Dott. OTTONE CIARDULLI

Lettere e Poesie
INEDITE
DI
ARNALDO FUSINATO
ed ERMINIA FUÀ

CASTELFRANCO-VENETO
Stab˙ Grafico Mario Olivotto
1913

Sento il dovere di ringraziare pubblicamente la S˙ V˙ per la cortese sollecitudine con la quale ha voluto mettere a mia disposizione i preziosi manoscritti del Museo civico, al quale Ella dedica tanta parte del suo tempo.

Se le cure del mio insegnamento e dell' ufficio della Direzione mi concederanno tempo e lena, spero di potermi giovare di essi per scrivere una compiuta monografia intorno alla illustre Accademia dei Filoglotti, che fiorì nella prima metà del secolo XIX in questa colta cittadina, bene a ragione chiamata dal Capparozzo la piccola Atene del Musone.

Tra i numerosi manoscritti, donati al Museo dal dott. Lorenzo Puppati avendo trovato alcune lettere e poesie inedite del poeta Arnaldo Fusinato e della poetessa Erminia Fuà, sua gentile consorte, i quali vissero molti anni in Castelfranco e lasciarono tanta eredità di affetti, ho creduto non inutile dare alle stampe, anche nella speranza che questo Municipio, assecondando i fervidi voti della S˙ V˙, voglia finalmente dare una sede conveniente e decorosa al Museo, da intitolarsi al dott˙ cav˙ Francesco Marta, il quale non risparmiando nè tempo, nè fatica ne raccolse i preziosi materiali.

Con perfetta osservanza

Dev.mo
Dott. OTTONE CIARDULLI

Il primo giugno del 1902, in Castelfranco Veneto, si scoprì solennemente una lapide sulla facciata della casa nella quale dimorò per più di due lustri, unitamente alla sua Erminia, il poeta Arnaldo Fusinato, che coi liberi carmi e coll'avvivatrice parola di cospiratore impavido rinfocò nei giovani petti il magnanimo desiderio del patrio riscatto.

Una gentile poetessa, Enrichetta Usuelli Ruzza, pubblicò per la lieta occasione una ispirata poesia, nella quale rievocando i giorni felici passati in questa terra diletta, così salutava i due sposi:

Salve, lieto cantor dello Studente, Franco al par con la penna, e col moschetto, Tirtèo delle lagune! e tu, sapiente Educatrice, Erminia, a cui nel petto Ispirò il verso candido un affetto Solo e gentil: Patria, Famiglia e Dio!

L'Ab. Cav˙ Luigi Viani, Direttore della Regia Scuola tecnica “ Giorgione ”, or son due anni rapito alle cure della scuola e all'affetto dei discepoli, con parola colorita rievocò la maschia figura del poeta soldato e quella così cara alle giovanette della soave poetessa e sapiente educatrice.

La modestia del Viani e la sua veste di sacerdote gli impedirono di pubblicare il patriottico discorso, che certamente sarebbe stato bene accolto dagli ammiratori ed amici.

La lettura di tale discorso m' ha invogliato a pubblicare alcune lettere e poesie inedite, da me rintracciate nei manoscritti del Museo civico, le quali son sicuro non riusciranno discare a questa colta e gentile cittadina, bene a ragione altera di avere ospitato per tanti anni la coppia gentile.

D' altra parte Arnaldo ed Erminia, anche quando furono costretti dall'avversità dei tempi ad esulare da questa terra ospitale, non dimenticarono mai la città che li aveva accolti ed amati.

E come mai avrebbero potuto obliare la loro casetta, che guarda il turrito maniero, monumento parlante della patria del Giorgione? In essa gustarono le più care gioie della vita; in essa videro nascere i loro figli; in essa cospirarono per la libertà della patria; in essa accolsero tanti illustri patrioti, che poi seppero affrontare impavidi la prigione ed il patibolo.

Il ch. mo prof. Cesare Cimegotto nel magistrale Studio Biografico-Critico intorno ad Arnaldo Fusinato, ha saputo lumeggiare come meglio non si poteva la bella figura del poeta e quella della soave poetessa; sicchè chi ha vaghezza di conoscere le vicende della loro vita ritrova messe abbondante di notizie e di giudizi.(1) C˙ Cimegotto: Arnaldo Fusinato - Studio Biografico-Critico - Fratelli Drucker, Padova 1898.

Questi pochi scritti inediti spero possano aggiungere qualche nuova luce intorno ai due poeti per quanto riguarda la loro dimora in Castelfranco, dove parecchi amici furon loro larghi di conforti e di consigli, specialmente alla dolce Erminia, nelle ore dell' angoscia e del dolore.

Arnaldo Fusinato sposò in prime nozze a Venezia nel febbraio del 1849 la contessina Anna Colonna di Castelfranco, dopo aver superati ostacoli gravissimi a causa della disparità di condizione sociale, come chiaramente appare dal seguente brano di una lettera inedita, indirizzata dal F˙ alla contessa Teresa Coletti-Colonna, madre di Anna:

Pregiat.ma Signora Contessa.

Giacchè nel mio soggiorno a Castelfranco non mi fu concesso l' immenso favore di essere a lei presentato, permetta almeno ch' io le esprima in iscritto que' sentimenti, ch' io volea esternarle colla mia voce.

Pur troppo per il passato sinistre, e forse non del tutto ingiuste prevenzioni mi faceano tenere un cattivo posto nel suo animo; ma conoscendo forse coll' andar del tempo la purezza del mio amore, la rettitudine delle mie intenzioni, e in gran parte la falsità di certi difetti, che mi erano attribuiti, ella volle usare della sua innata bontà col guardare con occhio meno severo i nostri fino adesso sfortunati amori. Egli mi parea impossibile che il suo cuore tutto sensibile, tutto amore per la Nanna (Annetta), volesse sì a lungo star chiuso agli impulsi dell' affetto materno.

Oh! quanto io le son grato. Se vorrà poi coronare della sua piena condiscendenza i nostri santi desideri, oh! allora sì che noi saremo felici. lo l' amerò sempre coll' amore di un figlio affettuoso; io sarò tutto sollecitudine, tutto premura per lei; ogni sua piccola brama sarà un comando per me; è il cuore che parla, il cuore che spera trovare in lei quella Madre, che il Cielo mi ha rapita. Oh! io son certo che se potesse conoscermi appieno, cadrebbe affatto quella renitenza, che forse ella sentirà ancora nel concedermi la mano della mia Annetta.

Ma forse verrà momento ch' ella possa meglio indagare i miei sentimenti; ella vedrà che io non sono indegno affatto di quella mano, che il Cielo ha destinato per me.

Egli è vero che la nobiltà dei natali, le relazioni, le ricchezze della sua famiglia segnano un gran limite di divisione fra me e l' adorata……

Non solo la contessa madre, ma anche la zia di Annetta era contraria a questo matrimonio; ed Arnaldo non ignorava questa avversità, tanto vero che avendo saputo della venuta a Padova della zia di Anna, le scrisse la seguente lettera, anch' essa inedita, per chiederle di presentarsi a lei per un abboccamento:

Pregiat.ma Sig˙ra Contessa,

Mi sarei senza dubbio a lei presentato, appena seppi la sua venuta a Padova, se non avessi temuto con tal libertà di meritarmi il suo risentimento. D' altronde il sommo mio desiderio di poterle esternare i miei sentimenti mi eccitava a questo passo.

Nell' incertezza pertanto, in cui mi trovo, ho creduto opportuno di dirigerle questo foglio, onde pregarla di un breve abboccamento.

La stessa parentela, che la lega alla Contessina, il tenero affetto, ch' Ella nutrì sempre per la nipote, le danno il giusto diritto su tutti quegli avvenimenti, che possono interessare il di lei ben essere.

Conscia, com' Ella sarà delle mie rette intenzioni, de' giusti passi, che io mi dovea fare, di quell' amore, che per sì lungo volger di tempo non venne mai meno, spero vorrà discendere un poco da quella contrarietà, che non senza ragione Ella poteva sentire per me, e vorrà concedermi il segnalato favore di potermi a lei presentare, onde meglio conoscere i miei sentimenti.

Se questa visita mi verrà permessa io giudicherò ch' Ella non pensa poi così male di me, come taluno va dicendo; se mi è vietato incolperò la mia sorte di non aver potuto in qualche maniera aggradire a quella Signora, il cui assenso nelle mie circostanze procurerebbe la mia felicità.

Questa sera spedirò per la risposta. Voglia il Cielo che mi sia favorevole. Se Ella mi grazierà del suo permesso, la pregherò d' indicarmi l' ora per lei più opportuna.

Intanto colgo quest' occasione ecc˙ ecc˙

Come sia stata accolta tale lettera si può facilmente argomentare da questa breve letterina, scritta dalla contessina Annetta alla sua amica Elisa Savorgnan:

Mia Elisa,

Interesso la tua amicizia di recar quanto prima le due accluse all' ottimo D˙r Puppati. La dimostrata sua protezione a mio riguardo, m' incoraggisce a sperare ch' egli difenda l' insulto che Arnaldo ricevè da mia Zia, ch' egli persuada il mio tutore della inutilità delle sue cure onde tranquillarla, e farle perdere gli ingiusti suoi pregiudizi. Ricordami doverosa a chi con tanta bontà mi protegge e credimi per sempre

Ore 8 antimeridiane.

la tua leale amica
Nanna (Annetta Colonna)

Queste lettere sono tutte senza data, quindi non è dato conoscere in quale anno sia cominciata l'amorosa relazione tra Arnaldo e Nanna; credo però non prima del 1840.

A Castelfranco Veneto era a quei tempi fiorentissima una Società scientifico - letteraria, detta l' Accademia dei Filoglotti, la quale era stata istituita l' anno 1816. Ne erano stati promotori e fondatori il dott. Francesco Trevisan e Sebastiano Soldati, rettore del patrio Collegio.

Questi s' assunse l' incarico di stendere le leggi, le quali furono approvate dall' Eccelso Imperiale Governo.

Lo scopo della nobile istituzione era di inculcare lo studio del nobilissimo idioma facendone uso così nelle discussioni lettararie come nelle memorie riguardanti i vari rami dell' umano sapere.

I regolamenti prescrivevano delle conferenze mensili, che si chiudevano ogni anno con una solenne Seduta Pubblica, nella quale venivano letti vari componimenti in prosa e in versi su di un tema prestabilito. Ed il giorno destinato a questa solennità era giorno di comune esultanza, vi accorrevano le più spiccate intelligenze delle vicine provincie e il Teatro Accademico risuonava di elettissimi carmi.

Illustri scienziati, come Francesco Trevisan, Jacopo Trevisan, Lorenzo Puppati, il dott. Fappanni, Monsignor Crico e molti altri vi lessero dottissimi lavori.

Luigi Carrer scrisse per l'Accademia il Libano e la Poesia dei Secoli Cristiani; Monsignor Jacopo Monico il Salice piangente; Sua Ecc˙ il Co: Andrea Cittadella Vigodarzere i Viaggi e il Liuto; Domenico Pagello le Terzine sull' Architettura; Giov. Prati la Poesia; Jacopo Cabianca l' Amore; il Capparozzo il Sospiro dell' immortalità; il Dal Mistro il Fior di Zucca.

Anche il giovane Fusinato, le cui poesie, come quelle del Prati, dell'Aleardi, del Gazzoletti e di altri, facevano fortuna e manoscritte correvano dovunque, venne nominato socio dell'Accademia, ed egli nel ringraziare la Presidenza promise di fare il suo primo esperimento nella Seduta Pubblica del 1 Ottobre 1840.

Ecco la lettera, che ho potuto rintracciare tra i manoscritti degli Atti dell' Accademia:

Padova li 2 agosto 1840.

Pregiat.mo Sig˙ Presidente,

Conscio della pochezza dell' ingegno mio, non io mi credeva scelto a far parte di quell' esimia Società di cui tanto alta risuona la fama. Più dunque che ai meriti miei dovrò ascrivere tanto onore alla bontà dell' animo loro che mi vollero del bel numero uno. Povero di forze porrò studio a far sì che il buon volere tenga il luogo dell' ingegno: come felice se nel primo mio esperimento del 1 ottobre potrò a qualche maniera rispondere a quella aspettazione che di me pure aver si potesse.

A lei pertanto, egregio Sig˙ Presidente, i miei più vivi ringraziamenti e a lei il disturbo, se non l' è grave, di significare i sentimenti del grato mio animo all' Accademica Società, che degnossi tenermi in tanto pregio.

Sono con tutta stima e rispetto

Di Lei
Devotissimo Ossequios.mo Servitore
Arnaldo Fusinato

Nella Seduta Pubblica del 1 ottobre 1840 fu trattato il tema “ Le Arti Meccaniche ”..

Il D˙r Jacopo Trevisan lesse una Prefazione; D˙ Agostino Carbas “ L' Agricoltura ” sonetti; il dott. Pietro Beltrame “ Il fonditore di Metalli ” ottave; la poetessa Lucietta Confortini Zambusi “ La Crestaia ” capitolo; Don Jacopo Bernardi “ Il tessitore ” ottave; Giov. Dall' Oglio “ Il Parrucchiere ” capitolo; il dott. Lorenzo Puppati “ Influenza delle Arti ” terzine; Luigi Colledani “ L' Anatomico ” sestine; Jacopo Cortella “ L' Arte di non far nulla ” sestine; ed il Fusinato l' ode seguente:

Qual suono si spande per l' aura tranquilla, Che l' alma m'inonda d' arcana virtù! M'annunzia dall' alta sua torre la squilla Che un'ora discende nel tempo che fu. Qual folla di triste di lieta memoria Il suon di quest' ora mi desta ne! cor! Ogni ora che passa racchiude un' istoria D'ebbrezza, di lutto, di gaudio e dolor. O Genio sublime, che osasti primiero I rapidi passi del Tempo seguir, Poggiar dello spazio per l' ampio sentiero E al moto l'eterne sue leggi rapir. Ah! dimmi qual Cielo, qual terra felice Il primo vagito intese da te! La voce del vero risponde e mi dice: Fu il Cielo d'Italia che vita gli diè. Di chiostro solingo nel santo ritiro Sull' ali levato del vasto pensier, Di picciole ruote nel magico giro Il tempo domato costrinse a giacer.(1) Cassiodoro ritiratosi nella sua vecchiaia in un monastero della Calabria fu il primo al dir della storia che fabbricasse oriuoli a ruota. Nel bacio dell' alta Pietade divina Emise quel Sommo l' estremo respir: Fu allor che quest' arte del Tempo regina Insieme con ello sembrava perir. Chè d' alta ignoranza avvolti nel velo I Vandali all' arti dischiuser l' avel: E a scior di quell'alme il nordico gelo Non valse, o mia Italia, il caldo tuo ciel. Nel sonno sepolto due secoli giacque Il Genio che accenna dell' ore il cammin: Stupor della terra più bello rinacque Nell' opra gigante del gran Patavin.(1) Dopo l'irruzione dei barbari, duecento anni appresso Jacopo Dondi Padovano fabbricò quel famosissimo orologio, meraviglia dell'arte, che fu inualzato nel 1344 sulla torre del Palazzo di Padova, ove tuttora si ammira e che valse al suo autore il soprannome Dall'Orologio. Altere del figlio d' Euganeo le mura La macchina eccelsa intese sonar, Che il volo dell' ore de' giorni misura, Che addita l' alterno degli astri mutar. Io pure nell'ora più tacita e sola Di Dondi il portento traeva a veder, E l' ora che fugge e il tempo che vola Spingeami in un' onda di mille pensier. Oh! come, esclamava, s' incalzano l'ore, E insieme con esse succedonsi i di: Qual tempo che brilla e rapido muore Quaggiuso la vita tramonta così. Pensava la piena di tante sciagure Ch' ogni ora ogn' istante travolve con sè, I trepidi affanni, le pallide cure Che ai miseri umani inceppano il piè. E quindi pingeami la torbida mente L' angoscia convulsa il lento soffrir Di lui, che dannato lo squillo già sente Dell' ora tremenda, che il chiama a morir. Nell' ansie sepolto d' affanno mortale Il proprio delitto compagno sol ha; L'idea sanguinosa dell'ora fatale Qual spettro di pianto dinnanzi gli sta. Le pietre sudanti dell' umida volta, Il lume notturno vicino a languir, Lo sguardo geloso dell'ispida scolta, Qui tutto gli dice: tu devi morir. Ma intanto la freccia sul cupo quadrante Il punto di morte è presso a toccar: Gli accenna il rintocco dell' ultimo istante Che nulla quì in terra gli resta a sperar. Ei cade, nè pianto d' umana pupilla Quel sangue infamato discende a lavar…. Siam tutti infelici, nè solo una stilla Per stranie sciagure ci resta a versar. Che se in questa terra dannata nel pianto Un' ora di gaudio n' è dato goder, È l' ora che il core si schiude soltanto D' un candido amore al santo pensier. È allora che l' alma sul fiore degli anni D' un guardo s' inebbria, d' un solo sospir, Di mille speranze librata sui vanni Non vede che rose nel lieto avvenir. Sovente recide la man del dolore Di tanta letizia il candido vol: Ma breve è quel pianto, chè un' ora d' amore Redimer ben puote mille ore di duol. E se l' acre dente d' invidia discioglia Un nodo che in Cielo stringeva il Signor, Qual pin, che reciso più folto s' infoglia, Non muor, ma rinasce gigante l' amor. Mortale! infelice, se nato alla vita Quest' ora d' amore non suona per te! Ei passa qual rosa che langue appassita, E ad esso la vita più vita non è. lo pur dell' etade nel vergin sorriso Un fiore sognavo sull' aspro cammin…. Disparve quel fior dal nembo reciso, Nè vide la sera di tanto mattin. Ma il pianger che giova? nel mare infinito D' eterne sciagure siam nati a soffrir: È voce di pianto il primo vagito, È voce di duolo l'estremo sospir.

A quest' ode credo voglia alludere il Fusinato nella poesia giocosa “ L' Orologio ”, pubblicata nel giornale milanese Le ore casalinghe, quando dice:

…… e in quel garbuglio infine Di pagine scomposte e impolverate Giunsi a raggranellar queste sestine, Che son dall' Oriuolo intitolate; Scherzuccio giovanil dell' etade prima, Quando il Ruscelli mi fornia la rima.(1) C˙ Cimegotto a pag. 276 op. cit. accenna invece ad un sollazzo giovanile composto nel 1838.

In queste sestine giocose riproduce gran parte delle idee espresse già nell' ode letta all' Accademia, le vicende della mirabile scoperta, fatta dal genio italiano:

Rapir sue leggi all'invariabil moto, Spinger lo sguardo oltre le vie del polo, E dello spazio per l' immenso suolo Seguire il Tempo e misurarne il volo, Tanto ardimento dell' uman concetto Solo in itala mente ebbe ricetto.

Abbiamo già innanzi detto che il giorno in cui aveva luogo la seduta pubblica, nel Teatro Accademico accorreva non solo il fior fiore della cittadinanza, ma anche dei paesi vicini; sicchè è probabile che in questa solenne circostanza la contessina Anna avesse conosciuto personalmente il Fusinato, di cui però conosceva già le ispirate poesie, e fosse cominciata la loro relazione. Ma ben nove anni dovettero passare prima che il loro sogno potesse compiersi e il loro amore venir benedetto fra il rimbombo dei cannoni, durante il glorioso assedio di Venezia del 1849.

Fra gli stessi manoscritti ho trovato due altre poesie: una intitolata “ Guarini ” (L' Amore) e l' altra “ La Provvidenza che si manifesta nella forza d' immaginazione ”, le quali furono lette da Mario Savorgnan, ma il Puppati in due note afferma essere tutte e due del Fusinato.

L' Ode al Guarini doveva essere letta nella Seduta Pubblica dell'Accademia il 24 ottobre 1838, in cui fu trattato il tema: Gli illustri poeti italiani, ma invece, non so per qual ragione, fu letta dal Savorgnan nella seduta mensile del 3 gennaio 1839; la seconda, che porta la firma di A˙ F˙, fu letta dallo stesso Savorgnan nel Seduta Pubblica del 3 ottobre del 1839. In essa fu svolto il tema: La Provvidenza si manifesta nell' ordine fisico e morale dell' Universo.

Che tutte e due queste poesie siano del Fusinato per me non v' ha dubbio alcuno, perchè il Puppati, amico tanto del Fusinato che del Savorgnan e per moltissimi anni Segretario perpetuo dell' Accademia, intorno alla quale ha lasciato numerosi appunti, non era uomo da affermare cosa non vera.

Ma come si spiega che il F˙ nella lettera di ringraziamento alla Presidenza dell' Accademia parla di un primo esperimento da fare il 1 ottobre 1840? La cosa è semplicissima: il F˙ prima di essere nominato socio non poteva, vietandolo i regolamenti, venire ammesso alla lettura di qualche sua composizione poetica, ma poteva rivolgersi a qualche socio che la leggesse in sua vece; ed il Savorgnan, suo intimo amico, si prestò ben volentieri. Del resto anche in molte altre occasioni il Savorgnan lesse come sue delle poesie del Fusinato.

Pubblico le due poesie in questione, sia perchè inedite, sia perchè il lettore possa giudicare da sè:

(1839) L' Amore(1) Battista Guarini scrisse la tragicommedia II Pastor Fido su l' esempio del dramma pastorale l' Aminta del Tasso, la quale fu rappresentata la prima volta a Crema nel 1556.

Tu che in seno nascesti di Dio O del mondo sostegno primiero, Tu che ovunque diffondi l' impero, O potenza sublime d' Amor, Come dolce allo spirto ragioni, Come cara discendi nel cor! Figlio tu dell' eterno pensiero Là nel cielo sortisti la culla, E quel di che le cose dal nulla Trasser vita ad un soffio divin, Del gran Fabbro compagno indiviso Delle sfere segnavi il cammin. È tua voce, che parla sublime Nell' eterna armonia dell' Empiro, De' pianeti nel magico giro, Nell' alterno dei tempi mutar, Nell' Immenso fulgor delle stelle, Nella terra, nel Cielo, nel mar. Ella è sol la potenza d' Amore Che maestra di strani portenti Alla furia confida de' venti, Quella polve che chinde nel sen Il mirifico germe dei frutti, Onde è lieto e superbo il terren. Se gorgheggla festante l' augello È quel canto d' amore la voce, Se talor ruggir s' ode feroce Delle selve il temuto Signor, Non è l' ira che gli arde nel petto, Quel ruggito è ruggito d' Amor. Primavera, dell' alme ristoro, Tu d' Amor sei l' imago più pura: Quanto bella risplende Natura Al sorriso del vergin April! Fino il soffio dell' aura leggera Al sorriso d' Amor è simil. Ma quel foco, che tutto il Creato Di sue fiamme purissime investe, Questo foco sublime celeste Muto solo per l' uomo starà? No che gli arde più pura celeste Quella fiamma, che pari non ha. È l' amore una face divina, Che dovunque diffonde splendore, Come il sol tra i pianeti, l' Amore Degli affetti è l' affetto primiero; È una rosa che spunta ridente Della vita sull' arso sentier. Quando l' uomo nella vergine etade Agli affetti il suo core sprigiona Come dolce nell' alma gli suona La primiera parola d' Amor! Quanta ebbrezza gli spande nel petto Il sospiro primiero del cor! Di due spirti nel mutuo contento Il tripudio dell' alma s' effonde: Ah, se un core ad un cor non risponde, Ah, se tace l' Amore e la Fè, Ogni gioia qui in terra tramonta E la vita più vita non è. Benedetta la cara fanciulla, Che nel primo sorriso degli anni Pel sentier di lunghissimi affanni S' offre all' uomo compagno fedel! Non è cosa mortal quell' amore…… È l' amore degli angeli in ciel! Se la gioia nel volto gli ride Quella gioia in un altro sfavilla, S' egli piange, la mesta pupilla A lui terge una mano gentil. Cosi lieti trascorrono i giorni E nel verno ritorna l' April. E nell' ultima sera una mano A lui chiude lo sguardo vagante, Ed un bacio sul labbro spirante Scende a côrre l' estremo sospir….. Ei non muore, ma dorme tranquillo, E quel sonno va in Cielo a finir. Oh! Mirtillo(1) Mirtillo ed Amarilli, pastori dell' Areadia, sono i protagonisti del Paster Fido. alle tenere note Segno illustre del magno Guarino, Oh chiarissimo esempio divino D' una fede, che mai non mancò, Dimmi tu s'era santa la fiamma Che Armarilli nel sen ti destò! Or sepoito in suo triste pensiero Cova il foco, che gli arde nel petto, Alla selva or confida soletto Quell' affanno, ch' è figlio d'Amor: E la selva pietosa risponde Al lamento del fido Pastor. Ora labbro d' inganni soavi Delle Vergin tra il coro danzante Sotto spoglie mentite l' amante Vola il bacio negato a rapir….. « Caro bacio, sul labbro ti sento « Care pene, beato soffrir! « Cessa ah cessa da vane lusinghe « O Corisca, spergiura sirena,(2)Corisca, innamorata di Mirtillo e gelosa perciò di Amarilli, fece cogliere insleme in una spelonca i due giovani. In obbedienza a una severa legge, imposta da Diana, Amarilli, che aveva rotta la fede promessa, doveva essere sacrificata, ma Mirtillo si presentò al tempio per subire la pena inflitta alla giovinetta. Riconosciuta la sua stirpe divina, è salvato e può sposare Amarilli. « Degli affetti la candida piena « Sacra è a lei, che nel core mi sta. « Amarilli, il tuo nome soltanto « Scritto eterno nel seno mi sta. » E già all' ara, ch' ergeva funesta In Arcadia d' un Nume il furore, Per la cara l' eletto Pastore Vola a metter l' estremo respir….. È pur dolce per causa si bella Per l' Amata è pur bello il morir! Ma già splende quel giorno felice Lieto nunzio di tanti contenti; Già del Cielo tra i fausti portenti Riede al tempio il Pastore fedel: Già l' attende la cara mercede; Tanta fede era scritta nel Ciel. Ecco vola la coppia beata Pel sentier di ore lunghe e serene; Ed eterna in quei cori mantiene La possente d' Amore virtù, La speranza d' un gaudio futuro, La memoria d' un gaudio che fu.

(1839)

Se sollevo l' attonito sguardo Quando il sole sua luce sprigiona, Odo un grido, che intorno risuona: Quanta è bella la pompa del Ciel! Quanto è bello il fulgor delle stelle Quando notte distende il suo vel! Come bella la terra, se infiora I suoi colli di messi pompose O de' monti le cime nevose Colle nubi sospinge a cozzar; Quanto è bello se increspa i suoi flutti O in tempesta accavallasi il mar! Ma più acuta dell' occhio che ammira Nei suoi vasti portenti Natura, D' un sol guardo il presente misura Del pensier la possente virtù, E si spinge nel fosco futuro E ritorna nel tempo che fu. Provvidenza di Dio ti ravviso In quest' opra d' ogni opra più bella; Ah, non puote l'umana favella I tuoi vasti portenti segnar: Quanta parte del senno divino Non racchiude l' umano pensar! Mira l' uomo: di cure e d' affanni Fosca nebbia a lui intorno s' aduna, Ei non sa nel mutar di fortuna Se il doman triste o lieto sarà, Egli geme qual belva aggiogata Sotto il pondo che sopra gli sta. Ma dov' è quella fiaccola eterna Che rischiara la torbida mente? Ma dov' è quella fiaccola ardente Che sorregga l' incerto suo piè? Quella forza dell' alma suprema Che dal fango il sollevi, dov' è? Sei tu santa virtù del pensiero, Che conforti il mortal, che addolora? E tua man che di gaudio gl' infiora Della vita il difficil cammin. È tua man che pietosa gli pone La ghirlanda di rose sul crin. Tu pietosa al dolente prepari Lunga fila di candidi giorni, Tu possente il sollevi e il ritorni Alla gioia dei dì, che fuggîr: Della speme sull' ali lo porti Al tripudio d' un lieto avvenir. Infelice! nell' ora del pianto, Che dagli occhi le guance gl' inonda, Cerca un cor, che al suo core risponda, E qui in terra trovarlo non sa. Tu gli pingi quell' Ente celeste Che il suo duolo divider potrà. Tu gli pingi la cara fanciulla Che sognò sul mattin della vita; Si ravviva la speme fuggita Or che trova un conforto al dolor. Non di duol, ma di gioia è quel pianto, Se lo terge la man dell' amor. E se un giorno la cieca fortuna A lui volse l' instabile tergo. Tu gli cingi di bronzo un usbergo E lo scorti gli oltraggi a sfidar, E nel grembo di mille perigli Fai sua gloria più bella brillar. Ma nel di che di stenti e di cure A lui grave vecchiaia procede Chi gli regge il tremante suo piede Chi gli medica il gel dell' età? Infelice! ei non trova qui in terra Che il soccorso di compra pietà. Sei tu allor che nell' orrida piena, Che di stenti l' opprime e d' affanni La memoria dei primi verd' anni Il suo duolo gli mandi a lenir, Come stilla di pioggia, che scende Sulla rosa ch' è presso a morir. Ma quell' alto poter che agli umani Di letizia incorona la vita, Non sostiene quest' alma avvilita Che ha bevuto alla tazza del duol. Che fra mille giornate di pianto Un sol raggio non vide di sol. Sciagurato ! l' avverso destino Consacrava i miei giorni agli affanni, Tradimenti, sventure, ed inganni Sol compagni mi furono il dì Che dal fondo dell' umile culla Il mio primo vagito s' udì. Coll' ardor della vergine etade Col desio d' una gloria perenne Io spiegavo le giovani penne E tentavo securo il mio vol. Ma l' invidia tarpavami i vanni Ed abbietto lanciavami al suol. Fu un momento che un raggio di speme Rischiarava il mio eterno dolore, Che traeva lietissimo l' ore Una vita sognando d' amor. Infelice ! quel sogno ridente Era il sogno dell' egro che muor. S' adoravan due vergini cuori Col furor d' un santissimo affetto, Ma di vili il codardo sospetto Il suo freddo pugnale lanciò; Un amore cosi puro e gentile Era insulto a chi mai non amò Sventurato ! io tentava un conforto Tra le braccia d' amico amoroso, Io cercava tranquillo un riposo, Sotto l' ombra del patrio mio ciel, Mi cacciava la patria in esiglio, Mi tradiva l' amico infedel. Derelitto da tutti reietto Della vita per l' aspro cammino Lenti lenti i miei giorni trascino Senza Ciel, senza patria ed amor. Il futuro non è che tenebra; Il passato non è che dolor. Ma tradito per sempre dannato Senza un' ora di gioia serena Degli affanni la torbida piena Dunque inulto soffrire dovrò? O piuttosto una vita di pianto Ad un ferro a un velen fiderò? O Pensier, altra via tu mi segni Chè tra l' ombra il futuro traluce, E più bella sfavilla una luce Sulla nebbia dei pochi miei dì. Forse è spenta l' orribil cometa, Forse I' ora del pianto finì?

A tutti è noto che in occasione della morte di Tommaso Grossi, avvenuta il 10 gennaio 1853, Erminia Fuà, vaga giovanetta di Rovigo, la quale insieme coll' amore della poesia, dai versi patriottici del Prati, dell' Aleardi, del Cabianca, del Gazzoletti, del Dall' Ongaro, avea succhiato l' avversione invincibile allo straniero, ne pianse la morte con una dolcissima poesia. Il Fusinato, a cui il 15 febbraio era morta a Schio la sua Anna di male sottile, i cui germi, come afferma il Cimegotto, assai probabilmente per i disagi e le ansie terribili dell' assedio, portò via da Venezia, non disdegnò di confondere le sue armonie con quelle di Erminia. E questa che già era innamorata dei versi di lui, desiderò ardentemente di conoscerlo ed il suo voto fu ben presto appagato.

Ed Arnaldo, dice il Viani nel suo citato discorso, non appena ebbe l' occasione di vedere, di conoscere quella soave creatura, attratto dall' ammirazione dei primi saggi poetici di lei, accintosi di buon grado ad educarne e affinarne l' ingegno nel magistero dell' arte, vinto dall' ingenuità dei modi, dalla vereconda modestia, dal forte affetto che ella mostrava di sentire per lui, acceso di quel vivo amore che sa vincere gli ostacoli che paiono insuperabili, fece sua l' amabile Erminia e tosto la condusse a Castelfranco fra le braccia della prima suocera, la quale fin dal primo istante, affascinata dalla ineffabile dolcezza che traspariva dal volto di quell' anima bella, prese tosto ad amarla e a tenerla in luogo della figlia perduta.

Erminia rese più lieti gli ultimi giorni della venerabile contessa, della quale nel 1863 cosi cantava in una commovente ed affettuosa poesia, in strofe saffiche:(1) Versi di E˙ F˙ Fusinato a pag. 18 - A Carrara - Milano 1879.

Nessun nodo di sangue a lei mi unìa, Ma un dover sacro, un reverente affetto: Il fido angel custode Ella apparìa Del nostro tetto.

Di essa conservò gelosamente due reliquie, che intendeva di legare alla sua diletta Teresita:

Due relique dal di che ascese al cielo Care mi son sovra ogni cosa cara, L' anello suo di fidanzata e il velo Che cinse all' ara Alla mia figlia che il suo nome porta, Legherò quest' anello e questo velo, Perchè siano a lei promessa e scorta Dal mondo al cielo.

In Castelfranco visse Erminia giorni felici, unita al suo Arnaldo in una soave corrispondenza di affetti, nella comunanza dei dolci arcani della musa e nelle prime dolcissime cure di due leggiadri bambini. Ma le cure della famiglia non solo non intiepedirono, ma rafforzarono sempre più l' amore di lei per la sua sventurata patria, che vedeva calpestata e derisa dal barbaro austriaco e per la quale vedeva tanti nobili e generosi affrontare la carcere e il patibolo.

Conoscendo ella il cuore del suo Arnaldo e il caldo sentire, lo secondava nella sua opera di cospiratore, non senza temere continuamente per la libertà di lui e per l' avvenire dei suoi teneri bambini.

E l' ora dell' angoscia non tardò a venire. La polizia austriaca teneva sempre d' occhio il poeta e già stava per mettergli le mani addosso, sennonchè Arnaldo, segretamente avvertito del pericolo, per ben due notti e due giorni, nel 1864, dovette starsene nascosto nella cantina di una casa in Borgo Treviso, come mi ha affermato persona degna di fede, e poi coll' aiuto di persone amiche riusci a mettersi al sicuro, emigrando dal Veneto e riparando a Firenze.

Quale dolore provasse la soave Erminia in tale circostanza ognuno può ben immaginare. Non ostante le cure affettuose degli amici e i caldi ricordi che destavano nel suo animo la casetta e Castelfranco, pochi mesi dopo volle ella raggiungere il suo Arnaldo nella gentile città dei fiori.

Chi può leggere il saluto che rivolse a Castelfranco, il 4 novembre del 1864, alla vigilia della sua partenza, senza sentirsi profondamente commosso?

Addio, terra ospital, che m' accogliesti Nova sposa, che in pianto ora abbandono: Addio, casa diletta, ove di questi Angioletti d' Amor Dio mi fè dono. Quai speranze, quai sogni or lieti or mesti Quali eventi per me sculti qui sono! O mia casa, non dir quanto vedesti, Nè di quai voci ti percosse il suono. Perocchè allor dalle tue fondamenta Rovesciarti potria la tedesca ira, Nè ancor quell' ira t' apparrebbe spenta. Taci, ma ne' tuoi ospiti inspira L' ansia di libertà che mi tormenta, E nell' esiglio — oh breve sia ! — mi tira.

Chi poi può trattenere le lagrime nel leggere la commoventissima lettera che scrisse il 9 novembre da Rovigo ad Arnaldo, e nella quale parla delle prove d' interessamento e di affetto che ebbe a Castelfranco nel momento della partenza?

« Se tu sapessi, Arnaldo mio, quanto furono mesti per me i giorni passati ! A Castelfranco ebbi dai nostri più intimi tante prove d' interessamento e di affetto, che al momento di partire, vedendo la carrozza circondata da tante persone piangenti, ricordava tutto ciò che si passò per noi in quella cara e modesta casetta, dalla prima sera in cui ci entrai sposa e la nostra buona vecchietta sorridendo mi accolse, e quasi orgogliosa della sorpresa serbatami, mi offeriva le sue gioie nuziali. Oh Arnaldo ! sotto il peso di tali care e meste memorie, udendo gli addii di quei che avevo d' intorno, il mio cuore si struggeva in pianto, ed i tuoi figli piangevano meco. E poi, Arnaldo, quando passai davanti al cimitero e intravidi la lapide di quella santa creatura che ci fu madre, oh ! tu solo puoi comprendere quello che allora provai e le lagrime che tacendo ho versate. »

Tra i molti e devoti amici di Castelfranco occupò il primo posto nella memoria di Erminia il dott. Lorenzo Puppati, scrittore eruditissimo e poeta di non comune ingegno.

Nacque egli in Castelfranco il 12 novembre 1791 e dopo aver studiato matematica a Padova e poi diritto a Pavia, studio che terminò a Padova nel 1814, dovette ben presto ritornare in famiglia per la malattia del padre.

Quivi pur attendendo alle numerose faccende domestiche e ai pubblici affari, continuò negli amatissimi studi, applicandosi di proposito alla filosofia. Ben tosto si fece conoscere colla pubblicazione di pregevoli lavori.

Nel 1815 pubblicò un canto sulle Passioni, che considera come la sorgente dello sviluppo fisico, morale e intellettuale dell' uomo; nel 1853 il Poema della Vita e della Morte in sei canti; nel 1849 Ricerche sulla origine ed ufficio delle Arti, in cui afferma che le arti liberali avendo tratto la loro origine dai bisogni del cuore e dello spirito, non hanno raggiunto la loro perfezione se non quando si sono proposte di esaltare lo spirito, di sviluppare e dirigere gli affetti, di correggere ed addolcire i costumi.

Nel 1862-1863 pubblicò in due volumi una collezione di Inni a Dio di tutti i tempi e delle principali nazioni antiche e moderne. Nelle brevi disertazioni che precedono gl' inni ci offre un quadro della letteratura e dello sviluppo intellettuale in generale di dodici nazioni antiche e di venti nazioni moderne. Tanto gli originali in diverse lingue quanto le traduzioni sono stati scelti con critica giudiziosa: le traduzioni che ha fatto lui stesso sono state giudicate degne di figurare tra le migliori.

Quando venne alla luce il primo volume degli Inni a Dio, la Fuà Fusinato così scriveva alla Redazione del Giornale La donna e la famiglia il 16 luglio 1863:

« Ci gode l' animo nel poter venirvi innanzi con un eletto fiore or ora sbocciato in questo nostro diletto paese.

Ahimè ! corre da gran tempo per noi una sì rigida e fosca stagione che, non che altri, ne rimangono per fino intorpiditi gl' ingegni, nè osiamo quasi prestar fede ai nostri occhi se in mezzo a tale e tanto squallore vediamo di tratto in tratto uscire un qualche degno saggio di opera e splendida vita intellettuale.

Questo senso di maraviglia lieta tanto e spontanea che il solo apparire del suo libro ne suscita nell' anima, sia la prima manifestazione di ringraziamento e di lode che noi, a nome pure dei nostri concittadini, amiamo offerire all' Autore D˙1 Puppati….

Da vari anni il Puppati faceva il proponimento di compiere la bella collezione che oggi ne porge. Che se le pubbliche e private vicende e le lunghe e minuziose indagini fatte affinchè l' opera non avesse a presentare imperfezioni e lacune, e la fatica durata negli ardui studi ne facevano ritardare, contro sua volontà, la desiderata pubblicazione, ora il lavoro è nella sua prima parte compiuto, la copiosa ed eletta messe raccolta compensa ad usura gli amici dell' autore del ritardo patito.

La rara erudizione del Puppati si nelle istorie che in moltissime lingue, venne in tale occasione nel miglior modo esercitata. E in ciascuna delle traduzioni ch' egli ne offre, ma particolarmente in quella d' Ermete Trimegisto, nell' altra del Gayastri e nelle varie ottave che noi quasi oseremmo dire ariostesche, ben riconosciamo l' esperto poeta che con tanta altezza di sentimento e di concetto, e con si mirabile maestria di stile e di ritmo, seppe trattare l' arduo poema della Vita e della Morte. E degna d' ugual lode che il verso ci sembra pur anco la prosa sì del discorso preliminare che delle illustrazioni varie di cui questo libro va adorno.

Dopo aver così reso giustizia al buon gusto del nostro autore, ci sembra del tutto superfluo il soggiungere che anche quale compilatore egii seppe compiere perfettamente il non agevole officio.

Le traduzioni che prescelse sono per lo più lavori di nomi troppo conosciuti perchè abbiamo d' uopo che noi ardiamo loro davanti il nostro piccolo granello d' incenso …..

Resistiamo al desiderio di riprodurvi qualcuna di queste preziose versioni nella lusinga che sì pel loro merito che per l' indole stessa del nostro giornale, abbiate in breve a farne gustare parecchie….. Cosi vedrete da voi come una tale opera, che per quanto a noi consta è unica nel suo genere, offra largo pascolo si al filosofo che al sacerdote, tanto allo storico che al poeta. Esso non rimpiccolisce menomamente l' idea di quell' Ente supremo cui son volte le aspirazioni e le preci dell' universo. Qui in ogni pagina, in ogni parola noi troviamo l' uomo il quale compreso della propria dignità e potenza sopra ogni cosa creata, pur si riconosce un nulla di fronte a Colui cui tutto deve, e a significare questo sentimento che gli è fonte non già di uno sterile scontorto, ma di una divota ammirazione, egli domanda a quanto vi ha di bello, di grande, di vero sulla terra e nel cielo un' immagine, un' espressione che non sia impari all' inno in cui vuole esaltare il suo Creatore.

E perchè crediamo aver compreso come il Puppati si prefiggesse con quest' opera il doppio scopo di togliere la gioventù sì dal fatale sentiero dello scetticismo, come da quello non meno temibile, d' un gretto bigottismo e d' una degradante superstizione per ricondurla a questa splendida e sublime religione d' un Dio di misericordia e d' amore; noi ci siamo trovati paghi della sua pubblicazione, e invochiamo di poterne in breve ammirare la seconda parte che per la sua attualità potrà forse tornarci più ancora interessante e gradita. Nè stia a credere il Puppati che la stima verace e la rispettosa amicizia che professiamo all' onesto cittadino, al tenero padre, al benevolo amico, ne faccia velo al giudizio così da infrenarci sul labbro quella qualsiasi parola di biasimo che da qualche punto del suo lungo lavoro ci potesse venire suggerita. Oh no ! noi ci vantiamo di una scrupolosa imparzialità di opinioni da imporci anzi da noi stessi l' obbligo di usare tanto più severamente d' una piena sincerità quanto più ne son cari i legami che ci stringono a quelli contro cui la dobbiamo esercitare. E vogliamo pure aggiungere che appunto perchè il conosciamo intimamente non possiamo ignorare come il Puppati ben lungi dall' offendersene, farebbe anzi tesoro d' ogni severa, purchè assennata e sapiente parola di critica. Ma questa potrà forse venirgli da chi meglio di noi istruito in quei difficili studi potrà porgergli anche per la medesima ragione una più autorevole e valida lode. In quanto a noi amiamo confessare apertamente che ci troviamo, almeno per questa volta, quasi lieti di non possedere quella cavillosa erudizione la quale non sempre consente giudicare di un' opera più che con lo specillo calcolatore del critico con l' espansivo discernimento del cuore, e ci sgrava cosi dal sacro, ma pur penoso dovere di gettare la benchè menoma parola di biasimo su ciò che nel nostro modesto, ma pur franco criterio sentiamo di potere liberamente e caldamente encomiare. »

Il Puppati fu per moltissimi anni Segretario dell' Accademia dei Filoglotti, allo sviluppo e progresso della quale mise in opera il suo ingegno e tutte le sue cure.

Egli, dice l' Abate Viani, oltrecchè presentarsi colla lettura di robusti carmi e severi ragionamenti, era assiduo nello stendere i rapporti delle conferenze mensili, nel compilare ogni anno una minuta relazione di tutte le letture fatte, corredandola di sani e ben ponderati giudizi critici, sempre attento che l' istituzione non avesse a deviare punto dal fine che s' era proposto d' istruire col mezzo del diletto, nè riuscire un trastullo di vanitosi pedanti, nè un vuoto titillamento delle orecchie, il che avvenne di tante accademie.(1) Prof. Ab. Luigi Vian Della vita e degli scritti di Lorenzo Puppati. Discorso 1886.

Tale era l' uomo che innamorato delle alte doti di mente e di cuore di Erminia Fuà, le fu largo non solamente di conforto e di consigli nei momenti del dolore, ma la esortò sempre allo studio e all' amore della poesia.

In ricambio la poetessa non dimenticò mai il suo illustre Compare, a cui scrisse parecchie lettere, che sono una solenne testimonianza dei sentimenti squisiti della sua anima eletta. In lei, dice il Viani, non venne mai meno l' affetto per la sua Castelfranco, che anzi appena le fervide speranze divennero benedetta realtà, da Firenze dove si avea guadagnato colla sua bontà, col suo ingegno l' amicizia e l' ammirazione di uomini insigni, veniva nelle sue gite autunali a porgere un saluto all' amata cittadella.

Queste poche lettere di Erminia, che ho avuto la fortuna di rintracciare tra la corrispondenza del D˙1 Puppati, ci fanno ancor meglio comprendere la dolce memoria che l' eletta creatura serbò per coloro che la confortarono nei momenti del dolore, e in modo speciale per colui che fu buon seguace della scuola di Dante, e i cui versi, al dir del Bianchetti, avevano molto nerbo e contenevano molto di poesia.

La luttuosa circostanza che ci ha tutti gittati nel dolore, scuserà ai suoi occhi il mio scortese silenzio. Sono riconoscente alla benevolenza, che mi dimostra e che io le ricambio con stima ed amicizia verace. Lo stato di profondo scoramento in cui si trova ora la mia mamma, mi consiglia a rimanere qualche tempo presso di lei, sebbene m' addolori il non poter cosi avermi vicina anche la mia bambinella. Ma ella sta bene e la mamma soffre, per cui non posso esitare fra queste due voci che parlano diversamente al mio cuore, tanto più che questa mia assenza non sarà poi lunghissima. M' incresce anche il dovere così privarmi di più della compagnia di buoni amici di Castelfranco, fra i quali Ella ben sa di tenere, in uno alla mia ottima Comare, un posto distinto. Prego intanto il cielo che doni a loro salute e tranquillità, beni questi tanto necessari alla nostra povera vita. Prima che si compisse la sventura che ora deploriamo, stavo ultimando le varianti necessarie alla traduzione della Festa di Primavera(1) Questa bellissima traduzione da Federico Amedeo Klopstock è pubblicata nel 2. volume, (Parte moderna) a pag. 117, degli INNI a DIO del Puppati - Castelfranco, Stab. Tipo - Litogr. Longo 1863., ora però ho dovuto sospendere tutto, ma in breve la riprenderò e gliela invierò tutta compiuta.

Ho ancora una confusione di idee, un serramento di cuore che m' impediscono ogni occupazione mentale. Scusi il modo in cui è scritta la presente, perchè scrivo presso la mamma che pel suo mal d' occhi è obbligata a rimanere quasi all' oscuro.

Mi baci caramente la Sig˙ra Tonina, mi saluti gli amici che mai potessero richiederle di me, e, con quelli della mia famiglia, riceva i sensi di devota amicizia che le nutre

la sua amica e comare
Erminia Fuà Fusinato

Padova li 20 - 4 - 1863.

Le sono riconoscentissima della visita ch' ebbe la compiacenza di fare alla mia bambina e della relazione che ha voluto darmene.

Sono lieta di quanto me ne dice, e ringrazio si Lei che la mia buona Comare della cordiale premura che mi dimostrano.

Noi stiamo bene, ma siamo addolorati oltre per le altre nostre dispiacenze e sventure, anche per la morte di Teobaldo Ciconi, cui stringeva grande stima ed amicizia verace. Era una bella mente ed un ottimo cuore che la patria dovrà a lungo ricordare e rimpiangere.

Benchè occupata tanto e preoccupata, pure ho ultimata la traduzione dal tedesco, ed ora non mi resta che trascrivere o far trascrivere i versi; per cui conti pure di averli entro due o tre giorni.

Continui ad occuparsi dei suoi studi che oltre al procurarlo a se stesso, procurerà pure un piacere vivissimo ai suoi ammiratori ed amici. Riceva mille saluti d' Arnaldo, da Gino e da tutti i miei. Mi baci affettuosamente sua moglie e ricordi talvolta

La sua dev.ma e riconosc.ma
ERMINIA FUÀ FUSINATO

Padova li 2 - 5 - 63.

Le sono proprio riconoscente dell' affettuosa premura che si compiace manifestarmi con si lusinghiere parole.

La nostra salute ora è buona, ma per lo passato ebbi i piccoli un poco disturbati, ed ora ho la donna di servizio a letto per sofferenze ad un piede. Credo che il suo male sia sul declinare, però può immaginare facilmente quanto mi dissesti l' avere ammalata l' unica servente essendo fuori di casa e coi bambini. Perciò mi scuserà se le scrivo poco e in fretta non avendo per tale motivo un momento di mio.

Di mio cognato(1) Clemente, fratello di Arnal do, patriota ardente, cospiratore e soldato, fu arrestato la prima volta nel dicembre 62 e stette nel forte di San Giorgio sino al marzo 64. nulla le posso dire di nuovo, poichè la sentenza si aspetta da Vienna. Lo visitiamo di sovente e lo abbiamo trovato almeno in buona salute.

Venezia è tristissima per ogni ragione, e quest' anno, oltre al resto le manca il solito concorso di bagnanti, che ora prescelgono, e non a torto, più lieti soggiorni.

Andando a vedere la mia cara piccola e dandomi relazione dello stato in cui si trova, Ella mi fece un vero e prezioso regalo che io le ricambio ringraziandola di cuore. Non posso dirle di preciso quando ritorneremo, però credo non sarà che sul finire d' Agosto, essendo che il cognato desidera averci vicini fino alla decisione definitiva del processo.

Mi ricordi all' ottima mia comare, prosegua in quegli studi che tanto abbelliscono la sua vita ed illustrano il suo nome, e con quelli di Arnaldo riceva i miei saluti e mile proteste di stima e di amieizia dalla sua

umilissima e devotissima
Erminia Fuà Fusinato

Venezi a, li 23 Agosto 63

Firenze li 13 Marzo 65

Quante volte pensai di Lei e della mia buona Comadre, e dissi fra me e me di volere scrivere a loro! Ma le occupazioni famigliari e sociali e qualcheduna di letteraria, mi rubarono tanto tempo che ora conosco di aver mancato a molti doveri, ed a Lei chiedo perdono del troppo lungo silenzio. Spero però che se non mie lettere avrà almeno ricevuti i saluti che col mezzo di amici comuni le inviai e più volte, e avrà per tal modo veduto come io anche tacendo le serbassi un posto costante nella mia memoria.

Grazie intanto a Lei che in luogo di rimproveri m' inviò una lettera tanto cortese ch' io tengo quasi prova novella della sua benevolenza. Molto mi confortò l' udire come toltane una non grave infreddatura, tanto Lei come la moglie sua godano buona salute.

La mia famiglia (in cui oggi mi è dato comprendere pure il Cognato, qui da tre giorni) sta pure benissimo. Io soffersi varie settimane per tosse ostinata….. ora me ne trovo meglio - ma non la vinsi del tutto - nel generale però anch' io mi contento.

Firenze è una bella e cara città, e quando non tira vento e non piove (il che però non è sempre !) quì si gode di perpetua primavera.

Quest' anno l' inverno fu noioso appunto per piogge e venti, per freddo acuto non mai.

Quì abbiamo molte relazioni - la maggior parte dei nostri amici l' abbiamo scelta fra i Veneti, poichè n' è caro il parlare di sovente il simpatico nostro dialetto, e intrattenerci fra noi delle cose nostre - Anche dei toscani però conobbi molti uomini e figure distinte, ma nessuna cosa al mondo può compensarci della lontananza dei cari e vecchi amici, dei paesi nostri nativi.

Nell' autunno confido di poter con tutti i miei recarmi a passare un mese almeno a Godego, ed in tale circostanza avrò il bene di vedere di sovente anche loro.

Qui si parla molto delle feste da darsi pel centenario di Dante. Ci sarà fra le altre un' accademia letteraria per la quale questo R˙ Gonfaloniere volle farmi l' onore d' invitarmi a scrivere qualche cosa. Non so se avrò il coraggio di accettare poichè temo il peso non sia superiore alle mie povere forze.(1) Scrisse la poesia Gemma Donati. moglie di Dante, nel nome della quale alza un' ara alla modestia, che è il fiore più bello per una sposa e per una madre, e Pel Centenario di Dante, in cui si fa eco del grido do' oroso di Venezia, che giace ancora oppressa nei ceppi.

Due sere or sono diedero una bella rappresentazione di quadri plastici a beneficio di valente artista toscano. Molti signori e signore italiane e straniere cantarono negli intermezzi, e illustri poeti illustrarono i quadri viventi, composti da distinti artisti. I poeti erano Dall' Ongaro, la Milli, e per poco non ci fu l' Aleardi, che una indisposizione in quella sera obbligò a letto. Arnaldo ed io fummo pregati a leggere alcuna cosa nostra, ed abbiamo perciò scritto due poesie alle quali il pubblico si mostrò benevolo assai.(1) Arnaldo illustrò con una satira politica il quadro plastico rappresentante il Goldoni, che, circondato dalle maschere del teatro italiano lascia l' Italia e la sua Venezia e s' imbarca per la Francia: Erminia L' Armonia delle Arti, quadro finale, in cui si epilogava il concetto dei quadri precedenti.

In altra occasione mi farò un pregio d' inviargliele.

Spero che Ella pure si ricorderà della musa a cui deve riconoscenza ed amore, e confido di vedere fra qualche tempo suoi nuovi scritti in prosa od in verso, certa che anche a questi nuovi scritti la critica sarà giustamente favorevole.

Mio marito riverisce Lei e la sua buona Antonietta alla quale io ed i miei figli mandiamo molti baci cordiali.

Anche mio cognato vuole essere rammentato e tutti la preghiamo di riverirci il Signor Matteo e gli amici comuni.

Si ricordi di me che le sarò sempre

aff.ma serva ed amica
Erminia Fuà - Fusinato

Firenze li 6 Agosto 67

Si abbia i miei più sentiti ringraziamenti per la cortese letterina che si compiacque indirizzarmi e che mi fu nuova e cara prova della memore amicizia ch' Ella mi serba.

Le lodi di una persona quale Ella è, lusingherebbero profondamente il mio amor proprio, ove non mi pungesse il timore che la benevolenza di cui mi onora non faccia velo al suo giudizio.

Ad ogni modo le sue parole mi saranno eccitamento a tentare qualche cosa di più degno, e quando tornerò a Castelfranco (il che spero sarà nel p˙ v˙ autunno) la pregherò di porgere orecchio a qualche altro mio verso, desiderando di far tesoro di tutte quelle osservazioni che trovasse opportuno di farmi.

In quella occasione spero che Ella pure vorrà leggermi qualche sua nuova composizione poetica, poiche ben sa in quanto pregio io mi tenga il suo ingegno e il suo sapere.

La mia famiglia gode ora d'una piena salute e tutti ricambiamo a lei ed alla sua i lieti auguri che si compiacque offrirne. Desidero che la mia ottima Comare si ricordi qualche volta di me, così come io ricordo con riconoscenza le molte cordialità che m' ebbi sempre da Lei˙

Voglia riverirmi i Ruzza, che imagino vedrà di sovente, e così pure gli altri amici nostri comuni.

Arnaldo si unisce a me per farle mille proteste di considerazione e d' amicizia.

Sua umilissima e devotissima
E˙ F˙ Fusinato

Roma li 7 - 2 - 72

Grazie della lettera piena di affetto, e della fotografia somigli antissima. Sapermi ricordata, benvoluta da loro, mi è conforto dolcissimo, e l' assicuro che in me, nè il tempo nè la lontananza, valgono a cancellare la memoria degli ottimi amici lontani.

Occupazioni e preoccupazioni incessanti mi tolgono di scrivere, ma il pensiero e l' affetto suppliscono alla parola !

La mia salute ora è buona, e son lieta di poter soddisfare agli obblighi del mio ufficio(1) II 26 ottobre 1871 obbe la cattedra di lettere italiane nella scuola normale di Roma collo stipendio di L˙ 2200: ma alla fine del 1873 diede le sue dimissioni — II 25 luglio però con pienezza di voti segreti lu nominata direttice della Scuola Superiore femminile di Roma. che resse fino alla sua morte avvenuta il 1876. cosi d' avere l'affetto delle allieve e la stima dei superiori. Quasi non osavo sperario ! A Roma ci starei volentieri, ove ci fossero almeno i miei più cari….., ma questa separazione non sarà lunga, e ciò infonde coraggio.

Nel prossimo estate avrò il piacere di rivedere anche Lei˙ Mi baci intanto la mia buona Comare, mi ricordi agli amici e mi creda

la sua obbligat.ma
Erminia Fuà Fusinato

Venezia 27 Agosto 73

Grazie di cuore, mio egregio signor compare ed amico, del bel dono e delle parole con le quali le piacque accompagnarmelo, parole che ben vorrei meritare!

Gravi, incessanti occupazioni di famiglia ed una lettura che feci oggi a questo Ateneo, non mi consentitono di scriverle prima. Ma, me lo creda, il silenzio non significa obblio. Mi ricordi, mi serbi il suo affetto, e sia persuaso che lo tengo ben caro!

Un bacio alla sua buona consorte a nome anche della mia bambina, mille saluti di Arnaldo e dei miei giovanotti, e a Lei le proteste di stima, di riconoscenza e di reverente affezione della sua

Erminia F˙ F˙

Padova li 20 Luglio 1874

La ringrazio dal cuore e La prego di essere interprete della mia riconoscenza verso l' Accademia da Lei presieduta con tanto onore, per la cortesia che volle farmi nominandomi sua socia ordinaria.(1) Con lettera, in data del 17 Luglio 1874, il Puppati le mandava il Diploma di Aggregazione alla Accademia Scientifico - Letteraria dei Filoglotti la quale aveva tentato di risorgere, ma per poco tempo. Mi auguro di poter meritare tanta benevolenza e grandemente mi conforto vedendo che il tempo e la lontananza non mi fanno dimenticare dai miei dilletti concittadini ed amici.

Io pure, mio egregio Signore e Compare, La ricordo ben di sovente, ma le molte cure e tante altre ragioni dalla mia volontà indipendenti, non mi assentono spesso di scrivere a coloro che pur amo e stimo sugli altri per le doti della mente e del cuore.

Non ho perduto la ricordanza delle molte cordialità usatemi in sua casa dalla sua consorte e da Lei e ripeto spesso a mia figlia che mi duole le vicende della vita mi vietino di farle conoscere il suo buono e bravo padrino. Noi passeremo l' Agosto a Venezia, e se per fortuna Ella avesse a recarsi in questo tempo, voglia rammentare che abiteremo a Casa Tonoli fondamenta dell' Osmarin. Sarei ben lieta di rivederla dopo tanti anni!

Lessi alcune belle e saggie sue pagine sul Progresso Educativo ed altre spero di leggerne ancora. Ella cosi come ebbe da giovane il senno e la dottrina degli anni maturi, serba in questi la operosità e il sentimento della giovinezza, del che io mi rallegro con compiacimento profondo e per Lei e per il paese a noi caro…..

Mi ricordi affettuosamente alla sua buona Signora anche a nome della mia famiglia, ed Ella si abbia anche una volta i miei ringraziamenti con la conferma della mia reverente affezione e sincerissima stima.

Sua obblig.ma
Erminia Fuà - Fusinato

Non credo dispaccia al lettore il conoscere anche due poesie inedite di Erminia Fuà Fusinato, trovate tra gli stessi manoscritti.

Una di esse fu scritta in occasione delle nozze Volpi-Ballini (1861) ed è dedicata alla sposa, che cerca di confortare, perchè il caro fratello, che vive lontano dalla sua patria, in esilio, non allieta il giorno più bello della vita di lei. Anche questa poesia, come del resto tutte le altre della Fusinato, erompendo spontanea dal cuore, trova un' eco negli animi ben fatti ed esercita un fascino misterioso sopra quanti aspirano a qualche cosa di più elevato, di più degno dei materiali godimenti della vita.(1) Ab. Viani - Discorso citato.

Esulta, o giovanetta, A te sorride il cielo, L' ara d' amor t' aspetta E a quell' ara ti guida il tuo fedel. II sogno tuo più bello S' avvera alfin così; Quel giuro e quell' anello Ti fian caparra di sereni di. Oh, ma perchè una stilla Che indarno vuoi celar, Bagna la tua pupilla E vien la nostra pia gioia a turbar? Forse ripensi adesso Al tuo fratel lontan, Al bacio, al dolce amplesso Ch' d' oltre un anno vai chiedendo invan? Forse ripensi come Gli esulterebbe il core Cingendoti alle chiome Il bianco serto che ti porge amor? Non pianger no, dal suolo Dove tragge i suoi di, Ei del pensier col volo Ti riede accanto e a te parla così: — Il bacio, il voto mio Or non ti posso offrir, Ma il fervido desio Sol per poco mi sia tolto compir! Nel ciel surse una stella Foriera del mattin: È d' essa, o mia sorella, Che all' esule schiarò l' aspro cammin. Dessa m' infonde in petto Fede, virtù, valor, E m' addurrà al mio tetto Pria che appassisca del tuo serto il fior!… —

L' altra poesia, che non ha titolo, è uno sfogo dell' animo della poetessa, la quale pur rievocando i tristi dì, finalmente rivede Venezia libera dall' abborrito straniero.

Quanta tristezza invece nelle poesie, in cui la poetessa parla della sua bella ed infelice Venezia! Nell' agosto del 1859, dopo il patto di Villafranca, che venne a troncare improvvisamente nel cuore dei Veneti ogni speranza di libertà, Erminia pianse in una delle sue saffiche più belle sulla sorte della povera Venezia, staccata dalla sorella lombarda: nel 1862 in occasione delle nozze di Maria Pia, nell' albo offerto all' Augusta principessa dalle donne venete, trentine ed istriane, Venezia così amaramente e dolorosamente parla per bocca della poetessa:

E a questa reietta Che freme, che aspetta Nel lutto, nel pianto, Di correrti accanto, O figlia di Re, Concesso non è.

Nel 1863 così ella fa parlare Venezia agli insorti Polacchi:

Bello è il cader in un aperto campo, Mentre l' errante sguardo Saluta ancora dei moschetti al lampo Il vincitor stendardo; Ma servir sempre ed attendere invano, Morire a brano a brano, Oh ! quest' angoscia è tale Che il pensiero non può finger l' eguale.

Finalmente Venezia è libera, ed Erminia è lieta di poter vedere il gondoliere correre sull' onda libera della laguna.

A Venezia è già tempo io son stata, Quando ancor vi reggevano i Croati. La sua piazza parea dimenticata Ed i palazzi suoi disabitati. Il tricolor di tutti nel pensiero Fea capolin sotto il giallo e nero; Quasi parean i flutti in se raccolti Per non specchiar gli abborriti volti; E mestamente il gondolier vedea Scarso il suo pane e bassa la marea. Ora rividi ancor Venezia bella Che, rifinita, però non è più quella. Poichè al solo apparir del tricolore San Marco l' ha rifatta al primo onore. Lascia il suo letto, giocondato, il mare Per venire nell' intimo a baciare, E con opra gentil l' orme funeste Lavar pur anco dell' austriaca peste. O gondolier dalla barca bruna Libera è l' onda della tua laguna.

Se questi pochi scritti nulla aggiungeranno ai meriti letterari di Erminia Fuà Fusinato, anima buona ed affettuosa, che dedicò tutta la sua vita alla famiglia, alla patria ed alla scuola; ci faranno ancora una volta conoscere ed apprezzare la bontà del suo cuore generoso, che a coronamento della sua opera benefica e saggia riuscì ad istituire in Roma quella scuola, che fiorisce nella nuova Italia e che si fregia del suo nome.(1) V˙ C˙ Cimegotto op. cit. pag. 227.