LETTERE
DI
LAURA BATTIFERRI AMMANNATI
A
BENEDETTO VARCHI

BOLOGNA
PRESSO GAETANO ROMAGNOLI
1879

Edizione di soli 202 esemplari
per ordine numerati

N˙ 99

ALLA CONTESSA
ANNA STACCOLI CASTRACANE
DI URBINO
CHE VIRTUOSA COLTA BENEFICA
ONORA LA PATRIA
ANTICA SEDE DI OGNI ARTE GENTILE
QUESTI RICORDI
DI UNA ILLUSTRE URBINATE
OFFRE
CARLO GARGIOLLI

Un libro curioso e importante resta ancora da scrivere in Italia: la storia della nostra letteratura femminile. E potrebbe riuscir libro stupendo, a chi sapesse ben farlo, perchè oltre darci una bella pagina di storia letteraria, nè la meno utile nè la meno istruttiva, da Nina Siciliana a Giannina Milli, da Caterina da Siena a Caterina Ferrucci, gioverebbe a colorire un quadro efficace e gradevole della nostra civiltà, tanta in ogni tempo è stata l' azione della donna ne' costumi, negli usi, nelle vicissitudini, nelle credenze, tanti sono i punti di contatto e di raffronto tra le lettere femminili e la vita civile e religiosa del popolo, tra la famiglia, dov' ella è regina ed educatrice, e gli avvenimenti più gloriosi e più nefasti della società umana. Ma ad un così fatto lavoro ci vuol ingegno e dottrina, che mancano a me: e se più di una volta (vedete presunzione!) mi è venuto il pensiero d'imprendere un'opera simile, e ho cominciato pure a raccoglier qualche materiale al bisogno, mi sono guardato però sempre fin qui dal lasciarmi vincere da una tentazione, cui forse non saprò resistere un giorno, quando abbia maggior quiete e comodo agli studi, non perch'io senta in me le forze rispondenti all'argomento, ma perchè un libro fatto male da me muova altri a far meglio. Per oggi non voglio neanche tentarlo: se ne consolino i pochi e dottissimi lettori di questa Scelta. Mi basta offrir loro un mazzetto di lettere inedite, che trovo tra le mie vecchie ricerche, e che può giovare a far meglio conoscere una poetessa di quel secolo XVI, che fu sì fertile di rimatrici lodate.

La mia poetessa è Laura Battiferri: una donna, che ebbe da natura nobile ingegno ed anima delicata, e che con lo studio della filosofia innalzò il culto delle lettere, e nel sentimento della religione purificò la poesia dell'amore; sicchè fu ammirata da illustri contemporanei, come Bernardo Tasso, il Varchi, il Domenichi, il Baldi, l'Allori, il Grazzini, il Bargagli, il Razzi, e specialmente da quello squisito ingegno di Annibal Caro, che non solo ebbe per lei lodi e versi, ma che lei pur propose a Pietro Bonaventura come maestra al poetare(1) Lettere di Annibal Caro, vol. II, p. 193.. E di fatti, se la Battiferra, vissuta in quei tempi in che la lirica si perdeva quasi comunemente nella imitazione petrarchesca, e troppo si compiaceva delle eleganze artificiosamente studiate sulle orme di lui

Che Amore, nudo in Grecia e nudo in Roma, D'un velo candidissimo coperse,

non potè raggiungere tra gli erotici del cinquecento uno de'primi seggi per quelle qualità, ch'erano tenute allora, e anche poi, come principali doti dell' ottimo poeta; e se anzi in lei pure, come nella Vittoria Colonna e nella Gaspara Stampa, e forse più che in loro, ti si fanno sentire i difetti dell'età e della scuola; ciò nullameno mi sembra che, leggendo le rime di Laura, si incontri di quando in quando un qualche tratto di poesia vera per ispontaneità d'affetto e ingenuità di sentimento, anche dove la forma non risponda sempre all'intenzione dell'arte. Nè vi può essere poesia vera (predichi a sua voglia chi vuole) senza un gran sentimento o un gran pensiero, senza che la parola sia fatta anima nel cuor del poeta, il quale quando amore spira, nota, e a quel modo che detta dentro va significando; e quindi era ben difficile che potesse fiorire questa poesia tra' petrarchisti del secolo XVI, allora che la imitazione era loro fine e norma, e teneva luogo della ispirazione, dell' affetto, del pensiero. Ma Laura aveva in cuor suo un sentimento profondo di religione. S' ella fosse nata due secoli prima, in tempi di fede più viva e più potente, sarebbe riuscita forse una delle nostre migliori poetesse; ma cresciuta ed educata tra le tendenze pagane dall'una parte, e gli ascetismi di riflessione dall'altra, non ebbe virtù d' elevarsi al disopra de' contemporanei, e mentre ci duole doverla solo noverare tra le molte rimatrici del secolo, pure ci è grato vederla talvolta, specialmente nella poesia religiosa, staccarsi dalle pastoie della imitazione petrarchesca, sebbene purtroppo ricada di leggieri in altre pastoie non meno difettose di quelle.

Laura fu figlia naturale di Giovanni Antonio Battiferri d' Urbino; e nata nel 1523, morì nel novembre del 1589 a Firenze, dov' era andata fin dal 17 aprile 1550 moglie a Bartolommeo Ammanati, scultore e architetto di bella fama in que' tempi(1) Cfr. Baldinucci, Sec˙ IV, part. II.. La squisita educazione ricevuta nella casa paterna si andò sempre accrescendo e perfezionando in lei con lo studio indefesso, con la compagnia di quanti erano uomini cólti in Italia, e particolarmente con la severità della meditazione, che è principio di sapienza nelle anime gentili agli affetti della famiglia, della patria e della religione. Fra gli amici più cari e più fedeli di lei e del marito fu Benedetto Varchi, a cui ella ricorreva per consigli e per ammaestramenti, quasi le fosse maestro ed autore, e che sempre benevolo a tutti, con lei largheggiava di consigli e di ammaestramenti. E appunto dal carteggio del Varchi, che è raccolto manoscritto nella Biblioteca Palatina di Firenze, ho copiate le sedici lettere inedite della poetessa d' Urbino, delle quali faccio dono a questa collezione di Curiosità letterarie.

Ancona. 25 marzo 1879.

Carlo Gargiolli.

Sig.or mio osser.mo

Per la vostra, avuta ora, intendo che la mia fastidiosa, che sabato passato vi scrissi, non vi è accapitata nelle mani; ma forse avrà fatto per espettar quest' altra, che sarà un poco meno dispiacevole, intendendo per lei il miglioramento del mio consorte (l), quale con l' aiuto d' Iddio sta assai meglio ch'io non mi credevo che dovesse stare, e massime sì presto. Dio ne dia grazia, che vadi aumentando, secondo il nostro bisogno.

Ho preso infinito contento della vostra dolce, et al solito cara lettera; e tanto più ne prendo, sentendo il vostro ben essere. Così piaccia alla maestà d'Iddio di conservarglilo, come io del continuo di ciò la priego, che poi ch'io ho spesse lettere da voi, cosa certamente a me cara molto, sappia ancora che stiate sano e di buona voglia; il che nei miei strani accidenti sarà di non picciolo conforto e piacere.

Il sonetto bellissimo è veramente de'vostri componimenti. L'ho io ricevuto con quella allegrezza e contento ch'io ho riceuti tutti gli altri, e terrollo con la medesima riverenza ch' eglino son tenuti; e quel poco di tempo che potrò rubare a' miei affanni, lo spenderò tutto intorno a contemplargli, servendomene per i miei libri.

E perchè non ho tempo per ora ad esservi più longa, farò fine, et insieme col mio consorte, qual vi è svisceratissimo, vi basciarò le mani e di cuore mi vi raccomandarò. Da Fiorenza, alli 27 di gonnaro del 56.

Vostra affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al Molto Mag.co S.or mio osser.mo M˙ Benedetto Varchi

S.or mio osserv.mo

L'altro giorno scrissi a V˙ S˙ quanto mi occorreva, et ora, perch' ella sappia de l' esser mio, le scrivo questi pochi versi, e desidero grandemente sapere del suo, e anche se la mia ch'io ho scritto, e mandata al Crocino (2), le accapitò alle mani: nella quale ella avrà visto il miglioramento di mio marito; ancora che la notte seguente ch'io avevo scritto, egli stesse molto male di quel suo accidente, e tutta questa settimana gli abbia dato un piccolo travaglio. Nondimeno ieri notte e oggi sta molto meglio; e, se Dio vorrà, pensarò pur ch' egli abbia a guarire del tutto, e tanto più che pur pare che quelli umori siano molto mancati. Egli bascia le mani di V˙ S˙, e se gli raccomanda senza fine.

La S.ora Duchissa di Camerino (3) è ancora viva, cosa più miracolosa e divina che umana: e Dio sa quanto la vi durarà. Vi è del continuo il nostro M˙ Francesco Monte Varchi (4); e Dio avesse voluto ch'egli vi fosse stato chiamato nel principio, che forse sarebbe stato sì bene intesa la sua infirmità, ch'ella non sarebbe a questo termine tanto pericoloso come è. Dio faccia quello ch'è più per lo meglio dell' anima sua, chè di tanto ci abbiamo da contentare.

Mando a V˙ S˙ un sonetto ch'io ho fatto alla Soderina, a ciò la lo veda, e poi me lo rimandi indietro, per ch'io conosco ch'egli ha bisogno del suo aiuto, tanto più ch'egli è stato partorito fra tanti travagli di mente e di corpo, che ben se gli può dire più tosto sconciatura che parto, come V˙ S˙ dice dei suoi; quali non meritano che se gli dica se non figliuoli più presto de' dodici mesi che di nove, e dalla natura e dall' arte ben fatti e meglio condizionati, a tale che si vedranno vivere e più chiari e più felicemente di quanti oggi ne nascano e siano per nascere; anzi e 'l suo padre e loro saranno immortali et eterni (5). Ma ben mi aveggio che, intrando d' una parola in un' altra, sono intrata in ragionar di loro e di V˙ S˙ con pericolo più di scemarli che di accrescerli nome; e però, facendo fine e di cuore raccomandandomele, pregarò Dio che felice e sana la conservi.

Da Fiorenza alli X di febraro del LV.

Di V˙ S˙

Affezionatiss.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori), Al molto Mag.co et Dottiss.o M˙ Benedetto
Varchio mio S.re osser.mo

S.or mio osser.mo

Di poi ch'io ebbi scritto a V˙ S˙ l'altra ch'io le mandai, lessi e rilessi la sua molte volte, come soglio far sempre, e ben intesi quanto la mi chiedeva sopra i sonetti; ma perch'io ero molto travagliata questa sera, e perchè anco avevo fretta di scrivere, non considerai se non quel dire di mandare quanti versi V˙ S˙ mi aveva mandati, e n'ebbi invero fastidio. Di poi intesi tutto quello, che prima non avevo, e copiai su questa carta che or vi mando, non solo quelli che la bontà et umanità vostra à fatti a me e in Fiorenza e fuori, ma ancora i primi versi di quanti me ne truovo in mano de'vostri, che qui mi deste e dipoi m'avete mandato in molte volte. V˙ S˙ mi perdoni s'io gli ho, non pensando, datogli causa di travaglio e fastidio, chè Dio sa quanto me n'è doluto; e sopramodo duolmi, sentendo che vi date affanno che le lettere da Bologna tardano tanto a venire (6). Di grazia, non ci pensate, e quando le verranno, saranno le ben venute, e sempre le giugneranno a ora. Siamo stati tant'anni su questa pratica di questa lite, che non ne darà noia starvi ancora un altro poco, tanto più vedendo il mondo sì travagliato come è, e che v'è da fare per ogni uno nelle cose di maggior importanza, più che non si vorebbe. V˙ S˙ può ben aver visto ch'io da molti di in qua non gli ho voluto scriver nulla di ciò: tutto perch'ella non si dessi fastidio, sapendo che scriveste al Vice Legato, e che quando Sua Sig.ria potrà vi mandarà la risposta.

Quando V˙ S˙ scriverà al virtuosissimo M˙ Lelio Bonsi (7), si degnarà raccomandarmegli infinitamente, dicendogli che sine al cuore mi penetrano i suoi dispiaceri, e ch'io mi dolgo dei suoi fastidii. sì per conto suo particolare, come ancora per V˙ S˙, sapendo quanto i suoi affanni gli sono comuni. Ringraziamo Dio, M˙ Benedetto mio caro, poi che così siamo trattati dal mondo, perchè saremo pur certi d' essere tanto maggiormente amati da lui. Mi dispiace bene che V˙ S˙ dica che aveva fatto pensiero di non comporre più verso alcuno, e che la malignità degli uomini e la indegnità mia, ch'a questa do maggior colpa ch'a quelli, ne fossero cagione che V˙ S˙ tema non le Muse siano in colora e scorrucciate seco. Questo gli assecuro io che non può essere. nè mai potrebbe, perchè non minor perdita farebbeno loro in perder voi, che voi in perder loro, non avendo chi più oggidì con onorato nome le faccia risonar per tutto: e se non fosse ch'io temo non entrare a dir di cosa che di poi non sappia trovare via d' uscire, mi estenderei a dir più oltra. E facendo fine, perchè ormai vi avrei da parlare, e non da scrivere, insieme col mio consorte, qual si raccomanda et offera, a V˙ S˙ basciamo ambe le mani.

Da Fiorenza, alli 23 di febraro del 56.

Di V˙ S˙

amor.ma semp.
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dottissimo
M˙ Benedetto Varchi mio semp. Honor.mo

Molto Mag.co S.or mio osser.mo

Non so da qual banda mi cominciare a rispondere alle due dolcissime e dottissime lettere di V˙ S˙, nè meno con che parole ringraziarla del favore, che per sua sola bontà s'è degnata farmi, dando spirito e vita ai miei versi. Del bello e leggiadro sonetto, in risposta del mio, rendo io a V˙ S˙ infinite grazie (8), e degli altri ancora ch'ella mi ha mandato, quali tengo continuamente avanti agli occhi e della mente e del corpo, più per specchiarmi nella virtù del suo raro intelletto, che per leggere le mie lode, che ben veggio avvanzar di gran lunga ogni mio merito.

Della indisposizion di V˙ S˙ mi dolgo grandemente, perchè vorrei ch'ella si preservasse sana, et anco, se si potesse, immortale, come son certa che sarà la fama della virtù e del nome vostro.

Prego ancora V˙ S˙ che mi escusi e perdoni di quel sonetto ch'io le mandai, chè non lo feci nè per curiosità, nè per mostrarmi troppo ardita, nè anco perchè non mi fosse noto il belll'animo suo e la bontà della sua mente; ma, come ben mi venne fatto, per imparare da lei, e per essercitarmi in ciò. La sua degna e divina risposta avevo ben io discorso nella mia mente, ma ora con mio maggior contento la veggo distesa con belle et accommodate parole in carta; laonde la mia dimanda più tosto degna di riprension che di loda, vien escusata in parte. Del resto torno di nuovo a pregarla che mi perdoni con quella sua naturale bontà, con la quale mi dà animo ch'io facci, e securamente mandi ogni mio verso, per brutto e basso ch'ei sia, al vostro perfetto giudizio. Se la malatia del mio consorte, e vostro affezionatissimo, mi darà comodità, come ora me la toglie, a far qualch'altra cosetta, non restarò inviarla a V˙ S˙, poi ch'io son secura, sua mercè, non l'infastidire; e non mancarò visitarla con le mie lettere, dandole nuova di noi, desiderando intenderne delle sue da let, però senza incomodarla, chè per care che mi siano le sue lettere, m' è però più caro il non le dar fastidio. Dal virtuosissimo M˙ Lelio Bonsi ebb'io il sonetto che S˙ S˙ mi scrive, e mi duol assai non gli potere dar risposta, se non come ei merita, almeno come io avessi saputo; ma i respetti che mi bisognano avere in questo paese, fanno ch'io taccio. e forse appresso di lui mi acquistarò nome d' ingrata, che in vero non sono (9). Se V˙ S˙ gli scriverà mi facci grazia di ringraziarlo e far mia scusa seco, e pregando Dio che tanto vi dia contento quanto v'ha dato virtù, faccio fine, e insieme col mio consorte vi bascio le mani.

Da Fiorenza, alli XIIII di novembre del LVI.

Di V˙ S˙

Affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Ammanati

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dottiss.o
M˙ Benedetto Varchi mio semp. osser.mo

Mag.co S.or mio osser.mo

Iersera di notte mi furno appresentate le lettere dolcissime di V˙ S˙, et ora il contadino è venuto per la risposta. E per non perdere questa occasione son uscita del letto, chè per far compagnia al mal degli occhi di mio marito, ne ho uno molto rosso; ben che non me do molto fastidio, sapendo per altre prove che 'l mio male, sì come in un momento mi viene, così anche presto si parte.

M˙ Bartolommeo si raccomanda infinitamente a V˙ S˙, e sta assai bene, tanto che da questa settimana in là egli potrà uscir di casa; e ringrazia assai la vostra cortesia, che sì dolcemente et amorevolmente parla di lui. Io non so come ormai mi possa rendervi grazia de'favori che mi fate, poi ch'ogni giorno più mi aggravate di maggior obligo, e non volete ch'io ne favelli. Non posso entrar per ora a dir quel ch'io vorrei, ma lo dirò pure un'altra volta, se non per altro per sodisfar me medesima.

Mando a V˙ S˙ non so che poche cose, a ciò la le veda, e poi me le rimandi indietro; perchè, così come lei ha caro ch'io tenga le sue cose appresso di me, che mi ha mandato, così ho caro io che le mie mi ritornino in mano, facendo più conto di loro poi, che non facevo prima. Il sonetto alla Soderina (10), la quale io amo come voi Dafni e Tirinto, vi degnarete rivedere: e così l' altro che pur iersera feci a un gentiluomo de' nostri del paese, che ora si truova con la S.ra Duchessa di Camerino. Il madriale lo feci la notte di Natale al presepio.

Non dirò altro per ora per non far danno al mio occhio, e tardar più questo messo. Bascio le mani di V˙ S˙, e di cuore me le raccomando.

Da Fiorenza, alli 30 di dicembre del 56.

Di V˙ S˙

Affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Ammannati

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dott.mo
M˙ Benedetto Varchi mio sempre osser.mo

Mag.co M˙ Benedetto mio onorat.mo

Vi scrissi a questi giorni una mia, nella quale vi avisavo del mio ben essere. Di poi io ebbi una vostra, che mi fu carissima, come tutte l' altre mi son sempre state; e tanto più, quanto da molti giorni in qua me l' avete fatte desiderare; nè mi posso immaginar la cagione, nè credo già che sia quella che voi nella vostra ultima m' allegate, cioè che lo facciate per non mi dar fastidio nel leggerle, e che 'l carattero sia noioso, soggiugnendo che a chi è stato ammalato ogni cosa dà noia; perchè io so che voi questo non lo credete, se ben lo dite, sapendo che le mie non vi potrebbono, per brutte e mal dettate che mai fossero, arrecar noia e darvi fastidio; come dunque volete voi ch'io creda che voi crediate che le vostre, belle e ben composte, lettere mi possano noiare, nè fastidire? Non sapete voi per voi stesso, e M˙ Lelio non m'ha sentito più volte dire, che io non avevo altro piacere, nè possevo udir cosa che più mi dilettasse, che o leggere o sentire delle vostre lettere e dei vostri versi, in quella non bizzarra infirmità? E ora che credete voi ch'io faccia, se non leggere, quel poco ch'io leggo, dei vostri versi e delle vostre prose? Che delle vostre lettere basta ch'io ne legga ogni mese una. Io poco scrivo, e manco leggo, nè posso, ancor ch'io me n'ingegni, scrivere o leggere senza nocumento della mia vista e danno della mia complessione. Espettavo riveder quei duo sonettacci ch'io vi mandai l'altro giorno, prima ch'io mandasse questo, fatto duo dì sono, quasi in cima di Monte Cecero: ma volendo ad ogni modo scrivervi ora, nè tardar più, lo accompagnarò pur con questa. Da M˙ Benvenuto non abbiamo auto quel sonetto morale che voi scrivete (11): però mi sarà caro che facciate ch'io l'abbia. I sonetti di V˙ S˙ mi son stati al solito e cari e grati, sì rispetto alla qualità come alla quantità. Così piaccia al virtuosissimo e cortesissimo M˙ Lelio, dal quale io gli ricevei, mandarmene degli altri, sì come egli m'ha promesso di fare ogni volta che gli ne verrà l'occasione; così ancora di quelli che 'l suo fertilissimo ingegno produrrà. E perchè questa mia ad ambiduoi per ora sarà comune, dico che se, come io spesso mi sento zuffolar l'orecchie, sapessino questi monti e queste piaggie, per le quali io camino e spesso ragiono, poi che con altro non posso dire quel che sento, forse non starebbono sì muti come stanno.

Non so s'avete inteso come il nostro Ecc.mo M˙°ree; Francesco (12) è stato malissimo, e quasi per andare all'altra vita: ma ora per quanto io odo, egli sta meglio e fuor di pericolo. Così piaccia alla bontà di Dio lasciarnelo ancor godere, tanto per comune quanto per nostra particolar comodità, come io del continuo ne l'ho pregato e prego.

M˙ Bartolommeo sta benissimo et è tutto riavuto, come ancor io, in questa sì bella e piacevol villa. Egli se ne viene, quando ogni sera e quando in terza, e ci diamo cento piaceri, ora con l'andar veggendo questi bei luoghi e abitazioni, e ora in veder ballare queste contadine; di modo che, se ben penso tornare in Fiorenza per questo San Giovanni, voglio ritornarmene a star qui qualche giorno di più. Vorrei che mi raccomandaste a M˙ Lelio, e che per nome di mio marito e per me gli rendeste le salute e raccomandazioni in mille doppi. Che nostro Signore conservi e l'uno e l'altro di voi longo tempo, sì come meritate, e ch'io desidero. M˙ Bartolommeo, tutto di V˙ S˙, se le raccomanda senza fine, et io con tutto 'l cuore.

Da Maiano, alli 9 di giugno del 57.

Di V˙ S˙

Affezionatis.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dott.mo
M˙ Benedetto Varchi mio semp. onor.mo
Alla Pieve a San Gavino

Mag.co M˙ Benedetto mio onoratis.mo

Oggi, che siamo alli sei del presente, ho ricevuto con mio grandissimo piacere e contento le due dolcissime lettere di V˙ S˙, una de'23 di luglio e l'altra del primo di questo, insieme con i bellissimi sonetti al Bona, al signor Torquato Conti, al S.or Alessandro Lenzi, con quello in lode del vostro Tirinto e i due al vescovo di Fermo, con quelli epitaffi per la Santa M˙ della Duchessa di Camerino; tutte cose bellissime et a me care d'intendere (13). Ringraziai Dio con le mani gionte, quand' io vidi le vostre lettere, e certo mi parve sentire aprire il cuore per mezzo dell'allegrezza: e vedete s'io ho cagione di voler male a cotesto paese, e anco, se non vi foste voi, di maledirlo e augurargli ogni male, poi ch'io sto tanto a sentir nuova di voi. É ben vero ch'io ebbi una vostra con quelle di M˙ Lelio; ma quando? non son passati più di XX giorni? E per gionta mi scrivevi non vi sentir molto a vostro modo, del che ne ho preso non poco fastidio, vedendo tanti mali andar a torno. ch'io mi sbigotivo. Mandai ier mattina a Maiano per uno di quei contadini, ch'io lo volevo mandar a posta a vedervi, e non fu possibile averne nissuno, chè tutti sono ammalati, di modo ch'io stava mezza disperata. Mandai a casa vostra, al Crocino (14) e a molti de'vostri amici; e tutti mi rispondevano non ne saper nulla. I miei di casa, non ne potevo mandare nessuno, chè tutti son per terra. Io sto così così, ma con un grande infreddato, che non mi lascia respirare: non so se sarà altro. M˙ Bartolommeo sta bene, e vi rende in mille migliaia di doppi le salute e raccomandazioni, ch'io gli ho fatto per vostra parte; e così le rende a M˙ Lelio: e tanto farete per me, quando gli scriverete. M˙ Bartolommeo et io pensiamo che sia bene, come dice V˙ S˙, d'aspettare che 'l nostro procuratore sia guarito affatto, e ch'egli sia che dia fine a questa beata lite, ancora che noi, per quanto mi par ricordare, facemmo nella procura, che se gli mandò, ch'egli potesse sostituire. Che i beni del nostro avversario siano venduti, non so: ma so bene che erano obligati a me, e ch'egli non gli poteva vendere, nè altri comperare, come M˙ Lelio per le nostre scritture che son là potrà vedere: e desidero, se possibil fosse, che mentre egli sta in Bologna se ne vedesse il fine, chè poi quasi perderò ogni speranza, ancor ch'io pensi che 'l cognato del procuratore non mancarà farvi ogni diligenzia per amor vostro. E pregarò Dio che metta in cuore a Monsignore R.mo che passi per Bologna, chè so non sarebbe pericolo che la lite andasse più in lungo, come forse andarà. Faccia mo Dio!

Tornamo un poco alla vostra doglia di testa, la quale è cagione d'accrescere la mia, che questa infreddatura mi dà. Si vorrebbe vedere se la procede dallo stomaco, e pensar di purgarsi un poco, e perchè forse là non vi è comodità, tornarsene a Fiorenza e non indugiare alla fiera di Fiesole. Vedete ancora che lo star tanto a quella freschezza di Fontebaio non vi faccia danno, e così il bere troppo fresco: e insomma guardatevi d'ogni cosa che vi possa nocere, e per vostro utile e per altri, e cercar di star sano e vivere allegramente.

Quanto alla lettera ch'io vi scrissi per Aldobrando, non posso far che non m'incresca ch'ella sia ita a male, ch'assai m'importava, quando che per essa vi parlavo liberamente, come è mio solito; e tanto più ch'io la davo in mano d'uno che mi pensava la dovesse aver buon ricapito; e tanto più quanto che molto gli la raccomandai, et egli mostrava aver caro farmi servigio. Vi scrissi ch'io, non vi sentendo far parola d'averla avuta, mi andavo immaginando la gli fosse caduta, o più tosto stata tolta, perch'io m'accorsi che, mentre io la scrivevo, vi era chi desiderava di leggerla, come anco la vostra che voi mi scrivevi per lui; ond'io gliela porsi in mano, e non mi curai lasciar ch'egli la leggesse. Sia che si voglia, che avranno poi veduto? Io voglio nondimeno incolpar più tosto la trascuraggine di Aldobrando, che voler mal a persona.

Il Vivaldo (15) venne l'altro giorno a vedermi, e a dimandarmi s'io sapevo di voi: e gli dissi ch'io non avevo lettere. come era vero, molti giorni erano passati. Pensarò, passati questi pochi dì di sol leone, torarmene al mio Maiano, dove in fatto sto meglio della persona, et aneo della mente, ch'io non faccio a Fiorenza. Non vi mando per ora quei duo sonetti, l'un mio e l'altro del frate della Doccia, per non dar fatiga a voi et a me, senza proposito. Basta, ch'io lo mandarò come saremo più sani che non siamo ora. Desidero bene che, come vi torna comodo, mi rimandiate quei duo ch'io vi ho mandato. Altro non dirò per questa, se non che cerchiate star sano e allegro, e riguardarvi da'mali in questi tempi pericolosi. Me vi raccomando di cuore

Da Fiorenza, alli 6 di agosto del 57.

Di V˙ S˙

Amor.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dottiss.mo
M˙ Benedetto Varchi mio semp. osser.mo
Alla Pieve a San Gavino.

Molto Mag.co S.or mio osser.mo

La lettera di V˙ S˙ mi è stata carissima, per il desiderio ch'io avevo d'intendere della vostra giunta in Pisa sani e salvi. M˙ Bartolommeo vi ringrazia di quanto ragionaste con M˙ Luca (16), e sa che 'l tutto sarà passato con suo onore, e però ne resta soddisfattissimo. Et io avrò pacienza, pregando Dio che faccia presto passar questo inverno, e mi andarò trattenendo a Maiano più ch'io potrò. Venerdì passato vi scrissi a lungo, e mandai la lettera al Crocino, che sabato disse mandarla. Errai la data, che dovendo dire a'5, dissi a'9: me n'accorsi dipoi ch'io ebbi mandata la lettera. Vorrei che fosse il fine di questo mese, non il principio, come è. Che M˙ Bartolommeo lavori le sue figure quassù questo verno, è impossibile, non vi si possendo condurre i marmi: però si farà al meglio che si potrà.

Abbiamo avuto grandissimo piacere sentendo della lettera ch'avete procurato per Bologna da l'Ill.mo e R.mo Legato, e credo ch'ella mi abbia da giovar tanto, che una volta questa causa tanto giusta averà quel fine che desideramo, e che di ragione dovrebbe avere: e certo non si poteva pensar meglio di quello che pensasti, quando appresentasti quella supplica al Car.le, nè più a mia utilità. Sabato di sera mio marito mi portò la vostra, e iermattina volsi scrivere: ma {unclear}certe{/unclear} mie amiche vennero quassù, e non ebbi comodità a {unclear}serivere{/unclear}. Ora poi che siamo tanto innanzi, se non aveste tempo a mandarla per il procaccio passato, la mandarete per quest'altro che verrà, chè due dì prima o poi non importa. Staremo aspettando queste lettere, e se 'l procuratore non sarà guarito, se ne farà un altro, come voi dite; e se bisognarà mandare un sollecitatore, si mandarà, non essendo da perder tempo ora che vi è questa lettera, che non dubito n'abbia da giovar molto, e tanto che forse si finirà questa pratica, che a Dio piaccia.

Qua abbiamo assai bei tempi, assai più che la stagione non comporta; e se non fosse che ieri fui impedita, come ho detto, M˙ Bartolommeo e io andavamo a veder il lungo ch'io vi scrissi della Bia da Prato; ma vi anderemo la prima festa. Degli altri poi ve ne avisai quanto me ne pareva nell'altra mia. Io non dubito che trovaremo qual cosa innanzi che venga primavera. Io ebbi da M˙ Girolamo Razzi (17) le mele e i maroni, che V˙ S˙ mi mandava, che mi son state care e dolci: e ve ne ringrazio. Il bellissimo sonetto mi piace, come generalmente mi fanno tutti i vostri. La signora Leonora. moglie del Signor Chiappino, mi ha mandato a dire che vorrebbe ch'io facesse un sonetto al suo marito (18); e perchè l'ho voluta servire, gli ho fatto questo, non ostante che le mie muse siano di lor capo, e non vogliono far se non quello che loro aggrada. Ve lo mando come bisognoso estremamente del vostro aiuto, e me vi raccomando con tutto 'l cuore. State sano e felice, che Dio vi conservi. M˙ Bartolommeo ne si raccomanda mille e poi mille volte. Salutate il virtuosissimo M˙ Lelio.

Da Maiano, alli 9 di novembre del 57.

Di V˙ S˙

Laura Battiferra Degli Amannati

Ho fatto ancor quest'altro sonetto alla S.ra Leonora (19). Avevo pensato non vi voler dare tanta briga a un tempo, e mandarlo un'altra volta: ma rivedetegli quando vi torna comodo, e di nuovo mi raccomando.

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dott.mo
M˙ Benedetto Varchi mio osser.o

S.or mio osser.mo

Risposi alla lettera di V˙ S˙, e dolsemi, che mi pareva che quanto io vi aveva detto del podere, non l'aveste preso con quella buona mente ch'io avrei voluto. E certo non fa bisogno che a me o ad altri io cavi del pensiero cosa alcuna che contraria sia al credere et al presuposito vostro, perchè mai v'entrò, nè manco, se Dio vorrà, entrarà mai: ma il timor nostro è, come vi scrissi e come già dissi qui a M˙ Lelio, delle malevoli lingue del mondo, che pur troppo ardiscono dire quel che non è, nè possono fare già come voi dite che sia, ma che si creda che sia sì bene; così non lo facessino. Ma lasciamo andare da parte questi ragionamenti, ch'io non vorrei però arrecar noia a voi in leggergli, come a me a scrivergli. Dico che non crediamo veder l'ora che si trovi quassù una stanza per voi; e perchè quelle di Fiesole non ve paiono molto belle, cioè ch' abbino quella veduta che voi desiderate, siamo d'intorno al marito della Bia, che mezzo n'ha dato intenzione della sua, perch' egli la litiga con lei, e pensa l'abbia ad esser sua, e credo, se la sarà, egli non mancarà di darla a noi, che Dio lo vogli, ch'io credo certo ne saresti contento sì per la bella veduta che ha, come per non essere nè molto vicina, nè troppo lontana di qui. Innanzi che sia primavera non può essere che non ci accomodiamo d'una, in luogo che ne piaccia. Vi scrissi della spesa che si sarebbe fatta intorno a quella del Deo, quando vi foste risoluto a pigliarla.

Vi scrivo oggi, perchè ho le vostre lettere tardi, e non ho poi tempo a scrivervi. Ho avuto questa settimana una lettera da M˙ Bernardino Bazino dalla Corte del re Filippo, e mi avvisa di certi miei sonetti, ch'io non so come sono accapitati in quelle bande; e dice che sono stati lodati, e mi prega a dir qualche cosa in lode di quel re o della reina. Io che non mi conosco tale ch'io possa, o sappia, sopra tant'alto soggetto sciogliere pur la lingua, non che cantare, gli rispondo con questo sonetto c' ora vi mando: e di poi, non so come, ho fatto questi dui che vederete, e vi priego che così di questi come degli altri ch'io vi mando, quando vedete non riuscire a vostro modo, gli brusciate senza affaticarvegli sopra, che mi sarà carissimo; perch'io, per cagione di esercitarmi, sopra a quel soggetto che mi giugne in pensiero faccio qualche cosa, e poi con quella confidenza ch'io ho in voi, ch'al mondo non potrebbe essere nè maggiore nè più grande, ve gli mando; et ho più caro, quand'io sento che vi siano piaciuti, ch'io non avrei che tutto il mondo insieme me gli lodassi. Però come di cose vostre fatene quel che più vi par di fare. Io ebbi lettere dal S.or Chiappino e da M˙ Sforza, che dicono il mio sonetto esser molto piaciuto alla Corte: e questo l'ho voluto scrivere, perchè tutto è mercè vostra. Non mi terrei mai ch'io non vi mandassi un madriale di M˙ Gioan Batista Strozzi (20), che fa maravigliare tutta Fiorenza delle sue bellezze, e beato chi più lo può lodare: sì che vedete. Salutate M˙ Lelio assai per mio nome, e ringraziatelo del sonetto bellissimo che mi mandù l'altro giorno. Iersera di notte io ebbi la vostra lettera con il sonetto del Razzi e la risposta vostra, che mi paiono molti belli e buoni. E non avendo per ora che dire altro, me vi raccomando con tutto il cuore insieme con M˙ Bartolommeo. Qua vi è un cattivissimo tempo, e un vento sì terribile che par che voglia gettar a terra la casa e gli arbori, di modo ch'io mi penso tornarmene a Fiorenza più presto ch'io non volevo. State sano.

Da Maiano, alli XI di dicembre del LVII.

Di V˙ S˙

Amor.ma
Laura Battiferra Degli Ammannati

(Di fuori). Al molto Mag.co e Dott.mo
M˙ Benedetto Varchi mio semp. osser.mo

Molto Mag.co M˙ Benedetto mio osser.mo

Giunti hanno fornito di stampare il mio libro (21): et io pensava che M˙ Bartolommeo fusse a quest' ora tornato da Roma, come egli m'aveva scritto, e non è stato il vero, perch'io desiderava venire lassù da V˙ S˙, e ragionare con esso lei come avevamo a far quella lettera dedicatoria (22). Io n' aveva fatta una bozza; ma perchè non ho mai più fatte di simili, non mi è riuscita, perchè avendo a dire poche parole (che secondo me non accade che siano molte), vorrei che le fussero più acconcie e belle di quelle ch'io so dire io: onde vi prego con tutto 'l cuore che, poi che avete fatto tanto, come è stato quello c' avete fatto sin qui, che foste contento ancora far questo resto di formarmi quelle parole, che parrà a voi che stiano bene. E per dirvi parte di quella bozza ch'io aveva fatto, io non entrava in quel gran pelago, che tanti hanno usato e usano tuttodì, di lodar la Duchessa a cui ha da ire il libro, e scusar me, chè troppo che fare arei ad uscrine; e poi il primo e l'ultimo sonetto, se ben V˙ S˙ si ricorda, son tutti sopra questa materia fatti, e di questo ragionano (23): ma ringraziava bene la mia buona fortuna, che m'aveva porto questa occasione di mostrare a S˙ E˙ Ill.ma la mia osservanza e divozione con questo picciolo segno, sacrandole queste mie poche fatiche, e ch'io di ciò ne teneva anco obligo grande con quelli, i quali volendo far stamparle contra mia voglia erano stati cagione ch'io m'era mossa a mandarle fuora io, temendo non storpiate e con peggior forma ch' elleno non sono fossero vedute, cosa che da me giamai era per farsi; e questo voleva io che servisse per scusa d'averle fatte stampare. Ho voluto accennare a V˙ S˙ l'animo mio, riportandomi poi tutta tutta a quanto le parrà meglio, perciò che ella molto meglio lo sa dormendo ch'io vegliando non lo so, nè son mai per sapere. Arò anco caro di sapere come le pare che stia meglio dire l'intitolazione: o Prima Parte delle rime e de'versi di Laura ecc., o Prima Parte dell' Opere Toscane, o Libro, come meglio vi pare. sendovi e rime e versi mescolati. Nè altro occorrendomi fo fine, a V˙ S˙ di tutto cuore raccomandandomi che nostro Signore le doni quanto la desidera.

Di Fiorenza, alli 25 di Novembre del LX.

V˙ S˙ pigli pure la sua comodità, e non guardi ch'io abbia detto che il libro sia formato, perch'io lo farò aspettare quanto la vorrà. E me le raccomando di nuovo.

Di V˙ S˙

Amor.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

M˙ Giovan Andrea dall'Anguillara è in Fiorenza, e sì ch'egli vuole venire a trovar V˙ S˙, credo per mostrarle il suo libro delle Trasformazioni (24).

(Di fuori) Al molto Mag.co
M˙ Benedetto Varchi mio sempre osser.mo

Molto Mag.co S.or mio osser.mo

Mando a V˙ S˙ un sonetto, qual ho fatto per quella S.ra Lucia Bertana (25), che quello Spina mi ha tanto lodata. Se vi parrà ch'io glielo mandi, n'aspetto il suo giudizio, e così s'io debbo dar l'altro a lui, benchè già un'altra volta lo vi mandai e non lo riebbi, forse per non vi piacere, onde vi ho fatto di poi non so che: non so se starà meglio o peggio. Ieri, che fu domenica, vennero qui in casa M˙ Pier Vettorio e l' umanista di Pisa, guidati da M˙ Baccio Valori (26); al quale son molto obligato, perchè mi fece grandissimo piacere, desiderando molto vedere quei duo grandi uomini, i quali io prima non conosceva.

V˙ S˙ stia sana e lieta, che Dio la contenti sempre. M˙ Bartolomeo se le raccomanda: et io di buon cuore.

Il Bronzino non può esser capace, per molto ch'io gli abbia detto la mia oppinione, dove si riferisca quella ella dell'ultimo verso del primo quadernario nel mio sonetto al Casale, in morte della Marchesa di Massa, qual vidde V˙ S˙ che dice:

Casale, oimè! che dite voi di quella Che 'l mondo tutto in un momento attrista? Parve ei che quanto in molti anni s' acquista Repentina e crudel sgombri con ella!

Onde mi sarà caro udire il parer di V˙ S˙, chè so gli crederanno e staranno cheti (27). Dio vi doni quanto desiderate!

Di Fiorenza, alli 21 di luglio del 61.

Di V˙ S˙

Affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

Molto Mag.co S.or mio

S.or Luca Sorgo m'ha mandato l'inclusa lettera, acciocch'io in assenza dello Spini, che dice essere ito a Pisa, la mandi a V˙ S˙ e le raccomandi anco il negozio di questo Valente, chè nel vero venendo egli in questo paese, sarebbe utilità grande, chè si uscirebbe pure dalle mani di questi Giunti. E se V˙ S˙ non vede di far ciò Ella, non so chi vorrà o potrà mai farlo; onde ve ne prego anch'io con questi altri tutti.

Io ebbi, mentre era amalata, un sonetto della S.ra Laura Terracina (28), al qual feci la risposta; ma non gli lo mandai. Ora, perch'ella m'importuna che la vuole, la mando a V˙ S˙ che la vegga: e molto di tutto cuore me le raccomando, e le prego ogni contento. M˙ Bartolomeo le becia le mani, e ringrazia V˙ S˙

Di Firenze, al primo di marzo del 62.

Di V˙ S˙

Affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

S.or mio osser.mo

L'altro giorno fu qui il S.or Marco e mi pregò che, scrivendo a V˙ S˙, glielo raccomandassi assai, del che non ho voluto mancare, e con questa salutarla assai, come io fo. Egli mi portò un sonetto che favellava di me, e un altro a me proprio, il quale mi darà che fare per la difficultà delle sue rime, onde arò poi bisogno del vostro aiuto. Con seco era lo Spini, che avendo preso una leprettina sotto i colli di Fiesole, me la donò, e disse ch'io mandassi a V˙ S˙ questa sua inclusa, chè le mandava non so che epigramma fatto da lui sopra tal soggetto. Io ho letto due sonetti spirituali. Piacerà a V˙ S˙ rivedergli con suo agio: e come ella più viene in Firenze, di grazia rubi tanto tempo ch'io la vegga, chè non so ormai che mi credere; nè altro ho che dirle con questa, se non che M˙ Barto lomeo e io ce le raccomandiamo et offerriamo.

Di Firenze, alli 15 di marzo del 62.

Di V˙ S˙

Affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al molto Mag.co et Dottiss.o
M˙ Benedetto Varchi mio osser.mo

S.or mio osser.mo

Dissi ben io che farei un sonetto c' arebbe assai bisogno della vostra lima, come vederete, che vi prego a rivederlo, come potete prima, poichè 'l S.or Mario lo chiede ogni dì; e forse spera di veder qualcosa di bello, sì che fate voi. Quello coma non so se vi piacerà, nè meno nel modo ch'egli sta; e quello pianto o canto usato pur nel suo, ma pare a ma in altro significato. Ho voduto i vostri sonetti al Salviati, e le sue risposte, da lui proprie, che è stato qui oggi. Baciovi le mani, e me vi raccomando insieme con M˙ Bartolomeo.

Di casa, alli 26 di marzo del 63.

Di V˙ S˙

Affezionat.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al Molto Mag.co
M˙ Benedetto Varchi, mio sempre osser.mo

S.or mio osser.mo

Non vorrei, non che pensare, ma nè anche sognare di fare o dire cosa che n'avesse a dare un menomissimo travaglio e disturbo di mente, amandovi e onorandovi con tutto il cuore e sopra tutte le cose, come faccio: e pare che la mia disgrazia voglia che non dico mai cosa che non v'abbiate a dolere e ad alterare. S'io conosco quanto poco io vaglio, e quel ch'io sono, e quello che da me posse mai essere: e in parte poi quanto voi valete, quello che voi sete, e che non potrete mai più essere più che vi siate, essendo gionto al colmo di tutte le perfezioni, perchè volete ch'io le dissimuli, o ch'io le taccia? Se pur conoscerò farvi servizio, mi sforzarò far l'uno e l'altro, e col dar fede alle parole vostre, in queste come in l'altre cose, persuaderò me stessa a credere che 'l vostro molto merito sia mio, e 'l mio poco sia vostro. E intorno a ciò non dirò altro, se non che mi rimetto al perfetto giudizio vostro, sì circa al comporre come a fare quanto v'aggrada, essendo risoluta che non possiate errare. E me vi raccamando di euore (29).

Di casa, a li 14 di marzo

Di V˙ S˙

Amor.ma
Laura Battiferra Degli Amannati

(Di fuori). Al molto Mag.co
M˙ Benedetto Varchi
maggiore {unclear}c{/unclear} patron {unclear}mio{/unclear} osser {unclear}mo{/unclear}

S.or mio osser.mo

Perch'io non vorrei cadere in censura del Castelvetro, dicendo io in un verso del primo sonetto alla Duchessa saraggio poichè 'l Petrarca non l'ha detto egli, nè altro ch'a me sovvenga, mando a V˙ S˙, a ciò la mi dichi il suo parere; perchè s'io lo faccio dire sarò, pare a me che 'l verso non patisca perciò:

E se mai nulla fui, sarò o sono.

E così verrò a giucare al securo, ancor ch'io non so se verrebbe ad ora alla stampa (30). Il parere di V˙ S˙ mi acquetarà: al qual mi rimetto, e le bacio le mani, e me le raccomando.

Di casa (31).

Di V˙ S˙

Amoros.ma

(Di fuori). Al molto Mag.co S.or mio osser.mo
M˙ Benedetto Varchi

(1) Il marito di Laura Battiferra fu Bartolommeo Ammannati, nato in Firenze il 1511, morto nel 1592. Egli lasciò bella fama di architetto e di scultore per le opere fatte in Firenze, Padova e Roma; e non mancò di eleganza ne{unclear}ll{/unclear}o scrivere, come n'è prova la Lettera agli Accademici del Disegno (Firenze, Matini, 1687), citata dall'Accademia della Crusca nel suo Vocabolario. Il mio ottimo amico cav. Gaetano Milanesi pubblicò nel 1869 (Firenze, Tipografia Bencini) due lettere inedite di lui, che parlano dei lavori di scultura ch'egli avea preparati per l'apparato da farsi in Siena nella venuta del duca Cosimo de'Medi{unclear}ci{/unclear}, e delle storie da porsi nella base di una colonna di granito, su cui doveva andare la statua in bronzo di quel duca.

(2) Maestro Antonio Crocini, intagliatore, a cui il Varchi scrisse il sonette: Mentre lungo il Mugnon d'un verde pioppo ec.

(3) In morte di Caterina Cibo, duchessa di Camerino, scrisse Laura quattro sonetti, che son prova dell amore con che l'aveva amata in vita; e prova pin {unclear}smeera{/unclear} ne son le parole di questa lettera.

(4) M.o Francesco Lacomi da Montevarchi, {unclear}celebi medico{/unclear} di quell'età, al quale la nostra Laura dir{unclear}esso il{/unclear} segnente sonetto:

Nuovo Esculapio, che di Febo al paro Di virtute ven gite e di splendore, Poi che di lume, e non men di valore, Sete or (qual ei fu già) dotato e chiaro; Ben deve il ciel, ben dee tenervi care Il mondo tutto, poi ch'a quell'onore Spento, rendete a questo quel vigore, Che torna dolce il viver nostro amaro. Ond'io che dianzi infino a l'uscio corsi Di lei, che l'erbe e i sughi vostri suole Temer, quanto altri i suoi spietati morsi, Almo Francesco, mio terreno sole, Quando d'esser per voi viva m'accorsi, Vi sacrai l'alma, che v'ammira e cole.

(5) Due sono i sonetti a Madonna Lucrezia de'Soderini tra gli scritti dalla Battiferra, e non so certo qaal sia quelto che manda al Varchi con questa lettera. Il veder però che l'ha partorito fra lanti tracagli di mente e di corpo mi fa credere possa essere il seguente, che pur in mezzo a certe freddure petrarchesche d'imitazione cinquecentistica, palesa {unclear}lo{/unclear} stato dell'animo:

Di fredda speme e calda tema cinta In dubbia pace e certa guerra io vivo: Me stessa a morte toglio, e tolta privo Di vita, a un tempo vincitrice e vinta. Or mi fermo, or m'arretro, or risospinta Cammino inanzi; or lento, or fuggitivo Il passo muovo; or quanto in carta scrivo Dispergo; or vera mi dimostro, or finta. Piango e rido; or m'arrosso, or mi scoloro; Or vo cara a me stessa, or vile; or giaccio In terra, or sovra 'l ciel poggiando volo. Talor quel ch'io vorre; disvoglio e scaccio, Me stessa affliggo e me stessa consolo: In tale stato ognor vivendo moro.

(6) In questa, come in altre lettere posteriori, si parla di alcuni affari domestici di Laura e del marito di lei, pei quali il buon Varchi volentieri usava della sua autorità e delle sue molte amicizie, affine di giovar loro.

(7) Lelio Bensi fu uomo di molte lettere e amicissimo di Benedetto Varchi, con cui ebbe frequente corrispondenza poetica.

(8) Il sonetto del Varchi, di cui si parla qui, è forse quel che comineia: Amor per sua bontà {unclear}l'ab{/unclear} oggi impiume, e che risponde all'altro di Laura:

Varchi, ch'al ciel le gloriose piume Qual bianco cigno eternamente alzate Cinto le tempie delle vostre amate Frondi, e sì care al gran rettor del lume; Se chi voi lodar vnole, invan presume Rendervi conto alla futura etate; Se le glorie presenti e le passate Sono al vostro valor picciol volume; Io come mai potrò pur col pensiero L'orme di voi seguir, presso o lontano, Che 'n terra giaccio angel palustre e roco? Ben ho provato sepra il corso umano Ergermi dietro il vostro raggio altero, Ma tosto Icaro fui tremante e fioco

(9) Il sonetto di Lelio Bonsi comincia: Quando da túngo e grave sonno desta, ed è pubblicato nel Primo libro delle opere toscane di Laura, insieme alla risposta di lei, che è la seguente:

Anima bella, che leggiera e presta, Con le piume ch'altere ti donaro Tuo merto e altrui valor pregiato e raro, Ten voli a vera gloria e manifesta; Che può la mia, a cui fera e molesta S'oppon fortuna, sì che 'n molto amaro Cangia 'l suo poco dolce, e Febo avaro Quanto a te largo i suoi tesor non presta; Se non seguir così gravosa e zoppa La luce tua, che lo più chiare stelle Avanza e di virtute e di chiarezza? Nè altra strada cerch'io, perchè faveile Di me la gente in Elicona avvezza, Scevra da lei ch'a tergo mi galoppa.

(10) Forse parla dell'altro sonetto a Lucrezia de' Soderini: Così come in un forte animo altero ec.

(11) Credo la nostra Laura voglia parlare del gran Benvenuto Cellini, e di quel sonetto che a lui indirizzò il Varchi, per consigliarlo a lasciar le basse cose del mondo,

E tutta ergere al ciel la nostra spene.

(12) M.o Francesco da Montevarchi, di che è parlato più sopra.

(13) V˙ tra le Rime di Benedetto Varchi e tra' sonetti pastorali quelli ricordati qui da Laura Battiferra.

(14) Maestro Antonio Crocini s. c.

(15) M˙ Michelangiolo Vivaldi, amico del Varchi, e poeta di qualche valore.

(16) M˙ Luca Martini, cui è indirizzato il sonetto:

Deh! se quel vivo, chiaro sol, che luce Sì, che non pur lo suo toscan paese Rischiara e desta a gloriose imprese, Ma 'l mondo tutto al primo opra conduce; A quella chiara vostra e viva luce, Che mai non eclissò, largo e cortese Giunga sempre splender, che senza offese Di nebbie o venti altrui sia scorta e duce; Lasciate (prego) le pisane sponde, Luca gentile, e venite ove Flora Vostra vi chiama ognor tanti anni indarno. Ella vi chiama, ma nessun risponde: Venite omai, chè qui sarete ancora Utile e caro aì duce d'Arbia e d'Arno.

(17) Girolamo Razzi, uomo di buone lettere, che ebbe fama specialmente per alcune commedie, fu fratello a Don Silvano, uno dei migliori amici del Varchi, del quale scrisse la vita.

(18) Si hanno tra le rime della n. Laura tre sonetti al signor Chiappino Vitelli, capitano valoroso, che cominciano:

Se gli antichi scrittori ornar le carte ec. Non l'alta penna e no 'l purgato inchiostro ec. Chi mi darà di sacra quercia altera ec.

(19) Alla signora Leonora Cibo de'Vitelli, moglie di Chiappino, son indirizzati varii sonetti della Battiferra. Quello di che si parla nella presente lettera e da credere sia il primo:

O di casta bellezza esempio vero, E di rara virtude ardente raggio, Donna, che 'n questo uman cieco viaggio Ne mostrate del ciel l'alto sentiero; Voi sola il nostro verno ingrato e nero Cangiate in chiaro e grazioso maggio Voi sola, col parlar cortese e saggio, Rendete umile ogn'aspro ingegno e fero; Tal ch'io, che vaga son del vostro lume, Con l'ali del pensier tant'alto ascendo, Quanto in bianco angel basta a cangiarme. Indi, fuor d'ogni mio vecchio costume, Da Voi, dalla stagion novella prendo Tanto vigor, ch'io sento eterna farme.

Alla medesima Leonora Vitelli dedicò Laura l' Inno di santo Agostino tradotto in versi sciolti, e l'egloga L'Europa.

(20) Giov. Batta Strozzi, detto il vecchio, che fu l'autore dell'epigramma, a cui forse vuol alludere qui la n. Laura, in lode di quella stupenda notte che Michelangiolo avea scolpita per le tombe medicec:

La notte che tu vedi in sì dolci atti Dormire, fu da un Angelo scolpita In questo sasso; e, perchè dorme, ha vita: Destala, se nol credi, e parleratti.

(21) Il primo libro dell'opere toscane di M˙ Laura Battiferra degli Ammannati. In {unclear}Firense{/unclear}, appresso i Giunti, MDLX.

(22) Ecco la dedicatoria, di che si parla, quale leggesi innanzi al volume stampato dai Giunti:

All' illustrissima et eccellentissima signora, la S˙ Leonora di Tolledo, Duchessa di Firenze et di Siena, Signora e padrona sua osservandiss.

Io pensava ad ogn'altra cosa più, Illustrissima et Eccellentissima Signora Duchessa, che a dover fare in questi tempi alcuno stampare de'componimenti miei, ma havendo io da persone degne di fede per cosa certissima inteso, che alcuni havendone già buona quantità ragunati, e cercando tuttavia di ragunarne degli altri, volevano senza non dico licenza, ma saputa mia publicargli, mi commossi non poco, e non sappiendo altro che farmi, mi risolvei per minor male, con licenza di mio marito, e consiglio di più amici, di dargli alla stampa io medesima, e indirizzargli al glorioso nome di V˙ E˙ Illustr., non perchè io gli credessi degni di tanta altezza, ma per mostrarlemi in quel modo, che io poteva, se non del tutto grata, almeno ricordevole in parte de'benefizii, che Ella e l'Illustrissimo signor Duca hanno fatto e fanno tutto il giorno molti e grandissimi a me e a M˙ Bartolomeo mio marito, il quale non desidera altro insieme con esso meco, che di potere sì come fedelmente, così degnamente aucora, servirle. Degnisi dunque Vostra Eccellenza Illustrissima per la natia bontà e infinita liberalità sua, prendendo in grado l'osservanza e divozione sua e mia ver lei, accettare queste mie fatiche, qualunque si siano, e mantenerci nella buona grazia di lei e dell'Illustrissimo et Eccellentissimo consorte suo, il quale nostro Signor Dio insieme con esso lei, e con tutta l'Eccellentissima {unclear}et{/unclear} Illustrissima Casa loro conservi lunghissimo tempo sano e felice.

Di V˙ E˙ Illustriss.

{unclear}Ilumiliss,{/unclear} e divotiss, serva
Laura Battiferra Degli Amannati.

(23) V˙ i sonetti, che cominciano:

«A voi donna real consacro e dono ec.» «Felicissima donna, a cui s'inchina cc.»

(24) G˙ A˙ dell'Angnillara di Sutri, celebre per la sua traduzione in ottava rima delle Metamorfosi di Ovidio.

(25) Lucia Bertana, letterata modanese, della quale nel {unclear}carloggmmon{/unclear} B˙ Varchi si trova una lettera a lui scritta in questo medesimo anno, che mi piace pubblicare come inedita:

Molto Mag.co S.r come maggior fratello oss.mo

Quel lungo desiderio, ch'io ebbi sempre di visitare et conoscere V˙ S˙ con mie lettere, non l'avendo mai adempito per diverse cagioni, mentre che mi pareva quasi una mera prosuntione, senza il mezzo di alcuna persona, fare un {unclear}smile{/unclear} effetto, ora mi è concesso di poterlo conseguire mediante il mezzo del gentiliss.o Mr. Gherardo Spina, che da coteste bande viene per sue faccende. Ond'io non ho voluto perdere così accomodata occasione, ma ho significato a lui quel puro affetto ch'io porto alla virtù et valor suo, et a così virtuoso testimonio ho dato un mio sonetto a lei, qual egli si sia, non mi parendo con V˙ S˙ necessarie le scuse, che in ciò li potessi adurre; ch'io sono stata ardita, roco augello, presentare i miei canti a così canoro cigno, et questo doverei bene scusare. Ma io mi sono confidata nella sua gentilezza immensa, che tutto accettar debba da me cortesemente, scusando la mia ignoranza, et agradendo il mio buono et sincero animo verso di lei. Ma perchè, dicendo con più parole quello che meglio di me spiegherà il detto Mr˙ Gherardo, io porgerei a V˙ S˙ tedio et a me fastidio, mercè della mia poca sofficienza, a lui mi rapporto; et a lei in queste bande, o dove io possa, mi offero in ogni sua occorrenza, et raccomando con il s.r mio consorte.

Di Modona, alli XX di settembre 1561.

Di V˙ S˙ Mag.ca et virtuosa

come sorella amor.ma
Lucia Bertana.

(26) Pier Vettori (n. 1499, m. {unclear}1585{/unclear}) fu uomo dottissimo nelle lettere greche e latine, e giovò nel suo secolo agli studi classici con l'erudizione e con la critica, quanto nessun altro filologo de' secolo XVI. Sarebbe opera degna de'nostri tempi una raccolta degli scritti di lui.

(27) Intorno a questa quistione ecco una lettera dottissima del Varchi alla n. Laura, che è necessario compimento delle parole di lei:

Molto Magn. e Virtuosiss. M˙ Laura
sig. mia osseq.

Io ho ricevuto e letto e considerato questa sera la lettera di V˙ S˙, nella quale erano il vostro sonetto che comincia: Casale, oimè, che dite voi di quella, Che 'l mondo tutto in un momento attrista? e oltra il sonetto due polizze, la prima delle quali dice così: Le difficultà son queste a dichiararlo come egli fa: una a interpetrare sgombri idest porti, con ella idest seco, starebbe benissimo, se non quant'io non truoro sgombrare in alcun luogo per portare; l'altra, a pigliare sgombri nel suo vero significato, idest vnoti, scacci e mandi via, a me par duro questo modo di parlare. La morte, che qui è agente, fa la tal cosa con sè stessa, parola in tutto vana e ociosa. La seconda polizza, la quale è del medesimo sentimento che la prima, ma per quanto si può giudicare di diversa persona ricercata del suo parere, è questa: Dico adunque che io credo che sia vero che sgombrare non si truori appresso lodato scrittore in significato di portare, e però concorro nel parere di coloro che lo dannano interpetrandolo in quel primo modo. Non credo anco che possa stare nel secondo modo, dove si pone nel suo vero significato di votare, levare, o di mandar via, per la medesima ragione che in essa polizza s'adduce. E mi scrivete questa disputa esser nata sopra i due ultimi versi del primo quadernario del sonetto allegato di sopra: Parv'ei che quanto in molti anni s'acquista Repentina e crudel sgombri con ella.

E soggiugnete che avendo voi raccontato costì ad alcuni la disputa, e mostrato le due polizze, siate stata consigliata o di non rispondere o di rispondere in bala, {unclear}perchè{/unclear} in Firenzo è noto insino a'facchini {unclear}cho{/unclear} agombrare si piglla por portare, e par loro che quella parola vana e oclosa easielvotreggi, e anco la seconda ne sappia alquanto; e mi ricercate che io vi debbia dire il parer mio; il che io, se bene sono occupatissimo in altri e diversissimi studi, non posso ne debbo nè voglio non fare.

E prima lodo la dolce natura e prudenza vostra, la quale s'è resoluta prima di rispondere, e poi di rispondere umanamente, come al suo e a tutti gli altri gentili spiriti si conviene; e se bene pare anche a me che quella parola vana e ociosa tenga un non so che di M˙ Lodovico Castelvetro, tuttavia questo che fa alla dispusputazione? Confesso ancora che in Firenze è notissimo infino {unclear}a'facchini{/unclear}, anzi {unclear}a'facchini{/unclear} più che agli altri, che sono quegli i quali portano le robe che si sgombrano. che sgombrare vuol dir portare. Ma voi avete a sapere che coloro i quali non sono nati in una lingua, o non l'hanno apparata da coloro che nati vi sono, convengono dubitare in moltissime cose, le quali a cui è la lingua naturale sono più che notissime; anzi vi voglio dire più oltra, che quegli stessi che hanno la lingua naturale dubitano bene spesso, ancora che siano dottissimi, di cose che a coloro che sono idioti, sono manifestissime. Cicerone, il più eloquente uomo che mai fosse e di quella dottrina che sa ognuno, errò nello scrivere una pistola a Pomponio Attico. ed ebbe a imparare da un barcaruolo quello che volesse significaro inhibere remos. Ma che più? Quando Marco Agrippa, avendo fatto edificare il tempio chiamato allora Pantoon e oggi S˙ Maria Ritonda, voleva fare nel frontespizio l'inscrizione, si ragunarono tutti i dotti di Roma; e perchè egli volendo aggiungere al nome e cognome suo come era stato tre volte consolo, non sepper mai quegli nomini dòttissimi risolvere tra loro, se latinamente favellando s'aveva a dire tertio consul, o tertrum consul: e per ultimo rimedio presero di non vi porre ne nell' un modo ne nell'altro, ma di farvi tre I, ciò e tre uni, affine che chi leggeva potesse pronunziare e tertio e tertium. secondo che credeva che meglio stesse.

Ma per venire a quello che voi mi domandate, l'autore della prima polizza, chiunque egli si sia, confessa che so sgombri s' interpreta per porti e con ella idest seco che cotale locuzione starebbe benissimo ogni volta che si trovasse in alcun luogo che sgombrare volesso dire portare; e l'autore della seconda polizza crede esser vero che sgombrare non si truovi appresso lodato scrittore in significato di portare; la qual cosa è tanto lontana dal vero, per mio giudizio, quanto le cose che ne sono lontanissime. Non si dice egli a ogn'ora in Firenze: io ho fatto sgomberare tutte le mie masscrizie, ciò è, fatto portare d'una casa in un'altra? Quante volte si son mandati i bandi che comandano a ogni e qualunque persona che tutte le vettovaglie si sgombrino ne'luoghi forti, ciò è si portino? E se diceste, e'non vorranno credere a quello che si favella in Firenze, allora avreste ragione di rispondere, perchè di questo verbo non è dubbio nessuno in Firenze, e s'usa indifferentemente così da'dotti come da'laici; e io vorrei sapere quello che volle significare il Petrarca quando disse, ond' è tratto o imitato il concetto vostro,

Tolto ha colei che tutto 'l mondo {unclear}sgombra{/unclear}?
E che volle egli significare altro quando disse:
Ond'io perchè pavento

Adunar sempre quel che un'ora sgombri, ciò è tolga e porti ria? Nè mi par vero quel che dice la prima polizza, e la seconda conferma, ciò è che 'l vero significato di sgombrare sia votare, scacciare e mandar via; che se 'l vero e 'l propio significato fusse questo, si potrebbe dirc: to ho fatto sgombrare il pozzo, ciò è votare; tu hai sgombre le tue botti, ciò è votate, e altre cotali locuzioni ridevoli. I soldati sgomberarono di piazza non vuol dire votarono la piazza, ma sì bene, partendosi di piazza la lasciarono vòta di loro; ma se dicessi, i soldati sgombrarono la piazza, direbbe ottimamente chi dicesse votarono. Che sgombrare non significhi propiamente scacciare e mandar via è chiaro per sè; perchè chi dice il tale ha sgomberato la casa, non vuol die lerata e cacciata via, ma votata di masserizia; e chi sgombra il paese, si va con Dio, non caccia via.

Quanto alla parola vana e oziosa, a me non pare così; anzi vi sta con leggiadria, come quando il Petrarca disse:

Di me medesmo meco mi vergogno. E con esempio più al proposito disse altrove: aprir vidi uno speco, E portarsene seco La fonte e 'l loco ec.

E il parlar quotidiano non usa quasi mai altramente: e se bene in quanto al significato è il modesimo a dire, il tale se ne porta ogni mio bene, e il tale se ne porta seco ogni mio bene, nondimeno l'eleganze delle lingue consistono in simili parlari, Io vengo teco, sa ognuno quello che vuol dire, e che è buon parlare senza aggiugnervi altro; e pur si dice molte volte, io vengo con teco, contra la locuzione latina. E m' è paruto strano, per dirvi ogni cosa, che uno volendo dichiarare il significato vero del verbo sgombrare, dica che ogli significhi votare, scacciare e mandar via: che domino ha da fare votare con iscaceiare o mandar via? favellando proplamonte. Dovoto dunquo sapore, o {unclear}dì{/unclear} qui ponso lo che sla nato il costoro errore, che nessun vorbo ouò avere più che un vero e propio significato, e tutti gli altri che se gli danno, sono o metaforici o accattati. Ma qui bisognerebbe entrare in un lungo discorso, il che non posso fare ora, sì per lo essere io stracco, e sì perchè sono più di tre ore, e io voglio ire a mangiare un poco per andarmi a riposare.

Io vi manderò domattina questa per Nanni, che menerà il cavallo a M˙ Bartolommeo. Raccomandatemi a lui, e state amendue sani, che Dio vi prosperi sempre. Non voglio lasciar di dire che 'l pigliare sgombri in luogo di si sgombri, non mi piace: e quel Padre che voi dite ch' è sì dotto, mi pare che l'intenda benissimo ec.

(28) Di Laura Terracina, rimatrice del tempo della Battiferra, v. il Tiraboschi, Storia della lett. ital., vol. VII.

(29) Questa e la seguente lettera non si può dire con sicurezza in qual anno fossero scritte, e perciò le ho poste in seguito alle altre di data certa. Mi sembra però che la presente debba ritenersi tra le prime indirizzate da Laura al Varchi, considerando il pensiero che la informa.

(30) Nella stampa de' Giunti il verso è quale lo scrisse Laura, cioè:

« E se mai nulla fui, saraggio o sono. »

(31) Credo che questa lettera sia scritta nel 1560, quando si preparava la Stampa Giuntina delle Opere Tascane di L˙ B˙

Finito di stampare in Bologna presso la
Libreria Editrice Forni nell'Ottobre 1968