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Laudomia Forteguerri
Sonetti di madonna Laudomia Forteguerri, poetessa Senese del secolo XVI
Edited by Alessandro Lisini and Pilade Bandini
Siena: Tip. Sordomuti di L. Lazzeri, 1901

Introduction by Alessandro Lisini

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Tra le gentildonne che nel secolo XVI godettero in Siena molta celebrità, devesi ricordare per la prima madonna Laudomia Forteguerri, lodata anzi esaltata dai poeti e dai letterati del suo tempo; non sapremmo dire veramente se più per i suoi talenti poetici, di cui ci rimane scarso ricordo, o per la venustà delle sue forme, essendo da tutti coloro che la conobbero, senesi e non senesi, portata alle stelle e dichiarata bellissima.

Di questa universale ammirazione potremmo addurre assai testimonianze, se ne vedessimo la opportunità; ma piacendoci qui d'esser brevi, riferiremo invece quelle che prime ci vengono alla memoria, incominciando intanto dall'annotazione fatta da un anonimo nel libro stesso ove è registrato il suo battesimo.

In Siena, i libri dei battezzati, oltre ad essere tenuti dalla Pieve di S. Giovanni, si conservavano anche dagli ufficiali della Biccherna, cioè dagli ufficiali che soprintendevano all' amministrazione della Repubblica. Non conosciamo lo scopo di questo duplicato; perchè generalmente allora siffatte operazioni, che chiameremo di stato civile, venivano rilasciate totalmente alle autorità ecclesiastiche, e nè poco nè punto se ne occupavano quelle politiche. Ma qualunque sia stata la ragione che indusse i Governatori della Repubblica a compilare questi registri, essi si rendono preziosi per noi, perchè avendo principio coll'anno 1378, si posson considerare
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tra i più antichi conservati in Italia. Nel libro dunque ove trovasi registrato il battesimo della Forteguerri, di fronte al suo nome, uno dei tanti ammiratori, scrisse: «Unica al mondo e di bellezza rara».

Ottavio Scoto che pel primo mandò alle stampe, nel 1542, un' opera dedicatale da monsignore Alessandro Piccolomini, nel presentare l'edizione al Marchese ed alla Marchesa del Vasto, conclude il suo discorso con queste parole: «Accettino dunque con grato viso il dono che io lor mando, sì per il pregio d'esso e per i meriti di chi l'ha composto, e sì per la fidelissima servitù mia che io tengo con essi, e più che altro per quel gran valore e per quella gran beltà, a cui si assomiglia ad ambedue le S.o Vo Illme. quella rarissima gentildonna, a la quale quest' opera è dedicata: il pregio de la qual donna quantunque per fama sia notissimo, io nondimeno per veduta ne posso far fede. Conciossiachè passando quest'autunno per Siena, e desiderando più che altro vederla, per mezzo dell' escellentissimo dottor di legge messer Giovan Battista Piccolomini, mi accadde vederla, d' odir ragionarla, non già che intendo ch' ella è meravigliosa; parsemi la sua bellezza tale, che io non ricordo d'aver veduta mai la maggiore».

E tra i più noti scrittori che fecero elogio di lei, ricorderemo messer Benedetto Varchi, che in un sonetto eccita Alessandro Piccolomini a cantarne le lodi con queste parole;

«Cantar dovete in voci altiere e belle
   Che s' Arno ebbe già Bice, e Sorga Laura,
   Tien oggi l' Arbia, la gran Laudomia».
e il poeta Bernardo Tasso, padre dell'immortale Torquato, che nel canto XLIV dell' Amadigi, così la rammenta:

«Una di cui copre le dorate chiome
   Crespo e candido velo, e sia cantata

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   E posta in molta stima e molto pregio
   Da penna di scrittore alto ed egregio,
   Sarà Laudomia Forteguerri detta..».

Nè va altresì dimenticato Giuseppe Betussi, letterato dello stesso secolo, che in un libro in lode delle belle donne, col titolo Le imagini del Tempio della Signora Donna Giovanna Aragona, stampato a Venezia nel 1557, dopo aver parlato di Siena e di lei, in un dialogo tra la Verità e la Fama, scrive in suo onore, questo sonetto:

«Degna d' eterna e gloriosa Fama
   Ch' il nome vostro in ogni luogo porte,
   Sì bella e cara spoglia aveste in sorte
   Dal ciel che sempre a se v' invita e chiama.
Ben è ragion s'ogn' un v'onora et ama
   Chè ne' begli occhi avete vita e morte;
   Nè par ch' el mondo in altri si conforte
   Che sol la grazia vostra, e più non brama.
Quando più vide il sol girando intorno
   Simile al vostro peregrino ingegno
   Di tante rare qualitadi adorno?
Quando ebbe Amor mai più securo regno
   Del vostro viso; onde hanno invidia e scorno
   L' altre, come a divin celeste pegno?»

Ma chi più d' ogni altro tesse le lodi di questa bella senese del secolo XVI, e la canta in prosa e in verso, è il celebre filosofo e letterato messer Alessandro Piccolomini, il quale, nonostante professasse filosofia e fosse indirizzato al sacerdozio, non era insensibile alle grazie del sesso gentile. Nei suoi scritti si mostra tra i più caldi ed entusiasti ammiratori di lei, e lascia anche supporre d' essere stato per qualche tempo, dalla bella signora, platonicamente corrisposto.

Madonna Laudomia nacque il 3 di giugno del 1515 [7-1]
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da Alessandro di Nicodemo Forteguerri e dalla sua seconda moglie Virginia di Giulio Pecci: e prima di compier venti anni andò sposa a Giulio di Alessandro Colombini. Da quel matrimonio nacquero tre figli; due femmine, Olimpia ed Antonia; ed un maschio a cui fu imposto il nome di Alessandro, e del quale venne chiamato a far da compare il Piccolomini.

Fu in questa occasione che messer Alessandro, allora residente in Padova, come lettore di quella celebre Università degli studi, dedicò alla madre ed al figlioccio, per dono di comparatico, quella sua celebre opera filosofica che porta questo lungo titolo: «De la institutione di tutta la vita de l' homo nato nobile e in città libera. Libri X, in lingua toscana dove, e Peripateticamente e Platonicamente intorno alle cose de l' Etica Iconomica, et parte de la Politica, è raccolta la somma di quanto principalmente può concorrere a la perfetta e felice vita di quello. Composti dal signor Alessandro Piccololomini a beneficio del nobilissimo fanciullino Alessandro Colombini pochi giorni innanzi nato, figlio de la immortale Madonna Laudomia Forteguerri, al quale (havendo egli sostenuto a battesimo) secondo l' usanza dei Compari, dei detti libri fa dono» [8-1].

A tutto il terzo libro, che si riferisce al trattamento del fanciullo fino all' età di dieci anni, l'autore rivolge il discorso alla nobilissima e bellissima, o altrimenti alla
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divina Madonna Laudomia,
ma nel seguito dell'opera le istruzioni sono date direttamente al figlioccio Alessandro Colombini. Nell' opera si parla di tutto e non v' è parte dell'educazione che sia trascurata perchè un uomo nato nobile possa trovarsi bene sia nella famiglia, sia nella vita pubblica, fino alla scelta della donna che deve togliere in moglie.

Il Piccolomini termina questa parte del discorso, portando ad esempio naturalmente la Laudomia Forteguerri. E perchè si possa avere un'idea degli elogi che egli ne fa, riferiremo le sue stesse parole:

«Qualvoglia esser poi la bellezza corporal d' una donna, non è questo il luogo nè il tempo di ragionare. Dirò ben che quando ben fusse il luogo, a voi non di meno, non bisognerà raccontarlo, essendo che se io dicessi mille anni non potria arrivar con lo stile a quel che la madre natura e Dio grandissimo appresso, ne la virtuosissima vostra madre madonna Laudomia ha riposto. Ella è veramente tale, che com'è lei debbiano esser fatte quelle donne che belle chiamar si debbino. E qualunque donna, in qual si voglia parte, non è prodotta simile a lei in quella tal parte, esser bella non potrà mai.

A lei dunque, Alessandro, vi rivolgete: e pigliando esempio da essa, non potrete se non elegger donna compiutamente perfetta. Essendo la divina Vostra Madre donna bellissima e di bellissima e virtuosissima madre nata, e prudentissimamente allevata e nodrita, di costumi ornatissima, di persona alta e ben fatta e di divina maestà piena; dolcissima e vezzosissima in vista, onestissima in ogni azione e parola, piena di modestia, di grazia, di gentilezza, di gravità: e per concludere in tre parole; tutta divina, tutta celeste, tutta immortale, a cui simile, se la buona fortuna vostra vi conducesse una moglie, mai non nacque nè fia per nascere uomo di voi più felice».
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Questo capitolo è il secondo del libro X; e porta un curioso titolo che non doveva dispiacer punto all'autore. Il titolo dice: De l' elettione de la consorte e se ella può amare altro amante che il suo marito.

Il capitolo come era logico, incomincia con la seconda parte; cioè, se alla consorte era lecito d' amare altro amante; ed è anche facile indovinare le conclusioni del Piccolomini. Infatti egli arzigogolando con argomentazioni che secondo lui sono filosofiche, giunge ad affermare non esser punto necessario tôrre in moglie la donna amata, ma anzi esser cosa convenevole che non si tolga: con ciò sia cosa che - soggiunge - a miglior fine e da miglior legge posto ci sia l' amore, che non si ordinarono le nostre nozze. E da uomo prudente e saggio, nei capitoli precedenti, aveva già inveito contro la gelosia, che qualifica il più orrendo mostro e pestilenziale veleno. Anzi parlando dell'offizio degli amanti, mette fuori questa sentenza, cioè che la donna amata non faceva torto all'amore che «portava all'amante, se ella offiziosamente procurava di fare nella casa sua, verso il marito, verso i figliuoli, verso le sostanze tutte le operazioni necessarie alla famiglia», e, bontà sua, ammette che l'amore verso il marito non fosse poi contrario all'amore che si porta all'amante; anzi non solo poteva rendersi possibile, ma doveroso che stessero insieme. Non potremo dire che in fatto di tolleranza messer Alessandro non istruisse bene il suo figlioccio, venendo intanto a preparare quel ridicolo cicisbeismo innalzato quasi a istituzione un secolo e mezzo dopo.

E perchè poi l'ultima massima non stava troppo in armonia, anzi veniva a contradire apertamente un'altra da lui emessa due anni prima in un'operetta assai licenziosa col titolo la Raffaella o vero la creanza delle donne, che aveva acquistato non poca pubblicità, fu costretto a sconfessare quanto su tal proposito aveva
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scritto, giustificandosi col dire che la Raffaella era una favola scritta per scherzo e per giuoco.

Tuttavia nelle opere del Piccolomini apparisce evidente che l'ammirazione per la donna era superiore a quella che tributava alla letterata.

Nella prefazione delle Istituzioni egli stesso ci narra che un giorno discutendo con la Forteguerri di filosofia e parlando insieme dell'angelica ed umana felicità, essa prese a commentargli il canto XXXI del Paradiso di Dante Ma messer Alessandro tutto assorto a contemplare la bellezza di lei, dette poco ascolto alle dotte parole della comentatrice; e trovatosi costretto a ripensarci più tardi, francamente dovette confessarle che «alla presenza vostra, il vostro bello mi abbagliava così la vista del senso e dell' intelletto, che il valore delle vostre parole non discernevo». E questi divagamenti gli accadevano di frequente, allorchè si trovava davanti a tanta bellezza.

Non erano ancora terminati due anni dalla nascita del figlio Alessandro, quando messer Giulio Colombini venne a morte, prima d' aver raggiunta l'età di sette lustri. La Forteguerri, appena rimasta vedova, venne assediata da numerosi corteggiatori e da incessanti domande di matrimonio; ed essa dopo due anni di vedovanza, finalmente si decise a passare in seconde nozze con messer Petruccio Petrucci.

Il Piccolomini, mentre fissavasi quel matrimonio, si trovava in Roma; e soltanto al suo ritorno in Siena, venne a conoscere la notizia; la quale giuntagli inaspettata e improvvisa lo fece rimanere assai meravigliato e dolente tantochè adiratosi con la bella Laudomia, convertì tutte le lodi prodigatele fino allora in altrettante querimonie ed in acerbi rimproveri, come sono questi del sonetto XXX della sua raccolta [11-1].
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«Coi raggi suoi la luna alta e lucente
   Splendea daì ciel (pure a pensarlo aghiaccio)
   Quando piangendo, con le luci intente
   Nel volto mio, postomi al collo il braccio,
Giuraste, aimè, che per me pria che spente
   Fosser tue fiamme, arso sarebbe il ghiaccio
   Nè son poi stato un mese assente
   Che rott'hai di tua fe', perfida, il laccio.
Chi sia non so, che me scacciato ha fuora
   Dal rio tuo petto, e a tue parole infide
   Cred'ora altiero, e non n'ha fatto 'l saggio:
Ma sia chi vuole, o bello, o dotto, o saggio:
   Se ben tec' or del mal mio canta e ride,
   Piangerà tosto; e io rideronne allora.»

A confortarlo di tanto abbandono, venne pietosa la dotta Vittoria Colonna, la celebre Marchesana di Pescara, come ci fa sapere lo stesso Piccolomini con questo sonetto, pubblicato nella raccolta che a lei dedicò.

«Donna, la cui virtù, luce sì bella
   Manda lontan per i belli occhij fuore,
   Che 'l mondo illustra, e qual benigna stella,
   Ciò che tocca col raggio empie d'amore:
Mentre che i libri miei, l' empie quadrella
   Vi mostran, ch'entr' al cor mandommi Amore,
   Pietà v' assal, se 'l ver mi dice quella,
   Cui 'l nome fà conforme a i fatti onore.
Amai, gli è ver: ma sdegno e crudeltade
   Fer sì, ch'à consolar l' afflitta mente
   Fu poi fin' ora ogni rimedio vano.
Ben la consola or sì, vostra pietade,
   Ch' invidia or può (chi fia che 'l creda?) il dente
   Volger dov'à Pietà l' occhio e la mano [12-1]).

Ma il Piccolomini veramente provvide a consolarsi meglio da sè, innamorandosi poco tempo dopo di un'altra gentildonna.
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La elevatezza d'ingegno e l' energia di carattere della Forteguerri, più che negli elogi del Piccolomini e degli altri suoi ammiratori, si rende evidente, quando nel gennaio 1554 trovandosi in pericolo la Patria, con altre due gentildonne senesi, la Livia Fausti e la Vittoria Piccolomini, si mette a capo di schiere femminili. Di quelle schiere cioè, che balde e coraggiose corsero in aiuto degli uomini a preparare le difese contro l'esercito cesareo accampato all' intorno di Siena. E quest'atto di eroismo femminile tanto entusiasmò Monsignor di Montlue, rappresentante del re di Francia nella difesa di Siena, che lo volle ricordare nei suoi comentari con queste parole:

«Il ne sera jamais, Dames Sienoises, que ie n'immortalise vostre nom, tant que le livre de Montluc vivra: car à la vérité vous estes dignes d'immortelle loüauge, si jamais femmes le furent». La squadra della Forteguerri era vestita con abito violetto a forma di Ninfe ed innalzava una bandiera coll' enimmatico motto: Pur che sia vero. Quella della Fausti, vestita di bianco, portava un' insegna d' egual colore con ramo d' olivo e il motto: Pur ch'io l' abbia. E quella della Piccolomini, di rosso incarnato con la bandiera róssa con croce bianca, ed il motto: Pur che non la butto. Ma purtroppo neppur questo eroismo delle amazzoni senesi potè giovare alla libertà di Siena, poichè un anno dopo, i cittadini costretti dalla fame, dovettero capitolare ai 5 d'aprile.

Intorno al suo valore come poetessa, ce ne rimettiamo al giudizio dei nostri lettori. Osserveremo soltanto che dai pochi sonetti rimastici, nuovamente publicati in questa fausta occasione, non ci sembra che la Forteguerri si sia innalzata al disopra delle poetesse sue contemporanee. Dei sei sonetti pubblicati da messer Lodovico Domenichi nelle” Rime diverse d' alcune virtuosissime
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e nobilissime Donne,,
[14-1] cinque, e forse anche il primo sonetto mancante di dedica, sono indirizzati a madonna Margherita d' Austria, figlia dell' imperatore Carlo V. sposatasi in prime nozze al duca Alessandro de' Medici di Firenze, e dopo la tragica morte di lui, ad Ottavio Farnese duca di Parma.

Dalle parole di quei sonetti bisogna supporre che la Forteguerri portasse a quella nobilissima Donna una particolare e sconfinata devozione, se come dice, tra i suoi più vivi desideri, v'era quello di stare sempre appresso a questa sua Dea.

L' ultimo sonetto invece è dedicato alla signora Alda Torella Lunata, altra poetessa allora in grido, e da lei conosciuta soltanto per fama. Questo sonetto eccede nella esagerazione della lode, poichè la poetessa senese giunge fino a dire che il maggior dono fatto da Dio e dalla natura ai mortali per abbellire e far gioire il mondo, era appunto la fattura della signora Alda Torella. Ma l' uso o meglio l'abuso dell'iperbole, fu un vizio dell'epoca, come ce ne offre esempio anche nei suoi sonetti la stessa Alda Torella.

A. LISINI

Notes

(7-1) Nel libro dei battezzati in S. Giovanni, si legge: Laudomia Barthalomea Maria figlola di Alixandro di Nichodemo Forteguerri fu battezzata a dì 3 di giugno a ore 21 in circha, fu compare messer Federicho abbate de la Rosa, che Dio le dia buona ventura. Nell' altro della Biccherna trovasi questo ricordo: Laudomia Bart. M. f. di Alix.o Forteguerri si bapt.o addì 3 di giugno, fu compare ms. Federigo della Rosa. E in margine un' altra mano scrisse: Unica al mondo e di bellezza rara. Vi è pure quest'altra annotazione in caratteri del tempo, in questo f.o 217 Petruccio Petrucci suo marito e suo amante. Il richiamo al f. 217, si riferisce al battesimo del Petrucci, nato nel 1513.

(8-1) Di quest' opera del Piccolomini esistono varie edizioni: la più antica è quella di Venezia del 1542. La lettera di dedica del Piccolomini porta la data 1 gennaio 1540.

(11-1) Cento sonetti di M. Alessandro Piccolomini. Roma, Valgrisi, 1549.

(12-1) Il sonetto III. porta questo titolo: A la Illustriss. S la Sig. Vittoria Colonna…. havendo ella letti i libri composti a Mad. Landomia Forteguerri, secondo che riferì la Nobilissima Mad. Honorata Tancredi.

(14-1) Libretto in 8.0 picc. stampato da Vincenzo Busdrago in Lucca nel 1559.


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