All'alzar della tenda si vedrà la Valle di Flegra ed i monti Pelio, Olimpo, ed Ossa fulminati e travolti. I tronchi quà e là fumanti e divelti; i dirupati massi, gli archi, i dardi, dispersi per la Scena, ed i fuochi in più parti non bene estinti daran segno della successa famosa battaglia de' Giganti. In qualche distanza si vedrà pur anco il fiume Peneo, che tra rupi scoscese straripando, seco porta gli avanzi e le spoglie del conflitto.
ERCOLE, NUTTUNO
Che minacciò catene
All' egro germe umano
Pace ritornerà.
E al suo tranquillo ulivo
Di Pallade e Gradivo
Il lauro intreccerà.
Più bello il Sole allora
Questo di gioja privo
Terreno adornerà
Il lauro intreccerà.
Di stragi e di ruine,
Il ciel la terra e l' onda
Pace risonerà.
Al Nome suo giulivo
Il lauro intreccerà.
Rosseggiò questo suol, corsero i fiumi.
Pace, compagni Numi,
Rieda da noi chiamata
La terra a rallegrar.
E di Titano i figli,
Di Giapeto i seguaci
Sperar la ponno dagli offesi Dei?
Quand' ei con ferreo scettro,
Protetto da Fortuna,
I popoli reggea,
Chi contrastar potea
Al suo pravo voler? l'alme più schive
Vinse ed assoggettò, chè seppe accorto,
Arte ria de' tiranni,
Ordire insidie e macchinare inganni;
Tal che al fulgor bugiardo
Di sue vantate gesta illuso e cieco
Il volgo trasse a folleggiar con seco.
Ricada la vendetta,
Che a lungo provocò
Nettun, non dubitar, de' falli suoi
La meritata pena.
Di morte assai peggior; in odio a tutti,
Gravoso a sè, d'onta coperto, ovunque
Si aggiri, in sè ritrova
Il nemico più fiero; di sua gloria
Vede il dì tramontar; l'insegue a tergo
Disperato furor; gli latra in petto
Del sangue, che a torrenti
Improvvido versò, tardo rimorso;
E de' suoi propri falli
Consapevole appien, sa che il suo scempio,
A' posteri sarà misero esempio.
Su' fulminati massi
Alle future età
Scolpita rimarrà
Di Giove l' ira.
Che se talor sospende
Il giusto suo furor,
Il braccio punitor
Già non ritira.
Di costui la baldanza, e il folle orgoglio,
Che l'are a noi contese, e a Giove il soglio?
Forse gran tempo innante;
Ma figlia al gran Tonante
Pallade lo protesse; ella tradita,
Poichè si vide, l'egida possente
Sul rubello crollò. Corrono al segno
Le inulte Deità; tu il gran tridente
Impugni irato; io la nodosa clava,
Usa i mostri a domar; Febo gli strali,
Marte il brando fatal, Giove il suo telo,
E tutto in armi parve insorto il cielo.
Di più felici dì, vien fra la schiera
Delle canore Dee, dell' Arti belle
A rivedere il suol fin dalle stelle.
LA PACE e DETTI
Posa all' ombra degli allori,
Bella Pace del ciel figlia;
Sulle tremole tue ciglia
Torni il riso a lampeggiar.
Bella Pace a riposar.
Fulminate e senza fronde!
Di Penèo le torbid' onde
Van sanguigne in grembo al mar!
A un girar delle tue ciglia
Torna il suolo a germogliar.
Scosse alfin la stanca terra,
Fin le sedi osò crollar.
L' onda torbida, e vermiglia;
Torna il suolo a germogliar.
Il tuo
Il mio aspetto rassereni.
Bella Pace a riposar.
CORO
A un girar delle tue ciglia,
Bella Pace del ciel figlia,
Torna il suolo a germogliar.
Delizia degli Dei,
Degli uomini desir. Ovunque miri
Ti diran queste rupi, e questi sassi,
Que' fulminati massi, e queste prive
D' ogni antica beltà misere sponde,
Che l' umana superbia il ciel confonde.
Oso appena inoltrar; tanto l' idea
Delle nere vicende,
Che sopportai sin or, cauta mi rende.
Oggi il fato prepara, onde respiri
L' oppressa umanità.
Di lei sin or mi dolse, ed al suo grido
Sovente accorsi; ma il crudel Giapeto
Mi abborriva in secreto, e mentre al seno
Amico mi stringea
L' acciar non deponea, nè il reo pensiero
D'usurpare a gli Dei del ciel l' impero.
Ah fallaci lusinghe! era la calma,
Che m'invitò, lampo di cielo estivo,
Che la nube colora,
Ma non scema l' orror! Ecco ridesta
Di Bellona la face, ed ei l'innalza;
Ei, che già meco patteggiò tranquillo
Il mio culto osservàr; fuggo, nè trovo
Angolo sì remoto,
Che turbato non sia dal suo furore:
Tolto al campo il cultore, al padre i figli,
Il consorte alla sposa, era per tutto
Pianto, lamenti e lutto;
Deserte le capanne, i tetti voti,
E in fuga volti i Numi e i Sacerdoti.
Quando al pensier si affiaccia
L' idea del mio periglio,
E la fatal minaccia
Del mio penoso error;
La lagrima sul ciglio
Sento, che a stento affreno;
Nè cessa in questo seno
Di palpitarmi il cor.
Al tuo leggiadro ciglio
Ritorni il bel sereno,
E cessi omai nel seno
Di palpitare il cor.
De' Giganti la rea
Proterva stirpe in duri ceppi avvolta,
O viva ancor sepolta
Di quegli orridi massi
Sotto l' enorme pondo,
Pace l'impero avrà del ciel, del mondo.
Per te il pastorello
Al gregge si atterga,
Che un tempo la verga
In brando cangiò.
Più turba la calma,
Per cui più d'un'alma
Nel petto trernò.
Le larve affannose
Di madri, di spose
Non turbino il cor.
Per me si rinnovi
Il secolo antico,
E in nodo pudico
La fede e l' amor.
Sorrida tranquilla,
Nè bellica squilla
Spaventi il pastor.
Giorno giungesti alfin!
Sì bel giorno vedrà. Fugge sconfitto
Colui, che reso audace
Di fortuna fallace
All' instabil favor, sorse nel grido
Di sua fama, che in aura or si risolve;
Siccome si dissolve,
Quanto più sorge tortuoso e vago,
Basso vapor che s' innalzò dal lago.
Così, se puoi, nell' onda
Ricerca un' orma, un segno
Di quel velato legno,
Che prima la solcò.
Dell' Aquila che vola
De' venti per la via
Dimmi, se puoi, qual sia
La traccia che lasciò?
E del fiero Titan, di Lete in seno
Si sommerga per sempre; stagion venne
Di giubilo, e piacer; poichè del Fato
L' immutabil consiglio vuol tal opra
Alla tua man commessa,
Che avrai larga mercè nell' opra stessa.
Senza culto, nè onor di lito in lito
Vagan sin da quel dì, che il soglio avito
Gli usurpò l' empietà. Tu gli ritorna
All' antico splendor; fa che pietosi
Degnin gradire i voti
De' popoli devoti
Già stanchi d'abbruciar sull' are incensi
A gl' idoli bugiardi.
Vanne ... ma a che gli sguardi
Al cielo affissi? ond' è che sì frequente
Cangi aspetto e color? perchè gli accenti
Incominci e confondi
Dubbia e incerta così? parla, rispondi.
Del remoto avvenir a me si schiude!
L' inspirate sue labbra agita e move?
Scorgo gli esuli Numi
Quà e là dispersi, erranti;
Che del mondo i regnanti
Alla natìa lor Sede
Pur anco guiderò ... presago vede
Il mio sguardo e si spinge
Ne' secoli remoti ...
Io della Patria i voti
Ecco raccolgo, ed ecco la vittoria,
Arbitra delle pugne,
Le mie chiome circonda
Di verde lauro e di palladia fronda.
Se tale immagine
Veduta in ombra
D' un dolce tremito
Il cor m' ingombra,
Che fia se cangiasi
In verità?
Oh come emergono
Gli augurj lieti!
Come si volgono
Fausti i pianeti!
Che cento piovono
Felicità!
Veduta in ombra
D' un dolce tremito
Il cor t' ingombra,
Che fia se cangiasi
In verità?
Al suono di lieta sinfonia si cangerà il teatro in uno splendido cielo sparso di nuvole luminose; in mezzo ad esse una più dell' altre lucida a poco a poco aprendosi mostrerà il ritratto di FRANCESCO e di BEATRICE D' ESTE intorno al quale disposte in gruppo si vedranno la Fama, la Pietà, la Virtù e la Clemenza.
Della futura speme
Splendido raggio le balena in viso!
Più la sua fronte abbella!
L' arbore eccelsa e nove fronde veste;
Tu sei, Genio d' Ateste,
Che reggi il volo dell'argenteo augello,
Che è di Giove ministro.
Ma chi dal gelid' Istro
Del Panaro alle piagge
Move, e splende qual sol? A lui d'intorno
Indivise compagne
Stan Clemenza e Pietà; Virtù gli è guida,
Lo precede la Fama; al regal volto,
Al gentil tratto ... il riconosco, è questi
Il gran FRANCESCO, che l'Estense pianta
Sulla natìa sua riva,
Che il nembo già sfrondò, rinverde e avviva.
Ei de' popoli fidi
Alle fervide brame
Rende propizio ciel; nè saggia meno
È colei, che al suo fianco
Miro Sposa felice
Illustre BEATRICE ... Ah sì bel nome
Riverito da' Numi, oh quai memorie
De' popoli devoti in sen ridesta!
Questa, pur anco, questa
Donna real sarà delizia e speme
D' ogni cor, d' ogni mente,
Chè, l' origin celeste in Lei non mente.
A tanto ben;
Sì gran felicità!
Questa de' pensier miei
Cura e primo pensier, che in mezzo all'ombre
Del futuro rimiro, perchè tante
Di sua grandezza lucid' orme imprime;
Questa Coppia sublime
Germe di Semidei, prole di regi,
Di concorde voler si onori e pregi.
Stirpe d'antichi Eroi;
Mira FRANCESCO, e poi
Cessa di palpitar.
Della sua gloria pieno,
Corri dell' Adria in seno,
Porta novella al mar.
Insuperbir ti lice,
L' Eccelsa BEATRICE
N' è dato rimirar.
Del trono lo splendore,
Che sull' amante core
De' popoli regnar.
Battono intorno i vanni,
Chi mai gli andati affanni,
Chi mai può rammentar?
Quasi dall' onde assorto,
Spinse l'infermo legno
Lo sdegno = oblia del mar.
Virtù, Clemenza sono;
Oggi più belle in trono
Tornano a scintillar.
I lacrimosi danni.
Chi mai può rammentar?
Bella è del sol la face;
Dopo le pugne in pace
È bello riposar.
Viva per noi molt' anni,
Chi mai gli andati affanni,
Chi mai può rammentar?