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Erminia Fuà Fusinato
Versi di Erminia Fuà-Fusinato
Milano: P. Carrara, 1879

PREFAZIONE [A]LLA EDIZIONE FIORENTINA DEL 1874

[p. VII]
I versi della signora Erminia Fuà-Fusinato non hanno bisogno di passaporto per uscire di Firenze, ove furono riuniti in questo volume, e correre accetti da un capo all'altro d'Italia. Quelli già stampati nei giornali e nelle raccolte d'occasione ottennero favore presso quanti hanno coltura di lettere e tengono in pregio gli affetti gentili; gli inediti possono andar sicuri di eguale accoglienza. Non sarebbe stato perciò necessario che io mi arrogassi di far precedere poche pagine di cattiva prosa a queste serene inspirazioni del cuore di una donna, che la Nazione già riverisce ed onora, se nel confortare l'Autrice a porre in luce questo volume non avessi preso impegno di esporne brevemente il concetto, aggiungendo di mio alcune cose che ella non avrebbe voluto dire ai suoi lettori.


[p. VIII]

Inutile di giustificare la comparsa di un volume di versi nell'opinione di coloro che tengono per soverchi quelli che già l'Italia possiede, e condannano la vocazione poetica a nome del secolo scettico, educato dalla scienza positiva e posseduto dalla smania dei materiali godimenti. Ma nè io, nè quanti fanno giusto giudizio dei tempi, vogliamo sottoscrivere a questa condanna; e ci pare temerario predicare morta la poesia ora appunto che l'intelletto umano mostra più la sua potenza nel dominare la natura; ora che la fratellanza degli uomini da dogma religioso tende a divenire principio politico; ora che la vita umana si agita sotto ogni cielo in contrasti di passioni e d'interessi sempre più tremendi.

Quando parlo così, intendo della vera poesia che sgorga dal cuore e si ispira ai sentimenti più nobili; non dell'arte misera di far versi sopra argomenti accattati, vestendo poveri concetti con forme fantastiche o prosaicamente volgari. Di questa suppellettile, che non può servire nè all'adornamento nè al comodo, l'Italia ne ha già troppa, nè vorrei per nulla cooperare anche indirettamente ad accrescere il nostro magazzino poetico, che è già incommensurabile. Del resto, accade nel campo delle lettere quello che accade nel regno della natura; tuttociò che non ha condizioni per vivere, muore; nè c'è da sgomentarsi di tanti prodotti abortivi dell'ingegno, che hanno la vita effimera d'un giorno.


[p. IX]

Chi poi guardi al modo col quale fra noi si sono risvegliati gli spiriti nazionali, chi tenga dietro alle fasi progressive del rinnovamento d'Italia dal 1820 al 1870, e metta a riscontro la storia politica di questo mezzo secolo con la storia letteraria, comprenderà agevolmente come le idee di indipendenza e di libertà, dagl'intelletti più nobili siano discese nelle moltitudini per il veicolo delle lettere, e singolarmente della poesia. Dal Foscolo, dal Manzoni e dal Berchet, al Rossetti, al Prati e all'Aleardi, il canto dei nostri poeti ha sempre eccitato potentemente i nostri affetti, sia che col fulgore delle glorie passate ci facesse vergognare dell'abiezione presente; sia che, maledicendo alle discordie, ci facesse sentire di esser figli d'una medesima patria; sia che, consumati i secoli della servitù, ci incuorasse alle battaglie della liberazione. Quando la poesia ha cooperato in modo tanto efficace a rendere ad una nazione la coscienza di sè stessa, neppur Platone potrebbe avere il coraggio di bandirla dallo Stato costituito. Inoltre per noi Italiani, rinunziare alla poesia sarebbe dimezzare la nostra natura; e meglio vale essere quello che ci hanno fatto Dio, le tradizioni e la terra lieta e dilettosa in cui siamo nati, che perdere l'essere nostro per aspirare a non so quale perfezione di fredda e calcolata saggezza.

La poesia è una corda dell'anima umana che non può cessare affatto le sue vibrazioni altro
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che col cessare della vita. Ogni condizione sociale, barbara o civile, deve dar modo di esplicare questa facoltà che è delle più nobili, e che può benissimo coesistere coi calcoli più volgari. Sicuramente l'economista preferisce il baco da seta all'usignuolo; ma si possono ammirare l'uno e l'altro, perchè ambedue rispondono ai loro fini e compongono quell'armonia che si scorge nel creato da chiunque non sia affatto cieco della mente. Per qual ragione il baco da seta che fila e tesse quel mirabile stame che l'uomo tranforma nelle stoffe di Como e nei velluti di Genova, dovrà escludere l'usignuolo che riempie d'armonia la solitudine dei boschi nelle notti d'estate? E nell'uomo che compendia in sè la natura, non è forse tale complesso di facoltà che lo fanno capace di filare e di tessere come il baco da seta, e di rallegrare i suoi riposi, come l'usignuolo, con la melodia dei suoi canti?

In tutte le letterature sono poeti di vocazione e poeti di elezione. Per quanto i secondi col pensiero castigato e con la forma eletta riescano talvolta a compensare il difetto di genio, pure soltanto ai primi spetta incontrastato il dominio delle anime, soggiogate dall'ispirazione, anche a malgrado della minor perfezione nella forma esteriore dell'arte. Quando la poesia erompe spontanea dal cuore, come zampillo d'acqua limpidissima da scaturigine naturale, anche senza essere poema o dramma, trova animi ben disposti
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ad accoglierla, ed esercita un fascino misterioso sopra quanti sentono di non esser volgo ed aspirano a qualche cosa di più degno che non siano gli interessi ed i materiali godimenti della vita.

Erminia Fusinato è poeta di vocazione: ella stessa lo dice con quei versi, nei quali narra le sue prime ispirazioni: Sì, non appena la mia giovin mente    Comprese il gaudio, la speranza e il pianto,    Un affetto mi vinse alto e potente    Per questa inspiratrice arte del canto;    E una voce segreta    Canta, mi disse, tu sarai poeta.[(1) Vedi pag. 16.] E il primo affetto che le fece battere il cuore fu l'amore della patria. Nel 1848 ella era giovinetta di forse appena dodici anni, ed il meraviglioso risvegliarsi d'Italia, i sacri entusiasmi che precederono le prime battaglie nazionali, la commossero tanto da farle scrivere canti patriottici, senza avere appreso neppure le leggi del metro. Era il sentimento interiore, che a lei quasi inconsapevole dettava i pensieri, la forma ed il numero. E la forma era schietta e semplice, ed il verso armonioso; vero specchio dell'anima ingenua da cui usciva. Vennero poi i disastri, le proscrizioni, gli esigli; e la giovine poetessa, tradita in quella sua prima e generosa speranza, aggiunse nuove corde alla sua
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lira, e ne uscirono virili elegie ispirate dalle sventure della patria. I fieri dolori e la lunga aspettazione di Venezia non ebbero interprete più vero e più efficace della Fusinato, la quale consacrò alla bella e sconsolata regina dell'Adriatico i suoi canti meglio ispirati.

La maturità dell'ingegno, gli studî e la pratica del mondo, nulla han tolto alla spontanea originalità del genio poetico della Fusinato, nulla hanno aggiunto di artificioso che denaturasse le sue prime ispirazioni. Sposa e madre felice, i nuovi affetti non hanno fatto altro che allargare il cerchio del suo ideale e dare nuovi argomenti ai suoi canti. Continuando ad esser poeta, essa non ha cessato mai di esser donna; donna che ama e compatisce, che sa compiangere e consolare.

Nulla mai di accattato nei suoi versi; cominciando dai soggetti, i quali, tranne i politici, sono in apparenza i più comuni. Essa non scrive per iscrivere, ma solamente quando un affetto la ispira e le detta dentro quello che poi prende forma di canto. Nell'andare innanzi in questo faticoso cammino della vita, ogni volta che le è avvenuto di commuoversi alle gioie o alle sventure dei suoi fratelli di pellegrinaggio, l'animo suo ha trovato nel verso l'espressione naturale del suo sentimento. La morte d'un amico, le nozze d'una compagna d'infanzia, il dolore di una madre, tèmi sfruttati dal volgo dei verseggiatori,
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sono per lei occasioni non cercate di semplice ed ingenua poesia. Le glorie della patria, le bellezze della natura hanno pure gran potenza per suscitare i suoi estri, ed ella sa trovare armonie peregrine anche là dove le arcadie vecchie e nuove non lasciarono altro che discordanti frastuoni.

Ho detto che in lei il poeta non ha ucciso la donna; ed aggiungo ora che anzi ha dato maggior rilievo alle sue qualità. In ogni componimento si trova sempre una strofa, un verso, che soltanto una donna avrebbe saputo scrivere così. I lettori di senso fino lo vedranno da sè; per i più materiali potrei citare i Versi al Leopardi, l' Operaia, e più altri. Ed è pure sentimento squisito di donna quello che conduce la Fusinato a rilevare con predilezione le cose più umili, così nel mondo fisico come nel morale. Un fiore nel verno, una virtù modesta, hanno per lei singolari attrattive. Nel centenario di Dante, mentre in prosa e in rima furono arsi al Divino Poeta incensi d'ogni qualità, molti dei quali sicuramente non esalavano profumo aromatico, la Fusinate cantò di quella povera ed ignorata Gemma Donati, che fu compagna amorosa dell'esule e madre dei suoi figliuoli, appena nominata dai biografi dell'Alighieri. In quel peána trionfale, chi se non una donna avrebbe pensato a Gemma Donati?

Dio, la patria e la famiglia, sono tre concetti,
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sui quali si fonda tutta la parte morale di queste poesie. Nei dolori suoi o d'altrui, la Fusinato leva gli occhi al Cielo e vi trova consolazioni e speranze immortali. Verso la patria più che affetto ella sente passione; la vuole libera, gloriosa, concorde, felice; nessun sacrifizio le pare grave, purchè basti a redimerla; ogni gloria d'ingegno vuole consacrata a lei. Visitando la giovinetta il sepolcro del Petrarca in Arquà, scrisse sull'albo dei visitatori alcuni versi che cominciavano così: Non al cantor dei bei carmi d'amore,    Ma a lui che Italia mia cantava un giorno,    Rendo commossa io pur culto ed onore. Ci sono molti che hanno nome di patriotti, i quali, sebbene a parole mostrino affetti, pure in fondo al cuore non hanno altro che odio: odiano quelli che tengono il reggimento dello Stato, gli avversarî della loro parte, quelli che sono loro d'impaccio a salire in alto. Neppur l'ombra di questi abietti rancori nella Fusinato. Tutto in lei governa l'affetto; al di sopra dei partiti, per lei c'è l'Italia; peggiore d'ogni cosa sono per lei il dominio straniero e le discordie fraterne. Essa ha amato la patria nel lutto, l'ama nella gioia, con cuore d'amante insieme e di figlia.

L'anima della poetessa che si espande con tanto abbandono nei canti patriottici, non è meno ricca di ispirazione quando si rinchiude nel santuario
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domestico. L'amore casto, i santi affetti di madre, di sorella, di sposa, le ispirano armonie soavissime, che chiudono nella brevità efficace del ritmo concetti di alta moralità. Sono storie semplici, sono fiori sbocciati al tepore del focolare domestico. Ed ora che la famiglia è per tanti modi insidiata, spetta alle madri di custodire questo fuoco, assai più sacro di quello che ardeva sull'ara di Vesta nella Roma antica. La famiglia, nel concetto della Fusinato, non è di quelle che taluni vagheggiano, formate nelle locande e tirate avanti su pei vagoni delle strade ferrate; ma vive nella casa dei suoi avi, ove alla pergola, al prato, al viottolo che s'apre sui campi, sono congiunte le care rimembranze dell'infanzia. Luoghi senza memorie sono sempre dimore senza affetti.

Se io debbo conchiudere questo preambolo già troppo lungo, dirò che i versi della signora Erminia Fusinato sono ispirati da tutti i più puri e generosi sentimenti del nostro tempo, senza essere macchiati da quei deplorabili traviamenti di fantasia e di passione, in cui si perdono ogni giorno tanti nobili ingegni. Restando sempre nel vero, così nei sentimenti come nelle imagini, essa ha trovato, quasi senza cercarle, la spontaneità, la grazia e la bellezza dell'arte. La forma stessa risponde con la sua semplicità a questa estetica del bello nel vero che le scuole non sanno insegnare; ed il pensiero fluisce pallido
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o colorito, come nacque nella mente del poeta, nè si sente che sia stato ripreso e tormentato per costringerlo a trasformarsi con studiato artifizio di stile. Ciò non solo conferisce alla chiarezza dei concetti, ma dà ancora alla poesia quel carattere di ingenuo candore, che si ammira nei rimatori antichi e che il Leopardi ritrovò nell'imitazione dei Greci.

Così com' è, questo volume mi pare che debba tornare accetto all'Italia e possa anche giovare all'educazione del cuore ed alla coltura della mente delle giovanette che attendono agli studî delle lettere. È un libro che madri ed educatrici possono porre sicuramente nelle mani delle loro figlie ed alunne. Ed anche questo non è pregio di lieve conto, quando si pensa al valor morale di tanti libri di quella letteratura che chiamano amena per darle un nome, e che vanno per le mani della gioventù, corrompendone il cuore ed il gusto, dopo averne pervertita la ragione.

Pomarance, ottobre 1873.

M. Tabarrini.


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