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Laura Battiferra Ammannati
Lettere di Laura Battiferri Ammannati a Benedetto Varchi
Edited by Carlo Gargiolli
Bologna: Gaetano Romagnoli, 1879

[Introduction]

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Un libro curioso e importante resta ancora da scrivere in Italia: la storia della nostra letteratura femminile. E potrebbe riuscir libro stupendo, a chi sapesse ben farlo, perchè oltre darci una bella pagina di storia letteraria, nè la meno utile nè la meno istruttiva, da Nina Siciliana a Giannina Milli, da Caterina da Siena a Caterina Ferrucci, gioverebbe a colorire un quadro efficace e gradevole della nostra civiltà, tanta in ogni tempo è stata l' azione della donna
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ne' costumi, negli usi, nelle vicissitudini, nelle credenze, tanti sono i punti di contatto e di raffronto tra le lettere femminili e la vita civile e religiosa del popolo, tra la famiglia, dov' ella è regina ed educatrice, e gli avvenimenti più gloriosi e più nefasti della società umana. Ma ad un così fatto lavoro ci vuol ingegno e dottrina, che mancano a me: e se più di una volta (vedete presunzione!) mi è venuto il pensiero d'imprendere un'opera simile, e ho cominciato pure a raccoglier qualche materiale al bisogno, mi sono guardato però sempre fin qui dal lasciarmi vincere da una tentazione, cui forse non saprò resistere un giorno, quando abbia maggior quiete e comodo agli studi, non perch'io senta in me le forze rispondenti all'argomento, ma perchè un libro fatto male da me muova altri a far meglio. Per oggi non voglio neanche
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tentarlo: se ne consolino i pochi e dottissimi lettori di questa Scelta. Mi basta offrir loro un mazzetto di lettere inedite, che trovo tra le mie vecchie ricerche, e che può giovare a far meglio conoscere una poetessa di quel secolo XVI, che fu sì fertile di rimatrici lodate.

La mia poetessa è Laura Battiferri: una donna, che ebbe da natura nobile ingegno ed anima delicata, e che con lo studio della filosofia innalzò il culto delle lettere, e nel sentimento della religione purificò la poesia dell'amore; sicchè fu ammirata da illustri contemporanei, come Bernardo Tasso, il Varchi, il Domenichi, il Baldi, l'Allori, il Grazzini, il Bargagli, il Razzi, e specialmente da quello squisito ingegno di Annibal Caro, che non solo ebbe per lei lodi e versi, ma che lei pur propose a Pietro Bonaventura come
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maestra al poetare(8-1) Lettere di Annibal Caro, vol. II, p. 193.. E di fatti, se la Battiferra, vissuta in quei tempi in che la lirica si perdeva quasi comunemente nella imitazione petrarchesca, e troppo si compiaceva delle eleganze artificiosamente studiate sulle orme di lui

Che Amore, nudo in Grecia e nudo in Roma, D'un velo candidissimo coperse,

non potè raggiungere tra gli erotici del cinquecento uno de'primi seggi per quelle qualità, ch'erano tenute allora, e anche poi, come principali doti dell' ottimo poeta; e se anzi in lei pure, come nella Vittoria Colonna e nella Gaspara Stampa, e forse più che in loro, ti si fanno sentire i difetti dell'età e della scuola; ciò nullameno mi sembra che, leggendo le rime di Laura, si incontri di quando in
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quando un qualche tratto di poesia vera per ispontaneità d'affetto e ingenuità di sentimento, anche dove la forma non risponda sempre all'intenzione dell'arte. Nè vi può essere poesia vera (predichi a sua voglia chi vuole) senza un gran sentimento o un gran pensiero, senza che la parola sia fatta anima nel cuor del poeta, il quale quando amore spira, nota, e a quel modo che detta dentro va significando; e quindi era ben difficile che potesse fiorire questa poesia tra' petrarchisti del secolo XVI, allora che la imitazione era loro fine e norma, e teneva luogo della ispirazione, dell' affetto, del pensiero. Ma Laura aveva in cuor suo un sentimento profondo di religione. S' ella fosse nata due secoli prima, in tempi di fede più viva e più potente, sarebbe riuscita forse una delle nostre migliori poetesse; ma cresciuta ed educata tra le tendenze
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pagane dall'una parte, e gli ascetismi di riflessione dall'altra, non ebbe virtù d' elevarsi al disopra de' contemporanei, e mentre ci duole doverla solo noverare tra le molte rimatrici del secolo, pure ci è grato vederla talvolta, specialmente nella poesia religiosa, staccarsi dalle pastoie della imitazione petrarchesca, sebbene purtroppo ricada di leggieri in altre pastoie non meno difettose di quelle.

Laura fu figlia naturale di Giovanni Antonio Battiferri d' Urbino; e nata nel 1523, morì nel novembre del 1589 a Firenze, dov' era andata fin dal 17 aprile 1550 moglie a Bartolommeo Ammanati, scultore e architetto di bella fama in que' tempi(10-1) Cfr. Baldinucci, Sec. IV, part. II.. La squisita educazione ricevuta nella casa paterna si andò sempre accrescendo e perfezionando in lei con lo studio
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indefesso, con la compagnia di quanti erano uomini cólti in Italia, e particolarmente con la severità della meditazione, che è principio di sapienza nelle anime gentili agli affetti della famiglia, della patria e della religione. Fra gli amici più cari e più fedeli di lei e del marito fu Benedetto Varchi, a cui ella ricorreva per consigli e per ammaestramenti, quasi le fosse maestro ed autore, e che sempre benevolo a tutti, con lei largheggiava di consigli e di ammaestramenti. E appunto dal carteggio del Varchi, che è raccolto manoscritto nella Biblioteca Palatina di Firenze, ho copiate le sedici lettere inedite della poetessa d' Urbino, delle quali faccio dono a questa collezione di Curiosità letterarie.

Ancona. 25 marzo 1879.

Carlo Gargiolli.

Notes to Introduction

8-1) Lettere di Annibal Caro, vol. II, p. 193.

10-1) Cfr. Baldinucci, Sec. IV, part. II.


Note

(1) Il marito di Laura Battiferra fu Bartolommeo Ammannati, nato in Firenze il 1511, morto nel 1592. Egli lasciò bella fama di architetto e di scultore per le opere fatte in Firenze, Padova e Roma; e non mancò di eleganza nello scrivere, come n'è prova la Lettera agli Accademici del Disegno (Firenze, Matini, 1687), citata dall'Accademia della Crusca nel suo Vocabolario. Il mio ottimo amico cav. Gaetano Milanesi pubblicò nel 1869 (Firenze, Tipografia Bencini) due lettere inedite di lui, che parlano dei lavori di scultura ch'egli avea preparati per l'apparato da farsi in Siena nella venuta del duca Cosimo de'Medici, e delle storie da porsi nella base di una colonna di granito, su cui doveva andare la statua in bronzo di quel duca.

(2) Maestro Antonio Crocini, intagliatore, a cui il Varchi scrisse il sonetto: Mentre lungo il Mugnon d'un verde pioppo ec.

(3) In morte di Caterina Cibo, duchessa di Camerino, scrisse Laura quattro sonetti, che son prova del-
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l'amore con che l'aveva amata in vita; e prova più sincera ne son le parole di questa lettera.

(4) M.o Francesco Lacomi da Montevarchi, celebre medico di quell'età, al quale la nostra Laura diresse il seguente sonetto:
 Nuovo Esculapio, che di Febo al paro
Di virtute ven gite e di splendore,
Poi che di lume, e non men di valore,
Sete or (qual ei fu già) dotato e chiaro;
 Ben deve il ciel, ben dee tenervi care
Il mondo tutto, poi ch'a quell'onore
Spento, rendete a questo quel vigore,
Che torna dolce il viver nostro amaro.
 Ond'io che dianzi infino a l'uscio corsi
Di lei, che l'erbe e i sughi vostri suole
Temer, quanto altri i suoi spietati morsi,
 Almo Francesco, mio terreno sole,
Quando d'esser per voi viva m'accorsi,
Vi sacrai l'alma, che v'ammira e cole.

(5) Due sono i sonetti a Madonna Lucrezia de'Soderini tra gli scritti dalla Battiferra, e non so certo qual sia quello che manda al Varchi con questa lettera. Il veder però che l'ha partorito fra tanti travagli di mente e di corpo mi fa credere possa essere il seguente, che pur in mezzo a certe freddure petrarchesche d'imitazione cinquecentistica, palesa lo stato dell'animo:
 Di fredda speme e calda tema cinta
In dubbia pace e certa guerra io vivo:
Me stessa a morte toglio, e tolta privo
Di vita, a un tempo vincitrice e vinta.
 Or mi fermo, or m'arretro, or risospinta
Cammino inanzi; or lento, or fuggitivo
Il passo muovo; or quanto in carta scrivo
Dispergo; or vera mi dimostro, or finta.
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 Piango e rido; or m'arrosso, or mi scoloro;
Or vo cara a me stessa, or vile; or giaccio
In terra, or sovra 'l ciel poggiando volo.
 Talor quel ch'io vorre; disvoglio e scaccio,
Me stessa affliggo e me stessa consolo:
In tale stato ognor vivendo moro.

(6) In questa, come in altre lettere posteriori, si parla di alcuni affari domestici di Laura e del marito di lei, pei quali il buon Varchi volentieri usava della sua autorità e delle sue molte amicizie, affine di giovar loro.

(7) Lelio Bensi fu uomo di molte lettere e amicissimo di Benedetto Varchi, con cui ebbe frequente corrispondenza poetica.

(8) Il sonetto del Varchi, di cui si parla qui, è forse quel che comineia: Amor per sua bontà l'ali oggi impiume, e che risponde all'altro di Laura:
 Varchi, ch'al ciel le gloriose piume
Qual bianco cigno eternamente alzate
Cinto le tempie delle vostre amate
Frondi, e sì care al gran rettor del lume;
 Se chi voi lodar vuole, invan presume
Rendervi conto alla futura etate;
Se le glorie presenti e le passate
Sono al vostro valor picciol volume;
 Io come mai potrò pur col pensiero
L'orme di voi seguir, presso o lontano,
Che 'n terra giaccio angel palustre e roco?
 Ben ho provato sopra il corso umano
Ergermi dietro il vostro raggio altero,
Ma tosto Icaro fui tremante e fioco

(9) Il sonetto di Lelio Bonsi comincia: Quando da lungo e grave sonno desta, ed è pubblicato nel Primo libro delle opere toscane di Laura, insieme alla risposta di lei, che è la seguente:
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 Anima bella, che leggiera e presta,
Con le piume ch'altere ti donaro
Tuo merto e altrui valor pregiato e raro,
Ten voli a vera gloria e manifesta;
 Che può la mia, a cui fera e molesta
S'oppon fortuna, sì che 'n molto amaro
Cangia 'l suo poco dolce, e Febo avaro
Quanto a te largo i suoi tesor non presta;
 Se non seguir così gravosa e zoppa
La luce tua, che lo più chiare stelle
Avanza e di virtute e di chiarezza?
 Nè altra strada cerch'io, perchè favelle
Di me la gente in Elicona avvezza,
Scevra da lei ch'a tergo mi galoppa.

(10) Forse parla dell'altro sonetto a Lucrezia de' Soderini: Così come in un forte animo altero ec.

(11) Credo la nostra Laura voglia parlare del gran Benvenuto Cellini, e di quel sonetto che a lui indirizzò il Varchi, per consigliarlo a lasciar le basse cose del mondo,

E tutta ergere al ciel la nostra spene.

(12) M.o Francesco da Montevarchi, di che è parlato più sopra.

(13) V. tra le Rime di Benedetto Varchi e tra' sonetti pastorali quelli ricordati qui da Laura Battiferra.

(14) Maestro Antonio Crocini s. c.

(15) M. Michelangiolo Vivaldi, amico del Varchi, e poeta di qualche valore.

(16) M. Luca Martini, cui è indirizzato il sonetto:
 Deh! se quel vivo, chiaro sol, che luce
Sì, che non pur lo suo toscan paese
Rischiara e desta a gloriose imprese,
Ma 'l mondo tutto al primo opra conduce;
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 A quella chiara vostra e viva luce,
Che mai non eclissò, largo e cortese
Giunga sempre splender, che senza offese
Di nebbie o venti altrui sia scorta e duce;
 Lasciate (prego) le pisane sponde,
Luca gentile, e venite ove Flora
Vostra vi chiama ognor tanti anni indarno.
 Ella vi chiama, ma nessun risponde:
Venite omai, chè qui sarete ancora
Utile e caro al duce d'Arbia e d'Arno.

(17) Girolamo Razzi, uomo di buone lettere, che ebbe fama specialmente per alcune commedie, fu fratello a Don Silvano, uno dei migliori amici del Varchi, del quale scrisse la vita.

(18) Si hanno tra le rime della n. Laura tre sonetti al signor Chiappino Vitelli, capitano valoroso, che cominciano:
Se gli antichi scrittori ornar le carte ec.
Non l'alta penna e no 'l purgato inchiostro ec.
Chi mi darà di sacra quercia altera ec.

(19) Alla signora Leonora Cibo de'Vitelli, moglie di Chiappino, son indirizzati varii sonetti della Battiferra. Quello di che si parla nella presente lettera e da credere sia il primo:
 O di casta bellezza esempio vero,
E di rara virtude ardente raggio,
Donna, che 'n questo uman cieco viaggio
Ne mostrate del ciel l'alto sentiero;
 Voi sola il nostro verno ingrato e nero
Cangiate in chiaro e grazioso maggio
Voi sola, col parlar cortese e saggio,
Rendete umile ogn'aspro ingegno e fero;
 Tal ch'io, che vaga son del vostro lume,
Con l'ali del pensier tant'alto ascendo,
Quanto in bianco angel basta a cangiarme.
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 Indi, fuor d'ogni mio vecchio costume,
Da Voi, dalla stagion novella prendo
Tanto vigor, ch'io sento eterna farme.

Alla medesima Leonora Vitelli dedicò Laura l' Inno di santo Agostino tradotto in versi sciolti, e l'egloga L'Europa.

(20) Giov. Batta Strozzi, detto il vecchio, che fu l'autore dell'epigramma, a cui forse vuol alludere qui la n. Laura, in lode di quella stupenda notte che Michelangiolo avea scolpita per le tombe medicee:
La notte che tu vedi in sì dolci atti
Dormire, fu da un Angelo scolpita
In questo sasso; e, perchè dorme, ha vita:
Destala, se nol credi, e parleratti.

(21) Il primo libro dell'opere toscane di M. Laura Battiferra degli Ammannati. In Firenze, appresso i Giunti, MDLX.

(22) Ecco la dedicatoria, di che si parla, quale leggesi innanzi al volume stampato dai Giunti:

All' illustrissima et eccellentissima signora, la S. Leonora di Tolledo, Duchessa di Firenze et di Siena, Signora e padrona sua osservandiss.

Io pensava ad ogn'altra cosa più, Illustrissima et Eccellentissima Signora Duchessa, che a dover fare in questi tempi alcuno stampare de'componimenti miei, ma havendo io da persone degne di fede per cosa certissima inteso, che alcuni havendone già buona quantità ragunati, e cercando tuttavia di ragunarne degli altri, volevano senza non dico licenza, ma saputa mia publicargli, mi commossi non poco, e non sappiendo altro che farmi, mi risolvei per minor male, con licenza di mio marito, e consiglio di più amici, di dargli alla stampa io medesima, e indirizzargli al glorioso nome di V. E. Illustr., non perchè io gli credessi degni di tanta altezza, ma per mostrarlemi
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in quel modo, che io poteva, se non del tutto grata, almeno ricordevole in parte de'benefizii, che Ella e l'Illustrissimo signor Duca hanno fatto e fanno tutto il giorno molti e grandissimi a me e a M. Bartolomeo mio marito, il quale non desidera altro insieme con esso meco, che di potere sì come fedelmente, così degnamente ancora, servirle. Degnisi dunque Vostra Eccellenza Illustrissima per la natia bontà e infinita liberalità sua, prendendo in grado l'osservanza e divozione sua e mia ver lei, accettare queste mie fatiche, qualunque si siano, e mantenerci nella buona grazia di lei e dell'Illustrissimo et Eccellentissimo consorte suo, il quale nostro Signor Dio insieme con esso lei, e con tutta l'Eccellentissima et Illustrissima Casa loro conservi lunghissimo tempo sano e felice.

Di V. E. Illustriss.

Humiliss, e divotiss, serva
Laura Battiferra Degli Amannati.

(23) V. i sonetti, che cominciano:
«A voi donna real consacro e dono ec.»
«Felicissima donna, a cui s'inchina cc.»

(24) G. A. dell'Anguillara di Sutri, celebre per la sua traduzione in ottava rima delle Metamorfosi di Ovidio.

(25) Lucia Bertana, letterata modanese, della quale nel carteggio B. Varchi si trova una lettera a lui scritta in questo medesimo anno, che mi piace pubblicare come inedita:

Molto Mag.co S.r come maggior fratello oss.mo

Quel lungo desiderio, ch'io ebbi sempre di visitare et conoscere V. S. con mie lettere, non l'avendo mai adempito per diverse cagioni, mentre che mi pareva quasi una mera prosuntione, senza il mezzo di alcuna persona, fare un simile effetto, ora mi è concesso di poterlo conseguire mediante il mezzo del gentiliss.o
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Mr. Gherardo Spina, che da coteste bande viene per sue faccende. Ond'io non ho voluto perdere così accomodata occasione, ma ho significato a lui quel puro affetto ch'io porto alla virtù et valor suo, et a così virtuoso testimonio ho dato un mio sonetto a lei, qual egli si sia, non mi parendo con V. S. necessarie le scuse, che in ciò li potessi adurre; ch'io sono stata ardita, roco augello, presentare i miei canti a così canoro cigno, et questo doverei bene scusare. Ma io mi sono confidata nella sua gentilezza immensa, che tutto accettar debba da me cortesemente, scusando la mia ignoranza, et agradendo il mio buono et sincero animo verso di lei. Ma perchè, dicendo con più parole quello che meglio di me spiegherà il detto Mr. Gherardo, io porgerei a V. S. tedio et a me fastidio, mercè della mia poca sofficienza, a lui mi rapporto; et a lei in queste bande, o dove io possa, mi offero in ogni sua occorrenza, et raccomando con il s.r mio consorte.

Di Modona, alli XX di settembre 1561.

Di V. S. Mag.ca et virtuosa

come sorella amor.ma
Lucia Bertana.

(26) Pier Vettori (n. 1499, m. 1585) fu uomo dottissimo nelle lettere greche e latine, e giovò nel suo secolo agli studi classici con l'erudizione e con la critica, quanto nessun altro filologo de' secolo XVI. Sarebbe opera degna de'nostri tempi una raccolta degli scritti di lui.

(27) Intorno a questa quistione ecco una lettera dottissima del Varchi alla n. Laura, che è necessario compimento delle parole di lei:

Molto Magn. e Virtuosiss. M. Laura
sig. mia osseq.

Io ho ricevuto e letto e considerato questa sera la
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lettera di V. S., nella quale erano il vostro sonetto che comincia:
Casale, oimè, che dite voi di quella,
Che 'l mondo tutto in un momento attrista?
e oltra il sonetto due polizze, la prima delle quali dice così: Le difficultà son queste a dichiararlo come egli fa: una a interpetrare sgombri idest porti, con ella idest seco, starebbe benissimo, se non quant'io non truovo sgombrare in alcun luogo per portare; l'altra, a pigliare sgombri nel suo vero significato, idest vuoti, scacci e mandi via, a me par duro questo modo di parlare. La morte, che qui è agente, fa la tal cosa con sè stessa, parola in tutto vana e ociosa. La seconda polizza, la quale è del medesimo sentimento che la prima, ma per quanto si può giudicare di diversa persona ricercata del suo parere, è questa: Dico adunque che io credo che sia vero che sgombrare non si truovi appresso lodato scrittore in significato di portare, e però concorro nel parere di coloro che lo dannano interpetrandolo in quel primo modo. Non credo anco che possa stare nel secondo modo, dove si pone nel suo vero significato di votare, levare, o di mandar via, per la medesima ragione che in essa polizza s'adduce. E mi scrivete questa disputa esser nata sopra i due ultimi versi del primo quadernario del sonetto allegato di sopra:
Parv'ei che quanto in molti anni s'acquista
Repentina e crudel sgombri con ella.

E soggiugnete che avendo voi raccontato costì ad alcuni la disputa, e mostrato le due polizze, siate stata consigliata o di non rispondere o di rispondere in baia, perchè in Firenzo è noto insino a'facchini che sgombrare si piglia per portare, e par loro che quella parola vana e ociosa castelvetreggi, e anco la
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seconda ne sappia alquanto; e mi ricercate che io vi debbia dire il parer mio; il che io, se bene sono occupatissimo in altri e diversissimi studi, non posso ne debbo nè voglio non fare.

E prima lodo la dolce natura e prudenza vostra, la quale s'è resoluta prima di rispondere, e poi di rispondere umanamente, come al suo e a tutti gli altri gentili spiriti si conviene; e se bene pare anche a me che quella parola vana e ociosa tenga un non so che di M. Lodovico Castelvetro, tuttavia questo che fa alla dispusputazione? Confesso ancora che in Firenze è notissimo infino a'facchini, anzi a'facchini più che agli altri, che sono quegli i quali portano le robe che si sgombrano. che sgombrare vuol dir portare. Ma voi avete a sapere che coloro i quali non sono nati in una lingua, o non l'hanno apparata da coloro che nati vi sono, convengono dubitare in moltissime cose, le quali a cui è la lingua naturale sono più che notissime; anzi vi voglio dire più oltra, che quegli stessi che hanno la lingua naturale dubitano bene spesso, ancora che siano dottissimi, di cose che a coloro che sono idioti, sono manifestissime. Cicerone, il più eloquente uomo che mai fosse e di quella dottrina che sa ognuno, errò nello scrivere una pistola a Pomponio Attico. ed ebbe a imparare da un barcaruolo quello che volesse significare inhibere remos. Ma che più? Quando Marco Agrippa, avendo fatto edificare il tempio chiamato allora Panteon e oggi S. Maria Ritonda, voleva fare nel frontespizio l'inscrizione, si ragunarono tutti i dotti di Roma; e perchè egli volendo aggiungere al nome e cognome suo come era stato tre volte consolo, non sepper mai quegli nomini dottissimi risolvere tra loro, se latinamente favellando s'aveva a dire tertio consul, o tertium consul: e per ultimo rimedio presero di non vi porre ne nell' un modo ne
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nell'altro, ma di farvi tre I, ciò e tre uni, affine che chi leggeva potesse pronunziare e tertio e tertium. secondo che credeva che meglio stesse.

Ma per venire a quello che voi mi domandate, l'autore della prima polizza, chiunque egli si sia, confessa che so sgombri s' interpreta per porti e con ella idest seco che cotale locuzione starebbe benissimo ogni volta che si trovasse in alcun luogo che sgombrare volesse dire portare; e l'autore della seconda polizza crede esser vero che sgombrare non si truovi appresso lodato scrittore in significato di portare; la qual cosa è tanto lontana dal vero, per mio giudizio, quanto le cose che ne sono lontanissime. Non si dice egli a ogn'ora in Firenze: io ho fatto sgomberare tutte le mie masserizie, ciò è, fatto portare d'una casa in un'altra? Quante volte si son mandati i bandi che comandano a ogni e qualunque persona che tutte le vettovaglie si sgombrino ne'luoghi forti, ciò è si portino? E se diceste, e'non vorranno credere a quello che si favella in Firenze, allora avreste ragione di rispondere, perchè di questo verbo non è dubbio nessuno in Firenze, e s'usa indifferentemente così da'dotti come da'laici; e io vorrei sapere quello che volle significare il Petrarca quando disse, ond' è tratto o imitato il concetto vostro,

Tolto ha colei che tutto 'l mondo sgombra?
E che volle egli significare altro quando disse:
Ond'io perchè pavento

Adunar sempre quel che un'ora sgombri, ciò è tolga e porti ria? Nè mi par vero quel che dice la prima polizza, e la seconda conferma, ciò è che 'l vero significato di sgombrare sia votare, scacciare e mandar via; che se 'l vero e 'l propio significato fusse questo, si potrebbe dire: to ho fatto
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sgombrare il pozzo,
ciò è votare; tu hai sgombre le tue botti, ciò è votate, e altre cotali locuzioni ridevoli. I soldati sgomberarono di piazza non vuol dire votarono la piazza, ma sì bene, partendosi di piazza la lasciarono vòta di loro; ma se dicessi, i soldati sgombrarono la piazza, direbbe ottimamente chi dicesse votarono. Che sgombrare non significhi propiamente scacciare e mandar via è chiaro per sè; perchè chi dice il tale ha sgomberato la casa, non vuol die levata e cacciata via, ma votata di masserizia; e chi sgombra il paese, si va con Dio, non caccia via.

Quanto alla parola vana e oziosa, a me non pare così; anzi vi sta con leggiadria, come quando il Petrarca disse:
 Di me medesmo meco mi vergogno.
E con esempio più al proposito disse altrove:
 aprir vidi uno speco,
 E portarsene seco
 La fonte e 'l loco ec.

E il parlar quotidiano non usa quasi mai altramente: e se bene in quanto al significato è il medesimo a dire, il tale se ne porta ogni mio bene, e il tale se ne porta seco ogni mio bene, nondimeno l'eleganze delle lingue consistono in simili parlari, Io vengo teco, sa ognuno quello che vuol dire, e che è buon parlare senza aggiugnervi altro; e pur si dice molte volte, io vengo con teco, contra la locuzione latina. E m' è paruto strano, per dirvi ogni cosa, che uno volendo dichiarare il significato vero del verbo sgombrare, dica che egli significhi votare, scacciare e mandar via: che domino ha da fare votare con iscacciare o mandar via? favellando propiamonte. Dovete dunque sapere, e di qui penso lo che sia nato il costoro errore, che nessun verbo può avere più
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che un vero e propio significato, e tutti gli altri che se gli danno, sono o metaforici o accattati. Ma qui bisognerebbe entrare in un lungo discorso, il che non posso fare ora, sì per lo essere io stracco, e sì perchè sono più di tre ore, e io voglio ire a mangiare un poco per andarmi a riposare.

Io vi manderò domattina questa per Nanni, che menerà il cavallo a M. Bartolommeo. Raccomandatemi a lui, e state amendue sani, che Dio vi prosperi sempre. Non voglio lasciar di dire che 'l pigliare sgombri in luogo di si sgombri, non mi piace: e quel Padre che voi dite ch' è sì dotto, mi pare che l'intenda benissimo ec.

(28) Di Laura Terracina, rimatrice del tempo della Battiferra, v. il Tiraboschi, Storia della lett. ital., vol. VII.

(29) Questa e la seguente lettera non si può dire con sicurezza in qual anno fossero scritte, e perciò le ho poste in seguito alle altre di data certa. Mi sembra però che la presente debba ritenersi tra le prime indirizzate da Laura al Varchi, considerando il pensiero che la informa.

(30) Nella stampa de' Giunti il verso è quale lo scrisse Laura, cioè:

« E se mai nulla fui, saraggio o sono. »

(31) Credo che questa lettera sia scritta nel 1560, quando si preparava la Stampa Giuntina delle Opere Toscane di L. B.


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