SCELTA
DI.

CURIOSITÀ LETTERARIE
INEDITE O RARE
DAL SECOLO XIII AL XVII
in Appendice alla Collezione di Opere inedite o rare
DIRETTA DA
GIOSUÈ CARDUCCI

Dispensa CCXL
Prezzo L. 8. —

Di questa SCELTA usciranno otto o dieci volumetti all' anno; la tiratura di essi verrà eseguita in numero non maggiore di esemplari 202; il prezzo sarà uniformato al numero dei fogli di ciascheduna dispensa, e alla quantità degli esemplari tirati; sesto, carta e caratteri, uguali al presente fascicolo.

Ditta Romagnoli Dall' Acqua



LE RIME
DI
TULLIA D'ARAGONA

CORTIGIANA DEL SECOLO XVI
EDITE
a cura e studio
DI
ENRICO CELANI

BOLOGNA
presso Romagnoli Dall' Acqua
libraio editore
1891

Edizione di soli 202 esemplari
ordinatamente numerati

N. 53.

Bologna — Regia Tipografia

TULLIA D' ARAGONA

Io so bene nobilissima e virtuosissima Signora Duchessa, che quanto la bassezza della condizion mia è men degna della altezza di quella di V. Eccell. tanto la rozzezza de' componimenti miei è minore dello ingegno e giudicio suo; e per questa cagione, sono stata in dubbio gran tempo se io dovessi indirizzare a così grande e così onorato nome quanto è quello di V. Eccell., così picciola e così ignobile fatica, come è quella de' sonetti composti da me più tosto per fuggir l' ozio molte volte, o per non parer scortese a quelli che i loro mi aveano indirizzati, che per credenza di doverne acquistar fama o pregio alcuno appresso le genti. Ma desiderando io di mostrare in qualche modo qualche parte della devotissima servitù mia verso V. Eccell, per gli obblighi che le ho molti e grandissimi sì a lei, e sì a quella dello invitto e gloriosissimo consorte suo, presi ardimento, e mi risolsi finalmente di non mancare a me medesima, ricordandomi che i componimenti di tutti gli scrittori hanno in tutte le lingue, e massimamente quegli de' poeti, avuto sempre cotal grazia e preminenza, che niuno quantunque grande, non solo non gli ha rifiutati mai, ma sempre tenuti carissimi. Perchè io ancorchè, come ho detto, conosca benissimo così l' altezza dello stato suo, come la bassezza della condizione mia, presento umilmente con devotissimo cuore queste mie poche, basse e picciole fatiche, alle moltissime, grandissime e altissime virtù di lei, pregandola con tutto l' animo non al dono voglia nè a chi dona, ma a sè medesima riguardare.

Se gli antichi pastor di rose e fiori sparsero i tempii, e vaporar gli altari d' incenso a Pan, sol perchè dolci e cari avea fatto a le Ninfe i loro amori: quai fior degg' io Signor, quai deggio odori, sparger al nome vostro, che sian pari a i merti vostri, e tante, e così rari,7 B. pari.; D. cari. ch' ognor spargete in me grazie e favori? Nessun per certo tempio, altare, o dono trovar si può di così gran valore, ch' a vostra alta bontà sia pregio eguale. Sia dunque il petto vostro, u' tutte sono le virtù, tempio; altare, il saggio core; Vittima, l' alma mia, se tanto vale.

(Cod. Magliabecchiano, II, I, IV).

Se gli antichi pastor di rose e fiori sparsero i tempii, e vaporar gl' altari di maschi incensi a Vener, poichè cari fece e dolci alle Ninfe i loro amori: a voi, che sceso dai più nobil cori degl' angiol sete, e ch' ai desiri miei cariNel mss. leggesi: miei o cari. rendete i favor, quai più rari fiori offrirò io? quai grati odori? Veramente non tempio, altare, o dono trovar si può di tal pregio e valore, ch' a vostra cortesia sia merto uguale; fuor che fia 'l petto vostro il tempio, u' sono alti pensieri; e 'l saggio vostro core fia altar; vittima, l' alma mia immortale.
Signor, pregio e onor di questa etade, cui tutte le virtù compagne fersi, che con tante bell' opre e sì diversi effetti gite al ciel per mille strade: quai fien, che possan mai tante, e si rade doti vostre cantar prose, nè versi? In voi solo (e son parca) può vedersiB. sol, — 13 pensiero. giunta a sommo valor, somma bontade. Voi saggio, voi clemente, voi cortese; onde nel primo fior de' più verd' anni vi fu dato da Dio sì grande impero, per ristorar tutti gli andati danni: e, con potere eguale al bel pensero, por sempiterno fine a tante offese. Signor d' ogni valor più d' altro adorno: Duce fra tutti i Duci altero e solo: Cosmo, di cui dall' uno all' altro polo, e donde parte, e donde torna il giorno, non vede pari il sol girando intorno: me, che quanto più so v' onoro, e colo, prendete in grado, e scemate il gran duolo de l'altrui ingiusto oltraggio, e indegno scorno. Nè vi dispiaccia, ch' el mio oscuro e vileD. scuro. cantar, cerchi talor d' acquistar fama a voi più ch' altro chiaro, e più gentile; non guardate Signor, quanto lo stile vi toglie (ohimè) ma quel che darvi brama il cor, ch' a vostra altezza inchina umile. Nuovo Numa Toscan, che le chiar' ondeE. Novo'; chiare. del tuo bel fiume inalzi a quegli onoriinnalzi a quegl' onori. oh' ebbe già il Tebro; e le stelle migliori girano tutte al gran valor seconde; le tue virtuti a null' altre seconde, alto suggetto a i più famosi cori,ai. da l' Arbia, ond' oggi ogni bell' alma è fuori,Dall'; infiori. mi trasser d' Arno a le felici sponde. E al primo disio, nuovo disire,novo. m' accende ognor la tua bontà natìa: tal che miglior non spero, o bramo albergo.talchè. Così potessi un dì farmi sentirepotess' io. cortese no, ma grata con la mia zampogna, ch' a te sol, bench' indegna, ergo.che a te.

È inserito anche nei Componimenti poetici delle più illustri rimatrici raccolti da LUISA BERGALLI. Parte prima, che contiene le rimatrici antiche fino all' anno 1575. In Venezia 1726, appresso Antonio Mora, con licenza de' superiori e privilegio, pag. 110.

(Cod. Magliabecchiano II, I, IV).

Almo Pastor, che godi alle chiar' onde del più bel fiume che Toscana onori, cui s' aggiran le grazie e i santi amori, lieti spargendo intorno fiori e fronde: le tue virtuti a null' altro seconde, alto soggetto a più gentil pastore, da i colli ornati già di mille allori, mi volser con mie gregge a le tue sponde. E al primo mio disir, nuovo disire, aggiunto ha dentr' al cor tua cortesia, che in le tue piagge eterno sia 'l mio albergo: e vorrei bel almen farmi sentire grata al tenor della zampogna mia, ma a dir el ver tant' alto el suon non ergo.
Signor, che con pietate alta e consiglio, (onde tanto più ch' altro al mondo vali) venisti a medicar gli antichi mali, del fiorito per te purpureo giglio; io che scampata da crudele artiglio, provo gli acerbi e ingiuriosi strali quanto sian di fortuna aspri e mortali, a te rifuggo in sì grave periglio; e solo chieggo umil, che come l' alma secura vive omai ne la tua corte, da la vicina e minacciata morte, così la tua mercè di ben n' apporteB. m' apporte. tanto, che l' altra mia povera salma libera venga per le ricche porte.

Questo sonetto leggesi anche nel: Libro primo delle rime spirituali, parte nuovamente raccolte da più autori, parte non più date in luce. In Venetia, al segno della Speranza, M. D. L. in-12, a earte 40.

Dive che dal bel monte d' Elicona discendete sovente a far soggiorno fra queste rive, ond' è che d' ogn' intorno il gran nome Toscan più altero sona:B. suona. d' eterni fior tessete una corona a lui, che di virtù fa 'l mondo adorno, sceso col fortunato Capricorno, per cui l' antico vizio n' abbandona. E per me lodi, e per me grazia a lui rendete, o Dive, che lingua mortale, verso immortal virtù s' affanna indarno. Quest' è valor, quest' è suggetto tale, che solo è da voi sole, e non d' altrui: così dicea la Tullia in riva d' Arno. Nè vostro impero ancor che bello e raro,E. degno e raro. nè d' argento e di gemme ampia ricchezza, che men da chi più sa si brama e prezza, vi fanno al mondo sì famoso e chiaro: quanto l' aver, Signor pregiato e caro, la ben nata e gentil anima avvezza, con severa pietate e dolce asprezza perdonar, e punir, ch' oggi è sì raro. Queste vi fanno tal, lunge e dappresso, ch' al grido sol del vostro nome alteroChe al. l' alma s' inchina, e come può vi onora.v' onora. E se al caldo disìo fia mai concessodesio. stile al suggetto ugual, ritrarne sperosoggetto. fama immortal, dopo la morte ancora.

B. egual. — Componimenti poetici, ecc., ediz. cit., pag. 110.

Non così d' acqua colmo in mar discende, nè di tante dorate arene vago si mostra al suo paese il ricco Tago, d' onde 'l nome real di voi si prende, come del valor vostro a noi si stende di mille opre divine alto ampio lago: e quante (benchè in dir nulla m' appago) bellezze scorge in voi chi dritto intende. Quest' è l' arena d' oro, e queste l' onde di beltate e virtù, che 'l bello e santo animo e volto vostro, a l' Arno infonde. Non più la Spagna omai gioisca tanto, che s' ella ha 'l Tago con l' aurate sponde, Leonora avrem noi con maggior vanto.B. avremo. O qual vi debb' io dire o Donna o Diva, poi che tanta beltà, tanto valore riluce in voi, che 'l vostro almo splendore abbaglia qual fu mai fiamma più viva? Mi dice un bel pensier che di voi scriva, e renda grazie, e qual si deve onore; ma dove s' erge l' animoso core, non giunge penna, o voce umana arriva. So ch' ogni alto favor da voi mi viene, come la luce al dì da quella stella, che surge in oriente innanzi al Sole. Ma poi che pur al fin mal si conviene a tanta altezza l' umil mia favella, v' appaghi il core in vece di parole. Donna reale, a i cui santi disiriB. a cui i. grazia già fece la bontà superna di me, ch' or fatto son chiara lucerna sopra i celesti, ardenti, alti zafiri; poi che fuor di sospetto e di martiri, godo del ben che ne l' alme s' interna, deh! non turbate la mia pace eterna col pianto vostro, e co' i vostri sospiri. Qui mi viv' io, dove 'l pensier non erra; dove luogo non ha terreno affetto; e co' i piè calco gli stellanti chiostri. E se quassù giungesser gli occhi vostri, vedendo fatto me novo angeletto, qui bramareste, e non vedermi in terra. S' a l' alto Creator de gli elementi sete, Donna Real, cotanto cara, che de la stirpe vostra altera e rara,B. De la stirpe vostra. volle ornare i suoi chiostri eterno ardenti; e s' or, per acquetar vostri lamenti, vi rende il cambio di quell' alma chiara,Il principino D. Pietro morì il 10 giugno 1547, e D. Garzia nacque il 5 luglio dello stesso anno. che di voi nata, tutto 'l ciel rischiara, a Dio lode cantando in dolci accenti; ragion è ben, che con eterni onori vi cantin tutti gli spirti più rari, com' onorata in terra e in ciel gradita. Arno alzi l' acque al ciel, le rive infiori, suonino i tempii, e fumino gli altari, che 'l nuovo parto a festeggiar n' invita. Anima bella che dal padre eterno creata prima in ciel nuda e immortale, or vestita di vel caduco e frale, mostri quà giuso il gran valore interno: da gli alti chiostri in questo basso inferno u' si n' aggrava il rio peso mortale, scendesti a torne noia e a darne l' aleE. ne. al sommo bello, al sommo ben superno; chiunque te pur una volta mira,B. sol. sente sgombrar da l' alma ogni vil voglia, e arder tutta di celeste amore.Ed; tutto. Dunque ver me col divin raggio spira del disiato tuo santo favore, ch' io voli al Ciel con la terrena spoglia.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit., pag. 111.

(Cod. Magliabecchiano II, I, IV).

Anima bella, che dal Padre eterno pura fosti creata e immortale, e ingombra di velo oscuro e frale, pur di fuor mostri il tuo valor interno: dal ciel scendesti in questo vivo inferno, u' n' aggrava il terren peso mortale, per innalzarne dibattendo l' ale al sommo bello, e sommo ben superno. Tu di casti pensier, d' onesta voglia ingombri l' alma a chi tuo esempio mira, e le fai vaghe del verace amore. Dunque ver me col vivo raggio spira del desiato tuo almo favore, ch' io m' erga, e inalzi al ciel da questa spoglia.
Spirto gentil, che dal natìo terreno la chiarezza del sangue, e dal ciel chiara anima avesti, e a cui d' ogni più rara virtù colmar le sante Muse il seno; poi che 'l cor vostro è d' alto valor pieno, e real cortesia da voi s' impara, non mi sia, prego, vostra mente avara di ciò, ch' altrui donando, non vien meno. Voi sete quel, ch' avete ambe le chiavi di quegli eccelsi, e gloriosi cori che fan più ch' ancor mai felice l' Arno; or volgetele a me così soavi, ch' entro raccolta, mai non esca fuori; e prego umil non sia 'l mio prego indarno. Ben si richiede al vostro almo splendore del chiaro sangue, e a la virtù eccellente, che si canti Signore eternamente ne' giochi di Parnaso il vostro onore; ond' è ch' a dir di voi, dentr' al mio core s' accende ognor un vivo foco ardente; ma come a l' alta impresa non si sente l' anima ugual, si spenge il novo ardore. Non s' assicura nel profondo seno di vostre glorie entrar mia navicella sotto la scorta del mio cieco ingegno. Solchi 'l gran mar di vostre lodi a pieno più felice alma, a cui più chiara stella porga favore in più securo legno. Bembo, io che fino a qui da grave sonno oppressa vissi, anzi dormii la vita,B. dormì — C. D. dormii. or da la luce vostra alma infinita,E. dalla. o sol d' ogni saper maestro e donno, desta apro gli occhi, sì ch' aperti ponno scorger la strada di virtù smarrita; ond' io lasciato ove 'l pensier m' invita de la parte miglior per voi m' indonno: e quanto posso il più mi sforzo anch' io, scaldarmi al lume di sì chiaro foco, per lasciar del mio nome eterno segno. E o non pur da voi si prenda a sdegnoEd oh! mio folle ardir, che se 'l sapere è poco, non è poco, Signor, l' alto disìo.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pag. 111.

Signore in cui valore e cortesia giostrano insieme ognor tanto ugualmente,B. egualmente che discerner non puote umana mente, di qual di lor più la vittoria sia; mia fredda Musa a voi già non s' invia per celebrar vostra virtute ardente; ma perch' in voi nomar conosce e sente, sorger nel vostro onor la gloria mia.C. scorger. Ben porta nel mio core un caldo effetto il vivo lume vostro, ch' è si chiaro, che risplender si vede in ogni parte. Ma prenda voi per degno alto suggetto, chi al quieto Apollo è tanto caro, quanto voi sete al bellicoso Marte. La nobil valorosa antica gente, che di novo i fratelli ancisi vede,B. D. E. nuovo. e in acerbo esilio a pianger riede, Signore, a te, s' inchina umilemente. E potendo vendetta arditamente gridar da' monti, e piaghe, e mille prede,B. C. D. E. de' morti. mercè sola e pietate a te richiede, di comune voler, pietosamente. O sanator de le ferite nostre, mira la velenosa e cruda rabbia, che 'l sangue giusto, ingiustamente sugge. Così tosto avverrà, ch' in te si mostre, com' a gran torto, tanti danni or abbia la gente, cui pietate e doglia strugge.

Componimenti poetici. ecc., ediz. cit. pag. 112.

Poscia (ohimè) che spento ha l' empia morteB. l' avara; C. D. empia. l' alma gentil, ch' in sua più verde etade, a gran passi salìa l' erte contrade che menan dritto a la superna corte; chi fia che leggi così crude e torte, spirti amici d' onor e di bontade, non pianga meco ognor, ch' a le più rade virtù die' sempre il ciel vite più corte? Molza ben pianger dei, poi ch' al camino ove ti sprona un disusato ardire, perduta hai meco la più fida scorta. per me dopo sì fero destino non voglio altro, non deggio che morire se morir deve e puote, chi è già morta. Poi che rea sorte ingiustamente premeE. Poichè. voi, ch' alto albergo sete di valore,siete. sento, spirto gentil, un tal dolore, che con voi l' alma mia ne giace insieme. L' anima mia ne giace, e 'l petto geme, di non poter mostrar nel riso il core, a voi, cui bramo con perpetuo onore, piacer servendo, insino a l' ore estreme.all' ore. Il disìo d' ora in ora a voi mi porta: quindi rispetto onesto mi ritiene: e d svoler conviemmi quel ch' io voglio. In sì dubbioso stato mi conforta, che ben v' è noto quel che si conviene, e questo fa minore il mio cordoglio.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pag. 112.

Mentre ch' al suon de i dotti ornati versi, fate d' Arno suonar l' ampie contrade, cantando insieme a più ch' ad una etade con le virtù, ch' a voi si amiche fersi, a me, caro Martel, sono tanto avversi i fati, ch' ogni ben dal cor mi cade; e per occulte, solitarie strade, vo' lagrimando il dì che gli occhi apersi. Tal che del pianto mio, del mio languire, languisce e piagne ogni sterpo e ogni sasso, e le fiere e gli augelli in ogni parte. Voi mentre affligge me l' empio martire, deh! consolate lo mio spirto lasso, con vostre eterne e onorate carte. Più volte, Ugolin mio, mossi il pensieroE. movo per risonar con la zampogna mia, vostra rara virtute e cortesia, poggiando al ciel col bel suggetto altero. Ma, lassa, invan m' affanno (o destin fero) che roco è 'l suono, e la mia sorte ria, sì dietro a i miei dolor tutta m' invia, che levarmi da terra, unqua non spero. Cantino altri di voi tanti pastori, che pascon le lor gregge a l' Arno intorno,greggie. a cui le Muse, a cui fortuna è amica; io s' unqua al mio felice stato torno, non pur non tacerò miei santi ardori, ma voi sarete mia maggior fatica.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pag. 115.

(Cod. Vat. Ottob. 1595).

Ho più volte, Signor, fatto pensiero di risonar con la zampogna mia, di te il valor e l' alta cortesia, salendo al ciel presso al suggetto altiero. Ma, lassa, invan m' affanno, o destin fiero, che roco è 'l suono, e mia fortuna rìa, sì dietro a miei dolor tutta m' invia, che levarmi di terra indarno spero. Cantin di te tanti gentil pastori, che pascon le lor greggie al Po d' intorno, a cui le Muse, a cui fortuna è amica: forse il mio Mopso ancor, fatto ritorno, farà sentir non pur suoi bassi amori, ma tu sarai la sua maggior fatica.

Questo sonetto diretto prima al Martelli, appare qui scritto per il Muzio come chiaramente rilevasi dal nome di Mopso.

Ben sono in me d' ogni virtute accese le voglie tutte, e gli spirti alto intenti; ma 'l poter e l' oprar sì freddi e spenti, ch' io mi veggo aver l' ore indarno spese. Onde non lodi no, ma gravi offese mi son le rime vostre, e però tenti vostr' alto stil, fra tante e sì eccellenti, mille di lui cantar più degne imprese. Ben può celar il ver finta bugia, a qualche tempo, o 'n qualche loco, o parte: ma non sì ch' ei non vinca, e 'n sella stia, dunque per più secura e corta via, rivolgete, Ugolin, tanta vostra arte, ch' in altrui molto, in me poco sarìa.

Risposta al sonetto, del Martelli: Se lodando di voi quel che palese.

Varchi, da cui giammai non si scompagna il coro de le Muse, e ch' a l' affanno com' a la gioia, a l' util com' al danno, sempre avete virtù fida compagna; qual monte, o valle, o riviera, o campagna, non sarìa a voi più che dorato scanno: se come fumo innanzi a lei sen vanno gli umani affetti, ond' altri più si lagna? O perchè errar a me così non lice con voi pe' i boschi, com' ho 'l core acceso, de l' onorate vostre fide scorte? Ch' avendo ogni pensiero al cielo inteso, vivendo viverei vita felice, e morta sperarei vincer la morte. Varchi, il cui raro e immortal valore, ogni anima gentil subito invoglia, deh! perchè non poss' io, com' ho la voglia, del vostro alto saver colmarmi il core?E. saper. che con tal guida so ch' uscirei fore,fuore. de le man di fortuna, che mi spogliaDelle. d' ogni usato conforto: e ogni mia doglia cangerei in dolce canto, e 'n miglior ore. Ahi! lassa, io veggio ben che la mia sorte contrasta a così onesto e bel desire, sol perchè manch' io sotto l' aspre some.Sol perch' io manchi. Ma s' a me pur così convien finire, la penna vostra almen, levi il mio nome fuor degli artigli d' importuna morte.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit pag. 113.

Quel che 'l mondo d' invidia empie e di duolo, quel che sol di virtute è ricco e adorno, quel che col suo splendor un lieto giorno chiaro ne mostra a l' uno e all' altro polo: quel sete Varchi voi, quel voi che solo, fate col valor vostro oltraggio e scorno a i più lontan, non ch' ai vicin d' intorno; ond' io v' ammiro, riverisco e colo. E di voi canterei mentre ch' io vivo, s' al gran suggetto il mio debile stile, giunger potesse di gran spazio almeno. O pur non fosse a voi noioso e schivo questo mio dire, scemo e troppo umile: che per voi renderassi altero e pieno. Se 'l ciel sempre sereno e verdi i prati, sieno al bel gregge tuo, dolce pastore vero d' Arcadia e di Toscana onore, più chiaro fra i più chiari e più pregiati: se tanto in tuo favor girino i fati, che mai tor non ti possa il dato core Filli, nè tu a lei tuo santo amore,E. casto. onde vi gridi ogni uom saggi e beati: dinne, caro Damon, s' alma sì vile e sì cruda esser può, ch' essendo amata renda invece d' amor tormenti e morte. Ch' io temo (lassa) se 'l tuo dotto stile non mi leva il dubbiar, d' esser pagata di tal mercede, sì dura è mia sorte.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pag. 114.

Dopo importuna pioggia s' allegrano i pastor, quando 'l sereno ciel si discopre lor di stelle pieno; e dopo 'l corso de l' instabil luna, ne l' apparir del sole, gioisce ogni animal che brama il giorno; e l' alto Dio lodar ben spesso suole, dopo l' aspra fortuna, spaventato nocchier al porto intorno; e 'l Varchi è al suo ritornoB. Varchi al; c. D. Varchi è al. seren, sol, porto: e chi ha d' onor disìo, si rallegra, gioisce e loda Iddio. Voi ch' avete fortuna sì nimica,E. nemica. com' animo, valor e cortesia, qual benigno destino oggi v' invia a riveder la vostra fiamma antica? Muzio gentile, un' alma così amica è soave valore a l' alma mia, ben duolmi de la dura e alpestra via con tanta non di voi degna fatica. Visse gran tempo l' onorato amore ch' al Po già per me v' arse. E non cred' io che sia sì chiara fiamma in tutto spenta. E se nel volto altrui si legge il core, spero ch' in riva d' Arno il nome mioall' Arno. alto sonar ancor per voi si senta.Alto per voi suonare ancor si senta.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pa. 113.

Fiamma gentil che da gl' interni lumi con dolce folgorar in me discendi, mio intenso affetto lietamente prendi, com' è usanza a tuoi santi costumi; poi che con l' alta tue luce m' allumiE. coll' alta. e sì soavemente il cor m' accendi, ch' ardendo lieto vive e lo difendi, che forza di vil foco nol consumi.foco lo consumi. E con la lingua fai che 'l rozo ingegno, caldo dal caldo tuo, cerchi inalzarsi per cantar tue virtuti in mille parti; io spero ancor a l' età tarda farsi noto che fosti tal, che stil più degno uopo era, e che mi fu gloria l' amarti.d' amarti.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pag. 114.

Spirto gentil, che vero e raro oggetto se' di quel bel, che più l' alma disìa,D. Sei; E. desia. e di cui brama ognor la mente mia essere al tuo cantar caro suggetto; se di pari n' andasse in me l' affettosi andasse. con le tue lode, onor render potria mia penna a te; ma poi mia sorte rìa m' ha sì bramato onor tutto interdetto. Sol dirò, che seguendo la sua stella, l' anima tua da te fece partita, venendo in me, com' in sua propria cella; e la mia, ch' ora è teco insieme unita, ten può far chiara fede, come quella, che con la tua si mosse a cangiar vita.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit. pag. 116. — Risposta al sonetto del Muzio: Donna, il cui grazioso e altero aspetto.

Bernardo, ben potea bastarvi averne co 'l dolce dir, ch' a voi natura infonde, quì dove 'l re de fiumi ha più chiare onde, acceso i cuori a le sante opre eterne; che se pur sono in voi pure l' interne voglie, e la vita al vestir corrisponde, non uom di frale carne e d' ossa immonde, ma sete un voi de le schiere superne. Or le finte apparenze, e 'l ballo, e 'l suono, chiesti dal tempo e da l' antica usanza, a che così da voi vietati sono? Non fora santità, fora arroganza torre il libero arbitrio, il maggior dono che Dio ne diè ne la primiera stanza. Siena dolente i suoi migliori invita a lagrimar intorno al suo gran Tondi, al cui valor ben furo i cieli secondi, poscia invidiaro l' onorata vita. Marte il pianger di lei col pianto aìta, morto 'l campion, cui fur gli altri secondi; io prego i miei sospir caldi e profondi, ch' a sfogar sì gran duol porgano aìta. So che non pon recar miei tristi accenti, a voi, messer Emilio, alcun conforto, che fra tanti dolori il prime è 'l vostro. Ma 'l duol si tempri; il suo mortale è morto; vive 'l suo nome eterno fra le genti: l' alma trionfa nel superno chiostro. Se veston sol d' eterna gloria il manto quei che l' onor più che la vita amaro, perchè volete voi, gentil mio Naro, render men bella con acerbo pianto quella lode immortale e chiara tanto, di cui mai non sarà chi giunga al paro del valoroso vostro fratel caro, che morendo portò di morte 'l vanto? Scacciate 'l duol è rasserenate il volto; e le unite da lui nemiche spoglie sacrate a lui, che già trionfa in cielo. E da questo mortal caduco velo più che mai vivo, omai libero e sciolto, par ch' a seguirlo ogni bell' alma invoglie. Poi che mi diè natura a voi simile forma e materia, o fosse il gran Fattore, non pensate ch' ancor disìo d' onore mi desse, e bei pensier, Manel gentile? Dunque credete me cotanto vile, ch' io non osi mostrar, cantando, fore, quel che dentro n' ancide altero ardore,D. m' ancide. se bene a voi non ho pari lo stile? Non lo crediate, no, Piero, ch' anch' io fatico ognor per appressarmi al cielo, e lasciar del mio nome in terra fama. Non contenda rea sorte il bel desìo, che pria che l' alma dal corporeo velo si scioglia, sazierò forse mia brama. Amore un tempo in così lento foco arse mia vita, e sì colmo di doglia struggeasi 'l cor, che quale altro si voglia martir, fora ver lei dolcezza e gioco. Poscia sdegno e pietate a poco a poco spenser la fiamma, ond' io più ch' altra soglia libera da sì lunga e fera voglia, giva lieta cantando in ciascun loco. Ma 'l ciel nè sazio ancor (lassa) nè stanco de' danni miei, perchè sempre sospiri, mi riconduce a la mia antica sorte; e con sì acuto spron mi punge il fianco, ch' io temo sotto i primi empii martiri cader, e per men mal bramar la morte.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit., pag. 115.

Parnaso italiano ovvero raccolta di poeti classici italiani, Venezia 1787, presso Antonio Zatta, vol. XXX, pag. 240.

Scelta di sonetti e canzoni dei più celebri rimatori d' ogni secolo. Quarta edizione con nuova aggiunta. Parte seconda che contiene i rimatori dal 1550 sino al 1600 e del 1600. In Venezia, presso Lorenzo Baseggio, 1734 in-12, a carte 532.

Qual vaga Filomela, che fuggita è da l' odiata gabbia, e in superba vista sen va tra gli arboscelli e l' erba, tornata in libertate e in lieta vita; er' io da gli amorosi lacci uscita, schernendo ogni martìre e pena acerba de l' incredibil duol, ch' in sè riserba qual ha per troppo amar l' alma smarrita. Ben avev' io ritolte (ahi stella fera!) dal tempio di Ciprigna le mie spoglie, e di lor pregio me n' andava altera; quand' a me Amor: le tue ritrose voglie, muterò, disse; e femmi prigioniera di tua virtù, per rinovar mie doglie. Felice speme, ch' a tant' alta impresa ergi la mente mia, che ad or ad ora dietro al santo pensier che la innamora, sen vola al Ciel per contemplare intesa. De bei disir in gentil foco accesa, miro ivi lui, ch' ogni bell' alma onora, e quel ch' è dentro, e quanto appar di fora, versa in me gioia senz' alcuna offesa. Dolce, che mi feristi, aurato strale, dolce, ch' inacerbir mai non potranno quante amarezze dar puote aspra sorte; pro mi sia grande ogni più grave danno, che del mio ardir per aver merto uguale più degno guiderdon non è che morte.

Crescimbeni: Istoria della volgar poesia, Venezia, presso Lorenzo Baseggio, 1730, vol. IV, pag. 68.

S' io 'l feci unqua che mai non giunga a riva l' interno duol, che 'l cuor lasso sostiene; s' io 'l feci, che perduta ogni mia spene in guerra eterna de vostr' occhi viva; s' io 'l feci, ch' ogni dì resti più priva de la grazia, onde nasce ogni mio bene; s' io 'l feci, che di tante e cotai pene, non m' apporti alcun mai tranquilla oliva; s' io 'l feci, ch' in voi manchi ogni pietade, e cresca doglia in me, pianto e martìre distruggendomi pur come far sogllo; ma s' io no 'l feci, il duro vostro orgoglio in amor si converta: e lunga etade sia dolce il frutto del mio bel disire. Se ben pietosa madre unico figlio perde talora, e nuovo, alto dolore le preme il tristo e suspiroso core, spera conforto almen, spera consiglio. Se scaltro capitano in gran periglio, mostrando alteramente il suo valore, resta vinto e prigion, spera uscir fuore quando che sia con baldanzoso ciglio. S' in tempestoso mar giunto si duole spaventato nocchier già presso a morte ha speme ancor di rivedersi in porto. Ma io, s' avvien che perda il mio bel sole, o per mia colpa, o per malvagia sorte, non spero aver, nè voglio, alcun conforto. Se forse per pietà del mio languire al suon del tristo pianto in questo loco ten vieni a me, che tutta fiamma e foco ardomi, e struggo colma di disire, vago augellino, e meco il mio martìre ch' in pena volge ogni passato gioco, piangi cantando in suon dolente e roco, veggendomi del duol quasi perire; pregoti per l' ardor che sì m' addoglia, ne voli in quella amena e cruda valle ov' è chi sol può darmi e morte e vita; e cantando gli di' che cangi voglia, volgendo a Roma 'l viso, e a lei le spalle, se vuol l' alma trovar col corpo unita. Ov' è (misera me) quell' aureo crine di cui fe' rete per pigliarmi Amore ov' è (lassa) il bel viso, onde l' ardore nasce, che mena la mia vita al fine? Ove son quelle luci alte e divine in cui dolce si vive e insieme more? ov' è la bianca man, che lo mio core stringendo punse con acute spine? Ove suonan l' angeliche parole, ch' in un momento mi dan morte e vita? u' i cari sguardi, u' le maniere belle? Ove luce ora il vivo almo mio sole, con cui dolce destin mi venne in sorte quanto mai piovve da benigne stelle? Spirto gentil, s' al giusto voler mio non è cortese il cielo e amico tanto, ch' io possa con ragion lodarvi quanto me fate, e io far voi spero e desio; dolgomi del mio fato acerbo e rio, che ciò mi niega, rivolgendo in pianto il mio già lieto e dilettoso canto, per cui fan gli occhi miei sì largo rio. Ma se fortuna mai si mostra amica a le mie voglie, non dubito ancora poter cantarvi tal qual mio cor brama, e far sentir per questa piaggia aprìca quant' è 'l valor, ch' in voi mio core onora, piacciavi s' or lo riverisce e ama.

Risposta al sonetto dell' Arrighi: S' un medesimo stral duo petti aprìo.

Io ch' a ragion tengo me stessa a vile, nè scorgo parte in me che non m' annoi, bramando tormi a morte e viver poi ne le carte d' un qualche a voi simile, cercando vo per questo lieto aprile d' ingegni mille, non pur uno o doi suggetti degni de i più alti eroi, e d' inchiostro al mio tutto dissimile. Però dovunque avvien, che mai si nome alteramente alcuno, indi m' ingegno trar rime, onde s' eterni il nome nostro. E spero ancor, se 'l mio cangiar di chiome non rende pigro questo ardito ingegno, d' Elicona salire al sacro chiostro.

Risposta al sonetto del Benucci: Deh, non volgete altrove il dotto stile.

Io che fin quì quasi alga ingrata e vile sprezzava in me così l' interna parte, come u' di fuor, che tosto invecchia e parteB. un; C. D. u'. da noi ben spesso nel più bello aprile, oggi, Lasca gentil, non pur a vile non mi tengo (mercè de le tue carte) ma movo ancor la penna ad onorarte, fatta in tutto a me stessa dissimile. E come pianta che suggendo piglia novo licor da l' umido terreno manda fuor frutti e fior, benchè s' attempi: tal' io potrei, sì nuovo mi bisbiglia pensier nel cor di non venir mai meno, dar forse ancor di me non bassi esempi.

Risposta al sonetto del Lasca: Se 'l vostro alto valor, Donna gentile.

Ben fu felice vostro alto destino, poi che vena vi die' tanto feconda, che 'l santo Apollo il vostro dir seconda più ch' ei non fece al suo diletto Lino. Il coro de le Muse a capo chino lieto v' onora, e 'l bel crin vi circonda di vaghi fiori e d' odorata fronda:adorata; C. D. odorata. perchè ragion è ben s' a voi m' inchino.E. Quindi. Il cantar vostro l' anime innamora, e le fa da se stesse pellegrine, che celeste virtù può ciò che vuole.fa. E 'n voi mirando grazie sì divine chi ha più gentil spirto più v' onora, altri d' invidia si lamenta e dole.duole.

Componimenti poetici, ecc., ediz. cit., pag. 116. — Risposta al sonetto del Martelli: Se 'l mondo diede allor la gloria a Arpino.

Porzio gentile, a cui l' alma natura e i sacri studi han posto dentro 'l core virtù, ch' esser vi fa primo cultore di lei, cui 'l cieco mondo oggi non cura; poi che rendete a feconda coltura sue alpestre piaggie, onde d' eterno onore semi spargete, e d' immortal valore cogliete frutti che 'l tempo non fura; piacciavi, prego, che vostra alta mente a l' umil pianta mia volga il pensiero, s' ella forse non n' è del tutto indegna, che di quel che per me poter non spero, col favor vostro a la futura gente di maraviglia ancor si farà degna. Alma gentil, in cui l' eterna mente, per farvi sovra ogni alma, bella e chiara, pose ogni studio; onde per voi s' impara la via di gir al ciel sicuramente; sì come il mondo della più eccellente cosa di voi non ha, nè tanto cara; e come sola sete e non pur rara d' ogni virtute ornata interamente; potess' io dirne appien quanto 'l cor brama, che d' invidia empirei e di dolore ogni spirto più saggio e più gentile, benchè vostro valor eterna fama per se vi acquisti, caro mio signore, quanto 'l sol gira e Battro abbraccia e Tile. Sacro pastor, che la tua greggia umile, di caritade acceso e d' Amor pieno, guidi fuor del mortal camin terreno, per ricondurla al suo celeste ovile; se 'l ben' oprar ti rende a Dio simile, or che raggio divin le scalda il seno, ricevi o Santo nel tuo pasco ameno questa tua pecorella errante e vile; sì che possa ridotta in piagge apriche, ove nocer non può contraria sorte, nè fiere stelle al nostro danno intente; poste in oblìo l' acerbe sue fatiche fuggir le pompe, e disprezzar la morte, tenendo sempre in Dio ferma la mente.

Sta nel: Sesto libro delle rime di dtversi eccellenti autori, nuovamente raccolte et mandate in luce con un discorso di Girolamo Ruscelli, al molto Reverendo et honoratiss. Monsignor Girolamo Artusio. Con gratia et privilegio. In Vinegia, al Segno del Pozzo, M. D. LIII, a carte 182.

Signor nel cui divino alto valore tanto si gloria l' una Gallia altera, e l' altra tutta mesta e afflitta spera por fin a l' aspro suo grave dolore, poscia che voi tornando, il suo splendore torna e fa bella Roma: ecco la sparsa chioma, ella v' accoglie lieta, e manda fore, voci gioconde a asciuga gli occhi molli, e Tornon grida 'l Tebro e i sette colli. La pace, la letizia, a la sublime schiera de le virtù sacre, ch' a noi spariro al partir vostro, ora con voi riedono, e fan contesa al tornar prime le Muse a celebrarvi in versi e in rime; destano i chiari spirti, ond' or s' ergano i mirti, e i lauri spargon l' onorate cime, e prima de l' usato il mondo infiora, e l' aria empie d' odor Favonio e Flora. Fra tanto almo gioir, fra tanta festa, ch' oggi al vostro tornar si mostra e sente, anch' io la speme, e la letizia spente poter nudrir ne l' alma dubbia e mesta, se mirate, Signor, quel che m' infesta noioso e aspro duolo che voi potete solo ridurmi in porto da crudel tempesta, e volgendo ver me pietoso il ciglio trar mia vita di doglia e di periglio. Canzon, se innanzi a lui per grazia arrivi, che dee chiuder di Giano il tempio aperto, benchè nulla è 'l mio merto, pregal, che sola non mi lasci in guerra poi che per lui si spera pace in terra.

Sesto libro delle Rime raccolte dal Ruscelli, Venezia 1553, c. 183.

Se materna pietate afflige il core onde cercando in questa parte e in quella il caro figlio tuo, Lilla mia bella,Lilia; C. D. Lilla. piangi, e cresci piangendo il tuo dolore: a te, ch' animal se' di ragion fore,C. D. sei. e non intendi (ohimè) quanto rubella sia stata ad ambe noi sorte empia e fella, togliendo a te 'l tuo figlio, a me 'l mio amore; che far (lassa) degg' io? Qual degno pianto verseran gli occhi miei dal cor mai sempre, che conosco il tuo male, e 'l mio gran danno? Chi potrà di Psichi con alto cantoC. D. Chi di Psichi potrà. cantar l' altere lodi: o con quai tempre temprar quel, che mi da sua morte affanno? Ben mi credea fuggendo il mio bel sole scemar (misera me) l' ardente foco con cercar chiari rivi, e starne a l' ombra ne i più fronzuti e solitarii boschi; ma quanto più lontan luce il suo raggio tanto più d' or in or cresce 'l mio vampo. Chi crederebbe mai che questo vampo crescesse quanto è più lontan dal sole? E pur il provo, che quel divin raggio quant' è più lunge più raddoppia il foco:B. longe; C. D. lunge. nè mi giova abitar fontane o boschi, ch' al mio mal nulla val, fresco, onda od ombra. Ma non cercherò più fresco, onda od ombra, che 'l mio così cocente e fero vampo non ponno ammorzar punto fonti o boschi; ma ben seguirò sempre il mio bel sole, poscia che nuova salamandra in foco vivo lieta, mercè del divo raggio.

(Codice Vat. Ottob. 1595, c. 118-119)

Ben mi credea fuggendo il mio bel sole scemar misera a me l' estremo fuoco, con cercar chiari rivi e stare all' ombra dei verdi faggi ed abitar fra boschi; ma quanto più lontano è il suo bel volto tanto più d' or in or cresce 'l mio vampo. Chi crederebbe mai che questo vampo crescesse quanto è più lontan dal sole? Io pur il provo, che quel divin volto accresce e 'n me raddoppia ognor il fuoco, nè mi giova cercar fontane o boschi, che questo sol non cuopre e frondi ed ombra. Non cercarò vie più posare all' ombra per minuire il mio cocente vampo, nè, lassa, errando, gir tra folti boschi; ma ben seguirò io sempre quel sole per cui sì lieta mi nutrico in fuoco, che a ciò mi sforza il cielo col suo bel volto. Deh! perchè non m' alluma il vivo raggio ovunqu' io vado, o per sole o per ombra, che lieta soffrirei sì dolce foco, e contenta morrei del suo gran vampo? Ma non spero giammai, lassa, che 'l sole scopra giorno sì chiaro in questi boschi. Ond' avrò sempre in odio i monti e i boschi che m' ascondon la luce di quel raggio, che splende e scalda più de l' altro sole; biasmi chi vuole e fugga i raggi a l' ombra, ch' io per me cerco sempre e lodo il vampoB. certo. che m' arde e strugge in sì possente foco. Quanto dunque mi fora grato il foco, ingrati i monti, e le fontane, e i boschi, u' non veggo il mio sole e sento il vampo s' io potessi appressar l' amato raggio e del mio stesso corpo a lui far ombra, e quando parte e quando torna il sole. Prima sia oscuro il sole e freddo il foco, nè faranno ombra in nessun tempo i boschi, che del bel raggio in me non arda il vampo. Deh! perchè non è meco il sacro volto dovunque io vadi, o per sole o per ombra, ch' avria forse men forza al cuore il fuoco e soffrirei più lieta ogni mio vampo; ma puote solo un raggio del mio sole farmi beata ne gli ombrosi boschi. E perciò in odio avrò sempre quei boschi che torrammi il veder del sacro volto, e i chiari raggi dell' almo mio sole che fean sgombrar le nube e fuggir l' ombra, e me sola gioir nel chiaro vampo qual salamandra nel più ardente fuoco. Quanto mi fora dilettoso il fuoco, noiosi i fonti e via men grati i boschi, men cari i faggi e men noioso il vampo, s' unir potessi il mio volto al bel volto e col mio stesso corpo al suo far ombre, ben d' arder godrei toccando il sole. Deh, dicesse il mio sole: anch' io sto in foco però non cercar più ombra ne' boschi, che vo' che 'l volto mio tempri il tuo vampo.

Questo componimento fu probabilmente diretto al Manelli, quantunque il sacro volto lasci credere tratarsi di qualche porporato.

Alma del vero bel chiara sembianza, a cui non può far schermo nè riparo così gentil e cristallina stanza ohe non mostri di fuor l' altero e raro splendor, che sol ne da ferma speranza del ben, ch' unqua non fura il tempo avaro: deh! fa, se morta m' hai, ch' in te rinnovi acciò di doppia morte il viver pruovi.

Crescimbeni. Istoria della volgar poesia, ecc., ediz. cit., vol. I, pag. 36.

(Cod. Vat. Otiob. 1595, c. 119).

Lieto viss' io sotto un bianco lauro e vivrò fin che 'l bianco amor m' infondi non per ornar le tempie d' ostro e d' auro ma sol delle tue sacre altiere frondi; ma poi che più e più volte il sole in Tauro tornato fa che i suoi bei crini ascondi se s' affredda stagion mutarà il corso, i frutti seccarà, le frondi e il dorso.

Questa stanza è attribuita all' Aragona e diretta a Madonna Laura Spinelli, alias Ninì. Nell' edizione prima delle Rime posseduta dalla Biblioteca Vittorio Emanuele il sonetto n. XXX porta scritto sopra a penna: alla S. Philomena Ninì.

(Aragona)
Alma del vero bel chiara sembianza Pag. 64

(Arrighi B.)
Alma gentile che già foste al paro » 122

(Aragona)
Alma gentile in cui l' eterna mente » 55

(Strozzi F.)
Alma gentile ove ogni studio pose » 115

(Aragona)
Almo Pastor che godi alle chiare onde » 10

(Muzio G.)
Amore ad ora ad or battendo l' ale » 74

(Aragona)
Amore un tempo in così lento foco » 43

(Muzio G.)
Amor nel cor mi siede e vuol ch'io dica » 69

(Lo Stesso)
Anima bella che da gli alti chiostri » 71

(Aragona)
Anima bella che dal Padre Eterno » 18

(De' Medici I.)
Anima bella che nel tuo bel lume » 109

(Aragona)
Bembo, io che fino a qui di grave sonno Pag. 22

(La stessa)
Ben fu felice vostro alto destino » 53

(Camillo G.)
Ben fu tra gli altri avventuroso il giorno » 108

(Aragona)
Ben mi credea fuggendo il mio bel sole » 60

(La stessa)
Ben si richiede al vostro almo splendore » 21

(La stessa)
Ben sono in me d' ogni virtute accese » 30

(La stessa)
Bernardo, ben potea bastarvi averne » 39

(Muzio G.)
Canti chi vuol le sanguinose imprese » 136

(Arrighi A.)
Come di dolce più che d' agro parte » 118

(Muzio G.)
Dal mio mortal co 'l mio immortal m' involo » 93

(De' Benucci L.)
Deh, non volgete altrove il dotto stile » 125

(Muzio G.)
Dive ch' al suon de la dorata cetra » 148

(Aragona)
Dive che dal bel monte d' Elicona » 13

(Muzio G.)
Donna a cui 'l santo coro ognor s' aggira » 91

(Varchi B.)
Donna che di bellezza e di virtute » 100

(Muzio G.)
Donna che sete in terra il primo oggetto » 70

(Lo stesso)
Donna gentile i cui beati ardori Pag. 87

(Lo stesso)
Donna il cui grazioso e altero aspetto » 97

(Lo stesso)
Donna l' onor de' i cui be' raggi ardenti » 96

(Lo stesso)
Donna più volte m' ha già detto amore » 94

(Aragona)
Donna reale a i cui santi disiri » 16

(Muzio G.)
Donna se mai vedeste in verde prato » 82

(Aragona)
Dopo importuna pioggia » 35

(Muzio G.)
Ebbe la favolosa antica etade » 89

(Lo stesso)
È già gran tempo o Muse il mio suggetto » 165

(Aragona)
Felice speme che a tant' alta impresa » 45

(Muzio G.)
Fiamma che chiaramente il mio cor ardi » 80

(Aragona)
Fiamma gentil che da gl' interni lumi » 37

(Muzio G.)
Già fiammeggiava presso a l' aurea Aurora » 142

(Lo stesso)
Già risalito sopra l' orizzonte » 155

(Lo stesso)
Già vide alle sue sponde il gelid' Ebro » 90

(Aragona)
Ho più volte signor fatto pensiero » 29

(Muzio G.)
Il valor vostro Donna il cor m' incende Pag. 83

(Lo stesso)
In su le rive del superbo fiume » 85

(Aragona)
lo ch' a ragion tengo me stessa a vile » 51

(La Stessa)
lo che fin qui quasi alga ingrata e vile » 52

(Varchi B.)
lo non miro giammai cosa nessuna » 101

(Aragona)
La nobil valorosa antica gente » 24

(Muzio G.)
La sembianza di Dio che 'n noi risplende » 92

(Arrighi A).
L' aspetto sacro e la bellezza rara » 117

(Muzio G.)
Lasso onde avvien che qui non fa ritorno » 77

(Lo Stesso)
L' erboso prato e i verdeggianti allori » 177

(……)
Lieto viss' io sotto un bianco lauro » 65

(Aragona)
Mentre ch' al suon de' i dotti ornati versi » 27

(Muzio G.)
Mentre le fiamme più che 'l sol lucenti » 73

(Da Monte Varchi C.)
Mosso da l' alta vostra chiara fama » 129

(Aragona)
Nè vostro impero ancor che bello e raro » 13

(Vabchi B.)
Ninfa di cui per boschi, o fonti, o prati » 105

(Aragona)
Non così d' acqua colmo in mar discende Pag. 14

(La stessa)
Nuovo Numa Toscan che le chiar' onde » 9

(De' Benucci L.)
O fiumicel se 'l più cocente ardore » 124

(Muzio G.)
O novo esempio de l' eterna luce » 84

(Aragona)
O qual vi debb' io dire o Donna o Diva » 15

(Muzio G.)
Or di là se ne vien questa dolce ora » 76

(Porzio S)
Or qual penna d' ingegno m' assecura » 135

(Muzio G.)
O se tra queste ombrose e fresche rive » 78

(Aragona)
Ov' è misera me quell' aureo crine » 49

(Varchi B.)
Per non sentir la turba iniqua e fella » 103

(Aragona)
Più volte Ugolin mio mossi il pensiero » 28

(Camillo G.)
Poi ch' a la vostra tanto alma beltade » 107

(Bentivoglio E.)
Poi che lasciando i sette colli e l' acque » 113

(Aragona)
Poi che mi diè natura a voi simile » 42

(La stessa)
Poi che rea sorte ingiustamente preme » 26

(La Stessa)
Porzio gentile a cui l' alma natura » 54

(La stessa)
Poscia, ohimè, che spento ha l' empia morte Pag. 5

(Muzio G.)
Quai d' eloquenza fien sì chiari fiumi » 98

(Aragona)
Qual vaga Filomela che fuggita » 44

(Muzio G.)
Quando, com' Amor vuol, la donna mia » 88

(Varchi B.)
Quando doveva ohimè l' arco e la face » 99

(Tolomei C.)
Quando la Tullia mia che vien dal cielo » 130

(Muzio G.)
Quando 'l raggio del bel ch' in voi risplende » 72

(Aragona)
Quel che 'l mondo d'invidia empie e di duolo. » 33

(La stessa)
Sacro pastor che la tua greggia umile » 56

(La stessa)
S' a l' alto Creator de gli elementi » 17

(Muzio G.)
Sebben gli occhi e l' orecchie alcuna volta » 95

(Martelli U.)
Se bella voi così le Grazie fero » 133

(Aragona)
Se ben pietosa madre unico figlio » 47

(Varchi B.)
Se da i bassi pensier talor m' involo » 104

(Lo Stesso)
Se di così selvaggio e così duro » 102

(Aragona)
Se forse per pietà del mio languire » 48

(La stessa)
Se gli antichi pastor di rose e fiori Pag. 5

(La stessa)
Se 'l ciel sempre sereno e verdi i prati » 34

(De' Medici I.)
Se 'l dolce folgorar de i bei crini d' oro » 110

(Martelli N.)
Se 'l mondo diede allor la gloria a Arpino » 132

(Martelli U.)
Se lodando di voi quel che palese » 134

(Molza B.)
Se 'l pensier mio, ov' altamente amore » 112

(Grazzini A.)
Se 'l vostro alto valor, Donna gentile » 131

(Aragona)
Se materna pietate affligge il core » 59

(De' Benucci L.)
Se per lodarvi e dir quanto s' onora » 123

(Aragona)
Se veston sol d' eterna gloria il manto » 41

(La stessa)
Siena dolente i suoi migliori invita » 40

(La stessa)
Signor che con pietate alta e consiglio » 11

(La stessa)
Signor d' ogni valor più d' altro adorno » 8

(La stessa)
Signore in cui valore e cortesia » 23

(La stessa)
Signor nel cui divino alto valore » 57

(La stessa)
Signor pregio e onor di questa etade » 7

(Arrighi A.)
S' il dissi mai ch'io venga in odio a voi. Pag. 119

(Aragona)
S' io 'l feci unqua, che mai non giunga a riva » 46

(Muzio G.)
Sogni chi vuol di riportar corona » 86

(Lo Stesso)
Spirto felice in cui sì rare e tante » 81

(Aragona)
Spirto gentil che dal natio terreno » 20

(La stessa)
Spirto gentil che vero e raro oggetto » 38

(Molza B.)
Spirto gentile che riccamente adorno » 111

(Muzio G.)
Spirto gentile in cui sì chiaramente » 79

(Aragona)
Spirto gentil s' el giusto voler mio » 50

(Arrighi A.)
S' un medesimo stral due petti aprio » 120

(Muzio G.)
Superbo Po ch' a la tua manca riva » 75

(Lo Stesso)
Torniamo o Muse a i pianti e ai sospiri » 172

(Camillo G.)
Tullia gentile a le cui tempie intorno » 106

(Dalla Volta S.)
Tullia mostro miracol Sibilla » 128

(Strozzi F.)
Uscendo 'l spirto mio per seguir voi » 116

(Bentivoglio E.)
Vaghe sorelle che di trecce bionde » 114

(Aragona)
Varchi, da cui giammai non si scompagna Pag. 31

(La stessa)
Varchi, il cui raro e immortal valore » 32

(Giovenale L.)
Vide già la famosa antica etade » 126

(Aragona)
Voi ch' avete fortuna sì nemica » 36

(Martelli L.)
Voi che lieti pascete ad Arno intorno » 127

(Arrighi B.)
Voi che volgete il vostro alto disio » 121

Pag. 9 linea 3 oh' ebbe leggi ch' ebbe

» 23 » 9 effetto » affetto

» 25 » 12 per me » Io per me

» 37 » 5 tue » tua

» 38 » 5 affetto » effetto

» 64 » 4 ohe » che

» 86 » 4 e 'l » 'l

» 106 » 6 semenze » sentenze