Dietisalvi, estimando entendere da lui quello volevo. E in fine e' mi rispose che voleva parlarne con alcuno cittadino, e che non dormirebbe dua notti che mi risponderebbe. E invero non aspettavo tale risposta: ma l' uomo non sa loro fatti e animi; che istimai che a bon fine la dicessi e per potermene dare più vera risposta; e intendendosi bene lui con Dietisalvi, facemo pensiero che ne volesse conferire co lui. E perchè Dietisalvi è de' tua amici, ci parve, a me e a Giovanni e a Marco, d' andare a chiederne consiglio anche a lui: e perchè è molto di Marco, v' andò lui: e la risposta fu, come da Tommaso intenderai, che a questi Priori che sono al presente non se ne favelli. E' si farà la tratta degli altri all' uscita di questo, e messer Agnolo ha le borse in mano questa volta; e dicono che ci ha a essere delle cose, pure tra' maggiori; che assa' se ne scuopre de' malori; e hannosi a fare gli Otto di nuovo. Sì che gli pare a Dietisalvi si stia a vedere questo tempo; ed essendo la Signoria a lor modo, che ti si dirà dove el Re abbia a scrivere, prima alla Signoria e poi a cittadini. E questo è il consiglio di Dietisalvi. Essendo la chiesta del Re lecita e onesta, e per suo' fatti, i' n' ho speranza che, scrivendo e chiedendolo cordialmente, riuscirà tutto. Faccia Iddio che debb' essere il meglio.

Qua ci è di grande traverse, tra falliti che ci sono e degli altri che crocchiano. E malori che hanno covato un pezzo, danno tutti fuori. Forse si sanicherà: a Dio piaccia di provvedere a' nostri bisogni. E a voi vi ricordo il governarvi sodamente, chè veggo si pena poco a perdere quello che per lungo tempo s' acquista; come arai sentito, e da Tommaso sarai informato del seguito insino a oggi.

So' a dì 14, e mi dice Tommaso che messer Agnolo gli ha detto ch' io non rada per risposta; ma l' ha fatta a Tommaso: e questo si è, che egli ha parlato co messer Luca e Dietisalvi, che sono d' accordo. Solo dubitano di Piero; e questo si faccia escrivere al Re, come tu sai che bisogna: e così faccia che gli scriva a messer Luca, a messer Agnolo e a Dietisalvi e a degli altri, come ti doverrà avvisare messer Agnolo. E tu ancora ne scrivi ad altri tua amici. E Lorenzo potre' scrivere a Bonaccorso e a Luigi Pitti e a Tommaso Davizzi: ma pure e principali sono e quattro di sopra. Noi tegnamo per certo, che se il Re iscrive di buon animo, che tu otterrai per suo mezzo la grazia; che è oggi molto istimato el Re da Piero e dagli altri maggiori. È di bisogno che le tue ragioni sieno raccomandate molto affezionatamente: che è pure a pensarvi gran cosa; chè non ne ho mai sentito di 50 tal cosa, se la riesce. I' ne farò fare orazione a Dio: che se debb' essere el meglio, mi dia questa consolazione con salute dell' anima e del corpo. Nè altro dico per ora, chè fo concetto en brieve tempo dirti e fatti mia a bocca. Concedacene Iddio la grazia, e di male ci guardi Iddio. Per la tua Allesandra, Firenze.

LETTERA TRENTOTTESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. Addì 29 di dicembre 1464.

A dì 22 e per le mani di Carlo ti scrissi; e di poi a' dì 23 ti feci alquanti versi per Francesco di Giano vetturale; e bench' ella venga ad agio, arò caro ne faccia buon servigio. Ho di poi la tua dell' 11 di questo: poca risposta accade, più perchè abbiate di noi novelle, che per altro.

Veggo Lorenzo era a Gaeta: doverrà di poi essere tornato, e auto risposta da me della sua de' 6 detto; che, come per altra ti dissi, la sua a Luigi non volli dare. Chè, essendosi fatta la ' mpresa per te, non ho parlato di poi ad altri: chè, avendo a fare la ' mpresa d' uno di voi, più tosto la vo' fare per te: e sommi fatta a maggior pesci che a Luigi; che ' n ogni modo Luigi aveva a richiedere quegli a chi si parlò. E scrivendo come per altra arai enteso, allora sarà buono scrivere a Luigi e agli altri amici: che Iddio lasci seguire il meglio. E, come tu di' , non te n' ha seguire altro che grande onore e utile, di costà e di qua.

D' imbasciadori di qui per costa non s' è poi ragionato che quello ti si scrisse: attendono ad altro; chè ci è stato tanti falliti che hanno dato pure di gran picchiate a' cittadini: e massimo el nostro Giovan Francesco, chè avendone auto io qualche migliaio, da voi en fuori, no mi sare' paruto potergli allogare più sicuri: e tu vedi come l' ha fatta! Sento Niccolò Strozzi v' è appiccato, e di te ho auto sospetto: e' mi dice Carlo di no, che non vi se' a nulla; che ha' uto bella grazia a mie' parere, non essere appiccato a niuno di tanti quanti e' n' è falliti: e Dio sia ringraziato.

El Santuccio è, come tu di' , in viluppo, ed ho paura non vada in quello Niccolò Baldovini, che l' ha auta dal Papa: che quando Francesco Strozzi la tolse a messer Zaccheria, la diè a un ser Adamo; e questo non fece gli atti che bisognava, perchè Francesco la volle lasciare al detto messer Zaccheria; sicchè avendonelo prima privato, no gliele ridiè come padrone, ma fece un certo patto co lui, sicchè nè l' uno nè l' altro l' ha con debito titolo de' padroni; sicchè la chiesa viene per questo a essere istata sanza padroni, che hanno tempo mesi quattro dopo la vacazione del prete, ed egli è più di quattro anni che Francesco fece questo: e pertanto dicono la chiesa è stata sanza padroni, ed è ricaduta al Papa. E questo de' Baldovini è secolare, e fa e fatti di molti religiosi, di piatire: e subito che mori messer Zaccheria e sentì da messer Piero da Iesi, che fece tutte le scritture di Francesco con messer Zaccheria e ser Adamo, e dissegli non ci era padroni, e essofatto el detto Niccolò Baldovini la ' mpetrò dal Papa; e quando venne per entrare in tenuta, e' vi trovò e Pandolfini. Costui non è legittimo, ed è fratello d' Apollonio parente di Marco. Lorenzo lo conosce, ch' era in Mugello. Pare ch' e' sia una testa ferrata, e non è stato en casa del padre nè col fratello già molt' anni, e non attende se non a piatire per preti e per frati, ed ha in Corte grande amicizia. Sicchè i' non so come s' ha a capitare la povera chiesa: e Pandolfini la piatiscono con messer Simone. Iddio aiuti le cose sue che non capitino male.

Sento 52 ha fatto testamento e lascia al nipote tutto; e un tuo amico è asegutore del testamento. Sieti avviso, se no lo sapessi.

I' ho auto una tua de' 11 scritta a Tommaso; e perchè el detto è venuto costà, no l' ho rimandato endrieto, chè a bocca v' intenderete: tutte gliele serberò alla tornata. Del compromesso, non s' è fatto; chè l' Allesandra non è venuta ancora a Firenze: e da altra parte aspetterò se 4 venisse in qua, che tutto s' acconcerebbe bene.

Da Tommaso senti' che Niccolò ti voleva dare Lionardo, che invero ha bisogno di chi lo faccia destare: ma a mie parere sta meglio con Niccolò che con altri. E credo che la stanza di qua gli abbia fatto danno assai, che abbia più tosto dimenticato che apparato, eccetto che a giucare questo ha apparato e dell' altre virtù, come da Tommaso ara' sentito.

Io ebbi e dua fardelli della seta mandata pel Mugnaino ovvero suo garzone vetturale; e Giovanni Ginori la sgabellò, e tutto come da lui sarete avvisati. E così si farà venendo in nome di Tommaso, venendone dell' altra. Né altro per questa. Iddio ti guardi di male. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

Questo dì sono tratti e Signori, e sone di parte: Gonfaloniere, Tommaso della Rena; e Zanobi Bonvanni, e Carlo Gondi; Mariotto Rucellai, è quello ch' ebbe il podere da Campi: ènne uno de' Giachi, e v' è Francesco di Mainardo Cavalcanti nipote di Donato. Non so gli altri, che stimo sieno gente che no li conosco.

LETTERA TRENTANOVESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 3 di gennaio 1464.

A dì 29 passato fu l' utima mia, sotto lettere de' Miraballi, come sono usata: ho di poi una vostra de' 18 detto, che l' ebbi a dì 30. Risposta al bisogno. Della domanda fatta per voi, vi pare grande; ed è vero: e chi disidera ch' ell' abbia effetto, com' io, no gli pare ch' ella debba essere così espaventevole; e massimo conoscendo e portamenti vostri. E da Tommaso, per mie lettere e d' altri, entenderete tutto: che più dì sono che costì dovè giugnere ensieme con Girolamo di Lotto Lotti. Iddio abbia dato loro buon viaggio. Aspetto presto Tommaso ritorni en qua; che a Dio piaccia sia con buone novelle, come desidero. E, come per altra vi s' è detto; non diè la lettera a Luigi Pitti.

Veggo ti duole el caso di Lodovico; e avete fatto bene a profferervigli: dicesi che renderanno soldi 20 per lira, e che rimarranno ricchi. Hanno di molte case, e possissioni si dice e masserizie per 16 mila fiorini: sicchè in questo caso perdono più di riputazione che altro. E dipoi arete inteso di Giovanfrancesco; ha rifiorito la casa nostra. Hacci debito assai: chi dice che farà il dovere, e chi no: credo per questo la nipote n' arà danno assai. Non se ne sente nulla ragionare di quegli che pel passato si diceva: doverrassi vedere di qui a qualche mese. La cosa di questi falliti per ora pare posata; che da Giovanfrancesco en qua non ho sentito poi d' altri. Hanno fatto ferie tutto questo mese: non so a che fine; che credo sia buono per chi ha debito.

Del fatto vostro avete preso per altra via non vi dicevo; che mi pare lecita e onesta: ed ho piacere el Re vi sia così benivole, come entendo che gli è. E del dono vi scrissi volevo fare a Messere, ne sono isconfortata da Giovanni e da Marco, che dicono ch' io me lo perderei; chè non è in fatti quello mostra nelle parole: e per tanto n' ho levato el pensiero: e costà non viene. Sentendo che altri vi venissi, ne sarete avvisati.

Setevi apposti che, per le cose occorse, e denari del Monte sono escemati; e se manderete la procura, la serberò: e avendola adoperare, s' adoperrà quando vi fia da rinvestire en cosa sicura e soda per lei; e altrimenti, no.

De' fatti di Niccolò, ho caro sieno più tosto bugie che vero, e fa male chi gli ha leva questa boce.

Del Santuccio non me ne darò enpaccio: a Niccolò ne risposi. Iddio e San Giovanni Batista, in che è titolata, la dia a chi meno l' ha a consumare.

Entendo che della donna è da stare a vedere. Sia col nome di Dio: e io ancora vo' vedere de' fatti vostri quello n' ha a essere; e poi vi metterò innanzi una di quelle da Vernia, se arà le parti si cerca; che me ne informerò.: e piacendoci, se ne potre' ragionare. L' altra sorella ha Carlo Baroncelli. Avvisate se v' andassi all' animo; chè a me piacerebbe, essendo bella e bene costumata.

Dell' Ardinghello n' ho domandato la madre: da marzo in qua non hanno lettere da lui: portanne assa' pena. L' altro era a Vinegia per questo fatto di Giovanfrancesco, che è a Ferrara: e, come tu di' , Tommaso are' fatto poco frutto co lui, essendo seguìto el caso di Giovanfrancesco: chè bene che si stimi abbino a dare, pure non aràn la comodità da lui avevano; e si tiene che l' altro di Levante non abbia fatto anche lui molto bene. Iddio aiuti loro e chi n' ha bisogno.

Del parentado di 46 con 54 non sento ora nulla, nè di sua venuta in costà: non mi par tempo da partirsi ora di qua. Se ne sentirò altro, ne darò avviso.

Io ebbi a dì 30 del passato una lettera de' 22 detto da Niccolò Strozzi, dove mi dice ch' i' dica a Piero e Tommaso Capponi, che non vogliendo rimettere sopra di loro e dan ari avanzano loro per detto Filippo Strozzi, gli paghino a me; e pigliandogli io, faccia loro lettera di ricevuto: dove, sendo le feste, non pote' . Ma el primo dì, che fu a dì 2, vi mandai Marco Parenti, perchè Giovanni non er' a Firenze, e mostrò la lettera a Lionardo. Rispose che aveva lettera da Niccolò, del medesimo dì che la mia, e che no diceva, che non vogliendo rimettere e danari sopra di loro, che me gli dessino: e pertanto essendo venuto un fante da Vinegia, e la mattina per tempo si partiva per Roma, chè presto v' aveva a essere, rimise a Roma a Niccolò, per mano di Giovanni Borromei, fiorini cinquecento; e che gli paiono sicuri: e che avendo auto avviso da Niccolò, me gli are' dati: chè sopra di loro no rimettere' danaio; chè, da Medici e Borromei en fuori, non saprebbe dove si rimettessi danaio; e che di Filippo gli avanzava fiorini 350: che di questi aspetterebbe lettere per questo fante, e ne seguirà quanto n' arà avviso.

Siàno a dì 5: ed ho sentito la cagione perchè son fatte le ferie. E questo è, che ci è di quegli che stanno in sul bilico di fare come degli altri, che sono: e Pazzi triemano, e Baroncelli si dice hanno fatto: e' ci è delle cose; ma stanno sotto, per le ferie che sono. Iddio provvegga al bisogno. Della terra di Giovanfrancesco si dice di nuovo, che non pare voglia fare el dovere qua; che se no lo fa, gliene seguirà l' esser rubello, e forse la morte: e sento che a Vinegia e a Ferrara non potrà estare, rispetto e patti hanno col Comune di qua. E la nipote è scesa un grande iscaglione: forse s' arrecherebbono a darla a 45. Iddio lasci seguire el meglio.

Egli è parecchi mesi che quel pizzicagnolo di Borgo Sa' Lorenzo m' ha istimolata di nove fiorini aveva avere da vostro padre. Credo che altre volte l' abbiate inteso, e massimo Lorenzo, che gli parlò quando e' ci era ammalato. I' l' ho sostenuto quanto m' è stato possibile, e con dire non ho a pagare e debiti di vostro padre. E ' n fine, veduto no ne può avere altro, e n' ha fatto ammunizione, e tratta la scomunica: dove a questo parendomi che fussi di nostro danno e vergogna, gli ho fatto parlare al nostro prete, che è un valente e buono uomo; ed egli ha preso tempo uno mese da lui, con dire ch' io vi scriverrò e avviserò di questo fatto, e aspetterò vostra risposta, e di quello s' abbia a seguire. Egli ha una scritta di mano di notaio, dove Matteo s' obriga di dargli questi danari per Agnolo da Vergereto, cavallaro; che Matteo è suo debitore. Rispondete che è da fare; che quanto per me non posso più co lui, nè sostenerlo più colle parole: e per quello truovo al Libro, Matteo è debitore di quest' Agnolo de' fiorini da 20. Sicchè faccendone iscomunica, aremo voi ed io questo peso addosso, che pure abbiàno di quello di Matteo voi ed io: sì che, quando. cadessimo in questo, i' non crederre' mai capitar bene di nulla ch' i' avessi a fare. Avvisate di vostro pensiero.

E venuto 4 dì fa Antonio di Soldo Strozzi, e dice avere portato non so che bariglione per me, che è ancora a Pisa. Fate bene a rimandarmene qualcuno, che mi disfate di bariglioni e di sacca unte; che ogni volta ho quistione colla Cateruccia, che dice none può iscampare uno sacco innanzi a me.

Questa mia è scritta cogli occhiali: rileggete e rivolgete più d' una volta, tanto che la intendiate bene.

Per altra dissi, le lettere avevo ritenute di Tommaso, e tutte quelle v' erano drento: serberolle bene alla sua tornata. Siàno a ore 23, e ancora non ci è el fante da Roma, che s' aspetta fra tre dì: fomi ennanzi allo scrivere perchè el freddo mi dà noia, e a bell' agio la piglio. Aspetterò a suggellare, e se ' l fante venissi. Di' che scrivi a Tommaso per questa tua de' 18, del fatto de' danari, quello Tommaso n' abbia a fare: non truovo ci sia suo' lettere; estimo Niccolò l' arà ritenute a Roma, sendo venuto in costà. Ed è vero che gran rovina ci è stata. Ora la cosa s' è raccheta: o che sia rispetto le ferie che sono, o quello si sia, la cosa si sta. Nè altro per ora. Iddio di male vi guardi. Per la vostra Allesandra, Firenze.

LETTERA QUARANTESIMA

A Filippo e Lorenzo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 12 di gennaio 1464.

A dì 5 fu l' utima mia: di poi ho la vostra de' 22 dei passato, che poco a risposta v' accade: pure, perchè abbiate cagione di scrivermi, e perchè di noi sentiate novelle, che la brigata è sana, ed io mi sto come le vecchie, che sempre crocchiano. Ho gran consolazione quando sento voi sete sani, e che fate bene: mantengavi Iddio lungo tempo, con salute dell' anima e del corpo, come disidero.

La procura sotto la tua lettera ebbi a dì 6 di questo; e non dubitate che se il Monte della Lessandra s' arà a vendere, guaterò molto bene si rinvesta en cosa soda e sicura per lei. Per ancora non se ne piglierà partito, però che ' l Monte è scemato, che è a 27 e mezzo; e Giovanni mi dice no ne vuole pigliare partito se non è a 30: sì che per ora starà la cosa così.

La lettera mandai a Lodovico: è da ' ncrescere dei caso loro, chè non sono venuti a questo passo perchè se gli abbino giucati. Ha' fatto bene a confortallo: sento che renderanno soldi 20 per lira del debito hanno qua, o dirò me' vero che hanno da rendere: e avanza loro, tra case e possissioni e masserizie, 16 mila fiorini. Resta ora a vedere ci debito hanno in Ponente; che,secondo quello, rimarranno ricchi e poveri. Iddio gli aiuti; che oramai hanno perduto l' onor loro. E di poi ci è stato quest' altra picchiata di Giovanfrancesco, che alla casa ha dato un gran tracollo: e ci è chi gli ha malanimo addosso: se non farà quello che potrà enverso de' creditori, riceverà danno e vergogna, che ancora la Casa ne sentirà; che sono segni che bastano sempre. Iddio provvegga al bisogno d' ogn' uomo.

Attendo risposta di quelle lettere portò Tommaso Ginori; che mi piacerà abbiate adoperato quello che per noi si disiderava: e ogni dì n' aspetto qualche cosa di buono; e vedrèno che seguirà di qua: che Iddio lasci seguire il meglio; che sa el nostro bisogno. Di qua s' attende accordare creditori, e a porre catasti: che tra pel grano a quegli dell' Abbondanza, di nuovo ci Monte, e danar per lira ci è posto per tutto questo, e un altro quarto catasto a Santo Spirito; ch' è un miracolo e danari si pagano! Non ci sendo altre spese si soglino, tutti credo tornino nelle buone borse. Iddio provvegga a questa povera terra!

Per la vostra mi dite vi rimandi la lettera di Tommaso mandata sotto la procura: rimandola in questa. Senti' da Lionardo Mannegli, che ci resto vostro gli rimisse a Roma pel fante passato a Niccolò Strozzi, per mano de' Medici: doverra' n e essere avvisato.

Dicemi Giovanni, che Donato Cavalcanti gli ha detto che Lodovico e Batista si rivolgono sopra di lui, di quello hanno avere da Carlo suo figliuolo; e che non sendo Carlo manceppato, è obrigato el padre: che me ne incresce per amore di due fanciulle grandi ha in casa, che più di vent' anni debbono avere per una. Iddio l' aiuti. Non so altro di nuovo da poter dire. Iddio di male vi guardi. Per la vostra Allesandra Strozzi, in Firenze.

El bariglione mandatomi per Antonio di Soldo non ho ancora auto; chè ci è stato molto .spiacevoli tempi di neve e vento: che nove dì ci nevicò; e cominciò la sera della pasqua, ensino a dì 2 di questo; sì che non s' è potuto caminare. Se di costà è suto el simile, Tommaso e Girolamo n' aranno sentito alcun dì.

LETTERA QUARANTUNESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 26 di gennaio 1464.

A dì 12 di questo fu l' utima mia; e dipoi ho due vostre, del primo dì e 11 detto. Alla prima non feci risposta, che ebbi a dì 12 la sera; e scritto ch' i' v' ebbi, ebbi la febbre, e enfiommi el capo e tutta la testa e a piè degli orecchi; e stetti così parecchi dì; Poi, per grazia di Dio, ne sono libera. E questa fu la ,cagione del non rispondere alla vostra: faròla per questa con brevità.

Per altra vi s' è detto della procura auta, e che sendo el Monte escemato, no ne vuole far nulla. E quando altro ne diliberassi, si farà al tutto con salvamento della Lesandra.

Delle lettere escritte a Tommaso voi di costà, quelle mi sono capitate alle mani l' ho ritenute, eccetto che una, che scrivendomi la rimandassi non ci sendo Tommaso, che la rimandai sotto la mia, credo, de' 12 di questo.

Di Lodovico Strozzi non sento altro mi v' abbia detto per altra: tiensi che fallisce chi ha avere: e mentre che sono le ferie, non si può vedere come si fanno, e massimamente per me, che non sento così ogni cosa. Solo sento di Lorenzo Larioni, che s' è rimesso nelle mani di Piero; e lui fa l' accordo, e dicesi che rimarrà più ricco che non era già dieci anni innanzi che s' avviluppassi nelle mercatanzie: sì che per via di roba e' starà meglio, ma non dell' onore. Sento renderà pochi soldi per lira: ci danno è di chi perde el suo. Così credo faranno que' di casa di Giovanfrancesco. Ci è di vari oppenioni: chi dice che dà buone parole e che gli arà cattivi fatti. E Piero Canigiani, che andò a trovarlo, dice che dice di volere fare il dovere: ma che aspetta di Levante e di Ponente e sua fatti, come gli stanno; e che prima non può dir nulla. Èssi ragionato nella Pratica, che non vogliendo fare el dovere, potendo, di farlo rubello, e dargli una taglia drieto. Venneti ben fatto a no gli accettare la lettera, chè vi rimanevi appiccato: e Niccolò, che giuoca cosìnetto, e' v' è giunto a buona somma: e, come tu di' , doverrebbe fare a lui un poco me' ch' agli altri, rispetto el parentado. A Dio piaccia faccia il dovere, acciò non abbia a seguire pi inconvenienti.

I' ho inteso della tua faccenda quanto ne di' , e come Lorenzo è ito al Re. A me pare che per verun modo, nè colle lettere nè sanza, e' si faccia enpresa di venire; chè guasterèno la chiesta grande, e d' importanza, per la piccola: chè avendo inteso nel prencipio di voler fare la chiesta maggiore, t' arei isconfortato di questa, e per te e per Lorenzo. Non sono cose da trassinarle così per leggieri: e se Tommaso ne verrà co lettere, ed io lo vegga prima che le dia, no gliele lascerò dare: però che non sarebbe ci bisogno tuo; chè mi pare, secondo lo scriver tuo, lo conosca, e che Tommaso manderai en qua sanz' esse. Pure te n' avviso, che venendo con esse, no le lascerò dare: e se Tommaso non è sofficente al bisogno che t' occorre di qua pel fatto dei Re, da' commessione a degli amici di qua, che ti serviranno bene de' drappi che tu arai di bisogno. Tommaso è buono e fedele, ma non è sodo come potrebb' essere; e di San Chirico fu suo trovato, e per allora non vi pensai: ma veggo tu vai en questo sodamente; chè ne vede più a chi tocca, che non fa un altro.

L' animo del f. di 32, secondo sento, è molto affezionato a 47 per ensino a oggi: se l' amicizia si mantiene, credo arà 47 quello vorrà: dico se l' amicizia si manterrà, perchè queste gente si mutano espesso d' animo: che, come per altra ti dissi, chi era di buon animo inverso di te, aveva buona parte del governo: ora sento che s' è aggiunto Antonio P., che quello vuole, tutto è fatto, e può pii che veruno: che credo venga da 54 e ' l f. di 32: sì che quando s' avessi a cimentare el fatto tuo, e scrivendosi pel Re agli amici, se ti parrà, farai scrivere anche a lui. So che al Re sare' viltà a scrivere a un uomo di sì vile condizione, ma qua al presente ha gran possanza: non era così dua mesi fa. Pogli u' nome, a ciò ch' io entenda, quando altro iscadessi dime: pogli nome 56. La Signoria arai enteso: è Gonfaloniere el suocero della sirocchia d' Anton Pucci : è Signoria che ha fare la volontà di chi governa; e così sono tutte: che fanno quello è ordinato loro! E altro sopra ciò no cale dirne.

Piacemi de' fatti del danaio vadi assettato, e lodo lo stare a vedere come passano le cose di qua di questi mercatanti. Dissiti per altra, che la seta avevo in casa: e da' Capponi non ebbi mai danari; chè disse Lionardo avergli rimessi a Roma a Niccolò, per mano de' Borromei, in parte, e ' l resto per mano de' Medici: sì che non si trova danari di tuo, ma dice avere pagato per te a quello da Meleto non so che fiorini, ch' egli ha a ritrarre da te.

Del fatto degli Ardingelli aspetterà tempo: per ancora sento Luigi è a Vinegia, e di Niccolò non sento nulla; ch' è maraviglia, avendo la donna di già dua anni passati: o egli fa sì bene, che di lei non si ricorda, o egli ha fatto male e fatti sua.

Avete fatti buoni ai banco di Zanobi di Dietisalvi fiorini 24, che sta bene: arò bisogno fra pochi dì di pagare altri catasti; chiederò loro danari, e ne darò avviso; e se la riputazione della Casa nostra è ridotta nelle cose mie, ho da stare contenta, e co tremore di questo falso mondo! Lodo e ringrazio Iddio di tutto, e a voi raccomando l' anima vostra; e che siate conoscenti della prosperità vi da Iddio. I' fo ai continovo pregare e dire dell' orazioni per voi alle Murate, a ciò che Iddio ci presti vita, con salute dell' anima e del corpo, come disidero. Piacemi che di Lorenzo tiri teco ensieme; che maggiore consolazione non ho che sentire voi v' amiate insieme, e che aiutiate l' uno l' altro, con buono amore: che è di meglio assai e fatti vostri a Dio e alle genti del mondo. Mantengavi Iddio lungo tempo. Nè altro per ora.

Lorenzo mi scrive di non so che susine, che a dì primo no l' aveva mandate; e Antonio di Soldo mi disse, che a dì 25 del passato si partì di costà, e che voi gli mandasti en galea el bariglione. Disse bene no l' aveva veduto, ma che ritornava a Pisa, e manderebbelo con altre sue cose. El detto bariglione, se no l' ebbe, non me lo può mandare. Ha preso errore: attendolo per altra via; che l' arò care, chè sono d' altra bontà che le nostre.

Se tu scrivi a Bernardetto, sento va poco fuori; e non credo sia da scrivergli cose d' importanza. Aspetto ognora Tommaso: conducalo Iddio salvo. Quando vedrò Lotto, o la Lorenza, la conforterò che istiano di buona voglia di Girolamo. Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi. Per la vostra Allesandra, Firenze.

Le lettere tue non sono tocche.

LETTERA QUARANTADUESIMA



A Lorenzo degli Strozzi, a San Quirico.

Al nome di Dio. A dì 5 di febbraio 1464.

A dì 31 passato e per Tommaso ebbi la tua de' 30 detto; e così recò qui tutte le lettere che andavano a cittadini e alla Signoria, mandate dal Re, per la licenza. Recoronsi con diligenza; che me' da Tommaso arai inteso per una sua escrittati insino a dì primo di questo, e della diliberazione fatta sopra questa licenza: il perchè non ci parendo che per via di salvocondotto e di licenza di chi governa tu fussi sicuro di non cadere nella contumacia di rubello; e così ci fu detto da Luigi e Ristoro, e dagli altri amici, che questa licenza sicurava la persona e l' avere en sul loro terreno, ma non ti scuravano che tu non cadessi in bando di rubello; però che la legge dice, che niuno confinato non ci possa venire se non pe' Consigli, altrimenti caggia in bando di rubello; si che intendendo questo, non l' abbiàno voluta in questo modo. Rifeciono la pratica, e sì trovorono il modo, come ti disse messer Tommaso Soderini, per via di comandamento; e questo era più sicuro, e a questo ci accordavamo, perchè da Tommaso Davizzi e dagli altri amici ci era detto che era a bastanza. E questa diliberazione si fece domenica sera, e lunedì mattina sì l' ebbono innanzi gli Otto, per farvi su el partito: e infine vi fu uno degli Otto che disse, che non renderebbe mai fava a questo partito; che si trovò a confinarvi, e che non si voleva trovare a farvi tornare: sì che non potendo fare sanza lui, non si misse a partito. Mandoronmi a dire che gli era di volontà di principali che tu venissi, e non avessi pensiero. Risposi a Tommaso, che da parte di Dietisalvi me lo disse, ch' io non volevo mettere la persona tua a rischio per le parole; chè loro non ci mettono altro, ed io ci metterei la carne e il sangue; che non era questo per nostre faccende, nè pregati da noi; che per verun modo non volevo tu venissi, se non eri molto bene sicuro e fuori di pericolo di più danni che tu t' abbia ora. Non so che si seguiranno: non vogliono ti si scriva mo' tu ritorni endrieto; sì che non so quello si faranno. Non si può dire per lettera tutte le cose seguite, chè non basterebbe un foglio: da Tommaso sarai avvisato più particularmente di tutto. Confortoti a pazienza; chè tutto è a buon fine. E quando non avessi fatto altro questa tua venuta, pure siamo chiari dov' è il buon animo e dove il fegato marcio, che è nel f. di 32. I' ti conforto a stare ancora qualche dì a vedere so altro diliberassino, chè non possino avere iscusa di dire: E' si partì presto; noi arèn fatto e detto! Sicchè non ti partire insino n' abbia avviso da noi: e sta' di buona voglia, chè ci avete degli amici.

Questa mattina mi disse la madre di Niccolò Ardinghelli, che gli è venuto a Vinegia en questi dì, e tosto doverrà essere a Bologna, per dare ordine come si potrà menare la donna.

E' s' è fatto embasciadori a Napoli al Re, e al Duca di Milano pe' fatti del Signore di Rimino, ch' è morto e ha lasciato un suo figliuolo secondo signore e a governo de' Veniziani; dove qui se n' è fatto gran caso: e però mandano questi imbasciadori al Re detto messer Luigi Guicciardini e Pandolfo di messer Giannozzo Pandolfini. Sarà buono avvisarne Filippo, che col Re faccia che ora, mandando la Comunità per aiuto a lui (che mi stimo che per qualche richiesta vi mandino), che il Re richiegga el Comune di Firenze della liberazione vostra: e non ottenendo tu ora questa grazia di venirci, l' ho per buono; chè potrà il Re dire: El Comune, o vero i cittadini non mi vollono servire di quella piccola richiesta, per servirmi d' una maggiore! e richiedere e gravare gl' imbasciadori che ne scrivino di qua. E ' ncora e portamenti vostri enverso d' essi imbasciadori, con qualche presente (che volentieri l' accetteranno), vi saranno in favore. E oltre a questo, Dietisalvi è quello va a Melano, ed èvvi amico. Dove pel fatto vostro bisogna che il Re iscriva al Duca, che gli compiaccia di questo, di chiedere allo imbasciadore el simile per voi che fa lui; e simile scrivere a Dietisalvi. E così si vuole adoperare ora a questo tempo ciò che uomo può, e per la venuta del figliuolo del Re; e ancora ordinare quel medesimo, venendoci quello del Duca. Io so che de' fatti vostri ve ' ntendete più di me; pure ti ricordo, e do quel poco dello avviso posso. Se tu arai licenza, ti dirò a bocca; quanto che no, portàtene questa, e mostera' la a Filippo; chè accozzandosi ora queste cose ensieme, si vuole fare il possibile; chè la Comunità ha bisogno di queste Potenze. Ancora a Milano avete Pigello vostro amico, ch' è gran maestro. I' scriveronne a Filippo di questo fatto; chè tornando tu indrieto, forse ne sarai apportatore, veggendo di mandartele salve; chè son cose d' importanza, e non da fidarle a ogni uomo.

Da Filippo ho lettere con una procura mandava a Roma, e Niccolò la dirizzassi a me. Così fè E disse al fante, secondo mi scrive, che trovandoti a San Chirico, la dessi a te. El detto fante la die' qui iermattina. Vedi servigio ne fa! La tua aperse Tommaso; che v' era drento lettere ' Amerigo Benci a' Martelli e Girolamo Morelli. Erano aperte; e drento la procura. Da Tommaso ne sarai avvisato.

Ebbi nella tua quella di Filippo. Di' che sempre motteggia; ed io ancora motteggerò con lui, chè glie ne dirò qualche motto. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra, Firenze.

Siàno a ore 21, e sento pure che tramano questa tua venuta. Iddio lasci seguire il meglio.

LETTERA QUARANTATREESIMA



A Filippo Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A' dì 7 di febbraio 1464.

A dì 26 passato fu l' utima mia: ho di poi, sotto lettere di Lorenzo da San Chirico, una tua de' 18 di detto. Accaderà poca risposta: farolla per questa al bisogno. Giunse qui Tommaso a' dì 31 passato, a ore 23, e essofatto diè le lettere recate di costà a chi l' aveva a dare, e da 46 e 54 e dagli altri amici ebbe grate risposte. Dal fratello di 32 assai buona. Dietisalvi t' è grande e buono amico, che n' ha fatto dimostrazione, e così Zanobi, in questa licenza di Lorenzo: chè troppo sete loro obbrigati; e benchè ci sie ito un poco di tempo in averla, e che per gli amici tua si sia durato fatica, pure, per la grazia di Dio, iarsera di notte s' ebbe detta licenza. E perchè la legge dice che niuno confinato possa venirci se no per le 44 fave e pe' Consigli, se non ch' e' caggia in bando di rubbello; e pertanto s' è fatto per via di comandamento che, a pena della alturità loro, che venga qua fuori della porta, dove vuole, per tutto marzo. E questo, secondo m' è detto da chi entende, che gli sta in buona forma. E per tanto Carlo Guasconi gli mandò un fante a ore di notte col detto comandamento. Aspettiàllo a' dì 9. Mandilo Iddio salvo. Non ci pare enteramente la chiesta del Re, che lo chiede per drento nella terra; e ancora el bisogno suo e ' l contento nostro; chè ci sarà di gran disagio a lui e a me, e di più spesa. Pure non è cosa da ricusarla, e potrebb' essere che di qui a qualche dì, che gli amici nostri lo faranno venir drento: che di così sono confortata. E in questa sua venuta, quando non si fussi acquistato altro, pure s' è veduto che ci avete degli amici, e di quegli che vi darebbono aiuto e favore a maggior cosa che questa: sì che del dubbio ch' io ti scrissi per l' utima ch' i' avevo, mi sono rimossa per le parole ho sentite son ite a torno in questo fatto di Lorenzo; che me ne conforto. Prechiamo Iddio che per sua misericordia provvegga al nostro bisogno dell' anima e del corpo.

Avvisoti che 2 dì sono, fu fatto per la Comunità embasciadori costà alla Maestà del Re e al Duca di Melano, che è Dietisalvi; e costà è messer Luigi Guicciardini e Pandolfo di messer Giannozzo Pandolfini, el quale s' è adoperato al fatto di Lorenzo con sollecitudine e con amore, e a' fatti vostri sarebbe affezionato, potendo. Marco Parenti, per suo' parte e mia, t' ha loro offerto, se per te si può fare di costà alcuna cosa per loro, che te n' avvisino, e fara' lo volentieri. Accettorono le offerte gratamente, e che noi ti scrivessimo che tu t' adoperassi col Re, essendo costi nella terra, che dessi loro la casa fornita e spese, come è costumato fare agli altri embasciadori. E in caso nollo volesse fare, che tu tolga loro una casa bastante ad amendue, che a mezzo marzo vi saranno: e non trovandola, che ne tolga per ciascuno una, e mettila in ordine del bisogno.

Ora, Filippo, e' par tempo a pensare al fatto tuo, ed adoperare tutto quello si può per la ristituzione vostra. E benchè i' creda che tu ci abbia pensato e al continovo ci pensi, pure ancora noi di qua ci facciàno pensiero di quello crediamo sia el bisogno vostro. E questo si è, che verranno costà questi dua embasciadori, e tu fara' loro onore, e con qualche presente gli viciterai come si richiede; che dimostrano nel parlare loro d' esservi grandi amici, e potendo, en qualunche cosa ti servirebbono. E a me pare sieno di qualità buona pel fatto tuo: però che messer Luigi è assai riputato nello Stato e ci ha buona condizione; e Pandolfo non è tanto, pure n' è fatto istima, che è valente e scienziato giovane: ma fo conto del buon animo hanno inverso di te. Il perchè a me parrebbe che tu prima intendessi dal Re se per te volessi fare enpresa di chiedere che tu fussi ristituito, e volendo di buono animo, enteso la cagione della venuta d' essi embasciadori, venendo per aiuto e favore del Comune e chiedendo qualche cosa al Re, che volendo il Re servìgli, che chiedessi loro el fatto tuo cordialmente, e che qua ne scrivessino, e chiederti di grazia, e per rimunerazione di quello che ha riceuto da te; e oltre a questo, che il Re ne scrivessi e al Duca di Milano, che ti chiedessi al suo imbasciadore; e tu sai che Dietisalvi ti vuol bene: e tu ancora gliene scrivi, e raccomandagli el fatto tuo, ch' è uomo che qua può assai, e son certa che quando ne fussi richiesto di 48 di tal grazia, e che qua ne scrivessi dove sa che bisogna, che assai ti gioverebbe. Ancora hai Piggiello che t' è amico, che ti potre' dare un poco d' aiuto di là e di qua. E in questo mezzo, fatto che il Re avesse la tuo' chiesta agli ' mbasciadori, essere con loro, e richiedergli s' adoperino a darti aiuto e favore a questo tuo fatto; che volentieri lo faranno, e massimo quando tu facessi loro qualche presente: avvisandoti, che altro presente si richiede a messer Luigi che a Pandolfo. So che lo conosci el bisogno. Ancora. t' avviso che è d' adoperare, venendo el figliuolo 47, o altri che fussi atto a chiedere tal grazia, e così venendoci qualche uomo degno da 48. Tutte queste cose potendole accozzare, credo arèno l' attento nostro: chè pure ci è qua di quegli che vi darebbono aiuto, pure che sentissino fare tale impresa. E pertanto ne viene il tempo atto a potere accozzare tutte queste chieste; che ma' più verrebbe un tempo commodo come fia questo: e se le richieste s' avessino come dico, e di buono animo, mi pare esser certa che a tante Potenze non si negherebbe la loro domanda: e se fussi dinegata per non mettere questa cannella, si vuole insegnare la risposta a chi vi domanda e chiede, che gli altri nel grado nostro non aranno tali Signori che gli chiegghino, nè le virtù nè i meriti inverso la patria come voi. E per tanto t' ho fatto questo discorso a ricordarti el mio disiderio. So che m' intenderai, perchè non sia escritto così ordinato, e meglio ch' i' non so dire. Da altra parte si vole la prima cosa raccomandare a Dio, chè sanza lui nulla si può, che disponga lementi degli uomini a farci quella grazia disideriamo, se ' l meglio debb' essere: e a queste parti no me ne rispondere, chè non è di bisogno.

Siàno a' dì 9, e ieri ebbi la tua de' 25 passato. Risposta per questa. Mandai la sua a Messere, come l' ebbi: Lorenzo aspettiàno istasera: mandilo Iddio salvo e' n buon punto per l' anima e pel corpo, e se a Dio piacerà ci vedrèno di presso, e intenderò di vostro pensiero, e voi el mio: e di certo questo tempo che ci starà n' arò contento. Così volesse Iddio ch' i' l' avessi d' amendue, benchè tu me ne dia noia, ch' egli è quello che è da me più amato. Ho caro che tu dica così, chè quando ti dicessi di lui più una cosa che un' altra, non te ne maraviglierai, e non mi negherai quando te lo raccomandassi. Di' che con anima m' allarghi di cose sentissi. A che ti dico, che da Tommaso è da guardarvi, che è molto largo nel parlare; e credo che Giovanni Bonsi e Marco abbian ' uto da lui le cose scrivo, perchè i' l' ho da 14 e 13; ed io ancora glien' ho sentito ragionare, ma poco, chè poco tempo ha' uto in questi dì di ragionare: ma dubito che co' sua non ne ragioni; e sino martedì, non credendo che sì tosto Lorenzo avessi licenza, ritornò a San Chirico, e co Lorenzo ne verrà. Ricorderògli espesso che non parli così aperto con ognuno come e' fa, che vi potrebbe nocere assai. Ricordagliele, e non dire averlo da me.

Del donare al Cavaliere avevo levato via: pure Lorenzo mi scrive che gli parlò a Roma, e ch' è molto grande, e che molto grande offerte gli fece, e scrisse qua a Piero per questa licenza. Vedrèno che ne parrà a Lorenzo.

L' Ardinghello è tornato di Levante ed è a Vinegia. Qua all' aprile doverrà far nozze. Non ho sentito come s' è tornato carico di tesoro. La donna ha per ancora tutte le sue gioie e belle cose.

Quel pizzicagnolo non voglio per questo fatto favelli a Lorenzo: m' acconcerò co lui, e trovando che di ragione abbia avere, i' piglierò accordo co lui, e co più tempo si potrà, a pagarlo.

Le lettere ritenni di Tommaso, gliel' ho date. Farò vezzi a Lorenzo quanto i' potrò: così ve ne potessi io fare tramendua insieme; ma posso poco, chè tuttavia crocchio; e ogni dì priego Iddio e fo pregare che Iddio mi conceda grazia che mi possa istare questo poco ci ho a vivere con esso voi con pace e consolazione dell' anima e del corpo. Raccomanditi a me! e i' ho bisogno d' essere raccomandata a te.

Sento pure Lodovico aranno che fare tra ' l debito di là e di qua, che poco doverrà loro rimanere di sodo.

A me anche piaceva quella da Vernia, ma i' me ne ' nformai, e mi pare abbi del zotico. Pure nella stanza qua di Lorenzo ne isaminerèno meglio; e così della nipote di Giovanfrancesco. Non sento di nessuno suo accordo co' creditori; se non che dice bene di volere fare il dovere e dà molte buone parole a ciascuno. Pure ci è chi ne dubita che non faccia nulla. Aspettava Niccolò di Levante, che si diceva aveva sue mercatanzie. Vedrassi, ora ch' egli è tornato, quello farà. Nè altro per questa. Iddio di male ti guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

Ebbi a questi dì un bariglione di susine, che mi costano tra vettura da Pisa a qui, e gabella, 30 soldi, che non gli vagliono. Aresti fatto meglio a mandarmi qualche cosa dolce, che sono piena di scesa. Pure ho caro ogni vostra; e non ti maravigliare di questa mia, che sono in fantasia aspettando Lorenzo.

LETTERA QUARANTAQUATTRESIMA



A Filippo degli Strozzi, in Napoli.

Al nome di Dio. A dì 29 di marzo 1465.

A dì 16 fu l' utima mia. Non avendo poi tua, ho per questa manco a dire; ma solo fo perchè non mi dimentichiate, e di darvi cagione, quando avete tempo, di farmi duo versi; che non ho altra consolazione che sentire per lettere vostre, che siate sani, e facciate bene. Che Iddio sia lodato di tutto.

I' ho lettere da Roma da Lorenzo, che a dì 20 si doveva partire per costi. Arò piacere sentire si sia condotto a salvamento. Così piaccia a Dio che sia. Aspettone pelle prime; e da lui entenderai delle cose passate. Dipoi che, si partì, i' non ho inteso altro di qua; se none che oggi s' aspetta Niccolò Ardinghelli alla porta. Ha ' vuto licenza per dodici dì; e chi dice che l' ebbe molto largamente, e chi dice che no. Pure Giovanni Rucellai fu il chieditore a Piero; e forse Lorenzo suo vi s' adoperò per fare quello a piacere alla suo' dama e donna di Niccolò, perchène facci a lui; che ispesso la vede! Hanno isperanza che ancora aranno grazia, e non passerà molto tempo. Così piaccia a Dio che sia, no lasciando adrieto degli altri. Gioverà forse più l' avere bella moglie, ch' e prieghi di 47! Tutto per lo meglio sia.

L' imbasciadori si partirono iermattina per costì: conducagli Iddio salvi. Hanno dimolte buone parole, come da Lorenzo sentirai: non so come seguiranno gli effetti,; chè oggidì è difficile a trovare uomo di fede, e che tenga sue parole in piè. Senti' che don Federigo si doveva partire di costà più dì sono, en modo che Lorenzo non ve l' arà trovato; e così e nostri enbasciadori: e me ne sa male, chè qualche cosa si sarebbe di meglio inteso de' fatti tua, sendosi trovati costi ensieme. Ricordoti, sopra tutto, che vadi sodamente en questa faccenda: chè facendone impresa, e non riuscendo, saremo la favola del popolo. Che Iddio el meglio ti dimostri.

Per Batista da Saneasciano ebbi el fardellino cor e sei mazzi di lino, e le due matasse di seta, che l' ebbe Tommaso. El lino mi parve bello; ma no lo posi bene mente allora, che mi sentivo di mala voglia: chè poi partì Lorenzo no mi sono sentita bene, en modo che ho mangiato dell' uova: non ho avuto febbre, ma i' ho molto debole il capo, e alle volte pare che il cervello mi si volga. Ebbi della partita di Lorenzo grande rimescolamento;, e sì come viva mi pareva essere mentre che ci stette, così mi parve essere sanza la vita e morta quando partì: chè mi parve un soffio questa sua estanza. E del tempo che ci stette, no gli mostrai niuno mie' fatto, perchè meco non portai scrittura niuna, credendo ch' entrassi in Firenze : e dipoi quando ne fu' chiara, non volli venire per esse, per non mi partire da lui quel poco del tempo che ci stava. Ebbine consolazione: ma i' ho auto dipoi tanto dispiacere, che me ne sentirò un pezzo. Sicchè el lino non ho poi riveduto; che non ho a filare per ora. E per Batista detto, che viene costà, mando el farsetto di Lorenzo; e con esso sei sciugatoi, un poco più sottili che quegli altri. Sono quattro grandi per tenere al cappellinaio, e due piccoli per le spalle quando vi pettinate. Non ho fuori di pezza più per ora; fate a mezzo, e i' n' ho ordinati: chè si faranno ora tanti, che sarete forniti per un pezzo; e ' ngegneròmi gli abbiate per tutto maggio, se piacerà a Dio.

A questi dì passati i' non so s' i' miti scrissi de' danari pagò Zanobi di Dietisalvi e compagni per tre catasti e un mezzo danaio per lira: furono in tutto lire centonove, soldi otto e denari otto: loro te n' aranno avvisato. Fu a dì 8 di questo. E dipoi a di 23 pagorno in mie' nome a Bartolo di Michele pizzicagno fiorini 5; che per questa quantità si fece daccordo, che di nove fiorini n' avesse 5: e fece fine di tutto, per mano di ser Piero di ser Andrea da Campi, a dì 22 di detto. Faronnelo debitore ai Libro di Matteo, a carte 131; dove Matteo era debitore. Acconcerò come m' ha detto Tommaso; e oltre a questo, ne farò ricordo al mio quadernuccio. Ed hammi renduto la scritta dell' obrigo di Matteo. Fatene anche voi ricordo.

Dissi a Batista mi recassi delle melarance: sì che alla tornata sua qua, fa' che me ne rechi parecchi, ch' i' l' abbia in questo maggio.

Escrivo a Lorenzo di parecchi fanciulle esaminate, avendo le parti che noi vorrèno, quale parentado t' aggraderrebbe più: chè Chi a tempo vole mangiare, ennanzi all' ora gli conviene pensare. Che Iddio ci apparecchi cosa buona. Nè altro per questa. Iddio di male vi guardi. Per la tua Allesandra Strozzi, Firenze.

Notes

* Ricevuta il 15 di settembre. Risposto a' 28.

1. Per avere lo stato intendevano, Partecipare agli uffici ed onori del Comune. Quindi statuale si disse il cittadino che aveva il beneficio della città (lat˙ municeps, cioè particeps munerum); perciò detto ancora beneficiato.

1. I dodici Buonuomini e i sedici Gonfalonieri di Compagnie formavano quell' ufficio che si chiamò de' venerabili Collegi, e si adunava co' Signori. Essere di Collegio valeva quindi Risedere in quell' ufficio.

2. Erano le donora ciò che oggi diciamo corredo. E gli esempi nel Vocabolario dovrebbero cominciare molto prima del cinquecento; nel qual tempo dicevasi più comunemente corredo.

3. Il Petrarca disse gentilezza di sangue (son. 225) quella che Dante (Parad˙, XVI, 1) chiamò nobiltà di sangue. Ma lo stesso Alighieri (Conv˙, 69) ne diede questa definizione: « Federigo di Soave. ultimo imperadore degli Romani, domandato che fosse gentilezza, rispose: che era antica ricchezza e be' costumi ».

1. Intendi: tranne il benefizio di poter sedere ne' magistratì (il che portava onore e utile), quanto al resto non c' erano belle cose; anzi, debiti e aggravi, che sono i soprossi.

2. Oggi diremmo si fece sposa, si fidanzò.

3. La cotta era una sopravveste; la roba o giornea, il vestito.

4. Cioè, viene a costare.

1. Illustri un' altra donna questa maniera che, stando a' Vocabolari, non si sarebbe usata che un secolo dopo: « La fanciulla à dua buone parti, ch' è grande e bianca, ec˙ ». Parla Lucrezia Tornabuoni della giovine Clarice Orsini, che si voleva dare in moglie a Lorenzo de' Medici. (Tre Lettere di Lucrezia Tornabuoni a Piero de' Medici ec˙ Firenze, 1859.)

1. Sorta di gravezza, detta così appunto per essere posta ad arbitrio su' cittadini, o « per coniettura » (come dice il Varchi, Stor˙, III, 25) « di quel che eglino potevano guadagnare l' anno coll' industria loro ». Ma lo Storico sbaglia dicendo che « si pose la prima volta l' anno 1508 ».

1. Temeva che qualche tristanzuolo di vetturale non barattasse, la merce, o l' alterasse, o non la recapitasse nemmeno.

2. Il modo, anc' oggi vivo, è non se' degno ec.; ma forse s' ha a intendere, devi, ti s' addice, baciare ec. in segno di rispetto.

1. Il popolo dice to' madre; cioè toa, tuoa.

2. Noi diremmo: metti da parte qualcosa, fa' economia.

3. La n' sta per non ne. Parlando, anc' oggi il popolo dice ch' i' u' n' abbia.

* Ricevuta il 28 di novembre.

1. Oggi, costipazione, infreddatura, reuma; e scesa la dicevano per la opinione de' medici antichi, che il catarro scendesse dal capo nelle membra.

1. Persona che gli stia sopra; cioè, dalla quale dipenda e n' abbia soggezione.

2. Cioè, verso di te.

1. Cioè, senza spesa.

1. Nell' antico linguaggio de' medici segno ebbe il significato, si trova ne' Vocabolari, di orina degli ammalati: ed ebbe pur quello di pestilenza, che dalla Crusca non fu registrato, né da' posteriori Dizionari.

2. Cioè, acconsentire; e più sotto, parola per consenso, permesso: era modo tutto legale, come si ha dalle carte anche latine dei notai antichi.

1. Vuol dire: io debbo esser preferita, quando mi piaccia comprare quella casetta, perchè sono la sola confinante.

2. Niccolò, Filippo e Iacopo Strozzi erano cugini di Matteo suo marito: ma ella li chiama cognati nel modo che i cugini si dicevano fratelli.

3. Coquina, e anche Cocina, i Latini; e naturalmente da cocere si fa cocina. Ha esempi d' altri antichi.

1. Comune uso di sottoscrivere le lettere; dov' è sottinteso scritta, e il per la ha forza di dalla.

1. Due sole voci, savamo, savate, rimangono, negli antichi scrittori, dell' imperfetto dell' indicativo del verbo Sare, forma antiquata di Essere.

2. I coltellini, che per lo più avevano il manico d' argento, ricorrono spesso nei documenti domestici di quel tempo; e facevano anche parte del corredo delle fanciulle. Si davano pure ai magistrati che uscivano d' uffizio.

3. « Portavansi cotali pianelle aperte, come portano i Frati Minori », dice Franco Sacchetti, Op. div., 133.

4. Cioè, dal banco de' Capponi, che tenevano conto corrente col banco degli Strozzi. Qui parola equivale a mallevadoria.

1. Anche Rinaldo degli Albizzi (Commissioni, 1, 465): « E per fuggire il Ben gli sta, che sempre è apparecchiato, facemo le vie larghe, scostandoci da Furlì il più si potè » ; cioè, scansando i pericoli del campo nemico.

1. Cioè, gli Ufficiali sopra le vendite.

* Ricevuta il 15 dì di gennaio.

1. Cíoé, il paese.

1. Trovando i coltellini rammentati qui con le penne da scrivere, vien fatto di pensare che fossero come i nostri temperini; e forse erano a due lame. Quindi paio vai qui una cosa sola; nel modo che si dice un paio di forbice, un paio di molle, di calzoni, di stadere ec.; cioè, cosa composta di due parti non divisibili.

1. Intendo, le partite dell' avere.

2. Ved. la nota a pag. 37.

3. Cioè, dal Monte delle doti.

1. Per non dire, se la morisse.

2. Dice venire, non andare, per rispetto a Filippo, ch' era a Napoli, e per quel tempo l' avrebbe desiderato in Roma.

3. Cioè, il Giubbileo ch' era cominciato il giorno di Natale del 1449.

* Ricevuta il 23 di febbraio.
Edita dal professore Isidoro Del Lungo per le nozze Forteguerri-Guicciardini, con questo titolo: Una lettera d' una gentildonna fiorentina del secolo decimoquinto. Firenze, coi tipi dei Successori Le Monnier, 1874.

1. Cioé, fa conoscere la bontà o bravura ec.

1. Intendi, di maritarla.

2. Cioè, d' andarvi essa medesima pel Giubbileo.

1. In forza di alcuno, qualcuno.

1. Per fitto di terre o pigione di case.

2. Vuol dire, che aspetti l' occasione di comprarlo a buon mercato.

3. Senz' averlo letto nel Dante, o certo almeno senza ripensarci, il cuore dell' Alessandra s' incontrò in quelle parole che il Poeta, con espressione di tanto affetto, pone in bocca alla Donna di virtù (Inferno, II, 67):
L' aiuta sì, ch' i' ne sia consolata.

* Ricevuta il dì 26 di giugno.

1. De' forestieri non si facevano caso, ma si de' cittadini; tanto più ch' erano persone agiate.

* Ricevuta il dì 8 di novembre.

1. Prendendo una delle leggi più vicine agli anni di queste Lettere, cioè la provvisione del 24 dicembre 1442, si trova che i fiorini larghi del nuovo suggello dovevano valere meglio di fiorini dieci il cento sopra i fiorini correnti del vecchio suggello; mentre gli stretti, che allora costavano più dì sei fiorini e due terzi il centinaio, sarebbero quind' vinnanzi valutati alla ragione di sette fiorini, rispetto a que' del vecchio su suggello. Ved. Vettori, Il Fiorino d' oro antico illustrato ec., pag. 303, 387.

1. Ne' poggi della Vai di Bisenzio, a tre miglia circa da Prato. Ma Lucardo ebbe poi più grido pe' suoi marzolini, che il Redi chiama « delicatissimi ».

1. Cioè, gli dirai che un' altra volta sarà ricompensato.

2. L' amico pesarese aveva mandato il figliuolo a visitare la vedova del povero Matteo, che morì a Pesaro.

3. Perchè alla prova, i più non reggono.

1. Anche qui vale agiate.

* Ricevuta il 19 di gennaio.

1. Cioè, Niccolò e il fratello Iacopo, che teneva seco Lorenzo.

1. Come oggi diremmo, a pezzi grossi. Nè vi manca, forse, una certa ironia; come in quello di Michelangelo Buonarroti (Lettera I): « con questi gra' maestri bisognia andare adagio » ; ed era un Cardinale, che gli aveva a pagar del danaro.

1. Intendi, al marito della figliuola.

1. Nella lettera seguente, ritornando su questi marzolini, dice « ch' era bello peso libbre quindici ».

1. Vale stranezza, e anche perversità; com' è diverso in Dante.

2. Temeva che, per vendicarsi, costei screditasse la fanciulla da marito.

3. Cioè padrona.

1. Anche nel Sassetti, un secolo dopo; per poveramente, meschinamente. Oggi, per denotare scarsezza di danaro, si usa asciutto.

* Ricevuta il 21 dicembre.

1. Intendi, fino da quando gli esuli Strozzi stavano a Pesaro.

2. Cioè, nella quale ec.

1. Per la prima occasione di galere passerebbe a Napoli.

1. Cosa da far compassione. Oggi diremmo orrore; ma credo viva sempre scurità in quel senso fra contadini.

* Ricevuta il dì 20 d' aprile.

1. Pe' digiuni, che mal s' accordavano colla salute cagionosa.

1. Vasetti, ma che specialmente servivano agli speziali e ai pittori.

2. Per la differenza della moneta tra Napoli e Firenze.

1. Specie di caviale. Più comunemente bottarga.

2. Oggi dicono attenzioni. Ma quanto è più cara l' antica parola! Si provi a cambiarla qui nella moderna, e vedremo dove va l' espressione dell' affetto materno, ch' è tanta in questi pochi versi.

1. Cioè, la schiavetta venuta da Barcellona, dove stava Iacopo Strozzi.

* Ricevuta il 5 d' aprile.

1. Cioè, pubblicò. Ed era parola propria delle gravezze. Così Vespasiano nel Commentario della vita di messer Giannozzo Manetti (Torino, 1862), a pag. 74: « Iscopersesi la gravezza essendo lui in Firenze, e venne uno a lui, e gli sì disse : Voi avete centosessantasei fiorini di gravezza ec. ».

1. Nome che prese una delle tante Prestanze, dall' esser distribuita in ogni gonfalone da sette settine, cioè da sette compagnie composte ognuna di sette abitanti della contrada. Ved. Pagnini, Della Decima ec., I, 16.

1. Intendi, vi sono aggravezzati parecchi che non possono pagare, e si dolgono; e parecchie sono le istanze per lo sgravio. Quindi la elezione di cinque per regolare lo sgravio, cioè far ragione agl' impotenti e reclamanti.

* Ricevuta il dì 16 di settembre.

1. Intendeva dire la rata.

2. Intendi, hai a avere teco, o presso di te, in Roma dentro questo mese. Ho pur dubitato che lasciando, come talvolta suole, qualche lettera, volesse scrivere ha venire.

3. Posta è nel Boccaccio; ma anche in antichi si trova postema: ed è quello che oggi diciamo più comunemente tumore.

1. Cioè, isciesa, scesa; oggi, infreddatura, catarro. Qui pare si parli di un ristagno d' umori.

* Ricevuta il 31 di marzo 1459.

1. Intendi, ho preso impegno, mi sono obbligata.

* Ricevuta il 10 d' agosto.

1. Intendi, non si è potuto fare il lodo.

1. Niccolò credeva che non vi fosse ragione o modo di riscuotere questi fiorini dal Guasconi.

2. I Vocabolari non hanno questa voce che nel significato di pompa funebre. Qui sta per quello che oggi dicesi ingresso o entratura solenne. Il Poliziano, nella Lettera XXVIII (edizione procurata dal professore Del Lungo). « Oggi facciamo l' onoranza al Piovano ». E il Piovano era lo stesso messer Angelo.

* Ricevuta il 22 d' agosto.

1. Quello che oggi diciamo Curia, parlando così della Papale come della Vescovile.

* Ricevuta il 21 d' agosto.

1. Intendi, sopperire alla distribuzione delle gravezze.

2. Vuol dire: Sarà vero che tu scriva male; ma di rado avviene che io non legga e rilegga le tue lettere, anco quando non trovo nel decifrarle difficoltà; perchè, leggendole, mi pare di parlare co' miei figliuoli.

1. Cioè, male.

1. Intendi, si sentiva male; ma più dell' animo che dei corpo: chè tanto valeva essere avviluppato o ravviluppato

1. Intendi, da lettere di Napoli, venute ad altri in Firenze.

1. Cioè, buttar via quel che resta. Il che non è a rigore, come dice la Crusca, Sprezzare il meno, perduto il più.

2. Vuol dire: non abbiamo noi da rimproverarci di aver--trascurato nulla della cura, ec.

3. Intendi, questa cosa ec.

1. Non so qual parola potesse esprimer più affetto.

1. Sottintendi, del disagio.

2. Agli esuli non concedeva il Comune che si facesse onoranza di mortorio in patria!

4. Oggi pure si dice levare; ma più comunemente, staccare.

1. Cioè, il testamento.

2. Intendi, le sostanze lasciate da Matteo.

1. Intendi, le quali mi dicano che tu ti conforti.

* Ricevuta il 27 di settembre.

1. Cioè, secondo la sua .possibilità.

2. Qui per sventure.

3. Proprio nel senso del latino exscussa, spogliata, privata; anc' oggi viva parola, sotto la forma di scusso.

1. Così la madre cristiana rendeva il concetto del greco pagano: hon hoi theoi filousin apothneskei neos.

2. Le figliuole, che sebbene maritate, per la giovinezza chiamavano fanciulle.

1. Cioè, non può levarsi. « Si giudicò » dice il Davanzati in una sua postilla al Tacito, significa « si fermò nel letto, senza più forza ec. ».

1. Sottintendi, disgrazie.

1. Anche Michelangelo (Lettere, 436, 437 ec.) scrive retificagione per ratificazione.

2. Cioè, terreni buoni e luogo tale, che ec

1. Cioè, del migliore.

2. Così correggo l' autografo, che ha presta.

3. Oggi diremmo fare a miccino, tener di conto.

1. Superflua quest' a. Forse ebbe in mente darò o simile verbo.

2. Intendi, e pur troppo me lo porto via.

1. Cioè di lì; ma parla come se dicesse Filippo.

(*) Ricevuta il 10 di febbraio.

1. Intendi, avvisato anche Iacopo col quale Lorenzo stava.

2. Dice sette come dir cento; chè nella Scrittura si prende per un numero indeterminato.

3. Più che pensiero vale pensamento, considerazione.

4. Cioè, che neppur lui.

5. Vale l' azzeccò, ebbe fortuna; e la fortuna fu, che potè passare prima che per la guerra si chiudessero le strade, come dice poco dopo.

1. Detto di cose, appena si trova nei Vocabolari; ma lo dicevano comunemente nel trecento, e credo d' averlo sentito in contado.

1. Cioè, vinti i beni di Zanobi con quelli di Antonio.

2. Cioè, rimettessimo fuori.

(*) Ricevuta il dì 31 di marzo.

Intendi, vendere.

1. Cioè, vorremmo; e intendi, non ho offerte che soddisfacciano.

2. Di carta per dipinto, o piuttosto miniatura, ved. il Vocabolario della Crusca.

(*) Ricevuta il 31 di marzo.

1. Gli arazzi fiamminghi, de' quali parla nella Lettera precedente.

1. Intendi, di venderle.

(*) Ricevuta il 2 di aprile.

1. Cioè, gliene verrà danno.

(*) Ricevuta il 6 di maggio.

1. Intendi, non gli avendo ritirati, ossia levati dalla ragione d' Iacopo.

(*) Ricevuta il 30 di settembre.

1. Cioè, il panno, o l' arazzo, del Volto santo. Ved. la lettera XXII.

2. Se balia o balìa, ne sono stato incerto. Essere uomo di sua balìa, per Aver libertà di fare e disfare, si disse, e qui parmi ci quadri.

1. Cioè, in viaggio; chè da Bruggia facevano venire le robe della eredità d' Iacopo.

2. Aveva in capo cioppe o gamurre, e scrisse buone; ma qui parlava di panni.

3. Intendi, non m' incarichi di nulla ec.

4. Cioè, son grossi gli animi, non s' intendono fra loro.

5. Vuol dire, in qualunque modo avvenisse ciò ec.

1. Cioè, abbonirla.

2. Cioè, rigiri.

3. E benchè ella dimostrasse ec.

1. Intendi, il famiglio.

(*) Ricevuta il 14 di maggio.

1. Cioè, padre.

2. Piero de' Pazzi, certamente.

1. Cioè, d' importanza, e anche di pericolo, di odiosità e simili.

2. Anche qui sta per vendè.

3. Le lettere precedenti, che mancano, ci avrebbero chiarito di che imbrattimi si parli: forse, pitture? Usa imbratto in questo significato il Sacchetti.

(*) Ricevuta il 30 di dicembre. -- Di questa lettera si danno alcune parti; il resto della carta è corrosa.

1. Cioè, d' un qualche ramo degli Strozzi.

2. Intendi, il marito è fuori di Firenze, in ufficio per il Comune; e seco è la moglie.

3. Intendi, non conosco altri giovinetti Strozzi, che possano fare per te.

1. Le parole in corsivo supplisco co' documenti o col contesto.

1. Torna a parlare del giovine Francesco.

2. Oggi, a riguardo mio.

3. Cioè, pensano d' averlo potuto allogare con te Filippo per dato e fatto mio.

1. Intendi, nonostante le parole ec.

1. Più sotto dice, con modo anc' oggi vivo, di bassa mano, cioè popolani.

1. Questa cifra significa Lorenzo: e a stare un anno, sottintendi a prender moglie.

1. Cioè, venissi a morte.

2. Accenno agli obblighi che Matteo aveva lasciato da soddisfare per testamento.

3. Noi diremmo strapazzata.

1. Superfluo il Da; ma il pensiero le diceva ebbi, seppi, intesi: la penna poi, come fa la lingua ne' parlanti, vario forma.

(*) Ricevuta il 20 di aprile.

1. Intendo, più che bastante per due volte.

1. Non dice questo senza ironia, perchè voleva vederlo ammogliato. E difatti soggiunge, di tener in vista parecchi cose cioè, partiti per lui.

2. Anc' oggi presso il palazzo Strozzi è la via de' Pescioni.

3. Cioè, ha press' a poco anni quanti ne hai tu.

(*) Ricevuta il 20 d' aprile.

1. Sottintendi, a Filippo.

1. Quantunque ec.

2. Qui parla di Lorenzo, che ho già notato come stia sotto la cifra 45; il quale aveva appunto circa 34 anni.

1. Cioè i nomi de' nuovi Otto di balia, magistrato da cui gli esuli potevano molto sperare o temere.

(*) Ricevuta il 6 di maggio.

1. Cioè, come oggi si direbbe, si prorogherà il termine al pagamento.

1. Lorenzo.

(*) Ricevuta il 9 di maggio. Scrisse 1463; ma è certamente del 64, che a stil fiorentino era cominciato da poco più d' un mese.

1. Cioè, a 39. Cifra che, come altre, non ho modo di spiegare, restando al 29 quel frammento che si trova fra le carte Strozziane.

2. Il 45 è Lorenzo: credo che 33 voglia dir moglie.

(*) Ricevuta il 18 di maggio.

1. Oggi, nel linguaggio legale, citazione.

(*) Ricevuta il di 9 di giugno.

1. Cioè, passiate un po' di tempo burlando.

2. Intendi, e sono imbiancati.

1. Si dice del filo, che per esser tondo e non schiacciato fa tela più ruvida.

1. Cioè la scritta, il contratto.

2. Oggi, una bussata, e una buona bussata.

(*) Ricevuta il 7 di luglio.

1. Vale aggiunta.

1. Cioè, di qual condizione prenderebbe Lorenzo che fosse la moglie.

2. Intendi, fuori di Firenze.

3. Per schiatta, parentado.

4. Vuol dire che, coi tempo, si potranno far ribandire anche gli Strozzi; ma non vivente Cosimo Medici. Forse è un mio ghiribizzo, ma io ci troverei un gergo così: Passando a Volterra (andando sottoterra) il padre (Cosimo) di 32 (Piero de' Medici) ec. Che il 32 denoti Piero mi par certo per altri riscontri che abbiamo nel seguito di queste Lettere.

1. Cioè, stava tanto pi a rischio di morire, battendo in Firenze la peste.

2. Cioè benestanti.

1. Penso che 47 sia Niccolò Strozzi. Ved. a pag. 300.

2. Dice: come stia Lorenzo a capitali, non se ne domanda (forse da chi voleva trovargli donna), perchè credono ec.

(*) Ricevuta il 28 di settembre.

1. Qui intenderei godersela.

1. Intendi, non si sente parlare di voler rendere la patria a' confinati.

2. Cioè, che metta conto se ne parli ec.

3. Cioè, in quel credito, favore ec.

1. Cioè, morto Cosimo, i confinati potevano più sperare d' essere richiamati.

2. Intendi, avuto dal Re di Napoli un feudo nel Regno.

(*) Ricevuta il 29 di dicembre.

1. Cioè, supplirà.

2. Intendi, alla chiesa del Santuccio avete eletto per rettore ec.

1. Parte della Rettorica è la Memoria; e fra le arti, che s' insegnavano nelle scuole, era annoverata.

1. Gli accoppiatori, nelle tratte, facevano a modo loro.

2. Oggi diremmo pericolare; cioè, esser per fallire. Crocchiare è proprio della salute; e anche in questo senso l' usa la Nostra.

1. Forse, e a questo, cioè Piero Medici.

2. Credo il 50 significhi confinati.

(*) Ricevuta il 15 di gennaio.

1. Non consegnò (vuoi dire) a Luigi Pitti la lettera di Lorenzo per due motivi: il primo, che la grazia dei poter venire a Firenze si era domandata per Filippo e non per Lorenzo; l' altro, che per ottenerla ci volevano cittadini più potenti (maggior pesci) del Pitti.

2. Parla del fallimento di Giovanfrancesco Strozzi, che fece gran danno ai mercanti; mentre ella stessa, se avesse avuto da allogar danaro, dopo a' figliuoli, non avrebbe saputo a chi prestare con più sicurezza che a questo parente: tanta era la fiducia sua nella ricchezza e onestà di lui!

1. Intendi, non fu fatta la presentazione nelle debite regole e tempi; quindi la chiesa tornò nella libera collazione della Curia.

2. Cioè, che non cede alle altrui ragioni. Oggi diremmo secca.

1. Intendi, ne so.

(*) Ricevuta il 18 di gennaio.

1. Ironicamente detto: perchè il senso è, che il fallimento di questo Strozzi rovinava molti, anche fra i consorti; e poi faceva danno, se non altro, alla reputazione.

1. Cioè, un prete che governi meno peggio quel benefizio ecclesiastico, litigato, com' è detto nelle Lettere precedenti.

1. Cioè, far pagare al loro banco.

1. Sottintendi, falliti.

2. Il feriato, vietando di far atti dinanzi ai tribunali, tratteneva i fallimenti.

3. Così scrive, ma forse volendo dir altro.

1. Ch' è Lorenzo suo figliuolo.

2. La Curia ecclesiastica rilasciava monitorii e scomuniche contro i debitori che si rifiutavano di pagare.

3. Il parroco, o rettore (come allora dicevano), della chiesa di Santa Maria degli Ughi, nel cui popolo abitava la Nostra.

4. Cioè, dal pizzicagnolo.

1. Cioè, non può salvare un sacco. chè tutti glieli prendo io, per mandar a voi ec.

(*) Ricevuta il 24.

1. Scrive odiro mevero, che non saprei intendere diversamente.

2. Cioè, durano, lasciano per sempre gli effetti.

1. Enumera i vari balzelli; e conchiude considerando, che per non esserci guerre o spese straordinarie, vien fatto di pensare che il più vada in tasca a pochi e ricchi.

(*) Ricevuta il dì 8 di febbraio.

1. Chiedendo di poter venire con salvacondotto, temeva che si pregiudicherebbe alla domanda del ritorno assoluto in patria.

1. Manca giurata, promessa, o altra parola, dopo avendo.

2. Cioè, alle monache dette Le Murate.

1. Intendo, che i fatti vostri ne stanno meglio dinanzi a Dio e agli uomini.

(*) Ricevuta il 7 di febbraio.

1. 14 è Giovanni Bonsi; 13, Marco Parenti.

(*) Ricevuta il 18 d' aprile.

1. Ricordo che 47 è il re Ferdinando.

2. Per con, come dice anc' oggi il volgo.

1. Così ha l' autografo. Ma altrove scrisse pizzicagnolo.