Aganoor Pompilj, Vittoria (1855-1910)

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Vittoria Aganoor nasce a Padova il 24 maggio 1855, da Edoardo e da Giuseppina Pacini. Edoardo Aganoor (1822-1891) discende da una nobile e ricchissima famiglia, originaria dell'Armenia, che nel secolo XI si era trasferita in Persia, nell'antica Joulfa (o Guilfa -- come la denomina Vittoria descrivendo a Guido Pompilj le origini della sua famiglia). Successivamente, la famiglia, su consiglio dei padri mechitaristi, migra in Francia, stabilendosi per qualche tempo a Parigi, dove contribuisce a costituire un collegio per nobili armeni -- il collegio Raphael e il collegio Moorat -- prima a Parigi e, successivamente a Venezia. Edoardo sposa nel 1847 la nobile milanese Giuseppina Pacini, fissando la propria dimora a Padova, nella «Casa degli Armeni» in Prato della Valle. Vittoria trascorre l'infanzia e la giovinezza nella «casa aperta su quel prato», in compagnia delle sue quattro sorelle: Angelica, Virginia, Mary ed Elena.

Riceve fin da giovinetta un'ottima educazione letteraria da precettori illustri come il poeta e traduttore Andrea Maffei e l'altro poeta e professore all'università di Padova, Giacomo Zanella. Di questo percorso formativo sono tangibile testimonianze le lettere che Vittoria indirizza all'abate vicentino, informandolo sulle sue letture appassionate dei classici: il Canzoniere e i Trionfi di Petrarca, la Commedia di Dante, ma anche dei narratori e poeti contemporanei sia italiani che stranieri, da Fucini a Fogazzaro, da Prati al primo D'Annunzio. Mostra inoltre una discreta attrazione verso la letteratura europea: la affascinano le letture di Baudelaire e Heine, Scott e Lessing, Runeberg e Byron. Segue con attenzione la cronaca letteraria dalle pagine del «Fanfulla della Domenica», dell'«Illustrazione Italiana» e della «Rivista Nuova di Napoli». Alle letture si alternano le prime composizioni poetiche, esercizio personale di scrittura, affinamento delle capacità espressive nelle ricerca delle armoniose sonorità della parola poetica. Così, poco più che ventenni, grazie alla malleveria dell'abate Zanella, Vittoria e la sorella Elena vedranno pubblicati sulla «Nuova Antologia» due loro componimenti poetici.[1] L'impegno magistrale dell'abate nei confronti delle cinque sorelle Aganoor diventa con il passare del tempo un legame profondo, intimo. S'intravede il sorriso benevolo dell'anziano precettore dietro le lettere di Vittoria dai toni spesso giocosi e spavaldi, ornate di scherzosi disegni o con le sue cifre patronimiche variamente cesellate sulla carta.

Il trasferimento della famiglia da Padova a Napoli nel 1876, per offrire migliori possibilità di cura alla malattia nervosa che comincia a manifestarsi nella giovane Mary, coincide con la prima delusione d'amore di Vittoria. Dopo un breve fidanzamento con il veneziano Pasquale Grimani, discendente di dogi ma privo di corona dogale e soprattutto di risorse economiche, da cui si era lasciata ammaliare, Vittoria incoraggiata da amici e familiari si disimpegnerà definitivamente nell'autunno 1877, riacquistando la sua libertà. Qualche anno dopo sarà la presunta affinità intellettuale con Domenico Ciampoli, novellatore e romanziere di origine abruzzese trasferitosi a Napoli, ad esercitare su di lei un fascino seduttore. Diventato assiduo frequentatore di casa Aganoor, Ciampoli fa tradurre in greco un componimento di Vittoria, Nonè amor, la cui traduzione si scoprirà poi non essere fatica sua bensì di un amico compiacente. Vistosi messo in disparte e allontanato dalla famiglia, Ciampoli escogita una piccola ritorsione, minacciando di pubblicare un componimento in versi martelliani carpito a Vittoria con l'inganno. La vertenza viene ricomposta senza rumori, ma ferita nell'orgoglio la giovane sente incrinarsi la sua fiducia verso il prossimo e, nell'amarezza profonda dell'anima, scopre suo malgrado che «l'ingegno ha fascini traditori e diventa arma terribile in mano ai tristi».[2]

Spronata dall'abate Zanella e da Maffei, si immerge sempre più negli studi e negli esercizi poetici -- di cui sta già dando ottime prove -. Corteggiata per la sua bellezza esotica, per la vivacità dello spirito, per la fama che ormai la circonda di giovane donna colta e raffinata, si sottrae a vincoli troppo impegnativi, coltivando un suo sogno d'amore e mantenendo un ritmo di vita attivo intellettualmente, partecipando con entusiasmo alle cose del mondo: letture di libri e di giornali, frequentazioni altolocate e sempre oculatamente selezionate, visite ad Esposizioni, mostre, conferenze, corrispondenze epistolari intense con letterati, artisti, professori e poeti (da Ciampoli a Nencioni, da De Gubernatis a Checchi, da Cimmino a Gnoli, da Chiggiato a Orvieto). Pur anelando ad amicizie profonde, a legami duraturi e «dell'anima», Vittoria insegue un suo ideale di perfezione artistica, desiderosa di immergersi nel bello dell'arte e della letteratura con quella «libertà» che, sotto l'occhio vigile ed accorto della madre Giuseppina, ha sempre respirato nella casa paterna.

Quando, sul finire degli anni '80, la famiglia ritorna nel Veneto per stabilirsi poi definitivamente a Venezia, Vittoria apre nella sua casa veneziana, al Ponte dei Greci, un piccolo salotto aristocratico. I frequentatori del salotto Aganoor sono giovani poeti, giornalisti, scrittori che cercano una visibilità sociale, qualche volta una malleveria illustre. Arrivano al Ponte dei Greci col manoscritto in tasca, attratti dalla fama e dall'ingegno della «aristocratica poetessa» armena, spesso corazzati di incorreggibili ideali e di reminiscenze letterarie, ma ben desiderosi di muovere i primi passi e di dar prova dei loro talenti nelle «officine della letteratura».

Dalle lettere ancora inedite con Fogazzaro rimbalzano i nomi di alcune giovani promesse letterarie verso le quali Vittoria assolve una funzione di maternage: nel maggio del 1897 presenta allo scrittore il poeta Angiolo Orvieto e poco dopo prende le difese di Giovanni Chiggiato, giovane poeta e giornalista, in occasione della pubblicazione del suo primo volume di versi.

Un po' defilato dal palcoscenico della vita mondana veneziana, il salotto Aganoor ricerca, con aristocratico riserbo, la medietà, dentro lo scudo invisibile delle convenienze sociali consolidate: si produce poesia, si coltiva la musica, si apprezzano le arti figurative.

Dopo la morte del padre nel 1891, dello stimatissimo amico Nencioni nel 1896, della madre, nel marzo del 1899, Vittoriaè sopraffatta dal dolore e dal forte sentimento della perdita, ma accetta finalmente, dopo tanti dinieghi, l'offerta dell'editore Treves di Milano di dare alle stampe i suoi versi, un corpus di componimenti distillato ed essenzializzato da una gestazione di circa tre lustri.

Il volume, con il titolo di Leggenda eterna, uscirà ai primi giorni di maggio del 1900. In coincidenza con l'uscita del volume, il nome di Vittoria Aganoor rimbalza sulle colonne delle riviste letterarie e i giudizi sulla sua opera sono tutti favorevoli ed incoraggianti. Nel giugno, viene accolta come una «regina» nei salotti aristocratici napoletani. Di questa sua presenza smagliante nella città partenopea,è cronista fine e insuperabile Salvatore Di Giacomo, che dalle colonne dell'«Illustrazione Italiana» fa un reportage del ricevimento offerto dalla principessa Antonia di Tricase in onore della poetessa.

È dell'estate '900 l'intenso carteggio con Francesco Cimmino, che la ama appassionatamente, mentre sul finire dell'anno incontra, probabilmente a Venezia, il deputato Guido Pompilj, che diventerà suo marito il 28 novembre 1901.

Dopo il matrimonio, Vittoria continua la sua attività intellettuale e poetica: nel 1903 esce una nuova edizione di Leggenda Eterna e nel 1908 escono le Nuove liriche.

Finalmente, Vittoria assapora quella douceur de vivre che aveva invano cercato per tutta la vita. Ora divide il suo tempo tra la casa perugina che si affaccia sulla Piazza Maggiore, di fronte al Palazzo dei Priori, e la villa di Monte del Lago, dalla cui terrazza può ammirare il pacato e armonioso paesaggio collinare umbro che circonda il Lago Trasimeno. Nella primavera del 1907, assieme al marito,è al seguito dei Reali d'Italia in visita di stato in Grecia.

Muore nella notte tra il 7 e l'8 maggio 1910, in una clinica romana, per complicazioni intervenute in seguito ad un intervento chirurgico a cui era stata sottoposta. Il marito, non tollerando l'idea di continuare a vivere senza di lei, pone fine tragicamente ai suoi giorni con un colpo di rivoltella. La duplice morte suscita nel mondo letterario e politico italiano unanime compianto ma anche molto scalpore. Per molti giorni le prime pagine dei giornali parleranno del tragico evento.

Notes:

1) Le due poesie (intitolate A una bolla di sapone e Melanconia) sono precedute da una epistola poetica di G. ZANELLA, Ad Elena e Vittoria Aganoor, in «Nuova Antologia», XI, 1876, s. II, fasc. 8, pp. 850-51.

2) Lettera di Vittoria Aganoor a Giacomo Zanella, datata da Napoli, 2 agosto 1883, in V. AGANOOR, Lettere a Giacomo Zanella (1876-1888), a cura di A. Chemello, Venezia-Mirano, Eidos, 1996, p. 123. Tutti gli eventi ricordati in questa pagina sono ampiamente documentati nel carteggio con Zanella.

Submitted by Adriana Chemello, Università degli Studi di Padova, 2004


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