Stampa, Gaspara, 1523?(25?)-1554
"Rime"
from Gaspara Stampa-Veronica Franco: rime
A cura di Abdelkader Salza
Bari: Laterza, 1913
Related Poems by Other Authors and Notes by A. Salza
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APPENDICE
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I RIME DI DIVERSI in lode e in morte di Gaspara Stampa
I Di Ippolita Mirtilla
O sola qui tra noi del ciel fenice,
ch'alzata a volo il secol nostro oscura,
e sovra l'ali al ciel passi sicura,
sí ch'a vederla a pena omai ne lice;
o sola agli occhi miei vera beatrice,
in cui si mostra quanto sa natura,
bellezza immaculata e vista pura
da far con picciol cenno ogn'uom felice,
in voi si mostra quel che non comprende
altro intelletto al mondo, se no 'l mio,
ch'Amor tanto alto il leva, quanto v'ama:
in voi si mostra quanto ancor s'accende
l'anima gloriosa nel desio,
che per elezzione a Dio la chiama.
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II Di Carlo Zancaruolo
Donna, ne' cui bell'occhi alberga e regna
Amor, che a ben oprar sempre m'invita,
da me tenendo ogni viltá sbandita,
sí come ei propio a' suoi seguaci insegna,
s'il vostro alto valor forse non sdegna
tener soggetto un cor, serva una vita,
fate che la beltá vostra infinita
spesso al suo navigar pietosa vegna.
Potrò poi dir che con mirabil arte
vi fece Dio, quando primieramente
veniste ad abitar sí bassa parte:
dirò del vostro volto almo e lucente,
che del ben di lá su fra noi comparte;
e viva andrete d'una in altra gente.
III Di Cirolamo Parabosco
Se mira il ciel questa divina Stampa
col guardo onde dar vita a' morti suole,
sgombra da quel le nubi, e face il sole
vago apparir, quando piú tona e lampa.
Tocca dal piè, d'amor la terra avampa,
e produc'ivi poi rose e viole;
ed ogni pietra, che non può, si dole,
tenera farsi per serbarne stampa.
Natura a le fattezze alte e leggiadre
stupida resta, e sé de' suoi lavori
invidia, ché non sa com'possa tanto.
Le stanno intorno i pargoletti Amori,
e dicon sempre lieti, in dolce canto:
— Venere è questa, a noi diletta madre.
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IV Di Malatesta Fiordiano da Rimini
Sí dolci sa il mio sol tesser gl'inganni
coi cari, amati e graziosi accenti,
coi risi un tempo, e coi sospir dolenti,
imprimendo nei cor dolcezza e affanni;
sí son vaghi a mirar, sí presti ai danni,
nel vivo sfavillar dei raggi ardenti,
gli occhi piú ch'altri mai chiari e lucenti,
gli occhi seggio di Amor, dei cor tiranni,
che, se scioglie le voci o i lumi gira,
con minor danno le parole e i sguardi
spiegano i basalischi e le sirene.
Morto resta o prigion chi ascolta o mira;
ma de l'altiera Stampa i lacci e i guardi
vita dánno al mio mal con mille pene.
V Di monsignor Torquato Bembo
Or ne rendi al Tirreno il corso e l'onde
piú chiare, o famoso Arno, e di fin oro
letto vagheggi, e 'l tuo bel crin d'alloro
con doppio giro altier premi e circonde;
ora ten vai superbo, or hai tu donde
sen pregi piú de le tue ninfe il coro,
e chi di ricco ed immortal tesoro
pinga le verdi tue fiorite sponde.
Donna gentil, da' cui begli occhi move
soave fiamma, che di santo ardore
nostr'alme incende con felice vampa,
sovra 'l tuo grembo eterne grazie piove,
mentre con puro stil del suo valore
perpetuo segno in mille carte stampa.
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VI Del medesimo
Se 'l veder e l'udir splendor e canto,
al divino simile ed al celeste,
cui mira e sente ognor, anzi che veste
anima il frale suo terreno manto,
due scale son, che nostre menti al santo
seggio, mortale, u' nettar giá pasceste,
riducer ponno, que' begli occhi e queste
care voci mirate e udite alquanto,
di lei, ch'allor che la natura vòlse
formar, da la piú vaga idea, ch'in mente
fosse di Dio, l'altero essempio tolse.
Sí direte poggiando al ciel sovente:
— Te, nata con le muse, in grembo accolse
Venere, o Stampa, o sol piú ch'altro ardente.
VII Di Leonardo Emo
Qual sacro ingegno o 'n prosa sciolta o 'n rima,
con dir alto e leggiadro studio ed arte
dirá di vostre lodi una sol parte,
di voi, donna lodata in ogni clima?
Altra non fu mai tal, se 'l ver s'estima,
che voi pareggi, onde natura ha sparte
tutte sue grazie, e le virtú comparte
per farvi de le belle oggi la prima.
E come 'l sol, ch'ogn'altra luce avanza,
e da noi scaccia l'ombre e apporta il lume,
cosí 'l vostro valor mostrate in nui.
Amor, che ne' vostr'occhi ha la sua stanza,
mi fece al cor l'usato suo costume,
per farmi a voi soggetto, e non d'altrui.
[p. 191]
VIII D'incerto
S'Amor, natura al nobil intelletto
vostro fece spiegar tant'alto l'ale,
che vince e preme ogn'altra opra mortale
di qual si voglia stil alto e perfetto,
perché dolervi ognor ch'Amor il petto
trapassi a voi con sí onorato strale,
s'egli vi scorge ove per sé non sale
chi non prova d'amor cotanto affetto?
L'erta ed alpestra e faticosa via,
ov'egli vi guidò sicuramente,
da voi questo dolor levar devria,
lodando lui, che cosí agevolmente
sola v'addusse, dove altri disia,
chiara, illustre, famosa eternamente.
IX Di Girolamo Molino
In lode di Collaltino da Collalto e di Gaspara Stampa.
Alto colle famoso, al ciel gradito
quanto ogni altro piú bel ch'Italia gira,
cui Marte ha in guardia, e in cui far tempio aspira
de le sue glorie il re de' franchi ardito,
tu di piante, d'onor colto e fiorito
verdeggi, e donna ti vagheggia e mira,
che sí dolce il su' amor canta e sospira,
che fia 'l verno da te sempre sbandito.
Ed ella ancor fra l'altre illustre e prima
teco n'andrá, che con piú chiara vena
scrisser mai le lor fiamme in prosa e in rima;
talché 'l mondo dirá: — Nova sirena
poggiò cantando un colle alto, ed in cima
fe' l verde eterno, e l'aria ognior serena.
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X Di Benedetto Varchi a Giorgio Benzone
Benzon, se 'l vero qui la fama narra,
che cosí chiara e cosí trista suona,
terra è, lasso, tra voi la bella e buona
Saffo de' nostri giorni, alta Gasparra.
Onde ogni saggio o buon di questo innarra
secolo ancor peggiore, e in Elicona
Febo tra 'l sí e 'l no seco tenzona,
come chi suo gran mal paventi e garra.
E ben sarebbe la piú viva lampa
spenta d'Apollo, e 'l piú leggiadro fiore
di virtú secco al suo maggior vigore.
O d'ogni gran valor segnata Stampa,
la cerva e 'l corvo lungo tempo scampa,
ma 'l cigno tosto e la colomba more.
XI Del medesimo allo stesso
Ben diss'io 'l ver, ch'alla colomba e al cigno
breve spazio di vita il ciel prescrive,
ma 'l corvo sempre e la cornice vive,
e 'l serpe, o s'altro è piú ver' noi maligno.
O piú d'altro ancor mai duro e ferrigno
secol, che d'ogni ben te stesso prive,
chi fia, ch'onori piú le caste dive,
o creda Febo a' suoi largo e benigno,
se 'l primo e piú bel fior d'ogni virtute
n'ha, quando piú splendea, svelto e reciso
lei, che cieca sua falce attorno gira?
Pianga mesta la terra; e 'l paradiso,
Benzon, lieto s'allegri, che rimira
cose sí rare, anzi non mai vedute.
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XII Di Giulio Stufa a Benedetto Varchi
Ben è ragion, Varchi gentil, s'avampa
vostro pietoso cor fero dolore:
chi non sospiri e pianga entro e di fore,
se d'ogn'alto valor morta è la stampa?
Ma, se piú d'altro lume or splende e lampa
nel ciel chi vinse qui le dotte suore
di beltate e virtú, ben dee minore
farsi la pena ch'oggi in voi si stampa.
Questa de' nostri di Saffo novella,
pari a la greca nel tosco idioma,
ma piú casta di lei, quanto piú bella,
viverá sempre in questa parte e 'n quella;
pur deve ogni gentil tonder la chioma
a la tomba di lei, ch' è fatta stella.
XIII Di Benedetto Varchi
Risposta a Giulio Stufa.
Giulio, quel duol, ch'entro 'l mio cor s'accampa,
egual non ebbe mai, non che maggiore:
tal fu colei, che nel suo piú bel fiore
si spense, qual per vento accesa lampa.
E, s'ora il ciel de la sua luce stampa,
ch'atra nebbia fea qui chiaro splendore,
molle rendendo ogni piú duro core,
ciò non m'assolve dal gran danno, o scampa.
Anzi contra fortuna iniqua e fella
m'innaspra piú, che, mai sazia né doma,
pianto piú giusto ognor piú rinovella.
Ben mi consola in qualche parte ch'ella
vivrá mai sempre; e tal ch' Atene e Roma
Saffo e Lucrezia uscir vedran di sella.
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XIV Di Giorgio Benzone
Ben è d'alta vaghezza il mondo scarco,
poi che spento Anassilla ha morte rea,
che sol col canto e con le luci fea
a' giri eterni ed a' lor lumi incarco.
Spegni, Amor, la tua face, e rompi l'arco,
perché, chiusi quegli occhi onde s'ardea,
sparita una sí vera immortal dea,
ch'i cori n'impiagava a stretto varco,
pòi dir che sei rimaso solo e inerme,
sole e inermi le suore al puro argento
di Castalia, or ch' è svelto il lor bel germe.
Chi vedrá piú bellezza, o udrá concento
dolce od alma? Ahi terrene cose inferme,
non sí, qual voi, fugace è l'aura e 'l vento.
XV D'autore incerto
Stampa gentil, ch' innanzi tempo sciolta
da crudel morte, in pianto ed in dolori
lasci le muse, le Grazie e gli Amori,
col tuo bel corpo ogni beltá sepolta,
di chiari spirti larga schiera e folta
mira dal cielo star con tristi cori
lá ove splender solean tuoi santi ardori,
e cosí spenti a risguardarli volta.
Deh, come li rendei spogliati e cassi
d'ogni vil opra e d'ogni basso affetto,
nella strada d'onor stampando i passi,
cosí da quell'eterno, almo ricetto,
se tanto son per te dogliosi e lassi,
lor mostra ancora il buon sentier perfetto.
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XVI Dello stesso
Stampa, tu pur da noi sei spenta e morta,
anzi viva nel ciel, noi morti in terra,
e dolce pace v'hai d'acerba guerra,
ch'il mondo reo sempre a' migliori apporta.
Di lagrime la guancia umida e smorta,
dal tuo sparir gran duol la gente afferra;
ma sol il mio cor piagne e si sconforta,
ché quel, ch'a te s'aperse, a me si serra.
Tu contempli il Signor in paradiso,
e cogli angioli canti a prova insieme
l'alma beltá del volto eterno e santo:
io l'ombre sue mirando in mortal viso,
pien di ciechi desir, di vana speme,
vommene quasi ognor spargendo pianto.
XVII Dello stesso
Ahi, come tosto sei, Stampa gentile,
dal grave peso tuo scarca e leggiera!
Cangiata é in verno a noi la primavera,
e in tristo pianto il nostro lieto stile.
Omai cominicia il mondo esserne a vile
senza il tuo sol, che dolce scorta n'era
a poggiar per la via d'onore altera,
già per l'occaso tuo bassa ed umile.
Adria ne piagne, e tanto é afflitta e mesta,
quanto la Brenta pianse, allor che Morte
al frate tuo squarciò l'umana vesta. |