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Sofonisba Anguissola, 1535?-1625
Biografia
By Vincenzo Lancetti
in Biografia cremonese, vol. 1, pp. 250-60
Milano: G. Borsani, 1819

Biography

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Sofonisba. La famiglia del conte Amilcare Anguisciola era un vero tempio di Pallade. Il Vasari, che fu a visitarla nel 1568 (e vi mancava allora Sofonisba, già andata a Madrid), lasciò scritto che quella casa gli parve l'albergo non solamente della pittura, ma di tutte le virtù. Ciò ridonda a grandissimo onore de' genitori, i quali dovevano squisitamente sentire la sublime delizia del bello. Tutte le belle arti, e le amene lettere concorsero alla educazione delle sei gentili fanciulle, che precorsero la nascita di Asdrubale, riuscito esso pure dappoi un egregio cavaliere. Sofonisba ed Elena manifestarono di buon' ora la somma loro attitudine alle arti del disegno. L'accorto padre stimò il meglio di sottrarle alle distrazioni della sua casa, che d'altri maestri, massimamente in musica, per le altre crescenti fanciulle, era tutto il dì frequentata, e le collocò presso Bernardino Campi, pittore eccellente, ed uomo probissimo, la cui savia moglie servia di compagna non meno, che di custode e di madre. Ciò accadde l'anno 1546. Le obbliganti cure di questa donna, il piacevole e attento contegno di tal maestro vinsero per modo le due docili donzelle, e sì alla famiglia di Bernardino le affezionarono, che se esso dopo alcuni anni non avesse avuto a partir per Milano, non avrebbono voluto uscirne giammai. Riconsegnate al padre, che de' loro progressi oltre modo era lieto, egli ad altro maestro le affidò, non men valente di Bernardino, qual si fu il nostro Bernardo Gatti, detto il Sojaro. Ma Elena, come sopra dicemmo, volle ritirarsi dal mondo, e in una umile cella racchiudere le belle sue forme, e le ancor più belle sue virtù. Sofonisba era andata gradatamente perfezionandosi, ed ogni giorno or l'uno or l'altro disegno con franca mano delineava, ed alla censura del nuovo precettore sottomettea, il quale lungi dal saper più che correggere in lei giusta maraviglia ne faceva, ed a maggiori opere tutto dì l' animava. Ella pertanto ne seguì con fidanza i consigli. La prima tavola, che ridusse a compimento fu quella probabilmente, che lo stesso Vasari in casa il di lei padre osservò, rappresentante tre delle sue minori sorelle sedute intorno ad uno scacchiere, e presso loro una vecchia fantesca, che le stà guardando; le quali figure eran dipinte con tanta diligenza e prontezza, che pajono veramente vive, e che non manchi loro altro che la parola. In un altro quadro (per tener dietro alle parole del Vasari, che per non essere gran lodator de'Lombardi sono assai da notarsi) si vede ritratto dalla medesima Sofonisba il sig. Amilcare suo
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padre, che ha da un lato una figliuola di lui, sua sorella, chiamata Minerva, che in pittura e in lettere fu rara, e dall' altro Asdrubale figliolo del medesimo, ed a loro fratello; ed anche questi sono tanto ben fatti, che pare che spirino, e sieno vivissimi. In Piacenza (è sempre il Vasari, che parla nella vita di Benvenuto Garofalo) sono di mano della medesima in casa del sig. Archidiacono della Chiesa maggiore due quadri bellissimi. In uno è ritratto esso signore, e nell' altro Sofonisba. L'una e l'altra delle quali figure non hanno se non a favellare. Nè quì si arrestano le maraviglie che quel severo pittor Fiorentino lasciò scritte, di Sofonisba, e di tutta la invidiabil famiglia di Amilcare, siccome avremo fra poco occasion di vedere. Instancabile era l' egregia fanciulla nell' esercizio di questa sua virtù. De' cavalieri e delle dame, che la casa di lei frequentavano facea per diletto e regalava i ritratti, ne' quali venia riputata insuperabile. Il nome suo andò quindi spargendosi gloriosamente per le bocche di tutti, e destando desiderio di qualche sua opera. Troviamo tra gli altri il celebre Annibal Caro, allora dimorante a Parma qual segretario del gran cardinale Farnese, che recossi a bella posta in Cremona, e che desiderò di avere, prima di tornarsi a Roma, il ritratto di Sofonisba fatto da lei medesima. La lettera ch' egli ne scrisse ad Amilcare, sì per la sua eleganza, come per le lodi che contiene di sì rara donzella, merita di essere quì riportata. Essa è nel libro secondo della sue famigliari, a pag. 100 della rara edizione de' Giunti, e dice così: Questa mia venuta a Cremona è stata di passaggio, e per visitar solamente la casa di V. S. Ma io non mi contento di questa sola visita, che per vedere tutte le maraviglie d' essa, ne desidero ancora la dimestichezza, e la conversazione. E però avanti che mi parta di Lombardia, mi sforzerò di venire almeno un' altra volta a rivederla, e goder più commodamente della virtù delle sue onorate figliuole, e della Signora Sofonisba spezialmente. E di questo me voglio contentare senza volerle dare altra briga per conto mio: perchè se bene io stimo le sue cose forse più di qual si voglia altro, non ardisco non di meno di ricercarle: perchè appena i principi ne possono avere. Ma quando la mia buona fortuna, e la cortesia di V. S. me ne facesse degno, non le posso dir altro, se non che le conoscerei, ed appresso di me sarebbono tenute come cose preziose. E nulla cosa desidero più, che l' effigie di lei medesima, per potere in un tempo mostrare due meraviglie insieme, l' una dell' opera, l' altra della maestra. E questo è quanto mi occorre per risposta della sua lettera; ringraziandola appresso dell' amorevolezza, che mi mostra, e pregandola a tenermi per sempre affezionato a lei, e tutta
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la sua casa, ed a salutar ciascuno separatamente da mia parte; e con essi intendo ancora M. Bernardo (cioè il Sojaro), il quale reputo che sia della casa medesima, per l' affezion che le porta. Di Parma a li 23 di Decembre 1558. Da questa lettera ognun può vedere a quanta altezza salita fosse la fama di Sofonisba, quant' erano ricercate le di lei opere, e come difficilmente potevansene avere, e ciò appena dai principi. Amilcare naturalmente cortese non seppe rifiutarsi al desiderio del Caro, e il chiesto ritratto gli promise, non forse per fargliene dono, ma per appagarne la curiosità, imperocchè a lui mandandolo a vedere il destinò per qualche altra più ragguardevole persona, cui non poteva mancare. Il buon Annibale però se l' ebbe a male, e assai risentitamente ne scrisse ad Amilcare, ciò che non fa molto onore al Caro, cui non era ignota la difficoltà di avere qualch' opera di Sofonisba. Non è inopportuno, a mio avviso, di riportare anche questa lettera collerica, giacchè anzi che scemar di lodi alla giovin pittrice, le accresce di molto. Quanto alle espressioni di risentimento verso il padre di lei debbono attribuirsi al dolore di non poter ritenere il quadro, che pensò di far suo. Eccola: Così si mostrano le ciregie a' bambini, Signor Amilcare, come voi avete fatto a me del ritratto della Signora vostra figliuola. Tre volte (come intendo) me l' avete destinato, ed alla fine ora con una vostra me l' avete mandato e ritolto. Mi direte, che ve ne son parso indegno, perchè le sue cose sono da Principi: son contento: ma per questo voi non vi dovete pigliar giuoco di me. Io non son mai stato ardito di domandarvelo. E, quando voi medesimo m' avete scritto, che io l' avrei, sapete quanto modestamente ve n'ho risposto: e che io l'ho più tosto desiderato, che richiesto. Ma quando me n' aveste degnato, M. Bernardo (cioè il Gatti) vi può far fede se l' avessi conosciuto e stimato, e se oltre all' obbligo, che n' avei voluto tenere sempre, io l' avessi riconosciuto, se non da Principe, almeno più che da mio pari. E pur voi stesso avete voluto, che lo meriti, e che lo speri, ed alla fine che l' abbia. E, poichè avuto l' ho, non so perchè v' abbiate rimandato per esso, se non perchè poca stima facciate di me, e meno del giudicio, della parola, e dell' onor vostro: facendomi fuor di proposito uno smacco tale. E forse che non è stato in conspetto de' miei padroni, e di tutta questa città? essendo già stato veduto da molti, ed invidiatomi da tutti. Ma, quanto alla parte mia, io non me ne curo punto; quanto alla vostra, pensatevi voi, che io non me ne risento per altro, che per non parer un' oca. Nè per questo resterò d' ammirare la virtù di vostra figliuola: e voglio anche per i meriti di lei aver rispetto
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alla vostra imperfezione ec. Di Parma, a li 14 di Luglio 1559. A questo piccolo dispiacere trovò Amilcare ampio compenso ne' meriti e nel credito della figlia, che giunto era per tutta l' Europa, e sopra tutto in Ispagna per mezzo de' ministri, che a nome del re Filippo II. amministravano allora lo stato di Milano. Il Duca d' Alba, che tanto poteva sul cuore del re, e che davasi aria di proteggere le belle arti, indusse il monarca a chiamar Sofonisba alla corte, qual dama d' onore presso la regina Isabella di Francia, allora sua moglie. Il Duca di Sessa governator di Milano ebbe commissione di farne inchiesta ad Amilcare. Il conte Broccardo Persico Cremonese, parente degli Anguisciola, e a'quei di commissario generale dello stato, venne dal governatore incaricato a portarne l' invito. Amileare nè volea, nè potea rifiutar quest' onore. Egli, la madre, il conte Persico, ed alcuni altri consanguinei accompagnarono a Milano la nobil donzella. Appena il duca n'ebbe avviso che fu a visitarla con quel rispetto, col qual distingueva tutti gli esimii spiriti del suo governo. Dovendo alcuni giorni aspettare per le disposizioni del viaggio, che esser doveva a spese della corte, e fatto con onorevole scorta, il Duca le fece in gentil modo intendere, che avrebbe altamente gradito di avere per di lei mano dipinto il proprio ritratto. Piacque a Sofonisba di coglier l' incontro di far cosa grata a sì illustre signore, e in pochi giorni con tanta verità lo effigiò, che ne rimase ognuno meravigliato. Alle vive espressioni di grazie aggiunger volle il Duca un ricco dono di quattro pezze dì broccato a diversi colori, e di altri femminili ornamenti di molto prezzo. Finalmente consegnata l'illustre fanciulla a due distinte dame, e a due principali cavalieri di lei parenti, e di sei servitori scortata, fu nell' autunno del 1559 posta in viaggio alla volta di Genova, dov' era già pronto l' imbarco, e donde con prospero vento sollecitamente approdò alla spiaggia di Barcellona, e di là volò per le poste di lungo a Madrid. Venne essa ricevuta con somma affabilità dalla Regina, presentata al Re, che ebbe caro il di lei arrivo, e lasciata per alquanti di riposare negli appartamenti, che le si erano destinati nel reale palazzo. I signori Ruisgomez de Sylva, e D. Diego di Cordova ne spedirono tosto l' avviso al genitore impaziente. All' onorevole accoglimento Sofonisba con grato animo corrispose, nè meglio palesar potea l' ossequiosa sua riconoscenza che dando di piglio alla tavolozza ed ai pennelli, tosto che la di lei officina provvista ne vide. Per primo lavoro attese a dipingere il ritratto della reìna, il quale sì eccellente si giudicò, che il Re pure desiderò di averne il proprio. La squisitezza di questi due ritratti fu da tutti esaltata, e il sovrano sì ne restò soddisfatto, che essendo
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a que' giorni rimasta libera in Milano una pensione di ducento scudi d' oro, a lei volle assegnarla, oltre onoratissima provigione, che le si dava in corte, insieme alla abitazione ed alla tavola. Il principe Carlo di compassionevole memoria chiese egli pure la sua effigie dalla mano di Sofonisba, il cui merito a quello de' più insigni pittori di quella età veniva comunemente agguagliato. Fu probabilmente volontà di lui stesso quella di essere ritratto in piedi, involto bizzarramente in una pelliccia di lupo cerviero con varj adornamenti, quasi moltiplicar volesse così le difficoltà come le bellezze dell' opera. Ma tutto fece la valorosa donzella, e sì egregiamente fece, che oltre agli applausi comuni della reale famiglia ebbe dal giovin principe un diamante a quattro facce del valore di 1500 scudi d' oro. A queste prime e regie fatture fece ella succedere più altri dipinti, tutti per finitezza di disegno e per bellezza di movimento e di colorito stimabilissimi. Quindi la volante fama divolgava ognor più il glorioso nome di lei, cui l' augusta reìna affezionatissima si mostrava, come a tenera amica, tante erano le altre belle doti di cuore e di mente della nostra incomparabil fanciulla. Ad essa l' augusta donna assegnò pure la custodia della sua figliuolina, che fatta grande fu poi la moglie di Alberto arciduca d'Austria. Nel principio del 1561 rinnovò Sofonisba il ritratto della real sua benefattrice, sapendo che il sommo pontefice Pio IV. ne avea desiderio, ed alla santità sua lo spedi con la seguente lettera, che insieme alla risposta ci venne dal Vasari conservata.

»Padre Santo. Dal Reverendissimo Nunzio di Vostra Santità intesi, ch' Ella desiderava un ritratto di mia mano della Maestà della Reina mia Signora. E comecchè io accettassi questa impresa in singolare grazia e favore, havendo a servire alla Beatitudine Vostra, ne dimandai licenza a Sua Maestà, la quale se ne contentò molto volentieri: riconoscendo in ciò la paterna affezione, che Vostra Santità le dimostra. Ed io con l'occasione di questo Cavaliero glie lo mando. E se in questo averò soddisfatto al desiderio di Vostra Santità, io ne riceverò infinita consolazione. Non restando però di dirle, che se col pennello si potesse così rappresentare agli occhi di Vostra Beatitudine le bellezze dell' animo di questa Serenissima Reina, non potria veder cosa più maravigliosa. Ma in quelle parti, le quali con l'arte si sono potute figurare, non ho mancato di usare tutta quella diligenza, che ho saputo maggiore, per rappresentare alla Santità Vostra il vero. E con questo fine con ogni riverenza ed umiltà le bacio i santissimi piedi.

Di Madrid alli XVI. di Settembre 1561.

Di Vostra Beatitudine. Umilissima Serva Sofonisba Angosciola. »

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Il Santo Padre si degnò risponderle come segue, ed accompagnò la risposta con donativi corrispondenti al sublime suo rango, ed al merito della pittrice.

» Pius Papa IIII. Dilecta in Christo filia. Havemo ricevuto il ritratto della Serenissima Reina di Spagna nostra carissima figliuola, che Ci avete mandato. E' ci è stato gratissimo, sì per la persona, che si rappresenta, la quale Noi amiamo paternamente, oltre agli altri rispetti, per la buona religione, ed altre bellissime parti dell' animo suo: e sì ancora per essere fatto di man vostra molto bene e diligentemente. Ve ne ringraziamo, certificandovi che lo terremo fra le nostre cose più care; comendando questa vostra virtù, la quale ancora che sia maravigliosa, intendiamo però ch' ell' è la più piccola trà molte che sono in voi. E con tal fine vi mandiamo di nuovo la Nostra benedizione. Che Nostro Signore Dio vi conservi Dat. Romæ, die XV. Octobris 1561.»

E questa testimonianza, diremo noi pur con Vasari, basti a mostrare quante virtù fossero in Sofonisba. I regali ch' ella ebbe dal Papa consistettero in gemme e pietre di gran valore, in corone d' agata, ed in altri sacri e preziosi giojelli. Alessandro Lamo nostro concittadino, nel discorso ch' ei fece sulla pittura, ove la vita di Bernardino Campi inserì di lei maestro (che il Vasari scambiò con Giulio Campi), ci ha trasmesso un' altra lettera, che Sofonisba scrisse a Bernardino appena ebbe ricevuta quella di sua Santità. Essa è la seguente: » Molto magnifico Signor Bernardino. Alli giorni passati io ebbi una lettera di V. S., la quale mi fu molto carissima, per intendere della sua salute, e così della sua consorte, la quale amo come sorella carissima, non vivendo contenta fino a tanto, che con li effetti le facci vedere ch' io l'amo; ed altre lettere ho scritto a V. S., nè mai ho avuto risposta niuna: nè manco ho ricevuto lettera di V. S., se non questa, che mi fu data da quel gentiluomo dei Secchi. Del ritratto del Re, che V. S. mi domanda, non posso al presente servirlo, come saria mio desiderio, perchè non mi ritrovo ritratto niuno di Sua Maestà, ed io sto al presente occupata a far il ritratto della Serenissima Principessa sorella del Re nostro Signore per il Papa, e pochi giorni sono, ch' io gli mandai quello della Regina nostra Signora. Sicchè, il mio carissimo Signor Bernardino e Maestro, voi vedete se io mi occupo in dipingere; senza che la Regina vuol gran parte del tempo per lei per dipingere, di maniera che la non può aver pazienza che io quasi dipinga, per non levarsi a lei la comodità. Con tutto ciò io non lascierò di far ogni potere per servirvi conforme all' obbligo,
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che tengo, così in questo ritratto, come in ogni altra occasione, che mi si possa presentare; e con questo fine me li raccomando, e li bacio la mano, così alla sua carissima ed onoratissima consorte da me molto amata, ed alla sua madre sig. Barbara, e sua sorella sig. Francesca, ed a suo padre sig. Pietro. Di Madrid alli 21 Ottobre 1561. Di V. S. Affezionatiss. Discepola. Sofonisba Angusiola. »

Di quanta ingenuità e candore è sparsa questa lettera confidenziale! Ben vi traspira la bell'anima di Sofonisba. Essa dà luogo altresì ad osservare come la Regina fosse, per così dire, gelosa dei lavori della sua dama, e come quasi esclusivamente la voleva occupata per se. A quest' effetto pensarono que' sovrani a stabilire per sempre il di lei soggiorno in Madrid, maritandola ad alcuno dei nobili lor cortigiani. Ma tra le morali virtù di Sofonisba quella pure nodrivasi dell' amor della patria. Informata delle graziose intenzioni dell' augusta padrona a di lei riguardo, trovò modo di farle rispettosamente intendere che ricusato non avrebbe di maritarsi, pur che ciò fosse in Italia, e con un Italiano. Giusta parve e lodevole siffatta condizione, benchè esponesse la corte a privarsi di sì nobile e rara pittrice. Ma essa non volea per propria soddisfazione privar lei di quello stato, al quale ogni femina è dalla natura destinata, tanto più che omai giunta era ai trent' anni. Imperocchè faccio conto che di circa dieci anni venisse posta in casa a Bernardino Campi, e ciò fu nel 1546; tredici anni dappoi, cioè nel 1559, passò in Ispagna, e ben quattro o cinqu' anui erano scorsi, ch' ella vi era. Tuttavia non pare, che assorta essa nell' esercizio dell' arte sua, e di savissimi costumi e di verginal pudore adorna, l' inquieto desiderio alimentasse del matrimonio, e molto meno che il palesasse. Altronde ella volle esser maritata in Italia, quando le fu proposto di maritarsi, che nel di lei caso equivale ad un consiglio, anzi forse ad un comando. Trovandosi a Madrid il nobile Siciliano don Fabrizio di Moncada, cavaliere (dice il Ribera) di gran nobiltà, credito e valore, il qual offeriva un convenevole partito per damigella sì degna, ad esso i Sovrani la congiunsero assegnandole in dote dodici mila scudi d'oro contanti, e regalandola di ricchi vestimenti, gioje, e stoffe di alto pregio per addobbamento di casa. La Regina, che più volte l'aveva di anella, vesti, e ricchi ornamenti donata, le diede in questa occasione un abito guarnito di perle del valore di 900 scudi, ed il Re le stabilì per soprappiù un censo di mille scudi annuali sulla dogana di Palermo, con facoltà di trasmetterne la proprietà a qualunque de' figli, che da lei nascessero, ch' ella destinasse ad averla. Così venne il matrimonio di Sofonisba conchiuso ed eseguito, e l' avventurato
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sposo affrettossi a condurre in sua casa a Palermo l'acquistato tesoro. Ella riuscì nel nuovo soggiorno, come per tutt'altrove, cioè leggiadrissima, e virtuosissima. Di là mantenne aperta corrispondenza con le Cattoliche Maestà, dalle quali otteneva pur sempre eguale estimazione e riguardo. Il Vicerè dell'Isola dichiarossi ben presto grande ammiratore di lei, ad intercession della quale ogni favore accordava. Di nuovi eccellenti ritratti, e di bellissimi quadri arricchì essa la propria, e le altrui case, perchè volentieri, massimamente i ritratti, donava alle persone, che avea più in pregio. La natura, che di tante rare doti l'avea fornita, le ricusò l'indicibil piacere di divenir madre, anzi pochissimi anni trascorsero ch' ella non sol non fu madre, ma nè pur moglie, poichè il Moncada sorpreso da gravissima infermità ne morì. Il soggiorno di Palermo divenne quindi all'amorosa Sofonisba dispiacevole e tristo, e la fece risolvere a tornare in Cremona sua patria. Filippo II. informato della di lei vedovanza la invitò a ricondursi presso di lui, ma se ne iscusò Sofonisba, cui per avventura non erano occulti i segreti dissidj della famiglia reale. Imbarcatasi pertanto su galea genovese, comandata dal cavaliere Orazio Lomellini, questi durante il tragitto si invaghì della bella e celebre passaggiera. L'amor suo, i personali suoi meriti, l'occasione sì pronta e sì conveniente di un secondo matrimonio, sperato non isterile come il primo, vinsero il candido cuore di Sofonisba. Giunta a Genova, credette ella del dover suo di informarne il Re, il quale in segno della soddisfazione che n' ebbe la onorò di una nuova pensione di quattrocento scudi d' oro. Solenni furon le nozze che indi a Genova si celebrarono; ed ivi pure fu essa da tutti venerata, e con ogni rispetto osservata ed avuta cara. Avvenne che poco dopo l'Imperadrice, andando in Ispagna, a Genova si recò per l'imbarco. Fu Sofonisba ad inchinarla, e presentarle un piccol quadro rappresentante Maria Vergine, che è una delle più eccellenti sue opere; locchè, dice Ribera, gradì sopramodo l'Imperatrice, facendole favori in pubblico e in privato straordinarj. Di là a non molto passò parimenti di Genova l'infanta di Spagna, che Sofonisba avea custodita fanciulla, andando a maritarsi in Austria con l'arciduca Alberto, e vide sì volentieri la sua Sofonisba, che seco in lunghi e famigliari ragionamenti tutti i giorni che in Genova stette, amò trattenersi, con piacer rimembrando le cose, che seco ebbe comuni ne' suoi teneri anni. Desiderò essa pure di avere il proprio ritratto, e Sofonisba rilevatine i primi necessarj lineamenti prese quel tempo ad eseguirlo, che era indispensabile. La principessa nel partire le donò una collana d' oro egregiamente lavorata, e di molte gemme arricchita.

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Infecondo rimase anche il secondo suo talamo. Ella che sì vaghi e parlanti bambini sapea figurar col pennello non ebbe la consolazione di poter vivi produrne, e ciò la mantenne sempre appassionata intorno alla pittura. Più quadri compose, massimamente di oggetti sacri, e di ritratti. La casa di lei divenuta era il ridotto de' nobili spiriti, e sopratutto de' pittori, che andavano ad ammirarla, e a consultarla. I suoi dipinti erano da ogni parte richiesti, e per tutta Europa si sparsero. Difficil sarebbe il volerne dare un catalogo, e indicare ove trovinsi, ora massimamente, che i buoni quadri d'Italia vennero con tanta sollecitudine dallo straniero desiderati e raccolti. Delle prime opere da Sofonisba eseguite in Cremona ignorasi l'esito, salvo del ritratto del di lei padre Amilcare con la piccola Minerva, e col più piccolo Asdrubale, che tempo fa trovavasi a Roma nella villa Borghese entro la stanza detta di Seneca, insieme ai capi d' opera d'altri pittori. Credesi che sia ora in Francia. Del quadro di S. Francesco stimatizato, ch' essa avea donato alla chiesa suburbana de' Capuccini, dov'era dalla parte destra del coro, nulla si è potuto sapere dopo la soppressione della lor chiesa. Lo stesso dicasi di quello di S. Andrea, che era nella distrutta chiesa di S. Elena, e che viene rammentato anche dal Merula nel Santuario a pag. 227. Soltanto nella nob. casa Bresciani Carena si conserva una Vergine lattante di sua mano. Io pure nella mia piccola collezione mi pregio di un ritratto fatto da lei. In casa Lomellini di Genova trovasi il ritratto di lei ch' ella stessa lasciovvi. Nelle gallerie di Palermo, e in quelle di Madrid e dell' Escuriale, come pure nelle camere del Vaticano, debbon trovarsi varj suoi quadri. In quella di Firenze parimenti debbe esistere un di lei disegno, del quale dice lo Zaist quanto segue: Disegnando Sofonisba altresì mirabilmente in carta, uno de' suoi disegni, per quanto scrive il Vasari, che ella fece in Cremona prima d' andare in Ispagna, capitò alle mani del signor Tommaso Cavaglieri gentiluomo Romano, da cui fu mandato a Firenze al signor duca Cosimo, unitamente ad un altro del divino Michel'Angelo, rappresentante una Cleopatra. In esso vedesi espresso una fanciulla, che si ride di un putto piangente, perchè, avendogli ella messo innanzi un canestro ripieno di gamberi, uno di questi colla zampa biforcuta gli stringe un dito, del quale disegno non può mirarsi cosa più vaga e graziosa, nè più rassomigliante al vero, onde il mentovato Vasari a memoria della impareggiabil virtù di questa gran donna lo ripose nel tanto rinomato suo libro fra gli altri de' primi maestri dell' arte. Due di lei quadri, uno de' quali contenente il ritratto di tre fanciulle (forse le sue sorelline), capitarono già in mia mano, insieme a più altri
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di varj autori, provenienti da una galleria di Romagna, e il governo volle farne acquisto, ed esporli nelle sale della reale Accademia di Brera in Milano, dove da qualche tempo più non si vedono.

Non isdegnò Sofonisba di fare qualche allievo, e come in Cremona fu maestra in pittura alle di lei minori sorelle Lucia, Europa, ed Anna Maria, così lo fu in Genova a Pietro Francesco Piola; e codesti allievi assai ben corrisposero a tanta precettrice. Rimasta vedova nuovamente, la fortezza dell' animo suo vinse l'immenso dolore per la perdita di un marito da lei adorato, e nelle delizie pittoriche unicamente trovò sollievo. Essendole già morti in Cremona i genitori, nè alcuna delle sorelle trovandovisi più, eccetto l'ultima, non si prese più pensiero di ripatriare, tanto più che attempatella essa pure si era fatta. E siccome non potea disporre per verun proprio figlio il censo de' mille zecchini all' anno sulle dogane di Palermo, che non le era cessato giammai, così volle invocare da Filippo III. le sovrane risoluzioni, ed ottenne che nominasse a piacer suo un erede alla pensione annua de' 400 scudi d' oro, statile assegnati in occasione delle seconde sue nozze, dovendo l' altra rimaner vitalizia a lei solamente. Invecchiò essa del tutto in Genova, ed ebbe la sventura di perder la vista; ma la di lei conversazione co' maestri dell' arte continuò non di meno ad essere fioritissima. Ragionava ella con molta chiarezza sulle più scabrose difficoltà della pittura, e porgeva i più sinceri ammaestramenti per superarle. Il celebre Wandik ebbe a confessare di aver conseguito più luce da questa cieca, che dalle opere de' più stimati pittori. L' epoca della di lei morte si ignora, ma debb' essere avvenuta verso l' anno 1626, giacchè sappiamo che giunse all' ultima vecchiezza, giusta l' espressione del conte Mazzucchelli, la quale io limito all' età di circa 80 anni.

Queste brevi memorie della vita di Sofonisba ho io tratte dalla Storia di Cremona del Campi, dalle Vite del Vasari, dalle Glorie immortali delle donne illustri di Pietro Paolo di Ribera Valenziano, che sempre Sofonisma la chiama, dalle Notizie Storiche dello Zaist, e dall' Abecedario Pittorico dell' Orlandi, al quale il Ticozzi nel recente suo Dizionario de' Pittori nulla ha saputo o voluto aggiungere. Ma troppo sarebbe il nominare i tanti autori, che la hanno in mille maniere celebrata, ommettendone i Cremonesi. Lomazzo, Baldinucci, Soprani, Grillo, Mazzucchelli, Tiraboschi, sono del numero. Il citarne gli elogi sarebbe un abusare del tempo e della pazienza de' leggitori. Aggiungerò solamente che il conte Mazzucchelli le ha dato luogo nella sua grand' opera, per essere ella stata fornita di buona letteratura, giusta l' avviso del Baldinucci, e per avere voluto anco con
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la penna (come quella ch' era dottissima) scriver alcune cose, che sono molto lodate e tenute in conto dai virtuosi, siccome afferma Francesco Agostino della Chiesa nel suo Teatro delle donne illustri.


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