IL FIDAMANTE
POEMA EROICO
DELL'ILLVSTRISSMO SIG.OR
CVRTIO GONZAGA,

RICORRETTO DALVI, ET DI NVOVO RIstampato,
aggiuntiui gli Argomenti dell'Illustre, & virtuosiss.
SIGNORA MADDALENA CAMPIGLIA,
& con le Moralita dincerto Autore.

CON PRIVILEGIO.

IN VENETIA.
All'insegna del Leone 1591.

NOVA Troia rifonda RADAMANTO E Berenice, e'l FIDO à lui sen vanno. Ma d'Orcan sopragiungon Nuntij intanto Che l'inuitan d'Europa à vnir si al danno. Poi, del Rè di Sicilia vn Messo à canto Gli manifesta il fraudolente inganno Fatto à Tancredi (toltogli la viia Da Faraote) onde gli chiede aita.

PER Radamanto, che cosi magnificamente riedifica Troia, & largamente raccoglie gli Hospiti suoi, & benignamente dà audientia à coloro, che gliela ricercano, non deliberando cosa senza il suo Senato, & che vl timamente ripieno di pietà & di religione confida in DIO. S'insegna, che vn vero, & buon Prencipe douerebbe essere principalmente di tutte queste virtuti ornato. E per Berenice, che conduce il Fid'Amante à domandargli l'arme d'Achille. Si dimostra, che con la scorta della pruden za, & del merito, si deue hauere baldanza di ottener ogni gratia da generoso Signore.

ORSA, che fuor de la commune gente Alzasti lo mio tardo ingegno humile; Tu che d' Apollo, sei spirito & mente Dimmi quel FIDO CAVALIER gentile, Ch' acquistò amãdo ALMA di gloria ard&etilde;te, Cui forse vnqua non fù pari, ò simile, (TÈ sol rimossa) in qual si voglia etate Di valor, di bellezza, & d'honestate. Quando al suo nome sol, gran Duci, & Regi Tremar, non ch'à l'inuitta forza, e à l'armi; Quinci à tua gloria i fatti alti, & egregi, Scolpir più saldo che'n metalli, e'n marmi, Bramo, & fregiar me d'honorati pregi Di lui cantando in sì lodati carmi, Che l'opra mia da l'vno, à l'altro Polo Pari à tanto valor sen vada à volo. Ese gran tempo, e infino ad hor celato Al glorioso Italico suo nido, Et con lui insieme à tutto'l Mondo è stato Di cosi chiaro CAVALLIRO il grido, D'ogni valor, d'ogni virtute ornato, E'l più d'ogn'altro Amante illustre, & fido, Degno del Cigno sol, che cantò Vlisse; O di quel, che d'Enea tant'alto scrisse.
LA Grandezza d'Orcano, e'l suo felice Stato si conta, & che uuol farsi un DIO. Che per suoi Nuntij, Apollo gli predice Cõ dubbie note, il fin suo auuerso, & rio. Quinci arder uuol suoi Maghi, e poi gli elice Dal foco, & con lor parte il uan desio. Ma consulta, & risolue Radamanto Et narra, poi quel che gli au&etilde;ne in Mãto.

PER Orcano, che di buon Prencipe diuenta empio Tiranno, e riempiendosi di superbia ingiuria Apolline, cercando con arti diaboliche di deificarsi. Si denota, che i Prencipi, che non temono DIO, e si danno in preda all' otio, & à i sensi, perdono ogni buon costume, e precipitano in ogni più enorme errore. Per Radamanto, che vdito il parer de suoi si dispone ad aiutar i Rè S'insegna, che vn saggio, e buon Prencipe, non guardando à qual si voglia interesse, deue sempre abbracciare, & fauorire la giustitia. E vltimamente. Che l'istesso conti la buona, & rea sorte occorsali in Mantona. Ci amonisce che non dobbiamo fidarsi di questo falso Mondo che spesso doppo vna gran ventura ci apparechia vna maggior disgratia.

REGNAVA Orcano sopra ogni al tro allhora Grande, & possente, & fortuna to in terra. Quãdo colà, doue leuar l'Aurora Si scorge in Ciel, ciò che di terra, in terra, Allumar suole; & ciò che dentro, & fuora, Quel sì uasto Ocean circonda, & serra, Affrenaua egli; & dritto à l'altro Mare Scorrea, fin doue il Nilo ultimo appare. Quindi girando al destro fianco intorno, Lo Scitico, con quel de i liti Eoi Pelago uniua; & quasi intorno, intorno, Al freddo Plaustro sen gia infino; & poi Volgendosi al sinistro, il mezo giorno, Con assai maggior spatio, ei tanti suoi Lidi, & Isole ancor di seno, in seno, Si rinchiudea con tuttii i Mari in seno. Indi l'antica origine traea Famosa, & chiara per molt'anni, & lustri, Da Belo, & Nino; & d'ambo lor tenea Le statue d'or, fatte da Mastri industri; Et da tutti i suoi popoli, le fea Adorar ne'suoi Tempij eccelsi, e illustri, Non men, che Gioue, & Marte; a'quali dui Soli offriua egli i sacrificij sui. Cosi tacendo fuor per gli occhi un fiume Sparge di pianto; & poi comãda, & vuole, Che s' apprestin gli altari, & si consume Nouo olocausto'in sacrificio al Sole; Tosto che'l giorno col seguente lume Torni à illustrar questa terrestre mole, Perche felice il caro Hospitio renda, E'l desiato don da lui si prenda.

IL FINE DEL SECONDO CANTO.

FATTOSI à Berenice, Radamanto, Gli chiede ella d' Achille in don l'arnese, Per lo fedele; & conta poi ch'in Manto Nac&qtilde; ella, et come del Guerrier s'accese, Et da mort' empia il trasse; ne di tanto Contenta, à la sua bella Amante il rese, Che'l mandò al fiero incãto; et piglia poi L'usbergo in don, sculto di chiari Eroi.

PER Berenice ch'à prima vista s'innamora di Gonzago, & lo chiede per marito. Si dimostra Ch' amor' in cor gentil ratto s'apprende. & per Gonzago che non cura di perder la vita per mantener la sua fede incorotta, acquistandosi il nome di Fidamante; s'insegna ch'ogni buon Caualiero ciò far douerebbe. Et per Drusilla che impregiona Gonzago per farlo morire, si denota quanto lo sdegno habbia forza in cuor di Donna, & ch'egli è pericoloso l'opporsi al voler de Grãdi, & finalm&etilde;te per Berenice che lo spregiona e lo conduce alla sua inamorata, si vede che i Sauij se b&etilde; si lasciano tal uolta trasportare dalle passioni, & da gli affetti, fanno nõdimeno dapoi far forza à se stessi, e non solo correger gli errori commessi, ma spesso in virtu ritornarli ancora.

STANCO omai di girar verso la sera, Sc&etilde;dea à posarsi il Sol ne l'ampio letto; Et le N&eiilde;fe marine à schiera à schiera Parean goder del fiammeggiante aspetto; Et già in parte al gran duol sottrato s'era L' Imperadore, & con benigno affetto Per secreto sentier riuolto, doue La Donna, e'l fido Caualier ritroue. Quindi l'inuita, che com andi, & cheggia Non una sol, ma cento cose, & mille; E'l tutto le offre, et uuol ch' aperto veggia, Come di compiacerla arda, & sfauille; Et pur ch'à pieno al suo desir proueggia, Non si curin tesor, Cittadi, ò Ville; Ond' ella à lui gratie infinite rende, Et così humile à fauellar riprende. Il don, ch'io bramo alto Signor, da voi, Grande è per certo; ma più è grande assai Vostro real cortese animo, à cui Simil non scese in terra altro giamai; Pur sappiate, che grande è di costui Il merto ancor, qual ui fia noto homai, Et per mia lingua, & per mill' altre, tanto, Già di sue proue esparso il grido, e'l uanto.
NARRA àl' Imperador il Fido Amante La mirabile nascita, e'l valore, La pietà, e'l zelo, &, le uittorie tante, E'l triunfo superbo, e l' alto honore; Et la beltà della sua inuitta Amante Infinità, & com'ei n' hauesse il core Per lei piagato, & arso; & qual di lui Proue fesse ella, coi comandi sui.

PER la Mogliera del R&etilde;, che' cõ prud&etilde;tia disimulando l'offesa fattali da lui, cautamente racquista il suo amo re. S'insegna che le Mogli deueno con patíentia tolerar'i torti de Mariti perche cosi finalmente gli fanno reueder de loro errori, & se gli rendono più beniuoli. Et per Vittoria che conduce i Nemici del Padre in trion fo, si dimostra ch'altri nõ dee perder l'occasioni che si appresentano da mostrare il valor suo, & appresso come habbia da essere, & da gouernarsi un buõ Capitano per vincer i suoi Nemici. Et di più che i figliuoli ch' usano pietà verso i Padri vengono fauoriti de Dio. Et vltimatamente per Fidamante, ches'innamora di Vittoria, side nota, che gli animi grandi, non dubitano di porsi ad ogni grande impresa.

ALTA Dafauellar matera, & cara, Signor m'imponi; e'l rim&etilde;brar mi gioua; Quãdo vdrai Donna, & bella, e illustre, et rara, Cinta di gloria inusitata, & noua; Dal cui sguardo diuin, ciascuno impara Vertù, si che d'alzarsi al Ciel fà proua, Fida del uiuer mio scorta, & sostegno, Et d'ogni mio pensiero unico segno. Ma forse fia, ch'in ragionar di lei Troppo alto obietto à le mie note humili, Scemi quel gran valor, ch'arder gli Dei Ha forza, e i cor uillan render gentili; Mail pur dirò, ch'in tanto almeno i miei Tornando in tutto a' tuoi desir simili Scemar del duro essilio in parte io spero L'affanno, ond'io m'ancido, & mai nõ pero. Del Magno Sir, che l'inclita, & reale Hesperia affrena, ĩ pace illustre, e'n guerra; Cui da due fianchi l' Oceano assale, E'l Mar Mediterraneo l'altro serra; Nacque questa gentil Donna immortale, Che d'ogni antica homai la gloria atterra; Forte ne l' armi, & ualorosa tanto, Ch' à tuttii più famosi ha tolto il uanto.
Segue in contar la gloriosa, e degna Giostra, e'l superbo, & pellegrin sembiãte, E'l gran valore, & la leggiadra Insegna Il Fido di sua bella inuitta Amante, Poi d ogni Giostrator le imprese segna, Ei colpi; e come ei trasse l'arrogante Angluro à morte. Indi si parte, e poi; Nauiga Berenice à i lidi Eoi.

NELLA giostra di Vittoria s'insegna in quante nobili & leggiadre maniere d'Imprese, di motti, & di diuise possano i gentili & garbati Caualieri scoprir all'Amate, gli affetti, & le passioni dei cuori, & de gl'animi loro, & per lo cõtrario quali s'habbiano à schiffare, per nõ diuenir fauola delle genti. Et per la morte di Bucefallo, & d'Agrismonte per man di Vittoria, & per quella d'Angluro per man di Fidamante si denota ch'i superbi & insolenti ne riportano quasi sem pre il debito gastigo Et per Berenice che và à trouar Proteo si denota, che gl'alti ingegni molestati da qualche desiderio, non s'acquetano mai fin che non trouano la strada da conseguirlo.

HOR già più giorni la grã giostra hauea Fatto innanzi bandir l'alta Guerrera, Che mostrar quãto in arme ella potea Al caro Padrè, & à la Patria spera; Et con sommo ardir sola anco intendea Di porsi in proua con sua destra altera; Et sfida ogn'huõ, che spada, et lãcia uaglia In ben forte adoprar seco à battaglia. Et d'hauer finge con souran fauore Del Ciel, legato il traditore Arciero, Che d'otio nasce, & di lasciuia more, Ch'a' suoi più fidi, è più infedele, & fiero, Ch'vsurpaua il diuin nome d' Amore, Et che d'arder gli Dei n'andaua altero; Et d'abbruggiarlo, altrui mal grado, int&etilde;de S'alcun contra il poter suo nol difende. Et di simil tenor forma vn Cartello. Che per quanto adoprar possa vn' Amante In ben seruire à generoso, & bello Obietto illustre di due luci sante; La vita ancor, ch'in ogni horreudo, & fello Rischio si metta; ch'aspirar più auante Non dee. Ch'ad vn benigno sguardo, et grato, O' ad vn saluto di pietate ornato.
La real stirpe del Fedele à Manto Nato, da Proteo Berenice intende, Et com'è à lei Cugino, e insieme quanto Per saluarlo, et nodrirlo oprasse appr&etilde;de La lunga serie, à i di lei prieghi, e'l vanto Dei Prencipi Gonzaghi al fin gli stende, Addittandole d'vno in vno il grande S&etilde;no, et valore, et l'opre alte ammirãde.

PER lo Bambino portato dalle Ninfe del Mincio à Proteo, & da lui con tanto studio, & amore, nodrito, & ammaestrato in ogni scientia 'Si denota che'l Signor Iddio hà particolar cura de gli Innocenti, sapendo trouar marauigliose vie, & modi da soleuarli. S'hà di più Che ciascun Padre douerebbe à suo potere prouedere i Figliuoli di Maestri non solo forniti di buone scientie, ma di costumi ancora, per insegnarglieli, guardãdoli sopra tutto da l'otio cagione d'ogni male, che cosi facendo diuengono non solo discepoli valorosi, & chiari, ma gloriosi, & immortali Eroi, volando per le bocche, & per le penne de più famosi Scrittori, come fanno tutti quelli, che da Proteo son raccontati della Serenissima Casa Gonzaga.

MERTA Tua grã vertù gentil Donzella, Che il tuo nobil desire in tutto ad&etilde;pi; Et per meglio l'altissima nouella Spiegarti à pieno de gli andati tempi; Di riandar' intendo infin da quella Parte, onde'l cor di più letitia t'empi; Con palesarti di qual pondo, & quanto Esser doueail produr tal figlio à Manto. Che di tua Manto, & di tua Regia prole Nacque costui, per cui darassi il nome, À &qgrave;lla Stirpe, che più assai che'l Sole Fia chiara al mõdo; hor' odi il quãdo, e'l come. Hauea il gran Padre à cui la terrea mole; Posanel sen con sue grauose some; D'Ino vna figlia, & d'Etiopio nata, Al Rè di Cuba in matrimonio data; Et per sì rare illustri nozze, à Gioue Con tutto il Ciel, fatto conuito hauea; Di cui le pompe inusitate, & noue, Cosa fur, ch'impossibile parea; L'alta ricchezza non mai vista altroue, Ogni Dio intorno stupido rendea; Et vi fù alcun, ch' à fauellar si mosse, Ch'ogni tesor di Dite anco vi fosse.
À Proteo, Teti sopragiunta à sorte. Berenice à i di lei prieghi si dona À contar, come l'infedel Consorte Di Sulpitia improuiso l'abbandona; Poi de i pianti; & lamenti, & de la morte Di lei, & del suo Figlio le ragiona; Ma'l Dio, toglie l'error, che'l ver ricopre, Et saluo questi, & quel fedel discopre.

PER Sulpitia, che tenendosi abbandonata dal Marito, entra in tanta disperatione, che col Figlio si precipita d'vna torre nel Mincio. Si dimostra, che questa potentissima passione d'amore accõpagnata da gelosia, accie ca dimodo coloro che se le danno in preda, che leuandoli dell'intelletto, rade uolte adiuiene, che non precipitino, & per la medesima che comanda il sacrificio, per condursi a tal fine Si devota, che non vi è la piu colorata via d'ingannar le genti che'l pretesto della religione, & dell'ipocrisia, & per Proteo che manifesta l'innocentia di Radamanto, & del Figlio il saluamento. Si conosce, che Dio vuole, che la verità finalmente s'appalesi, & che non manca mai d'aiuto con la sua prouidenza, à buoni ne' lor bisogni.

COLMA di gioia, & d' al ta merauiglia Stauasi ingõbra Berenice, et queta; Nè già dal lũgo fauellar le ciglia Torcer sapea di quel marin profeta; Nè meno ancor da l' aurea, & vaga figlia Di Latona, nè Stella, nè Pianeta Sapea partirsi, & al bel viso adorno, Tessean fregi, & corone ardenti intorno. Poi che del Cielo in mezo à punto assisa, Lustrando i boschi, & le cãpagne, era ella; Che cosi meglio forse, in mar diuisa Di potersi specchiar la faccia bella; Ò forse ad arte da lontan s' auisa Mostrarsi al quanto al suo Amador rubella Perche più lieto indi vicin l' accoglia, Gradisca, & più la sospirata voglia. Desta poc' anzi nel cui bel mirando Thetide con la palma al mento intenta; E'n tal di lei pensiero à punto entrando, La tenea per felice, & per contenta; Poi l'andate sue gioie ramentando, Et di Peleo l'antica fiamma spenta; Tocca di noua inuidia, assai sen dolse, Et quindi per celarsi à lei si tolse. Ma ben'il Dio scaltro le impose. Ch'ella Nol palesasse infino à certo tempo; Et molte cose altre in segreto à quella Disse, & le diè congedo assai per tempo. Sì, che'l freno sciogliendo à la sua bella Naue fece ritorno à Troia à tempo, Ch'a pena l'humid'ombra, il Sole intorno Tolto hauea al Ciel, col suo nouello giorno.

IL FINE DEL CANTO SETTIMO.

Fatto ritorno Berenice hauendo À Radamanto, il nobil Tempio ammira, Poi conta, à i di lui prieghi, come essendo Giũto il Fedele, à sua Dõna empia, & dira (Ch'al Nil volta era) ella à l' Incanto orr&etilde;do Che de la Patientia hà nome, il gira Tosto; e i Pirati à spegnere; e qual poscia In trouar l' Incanto essa hauesse angoscia.

PER Radamanto, che per tempo si dà à i Sacrificij. Si denota; Che i Principi douerian sempre principiare le attioni loro dal uenerare Iddio. Et per Vittoria, che temendo di non darsi in preda al Fid'Amante, subito giuntole innanzi; li comanda, che uada à distrugger l'Incanto della Patientia; Et i Pirati, incaminãdosi alla guerra d'Egitto; Si dimostra. Che nõ si uince Amor se non fuggendo; & che con l'applicarsi à qual che altro honorato essercitio, e massime à quello dell'arme, se gli tronca l'ale, & la possanza. Per la riuerenza poi, & obedienza del Fid' Amante, s'insegna. Come habbiano à portarsi i Caualieri con l' Amate, per conseguire la gratia loro. Et finalmente per lo santo Amore, che essorta Berenice all'aiuto del Fedele, si denota. Che Dio accompagna sempre le buone operationi nostre: & che noi per fauorir gl' Amici meriteuoli, non dobiamo guardare ad incomodo ò disagio ueruno.

MA Radamanto da virtute ascosa Tratto del sãgue suo, con tento, et pago; Tra se uolg&etilde; do ogni passata cosa, Pare a già del futuro ben presago. Quinci dar non sapea tranquilla posa, Infra le piume, al pensier dubbio, & uago; Oltra modo l' amor del Fido Amante Lodando, & di sua Donna il cor costante. Ma via più ancor, l' alta vertù infinita Di Berenice, par ch' ammiri, & pregi; Di cui brama la stirpe hauer compita, Et del suo Eroe nouello i fatti egregi; Arroge, che troppo entro il cor scolpita (Per gl' infiniti honor portati, & pregi) La memoria riman di Manto, & d'ella, Che fù tanto à se stessa empia, & rubella. Già per parente ei la conosce, e'l tutto Comprender pargli di sua historia vera; Et sì col riso, và temprando il lutto; Et che, non sapendo anco; agogna, & spera; Et n'ha già il suo cõpagno Feltrio instrutto À pien, per me' sentir letitia intera. PI&Vgrave;, che celarlo, assai diuien maggiore, À l' Amico il piacer scoprir del core.
Berenice à dir vien del fiero incanto Le vaghe, e orrende viste, & di ciascuna, Le lusinghe, & le offese, e'l pregio, e'l vãto, Et gli stratij, & le fraudi, d'vna, in vna; Ei varij Mostri à terra spenti, & quanto Di patientia in petto il Fido aduna, Et senno, arte, & ualore, & come in tutto Fù l'Incanto per lui uinto, & distrutto.

PER L'In canto della patientia distrutto dal Fidamante. Si denota in generale. Che non si conducono à fine le grandi Imprese se non con grandissimi stenti, e sudori, & con tempo, & patientia; la quale è forza, che s'industriamo di recarci sopra delle spalle, se à buon fine di peruenire desideriamo. In particolar poi Si dimostra, che non bisogna insuperbirsi per la buona, nelasciarsi opprimere dalla mala fortuna, che quasi sempre suole contrastare alla uirtù, mediante la quale dobbiamo amazzar il uitio, non curando, nè delle inuidie, nè de gli odii, nè delle maladicenze del volgo, & delle Corti, sofferendo, & vincendo con prudenza i disagi le fatiche, gli stenti, i torti, che spesso se ne riportano, chiudendo l'orecchie alle lusinghe, & cautamente guardandosi dalle insidie, & dalle fraudi che da loro tese ne uengono; perche finalmente in tal modo si puõ superare ogni auuersità, & aprirsi la strada à cosi fatte gloriose imprese, & acquisti.

GIÀ In aria il Vecchio dileguato si era, Et le parole sue sonauan' anco; Quãdo in due colpi, quella porta altera Dal Caualier percossa, venne manco; Et ecco in questa, che l'orribil Fera Comparue, ch'ogni cor più ardito, & frãco Haurebbe, fuor che'l suo, col bieco sguardo Potuto far parer uile, & codardo. D'Asin l'orecchie, & di Panterail dorso; Di Tauro il corno hauea, di Cane il dente; L'occhio di Basilisco, e'l capo d'Orso; Di Porco il grugno, & lingua di Serpente; Di Tigre il sore, di Lupo il uentre, e'l morso; Le branche di Leone, e'l rimanente Tutt'erra Volpe, eccetto, che la coda Di Scorpion, ch'in giro auolge, & snoda. Hor scorto il Mostro, il Caualiero ardito Appresentarsi in abito di guerra; Fumo, & fiamme uomendo, infellonito Ver lui lanciosi, e credè por lo in terra. Ma non per questo punto sbigottito, Egli s'arretra, anzi con lei si serra; Et con tal arte insieme, & con tal forza L'urta, che mal suo grado al fin la sforza.
Narrasi ancor, come i ladron nel mare Mandassi il Fido à fil di spada, e come Giulia spento Arion ne l'onde amare, Si stratiasse il bel uiso, & l'auree chiome: Ma viuo ei poscia in sù un Delfino appare Col suon, chiamando il desiato nome; Onde gli unisse il Fido, e poi si parte, Et le rapte armi, offre nel t&etilde;pio à Marte.

PER li Pirati, posti à fil di spada dal Fid'amante, si manifesta. Che cosi fatte genti in odio almondo, & à Dio, ne riportano finalmente, e quando men sel credono, il meritato castigo. Per la bellissima Figlia del Rè Saniro, che spregiando in prima Venere, & Amore, si da poi miseramente in preda al musico Arione. S'insegna, che non bisogna insuperbirsi delle gratie, che ci uengono dal Cielo, cõ fidarsi della virtù nostra istessa, senza il diuin fauore, perche altramente spesso si cade colà, doue più impossibil ne pare. Et di più, che coloro, che si danno in preda del Amor lasciuo, che è cieco, traboccano in qual si uoglia precipitio; e massime le semplici, & mal accorte donne, le quali, quasi del continuo appigliandosi al suo peggio, ne ri porta no al fine, e danni, & scorni come fecero questi due Amanti, Et per Fid'amante, che cõpassionando l'infelice stato loro, gli riunisse, & dona loro tutta la preda, uolgendosi dapoi ad offerire le sue arme al tempio di Marte, si insegna, chei ueri Canalieri deuon eser ornati altretanto di pietà, di largitate, & dl religione, quanto di ualore, & possanza.

TANTO Diss ella, e ĩporre homai quì fine Al lungo fauellar proposto hauea; Et pur ogn'huom, da l'alme, & pellegrine Voci, & dal suo bel viso ancor pendea; Et stupido, per tante, & sì diuine Doti del forte Eroe, non men parea; Quando l'Imperadore in questi accenti Cosi mosse ver lei suoi prieghi ardenti. Amorosa Donzella, assai cred'io, Che ne l'aspetto di ciascun qui intorno Si legga à pien, con qual sommo desio Per noi s'ascolti il tuo parlare adorno; Non però, col più lungo vdir, desio Render noioso à te nostro soggiorno, Caro quantunque hauessi, il saper quale Ti fè accorta di nostr' arme fatale. À questo la gentil Donna risponde. Non è Signor, che'l fauellar m'annoi, Però, che'l mio tacer, non nacque altronde, Che da timor di non dar tedio à uoi; Il dirò dunque. Hauea già il Sol ne l'onde Inchinati i destrier correnti suoi, Et lento à sormontar per gli occhi, il sonno Sen gìa, d'ogni mortal per farsi donno.
Incaminato il Fido, al varco ei troua La bellissima, & nobile Argentina, Che per trarlo à sue reti amando, proua Dolci note, e impromesse, et se gli inchina. Fugg'ei, ne forza per pigliarlo gioua Di varij incanti, & sciolto, s'auicina Al buon Natan, che'l nascere, et le proue D' Armedonte li conta orrende, et noue.

PER Argentina, che s'innamora per fama del Fid' Amante, e và à trouarlo con nou'arti, & dolcezee di parole, di lusinghe, & d'impromesse, credendo di trarlo alle sue libidinose voglie; ma fatto non venendole, cangia immantenente l'amor, in odio, tentando in più maniere di condurlo à morte. Si denota. Che le Donne vane, e lassiue, diuentano cupide, & ambitiose, & d'ambitiose sfacciate, & di sfacciate dishoneste, & di dishoneste, temerarie ancora, presuponendosi di allacciare qualunque si sia, nelle reti loro, & non riuscendoli, di subito diventano dispettose, & infuriate, & d'infuriate vendicatiue, & crudeli, & di crudeli insidiose, & diaboliche; nõ lasciãdo cosa per vergognosa, & scelerata, che sia, à cui nõ pongano le mani, per appagarne le dishoneste brame loro. e per Fid' Amante, che prima resiste à i tan ti allettamenti; & dopo alle tante violenze di quella, si dimostra, di quanta importantia sia l'hauere fatto l'habito nella virtù; & che i valorosi, & prudenti sanno sottrarsi ad ogni gran pericolo. Et finalmente per Natan, che cosi cortesemente l'alberga, si manifesta. Che la prouidentia Diuina non manca mai di soccorso a'buoni.

SCORSE più miglia l'ignoto Austrio in tãto, Già hauea, senza trouar' più incontro alcuno. Ma non lungi lacciuoli in ciascun canto Gli venian tesi à l'aer chiaro, al bruno; Però, che Orcano con nouello Incanto Visto già'l suo camin, messo più d'vno À la Figlia Argentina hauea mandato, Aprendole ogni suo pensier celato. Tal che per lei prigione, ò morto hauerlo Ò in questa parte, ò'n quella al fin diuisa; Che le Furie di nouo à lui vederlo Han fatto, & qual hor sia chiaro ei s' auisa; Et già di contante opre illustri, per lo Mondo, la fama ha il nome sparso in guisa, Che più celar non possi, onde per certo Tien pur di tralo ĩ qualche ingãno aperto. Affrettaua anco à più poter sue genti In ogni regno per vnirle insieme; Che troppo in trar d'affanno il figlio, intenti Hauea i desir, troppo il tardar gli preme. Ode, che molti suoi Duci eccellenti Già son caduti, & che ciascun già teme Più, che di ferro, di perir di fame, Et che cerchi d'vscir d'assedio & brame. Piega latesta, inarea il ciglio, allunga Quanto più può l'orecchie al tristo pianto, Nè di trar fiato ardisce, non che aggiunga La bocca à l'onde, o moua un dito alquanto. Ma che farà? meglio per lui piu lunga— Mente era di soffrir l'arsura; & quanto Si dorrà di fredd'onde hauer cercate; Che pur mai non uorrebbe hauer trouate.

IL FINE DELL' VNDECIMO CANTO.

Del Riuale il lamento ascotta il Fido, Et poi la giostra, & l'amorosa sorte, Che in Frãcia hebbe egli, et dei ladroni al grido Com'il pr&etilde;deffe per cõdurli à morte, Per compagno Vittoria; ch'indi al lido Sparì di Sena. Al fin, sfidato il forte Pugna, ma quegli cortesia in lui uede, Tal, che vinto, Vittoria anco li cede.

PER Agamone, che innamorato della sorella del Rè di Francia, & trattosi in giostra, con pensiero d'acquistarla per moglie soprauenendo Vittoria lascia quella, & di questa s'innamora. Si dimostra, quanto la giouentù sia leggera, & uolubile, & di più entrato esso in pensiero, che le diuenga amante, hauendolo essa chiamato in cõpaginia à distrugger i Pirati; Si scuopre, Che i Giouani presumono molto di se medesimi & che per ogni picciol fauore fatto loro da l'Amate, credono immantenente di trarle à le lor uoglie, disperandosi d'ogni indugio, & nõ rifinano mai di lam&etilde;tarsi. Per Fid'Amante poi, che conosciutolo per riuale; nõdimeno, cõ tãta humanità il cõsola, & essorta ancora à seguire la sua alta impresa, Si denota, che un uirtuoso, e magnanimo cuore, donatosi à meriteuole ogetto, nõ teme, nè della fede della sua dõna, nè di esser da ueruno soprauãzato di merito, come fà Agamone, che superbam&etilde;te sfidãdolo à battaglia rimane, & dal valore, & dalla cortesia di lui sopra fatto di modo, che chiamãdosi per uinto gli cede Vittoria, & di acerbo nemico gli diuiene fidelissimo amico.

GONZAGO adunque nel s&etilde;biante come Si pose immoto, à sentir staua intento; Quando gli parue vdir chiamar' il nome Di lei, che sola il potria far contento. Gelogli il sangue, irte si fer le chiome, E impallidissi da la fronte al mento; Battendogli entro al petto in modo il' core, Come quindi balzar volesse ei fuore. Nè parendogli tanto esser vicino, Che'l tutto intender possa aperto, e piano, Et temendo esser visto nel camino, Onde si faccia il suo disegno vano; Piega un ginocchio, e l'altro ì terra; e chino Pian, pian v'appressa, et l'una, et l'altra mano; Et à guisa di fera i doppi passi, Cheto nasconde fra quei sterpi, & sassi. Et tanto se gli accosta, che ne rende L'aria percossa, ogni parola chiara; Et mentre, che l'orecchio il tutto intende, Gli occhi assottiglia ù più la fronde è rara; Talche per vn spiraglio à pien comprende, Che d'vn Guerriero è quella uoce amara; Sceso à posar non lunge al chiaro fonte, Tutt' armato dal piè, sino à la fronte.
Segue il Fido il camin, ansio, & dolente; Et de i Captiui, & del Villaggio oppresso Da i rei Ladroni, il grido e'l pianto sente; Ma per lui ciascun d'essi à morte è messo. Scioglie ei la Sora, & l'altra auuinta g&etilde;te E'l sacrificio orrendo intende appresso D'Armedonte; e'l soccorso Radamanto À i Regi appresta, e al Ramo aprir l'incãto.

PER la sora di Berenice, & per la Figlia di Natan, & altre molte donzelle, & genti captiue liberate dal Fidamãte, vcisi tutti quei crudelissimi Pirati. Si dimostra. Che gli scelerati nõ sono per lo più lungam&etilde;te sofferti da Dio. & che alle ualorose, e gran proue succedono ancora i grandi acquisti. Et per la modestia usata dal medesimo con quelle genti, che tutte adorandolo se gli erano gettate à piedi, s'insegna: Che noi non dobbiamo insuperbirci delle nostre buone opere, ne delle gratie, & fauori, che ne uengono da Cieli; ma ricconoscerle tutte dalla man di Dio, & à lui solo darne ogni lode, & gloria. Per Natan poi, che ricupera la Figliuola, si denota, Che coloro, che usano cortesia ne possono aspettar anch'essi. Et per la bestialità d'Armedonte, che con tanta impietade sacrifica tante Donne all'urna del Fratello, si di mostra Che i superbi diuengono, come fiere inhumani, & crudeli; e che i rei Tiranni si fanno lecita qualunque cosa, uenga lorin talento, per enorme, che sia; non hauendo niuna persona ardimento di dir loro la uerità lodando, consent&etilde;do (in uece di ammonire,) ad ogni loro sceleratezza Et finalmente per Radamanto, che in prima s'apparecchia à l'armi per soccorer i Rè & poi con Berenice à suelar l'incãto del Ramo. Si ammaestra Ch'i buoni Prencipi douerebbono spendere, perlo più, il t&etilde;po loro nelli Studi dell'armi, & in quello delle scientie per immortalarsi.

APENA in torno à i cardini luc&etilde;ti, Che in guardia tien di Licaon la figlia; Tratto hauea il carro di sue stelle ardenti, La fosca Notte con serene ciglia; Del Ciel nel mezo i sonnacchiosi, & lenti Destrier destãdo al suõ di sferza, et briglia; Et tutti gl' Animanti haue an riposo Ciascun entro l'oblio del sonno ascoso. Solo il rozo, & ingordo Fabro desto S'era, i colpi doppiando in suon di squille Sù le possenti incudi, or quello, or questo Duro martel cacciando à mille, à mille, Dà l'infocato ferro auuinto, & pesto, Al ciel buio, splendenti auree fauille; Quando ancor sorto il Fidamante, il calle Prese per vn'ombrosa, & fresca valle. Pria lasciato il Guerrier ferito, in mano Di cui buona n'haurà cura, & perfetta; Tal, che in breue sentirlo, & franco, & sano Qual bramaua ei, cõ gran speranza aspetta; Partendosi da lui, d'amor sourano Con noui segni, & bontà vera, & schietta, Et con egual diletto, & dolor tanto. Ch'ambo non sepper ritenere'l pianto.
Scopresi al Rè Troian del Ramo il velo Per Berenice, e i nomi, e la beltate, E la fede, el valore, el senno, e'l zelo, De le più illustri Donne, & fortunate; Ch'vnqua saranno per girar di Cielo; Ma ne trà due Armedonte à qual legate Per abrucciarle, e ogn'auuersario atterra; Pur salue al fin son poste entro la terra.

PER Berenice, che scopre nel ramo tãte nobilissime, bellissime, & virtuosissime signore, si dimostra, Che la vertù, e'l merito altrui, non può star celato; e che uiene il più delle uolte marauigliosamente portato in luce, & inalzato al Cielo, con eterna memoria. Perla disfida poi d'Armedonte, che con tanto orgolio, s'appresenta à Radamanto, conducendoli quelle due meschine legate innanzi, con pensiero di ardergliele in faccia, S'ammonisce, che gl'arroganti, & superbi non sanno usar termini di creanza, & di cortesia; e per lo più spreggiando huomini, e Dei sogliono temerariamente osare ogni cosa, per horrenda, che sia, rimanendone però all a fine ingannati, e scherniti E per Berenice, che ueduto Radamanto, dopo la strage de suoi, con tanta caritade, armarsi alla difesa delle donne, esposte al foco, leuando queste, & quello di pericolo, col rimedio dell' improuisa pioggia. Si dimostra, Che quando più sembrano le cose de i buoni, & timorati di Dio, in maggior disperatione, tanto più esso sà far piouer le sue gratie dal Cielo pertrarcene fuora securamente.

INALZA hor tu, che lo mio cor gouerni ORSA gentil, la lingua, & l'intelleto; E fa, ch'eguale a' bei desiri interni, À qnesto ardente mio deuoto affetto, Vada lo stil, che fare i nomi eterni Tenta, ch'ascosi fur nel Ramo eletto, Che fecer fabricar, con studio tanto Quelle antiche Sibille, al nouo Incanto. Poi che Apollo diè lor spirto indouino, Di preueder come à la nostra etade, Dopo'l girar de' secoli, il destino Douea illustrar l'Italiche contrade, D'ogni gratia, & valore, & pellegrino Intelletto, & angelica beltade; Raccolti in donne tai, ch'auanzeranno Quante fur, quante son, quante saranno. Et che fra tante lor doti immortali, Splenderan poi d'inuiolabil fede; Che di gloria, & di fama, andranno eguali Al Dio, che'l quarto Cielo orna, et possiede; Et scorgendo, che rare al mondo tali Nasceano, à queste dare alta mercede, Pensar del merto, & con gli aspetti, i lore Nomi, v'impresser con gentil lauoro.
Posti à scala Armedonte i suoi Giganti Sopra lor poggia, et dentro à Troia scende, Apre le porte, & sen uan arsi, e franti, Gl' edifici, & à morte ogn'huom si fende; S' armal' Imperador, e in tuttii canti Prouede, e al fin ciascun nemico stende, Trafitto al suolo, & sol lo Scita seampa Spintosi in mar, & dispetoso auampa.

PER Armedonte, che fatto i suoi Giganti l'un sopra l'altro, & balzato sopra di loro scende nella Città, & apre le porte à suoi, dandosi alle ruine, di quella. Si denota, che i rei huomini sono desti in trouar noue, & impensate maniere di mal oprare, onde bisogna esser molto ben cauri à guardarsi da loro. Per Radamanto, che compreso l'improuiso assalto della Città subito s'arma in persona, alla difesa di quella: P principalmente del Tempio rincorando i suoi. Si insegna, che non dobbiamo perdersi d'animo nelle improuise disgratie, per grandi, che siano, & procurar subito di rimediarci, hauendo però principalmente ricorso a Dio, con prender prima cura delle sue, che delle cose nostre. Et per la strage fatta da Armedonte, & da suoi seguaci nella Città. Si denota, che'l Signor Dio permette tal uolta di così fatti flagelli per li peccati de i cattiui, ristorando, & fauorendo i buoni, come fà Radamanto, che finalmente atterrati tutti questi, & fugato quello, la leua d'ogni periglio.

ARMEDONTE, di cui nè l pio feroce, Nè'l più superbo in terra vnqua il il Ciel feo; Cui pari ancor ne la tartarea foce Non sarian certo Encelado, & Tifeo; Di sormontar fè proua, & con atroce Desire, & con bestial consiglio, & reo, Quell' alte mura, & alti merli, & quelle Torri, che ben parean toccar le stelle. Poscia, che l'empio, e due, e tre uolte l'hebbe Tutte trascorse, & speculate intorno; Et s'auide, che indarno anco potrebbe Per entrarui, aspettare infino al giorno; Quando senz' ali, osar huom non deurebbe Di salir tanto senza danno, & scorno; Et, che ne staua disperato in tutto Fremendo, in ira, e'n gran furor condutto. Onde fauella à i suoi Giganti, & dice; Varcarle in somma ĩ questa notte io uoglio; Et poi, che scale, ò monti ordir non lice Nel breue spatio, non men cale, ò doglio; Che nou' arte inuentar non si disdice Al mio uoler, che differir non soglio; Al mio ardir sõmo altrui malgrado, e'nfino Al Cielo alzarmi, & prenderui l camino.
Giunto à suoi legni il fiero Scita, al mare Che in grã tempesta apre le uele, & fatto Naufragio, ogn' huõ sp&etilde;to nel' onde amare Viuo sol egli à nuoto in Cipro è tratto L'ode Argentina, e con sembianze rare L'incontra et nel suo amor l'impania ratto E'l guida in suo lasciuo, & vago Regno Nè in lui già di ferocia appar più segno.

PER la bestialità d' Armedonte, che gettato l'aueduto Nocchiero in mare, fà spauentoso naufragio. Si denota, che i temerari schernendo gl'altrui buon consigli quasi sempre corrono al precipitio; & per lo medesimo, che in prima nemicissimo delle Donne, & Ipreggiante Amore si da poi (vinto dalle bellezze, & finte parolette, & lusinghe d'Argentina) in preda à tante lasciuie, & vituperi, postosi à gettar l'arme da parte, & tutto volto à po lirsi & lisciarsi, & insieme à cucire, & filare con esto lei, qual se fosse diuenuto vna femina. Si denota, che alla forza d' amore male si può far contrasto, & che bene spesso i più saui, e forti che mostrano di schernirlo, nõ che gli in considerati sono quelli, che apunto più ui in ciampano de gl' altri, inducendosi à far cose uergognose per gradir le Amate loro. E però bisogna essere molto ben cauti per non condursi in cosi fatte reti & immonditie, con essere mostrati à dito da ogn' uno.

COSI parlando, ambe le man si caccia La destra al capo, & la sinistra al mento, Et del pelo, et del crĩ tãto si straccia Quanto n' afferra, & lo da in preda al u&etilde;to; Poi le briglie pien d'ira, & di minaccia Tronca à i legni col ferro in un momento; Et le prore drizzar fa incontro à l'onde, Per far ritorno à le sue patrie sponde. Et più si duol, quanto più ogn'hor rimira Tolta da lor, l' usata salma altera, Di quella mostruosa prole, & dira, Et di que' tanti suoi scudier la schiera; Ma che gli resti, uia più ancor s' adira La già presa Cittade à tergo intera; Nè perche' l Ciel sia molto oscuro, e'l mare Gonfio, di lor men'egli horrendo appare; A' Nauiganti almen, che trarre il fiato Non osan pur, sì con timor ne stanno; Che ben quand'egli, è di furore armato, Tutti per proua sua gran rabbia sanno. Frangon dunque del pelago turbato Taciti l'onde, che gemendo uanno; Che uia più scampo di trouar costoro Speran nel Mar, che nel Tiranno loro.
Con largo oprar consola Radamanto La Città afflitta, e in tanto approda il Fido Con più captiui; & conla Sora à canto Di Berenice, & ne và al Ciel il grido; Dal Rè Troian General fatto in tanto Gir s'appresta egli in uer l'Egittio lido, Et colà non sol trar pensa Argentina Armedonte anco; ma'l caualca, e inchina.

PER Radamanto, che con somma pietà fà sepelir i morti, & ristaura à suo potere con parole, & con fatti la sua Città, s'insegna, come habbiano da fare i buoni Prencipi, quando lor u&etilde;gono di cosi fatte auuersità, à fin, che si cõseruino gli Stati, e gli amori de suoi popoli, che ineffetto è la maggior fortezza, che hauersi possa. Et per Fido Amante, che tornato con tanti captiui del paese di Troia, vien cosi lietamente raccolto, e poi fatto da Radamanto generale del soccorso, che manda à i Rè Si denota, che dobbiamo esser grati dei benefici riceuuti, & che il ualore deue esser riconosciuto, & rimunerato da quei Prencipi, c'han giudicio, & gratitudine. Et finalmente per Argentina, che per mostrara i Nuntij del Rè, che gouerna Armedonte à sua uoglia dopo fattoli fare tante altre indegnità lo caualca uituperosamente nel publico conspetto; Si denota, che le Donne impudichi fanno ogni stratio di quelli, che lor si dãno in preda, parendo loro (scioccamente) che ciò torni à gran gloria della lor possanza, & bellezza.

SPENTA de la Città la fiãma ĩ tãto S'era già in tutto, e'l rio timore appresso; Et già il saggio, & benigno Radamanto Il ristauro à più Mastri hauea commesso; E'l danno ancor molto minor, di quanto Fù già creduto n'appareua espresso; Che nel buio, del uampo il gran splendore, Fè l'incendio mostrarsi assai maggiore. Et già l'armata, che lontan vedea Di Tenedo fin dentro al porto, il foco De la Città, ne imaginar sapea Di ciò l empia cagion molto, ne poco; Con subita prestezza, indietro hauea Fatto ritorno al trauagliato loco; A suo poter uolta per dargli aita, Ben, che stupida in parte, & sbigottita. Et trouatala meza arsa, & dolente; Non senza scorno, & merauiglia era ella. Et già i suoi cari à richiamar si sente, Con meste uoci in questa parte, e'n quella; Et già si uolge, per placar le spente Anime ne l'horrenda strage, & fella; Et già ciascun Guerrier di por non sdegna Le man pronte à pietosa opra sì degna.
Moue il suo magno essercito il possente Orcano, e infellonito Iasio ancide, Che spaventoso indi gli vien presente, E'l minaccia, & da se quasi il diuide; S'incamina à Vittoria il Fido, ardente Col buon soccorso, & sì fortuna arride, À suoi dissegni, che à la mostra è giunto, Che vuol dar ella, del partire in punto.

PER Vittoria, che mostra al Fid'amante separatamente la gente Italiana, della Greca, & questa, e quella armata di tutto punto, S'insegna, che ibuoni Capitani deuono tener le lor nationi in emulatione di gloria, & di ualore; & più tosto valersi della poca, & ben armata gente, che della moltitudine mal in arnese. Per lo Fido Amante, che non cape in se medesimo essendo stato cosi benignamente racolto da Vittoria, Si denota, che ogni picciol fauore, che da nobile, & valorosa amante ci uiene, Si deue tener in maggior pregio, che qual più largo & prodigo, che possa venire altrui da dõna sospetta della sua honestà E per Vittoria, che fattosele auanti il suo Amadore, non pot&etilde;do tener più il suo amor celato, à mal suo grado, lo scopre chiaramente à se medesima, facendo cosi gran fatica per superar la sua propria uoglia, dandosi à far marchiar il campo per tempo, si vede, Che chiusa fiamma è più ardente, & che il conuersar con la cosa amata fa accender sempre più il desiderio, & che la vera strada di schermirsi da lui, è lo starui più lontano, che si possa.

ORCANO à tergo già la sciato ĩ tãto Non pur tutta la gran Persia, s'hauea; Ma la Mesopotamia, e insieme quãto V'è di Siria, & Fenicia homai scorrea; Contra l' Europa, & contra Radamanto D'ira, & di sdegno oltra misura ardea; Et via più ch' Aspe di nouel veleno Gonfio, nodriua empio furor nel seno. Tal, che non v'era alcun de' fuoi, che fosse Ardito pur di rimirarlo in uiso; Sì da terror le menti altrui commosse Pareano, & sì era ogn'huom di lor cõquiso; À far tante impietadi il fier si mosse, Che impossibile il dirne in parte auiso; Ch'infino ancise un proprio figlio, quando Seco in campo uenir staua ei negando. Et però innumerabili, e infinite Genti diuerse da caual, da piede, Armate in varie guise, & forti, e ardite, (Qual di Marte il crudel mestier richiede) Haue a insieme egli d'ogni parte vnite, Tal, che la terra, e'l mar coprir si uede; Et i laghi asciugar; e i fiumi, e i fonti. Et le valli riempir, spianare i monti. Et douunque à passar si volge inghiotte In un sol dì, quanto di biade miete, Quella Prouincia intorno, ond iui addotte Altre da più altre bande esser uedrete; Cosi tal hor à depredar condotte, Dei nostri Campi le feconde, & liete, Messi, de le Locuste i uari campi, Vengon furando in fin al Sole i lampi
Mira d' Italia la fiorita gente Vista la Greca il Fido duce à cui Volta Vittoria si dispon repente Posati alquanto, di marchiar con lui; Ma ne l'vno, ne l'altra tregua sente Col buio, & scopre i caldi affetti sui Con Amor indi ad inuiar il Campo Si dan fu'l primo aprir di Cintia il lampo.

PER Vittoria, Che mostra al Fidamante separatamente la gente Italiana dalla Greca, & questa, e quella armata di tutto punto, s'insegna; Che i buoni, & accorti Capitani deuono tener le lor Nationi in emulatione di gloria, & di valore, & più tosto valersi della poca, & ben armata gente, che della moltitudine mal in arnese. Per lo Fidamante, che non capo in se medesimo, essendo statto cosi benignamente raccolto da Vittoria, si denota, Cho ogni piccol fauore, che uenga da nobile, & ualorosa amante, si deve tener in maggior preggio, che qual più largo, & prodigo di donna sospetta della sua honestà. Et per Vittoria, che fattosegli auante il suo Amadore nõ potendo tener più il suo amore celato à mal suo grado, lo scopre à se medesima onde con gran fatica fà poi gagliarda rissolutione per uincer se stessa, volg&etilde;doli à far marchiar il campo per tempo, Si uede Che chiusa siam ma è più ardente, e che il conuersar con la cosa amata fà accendere sempre più l'amore; onde la uera strada di schermirsi da questo Tiranno, si è lo starui più lontano, che si possa.

ET ecco al tuõ de' bellicosi carmi, in dilettoso, & horrido sembiante; Al superbo nitrire, al suon de l' armi, Al calpestio de le ferrate piante, Che fean tremar quei ripercossi marmi; Al rotto rimbombar de l' etra errante; Del Rè Sicanio trarsi (in vista altera) Vista fù innanzi la real bandiera. Che in campo verde vn fier Molosso ha pinto Fra due candidi Veltri arditi, & franchi; Ciascun nel derettan di sangue tinto Da fiera piaga, ma non vinti, ò stanchi, Sì che mangiarsi del Molosso estinto Non potessero il cor per entro a' fianchi; Et fuor leggeasi in chiare note, & scorte, INVENDICATI non andremo à morte. Dodeci mila à piè soldati eletti Venian del gran Vessillo à l' ombra, et molti Erano i Duci suoi chiari, & perfetti, À seruire il lor Sir Gieron riuolti; Ch' era al Rè figlio, nobile d' affetti, Et di chiare opre; in lui del Ciel raccolti, Et di Natura i doni, & di Fortuna, Di torsi huõ vago, à volgar fama, et bruna.
Che s' oppressa il nemico incauto, ascolta. Vittoria, e che'l fedel gia posto hà in terra La vãguardia; onde à spronar tostoè volta. Sue g&etilde;ti, e poscia ogni auuersario atterra; Ma fatto di più squadre sue raccolta, Gobria rinforza incontro à lei la guerra; Che vi peria (spent'il destrier) s' auiso, Nõ ne hauea il fido per cui ogn'hão è anciso.

PER Vittoria, che spiato il Nemico incautamente appressarssi, senza metterui tempo, si dispone à dar la bastaglia s'insegna Che non si deuono perder l'occasioni, che si appresentano, ma valorosamente incontrarle. Per Fidamante, che con tanto valore rompe la uanguardia nemica dando animo à l'altre genti di seguitarlo, e far il medesimo del rimanente de gli auuersarij: Si denota che la Fortuna suol aiuttar gli animosi, & che il più delle volte, rotte le prime squadre, se si attende à seguir la vitroria, si guadagnano l'intere giornate: Per gli Soldati che nel bello di trar à fine il tutto; si danno à sacchegiar le bagaglie con pericolo di perder l'acqui stato, se non era la prudentia, & valore di Vittoria; Si denota Che spesso l'auidità del predare, mette in grandissimo pericolo il guadagno fatto; onde gl'accorti Capitani deuono aprir gl'occhi, e stender le mani per non lasciar succeder di così fatti disordini. Et ultimamente per Vittoria à cui amazzato sotto il Cauallo trouãdosi in gran pericolo dellu uita, uien soccorsa con marauigliose proue dal suo Amadore; Si dimostra, che l'amore fàoprar incredibili cose, e fuori dell'uso ordinario à gl'Amanti, per le amate nella lor presenza.

INDI tratta da giusto, & santo zelo Chiama la gloriosa Donna, & pia, Le vittime, e gli altari, et vuol, che al Cielo, Fatto solenne sacrificio sia; Al sommo Gioue, al gran Signor di Delo, À Bellona, & à Marte, & non s'oblia; L'alta di lei fautrice Dea triforme, Anzil' accresce in più diuerse forme. Poi che col giusto suo imperare, in tutto De' nemici il paese andando intatto, Di rapine, d'incendi, & morti; vn frutto, N'hauea il campo incredibile rittratto; Che d'ogni parte, et da ogn'huõ vi&etilde; cõdutto Ogni alim&etilde;to, ogni animal quì è tratto; Tal ch'ouunque à posar le piante vanno, Vna noua Città munita fanno. Che non vi è Fante, ò Caualier, che sdegni Di por le mani à i rusticali ordigni, Oue fia d' vopo, & che à sudar non vegni, Infra le zolle, e i pali, e i gran macigni; Ne men s'opran con altri varij ingegni In tal lauoro i Capitan più digni, (Sempre scaltri in pigliar il più alto sito, Vicino à l'acque) in fin che'l Vallo è ordito.
Vittoria al Fido le nemiche spoglie Dona; ma al Cãpo ei le cõparte; e Orcano Di farsi vn Dio, per appagar le voglie. Suena la Figlia; onde per duolo insano Il Figlio atterra, e impendesi sua Moglie; E'l fatto a i Regi, e à Faraoe è piano De la battaglia; ardesi il corpo in tanto D' Ismine, e'l Frate se gli getta à canto.

PER la pietà di Vittoria in far sepelir i morti, & curari feriti e per la liberalità del Fidamante in compattir il riceuuto dono da lei delle nemiche spoglie, à tutt'il Campo. Si denota Che i buõ Capitani deuono far il medesimo con ricconciliarsi prima con Dio con si fatte buone opere, & con non mostrarsi auidi d'altro che di gloria fac&etilde;dosi i suoi Soldati più sempre beneuoli, & obbligati. Et per Orcano, che scende à cosi horribil impietà, che sacrifica la propria Figliuola alla sepoltura di Iasio. Si demostra Che i Tirãni per regnare, & farsi dorar dal mõ do, si induccono ad oprare ogni piu enorme sacrilegio, onde poi quasi sempre vengono dalla giustitia di Dio puniti facendosi horribili, & spauentose tragedie de fatti loro, come di questa, nella quale oltra la Figiiuola, (che per le sue rare virtù sì fà più indegna di cosi fatta morte,) vi perde miserabilm&etilde;te la Moglie, & due altri Figliuoli ancora. Per faraote poi, che visto soleuarseli contra la sua Città finge di mãdar l'Araldo à i Rè ad offrir la sua persona per salute di essa si demostra, Chele simulationi de Prencipi sono riceuure facilmente dai Popoli per vere, & per cio facilmente acquetati, se ben finalmente poi l'ingannatore rimane à piè del ingannato.

VITTORIA in tanto al tramontar del giorno Fatto à gli Araldi hauea sonar raccolta; Et de i morti à cercar mãdato ĩtorno, Et de i feriti hauea con pietà molta; Altamente pensando alcun soggiorno Far quiui, il Cielo à ringratiar riuolta; Et salute indi à questi, & sepoltura À quegli altri donar con studio, & cura. De' quai più che trecento à morte spinti Non fur, di quei de la militia à piede; Et da nouanta da caual gli estinti; Pur sei mila i feriti esser si vede; Ma quei che vi rimasero de i vinti Il numer troppo di gran lunga eccede, Fur cento mila, & diece i fanti, & diece Mila da sella, che perir vi fece. Oltra, che de i prigioni ancor parea Il numero incredibile, e infinito; Ciascun dietro vna lista si trahea Di femine, & di serui; & col marito, Le mogli, e i figli, e'l padre alcun v'hauea; Se stesso, e'l corridor carco, & fornito Di ricchissima preda, & di ristrette Insieme accolte varie cose elette.
Il gran Campo suo moue, & poi dispone Passar (l'orrendo sacrificio fatto) Al centro Orcano, & nudo in via si pone Soura d'vn scanno con sua Maga, & ratto Scende dal primo à l'vltimo Burone De' rei Dannati, e inanzi à Pluto è tratto Indi in suo letto di gratie infinite Carco si troua ella nel fondo à Dite.

L'ESSEMPIO dell'Imperador Orcano, che si lascia, col mezo di cosi scelerato, & orrendo sacrificio indurre da vna Strega à trarsi ignudo seco sopra d'vn scanno per passare nell'Inferno, ci porge inanzi à gl'occhi, con vtilissima instruttione morale, il più notabile essempio di giouamento, che imaginar si possa: ammoriendoci, che non dobbiamo prender comercio in modo veruno con opere, ne con persone diaboliche. Poi che sotto specie di trar à fine i nostri desideri ci conducono, (nõ sen auedendo noi) in somma miseria, & infelicità; & à farle più vituperose, & sacrileghe attioni; che immaginar si possano; facendosi odiosi à ciascuno, & fino à noi stessi, con rouina, & ignominia perpetua. Per la sua passata poi per lo Inferno (poi che ogni cosa è piena di moralità vtilissima, & aperta potendosi dire, che quasi ogni stanza sia tale; per non difondersi souerchiamente,) si lascia il tutto al buon giuditio del lettore, il quale senza dubbio ne potrà trar merauiglioso frutto, & beneficio.

NEL peruerso desio condotto Orcano, Di penetrar per la terrestre mole, Et con Pluton di fauellar l'insano Ostinato consulta i Maghi, & vuole, Che gli additino il più spedito, & piano Calle à inuiarsi col partir del Sole; Nè se cadesse tutto'l mondo, ancora Vorria vn momento sol pur far dimora. Tal che del figlio Otaspe la giattura Nouella, d'alto, & rio dolor ripiena; Quantunque ei pur l'amasse oltra misura, Nulla gli accresce di trauaglio, ò pena. Cosi putrido membro, cui la cura Sia applicata del foco, poi non pena, Perch'altri il pũga (addorm&etilde;tato,) ò'l tocchi, Ne rinfresca le lagrime entro à gli occhi. Gli rispondon costor. Venuto è in mente À noi tutti, d'hauer nel campo visto Trarsi vna Fata di Massila gente, Saggia, ma ben, d'aspetto horrido, et tristo; Che sangue in fibra, & nõ ha fuor ch' vn dente, Di pallor ferrugineo il volto misto, Che di solchi ara, & gl'occhi ascõde in fosse Tremãte, & curua, & sol di pelle, & d'osse Disse, e'n dicendo, ei trabboccar lei mira Dal suo destrier fin de l'abisso in fondo, Mirabile ad vdire; & se rimira Entro l suo letto vscito al nostro mondo. Et qual' huom desto si distende, & spira, Ridente, & colmo d' vn sperar giocondo; Indi sale il suo carro, & segue il Campo, Già in Ciel del Sol spuntando il primo lãpo.

IL FINE DEL CANTO VENTESIMOSECONDO.

Esce Megera, & per Orcan s'adopra Et Vittoria di mal talento ingombra; Poi uà al Rè Scita, et che s'affretti ella opra Posto già in mar cõ la sua Dõna, & sgõbra Giunge al Cãpo Agamon', & põ sozzopra Vittoria, che'l Fedel di scorno, & d'ombra Hà colmo, e'l manda al Fido occolto Incãto Che la furia à Macon scoperto hà in tanto.

PER Megera, ch'appare in sogno à Vittoria, & con tãto artificio di parole, & cose, gli fà vedere il nero per lo biãcomett&etilde;dogli in disgratia il suo Fedele cõ indurla à fargli vn notabile affronto. Si denota Che egli è pericoloso il porger l'orecchio à le cianze de maligni perche, nostro mal grado, spesso ci perturbano l'animo, ancorche buono. Et per la medesima furia, che col medesimo artificio, accende Argentina, & Armedonte alla subita vendetta, Si vede parimente quanto le sobornationi de cattiui, vagliano in accender gl'animi al mal operare Il che più chiaramente si conosce anco in Macone pur sobornato da quella. Per Agamone poi, che si porta cosi lealmente col Fidamante, che è cagione, che Vittoria amendi l'error contra di lui comesso, cõ ricchiamar lo à se. Si dimostra, che la verità hà gran forza, & che spesso supera la malignità altrui, & Che i veri Caualieri fanno ritratto da quello, che sono, nõ sapendo mancar di lor parola. Et finalmente per la andata del Fidamãte, per comission di Vittoria all'Incãto della Fede, Si vede, che i veri Amadori non sanno se nõ sempre conformarsi col volee delle loro amate, & che questa è la dritta strada dà piegar la durezza de gl'animi di quelle.

QVINCI in spatio breuissimo fù visto Di Fortuna la rota andar sozzopra; Et di Vittoria il triõfã te acquisto Suanirsi, e insieme ogni consiglio, & opra. Che già Megera dal fondo empio, & tristo D' Auerno vscita, per Orcans' adopra; Poi che fra l'altre gratie à lui concesse Da Pluton questa al cominciar s'elesse. De le tre Furie vna è Megera, & quella, Ch' à destar sempre è ne le menti auezza Irà, Inuidia, e timore, & l'empia, & fella Discordia, e la ria fraude & l'alterezza; A i propei Padri in odio, à ogni Sorella, Tãto di mal'oprar si gloria, et prezza; Pallida, et fosca, et macra, & nuda, & grande, Col crin di serpi, c'hor raggira, hor spande. Et da sua bocca, qual da gran fornace Ogn'hor sul fureo, & nero fumo essala; E in ogni homero suo si stende, & giace, Di Pipistrello spatiosa vn'ala; E'n Flegetonte accesa, ha in man la face Funesta, etria; c'hor'alza, hor gira, hor cala Sè, e'herbe, et piante ouunque passa, et mira, Aduggia, & brucia nequitosa, & dira.
Segue nel mal oprar Megera, e i Regi Di timor empie con sue finte larue; È gli Egitij rinfranca, & de suo' egregi Fatti, auiso à Pluton donato sparue Ma tolto al Campo de l'assalto i fregi (Per l'altrui tema) ammutinato apparue. Et la Grega, a la Cipria Armata opposta, Dal fiero Scita à ferro, & foco è posta.

PER Megera, che continua nelle sue insidie, con metter sospittione, & disordini frà i Rè, & Vittoria; & cõammttinar il Campo, & far altri disordini, per affidare, & soccorre nel medesimo tempo il traditor di Faraote, & a sua Città dando vltimamente auiso à Plutone di cosi degne operationi sue. Si denota, Che i maligni, à quali nõ si douerebbono in alcun tempo porger l'orecchie, non dormono in seminar zizanie, & risse frà buoni, porgenddo ogni aiuto, & fauore à rei vantandosi diabolicam&etilde;te ancora delle lor scclerate operationi. Et per Vittoria che in vn momento con tanta arte acqueta il solleuamento de soldati, & castiga il colpeuole prouedendo a tutto, Si dimostra di quanta importantia sia oltra il valore, la reputatione in vn Capitano, & l'hauersi acquistato l'amore de suoi Soldati; & appresso quanto vaglia la forza della eloquenza per saper valersene prud&etilde;tem&etilde;te, à tempo & luogo. Onde si può riconoscere in questa gran Donna la vera Idea d'vn perfetto Capitano. Per la rotta nauale poi, che dà Armedonte, à Periandeo, Si demostra, che vn valoroso Capitano si fà seguir da Soldati ancor per natura cotardi, mettendo in loro col suo essempio, ardire & corraggio, valendo tal volta, vn solo, per gli altri tutti.

POSCIA, ch' à la mortal peste d' Auerno, Col partir del Fedel Guerrier uatente, Parue à gli ĩperi del Tirãno eterno D' Abisso, ch' angela perduta gente, D'hauer già à pieno, col suo buon gouerno Vbidito; immanissima, e insolente Per se medesma in auanzar sua impresa Si consiglia attizzar la fiamma accesa. Et ne l'hora, ch'al sommo giogo assisa L'Ombra il piè stende à declinar riuolta, Quando più ogn'alma s' abbandona in guisa, Che ne le stanche membra par sepolta; Del Cretense trouar repente auisa Il padiglione; & la sembianza tolta, D'vn suo più fido Cameriero, vsato In sù la soglia di dormir gettato; Et ch'allhor tratto, dal soaue dono D'oblio, giaceasi in sì profonda parte, (Sgombra ogni cura) ch'à fatica il tuono, O l terremoto l'haurian desto in parte; S intromett' ella, & con dolente suono Di gemiti & sospir composti ad arte Di sognar finge & sìl Rè vien, che tolgo Al forte sonno & ch' ad vdir si volga.
Rotta Armedonte la nemica Armata Con l' Amica à Pelusio dritto è volto Ma dal suo mal consiglio, sconsigliata Da Alfenore Vittoria aiutto hà molto Quinci moue à l' assalto, rincorata Sua Gente, e ogn'huom dale difese è tolto Ma ferita ella, e giunto entro la Terra Armedonte, ciascun si scaccia, è atterra

Per Periandro, che prima, che mora fà brucciar il Confalone del suo Rè; perche non venga in man del nemico, si mostra Che vn prudente & valoroso Capitano tien gl' occhi aperti ad ogni cosa oprando, accioni degni di lui mal grado della auuersa fortuna, fin nell'estremo della sua vita. Per Vittoria, che parte i suo i trauagli con Alfenore, ne si parte da i consigli di lui, s'insegna Che i cõstituti in grandezza; & Maestrato deuono nelle cose importanti ricorrer à Vecchi esperimentati, & prudenti, i quali congli auedimenti, & buoni consigli loro sogliono esser di molto giouamento & rimediar à disordini occorsi, & prouedere, che nonne succedano de noui. Et per la medesima in ordinar l'assalto della Terra. s'impara conquanta sollecitudine, & vigilantia, & prudenzza habbia à prepararsi vn Capitan valoroso nelle grandi, & dubbie imprese non men adoprando la fauella, che la mano, & che non deue sprezzar mai il Nemico, & considerare, che da cieli possino soprauenir delle cose inaspettate, & contrarie. Et vltimamente per la ferita, che ne riceue la stessa Vittoria per la qual si finariscono principalmente le sue genti & ne v&etilde;gono ributate, si amonisse, che nella saluezza del Capitano consiste il piu delle volte il tutto, la onde essi deuono esser molto ben cauti à non por fuor di tempo à sbaraglio la persona loro, per non rouinare se stessi, egl'altri in vn tempo.

INCREDIbili proue ogn'hor più in questo Mezo, Armedonte rouinoso ha fatto, Et de i nemici già, l' &etilde;pio & rubesto, Ogni nauigio infondo quasi ha tratto. Dasommo, ad imo di sangue funesto Carco si mostra, & cosi horrendo in atto, Che par, che ĩfin minacci il Cielo, e'l Mare, Nè per certo mortal su a forza appare. Nè con suoi pochi, contrastar contanti Periandro (quantunque habbia più legni Già corsi) potrà al fin; che tutti quanti Gli saran sopra con lor forze, e ingegni. Ma che dic'io? s'anco in mirare i pianti Il fier Scita de' suoi, con noui sdegni Si volge, & semiuiuo ogn' altro lassa Nauigio adietro, et ver lui s' alza, et passa. Come Tigre crudel, che seco hauendo À preda fare i Figliuolin condutti, Et micidial già ne lagreggia essendo Ode il Pastor, c'ha l'arme, e i cani indutti, À i meschin sopra, quei suenar volendo, Tal che si volge con ruggiti, & lutti Cõtra loro, & hor questo, hor quello afferra, Fin che spenti li caccia tutti à terra.
Medicata Vittoria ancor ributta I nemici, & del Zio Virginia al pianto À cercar di Gerone il corpo è indutta, Con Costanza nel buio, & l'apre in tanto Del suo amante Asdrubal l'istoria tutta Ch'à lei fatto notturno à sorte à canto L'ancide incauta, & conosciutol poi Dà fin col ferro stesso à i giorni suoi.

PER Vittoria, che medicata fà testa, & ributta i Nemici, Si denota, Che un buon Capitano non deue abbãdonar i suoi Soldati fin c'habbia di uita. Per lo Rè di Sicilia, che non tornãdo il Figlio Gerone si ramarica fuor di modo, si uede, che non ui è il maggior amore di quello de i Padri uerso i Figli, ne il maggior dolore, che la tema del ueder li morti auanti. Et per Virginia, che mossa al pianto di lui, suo Zio, andando con la compagna Costãza per cercar del corpo di Gerone Figlio di quello, le scopre l' amor ch'ella porta ad Asdruballe, Si denota, Che egli è grã refrigero lo sfogar il cuore con gl'amici; tutto, che Amore non sappia uoler consiglio. Et ultimam&etilde;te per Virginia, & Asdrubale, che cosi fuor di tempo si dispongono d'ire à trouarsi per rendersi, e l'uno, e l'altro più certi dell'amor loro, amazzando ella lui, per non riconoscerlo incautamente, & dopò à studio sopra di lui se stessa cosi miseramente, Si denota. Che gl' Amãti accecati dalla passione corrono quasi sempre straboccheuolmente in grandissimi errori, & che non basta prudenza humana (dati in preda à questa passione) per guardarsi da gl'accidenti incredibili, & strani, che soprauenire possono con uergogna, & danno. Onde il meglio sarebbe à starui lontano, con pregar la Maestà di Dio à tenerci sopra la sua Santa mano.

DE la Guerrera al tristo annuntio in questa Il saggio Eustachio uien chiamato, & volto À la cura g&etilde;til cõ lieue, & presta Man s'appresta egli, ognisuo ordigno tolto. Quanta virtute ogn'herba ascõda, et uesta, Ha nel chiaro intelletto à pien raccolto; E'n più vaselli empiastri, ogli & liquori Da inuigorir l'offese membra, e i cori. Et d'ostro, al fianco vna gran tasca adatta Con sue porte indorate, & forma antica; Entro à cui vari stili, & ferri appiatta, Et di candido lin le fascie implica; Et molle lana da le frondi tratta, Che neue assembra; & quì cõ faccia amica, Leua le piastre d'or, toglie la maglia D'argento, & tosto ogn'altra veste taglia. Et già vscito era il calamo, c'ha l'ali, E'l ferro entro nel braccio era rimaso; Che le Partiche genti Orientali I feriti per trar meglio à, l'occaso, A' veloci pungenti iniqui strali Danno tal forma, & non già mica à caso, Ma perche resti ne le membra ascosto L'acciaio, onde non s'habbia à trar sì tosto.
Del duol sopra l'estinta Amica scoppia Costanza, e'l corpo di Gerone al Padre Tratto, il consola; ma'l dolor raddoppia L' Amico d' Asdrubal' con sue noue adre Ch indis ancide, & scaramuccia doppia Fan con più morti le nemiche squadre Ma l'empio Scita, ogn' huõ fugato, et uinto Al fin manda anco Islao si bello estinto.

PER Costanza, che casca morta sopra Virginia, & per l'amico di Asdruballe, che si amazza da se medesimo si conosce quanto sia possente il vincolo deil'amicitia, poi che bene spesso vn amico non puo, ne vuole viuere senza l'altro. Et per lo Rè di Sciciglia, che incontrando il Figlio, che cosi generosamente era morto rasciuga il piãto, in cui miseramente era in uolto, s'insegna che i prudenti, nelle cose, che non han rimedio sanno far forza à se medesemi, & acquetarsi al voler di Dio, con pigliar patientemente, & per bene tutte le percosse, che v&etilde;gano dalla sua santa mano, & ringratiaruelo ancora appagandosi dei suoi profundi, & nascosti giuditij. Per la diuersa battaglia poi de l'vn Cãpo, e l'altro or vincitore, or vinto, Si denota la volubilità della fortuna, & le vicissitudini della guerra, che quasi sempre uanno di questo modo, & s'impara, come habbiano à gouernarsi in simili*. Original is unreadable. buoni Capitani; essendo pazzia il voler far contrasto con coloro, che si conoscono manifestamente molto *. Original is unreadable. mamente per Islao a cui non valendo i suoi prieghi, vien tolto la vita empiamente da Armedonte, si come anco esso hauea fatto al Caualier di Cipro. s'impara, che come il perdonare à chi si dona per vinto è operatione generosa, & grata à Dio: cosi à coloro, che non lo fanno spesso incontra, che u&etilde;gano pagati della moneta istessa, ch'essi hanno pagato altrui.

COL feretro Costãza scorsa in tanto Fin sotto à gli steccati, homai secura; Credendosi di hauer pur sempre à cãto La sua cara Compagna, s'assicura, Afflitta & stanca di fermarsi alquanto, Et si riuolge, ch'ancor l'aria oscura, Non s'allumaua et non sentent&etilde;do il piede Di lei, la chiama, & che vicin sia crede. La chiama una, et due volte, & poi, ch'ascolta, Che pur la terza non risponde ancora. Subita tema nel suo cor raccolta D'infortunio nouel di lei, l accora. E indietro il piè tosto à tornar riuolta, Per trouarla sen va senza dimora; Et lungi assai, parle d'vdir di lei La voce, & mandar fuor suoi tristi homei. Onde ascolta, & per meglio vdir si ferma Tutta tremante; & via più sempre, & piùe, Che sia il pianto di lei si riconferma, Et dice. Oime queste son voci sue. Deh come cieca, & de la mente inferma Rimasi allhor, quando à spronar mi fùe Timorosa al fuggire, à non chiarirmi, Et mirar s'allhor pronta era àseguirmi.
Gli Itali e i Greci fan ritorno à i Forti, Di donde per dolor d' Islao la Zia Si getta al basso, & con diuerse morti Armedonte colàs'apre la via Ma caduto nel Nil anco co' morti Et con lui guerra imprende, e poi s'inuia Doue gli Egittij stanno in festa, & doue La sua Diua fa stranie, e indegne proue.

PER Latino, che fà raccoglieri suoi, & ritrarli dalla strage d'Armedonte, s'impara, che vn considerato Capitano deue vsar della prudenza, doue non vaglia la forza. Et per la Zia d'Islao, che per la sua morte si precipita, si denota, che molte volte il dolore è cagione, che nõ solo si odii la vita, ma ch'altri procuri di leuarcela. E però in tai casi si deue riccorrere al Signore perche ci aiuti. Per le tante braure poi, & temerità d'Armedonte, che indi casca nel Nilo, e con lui presume di far contrasto, onde sozzopra volto, & posto in pericolo d'anegar si, à fatica si salua nella Città, si demostra, che per grande, che sia la nostra forza humana non si può far contrasto con la Diuina. La onde rintuzzato il nostro orgoglio ne rimaniamo con scorno, & danno. Et finalmente per Arg&etilde;tina, che leuato l'assedio della Città si dà à tanti lussi, & lasciuie, che imbriacatasi si innamora del vil Drudo con scacciarne il valoroso amadore, si insegna, che nelle prosperità la crapula, e lo smoderato lusso ci fà perder il ceruello, & oprar mille strauagantie, & che le femine impudiche & sfacciate sono tutte volubili, & non sanno seruar ne fede, ne termine di creanza, & d'amore: sopratutto mostrãdosi ingratissime de i benefici riceuuri apprendendosi del continuo al lor peggio. Onde ogni nobil Caualiero dourebbe fuggirle più che la morte.

ESPERO intanto à fiameggiar la doue, La meta Al cide a' Nauiganti impose, S'auuicinaua, & da lõtã le proue. Visto Latin sì grandi, & spauentose, Del fiero Scita, che più sempre noue Forze prender parea merauigliose, Quãte più schiere, et lãcie et spade accolte Gli eran d'intorno à contrastarlo volte. Si come incendio, ch'auampar si veggia In munito palazzo, ò in reggia corte, gia Che quãto ui&etilde;, ch'altri più ogn'hor proueggia D'ãmorzarlo, et più ogn hor difese apporte. Tanto par, che più in alto l'aria feggia, Et quinci, et quĩdi, et cresca assai più forte, Precipitando ciò, che incontra al basso, Sbigottito onde arresta ogn'huomo il passo. Visto dico Latin, da l'inhumano Braccio atterrato, e'n fuga ogn'huõ riuolto; Et Fabritio tornar col suo germano Questo in petto piagato, & quel nel uolte; Dopo l'hauersi affaticati in vano Ambeduo in tutto ogn' ordine disciolto, Cedere à la fortuna anch ei dispone, Per quel giorno, & lasciar l'aspra tenzone.
Libera in tanto da i Ladroni il fido Vn Vecchio auuinto, che pria à dir li uiene Chi fè l'Incanto, & che del Nilo al lido Stà vn Cocodril, che strugge M&etilde;fi in pene Poi di Dõna vn stup&etilde;do amor. Ma al grido Volto il Guerrier del nouo duol, che tiene La Città in forse, il Mostro ancide à cui Giulia, e Arione, eran gli esposti dui

Per l'Historia de i Rè d'Egitto, s'impara, che i Prencipi douerebbono astenersi di por mano nell' honore delle Dõne particularm&etilde;te della nobiltà loro; perche quasi s&etilde;pre quelli, che fanno altram&etilde;te capitano male, Et per la Regina Nicotre, che in prima spreggiante amore, vltimamente si innamora del Giouane infidele con p&etilde;siero di tirarlo ĩfino alla corona, ma che poi nõ molto dopò ĩgãnata da lui cõle proprie mani l'ancide piãg&etilde;do la sua follia amaramente si, che ui lascia la uita, Si denota, che un cuor gentile mal può fuggir, questa passione d'amore, che non vi in cappi tardi, ò per tempo, & che le Donne sono fuor di mìsura ardenti in amare, et che nõ è il maggior dolor in un animo tale, che il uedersi pagato d'ingratitudine, & da cui manco douerebbe farlo. Onde forza è che se ne risenta fin alla morte. Et Appresso perla mirabile, & pietosa istoria di Giulia er d'Arione, esposti al cocodrillo, si uede ancora che gli amari passano per mille perigli, et trauagli senza qetarsi mai, & che l'amore di Dõna nobile è tenacissimo, nõ lasciãdo risco à cui ella non ponga la propria uita per gradir l'amante. e pero sano consiglio tiensi lo scostarsi da questa passione più, che sia mai possibile.

MENTRE CHE fuor d' ogni credenza, et speme Di Vittoria, allungar nõ pur si scorge La guerra, et che nõ sol più stringe, & preme L'inimico, ma ch'ei più forte insorge; E'n guisa tal, ch'ogn'huom pau&etilde;ta, & teme Di restar uinto; & ch' ella homais' accorge Del suo error, con l'hauersi tolto auante Il suo Fedele, & ualoroso Amante. Presso à Menfi egli, à ricercar già dato S'era di quel fedel famoso Incanto; Quando, seguendo il suo camino, entrato In un boschetto, udir gli parue un pianto; Volgesi, & uede ad un troncon legato D'aspetto vn Vecchio uenerando, & santo, Intorno à cui, di Masnadier quiui era, Con sembianti inhumani armata schiera. Spingesi ardito, e'l brãdo impugna, et grida. Tornate adietro, et non sia alcun, che st&etilde;da Più la man temeraria, ò l'homicida Ferro, nè punto più'l prigione offenda. Ma quella turba scelerata, e infida Si volge, & uien, che sopra lui discenda Senz altro dir, colma di sdegno, & d'ira, Et d'atterrarlo al primo assalto aspira.
S'apre l'Incanto, & la corona prende; Et del Nil conle Ninfe il Fido Duce À la Colonna, che di statue splende Gloriosa, e immortale si conduce. E'l tutto inteso, oue Armedonte attende À crucciarsi rinchiuso si riduce, Et doue i Rè fan con Vittoria, ch'ella Con sue lettre, e impromesse à se il rapella.

PER le Ninfe mandate dal Nilo al Fid' Amante à disuelargli l'Incanto, onde n'acquista la pretiosa corona, & intende, & vede scolpite nella marauigliosa Colonna le gran vittorie, & le prosperità, & i Regn i, & le Monarchie, c'haueran d'hauer i successori del sangue suo. Si denota, che le nostre buone operationi, & desi derij vengono quasi semapre alutati, & fauoriti da' Cieli, & che le memorie di sìgran fatti, se non fossero fondate sù le bafi de gli Eccellenti Scrittori, che le portano infino alle Stelle con eterna memoria, in poco tempo se, n'andarebbono disperse, & in obliuione. Per la Città poi, che torna quasi ne' termini di prima, non vscendo più Armedonte à combattere perli mali portamenti della sua Reina, attendendo esso rinchiuso à crucciarsi. Si dimostra quanto danno, & rouina tal volta nasca per lo capriccio d'vna femina impudica; & che la gelosia è sempre cagione di mille inconuenienti, & mali. Et vltimamentè perla chiamara, che fà Vittoria del Fid'-Amante, si conosce, che se ben per alcun tempo viene la virtude combattuta, & depressa, al fine (operi la malignita de altrui quanto si voglia) è forza, che risorga, & sia apprezzata, & ammirata da tutti.

QVAND'ECCO da lontan vicino à l'onda, In sembianze leggiadre alzar si vede, Carolando con timpani, gioconda Schiera di Ninfe gratiose, il piede; Cinta le tempie de l'amata fronda, Ch'à Pallade in percoter l'hasta diede La gran Madre Torrita allhor, che venne Col Dio del Mare ĩ proua, e'l pregio ott&etilde;ne. Et giunta innanzi al Caulier sourano, Fra tutte l'altre la più bella, & saga; De la fronde, che'l crin l'annoda, in mano Tenendo vn ramo, che per l'aure vaga; Con portamento altero, & viso humano, Cosi sciolse la voce ornata, & vaga; Dicendo. A'te verace, & Fido Amante Scura quanti mai siano, ò furo auànte. Il gran Fiume del Nil Padre, & Signore Nostro, con gran diletto horane' nuia; Come à Guerrier degno d'eterno honore, Colmo d'ogni bontate, & cortesia; Et d'offrirti il suo aiuto, e'l suo fauore Almo. & diuin, con sommo amor desia; Contento, & pago, che sua Fera giaccia, Per la vertù de le tue inuitte braccia. Et tanto più, che nota à ogn'huom venia L' alta sua ingratitudine, e impietade. Dunque tosto per lui cercar s'inuia Dritto à Mensi con gran velocitade, Del Cretense vn Barone, à cui la via Era conta di quelle ignote strade, Per che sia, ò nò accappato de la Fede L' Incanto, à lei ratto ei riuolga il piede
Giunge Tomiri, & fà gran proue in arme Con le Amazoni sue; Ma Agamon crudo Le sbaraglia. e Argentina indosso l' arme Pon d' Armedonte al suo nouello Drudo. E questo fugge, e quel s'impenda parme, Ma lo soccorre la sua Amante, e scudo Fassi, troncando il vil Riuale, & letta L' amata carta, il Fido il corso affretta.

PER la bella Tomiri, che con le sue compagne cosivaloro samente atterra le nemiche squadre. Si dimostra, che in qualunque disciplina le nobili, & gentili Donne vengono essercitate, non rimangono à dietro punto à i più valorosi huomini, che si ritrouino: E per Agamone, che attizzato dalle squadre di quella le sbaraglia, & poi se ne ritira. Si denota, che i primi moti nõ son in potestà nostra, e che' l sentirsi punto da chi, che sia, fà perder la patientia à coloro, che non bene han fatto l'habito nella virtù. Per Argentina, che mette in dosso al Drudo l' armi d'Armedonte; on d' egli per disperatine postosi il laccio al collo, se non veniua aiutato à tempo da quella, rimaneua impeso; s'impara con marauiglioso, e miserabile essempio à quanto rischio, e periglio si pongano coloro, che si danno in preda d'vna bella guancia, & di vn cuore impudico. Et appresso per la ricõcigliatione fatta con tant' arte da lei con quello, si conosce quanto le meretrici siano false, infingarde, & astute; onde ogni gentil Caualiero douerebbe abhorrirle Et in fine per l' allegrezza del Fid' Amante per la riceuuta lettera dalla sua Donna, si conosce, che'l ben seruire à nobile, & generoso obietto non lascia, che si rimanga mai senza qualche honorata, & degna mercede.

SOGNAVA, ET fra gioiose larue in tãto Faraote pr&etilde;deua alto riposo; Et tuttauia pareagli ĩ ballo, e in canto, E'n concerto leggiadro, & amoroso, Mouer la lingua, e'l piede; e'nsieme il piãto De i Regi, & di Vittoria il sospiroso Stato ascoltar; rotto ogni lor consiglio, Et del Campo abbattuto il grã scompiglio. Tal che ciascun precipitoso hauesse Per fuggire à le Naui homai ricorso; Et che la vita per scampar mettesse Gli sproni in opra, & allentasse il morso. Et ch'egli in perseguendoli, ne fesse (Colà il fier Scita immantenente accorso. Come Lupo affamato infra le imbelli Ampie schiere di Pecore, & d' Agnelli) Noua strage, & sì immensa, & infinita, C'horribilmente le campagne intorno Ricoprisser di sangue, sbigottita La terra, e'l Ciel de l lor rio dãno, & scorno. Quand' ecco (fuor d' ogni credenza) vscita Gli parea dimirar dal destro corno De l' ondoso suo Fiume, strania alzarsi Fiãma, et nel grembo un Caualier portarsi
Di nouo esce Armedonte, e in guisa mette Gl' Auuersarij in terror, che i Rè sen uanno A ritrouar Vittoria, perche affrette Il partirsi con lor; ma auiso ecco hanno, Che giunto è il Fido, & ei con proue elette I suoi rincora & porta à gl' altri affanno; Sfida il fier Scita; & à cauallo, e à piede Fan guerra, et di me' farla anc'ei prouede.

PER gli Rè, che nel buio della notte, fuor di modo impauriti dall inusitate proue d'Armedõte, vanno à trouar Vittoria per far vela. Si dimostra, che i vecchi, à quali non bolle più il sangue, quãtunque sauij, tal volta perdono l'animo e'l consiglio, & s'indurebbono à far degli errori, se non porgessero l'orecchie à i buoni ricordi de gli amici. Et per la nobile repulsa fattale da Vittoria, si dimostra, che i giouani d' animo generoso, & forte non si perdono, nè perturbano per qual si voglia improuiso accidente apprestandosi col valore, e col cõsiglio à superar ogni difficultà. E per l'arriuata del Fid' Amante, onde, cõ sue merauigliose, & incredibili proue rincora gli amici, & atterra gl' inimici. Si denota, quãto vaglia, e di quanto mom&etilde;to sia la presenza d'vn valoroso, & esperto Capitano, che immantenente sà porrele cose de' suoi disperate in lieto, & sicuro stato. E finalmente per l'vltima disfida fatta dal Fid' Amante dopo la merauigliosa pugna hauuta con Armedonte à cauallo, e à piedi di combattere disarmato; si comprende, che vn generoso cuore, non teme di tentare tutte le più perigliose strade per trar à fine i suoi gloriosi defiderij.

DISPETTOSO Agamon, seguito in tanto Hauea di perseguir le Dõne armate, Che già tutte per entro il fosco manto Si scorgeanole Stelle d'or fregiate. Posa homai già prendendo in ogni canto Le fere, e i pesci, & l' altre schiere alate, Nè frenar si sapea, nouo destriero Salito l' implacabile Guerriero. Tal che più acerba, & spauentosa assai Crescea infra l' ombre la grã pugna ancora, Che chiarissimi in Ciel spiegasse i rai Cintia più ardente de l' vsato allhora; Quando l aspra Tomiride, non mai Più cruda in uista, senza far dimora, Rassettato il fren d'oro è giunta, & pensa Vendicarsi di lui, d' alt'ira accensa. È giunta, & par che vn gran diluuio guidi, Seco de l' arse faretrate genti, Che tutte al Ciel uanno inalzando i gridi, Quali, ne l' appressar de i giorni algenti Soglion le Grù, ch' escon da i patrij nidi Fuggendo innanzi à i più ueloci Venti, Lasciando adietro l' affamato Verno, Per schermo fare al rio digiuno interno.
Il gran duello è in dubbio, e affida, e atterra Faraote, e Argentina un Nuntio strano. Ma disfidati i due Campion fan guerra; E'l Fido al fin mette Armedonte al piano; E l'amico Agamon piange, e sotterra, Sopostoli il comun Nemico; e Orcano Per l'aria tratto, esser vicin s'intende E'l mõte, e'l pian coprir d'armati, e tende.

PER lo gran duello rimaso in dubbio, con lasciar ogn'huom sospeso. Si denota, che fra due valorosi Capitani, per trar à fine le cose importanti loro, & vincere l'un l'altro, ci vuole tempo, fatica, & patientia. Et per lo spirito Infernale mandato da Orcano à Faraote, & alla Figlia per sturbar la noua disfida. Si vede, che il più delle volte, dove punge l'interesse, & quello, c'hoggidì si chiama ragion di stato, si pospone la fede, & le impromesse fatte, non guardandosi à biasino, nè ad infamia, che ne possa succedere. Et per Armedonte superato al l'vltimo dal Fid'Amante. Si conosce, che quelli, che non temono Dio pagano quasi sempre le pene della lor temerità. E per la pietà Fido in piangere, & honorare con tanta magnificenza non solo il corpo dell'amico Agamone, ma quello del nemico Armedonte ancora. S'impara, che queste non sono virtù d'huomini ordinarie; ma propriamente da Eroe eccellentissime, & rare, & degne d'esse ammirate, & imitate da Caualieri, ch'aspirino à loda, & fama. Et vltimamente per la giunta dell'essercito d'Orcano, tratto per l'aria da Demoni. Si vede, che'l Nemico seconda, & fauorisce mirabilmente tutti i nostri scelerati desideri, per trarci poi da sezzo dolorosamente con ogni inganno nelle sue reti, & insidie piene d'ignominia, & danno.

CON MERAuiglia vn Campo, & l'altro tãto Stato era, de l'inuitto alto valore De l'uno, & l'altro Caualier, che quanto Dir pur non possi, nè con qual stupore. Nè però ancora, à cui donare il vanto Douesse il Cielo, e'l trionfale honore, Scorger poteasi, ò'n qual più degna parte Per chinar fosse il glorioso Marte. Et come allbor, che nel Leon si gira Febo ne' giorni più cocenti; quando Bocche immense la Terra aprir si mira Di ber più desiosa sospirando; Se fosco nembo da lontan rimira L'auaro Agricoltor l'humor bramando, Fra speme, & tema in dubbio di tempesta, L'attende, e'n un con lieta faccia, & mesta. Cosi de la battaglia ogn'huomo attende Il certo fin, con dubbio cor tremante; Et ciò per la magnanima comprende Noua disfida del Fedele Amante. Ma l'uno, & l'altro Caualier si rende Nel secreto più lieto, & più costante De l'vsato, & sitien d'hauere in mano La vittoria, & n'aspetta honor sourano.
Vittoria, e'l Fido con la notte vanno Incontro Orcan, che rotto, e in fuga è messo Ma Faraote vscito, e in teso il danno, Torna ne la Città col Fido appresso, Nè tanti, vn solo, d'at errar forz'hanno, Ch'ei l'arde, & prende, Faraote stesso Lacero, e morto; e in voce di mercede, D'Orcan la testa à lui, Vittoria chiede.

PER Vittoria, & Fid'Amante, che vdito l'arriuo per l'aria dell'essercito disordinato d'Orcano, deliberano andargli contra per atterrarlo. Si denota, che i prudenti Capitani appresentandosi l'occasione la sanno prendere, facendo quel retto giudicio, che le ragioni sogliono mostrare altrui con acquistarne honore, & gloria. Per Faraote che vscito per pigliar in mezo il Nemico, & inteso, che da quello l'essercito del Padre era stato assalito, perde immantenente d'animo, & si dà a fuggire. Si conosce, ch'ogni minimo sospetto impaurisce coloro, che si hanno macchiata la conscientia mettendoli in terrore, & priuandoli di consiglio, & d'aiuto. E per l'intrata nella Città, & gran brauura fatta in quella dal Fid'Amante; ond'ella vien posta à ferro, & à ferro, & à foco, & Faraote preso, & lacerato, & miseramente tratto à Cani. Si ammonisce primieramente, che'l sentirsi la ragione à canto, accresce l'animo, & le forze, facendo oprar cose merauigliose; & appresso, che non dobbiamo confidarsi nelle grandezze di questo mondo, perche bene spesso cadono, & si perdono. Et di più, che li scelerati sono astretti al fine à pagar amaramente le pene de i lor misfatti. Et vltimamente per Vittoria, che do manda la testa d'Orcano al suo Fedele. Si vede, che non mancano mai attacchi à coloro, che cauillare vogliono, per scostarsi da gli Amici, & mancarli delle lor impromesse.

ARRIVATO à sua Donna il Fido auanti Con &qtilde;i prigioni, e'l Capitan lor seco, Che'l giorno anco hauea à scorrer gradi alquanti Pria, che'l Ciel fosse tenebroso, & cieco; Et la Notte à destare i Sogni erranti Per seco trarli dal cimerio speco; Chiede ella il come, e'l quãdo sian quì giũti in vn tempo Esserciti congiunti. Il Captain risponde. Alta Regina L'immortal nostro gran Signor tremendo, Di veder la total strage, & ruina Ditè, & de' tuoi sommo desire hauendo. Come quel, che virtute ha in se diuina, Comandar' à i Tartarei Dei potendo; Con infinita merauiglia tutti N'ha di Fenicia in vn dì sol quì addutti. Sì, perche in altra guisa à lui parea, Di non esser' à tempo à trarti à morte, (Che non prendessi, grã dubbio egli hauea Gli Austri in fuggir, per tue fidate scorte) Et sì, perche dal mal camin, che fea Per sì deserte, & longe vie distorte, Cominciato l'essercito à patire Hauea forte, & di subito à morire.
Ode la strage Orcan del Figlio, e ottiene Suo corpo in dono dal Fedel cortese. Che volto indi à troncarlo, al Castel viene Di quello, e l vede al Ciel volar palese. Onde in preda (perduta ogni sua spene) Dassi al turbato Mar; ma saluo il rese Proteo, e Apollo à mirar suo albergo il guida, Gli Eroi gli addita, e'l Pegaseo gli affida.

PER Orcano, che va à porsi in mano del nemico Fid' Amante, per ottenere co' suoi merauigliosi doni il corpo del lacerato Figlio custodito da quello. Si vede quanto di forza habbia la virtù, spingendo i proprij nemici ad humiliarsi à quella, & che generalmente per ottenere gratie vna delle più sicure strade, che si ritrouino sono i presenti. Ma che poi gli succeda la dimanda senza quei doni. Si denota, che i Caualieri veramente virtuosi, & magnanimi non sanno vendere le cortesie loro, nè lasciarsi vincere di liberalità. E per l'istesso Fid' Amante, che volto ad vbedir la sua Donna sen và per leuar la testa al detto Orcano, & trouatolo sopra d'vn carro volar per l'aria, si commette al Mare per disperato. Si dimostra, che non è pari dolore à quello d'vn' amante. che credendosi d'acquistar la persona amata, si troua nel medesimo tempo d'hauerla per qualche stranio accidente perduta. Onde anco i sauij vi perdono la scrimia, & l'intelletto. Per la salita poi, ch'egli fa al monte Parnaso conduttoui da Apolline, & dalle Muse, doue, frà l'altre cose, gli vengono additati i piu famosi Prencipi, & Poeti, cosi antichi, come moderni. Si manifesta, che i fatti egregij dell'arme, se non sono inalzati dalle buone lettere, & sculti in fronte dell' eternità, rimangono finalmente sepolti nel sempiterno oblio.

GRAN MERAVIglia, à dir con qual terrore, La notte, e'l dì s&etilde;za voltarsi indietro N'andasse Orcan con palpitante core, Doloroso, & con viso bianco, & tetro; Fermato al fin, & tolto ogni sentore De gli inimici, in dispettoso metro Maledia il Ciel; d'ogni misura, & fuori Si dolea de i Tartarei suoi fauori. Muggendo à punto, qual ferito Toro Toltosi sotto à le nemica acetta, Fuggendo fuor del populato Foro, Che i corni abbassa, e i piedi alzãdo affretta; Nè però dal seguir la traccia loro Sapea torsi; se stesso, & la sua fretta Incolpando troppo auida, & insana, Renduta ogn'alta sua speranza vana. Fra se dicendo. Ahi quanto il tuo consiglio Iasio infelice era fedele, & santo; Quãto à grã torto, et cõ mio qual scõpiglio T' ancidessi hor conosco, in doglia, e'n piãto; Tardi io l conosco, & con sì gran periglio (Caduta homai ogni mia gloria, & vanto) Che imperio, & vita in termine son'io Di perder' hor, non che di farmi vn Dio.
Il Pegaseo la Machina terrena Mostra al Fedele, & la celeste Corte, Chi'indi ad Orcan, ch' al sacrificio mena Suoi captiui, si volge, e'l tragge à morte. Quinci il Padre, et la Suora hã di lui piena Contezza, tolti al fier supplicio. E'l Forte Passa à Vittoria, che à pugnar si toglie Seco, ma al fin restan marito, & moglie.

PER lo Pegaseo, che scopre il mondo inferiore, e'l superiore al Fid' Amante, con darle d'ambedue loro qui si piena contezza. Si denota, che i buoni Poeti sanno altretanto ammaestrare, quanto dilettare; & che questi due nobilissime scientie sogliono effere di grandissimo adornam&etilde;to à gli scritti loro. Per la battaglia poi d' Orcano col Fid' Amante. Si vede, che il Demonio vsa grand'arti, & forze incredibili in fauorire gli scelerati contra à i buoni, ma che finalmente questi coi fauor del Cielo ponno facilmente atterrarle, & disperderle. Per la liberatione appresso fatta dal Fid' Amante, di Radamanto, & Berenice, & per lo riconoscimento uicendeuole frà loro, di padre, & figlio, & di sorello, & nipote. S'impara quanto siano varij, & merauigli osi i casi della Fortuna, e che quando piu pensamo di trouarci nel fondo di tutti i mali, spesso ci trouamo nel colmo d'ogni contentezza. Et vltimamente per la disfida fatta da Vittoria contra il suo Amante, mediante la quale Diana, & Amore deliberano di congiungergli in matrimonio, si manifesta la gran prouidentia di Dio in saper cauare del mal bene, non abbandonãdo i suoi deuoti, & che premio al ben seruire (qual disse quell'altro gran Foeta) Pur viene al fin se ben tarda à venire.

POGGIA SOura le nuuole, e trappassa Il uolãte Destrier, più che saetta; E immanten&etilde;te soura l'Asia passa, Già l'Eubea, & l'Egeo varcato in fretta; Ponto, & Bittinia à man sinistra lassa; Licia, et Panfilia à destra; e'l corso affretta; Et là Galatia, & Cappadocia mira; Et quà Cillcia, e'n ver l'Armenia tira. Con tanto del Guerrier nouo diletto, Che mente humana imaginar nol puote; Volto à lasciarsi dal Destrier perfetto Guidar' à voglia, ò che sia à dritto, ò ĩ rote, De la Terra, & del Mare il vasto aspetto, Et le parti di lor stranie, & remote, (Ben che dritto s'inuij donde esce il giorno) Stupido rimirando intorno, intorno. Quinci scorge l'Eusino, & sopra vede La Palude Meotide; & appresso Colchi, Sarmatia, & Scithia; et come siede Siria, da l'altra parte il guardo messo; Più la Fenicia, e'l Mar di cui s'ha fede, Che'l grãd Ebreo col piede asciutto in esso Seco adducendo il suo Popol, varcasse, Et l' Egittio sommerso in quel restasse.