LA COLOMBA
SACRA
POEMA HEROICO
DI LVCRETIA MARINELLI.

ALLA SERENISSIMA SIG.RA
DVCHESSA DI FERRARA

MADAMA MARGARITA
ESTENSE GONZAGA.

CON PRIVILEGIO.

IN VENETIA, M. D. XCV.

Appresso Gio. Battista Ciotti Senese, al segno della Minerua.

HAVENDO io ridotto in ottaua rima Serenissima Signora il felice Martirio di COLOMBA Santa, vna della Vergini piu care à Christo. Et desiderando, che questa opera non solamente sia riguardata, ma etiandio ammirata dal Mondo. Cosa impossibile per il rozzo, & basso stile de uersi miei mi è caduto nell' animo per ottener questo mio desiderio di dedicarla, & consacrarla à Vostra Altezza Serenissima: onde io spero di conseguire il desiderato fine mediante il nome di lei tanto famoso, & rimbonbante per tutte le parti dell' uniuerso. Non solo per l'Eccellenze, & doti del suo Regio animo, ma per la descendenza da gli Inuitisimi Principi Gonzaga, & finalmente per lo legame, che ella ha con quel grande, & glorioso Heroe Alfonso Duca di Ferrara uero Mecenate delle Muse. Non isdegni adunque Vostra Altezza Serenissima questo picciolo, & mancheuole dono, il qual humilmente le porgo. Ma gradisca il puro affetto, & la ferma deuotione dell' animo mio verso di lei. & cosi à uoi gloriosissima Signora humilmente inchinandomi dedico insieme con la compositrice questa breue compositione. Di Vinegia alli 13. di Nouembre 1595.

Di Vostra Altezza Serenissima.

Diuotissima Serua

Lucretia Marinelli.

LVCRETIA la tua pura alma lucente, In human velo in volta, ascese il Polo Spiegando, di Colomba il chiaro volo Che render puote in Dio vaga ogni mente. Hauesti pronto il cor la voglia ardente, In ispiegar di lei la gioia, e'lduolo, Che'l furor vinse del superbo stuolo Al suo foco gentile vn verno al gente. Queste sono opre d'immortal valore, Che te leuan da terra, e i casti petti, Empion di merauiglia, e di stupore. Dolce Sirena d' Adria i riui eletti Fai risonar, e nel diuin amore Vnisci, e leghi i tuoi più caldi affetti. SPIEGA COLOMBA Santa i sacri vanni Teco Cigno gentil, che de l'oblio L'onde varcando al tempio eterno, e pio Il suo nome riporti, e i lunghi affanni. Cosi VERGIN prudente illustri inganni Facendo al Tempo, e à Lethe inuido e rio, Togliendo vai dal cieco lor desio Le Notte altrui sin da tuo'più verd'anni. Ben Fian le dotte carte, e i simulacri Che'n lor riformi, à l' Alma à Dio si cara, D'altr'arte che di Zeusi, ò che d' Apelle. E perche fia per lor rozza, ed auara La Musa mia: lasc'io che ne fauelle L'ETERNITA, cui tùgli appendi, e sacri. SPIEGA l'Aquila i uanni, e si sublime Vibra veloce la grauosa salma; Ch'a l'istesso mirar toglie la palma Di penetrar vel le Mondane cime. Vaga Vsignuola con sue dolce rime In alto sì poggia la voce, e l'alma, Ch'in la Magion felice, eletta, ed alma Di là dal Mondo al santo stuol le imprime. Onde si come gli altri lumi il Sole, Così l' Aquila vince, Verginella Cantando i fatti Eccelsi di Colomba. Son gemme i sensi, or fin son le parole, Con arte auuinte sì perfetta, e bella, Ch'il grido in ogni parte ne rimbomba. QVESTA Sirena, che cantando arresta E'l vento, e'l mar quando piu mugge e freme: E allhor, che'l Ciel minaccia, e'l lido geme, Placa il furor de la crudel tempesta; Non come l'altre il nauigante infesta Si che del suo Lethargo altri non teme Anzi tra i sordi flutti allhor, che'l preme Sonno d'errore à miglior vita il desta. Di questa il canto illustre à se n'impetra Da lo Spirto di Dio quella COLOMBA Ch' è ne forami de la sacra pietra. Pindo piu dolcemente non rimbomba O sia di Saffo à l'amorosa cetra O al nobil suon de la Meonia tromba. IL magnanimo Cor, e inuitto io canto Di colomba fedel, che corse à morte, Per seguir del gran Re celeste, e santo Le vestigia, che aprir l'eteree porte; Da questo hebb'ella tal fauor, e tanto. Che disprezzò il martir costante, e forte; Et mentre al Mondo scettri, e pompe sdegna Si fà in Ciel di Corone, e Palme degna. Tu del superno solio alta Reina Di stellante Diadema, e d'aurea veste Adorna, anzi di luce alma, e diuina, Ch'illustra, e informa la magion celeste Dammi fauor, el rozo stile affina, Ch'ogni alma à lagrimar inuiti, e deste; Hor che uergine sacra piange, e prende Crudo martire, e grata à Dio si rende. Hor tu d'immortal luce eterno fonte, Che rotando ci porti hor caldo, hor gelo, Meco sue pene piangi, e'l lieto fronte Cingi di lagrimoso, & scuro velo: Cela col pianto tue bellezze conte Raggio notturno con pietoso zelo; E voi Stelle ch'ornate gl'alti Chiostri Hor sian stille di pianto i raggi uostri. De le mondane cose alma natura Ministra del gran Re madre feconda: Tu meco di costei piangi la dura Pena, e d'acerbo pianto il uiso inonda: E l'aria pianga in uista mesta, e scura, E mormorio dolente porga l'onda: Spoglin le pompe sue le uerdi piante Del pianto ogn'una diuenuta amante. Reggea di Roma il fortunato impero Aurelian d'ignobil sangue sorto; Di feruid'alma impatiente, e fero Ne l'arte militar prudente, e scorto. Onde il valor di Cesare primiero, Già quasi estinto fù per lui risorto Ma parendoli il Mondo poco acquisto Empio persecutor si fè di Christo. Del Romano valor il Duce altero Poi ch'hebbe Regni ribellanti accolti Sotto gli Aquilei vanni, e al sommo impero Crebbe honor con gl'honori ad altrui tolti: Di regger vago l'animo guerriero A'noua pugna hauea i pensier riuolti, Per scacciar del suo seggio la potente Zenobia alta Reina d'Oriente. D'armi, di vettouaglie, di Consiglio, D'oro, di bellicosa, e scelta gente Prouisto, disprezzando ogni periglio, Frettoloso n'andò doue lucente Sorge il matutin raggio, onde vermiglio De suoi fè la gran donna ampio torrente; Due volte lo sconfisse, & essa poi Fù dal suo vinto vinta, e preda à suoi. Poscia, che la difficil palma ottenne De l'Illustre, e magnanima Reina: E Ch' Asia, Affrica, Europa l'empio tenne Sotto il suo giogo à crudeltade inchina: Dal Demon stimulato à Scenoa venne A i fedeli portando aspra ruina: L'Infido Christo sprezza, e annular vuole La Santa fede ouunque gira il Sole. Gonfio di nouo honor studia, e procura Scoprir qualunque sia fedel di Christo: Et à chi'l cela impone acerba, e dura Morte, a chi'l scopre di sua gratia acquisto: Ouunque il nobil scettro regge ei cura Di cercar, troua, vccide in Strano, e tristo Modo tormenta, e per ciò dar si crede Certa ruina à la crescente fede. Ma che li gioua, che'n diuersi modi Con empi, e crudi, insoliti tormenti Vccida, stratia, affliga in laccio, in chiodi, S' ogn'hor sergono al ciel più sante menti? Et ad onta di lui d' eterne lodi Fassi di gloria, e di piùgraui accenti Degna la uita, l' opre, e i pensier Regi, Di chi Scenoa ornò con mille fregi. Sorge in ampia campagna adorna, e altera Scenoa d' edificij, e d'or felice, Nell' odorata Arabia, u'solo spera Nel suo morir rinascer la Fenice: Hà non lungi un torrente, ilqual per vera Fama con l'onde mescolar si dice; Del famoso Giordano, oue à Dio piacque Lauar l' humanità ne le pure' acque. In quest' era di ricca, e nobil prole La Vergine, ch'io canto in sommo pregio; Che tra breui confin d' angusta mole D'alta bellezza asconde il più bel fregio; Cela l'opere pie degne, che' l Sole Scopra co i puri rai, nel fior egregio Di sua età sacrò Christo l'humil core, Sprezzò se stessa, e gradì il uero amore. Bell'era ogn' hor, ma uia più bella, e degna Era quando piu inculta, e che diuiso Tenea da se ogn' ornato, e l'odia, e'l sdegna Humil di mente, d habito, e di uiso: Pura honestade in essa viue, e regna Schiua i sguardi d' amor, le lodi, e il riso: Et asconde ad altrui sue uirtù sole, E la beltà cui par non uide il sole. La chioma d'oro, che se stessa in onde Dolcemente rincrespa, è d'arte priua: Tien gl'occhi in atto honesto, e i rai nasconde, Onde il foco d' amor dolce deriua: Nel candor del bel uiso si confonde Rosa, che i gigli in bel purpureo auuiua Le belle labbia, anzi il rubin ardente Cela il più bel Thesor de l'Oriente. Il casto petto, u'bianca neue ondeggia Agl' occhi uaghi chiaro velo asconde: Qual sottil nube, che celar si ueggia La faccia à Delia, e i raggi fuor diffonde; E nel sembiante angelico pareggia Celesti forme, e nel bel sen nasconde Fra le bellezze sue l' alta bellezza, Che col deuoto cor brama, et aprezza. Lo spirto quì del Ciel ui hà impero amante, Contrario al senso almo guerrier perfetto, Qui son pensieri, e uoglie honeste, e sante Celesti si non di mondan diletto: E in darno amor con la sua face errante T entò scaldar il generoso petto, Che la pura honestà fredda rendea L'indegna face, e l'empia voglia rea. Oue ei credea infiammar l' ingela, e indura Onde il nimico al Ciel di scorno pieno, Fuggì da lei, ch' angelica natura S'auide esser contraria al suo ueneno: In età non fiorita era matura, In cor pensoso il bel ciglio sereno; Del vano Amor nemica amic' à Amore Diuin, che solo alberga in casto core. O spieghi le dolcissime parole, O lhonesto lampeggi, & parco riso; O de begl' occhi giri il viuo Sole Par ch'insegni il sentiero al paradiso: Le sembianze, le gratie spiran sole Grauità uenustade, e nel bel uiso Si scorgean d' alma reggia i raggi accensi Del Cielo, oue sol par, che aspirt, e pensi. Cosi tra anguste mura chiude, e cela Di sua rara beltà l'ampia ricchezza, Ne men di sua virtude i lumi vela, Ma di uirtude il lume ogni vel sprezza; La fama vscendo garrula riuela Le nobil doti, e l' unica bellezza Al Re la pura fede, e'l cor costante, E come era di Christo amata amante. Tai voci udendo il Rè l' animo altiero L'innata crudeltà rauuiua, e desta, Quasi queto Leon, che l' ardir fiero Irrita, e inaspra, s'altri lo molesta, Egiura per quel Dio, che'l sommo impero Concesso a la sua destra di far mesta Ouunque il gran Nettunno errar si ueggia La mal nata di Christo inferma greggia Tronca ogn' indugio irato, e intorno manda L'empio Tiranno molta gente in fretta, Per ritrouar la sacra, e veneranda Vergine bella, e questo, e quello affretta: Trouaro quei la casta, e memoranda Bella Colomba fra le belle eletta Prostrata in terra, ch' al suo Dio porgea Sante preghiere, e à quel perdon chiedea. Come lor uede il pianto affrena, e sorge Certo, e presago l' intrepido petto Di futuro martir; ne già si scorge Di viltà segno nel regale aspetto; Ma di proprio voler à quelli porge Bianche man più che neue, o auorio eletto: Onde aspra fune ambe l' unisce, estringe, Che di brutto liuor il candor tinge. La guidan essi doue in seggio aurato Siede della gran Roma il nobil Duce, Che in purpureo color di regio ornato Venerando più ch' huom assai riluce, L' orna il capo Diadema, e su' l gemmato Scettro s' appoggia, & per gl' occhi traluce L' animo Imperial grato, e seuero Certo degno sembiante à tante Impero. La Guerriera di Christo molto accesa Del foco sacro del Celeste amore Venne al feroce aspetto non sospesa; Nè già timidida uenne al fier signore, Ma magnanima in uista à l' alta impresa Lieta s' accinge, ben che nel suo core Presaga del suo mal tenere certo Patir penosa morte senza merto. Al folgorar de le sue rare, e sante Bellezze, amor placò l' irato aspetto; Placò quel cor l' angelico sembiante Scemo lo sdegno rio nel regio petto; Quel più che marmo, ò rigido diamante Hor prende in mirar lei pace, e diletto: Diletto, pace prende, e merauiglia De l' aureo crin, de le stellante ciglia. Placido in uista, e in voce il Rege disse Qual è il tuo nome? & ella à quel rispose Colomba; & qual Dio adori, egli ridisse? Ella soggiunse quel gran Dio, ch' ascose L' alma sua luce in spoglia humana, e uisse Qual seruo essendo Dio, ne già nascose Sua sacra Deitade a gl' occhi nostri, Ma la scoperse à mille segni mostri. Ripigliò quel dal Berecintio Monte Fin doue il capo il Sol ne l' onda immerge; Eùgira l' Orsa la stellatta fronte, Fin doue il Mar d' Africa i lidi asperge Adora i nostri Dei con voglie pronte Ciascun, e Altari à quelli sacra, e d' erge, Cosi di quei tu anchor diuota Ancella Timestra, e a questo dir soggionse quella Christo è il mio uero Dio, che l' alte sphere Diuine incorrutibili, e lucenti Lasciò del Cielo, e le canori, e vere Voci di gloria, e angelici concenti Volse ò infinito amore in terra hauere Albergo, indi per noi fra crude genti L' immortal Dio fatt' huomo, il corpo santo Soferse morte, e sparse sangue, e pianto. Replicòil Rè con disdegnato viso Che mostrò il Cor fuor per gl'accesi rai; I consigli, le leggi, e' l saggio auiso Ch'io diedi ad ogni terra tu non sai? Quai son? diss ella con dolce sorriso Et ei; già al mondo il mio voler mostrai, Ch' ogn' un, che i nostri sprezza, & apprezza Christo Faccia d' infamia, pena, e morte acquisto. Queste vltime parole espresse fuore In voce, in volto si torbido, e fero, Che de l' irato, e minacioso core Diè l' horibil' aspetto inditio vero: Men implacabil fù l' ira, e'l furore, Che accese già Tideo quand' empio, e altere Rose il capo del miser Menalippo Del lume di ragion cieco, non lippo Ma tu pura Colomba li crudo aspetto Con intrepido cor sustiene, e sprezzi; E soura il Ciel co'l nobile intelletto Sol Dio temendo lui contempli, e apprezzi; De la tua sagia mente amato obbietto, E le terrene cose odij, e disprezzi; Dal dì che tu pudica, & gloriosa T i sacrasti al gran Dio diletta sposa. Ei disse esser non può, che Dio potente, Che'l mondo auuiua, e ogn' un nutre, e produce Spargesse del suo sangue ampio torrente Con morte rea quasi de gli empij Duce: Se nell' eccelso Olimpo alma, e lucente Qual purissima fiamma Dio riluce; Ne concess' è à la morte far oscura La sua luce informante eterna, e pura. Qui tacque l' empio; & essa il dir riprese: Dio per guidarci al Ciel, ne il Ciel lasciando, Fra peccati, e miserie, egli discese Il nostro ben pietoso desiando, De Vergin santa humana carne prese; Soffrì disaggi amando, e suspirando; E quella, ch' egli già innocente tolse Scior per l' altrui delitto in croce volse Non però cruda morte estinse Christo, Ma Christo ben ancise fiera morte, Che mentre tentò hauer morte di Christo Vittoria, trionfò Christo di morte, Rea morte uccise il sacro vel di Christo, Ma resurgendo Christo spense morte: Tal che la morte non diè morte à Christo Ma diè morte a la morte il viuo Chirsto. Ne ciò repigliò il Re creder si vuole Di questo Dio non Dio, ma nome vano, Ma ti giuro per Gioue, e per quel Sole Chiaro ch' illustra il Cielo, e'l Monte, e'l piano, Ch' andrai ne i Regni Auerni, come suole Andarui ogn' empio, e perfido Christiano, Se di pentito cor perdon non chiedi A gl' alti Dei, che nel mio tempio uedi. Al mio saggio voler Vergine bella, Che le più belle, il tuo splendor confonde, T' appiglia homai non rigida, ò rubella Se à l' alta tua beltà l' alma risponde: Se non morte via più d' ogn' altra fella Prouerai, che di pene ogn' hor più abbonde Così dal regal solio il gran Romano Fece il parlar hor rigido, hor' humano. Non di pene, ò di morte è il mio cor schiuo Rispose ella le pene à me son care, Le minaccie non temo, il perdon schiuo, Mie gioie co'l perdon faresti amare: Tua ferità non giela il cor mio uiuo De l' incendio diuin, ne'l poi mutare, Ne di morte timor lusinghe, ò preghi Faran giamai, ch' al mal oprar si pieghi. Pria l' aurato splendor, ch' il giorno adduce Farà la lucid' Alba in Occidente; E la stella minor, che in Ciel riluce Luce porgerà al Sol chiara, e lucente; Ch'io mai riuolga il cor dal sommo Duce Dell' Angeliche squadre, e con ardente Cor bramo morte, e sol per morte spero Riceuer uita eterna, & ben intiero. Qui tacque quella à Christo amata sposa Candida rosa in fresca alba nouella, Reiua di uirtù chiara, e pomposa Dritto sentier'al Ciel, lucida stella; Fra le vergin prudenti gloriosa; Fra le belle di Dio figliole bella: Luce, che splende à Dio, lampada accesa Nei sacri Altari di sua santa Chiesa. Ma l'altier, che il Roman Popul corregge, Disse per l'alta mia regal potenza, E per quel Dio, che l'vniuerso regge, Che dolce ti darò, non rea sentenza; Se viui in l'auuenir con dritta legge Se adori de i miei Dei l'alma presenza L'unico figlio mio farò tuo sposo, E lo tuo stato misero, giocoso. A la fronte serena, a l' Aurea chioma Di fregio imperial ben degna sei; Tu imperatrice de l'inuitta Roma Se stolta non rifiuti esser, ne dei: E sosterai l'hereditatia soma Di tanti imperij, e tanti regni miei; Oude fia al Mondo la tua uoce, e'l ciglio Ferma legge, e ragion; fermo consiglio. Qual gran Donna sarà, che à te preceda In signoreggiar Terre, Imperij, e Regni? Qual si dura, e superba, che non ceda Al mio uoler? e quai si sciochi ingegni, L'honor, l'altezza mia, l' Alma tua ueda D'atre tenebre cinta, e non disdegni Esser de la mia Reggia Alma Reina Honorata, temuta, e al Ciel vicina? Quel si fa al Ciel vicino, anzi le stelle Calca co i nudi pie, che segue i Santi Martiri cari al Ciel, che sprezzar quelle Precipitose altezze, & cari amanti Si feron di disaggi, e pene felle, Di morte, di martir, d'amari pianti; Fur scorno a i Regi, à lor fùgloria morte, Che gli alzò lieti à la celeste corte. Cosi sper'io diss'ella, & tacque, e'l uolto Di sdegnoso rossor del Rè s'accese; Onde iracondo disse à lei riuolto, Grau' è l'error, fien graui ancho l'offese: Da la presenza mia tosto sia tolto Quest' empia, e in pregion tetra oue mai scese Raggio del Sol sia posta v'ueda, e proui Quel ch'adorar il van suo Dio le gioui. Già la pregion è aperta, e dentro toglie La magnanima donna, e'l Re de' Cieli; Quel, che non cape il mondo hor si raccoglie, In tal parte con lei tra pene, & gieli; Ella è qui morta, e in Ciel con Dio s'accoglie, In lei morta Dio scende, e i suoi crudeli Tormenti allegerisce in cieco horrore, Da sgomentar il più feroce Core. Iui non luce il Sol, ne quando sorge Di Corona di raggi altiero adorno: Nè quando gli antri più nascosti scorge, Ch'in mezo al Ciel fà più sereno il giorno: Ne men quando vermiglia luce porge, Che in grembo à la sua Teti fà ritorno: God' ella in parte oscura eterna luce, Et è sotterra, e soura al Ciel s'induce. A i rai del sommo Sol, ch'in l'alta Reggia Celeste splende eterno, & immortale Bella Colomba, iui terge, e uagheggia Le molli piume de le candide ale, Affissa gl'occhi in lui d'amor fiameggia Nou' Aquila nel Sol, cui nulla è uguale Cose mondane, e fral disdegna, e schiua, Morta è già al mondo in Ciel felice, e uiua. Già il diurno splendor hauea lasciato Il Mondo d'atro horrer inuolto, e cinto; Sorgea la notte, e'l bel manto stellato Scintillò si, che'l fosco aere fù vinto: Argentea luce crebbe oltre l'vsato La Luna, che successe al sol estinto, Che dal bel seno, e dal candido lembo Scotea di perle rugiadosso nembo. In questo il senso, a la ragion guerriero Soffrir non può ch'ella lo sprezzi, & ami La miglior alma: onde turbato, e fiero La desta, e par che seco altro non brami; Come è sempre fallace, e lusinghiero Ch'ogni suo ben, e à quella pace chiami: E perche l'alma ancor dal Ciel s'inuole Simili nel suo cor forma parole. Dunque in si acerba età sciocco non temi Spirto audace in tuo danno aspro martire? Vedi ch'in pene già sprezzato gemi Vergogna, danno, e stratio vuoi soffrire? Farà il Tiran tuoi primi giorni estremi Vincerà tua fortezza, e' l grand'ardire. Al morir nel tuo sangue, al rimanere Pensa per cibo à le feroci fiere. Empio Olocausto à gli spietati Dei, Faran di te, macchiaran l'alma, e pura Tua fama; dunque incauto sprezzar dei D'honor il pregio, e prezzar fama vscura? Ciedi del Re al voler, poi che à lui sei Per mille doti tue cara, e sicura: Sarai di chiaro nome, mentre intorno Appollo al mondo meni il chiaro giorno. Ma contra quel la combattuta mente Moue l'arme vittrici, e si raccoglie Generosa in se stessa, & con ardente Voler disperge le già nate uoglie; Tu ch'in false sembianze dolcemente Dice lusinghe, e poni l'alme in doglie, Dunque à infinito ben, finito bene Proponi ò stolto, e in ciò porrò mia spene? Ahi uer già mai non sia, ch'io del Ciel lassi Sempiterno piacer, sommo contento, Per finto aspetto, che repente passi Di breue ben, ne qui d'esser mi pento; Per far di questi membri affliti, e lassi Sacrificio al mio Christo, e se fia spento Con la uita l'honor, spero, ch'à pieno Rimbomberà più chiaro in Ciel sereno. Mortal fama non bramo, ò mortal vita, Ma bramo eterna vita, eterni honori: La via certa del Ciel Christo m'addita, Perch'iui goda il fin de i suoisprendori; Oue lieta sarò di sol vestita, Cinta di gloria, di ree pene fuori; E coronata di viuaci stelle, E Vergin bella fra le vergin belle. Che la vita, e la gloria apunto e come Folta nebbia a'l soffiar d'irato vento O qual bel fior che le vezzose chiome Languide inchina, e atterra in un momento. Tal segno lascia un glorioso nome Qual lascia naue in chiara onda d'argento. O qual lascia di se segno nel Cielo L'annunciator del fulminante telo. Dunque tu vincitrice alma Reina Il senso confondesti à te nemico E per vittoria nobile, e diuina Più cara ti facesti al Ciel tuo amico: Gioir l'alme celesti, aspra ruina Confuse i Dei d' Auerno, e' l cor pudico: Vincitor biastemaro, ò nobil core Venerabil ragion, spirto migliore. Ella in pregion di se dolor non sente, Ma si duol, che del duol, poc'hà dolore Di quel duol, che soffrì Christo innocente Per gli dilitti suoi, per lo suo errore; Perche'l nemico non la turbi, ardente Di santo zelo, e con contritto core Porge à Dio pianti, e preghi, e pensa à i santi Heroi del gran Giesù fedeli amanti.

Il Fine del Primo Canto.

ERA ne l'hora, che la notturn'ombra Ciede à vermigli, e biancheggiãti albori, All'hor, che dolce lusingando ingombra I sensi desti con letei liquori Queto, e placido sonno, e longe sgombra I molesti pensieri, e i gran dolori Di quella mente afflitta, e vn sogno stende L'ali ver lei: perche più in Dio s'accende. Il sogno à l'alma desta forma, e pigne Il gran Rè de le stelle in tristo stato, Lacerato, percosso, & con sanguigne Chiome d'acute spine coronato: E le sembra, che mani empie, e maligne Habbiano il sacro corpò flagellato; Et riconosce il monte, e vede il legno Oue sofferse stratio enorme, e indegno. Quì mira (ò gran pietade, ò gran dolore) Ch'vn fier ministro con spietata mano Stringe le sante mani, (ahi mente, ahi core Più che di Tigre crudo, & inhumano,) Che scelerato in feruido furore L'inchioda al duro legno inmodo strano; E vede in copia versar fuori il sangue Dal lacerato corpo quasi esangue E quindi scorge in alta traue erretto Da tre chiodi traffitto il Rè del Cielo, Restar pendente in sanguinoso aspetto, In lagrimosa vista il sacro velo; Piange del gran signor l'ardento affetto L'altrui peccato, e nò il mortal suo gelo; Piange sol per pietà de cori erranti, Che non spargono pianto à suoi gran pianti. Non piange il pio signor già l'innocente Sangue, che versa da si aperti riui; Non piange il duol, ch'al cor pietoso sente Ne men lo stratio de'suoi membri diui: Piange l'eterno amor con spirto ardente Gl'animi al mal riuolti, e al suo ben schiui, Piange, ch'ognhor l'ingrato huom men l'adori, Per cui tante soffrì pene, e dolori. Attenta al pianto, ode la sacra voce Pietosa in atto del gran Rè de regi, Che dice ò Padre amato, à chi mi noce Perdona i duri stratij, & i dispregi; Segno d'amor verace, affisso in croce Piagato, e tinto di purpurei fregi; Anzi che par ch'habbia vermiglia veste, Si tutto è sangue il corpo almo, e celeste. Moribondo, e languente il Rè supremo Padre richiama in lagrimosi preghi; Ti raccommando (i son giunto à l'estremo) Lo spirto mio, che teco homai lo leghi: Poi chinò il capo, chiuse i lumi, e scemo Di spirto restò immoto, e par si pieghi A pietà ogn' empio cor, non sol, ma anchora Le dure pietre, e'l sol, che si scolora. A lo spirar del sommo Redentore Di folgori, e di lamqi è il Ciel ardente: S'annotta il chiaro giorno, e gran terrore Percuote il cor à la smarita gente: Trema la ferma terra, e con rumore Si diuide il gran Tempio, & eminente: S'aprono i monti, e dan muggito intorno Le cupe valli, e à rei minaccian scorno. Così le mostra il sogno, e poscia mira Vn cauallier terribile in aspetto; Benche le luci cieche in Dio non gira Pur di farne esso stratio n'hà diletto: La lancia ver Giesù spinge, e desira Trar sangue anch'egli dal sacrato petto: Il lato la fattura al suo fattore Ferisce, ch'arde sol per nostro amore. Giouane Donna ver l'eterno Amante Vede venir, che lauò i proprij errori, Di presenza regal, di bel sembiante, Di casto portamento, e stillar fuori Scorge da gl'occhi à lei lagrime tante, Ch'aspergon del uiso i bianchi fiori: Cedon le rose al bel candore accolto Del fiero duolo nel leggiadro volto. L'aura con l'auro de l'aurato crine Che sparso hauea la donna suspirando Accendea dolci liti, e le diuine Bellezze co'l suo pianto gia velando Spargea di perle le gelate brine, Posto del seno ogni piacere in bando; Aperte hà in atto pio le belle braccia, Giunge a la croce, e il caro legno abbraccia. Cinge la croce, oue di sangue asperso Per l'altrui colpe pende il gran Motore L'addolorata Maddallena, e verso Lui uolge i lumi lagrimosi, e'l core Cinto di giel, ch'in foco fù conuerso, Per desio di morir co'l suo fattore, Par ch'essa brami hauer d'acute spine Doloroso Diadema à l'aureo crine. Vede chi da la croce Christo toglie, E con dolente cor l'alza, e'l sostiene; E lo porta à Maria colma di doglie, Ch'aggiunge à le sue pene nuoue pene. Nouo duolo al suo duol nel senno accoglie, E innouan pianto le luci serene; E quelle chiude, e cadè quasi estinta Di sudor sparsa, e di pallor dipinta. Mesta l'hà ne le braccia, oue già lieta Lo tenne pargoletto, e festegiante; Et hor essangue, e hor traffitto (ò pieta) Il capo ambe le palme, ambe le piante Fra gl'ardenti sospir la mansueta Voce discioglie in languido sembiante; E dice ò del mio cor, dolce mia vita, Deh come senza me fatt'hai partita? Indi in marmorea Tomba, ma non degna Di Dio mirò come Gioseppe pose Il pio Signor, che non disprezza, ò sdegna Qual uil seruo, uil terra, e di pietose Voci udì l'aria, e di qnerele pregna De la madre, e de l'altre lagrimose Marie, che seco nel partirsi il core Lasciar presso à l'amato lor Signore. Poi ode vn tuono vscir dal sacr'auello, Che più distinto par tai voci faccia; Qualunque in Ciel brama seguir l'agnello, Ch'il mondo regge, e i lupi abbatte, e scaccia; Non schiui sopra se stratio, ò flagello; Ma morte apprezzi, e sofferendo taccia; Che per via di tormenti, e pene viensi A i regni eterni d'aurea fiamma accensi. Qui l'estinto Signor, il sogno, e'l sonno, Le donne, e il pianto insieme à lei spariro: Si sciolse il dolce laccio, che fù donno De sensi, & apre, e volge i lumi in giro, Che quinci, & quindi miran, ma non ponno Veder quei, ch'à la mente si scopriro; Già per gl'occhi distilla il mesto core L'amara doglia in lachrimoso humore. A Christo pensa, e qual d'acuti strali Mortalissima punta il cor l'offende, Pensando al fier martir, ch'alme infernali Diero al gran Raggio, ch'il bel sol accende A Croce, à Lancia, à Chiodi, à gli altri mali. E come mansueto morte attende; Al sol che per pietà s'oscurò in viso, Al gran tremoto, al bel Tempio diuiso. E più in questo pensier, e più s'interna Prostata in terra, e versa pianto immenso: E soura il Cielo, oue non scalda, ò verna Alza lo spirto d'alto amor accenso, I lumi de la mente, in quella eterna Vnica luce affissa, e senza senso Il corpo in terra restò immoto, e in Cielo Lo spirto quasi sciolto dal suo uelo. E mentre ammira l'immortal ardore In tre distinto, e d'un uoler congiunto, Più l'infiamma, & accende l'humil core Quel, che per noi fù in terra già defunto: E da le belle labbra espresse fuore Queste saggie parole; al Cielo hai giunto L'alme peccanti con tuo stratio tanto; Salutifere pene, ò sangue, ò pianto. Amor superno, che per me d'amore Ardi per gran desio, che teco io sia E per ciò al pigro, e neghittoso core Mostrasti uision dolente, e pia, Sculto hò nel petto mio, dolce Signore Che di sangue allagasti ogn'ampia uia; Mi mostrasti i tormenti, e l'aspra morte Perche io seguissi te costante, e forte. Se tu innocente, immaculato, e santo, E chiodi, e lancia, e spine, e laccio, e croce Soffristi, e da bei rai stillasti pianto Non per te, ma per chi t'offende, e noce: Io che'l diuin tuo aspetto offesi tanto Co'l pensiero, con l'opre, e con la uoce Qual patirò tormento, ò duol si graue Ch'adegui i falli, e l'empie colpe laue? Signor ti fur le spine molli rose Le rie parole, e i scherni honori, e lodi; Vezzi le battiture aspre, e noiose, Dolce piacer non fero duolo i chiodi: Quiete il trauaglio, il pianto riso, ò ascose Dolcezze amare, e non più intesi modi Mele l'amaro fel, ch'à te fùporto, La morte al fin dolce, e tranquillo porto. Aspro mio cor più, che di Tigre ò d'Orso Crudo, e gelato, ch'hai mirato asperso Il santo corpo, e il legno di quel scorso Sacrato sangue, e pur sei sì diuerso Da l'humana pietà, che freni il corso Al pianto, & in pie lagrime conuerso Non distilli da l'occhi, e pur mirasti Pianger le pietre, e tu al pianto contrasti. Contrasti al pianto, e pur le sante ciglia Di quel, che d'aure e gemme asperse il Cielo Lagrimose scorgesti, hor da lui piglia Il modo di pietade, e scaccia il gelo, Di che cinto ti mostri, e à lui simiglia, Che per te piange, e perde il proprio velo; Lagrima adunque, e laua i proprij errori, Che fur cagion de suoi tanti dolori. Benche i begl'occhi sciolga in liquid'onda, E col suo suspirar il Cielo accenda; Et al gran lamentar mesta risplenda La prigion, che di lei par pietà prenda: Doppia il lamento, e più di pianto abbonda, E fà, ch'il cor più caldi i sospir renda; Perch'il duol sù la croce non l'vccide Doue l'amato sposo pender vide. Mentre piange la donna, & à Dio chiede Mercè per l'alma, manda il sire ingiusto I sergenti, che fan ch'à l'aura riede Il nascosto thesor, l'aspetto augusto; La candida Colomba, che di fede Ha'l petto armato, & di prudenza onusto, Piangente, e lieta giunge al regio aspetto Sperando al fine vnirsi al caro obietto. Come il dolente pianto e gl'occhi ei vede, Che spargon di rugiada il nobil volto, Di ciò timor di morte cagion crede, Onde lieto ver lei disse riuolto, Pur che lasci l'error, de la tua fede Viua pur d'ogni doglia il cor tuo sciolto, Ch'il sangue tuo d'Illustri fregi ornato Fia più, ch'altro mai fù chiaro, e beato. Non di timor, ma scorgi in questa fronte Di dolor graue lagrimosa imago Per Christo, che versò, come da fonte Del suo sangue i Thesori ardente, e vago Di saluar chi l'offese, e tu le pronte Voglie al batesmo volgi, homai presago De la gloria celeste, e de le pene, E sia questo il tuo fine, e la tua spene. Cosi diss'ella, ei con superbo orgoglio Rispose in voce horribile: ahi peruersa Tant'osi? e pur ti schiuo aspro cordoglio Ancor c'habbi la uoglia à me diuersa: Se al mio giusto uoler non pieghi, uoglio L'honestà tua macchiar, e in fiamma auersa Arsa sarai, indi à i Demon sogetta, Che tant'audacia, estrema infamia aspetta. Quel, che col sacro detto, ella rispose Merauiglie creò di nulla, puote Illesa mantenermi, e farmi rose L'acre spine del duol, che mi percuote, Ch'in vn voler il corpo, e'l cor non pose Non merta hauer d'infamia giuste note; Che chì hà la mente immaculata, e pura La carne macular non teme impura. Sprezzo ogni tuo poter; bramo finire Per amor del mio Christo i giorni, e l'hore. Il biasmo gloria, e gioia empio martire Mi fia non viuer lieta in cieco errore: Proua, chi più diletto hà da sentire Tu nel dar, io in soffrir pene, e dolore. Farò soggiunse il Rege di te strano Spauentoso spettacolo, e inhumano. E in campo aperto su'l duro terreno Resteran lacerate à gli auoltoi Le membra per uil esca, e qual baleno Lampeggiar gl'occhi, ecco commanda poi Che nel Anfiteatro poste sieno L'alte bellezze da i ministri suoi; E per farla oltraggiar, per farne scempio Giouine troua scelerato, & empio. Non vsci mai fuor d'Acheronte oscuro Di tenebroso horror, di morti regno Demone acceso si nefando, e impuro, Che adegui lui d'esser al mondo indegno: Ne di reposta selua à l'aere puro Brut'orso vscì, che via più non sia degno Di costui, che virtù non prezza, ò brama, Ma quasi vitio sia, l'odia, e disama. Assomigliar al viso suo si puote Il Ciel di nere nubi intorno cinto: I lampi à gl'occhi, e l'impudiche note Al tuon, e in fronte tien sculto, e dipinto L'empie sue sceleraggini, e fà note L'opre maluagie, à le quai sempre è accinto. Di fera i modi son, di fera il viso, Le spiaceuol sembianze, e il bruto riso. Tal mostro adunque à la regal presenza Del Rè maluagio và, ne pur ei rende Debita à tanta altezza riuerenza, Ch'à modi, ò gentilezze non attende: Qui nel Anfiteatro in eccellenza Vergine bella trouerai, che splende Di celeste beltà, del fior lei priua Verginal, sì che resti infame, e schiua. Cosi disse il Tiranno, e quel d'errore Vero amator irriuerente piglia Quasi per se licenza, e'l tristo core Rischiara quanto può l'oscure ciglia; E pensando à sozz'opre con furore Lieto s'accinge, e vien doue la figlia, E sposa del gran Christo piange, e chiede A i futuri martir costanza, e fede. Corre sfrenato, e incontinente il bruto Nemico al sommo ben horrida stanza De l'infernal Aletto, il qual venuto Precipitoso à l'vscio con baldanza, Oue l'indegno sguardo hà gratia hauuto L'infinita beltà l'alta sembianza Mirar di lei, lagrime vède, & ode Suspir, ch'l cor intuona, e'l Ciel ne gode. Come i beati lumi il maledetto Giouine miran, quasi mostruosa Belua le par, ch'atro venen nel petto Celi, e ne l'alma iniqua tenghi ascosa Face d'inferno, d'ogni error ricetto; Sozza, empia creatura abominosa, Ne in lui scorgendo d'huom vera figura Lo stima fera in fronte irata, e scura. A che diss'ella con tanto furore Vieni ò del mio gran Dio fattura indegna? Non venir baldanzoso; perch'amore Human non mi diffenda, e mi souegna Ch'inuincibile Heroe col suo valore Vince i nemici, e à superarli insegna; Che d'Angeliche squadre è Capitano De la terra, e del Ciel sommo, e sourano. Christo da la celeste patria amata Volga intanto lo sguardo, e'l viso pio A la sua sposa, à cui molestia è data Dal giouine inhonesto, ingiustio, e rio: E col sguardo diuin virtù celata Discende, onde ogn'error pone in oblio Colui, e'l cor gli preme alto timore, E à lei consola il timidetto core. Di timor santo il brutto cor ferito Come pentito alquanto si ritira, Hauendo il parlar saggio, humile vdito Non l'annoia, ò risponde, e fisso mira Il nobil viso mesto, e sbiggottito E l'vna, e l'altra luce, ch'al Ciel gira, Quando ecco giunge, non più intesa, ò vista Orsa rabbiosa, e molto cruda in vista. Al fiero aspetto, al comparir repente Di quella à lui si scosse, e aggiacciò il core: S'impalidisce, e indebolir si sente S'arriccia il crin, ne voci esprime fuore; Ma tremante, e confuso, e fuor di mente Vorria fuggir, ne fugge, si il timore Lo rende irresoluto, e fra se stima Che quella bestia in breue non l'opprima L'Orsa uer lui s'auenta, e con l'horrende Ziampe in petto lo prende, e in terra il getta: Soura gli stà feroce, e non offende Lui, che d'hauer offesa già s'aspetta; Ma sol gl'occhi in Colomba affissa, e intende, Che si ritragga, e non l'uccidi in fretta Ritrassi ella à l'uscita, acciò sia à quello Chiusa la uia d'uscir del vil ostello. O gran Motor, ch'in casto cor riposi, Traeste d'alte selue ignote, e oscure Ferocissima belua da più ascosi Antri, che stese al pian le membra impure: Perciò liet'ella con modi pietosi Per l'alma errante pon tutte sue cure, Per rapirla à inferno, e à Christo darla Gelosa del suo ben seuera parla. Hor uedi come in mia diffesa questa Orsa giunt' è terribile, e feroce? Che'l gran poter di Dio pur manifesta Co'l retto spirto, e col uenir ueloce: Vbedisce al mio dir, ne di foresta Vscita par, e per me te non noce; Ma nocerati, se non uolgi il core Al mio, del Ciel, del mondo, e tuo fattore. Ciò udendo humil qual mansueto Angello Conuinto adora in se l'alta, e superna Prouidenza del Cielo, & è pur quello, Ch'ogni empia sceleragine hauea interna D'honestade, d'honor, di fè rubello, Hor per gratia uuol Dio, ch'il giusto scerna; E con uoci diuote, e spirto mesto Fè l'interno uoler suo manifesto. Tengo, confesso, e credo esser sol Christo Verace Dio, che'l Ciel ordina, e moue; Poi che con tue parole hà fatto acquisto Lo spirto mio infedel di gratie noue; Che da la tua bontà, com'hoggi han visto Quest'occhi indegni, ogn'alma gratia pioue: Diuina sposa il tuo gran sposo adoro, E con tacito dir lodo, & honoro. Cosi dicendo da biechi occhi versa Per dolor di sue colpe onde correnti In abbondanza sì, che fonte tersa Piu parcha, ne è de l'acque sue lucenti, Ch'allaga il seno, e l'alma già peruersa Asperge, e laua macchie à lei nocenti; I vitij scaccia, e virtù in seno accoglie, E quelli in pianto fuor per gl'occhi scioglie. Poi piega in terra le ginocchia, e chiede Perdono à lei d'ogni sua colpa graue; Figlia del sommo Dio pietà, e mercede Ti chiedo fà, ch'ogn'empia colpa laue Quel che nel cor ogni mio affetto vede Nel castigo mi sia dolce, e suaue; Chiedi per me remission, che certo Pieno perdono haurò per tuo gran merto. Et ella dolce susurando stende Le sante man suora il dimesso, e mesto Giouin pentito, che le braccia estende Suplicheuol ver lei, ch'in graue, e honesto Atto lo benedisce, & ei poi prende Congedo, e mostra chiaro, e manifesto Ne gli occhi quanto spiace à far partita Da chì lo tolse à morte, èl diede à vita. Va lieto peccator, poi che la via Trouasti d'ir al Ciel per via d'errore; Non più noto sentiero, ù mente pia Ti scorse, c'hebbe del tuo errar dolore: Si volga in pianto ogni tuo fallo, e ria Colpa si muti in gratia, e nel tuo core Dio sparga gioia, e spiri aura celeste, Ch'accesso più s'accendi in fiamme honeste. Ei pentito, e contrito crede, e spera Al fonte di pietà per gli suoi errori Trouar perdono, e di goder l'intiera Gloria, e con voci, e gridi alti, e sonori Fà nota del gran Dio la fede vera, E de l'alme pentite i sommi honori; E le pene d'Inferno c'hauran quelli, Che sono in vita, e in morte à Dio rubelli.

Il Fine del Secondo Canto.

S'ODE per la Città la nuoua voce De lo spirto conuerso, che Dio loda; Marauigliasi ogn'vn, ch'ei già feroce Per opra di Colomba hor mesto s'oda: Onde è chiamato il Re crudo, et atroce Che la Vergine Santa in laccio annoda; E di quei furo ancor, che sprezzar gl'empi Idoli, e i lor gia riueriti Tempi. Non sò se lo stupor al duol preuaglia O se'l duol lo stupor passa, e trascorre, Che la mente del Re cieca, & abbaglia Tosto ch'à lui la certa fama corre; Lo stupor cede à l'ira, e fà che saglia L'ostinato rigor, che pietà abhorre Onde contr'ella il Crudo, e impatiente Impensati martir si recca à mente. E di profondo cor suspira, e freme Con insolito horrer, che'l mar turbato Quando in scoglio percuote, e stride, e geme Mostra di lui l'aspetto suo più grato, E più il Ciel, quando mugge, e fa, che treme L'immobil terra al folgore auentato; E in cotal vista à le sue genti fide Disse, ch'à lui la Vergine si guide. Cosi al mal far gli pronti essecutori Veloci vanno, ou'è la bella, e casta Colomba, e con gli vsati lor furori Entran, ma tosto al lor voler contrasta L'Orsa fedel, e guerra apporta, e i cori, Più audaci ingela, e sol sua vista basta Che l'empia schiera à la uenuta ardita Da lei sen fugga timida, e smarrita. Fuggon si presti, ch'il folgor celeste Scende con minor fretta à i bassi campi: Ne tu mai cosi ratto borea queste Regioni de l'aria scorri, e accampi: E l'ali tue son men ueloci, e preste Pennato stral, come da l'arco scampi, E anchor più lento nel bel Ciel sereno Si mostra, e fugge il lucido baleno. Però piu de l'andata fù il ritorno De timorosi cor rapido, e presto; E giunti doue il reo Tiran soggiorno Facea, gli ferno il tutto manifesto, Come videro lieto il viso adorno De la vergine bella in atto honesto; E come queta, e humil, le staua à canto La belua, e verso lor fiera cotanto. Tai cose vdendo il Principe inhumano Non ammolli gia il suo ferigno petto; Ma fatto d'ira, e di furor insano Disse pien di disdegno, e di dispetto: Se temete tentar la belua, strano Fuoco s'accenda intorno al vil ricetto, Che il terror di sua vista le dia morte, E gran timor à gli altri infidi apporte. Qui tacque il Re, sorse vn chiamato Arnaldo In pugne esperto, e cauto vso souente; Guerreggiar co i Leon ardito, e baldo Di perigliose guerre ogn'hor piu ardente: Questi da gloria, e da giouenil caldo Suegliar gli spirti, e stimular si sente; Proua farò, prim'io, rispose il forte, Che'l mondo sprezzo, i suoi mortali, e morte. E sè'l sentier ignoto, noto fosse Dagir di Pluto al spauentoso Chiostro Li haurei lo scettro tolto, e le sue posse Annullate, e'l suo regno fatto nostro: Sia pur fera seluaggia in carne, & osse, O sia d'incanti formidabil mostro; O Demone in tal forma, certo il priuo Di vita, o tosto il guido à te cattiuo. Cosi dinanzi il Re si gloria, e pregia Di forza insuperabil l'alma audace, Ch'altri con lode al Ciel l'innalza, e fregia Di certa gloria il suo valor viuace; Del non hauto honor hà lode, e spregia Gli altri, che uil timor scacciò fallace Ratto poscia s'inuia con mente accesa Sperando hauer l'honor di dubia impresa. Giunge à l'albergo, e con aperte braccia Vede Colomba à Dio far di se offerta; Poi scorge l'Orsa con l horribil faccia Esser de la donzella guardia certa; Ei con gridi, e con l'armi la minaccia, Et à l'impresa perigliosa, e incerta Vsa grand'arte, e uà contra la fera, Che intrepida uer lui gia mossa s'era. E in minaccieuol fremito feriua Col grido l'aria sorta in gran furore: E da fier'occhi, qual da fiamma uiua Nusciuan rai di purpureo splendore: Con lei la uita il misero non schiua Por in periglio per hauerne honore: Fù primo ei feritor; ma gli la rende Tosto la belua, e à terra il getta, e stende. Apena hà il terren tocco, che in pie s'erse L'audace Cauallier, che nulla teme; L'ira, il ferro, le forze in lei conuerse La fiede si, che horribilmente geme: Ma il brando in mille parti si disperse, Ciò effetto fùdi quelle forze estreme: Nè già per caso tal lascia la guerra, Anzi con più desio con lei si serra. Arde la belua d'ira, e con l'horrenda Bocca uorace d'human sangue uaga L'armi dischioda, e stratia, ù l'ugna stenda A lui d'intorno, ma no'l fere, ò impiaga: Indi par che furor graue l'accenda Di fargli ne le carni mortal piaga: Et la bocca apre, anzi l'oscuro abisso, Che di leuarli il capo hà in se prefisso. Ei de l'usato ardir gia non uien manco Benche la fera ueda alzarsi in piede Quasi huom, ma fassi piu feroce, e franco, Perche di far gran proue spera, e crede: Caccia la destra mano in bocca, e'l manco Braccio il col cinge, e di affogarla hà fede; L'Orsa l'audace man tronca, e recide, E quasi di sua uita il filo incide. Onde Arnaldo che tronco il braccio sente Fugge fuor de l'hospitio esangue, e smorto: E la guerriera à quel getta repente Dietro la man, com'uscir fuor l'hà scorto: Quando la uide il Cauallier dolente, Temendo nuouo assalto tiensi morto: No'l segue ella, egli al fin riposo prende Nel aureo albergo, oue il suo Re l'attende. Che assai sen dolse, ch'il prode Guerriero De l'honorata destra fosse priuo; Et arde di mostrarsi aspro, e seuero Col dar la morte, à chi hà la uita à schiuo: Ma perche già distende il manto nero La notte, e chiude il giorno fuggitiuo, Che ne l'Albor à suoi sergenti dice S'ardi in gran fiamme l'empia incantatrice. E cosi tosto, che di neue, e d'auro Vscì di Gange la sorgente aurora: E dal purpureo grembo ampio Thesauro Versò sù i fior menando gentil ora: E destò il sol, ch'al mondo da restauro Ch'ogni smarrito aspetto rincolora, Pronti vennero i serui ad essequire Del Rege il comandato, e reo desire. Son legna, stoppia, e pece poste intorno A la picciola casa, Ahi fatti indegni, Ch'vna agnella innocente soffra scorno Per vano error di tardi, e ciechi ingegni: D'eterna lode memorabil giorno Degno, oue chiaro appar fortezza, e sdegni, Vergogna, pene, e duol qui coglie, e'in Cielo Coglierà gloria, e pace in biancho velo. Tosto ch'acceser le spietate menti L'accensibil materia, in poco d'hora Crebbe la fiamma con fauille ardenti Si che del Cielo il bel seren scolora: A mille scosse il cor, e in mesti accenti Ogni più crudo petto s'addolora. Non piange ella però, ne mostra segno Di dolor, di timor, ò di disdegno. O serua del gran Dio saggia, e prudente Sprezzatrice di pene, animo forte; Non ti scolori in viso à quel presente Tormento, ne pur par, che si sconforte Tuo generoso petto, ò santa mente, Che sprezza carne, senso, mondo, e morte: E Dio sol ama, e'n lui sol spera, e crede: O grand'amor, ò incomparabil fede. I publici sospiri ardenti, e i duoli, Et il pianto commun non accompagni Colomba, che per te versan, que'stuoli Presenti al tuo martirio, e tu non piagni; Vinci il tenero sesso, e ti consoli, E gioisci in le pene, e non ti lagui; Ma se'l pianto d'altrui raccolto fosse Certo del foco spegneria le posse. E à lo stesso Tiran, che longi mira L'altera fiamma, e lo spettacol strano Pietà repente in gl'occhi quasi tira Pioggia di pianto, e'l crudo cor fà humano; Sdegna l'alma piegarsi, e torna l'ira In quella, e il molle affetto fece vano; E altroue i passi, i lumi, e'l pensier volse Che la sua crudeltà mirar non volse. Quasi fra se presaga l'orsa sente La morte à lei non esser lungi molto Non sen fugge però, ma arditamente Ha'l cor pietoso à crudel morte uolto Più tosto, che partirsi, e con ardente Affetto, hà gran sospiri in muggi accolto: Albergo nel suo cor pietà far puote, Poiche l'human la scaccia, e la percuote. Fuor del dolente petto esprime vn suono Quasi rinchiusa fiamma in stretto loco: O qual fra rotte nubi n'esce il tuono, Poi ch'accesero il Ciel lampi di foco: Fiammegianti qual face i lumi sono, E irati intorno i volge, ne gia poco Sdegno raccende, e desta nel suo core Contraria passion odio, & amore. Mille effetti ne gli occhi accesi scopre Pietade, amor, ira, e vendetta spira L'atto feroce, e del suo cor discopre Spauentoso muggito il duolo, e l'ira: Ahi, parea dir fra se, quante mal'opre O come à gara ogn'animo s'adira Contra vna alma innocente, e mostra hauere Tema per lei, non gia per se temere. E con fremito horrendo aggira intorno Le luci ebbre di sangue, e di furore: Minaccian morte i sguardi, e à quei far scorno Vorrian, ch'acceso hanno il nociuo ardore: Poi depone l'orgoglio, e al viso adorno Drizza pietosi gli occhi, e in mesto humore Si bagna il viso, e'l seno, e stride, e freme, E in ferin petto pietos'alma geme. La natia ferità crudel desio Ne l'alma sueglia à rigida vendetta: Brama veder di sangue vn largo rio Di quella plebe al duce altier sogetta: E questo imaginando in crudo, e rio Suon rugge, e con furor ratta s'affretta Sbranar con l'auide vnghie i crudi, & empi Ministri, e farne sanguinosi scempi. Sitibonda di sangue in quelle corre Incaute, inordinate, inerme genti; Come da i monti rapida trascorre Sciolta la neue in liquidi torrenti; Che Querze spezza, abbatte case, e scorre Mista l'onda crudel cò i greggi spenti; In si terribil suon, che il folgor scende Con manco suon, e meno terror rende. In modo cosi fier la generosa Fera lanciosi in fra le turbe dense: Vrta, percuote, abbate, e disdegnosa Stratia, & impiaga con le forze immense: Sempre di dar la morte desiosa A quelle genti, c'han le fiamme accense: Faci son gli occhi, e vapor spira ardente La feroce guerriera in se dolente. Ma la gente non fugge, e poco offende L'Orsa, ch'offende, e à offese ogn'hor l'inuita; V giungon l'armi di sue branche horrende Lascian dubiosa la mal nata vita: Con l'inuincibil forza in terra stende La vil turba tremante, e sbigottita: Non l'vccide però, mentre l'atterra, Che nuoua gente à quella porta guerra. Come s'al fuoco giungi legna cresce Più la vorace fiamma, e si fà ogn'hora Auida più di consumarne, e n'esce Sussur più grande, cosi l'Orsa anchora De l'ira il foco fà più ardente, e mesce Co'l fremito i sospir breue dimora; Lunga le par, che mostri quanto possa Ardir, sdegno, odio graue, e l'alta possa. Ma Colomba, che vede il tutto, teme, Che quelli ancida, à se chiamolla, ed ella; Stende in salti il gran corso, e co i pie preme Gente, ch'il terren preme à Dio rubella: Ha d'vccider i stesi voglie estreme, Ma i lascia à i cenni de la Vergin bella: Vien ne l'albergo, e poi d'vscir si sforza Ella il furor le affrenna, e l'ira ammorza. E perche già da sacro spirto intese Che fine à tante pene hormai sia morte, E da l'Illustre raggio ancho comprese, Ch'haurà corona il crin, perciò con forte, E magnanimo core aspetta offese, Per cui l'anima in Dio si rinconforte; E con benigno aspetto gli occhi fisse Ne la pia belua, e in grata voce disse. Di diuina virtude essecutrice Mia fedel guardia, e quasi human nascosto Spirto in tal spoglia, m'hai fatta vittrice Del giouine inhonesto al mal disposto: Gratia l'infuse Dio, c'hora è felice Hauendo il vitio reo vinto, e deposto; Per te d'vn'alma al Ciel hò fatto acquisto Ma poi piu grata al Ciel piu grat'à Christo. E con le sante man l'horribil testa Dolce ridendo a la siluestre fera Liscia, e accarezza, perche già la mesta Vista ritorni in vn placida, e altera: Vattene, disse homai ne la foresta, Che lasciasti per me grata guerriera; Chi per me ti mando, quel farà anchora Che mori veglia, e di tal fiamme fuora. Al commandar di questa, ch'esser deue Coronata Regina à gli alti Chiostri Se l'inchinò la belua, e che l'aggraue Da lei partirsi par, che dica, e'l mostri: E riuerente le sue man di neue Bascia, e par, che l'aspetto suo dimostri, Che più grato l'è qui morir con lei, Che viuer lieta fuor d'affanni rei. Soggiunse indi Colomba à la natia Selua, và diletta Orsa; andrai sicura: Vdì la uoglia sua la belua pia, C'hà fissi gli occhi in lei, che l'assicura: Per ubedir la mesta al fin s'inuia Sforza il proprio uoler, ò come dura Cosa, le par lasciarla in si rea sorte Preda à l'infida gente, e à crudel morte. Pria piegò i lumi à terra, e riuerente Chinò il gran capo, e ritrouò l'vscita; E fra l'horribil fiamme, e cruda gente Passò sicura (, e non fù gia impedita) Ne fremer cessa la pietosa mente, Che sol pensa a la vergine gradita; Ne gli occhi crudeltà scopre, & horrore Cela nel sen pietà, tema, e dolore. Sicura andò fin à la selua, doue Hauea secreta stanza, e là s'auolse: Oue di crudeltà non vede noue Maniere, per cui tanto duole, e dolse: In Scenoua la fiamma feà gran proue, Che nel vorace sen la casa accolse; A quanti fur presenti, à tanti il foco Aggiacciò il cor nel suo piu interno loco. Ruote di nero fumo in alto estolle Auree palle di fiamma al Cielo aggira Il foco, e stride in pece, e l'aria tolle Fauille accese, e le scote, e raggira. Fra il cieco fumo, e accese anche lasciolle Cader e scender pioggia aurea si mira; Forsi talhor estiua notte suole Piouer vapor, c'ha gia infiammato il Sole Qual gloriosa, & immortal Fenice, Che di proprio voler s'accende, e muolle Per rinouarsi, e viuer poi felice, E consumar de'vecchi anni l'horrore; Si arde ella, e'l caro incendio à l'aura elice Nouella prole à lei di ugual splendore: E di se stessa genetrice, e figlia Si pon nel rogo, e muore, e uita piglia. Fra mormorante fiamma hor tal si mira La bella, e nobilissima Colomba, Che per nascer in Ciel, ù l'alma aspira, E purgar il suo cor, oue rimbomba Ogni colpa commessa, quel desira, Che le dia morte, e sia feretro; e tomba; Ne però si sgomenta, e tenta in vano Esser di lei vincente il Re inhumano. La Vergine sicura homai, che morte A vita eterna in Ciel l'auiui, ed erga, C'hor già ne ferue l'aria di tal sorte Ne l'indegna maggion, oue essa alberga Non teme, ma pur fia, che il petto forte Di lagrime il bel uolto alquanto asperga, Giunge le palme, e l'alma, e gli occhi accoglie. Al Cielo, e in mesto suon tai uoci scioglie. Tu del superno Olimpo almo Rettore Porgi pietose orecchie à i preghi indegni De l'indegna tua serua, che con core Puro ti chiama da i mondani regni, Regni d'alte miserie, e d'alto errore Colmi di breui paci, e lunghi sdegni; Oue ragion non regna, oue no'impera Santa giustitia con sua legge intiera. Tu che nel crudo incendio eterno Padre Giouasti già con refrigerio santo A i pargoletti serui, che nè l'adre Fiamme furon gittati, e quelli intanto Sciolser le chiare uoci alme, e leggiadre In sante lodi, in glorioso canto, Poi che di tua pietà l'ampio torrente Il foco estinse, e la gran fiamma ardente. Hor rinouella l'alto, & ammirando Miracol santo, e'l fiammegiante ardore Spegna la tua uirtù, che mormorando Accender mi minaccia, eterno amore: Di color pio dipingi il uiso amando Questo contra le pene audace core; Ma se in funereo rogo uuol, ch'io sia, Tua santa uolontà, talè la mia. Ma che stolta pregh'io, ch'incendio tale Non consumi à lo spirto il uitio inuolto; Hor è il tempo, hor è l'hora, ch'à immortale Signor mostrarsi, ò cor, bisogna sciolto D'ogni affetto terren, se la mortale Vita, brami cangiar, e il mesto uolto In lieto, e il mondo uile in paradiso, E i finti oggetti, in glorioso uiso. Perdon ti chieggio sommo Dio, perdona Quanti hò commessi al mondo graui errori: Scaccia il timor di morte, i prego, e dona Forza à lo spirto tal che laualori; Che merti in la tua gloria hauer corona Godendo la tua luce i santi cori; Laua co'l sangue tuo l'alma mia immonda Che pura, e lieue sorga à te gioconda. Contra il commun nimico arma la mano Cingemi di uirtù, sciogli il peccato: A lo spirto la carne ceda, e il strano Martir, no'l renda timido, e turbato: Ma in quel purghi le colpe, e tenda in uano Le reti, e i lacci il tuo auersario ingrato: Ne le tue santemani amato sposo Deh fà ch'io prenda al fin dolce riposo. Cosi dicea piangendo, e al Ciel uolgea Con profondi sospir le luci sante; Di speranza, difè, d'amor ardea Il puro cor del uero amante, amante: Portò il prego la fede, oue ei sedea Ne l'aurea luce in placido sembiante, Oue esso rege, e tutto il paradiso Di pietoso color dipinse il uiso. Quel, che per noi saluar se stesso offerse Sopra il legno funesto à morte indegna, Volse il giocondo sguardo à terra, e scerse L'ardor, l'anima santa, inclita, e degna: E acceso di pietà disse l'auuerse Fiamme repente pioggia in tutto spegna, Spegna la pioggia il foco, e con lei scenda Virtù, che il cor acceso più raccenda. Tranquilla l'aria era, sereno il Cielo Taceano i uenti, e'l mar queto senz'onde; Diffondea raggi d'or senza alcun uelo Apollo, e non s'udia mormor di fronde, Quando impensatamente al Dio di Delo Oscurissima nube il chiaro asconde, E uenti impetuosi portan guerra Al uasto mar, à la spatiosa terra. Ecco di nero nuuolo i bei campi Celesti, cinti con oscuro horrore: Vibran folgori ardenti accesi lampi Con si terribil suon, che dan terrore, Par che per fuochi il Ciel se stesso auampi S'ode d'horribil tuono alto rumore; Cade la pioggia, e in ciò par volto il Cielo Parte indurata in freddo, e tondo gelo. L'ardor nociuo, la cadente pioggia Che pietà dal Ciel versa, affatto estinse: O miracol Diuin, benche non poggia Vapor al Ciel, pur pioggia l'ardor vinse: Più de l'estinto nobil foco alloggia A la vergin nel cor, ch'in Dio l'auinse; Ella lui sol desia, solo ama, e prega, E'l cor suellato à lui disuella, e spiega. O santa pioggia estingui il foco, e accendi Inestinguibil fiamme in casta mente Con contraria virtù, hor dal Ciel scendi, E scopri alta possanza, à infida gente; Nembo di rai celesti, in me discendi Araccendermi il cor, à far più ardente Il disio, e tu mi detta il carme, e insegna Qual fosse il fin di tanta Vergin degna. Per l'infinite gratie in dolci note Co i lumi al Cielo, con humil sembiante, E con voglie dal mondo empio remote Ringratia Dio di tante gratie, e tante: Stupida, e lieta le uermiglie gote Di pianto irriga con maniere sante; Si pon in terra ingenocchiata, e rende Preghiere à chi lei ode, vede, e intende. Piange, e nel lieto pianto appar più bello Il viso asperso di cadenti humori; Quasi purpurea rosa al sol nouello, Che rugiadosa spiega i suoi splendori: O pianto, ò santo prego, tu sei quello, Che del foco, e del Re spense i furori Di lei il cor, la fede, e'l merto spieghi, E fai, che Dio à pietà si moua, e pieghi. Dal gran miracol vinti i riguardanti Confusi, e quasi fuor del senno vsciti Diceano, ò queste sono opre d'incanti, O ver son veri i Dei, c'hà riueriti; Onde à quei veder par da i regni santi A discender tai morbi, e tante liti, Che solo odan suspiri, e gustin doglie, Veggian funebri pompe, e nere spoglie. E d'alto scenda vendice saetta, Che al bellicoso Re la vita toglia; E l'amata famiglia sua diletta L'irato Cielo sotto sopra voglia: E che tremi la terra, e à basso getta L'alti palagi, e le sue regie soglia: E Scenoua ruini, e più non resti Vestigio d'essa, ò segni manifesti. Del crudo Imperator al fier sembiante S'appresentar le scelerate genti Sciolse vn tremante uoce, & anhelante Habbiam deste le fiamme alte, e lucenti; Ma à l'aere dolce, e queto, ch'era innante Si sciolser feri, e impetuosi venti, Che mentre fiamma di gran fumo mista Cingea l'albergo, il Ciel cangiosi in vista. Et ingombrando, allhora in un momento Caliginoso horror d'atre tenebre, Il puro Ciel, che pur nube d'Argento Non uelaua il suo bel uersò si crebre Stille di pioggia, onde rimase spento Quello, che gia credean fuoco funebre, Io fui presente, e'luidi, e il cor no'l crede Lo stima sogno, e non può dargli fede. Tacque egli, e benche il Re del gran Dio ueggia Si chiari effetti, à ceder non si uolta; Ma nel mar de i pensieri erra, e uaneggia Sua mente dubbia à mille error riuolta; Nuouo pensiero à lui dice, che deggia Far che Colomba sia da i lacci sciolta E ancor che indegna sia darle perdono, Farle di uita, e libertade dono.

Il Fine del Terzo Canto.

MA intanto s'adornò la notte oscura Col suo bel uel di mille stelle adorno; E'l pigro sonno ogni noiosa cura Sopia facendo à ogn'un dolce ritorno: Ma non al Re, che'l cor piu ogn'hor l'indura Spirito reo, ch'in lui preso hà soggiorno: Sdegna Quiete d'habitar nel petto. Ou'hora alberga l'infernale Aletto. Nel cor peruerso al mal oprar riuolto Par, che lo spirto reo cosi ragioni: Vedut'hai de l'infida il fermo uolto, Et udito in suo prò false ragioni: Come un uano sperar e un desio stolto, Fa che i ueraci Dei lasci, e abbandoni: Onde scopristi ben, ch'ella non teme Le pene minacciate, e in Christo hà speme. Qual noua merauiglia il cor t'assale Alma in veder si generosa, e forte Di giouinetta ancor tenera, e frale, Che la gelida man sprezza di morte; O che far pensa il nome suo immortale, O goder crede la celeste corte O ch'inuitta si finge, e perciò spera Di ricourar la libertà primiera. Ma che direm de l'opre alte, e stupende, Con che le nostre forze vince, e atterra? Fà con magico carme, ch'Orsa prende La sua difesa, & à noi porti guerra; E in breue il chiaro Ciel si oscuro rende Ch'irato pioggia, e fulmini disserra; E con audaci detti, e bel sorriso Sprezza il tuo dir, rende il saper conquiso. di femina vil grandi ardimenti, Cui la conocchia è troppo graue somma Già che di vincer par ch'ella osi, e tenti L'eccelso Rege de l'inclita Roma: Vno, che raffrenò Barbare genti, E che nation nemica hà oppressa, e doma: Ah Vincerà? ciò non sia ver, che'l regio Valor si macchi con si ignobil fregio. Ma poco può segnar d'oscure note Il chiaro sol de tuoi pregiati honori; Se tosto fia, che à l'arti à noi si ignote Morte sia il fin, & à cotanti errori; Sterpela pria, che genti à noi remote Odan tai segni, e ogn'un per Dea l'adori; E il tuo poter il suo voler disperga; La fiamma estingui pria ch'in alto s'erga. Fa di lei stratio, fa, che resti essempio A mille alme infedel sua morte atroce: Non lasciar, non soffrir, che s'alzi il tempio Di falso Dio, ch'à vera legge nuoce: Tu, ch'ostar puoi con inhumano scempio, E co'l mostrarti in vista aspro, e feroce; Se temer non ti fai, ti mostri indegno Di tanto scettro; e di cotanto Regno. Dunque al benigno Gioue, ch'à te diede Di Roma altera l'honorato pondo Lasci per premio di tanta mercede, Che l'alto nome suo sia posto al fondo? Che s'atterri il suo Tempio, e nuoua fede Sorga, e s'inalzi noua Chiesa al mondo? E'l nome di Giesù ribombar s'oda Da la gente, che lui ringratia, e loda? E che de sacri incensi i puri odori A lui si dieno, à lui sien porti i voti? E quei, ch'à Gioue fur douuti honori Lascierai, ch'altri à quello offran deuoti? E che i candidi Argenti, gli ostri, e gli ori Adornino i lor vani culti ignoti? E s'oda in uario Idioma, in uarij uersi Merauiglie cantarne in suon diuersi? Vuoi tu forsi crudel, che turbi, e infetti Si poca peste tutto il popol sano? Questo non gia, ma fà, che gli difetti Sien puniti di lei con martir strano: E s'alcun con sprezzanti, e uani detti Il tuo sagio uoler chiamerà uano: Tu farai, che di quel empio, e infedele Il ferro sia distruggitor crudele. Ma gelato pensier l'alma ti fiede A farle offesa, poi che uedi quanto Può il Ciel sforzar, ch'ogni elemento cede Al suo potente, e ualoroso incanto: Ben nel tuo corpo uil, uil alma siede Se temi farle offesa, e porla in pianto: Fà ch'ella pera, e chi dal camin dritto Si torce, sia da noue pene afflitto. Prendi il consiglio pur, che spirto buono Ti detta, accioche in pace, e regni, e reggi Accogli i detti miei crudeli al suono Ma dolci, accioche il volgo tu correggi; Poi con piu lode goderai quel dono, Che Gioue gia ti diede, e come deggi Lui sol ringratia, e fà ch'ognun l' honori; Deuoto il lodi, riuerisca, e adori. Qui die fine al suo dir la furia Aletto, Nè già da lui la fiera empia si tolse; Nè per tornar d'Auerno al crudo tetto Al volo le nere ali già disciolse; Ma ne l'irato, e combattuto petto Nel più interno del cor albergo tolse; Poi co i suoi serpi, e co'l nociuo ardore Aggiunge à graue duol nouo dolore. De l'immenso Ocean veloce vsciua Co i candidi corsier lucente il giorno E la vermiglia rosa, e'l giglio apriua; A la luce nouella il seno adorno, E l'aura matutina errando giua, Feà à l'opre tralasciate ogn'huom ritorno, Quando dal trauagliato suo riposo Il Re si mosse tacito, e sdegnoso. Ch'à suo mal grado ne la fronte scopre Ne i lumi accesi, e nel sembiante oscuro De la furia, che in lui si vela, e copre I serpi venenosi, e'l foco impuro; Poi che manto regal cinge, e ricopre Le Regie membra sacrifitio puro Fè al suo gran Gioue, poi con alta voce Disse à ministri suoi crudo, e feroce. Colà ne gite, oue si cela, e chiude Da gli occhi altrui l'incantatrice rea; Che con sue magich' arti infami, e crude Guerreggiar l'Orsa indomita facea; Forsi ch'à suo voler disserra, e schiude I Dei d' Auerno, e'l Sol, che già splendea: Oscurò con potenze ignote, e strinse L'oscuro in pioggia, e'l viuo incendio vinse. Lei condurete à me; perche le dia Per gli demerti suoi pena seuera; Che graue error saria hauer l'alma pia Ver chi sprezza di Dio la legge vera: Tac'egli, e quella subito s'inuia Per far quanto le hà detto iniqua schiera, Che Christo non conosce, e sprezza i diui, Quai fer di sangue rossegianti riui. In tanto l'alma, ch'à l'altezze aspira Del Ciel sublime in preghi, e in pianti spese Tutto il tempo notturno, e come mira Sorgere il nouo sol riposo prese: Ma breue è il suo riposo, ch'amor gira La mente al suo signor, che sì l'accese; E dòue il chiaro raggio sorger vede Drizza i begli occhi, e à dir principio diede. O luce, ò de mortali alta speranza Te veder non credea, pur te riueggio: Mentre in sen de le fiamme era la stanza, Per ciò quanto il mio Dio ringratiar deggio O sol del mio bel sol sola sembianza Quando godrò nel Ciel stellato seggio; Quando sara, che suora i raggi tuoi Veda il mio Re co i suoi Celesti heroi? Quando sarà, ch'à te mio Dio m'accoglia Fuggita dal furor d'aspra tempesta? O qual trafitta da pungente doglia, O qual da pugna perigliosa, e infesta? Tu quiete, e pace à chi s'affanna, e addoglia Tranquillità serena, e stella desta: Tu, ch'à morte morendo desti vita Porgi in la morte altrui Celeste aita. Qui tace, e asciuga il volto, in cui larg'onde Versan di chiaro humor le luci belle; Ode vn nouo bisbiglio, e non sà d'onde Esca, ma del Re son le genti felle, Le quai vedendo con voci profonde, E con ridenti, e ruggiadose stelle, Disse sì ch'hai raccolto, hor conosc'io L'humil preghiere mie uerace Dio. La schiera con furor repente allaccia Con importuni nodi e vnisce, e stringe D'essa le molli, e delicate braccia, Et de l'indegno albergo fuor la spinge; Ma come il volgo la serena faccia Mira, ella d'honestà s'infiamma, e tinge; E de begl'occhi il lume tien raccolto Generoso pensiero, e schiuo il uolto. Ben fra le spine è delicata rosa, E fra i lupi rapaci gentil Agna; Bianca Colomba in feroce unghia ascosa D' Aquila, che trafitta non si lagna; Sparsa in uil campo gemma pretiosa, Candido giglio in horrida campagna; E fra l'oscure nubi luce bella, E ne l'ombra notturna alba nouella. Dir cosi parea il uolgo in lei conuerso, Che con dirotti pianti, e con sospiri Compagnò i detti taciti, e al Ciel uerso Volto, chiedea pietà de suoi martiri; Aura soffiando del crin l'auro terso Suolse, c'hauea raccolto in uarij giri; La qual tentò con desioso zelo Crescer bellezza à chi innamora il Cielo. Non cosi bella in fra'l notturno horrore Splende di neue, e d'or lucente Aurora; Nè'l Ciel si bello appar ne lo splendore Di sua luce, che'l mondo orna, e colora Come l'amata de l'eterno amore Splende nel crin, che l'aria alluma, e indora: E giunta al Re confuso ei la rimira Ma l'orgoglio non scema, o frena l'ira. S'à pietà non ti moui ò fier Tiranno Sei più saldo, che scoglio à rapid'onde: Marmoreo sasso ti produsse, e t'hanno D'atro uenen nutrito in su le sponde D'Acheronte le furie, ch'in te stanno: E un cor di duro ferro il petto asconde: Le bellezze mirando quai fann'fede De la rara beltà, che Dio possiede. Come a i soffii di Borea eccelsa mole, O di percosse non si piega, ò scuote, Cosi il gelido cor del Re qual suole Resiste à la beltà, che lo percuote; Ma in rigida sembianza con parole Acerbe nè d'effetto in tutto uote Disse con tue uaghezze, ò falsa Maga Non muoui l'alma del tuo sangue uaga. Con quai detti efficaci, ò qual catena L'infernal Deità constringi, e leghi Per far ch'Orsa di rabbia, e d'ira piena Si plachi, e al tuo chiamar venir non neghi? E come fai, che l'aria già serena S'oscuri, e i venti al tuo voler disleghi? Quai son gl'incanti, e quai spiriti son quelli Da te inuocati à i miei desir rubelli? O cecità de le terrene menti In qual profonda notte in qual horrore Rispos'ella con graui, e saggi accenti, Son le nostre alme immerse ò gran Motore Se però co i tuoi rai puri, e lucenti; Non ralumi, e rischiari l'human core; E se l'ignota via chiara non mostri Che n'alzi, e guidi à i tuoi stellanti chiostri. Di Christo son rar'opre, e sono effetti Merauiglie appo noi, lieui à lui cose, Che del Ciel noue cerchi ampi, e perfetti Gira con sue potenze gloriose: Erri, se credi, ch'habbia à farle astretti Bassi spirti con note, & arti ascose, Son questi Idoli tuoi, à quai ricuso Porger vane preghiere al Roman vso. Chi da i miei Dei ti mosse, e ti sospinse Il Re soggiunse ò vergine gentile, A tal peruersitade? e chì ti spinse Vn Dio adorar si sconosciuto, e vile? Questo d'oscuro il chiaro nome tinse Del genitor ben tuo, ma non simile; Qui tace, e vn poco pensa, indi ripiglia Le tralasciate voci, e lei consiglia. Dunque mai ver sarà, ch'io te condanni Nobilissimo viso à cruda morte: Dunque anzi tempo, e nel fiorir de gli anni Fien da vil terra tue bellezze absorte: Desta la mente, e schiua estremi danni, Fa te in la reggia, e legge à noi consorte: Non sprezzar le mie preci poi, che sono In tuo prò per saluarti, e dar perdono. Et ella, sol per uia di patir spero Scourir il cor à Dio, ch'aperto il uede. Accioche dal Ciel scerna ei Padre uero Fra mille morti uiua la mia fede. Cosi mi farò al Cielo ampio sentiero Sprezzando il mondo, e quanto ben possiede S'inchina ogni su'altezza, e quasi un'ombra Sparisce, e ogni suo ben tosto disgombra. Tu che in uil Regno si lieto dimori, E uestito di tenebre ne uai; Squarcia il uel tenebroso, e mira fuori Di tre Soli, ch'è un sol li eterni rai: Alza la mente bassa à i bei lauori, Celesti, e à chi li fece pensa homai, Anzi che il fin dia morte, e ch'in eterno Agli occhi tuoi si celi il Ciel superno. Non tanto irato mar fremer si sente, Ch'in horribil sembianza aggita l'onde: Nè se il uento guerreggia empio, e possente S'odon tai stridi fra nemica fronde: Quanto del Re la tempestosa mente. Sospira udendo ciò, ne à lei risponde; Ma disse à i suoi guidata altroue sia Costei, che sprezza i Dei, ch'amar deuria. E doue il volgo in maggior copia abbonda Ella sia fatta inhonorata, e vile: Le sia tratta la veste, che circonda Il corpo fido nò, ma si gentile Ciò vdendo de ministri vn stuolo innonda Intorno à la di Christo ancella humile, Quai la tram dal Palagio à la gran piazza, Per essequir del Re la voglia pazza. Qui à gli occhi altrui si scopron li diuini, Thesor d'incomparabili vagghezze: Legano in vn sol nodo i sparsi crini, Che mostrar di beltà l'alte ricchezze: Essa mesta destò fra bei rubini Aura, ch'al Ciel spiegò le noue asprezze; E con pianto dolente il rossor vela, Che del bel volto i gigli copre, e cela Bagna le gotte, oue le rose ogn'hora Rinascono più fresche, e più vermiglie, Ch'iui pura honestà tinge, e colora, E mentre atterra l'humidette ciglia, Alza la mente al Cielo, oue canora Continua tromba l'alte merauiglie Canta di quel gran Re, ch'offerse nudo Il corpo, anch'egli in croce al popol crudo. Tu la notte col vel di stelle adorni E d'aurea luce cingi il chiaro Sole Vesti la terra à i piu felici giorni Di viue rose, e pallide viole; L'augel di lieui piume, e pur ritorni D'or noua spoglia al serpe, à chi si duole Non sdegnar dar aita, e velar queste Membra à te sacre al mondo manifeste. Cosi diss' ella, e le preghiere ardenti, Che vscir del puro cor, al Ciel saliro; In fra le schiere angeliche lucenti Nel più sublime, e glorioso giro. Del Ciel l'vnica luce i mesti accenti Pietos' accolse, al lungo suo martire; Disse con modi inusitati, e noui Si confondan le genti, homai si gioui. Indi le chiare immortai luci accese Intorno volse, e riuerenti i Cieli Tremaro, e l'alme ellette in quelli ascese; De l'Oceano i campi, e d'aria, e in geli Fersi per tema i fuochi d'Etna, e scese Tremor à i Regni Auerni, e in le crudeli Alme perdute, e tremò Olimpo, e Atlante Per venerar di Dio l'alto sembiante. E con benigni detti il Re del mondo Angeli due chiamò forme perfette; E in lor volgendo il guardo suo giocondo Cittadini del Cielo anime ellette Giuso scendete, disse; ù il furibondo Peruerso stuolo hà tratto à le dilette, E delicate membra il manto, e nude Sono à le genti à me ribelle, e crude. De gli Angelici manti, che solete Vestirui, ò mie potenze, con questi anco La mia pura Colomba ammanterete, Che contra l'ira hà cor ardito, e franco; Tacque quel ch'al mar pose ferme mete Che die à la Luna, e al sol l'aurato, e'l bianco: Cingonsi d'aria l'inuisibil forme. Acciò l'aspetto lor sia à noi conforme. Vermiglie rose, e candidi Gesmini Fiorian ne i volti, e lampi han gli occhi santi, Piu che'l sol uibran raggi i biondi crini Fingonsi humani aspetti, human sembianti, Come nuncij di Dio sacri, e diuini Sacri, e diuini hanno i lor fregi, e i manti; Crescono al tergo le dorate piume Sparse d'azzuro, e di gelate brume. Gli angeli santi al volo spiegan l'ali, E recan seco la commessa ueste; Lasciano i regni eccelsi, & immortali Gli aspetti, i lumi, e l'armonia celeste; Da li eterni felici, à li mortali Scendon ueloci, oue l'huom fral si ueste D'iniquitade, e fugge il bene, e brama Caduchi honori, e momentanea fama. Intorno à l'alme angeliche corona Gira di raggi lucidi, e splendenti; Sparisce il lume, che ministra, e dona Al mondo uita, co i suoi rai lucenti; Fuggon le nubi, e'l Ciel sereno tuona Dolcemente, e lampeggia, e sono ardenti: Gli angelici ministri, e fiammeggianti D'ira ne i uolti sacri, e ne i sembianti. Ognun, ch'era al spettacolo scorgea A merauiglia i lor diuini aspetti Arder di sdegno uer la turba rea, Che affligge i cari al sommo Dio diletti Ambo attingon la terra, oue spargea La diletta di Christo pianti, e detti, Le uiue neui, in neui nate in Cielo Volgono, e in diuin uelo il fragil uelo. Cinta, c'han la beltà, ch'il Cielo ammira Di celeste candor à le serene Parti di quel uolaro, ella al Ciel gira Le chiare stelle pur di pianto piene; Riman confusa quella gente d'ira, Et essa loda il suo bramato bene: E alcun uinto da i segni nel suo core Taciturno adorò l'alto Motore. Qual fra l'argentea nube, talhor suole Di raggi cinto il Sol più bel mostrarse: Tal nel candido ammanto il puro Sole Di sua rara beltà più chiaro apparse: O santa fede, ò in Dio speranze sole, Che l'humane potenze han vinte, e sparse: Pie voglie in brutto mostro, e il Ciel sereno Velar d'oscuro, e fer l'incendio meno. Da poco lungi scorse l'empio Duce L'Angeliche sembianze, e'l puro velo: E il nobil uiso, che rifulge, e luce Di celeste beltà nata nel Cielo: Vede la squadra anchor, che lei conduce Di nouo à lui, ond' aspro, e acuto telo Si li trafigge il cor, ch'irato fisse In Ciel le luci, e impetuoso disse. Dunque io, ch'ogn'hor fra bellicose schiere Riportai di vittoria il pregio, e il vanto: Io, che d'estinti monti feci in fiere Sembianze, e del lor sangue fiume à canto; Hora d'vna fanciulla hò da temere Benche si truoui tra miserie, e pianto: Pur viue, e vince, e forsi ride, e prende Giuoco di me mentre ira il viso accende. Qui tacque, e in questo al conturbato aspetto L'iniquo stuol guidò la nobil donna; De lo spirto di Dio sacro ricetto Ferma di valor vero alta colonna; Fiss' ei lo sguardo nel diuino oggetto E al bel candor, de la celeste gonna; Fù costretto abbassarlo, come suole Gli occhi inchinar, chi già mirò nel Sole. Poscia di stupor pieno alzollo, e altroue Disse costei guidate, ch'io son vinto; Vinto è gia il vincitor, mie Illustri proue Ella ha scemato, e il mio ualor estinto; Quel che Roma co'l cenno affrenna, e moue Quel, ch' à farsi vbedir hà il mondo spinto, Quel, ch'esserciti inuitti oppresse, e vinse Hor semplice fanciulla à ceder strinse. O potenza Romana, oue hora sono Di tante guerre l'honorate palme? O Domator del mondo vano è il tuono, Che s'ode di tue proue eccelse, ed alme Già del tuo formidabil nome al suono Tremauan sbigottite le fere alme Hora à Colomba humil, Aquila altera Cede, e d'hauer uittoria homai dispera. Del Re la mente è sitibonda, e uaga Del sangue di costei sacro, e innocente: Ma più sua crudeltà desta, e l'impiaga Aletto il cor con stimulo pungente: Facendo l'alma sua certa, e presaga Che s'ella uiue à se trarrà la gente: E ch'ei sarà quei di uita escluso, E indutto nouo imperio, e nouel uso. Da l'ira spinto, e dal Demon peruerso, Ch'ognuno àgara il cor l'ange, e tormenta, Die l'ingiusta sentenza, e in lei conuerso, Che ria l'aspetta desiosa, e intenta Disse; de la Città sia tratta, e asperso Il terren resti del tuo sangue, e spenta Sia, troncandole il capo, e uedrà quanto Il suo Dio può giouarle, ò il falso incanto. Alfero annuncio, al formidabil detto A questo crudo, e moribondo auiso, Non già si scosse il generoso petto, Nè scolorosi il colorito uiso: E men turbossi il suo sereno aspetto, Nè il cor; ch'unqua da Dio non fù diuiso; Ma lieta, e in uoce lieta, come suole Christo lodò con tacite parole. E uolendo à le menti in cieca notte Sommerse il cor scoprir di gaudio pieno Alzò i lumi ridenti, e in saggie, e dotte, Voci suelò il piacer, che accolse in seno Dicendo, dunque pensi hauer ridotte Le mie giornate al fin col tuo ueneno? Credi à me, che chi è morto al mondo è in uita, Che morte è à lui del Ciel dolce salita. Morend'io non morrò, ma morrà quella Parte, che spesso fà, che l'alma mora; Ma l'altra parte più perfetta, e bella Viua uscirà di questo cacer fuora Che la reggia del Ciel soura ogni stella Vdrà di notte angeliche sonora, Oue di sacra palma, e stelle ardenti Haurà le mani altere, e i crin lucenti. O sentenza, che celi in vista oscura De l'eterno mio ben l'alma chiarezza; Tua formidabil faccia rassicura L'alma, che haurà nel Ciel quant'ella prezza: Morte, che vita porti, entra sicura Nel cor lo spirto suelli, che te apprezza; Che salirà à le sfere alte, e superne Oue ogni bene in Dio si gode, e scerne. Ma l'alma tua d'eterna morte cinta Andrà fra le perdute al scuro Auerno: Quando sarà dal gran giuditio spinta Nel cieco horror in vn essilio eterno: E la tua gloria ò Re, fia in tutto estinta Trasportata con l'alma al nero inferno, Oue pene saran conformi à i tuoi Vitij, e godrai gli amati Idoli poi. Temendo il Re quei detti non rispose, Che insolito terror l'alma li moue; Ma vn reo per far quant' egli dianzi impise Ratto la bella donna guida doue Destinar quelle voglie à Dio ritrose, Per dar d'aspro martir l'vltime proue A lei, che mosse suplice tal voce Al ministro del Re crudo, e feroce. Pregoti, che humil prego al mio Signore Lasci ch'io porga, anzi che il fèrr'recida Il collo, e il sangue versi à cio, che il core Lieto mora, che al Cielo il prego guida, Che dolcezza trarrò di gran dolore, Onde à lei volto disse l'homicida, Ciò ti concedo, ed ella habbi pur fede C'haurai da Dio d'ogni ben far mercede. Con silentio ella prega, e pur discioglie Quasi percosso acciar voci sonanti Rimbombar s'ode in Ciel, come hà le voglie La reggia sacra, a i detti, a i lieti pianti; Attento è il Re, che l'alme à se raccoglie Attenti à prieghi i spirti eletti, e santi: E mentre ella del cor le uoci esprime, Timor non scema il suo ualor sublime. Il peccar mio ponn'in oblio, perdona O Re di gloria i miei passati errori: Fà che l'alma, che'l mondo empio abbandona Ne la patria celeste si ristori: A questo alto ualor, fortezza dona Noua guerriera in simili dolori; Che lascia per tua gloria alma, e suprema Nozze, feste, ricchezze, alto Diadema. E tu figlia di Dio Madre pietosa, Di questo ondoso mar stella tranquilla; Mira da qual procella aspra, e noiosa Son combattuta in fra Carridi, e Scilla: Ma spero al fin, che face alma, e gioisa Vedrò di tua pietà, ch'arde, e sfauilla, Che salua mi trarrà da l'onde infeste Da uenti auersi, e da crudel tempeste. Tu luce eterna, ch'alma luce uersi Cogli lo spirto mio, poi che fia sciolto Da la sua spoglia, e d'angelici uersi Sonante oda il tuo regno, e in gaudio accolto: Te sol uagheggi, e cessi di dolersi. Qui tacque, e dritto al suplicante uolto Il Ciel s'aperse, e in placido splendore Vide cinto di gloria il suo amatore. E di mezza la luce in un temp'ode D'alto angelico suon sacrate note, Dir; sposa amata ascendi d'ogni lode Degna à l'adorne mie stellanti rote: Poggia bella Colomba, oue si gode Gaudio, e uaghezze d'ogni mal remote; Vieni nel mio bel regno ò mia diletta Chi tu desii, te brama, chiama, e aspetta. Felice lei, cui lice anchor mortale Mirar di Christo il uenerando aspetto: Vede ogni piaga fiammeggiante uguale A percosso del Sol rubino eletto: E di maestà degna, e singulare Splender la diua fronte, e il sacro petto; E intorno di corone, e palme ornate Scerne mille alme uergini beate. Poscia Christo disparue, e'bel sereno Velò il gran sol, che bea l'anime sante: Restò à tai detti il cor di stupor pieno, Che cosi l'ami il tanto amato amante: Se à lui bramò d'unirsi, hor l'arde il seno Noua face d'amor ferma, e costante; Grande era in lei la fè, ma anchor maggiore: Si fece, e uia maggior crebbe l'amore. Hor più nel manto angelico riluce Sua terrena beltà, che diua splende La chiara faccia piu che il Sol da luce Celeste maestà l'aspetto rende: Poi che pregò, ch'àse chiamolla il Duce, Che l'acceso suo cor d'amor più accende: Ella al ministro disse, hormai ch'il crudo Ferro recida il collo, eccolo ignudo. Ed egli il braccio armato in alto stese Ahi, che à ciò dir mi turbo, e mi scoloro; E l'empia destra à ferrir quella scese Di natura, e d'amor pompa, e thesoro: Ma il ferro di tagliar pietà contese Declinò piato in su la chioma d'oro; A forza in man piegossi, e piegò il core De l'importuno, e auerso feritore. Si raccapriccia, e si smarisce in viso Il crudel offensor, e affrena l'ire; Stupido resta, immobile, e conquiso. Occhio non batte, e à pena par, che spire; Diss'ella à lui, che da se par diuiso Come pers'hai la crudeltà, e l'ardire? Che non metti ad effetto del Re i detti, Che fai, che pensi? ò pur che brami ò aspetti? Tolga Dio ch'io t'uccida, e faccia scempio Di cosi nobil vita, e resti essangue Soggiunse ei per mia man, già che ferro empio Sforzando il mio voler si piega, e langue, O d'unica virtù verace essempio Tu che versar hor deui il proprio sangue, Quasi ch'à te fosse tal detto infausto Preghi ch'ei di te faccia à Dio Holocausto. Chi hà da ferrir hor piange, ella non piange, Ei teme, ella di tema è affatto sciolta; Ei bada, ella l'affretta, e il prega, ei s'ange A i preghi, e da quei vinto alza, e riuolta La spada, e poi si pente, e'l capel frange Nud'ella il collo, e'l volto à terra volta; E lieta aspetta colpo, che le doni Morte, e ch'in Ciel poi viua la coroni. Ver la Vittima sacra il braccio estolle Il feritor pietoso, e in questo scende Repente il ferro, e il nobil capo tolle Al bianco collo, e'l pian purpureo rende: La sciolta testa esprime in sangue molle Tai voci, e il busto al Ciel le braccia estende, Riceui l'alma mia mio Christo dice, E qui depose il vel l'alma felice. Spiega le candide ale al suo fattore Venerabil Colomba, e lieta ascendi Oue fra l'auree stelle, ei tuo amatore Con letitia t'attende, & iui prendi Del tuo crudo martirio il degno honore Corona, e palma, e in Ciel diuina splendi, Poi ch'hà segnato il corpo, che gia langue Gloriosi vestigi col tuo sangue. E à me perdona nobile guerriera Se con audace lingua i tuoi gran vanti Oso cantar che in vero di più altiera Tromba son degni i fatti eggregi, e santi I puri affetti, e la voglia sincera Gradisci, e non sdegnar miei bassi canti; Ch'in loro almen per se chiara rimbomba La tua fede, e'l tuo cor alma Colomba. E spero del mio stil nel fosco horrore Splenderan di te i pregi, e il nome, e l'òpre Come in torbida notte il bel fulgore, Ch'in vago giro il suo splendor discopre, O qual trapunto d'oro in ner colore, Che le bellezze sue più belle scopre E il nero velo lucido farai Come il balen le nubi co i suoi rai. E anchor Colomba mia ch'al Ciel spiegasti Per la tua purità le sacre piume; E che con fier contrasto de i contrasti Togliendoti salisti al tuo gran Nume, Fà ch'anchor noi con puri affetti, e casti Godian nel Ciel di tue bellezze il lume, E fà che del tuo nome il nuouo grido Da terra s'odi al tuo stellatto nido.

Il Fine dell'vltimo Canto.

Nel Canto primo à car. 9. à stanza quarta mestra cio è mostra. à car. 11. giocoso, cio è gioioso. à car. 19. stanza. 1. tenere tenesse.

Canto Secondo car. 16. stanza 5. aspergon, aspergono. Del Dal. car. 19. stanza 3. risplenda, risponda. car. 22. Ziampe Zampe.

Canto terzo car. 31. stanza. 1. muolle, more. 35. stanza 5. manca O.

Canto Quarto car. 43. stanza Prima d'ira, dira.