ANNOTAZIONE A
[p. 138]
Dopo più di cinque anni (quante belle lettere perdute!) si riprende il
carteggio. E molti documenti mi conviene tralasciare, che potevano illustrare un tal
periodo: ma non la seguente lettera di Filippo, che ne ragguaglia dell'orribile tremuoto,
che scosse Napoli nel dicembre del 1456. Di questo tremuoto abbiamo il ragguaglio nella
« Copia d'una lettera mandata a Firenze per lo eloquentissimo cavaliere mess.
Giannozzo Manetti fiorentino ec. », stampata dietro al Commentario della vita di
messer Giannozzo Manetti scritto da Vespasiano da Bisticci ec. (Torino, 1862), con altre
lettere e documenti; e in una lettera di Giannozzo a Vespasiano, di Napoli, 8 dicembre
1456, si riparla del tremuoto. In questa si dice accaduto sabato a di 4, circa a ore 11 di
notte: nell'altra, domenica mattina a dì 5, a ore 10 e mezzo. E tanto scrive Filippo
nella lettera che segue. Ma, cominciando a contare dall'un'ora di notte del sabato sera,
torna bene che il tremuoto si facesse sentire tra le quattro e le cinque della domenica
mattina.
= Savia e discreta donna mona Allessandra
donna fu di Matteo Strozzi, in Firenze.
Al nome di Dio. A dì VIII di dicembre 1456.
A dì XXVIII passato fu l'ultima mia, e feci risposta a più vostre;
l'ultima de' dì 13 detto; poi non ho altra.
[p. 139]
Per questa v'ho meno a dire. Solo perchè stimo arete sentito dell'orribile caso
occorso a questa terra sabato notte venendo la domenica tra ore 10 in 11; cioè
uno tremuoto orribilissimo. Io mi trovai a cotesto, e parvemi cosa spaventevole: questo
m'è paruto due tanti largamente, che diguazzò queste case propiamente
come farei io uno fuscello. Noi, per grazia di Dio, da paura in fuori, poco altro danno
abbiàno ricevuto; ma quella fu tale, che n'aro per buon pezzo. Sopra il palco di
camera mia rovinò una buona parte del tetto: credettimi il palco ne venissi
giù, e non vedevo allo scampo nessuno rimedio. Gitta'mi a terra del letto, e
scostai una cassa, e ficcamivi sotto; e vi stetti tanto che la cosa fu posata. Poi con li altri
di casa n'andammo fuori; e così ho dormito due notte in galea. La scura cosa
è a vedere questa misera terra. Di venti chiese da farne conto, che ci sono, tutte
sono pericolate; quale tutt'aperte, quale rovinati e campanili, e quale molte cappelle, e
quale parte della chiesa; e due ce ne sono che insino a e fondamenti ne sono venute in
terra; cioè, Santa Maria Maggiore e Santo Giovanni Maggiore. Li abituri de' frati,
quali rovinati e quali aperti in modo che non si potranno abitare sanza grandissimo
pericolo. Da sessanta case rovinate sino a' fondamenti, dove una e dove due e dove tre
insieme; e più che quattrocento che stanno in modo da non le potere più
abitare: di quale è rovinato una parte, e l'altra aperta tutta come melagrana: che
ogni piccola cosa le gitterà giù intrafatto. Sonci morte circa di cinquanta
persone, e molti altri ci sono malati che hanno riceuto colpi e strette. Pare una cosa troppo
crudele a andare per questa terra a vedere le grandi rovine che sono per le strade, e i
lamenti delle persone morte; e chi per sospetto di non potere abitare più la casa, e
chi per sospetto
[p. 140]
non ne venghino delli altri. Le genti ci paiono tutte balorde e stordite; e come gente
spaventata abandonano la notte la terra, e ne vanno a dormire a la campagna, e chi in
mare. Iddio ci ha fatto grandissima grazia, che da poi ne sono venuti alcuni da non ne fare
conto, si sono suti piccoli: chè se un altro ne veniva punto possente, come fece
costi, dugento case ne sarebbono ite giù. La nostra Nazione ha da ringraziare
molto Nostro Signore, che nessuno ha riceuto danno alla persona; alle case sì.
Sono d'openione la cosa abbia fatto circa che il corso suo, e che tale omore sfocassi assai
nel primo. E così piaccia a Dio che sia. Attendiàno testè a fare
qualche cosa per l'anima, e ringraziallo del bene fattori d'averci salvato. Da torno sino a
quaranta miglia ha fatto uno danno maravighioso, che ci è suto terra
dov'è morto quattrocento e cinquecento persone. La Maestà del Re si
trovava di lungi a qui ottanta miglia, e hannolo sentito piccolo, e noti v'ha fatto danno che
venga a dire nulla. Non più per ora. Cristo vi guardi. Vostro Filippo, in Napoli.=
ANNOTAZIONE B
Che Lorenzo nella estate del 58 avesse una grave malattia a Bruggia, si rileva da
una lettera che Iacopo Strozzi scriveva a madonna Alessandra il 3 di luglio, dove dice che
la febbre l'aveva lasciato, e non gli restava che un po' di debolezza; sì che presto
si sarebbe posto in cammino per venire a Firenze.
ANNOTAZIONE C
Come si usasse nella morte dei cittadini, lo rileviamo da una lettera di Marco Parenti, de'
23 aprile 1450, a Filippo Strozzi.
[p. 141]
= Oggi s'è fatto il mestiero di Filippo vostro in casa tua onoratamente, come di
costume, e domattina si debbono fare le messe, ec. =
I vocabolari confondono il mestiero co' funerali, ossia con l'ufficio che si fa in
chiesa pe' morti con le messe ec.; mentre è chiaro che corrisponde al corrotto.
ANNOTAZIONE D
Benedetto di Francesco di Benedetto era nato nel 1420, e aveva per moglie la
Gostanza di messer Lorenzo Ridolfi. Quantunque qui lodato dall'Alessandra, non
meritò di essere ricordato da Lorenzo di Filippo nelle Vite degli uomini illustri di
casa Strozzi; dove di un altro Benedetto, morto nel 37, si fa quest'elogio elegantissimo.
= In questo medesimo tempo fu Benedetto di Peraccione degli Strozzi, uomo di
tanta dottrina e di tanto iudizio nelle lettere latine, che lo eccellente messer Lionardo
d'Arezzo non compose nè tradusse mai cosa alcuna,che da lui non la facesse
rivedere et approvare. Imparò geometria et aritmetica da maestro Giovanni
dell'Abbaco, unico allora in simili professioni; nelle quali in breve spazio, benchè
scienzie difficili sieno, superò il precettore. Fu si peritissimo in ogni genere di
musica, e spezialmente in sonar monacordi et organi, che maestro Antonio dell'Organo,
unico all'età sua (donde trasse il cognome di tale istrumento), non si
vergognò confessare d'avere imparato da lui ciò che di buono sapeva.
Sonava ancora di flauti, di liuto e di tutti gli altri istrumenti, ben che rozzi fossono.
Scriveva meglio e più corretto che qualsivoglia altro che a quel tempo fosse;
onde chi bramava un libro bello e corretto, procacciava averlo di sua
[p. 142]
mano: di che egli liberale era non solo per propria dilettazione, ma per compiacere agli
amici, e massime a messer Giannozzo Manetti, dal quale fu sopr'ogn'altro amato.
Così menava la vita sua molto costumata, allevando i ulgiluoli da veri cristiani: et
io ne conobbi uno, che si chiamò messer Piero Strozzi, piovano di Ripoli,
ornamento di tutti i preti, quale non poteva negare di non esser disceso di sì
ottima pianta, rappresentando le virtù paterne. Per che volendo papa Niccola
Quinto, che la pieve di Ripoli gli dette, dargli ancora altri benefizii, disse che come ai
secolari una sola moglie, a lui una sola pieve bastava. Ne era inferiore lo scritto suo di
bellezza e correzione a quel del padre. Fu questo secolo ripieno d'uomini che la natura di
rado produce; i quali insieme conversavano, et erano da tutti grandemente reputati,
perchè all'ora risplendevano le virtù sopra le ricchezze, come oggi le
ricchezze sopra le virtù; e tanta differenzia si faceva tra uno che sapesse lettere et
uno che non le sapesse, quanto è da un uomo dipinto a un vero. Molt'altre cose
potrei dire di Benedetto memorabili; ma queste solo bastino, per potere farne parte ancora
ad altri. =
Pare ne scrivesse la vita anche Vespasiano (Commentario della vita di messer
Giannozzo Manetti, pagina 121). Nacque Benedetto d'un Piero detto Pieraccione, nel
1387. Dalla Lena di iacopo Pilli (1413) e dalla Ginevra di Rinaldo Peruzzi (1417) ebbe
molti figliuoli maschi e femmine; e queste entrarono nelle case de' Pitti, Pilli, Panciatichi
e Adimari: una, per nome suor Lena, fu monaca in San Niccolò di Prato.
Produced by the University of Chicago Library.
Send questions or comments about IWW to ets@lib.uchicago.edu.
PhiloLogic Software, Copyright © 2001 The University of Chicago.
PhiloLogic is a registered trademark of The University of Chicago.
|