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Faustina Maratti Zappi
Collected Poems
Assembled by Cynthia Hillman and Courtney K. Quaintance
Chicago: Italian Women Writers Project, 2007

Poems in Praise of Faustina Maratti Zappi

Di Eustachio Manfredi

Storia del sonetto italiano corredata di cenni biografici e di note storiche, critiche e filologiche. (Prato: Tip. Guasti, 1839), p. 238.


Pur con quest' occhi alfin visto ho l' altero
   Miracol di bellezza e d' onestate
   Cui sol per adombrar mille fiate
   Oltre Arno ed Appennin spinto ho il pensiero.
E pur con queste orecchie udito ho il vero
   Pregio, e il vivo stupor di nostra etate.
   Or gli uni e l' altre omai paghi e beate
   Chiudansi pur, ch' altro da lor non chero.
Nè tu i gran templi e i simulacri tuoi
   Vantarmi intatti ancor dal tempo edace
   Nè l' ampie spoglie della terra doma:
Chè gloria antica e nuova altra non puoi
   Mostrar pari a costei; sia con tua pace,
   Bella, invitta, superba, augusta Roma.

Di Paolo Rolli, per la morte di Faustina Maratti Zappi

Rolli, Paolo, Liriche, con un saggio su la melica italiana dalla seconda metà del cinquecento al Rolli e al Metastasio e note di Carlo Calcaterra. (Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1926), p. 287-288.


Cessi 'l pianto al Tebro in sponda
   sulle ceneri d' Aglauro,
   cui per sempre e mirto e lauro
   ombreggiar farà quell' onda.
Scarso a' voti de' mortali
   nel gran giro delle cose
   non fu mai che le compose,
   in donar compenso a i mali.
Ninfe voi di gloria amanti,
   schiera nobil e festiva,
   quella ancor dolente riva
   lieta aspetta i vostri canti:
involate al bosco e al prato
   odorose nove spoglie
   e spargetene le foglie
   su quel cenere onorato.
A quel ramo d' un alloro
   sulla tomba rispettata
   la sampogna già legata
   per memoria e per decoro
mano provida non pose,
   perchè quelle illustre canne
   pregio all' arcadi capanne
   vi restasser oziose.
Di' , fatidico Germano.
   buon Tiresia, a chi si denno?
   veggon gli occhi del tuo senno,
   s' apri quei del volto in vano.
Febo scende e già sul crine
   gli ha le frondi irradiate;
   pien del Nume l' ascoltate
   vaghe ninfe tiberine:
a discioglier con tua destra
   la sampogna, o Manto, sorgi;
   e per merito la porgi
   a la bella Clitennestra.

Di Giacomo Canti

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 104.


DOnna gentil, che il nobil petto adorno
   Albergo reso delle Muse avete;
   Onde a' più degni spirti invidia e scorno
   Colle vostre bell' opre ognor movete.
Poichè la Fama, che già vola intorno,
   Dice il meno del bel, che in voi chiudete
   Fate col vostro stil, ch' il mondo un giorno
   „ Venga a saper da voi quel, che voi siete.
Vedrassi allora, che i begli occhi vostri
   Degni son, che ne' carmi ognun v' onore,
   E famosa vi renda a' giorni nostri;
Ma che? Lo spirto, e 'l vostro alto valore,
   E 'l vivace intelletto, e i puri inchiostri
   Vi fan degna di gloria assai maggiore.

Di Gio. Batista Ciappetti

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 105.


QUalunque dotto ingegno a lodar prende
   Illustre Aglauro, i tuoi gran pregì in parte,
   Uopo ha di molta esperienza, e d' arte:
   Tanta e sì chiara in te virtù risplende.
Io, perocchè tant' alto non ascende
   L' opera mia, non tento già lodarte
   Se di te scrivo; ma fo' noto in carte
   Il buon voler, che dentro me s' accende.
Nè sol l' omero mio vinto sarebbe
   Da sì gran peso, ma di lui, che tanto
   Il Tosco stil col suo bel lauro accrebbe.
Che non hai sol di bella Donna il vanto
   Pari a colei, che tanto ad Ilio increbbe;
   Ma pari ancora a chi ne scrisse, il canto.

Di Gio. Batista Ciappetti

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 105.


PEr onorar le nostre umane, inferme
   Forze prendesti in terra, o illustre Donna,
   E più che in marziale usbergo, in gonna
   Umil mostrasti virtù salde, e ferme.
Col tuo nome io non posso, od Arco, o Terme,
   O in regal Foro alta locar Colonna,
   Ond' ei dal tempo rio, che non assonna
   Sopra quei Marmi si difenda, e scherme.
Ma farò ben, che di bel lauro ornate
   Vadano, AGLAURO, co' miei rozzi carmi
   Vostre chiare virtù, vostra beltate.
E spererò, nè invan sperar ciò parmi,
   Che passeranno alla futura etate
   Più durevoli assai, che i bronzi e i marmis.

Di Gio. Pietro Zanotti, Per lo Ritratto della Signora Faustina Maratti da lei donatogli.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 105.


E Qual sì industre man ritrar poteo,
   (E sia qualunque più chiara, e famosa,)
   Donna, a cui grazie il Ciel cotante feo,
   E in cui gran parte ha di sua luce ascosa?
Tal forse in Sparta al Rapitore Ideo
   Bella apparì di Menelao la sposa;
   Onde poi la vendetta alta chiedeo
   Grecia, e guerra sostenne aspra, e nojosa.
Ma tal già non avea la Greca infida
   Virtù, che sempre a beltà pregio accrebbe;
   Che non Troja saria distrutta ed arsa:
Dono infelice a lui promesso in Ida!
   Non così questo; onde Faustina avrebbe
   Asia sol d' onestate accesa e sparsa.

Dello stesso

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 106.


BEn mi può torre, che a mirar non giunga
   Vostre bellezze, e vostri almi costumi,
   E quei, siccome è fama, ardenti lumi,
   Ond' avvien, ch' Amor tanti, e leghi, e punga;
Ma non può strada, e sia scoscesa, e lunga
   E torta, e per dirupi aspra, e per dumi,
   Nè per selve, Montagne, e Mari, e Fiumi,
   E s' altro è pur, che me da voi disgiunga,
Far ch' io non legga, e non ammiri in questa
   Parte le rime vostre, e la divina
   Virtù, per cui tanto ha la mente accesa.
E però il cor, cui null' intoppo arresta,
   A voi sen corre, e come Dea v' inchina,
   Veracemente giù dal Ciel discesa.

Delirio poetico di Lisalbo P.A., per l'improvisa partenza d'Aglauro da Roma per Venezia.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 107-108.


M' E sparito dagli occhi il mio bel sole.
   E chi resister puole a tant' orrore?
   E' spento ogni splendore, o mia pupilla,
   E l' alma si distilla in doglia, e in pianto.
   Ma dov' e` intanto il lume d' una stella,
   Ch' io sto in procella, e son lontan dal lido?
Or che dell' Adria il Sol è giunto al lido,
   Di duolo è nido l' egra mia pupilla,
   Ed ogni stilla addensa più l' orrore,
   E cresce col dolore anch' il mio pianto.
   Ecco muta il suo ammanto anch' ogni stella.
   Per comparir più bella incontro al Sole.
Ferma o pensiero i vanni avanti al Sole,
   Giacchè si duole all' ombra la pupilla;
   E una scintilla prendi da quel lido,
   Che sia di speme nido, e non di pianto;
   E tolga il muto incanto a quest' orrore;
   Questa farà rossore a ogn' altra stella.
Con questa luce io non cerco altra stella;
   Questa sia quella, che mi guidi al lido.
   Ad altra io non m' affido in quest' orrore.
   Ripiglia il tuo vigore, o mia pupilla,
   A una favilla dell' almo mio Sole,
   Chi meco gioir vuole? io lascio il pianto.
Ninfe, e Pastori, or che ho finito il pianto,
   Al salto, al canto, infin che torni il Sole,
   O andiamo a cor le viole intorno al lido.
   Amor ti sfido: io prenderò una Stella,
   E tu la tua facella in quest' orrore:
   Giuochiamci il cuore, o almeno una pupilla.
Ah ch' io deliro! Tu non hai pupilla,
   L' onda non è tranquilla, e lungi è il lido
   Aglauro io grido: non tardar mio Sole;
   Sul Tebro splender suole amica Stella:
   Aglauro bella, io mi disfaccio in pianto:
   Se indugi tanto, io moro in quest' orrore.
Così la Stella fugherà l' orrore,
   E la pupilla darà fine al pianto,
   E godrò il Sol più lieto in questo lido.

Dell' Abate Giuseppe Paolucci

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 108-112.


OR, che Sirio in Ciel risplende,
   Di quel biondo almo Lieo,
   Che sì brilla, e d' or s' accende,
   M' empi il nappo, o Alfesibeo.
   Ma no, quel, ch' è del colore
   Del rubin, farà migliore;
   Questo io voglio; il nappo pieno
   Fammen sì, che n' empia il seno.
Vedi qui come zampilla,
   E col Sole i raggi mesce:
   Io non vò lasciarne stilla,
   Tal desio di se m' accresce.
   Beviam dunque: e sia di quella
   In onor, ch' è la più bella;
   Ecco gia, che al labbro io l' ergo,
   E le viscere n' aspergo.
Oh di qual nuovo piacere
   Sento l' alma inebriarsi I
   Empi l' altro, ch' io vò bere;
   Finchè tempri il caldo, ond' arsi
   Morde, è ver; ma la ferita
   A riber più dolce invita;
   Oh felice il suol, che dato
   N' ha liquor sì nuovo, e grato;
Io non so se Giove, e il resto
   Della Plebe degli Dei
   Ebber mai simile a questo
   Dolce nettar, ch' or bevei;
   O se pur tal' anche sia
   Quell' ambrosia, onde per via
   Febo suol le nari, e 'l morso
   A i Destrier spruzzar nel corso.
E ben sento anch' io nel petto
   Nuovo ardor crescermi, e lena,
   Ed il sangue al cor ristretto
   Sciolto gir di vena in vena.
   Chi mi porge quella Lira?
   Chi quei bischeri v' aggira,
   Perchè possa indi alle corde
   La mia voce unir concorde?
Venga poi TIRSI in tenzone,
   O chi fama ha più nel canto,
   Ch' io non temo il paragone
   Tale ardir mi siede accanto.
   Di Te poi, ch' illustre e chiaro
   Già ten vai d' ogni altro a paro
   Tacerò: ch' i pregi tuoi
   Vanti eguale a i primi Eroi.
Dirò ben di lei, che sola
   Tutto ha il bel, che un dì fu in Ida;
   E ad ogni altra il pregio invola,
   Dolce parli, e dolce rida.
   Nè sai dir se dardi scocchi
   Più dal labbro, o da' begli occhi;
   Se tai quindi escono piaghe
   Crude più, quanti più vaghe.
Or di tante, e qual bellezza
   Avverrà, che prima io mostri?
   Poi chi sa, se a tanta altezza
   Giungeranno i versi nostri?
   Veggio Amor però lontano
   Parmi cenno colla mano,
   Perchè agli occhi io volga i carmi,
   Che fur primi a saettarmi.
O che bel veder quei rai,
   Quando Amor ne tien governo!
   Così Venere giammai
   Sfavillare in Ciel non scerno.
   Ma che fia, se poi ritrosi
   Gli raggira, o pur sdegnosi?
   Nel mirargli così scuri,
   Non v' è cor, che s' assicuri.
Pur si forte in me s' accende
   Il piacer di vagheggiarli,
   Che maggiore in me si rende
   Il desio di celebrarli.
   Ma pur temo, e vorrei solo,
   Ape industre andarne a volo
   Sovra i fior degli altri pregi,
   Raccogliendo i più bel fregi.
Labbra tenere, e vezzose,
   Vostre lodi or voi ridite,
   Giacchè tanta il Ciel ripose
   Grazia in voi, qualor v' aprite:
   E ben quindi escon parole
   Da fermar nel corso il Sole,
   Tanto più quando son' use
   A parlar coll' alte Muse.
Nè men dolce, o vago è ancora
   Quel bel volto, o meno alletta;
   Se co i gigli ivi talora
   Suol fiorir la violetta;
   Anzi queste son le spoglie;
   Ove Amor cela sue voglie:
   E tal forse quando ardea
   Per Adon fu Citerea.
O bel sen di neve pura
   Delle grazie albergo, e stanza
   Ove il Ciel pose, e Natura
   Il più bel d' ogni speranza;
   Di lodarvi in me non manca
   Il voler, nè voglia ho stanca;
   Ma mi turban quei severi,
   Ch' ascondete, alti pensieri.
Quei pensier, ch' io veggio accesi
   Ne i bei rai d' aspro talento:
   A ribatter forse intesi
   La baldanza, e l' ardimento:
   Tal però non è disdegno,
   Nè rigor; ma solo è segno,
   Che vorrian ristretto un core
   Fra speranza, e fra timore.
Neri crin, s' ultimi andate
   Fra le lodi, e 'l canto mio,
   Non è già, perchè voi siate
   Meno cari al mio desio.
   So, ch' il biondo è bel; ma poi
   Anche il nero ha i pregi suoi:
   Belle sono in Ciel le stelle,
   Perchè l' ombre le fan belle.
Non v' è crin, che non diffonda
   Quel fulgor, che all' or somiglia;
   Talchè treccia aurata, e bionda
   Più non reca meraviglia;
   Bianco volto, e capei bruni
   Non son fregi si communi;
   E quaggiù quanto bellezza
   Rara è più vie più s' apprezza.
Non fu già vanto volgare
   Della giovane Amiclea
   Bruna chioma, ch' alle rare
   Sue bellezze aggiunta avea:
   Con quei crini Amor più forte
   Formò i nodi a sue ritorte;
   E veder ne fè le prove,
   Quando prese, e avvinse Giove.
Ma tu bevi, e a me, che roco
   Già son fatto, più non pensi!
   Di quell' altro or dammi un poco;
   Che stillar l' uve Cretensi;
   Vo veder, se sia bastante
   Quell' ambrifoco spumante,
   A far sì, ch' io poi senz' ale
   Spieghi un volo alto immortale.

Di Gio. Battista Recanati, Per la venuta della Sig. Faustina Zappi a Venzia.

Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felica Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 112.


QUando ad Amor, o alla Fortuna piacque
   Che l' uno, e l' altra al nostro ben congiura
   Voi dell' Adria condur sulle bell' acque
   Ove l' arte potè vincer natura;
La superba al mirar grande struttura,
   In cui l' asilo a tutta Italia nacque,
   E la raminga, e altrove mal sicura
   Latina libertade in sen le giacque,
Se stupiste nol so, so ben che pieno
   Di gioja allor fissando in voi le ciglia
   Il Genio d' Adria vi raccolse in seno,
Ed ad insolita indotto meraviglia
   Della vostre virtudi al gran baleno
   Invidiò a Roma una sì illustre figlia.


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