Tullia d'Aragona
Dialogo della infinità di amore
Edited by Carlo Téoli
Milano: G. Daelli, 1864
PROEMIO DELL' EDITORE
[p. V]
Le forze della penna non solo hanno trasmutato
in esempj d' onestà le donne meno
oneste, per renderle decenti ed accettevoli,
ma posto in onore anco le cortigiane. Il divino
Ariosto diceva della fedeltà serbata da
Penelope ad Ulisse in mezzo ad un reggimento
di Proci, e inchiudendo anche nell'ironia
le più gravi favole greche:
Tutt'al contrario l'istoria converti;
Che i Greci rotti, che Troia vittrice,
E che Penelopèa fu meretrice.
Ma lo Sperone in uno di quei Dialoghi, in
cui si desiderava tanto e si supplicava ardentemente
di aver luogo, introduceva a favellar
[p. VI]
d'amore Tullia d'Aragona, quasi un'altra
Diotima, anzi a far all' amore con Bernardo
Tasso, presenti ed accettanti, o frementi,
Niccolò Grazia, e un altro spasimante,
Francesco Maria Molza; il che pareva all'
Aretino, che lodava a cielo il dialogo, un
singolar premio all'impudicizia di lei.(1) Silvano
Razzi(2) spiegava, per le grazie non tanto
della bellezza quanto della nobiltà dell'animo,
il favore fatto da' più costumati e degni a
queste nuove etère, le quali competevano
co' principi nel corrompere gli scrittori, perchè
convertissero il vil piombo in oro obrizzo,
e talvolta elleno stesse si conducevano a scrivere,
[p. VII]
attutando l'infamia della vita nella fama
degli studj.
La Tullia ebbe anch' ella quell' escadron
volant, che Armida si tirò dietro dal campo
del severo Goffredo. Quell' innamorato dell'
Aurora, Bernardo Tasso, cadde facilmente;
egli era un Astolfo in amore; il grave. Sperone
spianò l'aggrottata fronte, e le ghignò di
dolcezza; il Muzio si deterse dalla polvere delle
sue battaglie cavalleresche, teologiche e gramaticali,
e s'adoprò per apparir adorno agli
occhi di lei; il Varchi, buon compagno, si
lasciò tirare a discorrere dell' Infinita' d'Amore,
e forse rivide le prove di stampa.
[p. VIII]
Dell' amore ella si coniava epistole, sonetti,
egloghe in sua lode, ed, accorta com' ella era,
conoscendo la frigidità de' letterati, che la
battezzano per platonismo, e la loro estrema
sensitività rispetto alla gloria, gli adulava ed
eccitava co' suoi versi, inebbriandoli col metterli
a paro del Numa Toscano(3) nella dispensa
delle sue impudiche lusinghe.
Con molta soavità di stile Alessandro Zilioli
narra il nascimento, la vita e gli studj
della Tullia, che al suo genetliaco rammezzava
la porpora cardinalizia col velo giallo
delle cortigiane. Era figlia dell'amore e visse
sacra all'amore. Noi, anzichè gittarle la pietra,
[p. IX]
ristampiamo il suo libro, che per altro
è onesto e non sente punto delle dubbie fragranze
del suo abbigliatoio. Lo ristampiamo
in bella forma, accuratamente, supplendo a
qualche parola rimasta fuori nell'unica edizione
del Giolito.(4) Noi non isperiamo alcuna
grazia da lei, nè dalle sue pari. Stamperemmo,
se avessimo tal frenesia, le Memorie
di Rigolboche, come ha fatto un bello spirito
francese. Noi volemmo senza più dar un esempio
della letteratura e dello stile delle belle
italiane del secolo decimosesto. E crediamo
che la Tullia farà loro onore per una certa
franchezza e disinvoltura, e anche talvolta
[p. X]
per una certa saporita fiorentinità, ch' ella
attinse per avventura dal suo consorzio coi
Fiorentini, e singolarmente col Varchi.
La poesia del Muzio perde allato alla prosa
del Zilioli: tanto è vero che i meno eloquenti
son gli amanti felici. Nell' Egloga, ov' egli
figura la Tullia sotto il nome di Tirrenia,
egli ombreggia il nascimento di lei tra le
frasche d'uno stile più scenico che pastorale.
Uno degli interlocutori, Dameta, racconta
così la stirpe e il patrio suolo di Tirrenia.
In quelle parti, ove si corca il sole
Si stende un onorato ampio paese,
[p. XI]
Lo qual dall'Oceano e dal mar nostro
È cinto d'ogni intorno. se non quanto
Lunga costa di gioghi s'attraversa;
E questi son chiamati i Pirenei.
Da questo monte un gran flume discende,
Il qual porta tributo al sale interno,
Ed Ibero è 'l suo nome; or quanto serra
Il giogo e l'acque dolci e l'acque salse
Vien nomato ARAGON. In quel paese
Già surse una onorata e chiara stirpe,
Ch'in tutti que' confin col suo vincastro
Diede legge a pastori ed a bifolci;
E questa dal paese il nome tolse.
Poi col girar del ciel, volgendo gli anni,
Passò l'alto legnaggio a' nostri liti,
Agl'italici liti; e s' alcun nome
Ci fu mai chiaro, o altero, sopra gli altri
[p. XII]
Questo gran tempo risonar s'udio.
Che donde di là in Adria il flume Aterno,
E di qua passa il Liri al gran Tirreno,
Quanto circonda il mar, fin là 've frange
L'orribil Scilla i legni ai duri scogli,
E quanto ara Peloro e Lilibeo
Solea già tutto alla famosa verga
Del generoso sangue esser soggetto.
Or fra molti altri uscío del chiaro sangue
Un gran pastor, che di purpuree bende
Ornato il crine e la sacrata fronte,
Com'amor volle un giorno, per le rive
Del vago Tebro errando, agli occhi suoi
Corse l'aspetto grazioso e novo
Della bella Iole. Questa tra le sponde
Nata del re de' flumi, ove si parte
L'acqua del suo gran flume in molti flumi,
[p. XIII]
Avca cangiato il Po coi sette poggi,
E di questa 'l pastor, di ch'io ragiono,
Caldo di dolce amor fe' 'l grande acquisto
Di lei, ch' or mi arde 'l cor d'aterno amore.
Non tacemmo che l'Aretino credè aver diritto
di vilipender la Tullia;(4) non taceremo
che Pasquino la fece favola al volgo.(5) Le
donne che ran getto dell'onestà, non ricomperan
la fama e il rispetto, per quantunque ingegno,
liberalità o ricchezza. Ma, se gli abbietti
trionfano della loro caduta, i buoni
ricoprono la loro nudità, e noi troviamo un
vero e santo repubblicano, Iacopo Nardi, che
rende onore alla Tullia.(6)
[p. XIV]
Se non che ella non guardava troppo per
sottile alla forma delle lodi; era un nettare
che le piaceva anche porto in una ciotola
di legno; anzi non si mostrava mai sazia,
e quando il Muzio mostrava affiocare ella il
punzecchiava così:
Visse gran tempo l'onorato amore
Ch'al Po già per me v'arse. E non cred'io
Che sia sì chiara flamma in tutto spenta
E se nel volto altrui si legge il core,
Spero ch'in riva d'Arno, il nome mio,
Alto sonare ancor per voi si senta.
[p. XV]
È curioso trovare il Lasca al fondo del
calice. Ella già attempatetta lo lusinga accortamente
nella sua nuova passione:
Io che fin qui quasi alga ingrata e vile
Sprezzava in me così l'interna parte,
Come un di fuor, che tosto invecchia e parte
Da noi ben spesso nel più bello aprile,
Oggi, Lasca gentil, non pur a vile
Non mi tengo, mercè de le tue carte,
Ma movo ancor la penna ad onorarte
Fatta in tutto a me stessa dissimile.
E come pianta che suggendo piglia
Novo licor dall'umido terreno,
Manda fuor frutti e fior, benchè s'attempi,
[p. XVI]
Tal io potrei, si nuovo mi bisbiglia
Pensier nel cor di non venir mai meno,
Dar forse ancor di me non bassi esempi.
Se non che l'autunno de'belli è pur bello,
come diceva quel greco, e Ninon de l'Enclos
a sessant'anni dovea salvarsi dagli amanti.
Il Dialogo, disse David Hume, quando sia
ben condotto, accoppia i due più grandi e
puri piaceri della vita, lo studio e la conversazione.
Ma non ogni argomento si affà
sì bene alla forma dialogica, e i più acconci,
a detto dell' ingegnoso scozzese, son forse
i quesiti di filosofia così oscuri ed incerti che
la ragione umana non può eavarne il marcio;
[p. XVII]
ma lascian campo ad opinioni diverse e
plausibili, che sostenute da ingegni accorti e
facondi, porgono grande diletto. Non diremo
oscuro ed incerto assolutamente il quesito
dell'Infinita' d' Amore, non diremo che il
Varchi con la sua autorità non soffochi un
po' gli altri interlocutori, ma certo questo è
uno de' dialoghi più vivi che noi abbiamo,
nell' ordine più basso degli scritti letterari
del secolo decimosesto, e l'ardimento che
la Tullia trae dalla potenza del suo spirito
e della sua venustà fa di lei piuttosto una
spiritosa argomentatrice, che una stupida discepola.
Il Benucci pare veramcnte, come si
[p. XVIII]
ritrae anche da un suo sonetto alla Tullia,
quello che modernamente si direbbe piuttosto
un arazzo, che un interlocutore.
Tu corrompi la gioventù, diceva a Glicera,
regina di Tarso e di Menandro, il filosofo
Stilpone. — Che importa, se la diverto! ella
rispose; tu, o sofista, tu la corrompi, ma l'annoi.
Desideriamo che la Tullia, la quale non
può più sedurre, anche con questa sua infinita'
possa ripetere senza menzogna il vanto
di quella sua avola.
Carlo Téoli.
[p. XIX]
NOTE AL PROEMIO
1. L'Aretino in una lettera datata — di Venezia il
6 giugno 1537 — scrive allo Sperone, esaltandogli
il Dialogo, che il Grazìa gli aveva letto in casa sua:
« La Tullia ha guadagnato un tesoro, che per sempre
spenderlo mai non iscemerà, e l'impudicizia
sua per sì fatto onore può meritamente essere
invidiata e dalle più pudiche e dalle più fortunate ».
2. Nella commedia del Razzi intitolata la Balia, a
car. 26, dell'ediz. di Firenze 1560, in 8, in fine della
Scena settima dell'Atto Terzo:
Livio (Padrone). Io non conobbi mai giovane di più
alto animo di lei, e di più elevato spirito.
Brozzi (Famiglio). O degli uomini inferma e instabil
mente! Pur ora la chiamate P.…, e femmina di
mondo, ed ora per contrario dite tanto ben di lei?
Livio. Sarebbe forse la prima nobile, e d'animo
grande che è stata P…? Che è stata la Tullia d'Aragona,
Isabella di Luna, ed altre?
3. Ella cosi chiama Cosimo I in un sonetto, di cui
riportiamo le quartine:
[p. XX]
Nuovo Numa Toscan, che le chiar' onde
Del tuo bel flume innalzi a quegli onori
Ch'ebbe già il Tebro, e le stelle migliori
Girano tutte al gran valor seconde,
Le tue virtuti a null'altre seconde
Alto suggetto ai più famosi cori,
Dall'Arbia, ond' oggi ogni bell'alma è fuori,
Mi trasser d'Arno alle felici sponde.
4. Le parole supplite son poste tra virgolette.
5. Passione d'amor di mastro Pasquino per la partita
della signora Tullia e martello grande delle
povere cortigiane di Roma con le allegrezze delle
Bolognesi. — Tirab. VII, 1172.
6. Iacopo Nardi innamorato anch'egli di lei, avendo
tradotta in lingua toscana 'l'Orazione di M. Tullio
Cicerone per Marco Marcello, che uscì alle stampe
in Venezia per Gio: Antonio De'Niccolini nel 1536
in-8., nella lettera, con la quale la indiresse a Gian
Francesco Dalla Stufa, gentiluomo florentino, lo incaricò
di presentare la sua traduzione alla Tullia,
"che per se stessa oggi dirittamente da ogni uomo
è giudicata unica e vera erede (così come del nome)
di tutta la tulliana eloquenza:" L'espressione,
dice Apostolo Zeno, è del Nardi.
[p. XXI]
BREVE VITA DI TULLIA D' ARAGONA TRATTA DALLA STORIA DEI POETI ITALIANI DI ALESSANDRO ZILIOLI CON NOTE DI GIAMMARIA MAZZUCHELLI
“ La Tullia d' Aragona, che con tanta fama
di virtù e di bellezza visse nell'età passata,
nacque in Roma(1) dal sangue chiarissimo d' Aragona,
e di quella casa, che con lunga prosperità
ne'secoli antecedenti aveva tenuto il
regno di Napoli, perchè fu suo padre Pietro
Tgliavia d' Aragona, arcivescovo di Palermo,
cardinale di santa chiesa, il quale innamorato
di Giulia Ferrarese, donna bellissima de'suoi
tempi, ne ricevè di lei furtivamente questa figliuola.
Passò ella i primi anni della gioventù
sua fra le delizie e le comodità d'una onorata
fortuna, che l'amorevolezza del padre le aveva
[p. XXII]
lasciata, attendendo agli studj, ne' quali fece
tanto profitto, che non senza stupore degli uomini
dotti fu sentita, in età ancor fanciullesca,
disputare e scrivere nel latino e nell'italiano
cose degne d'ogni maggior letterato; onde, arrivata
al fine dell'età, e accompagnando alla sapienza
e virtù sua un'esquisita delicatezza di
maniere e di costumi, s'acquistò il nome di compitissima
sopra ogni altra donna del tempo
suo. Compariva con tanta leggiadria in pubblico,
e con tanta venustà, ed affabilità d' aspetto,
che, aggiungendovisi la pompa e l'ornamento
degli abiti lascivi, pareva non potersi
ritrovare cosa nè più pulita nè più gentile di
lei. Toccava gl'istrumenti musicali con dolcezza
tale, e maneggiava la voce cantando così
soavemente, che i primi professori degli esercizj
ne restavano maravigliati. Parlava con
grazia ed eloquenza rarissima sì che, o scherzando,
o trattando da vero, allettava e rapiva,
come un' altra Cleopatra, gli animi degli
ascoltanti, e non mancavano nel volto suo sempre
vago e sempre giocondo quelle grazie
maggiori, che in un bel viso per lusingar gli
occhi degli uomini sensuali sogliono esser desiderate.
Onde non debbe esser maraviglia s'ella
abbia avuto tanta copia d'amanti, e particolarmente
r' poeti, i quali a guisa di veltri
[p. XXIII]
affamati seguitandola a colpi di sonetti, e di
canzoni, si sforzavano d'atterrarla, e di farla
preda delle loro ingorde voglie, non senza gusto
di lei, che compiacendosi, secondo l' incli
nazione comune delle femmine della sua bellezza,
e d'essere vagheggiata, nutriva con varj
artifizj l'affetto de'suoi divoti, e gli rendeva
molte volte, poetando co' favori della Poesia
anche in contraccambio degli amori, i complimenti
loro. Si ricordano fra gli amici più
stretti di costei i nomi di Giulio Camillo, di
Francesco Maria Molza, benchè avesse il mal
francese, d' Ippolito de' Medici cardinale, di
Ercole Bentivoglio, d' Alessandro Arrighi, di
Filippo Strozzi, di lattanzio Benucci, di Benedetto
Varchi medesimo, e d'altri molti valorosi
poeti; ma più di tutti vissero mortalmente
innamorati di lei Girolamo Muzio, il famoso
scrittore, e Pietro Manelli da Firenze,
del quale cantò ella in quel sonetto.
Quel vaga Filomena, che fuggita
È dall'odiata gabbia, ed in superba
Vista sen va tra gli arboscelli e l'erba
Ternata in libertate, e in lieta vita.
Er' io dagli amorosi lacci uscita,
Schernendo ogni martire, e pena acerba
Dell' incredibil duol, che in sè riserba
Qual ha per troppo amar l' alma smarrita.
[p. XXIV]
Don avev' io ritolte, ahi stella fiera!
Dal tempio di Ciprigna le mie spoglie,
E di lor premio me n'andava altera;
Quando a me, Amor le tue ritrose voglie
Muterò, disse, e femmi prigioniera
Di tua virtù, per rinovar mie doglie.
Visse la Tullia gran tempo in Ferrara, ed
in Roma(2), di dove partendosi dopo la morte
del marito, si ritirò in Firenze sotto la protezione
di Leonora Toledo, duchessa di quella
città, alla quale, essendo già fatta mezza vecchia
d'anni e d'aspetto, per rinovar la memoria
dei suoi meriti appresso i letterati, dedicò
un libro di rime, accoppiandovi quelle
che molti dei suoi più affezionati in gloria di
lei avevano scritte. Scrisse oltre alle rime un
dialogo, ed avrebbe anche mandate fuori altre
cose, che tuttavia componeva, se la morte
interponendosi non l'avesse levata dal mondo,
non essendo ancora arrivata all'ultima vecchiezza,
siccome Pietro Angelio da Barga valentissimo
astrologo, forse per acquistare seco
qualche grazia, gli aveva ampiamente promesso.
[p. XXV]
NOTE ALLA VITA
1. Il Crescimbeni, nel Vol. IV dell'Istor. della Voly.
poesia, a carte 67, con qualche diversità parla del
luogo di sua nascita, mentre la suppone nata in
Napoli, e che sia stata da fanciulla portata in Roma,
e qui allevata. Dietro al Crescimbeni ha scritto lo
stesso il signor Gio. Bernardino Tafuri, nel Tom. III,
Par. I, degli Scrittori nati nel regno di Napoli, a
car. 458
2. Il Crescimbeni nel sopraccitato luogo scrive in
oltre ch'ella visse del tempo in Venezia, ove ben sovente
ebbe occasione di costumare co'maggiori valentuomini,
che allora florissero in quella città, ecc.
[p. XXVII]
CATALOGO Delle Opere di Tullia d' Aragona compilato DA GIAMMARIA MZZUCHELLI
I. Rime. In Venezia presso il Giolito 1547
con dedicatoria a Leonora di Toledo duchessa
di Firenze. Di nuovo 1549 e 1557 in 8, e ivi
per lo stesso 1560 in 12. In Napoli per Antonio
Bulifon 1693 in 12, ed in Venezia 1597
in 12. Sue poesie si trovano pure sparse in
varie raccolte. Un suo sonetto, e una canzone
si leggono nel VI Lib. delle Rime di diversi,
raccolte da Girolamo Ruscelli a car. 182. In
Venezia per Giammaria Bonelli 1553 in 8.
Altro sonetto si trova nel I Volume delle Rime
scelti di diversi autori a car. 306. In Venezia
appresso il Giolito 1563 in 12. Un sonetto
si ha a car. 40 del Lib. I. delle Rime
[p. XXVIII]
Spirituali ecc. In Venezia al segno della speranza
1550. in 16, e altro Sonetto si legge a
car. 561, delle Rime di diversi, raccolte da
Andrea Arrivabene. XIV Sonetti sono fra i
Componimenti poetici delle più illustri rimatrici
d' ogni secolo, raccolti da Luisa Bergalli,
nel Tom. I, a car. 110 e segg. Un suo
Sonetto ha pubblicato il Crescimbeni come per
saggio del suo stile, nel Vol. IV. De' Coment.
intorno all'Istor. della Volg. Poesia a car. 68,
ed altrove, cioè nel Vol. I, a car. 36, ha riferita
una sua stanza, come per esempio di
simili componimenti. Altro Sonetto sta nel
Vol. I, della Raccolta del Gobbi a car. 532,
della quarta edizione.
II. Dialogo dell'Infinità d'Amore. In Venezia
presso il Giolito 1547 in 8.
III. Il Meschino, o il Guerino. Poema (in
ottava rima). In Venezia per Gio. Battista e
Melchior Sessa 1560, in 4. Questo Romanzo
o sia Poema, ch' è diviso in XXXVI Canti,
e fu tratto da un vecchio romanzo spagnuolo
in prosa, un'edizione del quale v' è, forse la
prima, fatta nel 1480; si chiama dal Gordon
di Percel(1) assez rare, et fort estimé par les
plus habiles Littérateurs d'Italie: Molto maggiore
è l'elogio che ne fa il Crescimbeni nel Vol. I,
a car 341, dicendo che nella tessitura può paragonarsi
[p. XXIX]
all' Odissea del medesimo Omero.
Noi però lo troviamo pieno di fatti inverisimili,
e contrari affatto alla Storia, alla Cronologia,
e alla Geografia. Ella si è espressa(2)
d'averci voluto dare un Poema che niente
avesse di lascivo, o di disonesto, ma ciò
ch'ella narra nel Canto X di Pacifero innamorato
di Guerino, ed altrove, ci fa conoscere
non aver poi conseguito il suo fine. Aggiunge
d'averlo tratto dallo Spagnuolo; ma,
se fu così, ella si servì d'una traduzione in
lingua Spagnuola e non già del Testo Originale,
mentre si vuole(3) che questo fosse
scritto in lingua antica italiana. Anche in
lingua francese se ne ha una traduzione, la
quale fu impressa in Lione per lo Morino
in 4, senza nota di anno.
IV. Qui aggiugneremo come in una raccolta
di Lettere di diversi Autori scritte a
Benedetto Varchi, che MSS. si conservano in
Firenze in un testo a penna della libreria
Strozziana, segnato del n. 481, alcune se ne
leggono pure della nostra Tullia d'Aragona.
[p. XXX]
NOTE AL CATALOGO
1. Biblioth. des Romans, Tom. II, pag. 193
2. Sua Lettera, o sia Prefazione avanti il Meschino.
3. Si vegga il Crescimbeni nel Vol. I, a car. 331,
dell'Istor. della Volg. Poesia, e il Fontanini nel
lib. I, al cap. 26, dell' Eloquenza italiana.
Produced by the University of Chicago Library.
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