L' ANDRIA,
COMMEDIA
DI
TERENZIO;
TRADOTTA IN VERSO SCIOLTO
DA
LUISA BERGALLI,
Fra gli Arcadi
IRMINDA PARTENIDE.

E di nuovo dall' Autrice riveduta, e corretta.

IN VENEZIA, MDCCXXXV.

Appresso Cristoforo Zane,
Con Licenza de Superiori, e Privilegio.

EGli è ben tempo, ch' io dia effetto, Eccellenza, al molto desiderio, che ho sempre nell' animo tenuto, di darvi qualche segno dell' alta stima, che io fo di voi, e della particolar venerazione, in che io v' ho; e ciò sia col dedicarvi questa mia traduzione della prima Commedia di Terenzio da me riveduta, e corretta.

Io poteva, non ha dubbio, adempiere prima d' ora questo mio ardente volere; ma la resistenza, che in ciò feci a me stessa, vien pure ad esservi prova del sommo rispetto mio; il che sono per dimostrarvi, se avrò tanta forza di parole, quanta ho ragione. Io mi son data da qualche tempo a tradurre, come sapete, le Commedie di Terenzio; e per qual fine pienamente non saprei dirvi, se non forse per seguire una certa mia natural inclinazione, che mi vuole impiegata in qualche Letteraria fatica. Ma come, la Dio mercè, tanto non mi accieca questo diletto, che agevolmente io mi appaghi delle Opere mie; così prodotte ch' io l' abbia, altro per lo più non ci ritrovo per me di bene, che il solo piacere da me provato in comporle; e conoscendole immeritevoli di essere altrui presentate; o al Pubblico non ne fo parte, o con mia penq e con mio rossore lo fo: sicchè a voi, che tanto pregio, ed onoro non ho mai saputo dispormi a presentarne una con questa mia ragionevole prevenzione, e mio mal concetto delle stesse mie cose. Ma esibendovela finalmente parrà forse, ch' io questa fiata presuponga di dar in luce una perfetta, e di Voi degna composizione; la qual cosa in effetto non è vera. Credo bene di aver posta in opera ogni possibile attenzione, perchè la Commedia in miglior sia ridotta, ch' ella non era; il che non poteva io fare, se non per via di tempo, che forse troppo giovane, e troppo inesperta a simile impresa io da prima mi son messa. Ora mi basti dunque, o Eccellenza, questo mio credere per difesa del mio ardire, e per chiedervene grazioso compatimento; ed oh, che voi forse col generoso animo oltreppassate la mia domanda, e non che ad avermi compatimento, ad aggradirmi, ed a proteggermi siete pronta. Così a me fosse dato di corrispondere alla vostra gentilezza; e non perchè abbiate voi delle mie lodi bisogno; ma potessi per mia consolazione favellare del vostro cospicuo Sangue, del pellegrino talento, e degli studj più ardui, di che siete capace, e perchè tra l' altre andate distinta: ed a ragione mi dolgo, che essendo voi di singolari pregi dotata, non si possa per me di singolari, e leggiadre parole farvi corona. Essendomi però tolto di ragionar degnamente di voi; mal mi contento di dirno poco; sicchè baciandovi la mano, nella vostra stimatissima grazia mi raccomando, e mi rassegno.

Di V. E.

Umiliss. Devotiss. Obblig. Serva
Luisa Bergalli.

SEmbrerà forse a prima vista, che per essermi io posta a tradurre le Commedie di Terenzio mi lusinghi di superar coloro, che dietro a quest'Opera si sono affaticati; poiche certa cosa è, che gli altri si dovrebbero lasciar soli ad una impresa, da chi non avesse speranza di adempierla in miglior modo: ma siccome mio talento non fu mai di gareggiar con chi si sia, in alcun ordine di cose, egli non deve essere in questo dove si tratta d'avere una profonda cognizione dell'una, e dell'altra favella, ch'io non professo.

Per solo motivo di mio piacere a questo dunque mi sono applicata; e perche mi restino più impresse le maniere del celebre Autore, il quale servì, ed anco a' giorni nostri serve di norma ai più valorosi, come si vede dagli Amanti Interni Commedia Inglese del Cavalier Riccardo Steele; tradotta parte dal Signor Paolo Roli; e parte da una Dama Inglese, a cui egli è Maestro nell'Italiana favella.

Gio: Batista da Borgo Franco, e Cristoforo Rosario le hanno in prosa volgarizzate; ma del verso endecasillabo servita io mi sono, perche credo, ch' egli benissimo si adatti ad esprimere con semplicità, e naturalezza ogni sentimento; quando nello scrivere si voglia lasciar da parte la maestà degli eroici componimenti: il che, se in questa prima non m'è riuscito di fare, come io desiderava, son certa almeno di averlo tentato.

Bernardo Felippini, ed Alberto Lollio hanno però tradotto in verso uno l' Andria, e l'altro gli Adelfi, e Giovanni Giustiniano di Candia ambe recolle in verso sdrucciolo.

Per rapporto del Signor Canonico Crescimbeni, ne lasciò MS. un bellissimo volgarizzamento la valorosa Dama Fiammetta Malaspina Soderini. Sua Eccellenza il Sig. Alvise Querini tradusse l' Andria parimenti in verso endecasillabo; e per conoscere il facile maneggio di una tal sorta di verso sarebbe desiderabile, ch'Egli si compiacesse di darla in luce: essendo un Cavaliere, che in così fatte cose tiene l'ultimo discernimento. Tutta volta, se non per acquistar lode, almeno per isfuggir biasimo, non si creda, che in questa traduzione io mi sia fidata del mio solo giudizio; poiche tali Soggetti di stima m' ebbero occhio, e compatimento, che già parmi di dover ottenere il mio fine. Però, se in mancanza dell' altre traduzioni, che di rado si veggono intorno, alcun vorrà graziosamente, che questa gli serva; otterrò cosa sopra il mio merito, e sopra la mia speranza.

BirriaServo.
CarinoGiovine.
CremeteVecchio.
CritoneOspite.
DavoServo.
DromoneServo.
GliceriaMeretrice.
LesbiaLevatrice.
MisidaServa.
PanfiloGiovine.
SimoneVecchio.
SosiaLiberto.
ArchillaServa.
CrisidaMeretrice.
NiceratoGiovine.
FedroGiovine.
CliniaGiovine.
Pasibulala stessa, che Gliceria.
QUando il Poeta misesi da prima A scriver si pensò che solamente Avrebbe questa briga di far sì Che le Favole, ch' egli lavorasse Piacessero al comune; ma si avvede, Che gl' interviene tutto alla rovescia; Imperocchè nello scrivere i Prologhi Manca all' uffizio suo; che non ispone Il tener della Favola, ma da Risposta alle calunnie di un Malevolo Vecchio Poeta. Or di grazia ascoltate Le belle colpe, che vangli attaccando. Menandro fece l'Andria, e la Perintia; Chi ne ha ben letta una, può far conto Di averle lette tutte, e due; poichè Non sono già molto diverse di Argomento; quantunque sieno poi E di andamento, e di stile dissimili, Egli confessa aver dalla Pirintia Cavato ciò che gli fu a proposito; E ch' ei se n è servito intorno all' Andria, Come di cosa, che gli apparteneva. Ora i di lui malevoli per questa Faccenda assai ne parlano con biasimo; E stanno a disputar, che non è lecito Contaminar le altrui Commedie, e farne, Com' egli, di due Greche una Latina. Ma affe con tanto starsi sul sapere Non san ben dove s'hanno il capo, che Braveggiando con lui, poi non si accorgono Di accusar seco e Nevio, e Plauto ed Ennio; Cui al nostro Poeta seguir piacque, E alla cui negligenza egli attenersi Piuttosto vuol, che alla costor seccaggine. Io però gli avvertisco, che riposino, E in avvenire di sparlar tralascino: Perchè potrebbon anche ritrovare Chi dicesse le lor magagne. Or voi Favorite il Poeta, ed ascoltateci Cortesemente, ed attendete bene Alla Commedia; acciocchè ben possiate Giudicar, che speranza aver si debba Dell' altre, ch' ei farà da qui avanti Intere intere di suo capo; e s' elle Saranno degne di esser viste, o no. SIMONE, SOSIA. Sim. OR via portate voi coteste cose Là dentro in casa, andate su. Tu Sosia, Sta quì, che ti ho da dir quattro parole. Sos. Fate conto, ch'io l'ho sentite. Voi Volete, che si aggiustin quelle robe. Con istudio. Sim. Eh, voglio altro. Sos. Deh, in che Maggior facenda potete valervi Del fatto mio? Sim. Di questo fatto tuo Non me ne accade in quel, che mi apparecchio Di far: ma si di quella segretezza, E fedeltà, che so, che tu hai sempre Avuta. Sos. Aspetto sentir ciò che voi Vogliate. Sim. Poichè io, che compero insino Da fanciulletto, tu sai, s' hai servito A buon Padrone, a discreto. E trovandoti Io leal servitore poi, ti ho fatto Franco; pensando, ch'io non potea darti La maggior ricompensa. Sos. Ed io ne serbo Grata memoria. Sim. Nè me ne sa male Di averlo fatto. Sos. Mi piace, se ho fatto, O se fo cosa, che vi paja buona, Simone, e se vi siete contentato Del mio servigio, grammercè: rincrescemi Bensì, che il vostro riandar coteste Cose passate, è quasi un rinfacciarmi, Che sienmi usciti di mente i favori, Che ho avuti da voi. Però venite, Come suol dirsi, a mezza spada, e ditemi: Da te io voglio questo, e questo. Sim. Sia Come ti piace. Imprima io ti do avviso Che queste nozze, come tu le credi Non sono vere. Sos. Perchè le fingete? Sim. Io la ti conterò tutta; così Verrai a discoprir la vita, che tenne Mio figlio; e ciò che io disegno, E ciò che io vorrei, che tu facessi In questa cosa. Dacchè ei, Sosia, uscì Di fanciullezza, ed ebbe libertà Di vivere a suo modo: poichè prima Chi poteva capire, ed isvertare Il genio suo, se ancor la poca età, La paura, e il Maestro lo tenevano Coperto? Sos. Così sta. Sim. Siccome fa Il più de'Giovanetti, che lo spirito Impiegan tutto in un qualche esercizio; O in mantener cavalli, ovvero cani Da caccia, o nello studio de' Filosofi; Egli a veruna di coteste cose Non si applicava coll'animo intero; Ma a tutte insieme con tal via di mezzo, Ch'io ne godeva. Sos. E avevate ragione, Perciocchè io penso, che sovra ogni cosa Sia vantaggio degli uomini, far conto, Che ogni troppo è troppo. Sim. Il suo costumè Era questo: egli era paziente A sofferire, ad iscusar ciascuno, E al genio di color, con chi avea pratica, Rimettevasi in tutto, e compiacevali: Non si opponeva a nessun mai; nè mai Da più degli altri si faceva: in questo Modo, è facile, infatti, che si acquisti E lode, e Amici, senza invidia. Sos. Egli Si era messo a vivere da savio; Che a nostri dì l'assecondar ci da Gli Amici, e il vero partorisce odio. Sim. Intanto, e son tre anni, venne a starsi Qui a noi vicina una femmina d' Andro, Cacciata dalla povertà, e dalla Poca cura de' suoi Parenti: bella Quanto poteva essere, e sul fiore Degli anni. Sos. Oime, io ho pure spasimo, Che cotesta Andriana non ci arrecchi Qualche malanno. Sim. Prima ella faceva La onesta, e la ristretta vita, e piena Di disagio, cercando col filare, E col far tela di riparar allo Stato suo; ma poichè le furo intorno Uno, ed un' altro amante, a prometterle Danari; come siamo in questo mondo Inclinati a fuggire la fatica, E a darsi buon tempo; ella accettò Il partito, e si fè Donna da prezzo. Ora coloro, che amavanla, a casa Sua introdussero a sorte mio figliuolo; Perchè, come si fa, tenesse loro Compagnia. Fra me stesso io dissi subito: Certo egli è colto, e preso ha l'imbeccata. Ma la mattina, ch' io stava osservando I lor servi, che andavan sù, e giù; Ne pregava qualcuno caldamente, E diceva: O quel giovane, deh si Dimmi il ver per tua fe, chi si ebbe jeri Crisida? che così aveva nome Quell' Andriana. Sos. Benissimo. Sim. Ed egli Diceva, or Fedro, or Clinia, ed or Nicerato; Che tutti questi tre erano suoi Innamorati. E che fè, io ripigliava, Panfilo? O che fec'egli! E' diè la sua Parte, mi replicavano, e cenò Con esso loro. A questi avvisi io tutto Godeva: così pur qualche altro giorno Questo lor domandava, e quel medesimo Ne ricavai, che con Crisida Panfilo Non aveva che fare. Cosicchè Io lo credeva la prudenza istessa, E l'essempio di continenza; che Chi prattica con cotal gente, e sta Onesto, fa tua stima, ch' ei saprà Guidarsi saviamente in ogni fatto. E tanto più ciò mi piaceva, quanto Mi dicean tutti ad una voce ogni Bene, e parlavan tutti della mia Buona fortuna, che avessi avuto Figliuol di sì buona indole. Che piu? Cremete, spinto dalla buona fama, Venne da sè medesimo a trovarmi, Per dar, e non ti dico con che dote, La sua figliuola unica al mio. Mi piacque Il partito, e gli diedi la parola; E si avean oggi a far le nozze. Sos. Or che Vi tien, che non sì facciano da vero? Sim. Ascolta. Andati pochi giorni, dopo Questi trattati, la vostra vicina Crisida si morì. Sos. Oh bene sta: Mi avete proprio consolato. Oime, La gran paura, che mi fece quella Crisida. Sim. morta ch'ella fu, mio figlio Era là sempre con quei, che l'amavano; Ed unito con loro mettea in ordine L'essequie. Intanto anch'gli stava mesto, Di tratto in tratto accompagnando gli altri Con qualche lagrimuzza; e ciò mi piacque Perchè diceva cosi fra me stesso: Deh, vedi per pochissima amicizia, Ch'ebbe costui con quella Donna, tanto Cordialmente si porta alla sua morte: Che fare, s'ei l'avesse amata? e che Farà per me, suo padre? Io mi pensava, Che tutte quelle cose fosser segni Di umanità, ed effetti di animo Discreto. Or, che piu dico? Io parimenti, Io stesso, per suo amor vado al mortorio, Ancora senza alcun sospetto di Male. Sos. Oh, che cos'è? Sim. Sta pure. Escono Col corpo, noi lo seguitiamo. Intanto Fra quelle Donne, ch'era là, mi scorrono Gli occhi, così per sorte, sopra una Giovinetta di un'aria. Sos. Buona forse? Sim. E di un viso tanto modesto, e tanto Piacevole, che nulla più; e perchè Mi parve, ch'ella si rammaricasse Sopra di tutte, ed avenente era Sopra di tutte, e gentilesca; affronto Le serve, e lor domando chi Ella è. Mi rispondono, ch'ella è la Sorella Di Crisida. Mi dettero nel cuore Subitamente; e dissi oime, oime; Quì è il malanno, e di qui viene il pianto, Di qui le tribulazioni. Sos. O come Aspetto con paura dove abbiate A riuscire. Sim. Si va avanti intanto Col mortorio, e noi dietro, alfin giungemmo Al sepolcro, e si adagia nella Pira La morta, e fansi i pianti. In questo mentre Quella Sorella ch'io ti ho detto, fassi Sconsideratamente, e con aperto Pericolo vicina a quella fiamma. Panfilo allora, come bello, e morto; Discoprendo l'amore, che sin là Avea celato, e dissimulato Si cautamente, accorre, e t'l'abbraccia Stretta ne' fianchi, e dice: o mia Gliceria, Deh, che fai tù? perchè vuoi straziarti Così? ed ella, e qui si può capire Che v'era avanti l'attacco, piangendo Lascioglisi cader in collo, in modo, Che si vedeva la domestichezza. Sos. Oh, cosa mi narrate! Sim. Volto via Pien di veleno, e soffrendolo assai Di mala voglia: nè ci avea cagione Quanto bastasse per fargli un rimprovero; Che mi potea rispondere. Deh, che Ho fatto infine, che castigo merito Io, che fallo ho fatto padre? Io tenni Una, che si volea gittar nel foco, E l'ho salvata. La scusa era onesta. Sos. Pensate bene; perocchè, se voi Diceste male ad uno, che salvi La vita a un'altro. ehe fareste poi Ad un, che fesse danno, e male? Sim. Il giorno Dietro, ecco Cremete, schiamazzando, Che era cosa indegna, ciocchè Panfilo Avea scoperto, ch'ei teneva quella Straniera, come sua moglie; ed io allora Cominciai a negar costantemente Cotesto fatto, ed egli pur a stare Saldo, ch'era cosi, e finalmente Si dipartimmo; come s'egli più Dar non volesse sua figliuola. Sos. Allora Non riprendeste vostro figlio? Sim. Questa Nè pure era cagione, che bastasse Per farlo. Sos. No: perchè? Sim. Perchè avria detto, Fate conto, o padre, che ci avete Voi dato il fine a questi miei disordini; Ed il tempo è dappresso, ch'io dovrò Farla a modo d'altrui: però lasciate, Ch'or me la faccia al mio. Sos. Dunque in che tempo Credete voi, che sarà da riprenderlo? Sim. S'egli per questo amor non vorrà moglie, Ecco la prima ingiuria, di cui debbo Castigarlo, e per questo ora mi adopro; Acciocchè per cagione delle false Nozze, io m'abbia motivo di riprenderlo, S'ei mi si mette a dir di no. E poi Lo fo, perchè, se quello sciaurato Di Davo ha il cuore alle sue giunterie, Le adopri adesso, che colui si sforzi Con le mani, e co' piedi a farmi contra; Più per far onta a me, che per far cosa Grata a mio figlio. Sos. Perchè ciò? Sim. Perchè? Per mala volontà, e per mal cuore. Ma se mi accorgo di tantino… Basta; Non più parole. Se come ricerco, Sarà prontezza in Panfilo; mi resta L'intoppo di Cremete; col qual poi Ci vorran le preghiere. Tuttavia Voglio sperar che ne lo svolgerò. Or deve esser tua cura finger bene Queste nozze, e por Davo in ispavento. E procura sapere quel che fa Mio figlio, e che consigli abbiano fra Di loro. Sos. Si; lasciatene la cura Di tutto a me. Orsù, andiamo in casa. Sim. Va là tu innanzi; ch'io ti verrò dietro. SIMONE, DAVO. Sim. LA cosa è chiara, che mio figlio neghi Di tor moglie, cosi mi accorsi essere Sconvolto Davo, quando e' sentì, ch'erano Queste nozze sul farsi. Ma egli esce Dav. Ben avea maraviglia, che la cosa Andasse in questo modo; e sempre stetti In dubbio, dove avesse a riuscire La placidezza del padron; che avendo Udito come più dar non doveavisi Moglie a suo figlio, non fe' mai parola Con alcuno di noi; ne mai mostrò Che gli spiacesse. Sim. Ben lo farà adesso; E penso io, non senza che tu gliele Paghi. Dav. E volle cosi, acciocchè noi Fuor de' pensieri, stessimo col cuore In una falsa allegrezza, e scacciata Ogni paura, egli potesse incogliersi Dormendo, e non avessimo più agio Di frastornar le nozze. Oh, che astutezza! Sim. Che dice il Manigoldo? Dav. Ecco il padrone, Ed io non l'aveva veduto. Sim. Davo. Dav. Oh, che cos'è? Sim. Vientene un poco quì. Dav. Che vuole ora costui? Sim. Che parli tu? Dav. Di che cosa? Sim. Mi chiedi di che cosa? E' si è levata una voce, che mio Figliuolo è innamorato. Dav. Oh, alla fe, Il popolo non ha altro, che fare, Che aver la mente a lui. Sim. Odi tu ciò, Che dico, o no? Dav. Io l'odo certo. Sim. Ma Lo andar a cercar ora queste cose Ella è parte da padre indiscreto; Imperciocchè di quanto nel passato Ei fece, non m'importa. Finchè era Tempo da queste cose, lo lasciai Soddisfar a suo modo. Ora ci vuole Altra sorta di vita, altri costumi. Però ti chieggo, s'egli è giusto, e pregoti, Davo, che insine e' torni sulla buona Strada. Dav. Che sarà questo? Sim. Tutti gli Innamorati con disgusto, soffrono Che lor sia data moglie. Dav. Così dicono. Sim. Che se poi danno orecchio a qualche loro Consigliero sfrontato, per lo più L'animo infermo si attiene al peggiore. Dav. Io non intendo nulla. Sim. No eh dunque? Dav. No certo; ch'io son Davo, e non Edipo. Sim. Vuoi dunque ch'io te la chiarisca, come Un cristallo? Dav. Si, fatelo di grazia. Sim. S' oggi mi accorgerò, che tu ti studi Di tesser qualche inganno, acciocchè queste Nozze sieno disciolte; o che tu voglia Mostrar in questa cosa quanto tu Sia astuto; dopo averti fatto prendere Il legno Davo, ti caccierò a volgere La mola, sinchè tu mi crepi sotto: Con tal condizione, e giuramento Tale, che s'io ti tolgo mai di là Abbi a macinar io in vece tua. Or bene, l'hai tu intesa ancora, o no? Dav. Io l'ho intesa benissimo; così Voi siete uscito, e non avete usato Nessunissimo giro di parole. Sim. In ogni cosa soffrirò di essere Aggirato, ma in questa no. Dav. Di grazia Con le buone. Sim. Tu uccelli, ch'io ti veggo Bene; ma te lo dico, guarda di Non operare cosi alla pazzesca; Che poi tu non dicessi di non essere Stato avvertito; io te lo dico, guardati. DAVO. Dav. INfine, infine, Davo, e' non è tempo Di starsi con le mani alla cintura; Ch'ho bene ora sentito il pensiero Del Vecchio circa queste nozze: oh, s'io Non mi vi oppongo con qualche trovato De' miei, che saranno la rovina Di me, e del padrone: Nè saprei Che avermi a fare, o se ajutare Panfilo, O se badare al Vecchio. S'io lo lascio Nelle secche, ho paura, che sia trista La vita sua; e se lo ajuto temo Le minacce di questo; ch'è difficile Il vendergli parole. In primo luogo Gia si è avveduto di cotesto amore, E mi fa viso arcigno; ch'ei sta in dubbio, Ch'io gl'imbrogli le nozze; e s'ei si accorge Di tanto, io son diserto; e basta, che Gli venga fantasia; ch'egli attaccandosi A qualche sua cagione o dritta, o torta, Mi caccia a rotta a volgere la macina. A queste male venture, si aggiunge, Che o sia moglie, o sia amica di Panfilo Quest' Andriana è gravida; e bisogna Sentir con che audacia hanno fra loro Stabilito da matti, e non da amanti Di allevarsi quel ch'ella partorisce; E vanno componendosi una favola, Che costei sia Cittadina di Atene. Dicono, che vi fu un certo vecchio Mercatante, che ruppe appresso l' Isola D'Andro, e si morì là; che il padre poi Di Crisida raccolse costei, ch' erasi Scampata da quella burrasca, orfana, E piccolina. Baje; a me non pajono Aver gran mostra di vero: essi mo Hanno diletto di tal trovamento. Ma ve' Misida qui, ch' esce di casa Di Gliceria. Oh, lasciami ire in piazza A ricercar di Panfilo, e a dargliene Avviso; acciocchè suo padre nol possa Soppraggiunger così senza ripari. MISIDA. Mis. E Pur dietro; io ho inteso, Archilla, tu Vuoi, che si meni qui Gesbia. Alla fe, Ch' ella è donna troppo data al bere E temeraria, e non è da fidarle Una di primo parto. Tuttavia Io la vi condurrò. Ve' che seccaggine Mi dà questa vecchiaccia, perchè fanno Insieme a chi bee meglio. O Cieli fate, Che costei partorisca facilmente; E che quella briaca, se ha a fare Gli spropositi, facciali piuttosto Con alcun'altra: ma oimè, che viene A dir ciò, ch'io veggo venir Panfilo Sì sbigottito, oh che potria mai essere? Lo aspetterò, che voi saper, se questo Suo turbamento a noi reca il malanno. PANFILO, E MISIDA. Pan. E' Egli questo un fare, e un risolvere Da uomo? è questa un'azion da Padre? Mi. Cos'è? Pan. Poter di Dio, poter del Mondo! Sennon è questa una soperchieria, Che altro potrà esserlo? egli ha fermo Di darmi moglie: non era dovere, Ch' io lo fapessi avanti? e non dovere, Ch' ei me l'avesse detto prima d'ora? Mis. O rovinata a me; deh che parole Son queste? Pan. Ora, che fa quel gran maestro Di Cremete, il qual'era sul negarmi La sua figlia per moglie? E' si sarà Mutato, poichè vede, ch' io non sono Per mutarmi. Così ostinatamente Egli si adopra, desolato me? Per istaccarmi a viva forza dalla Mia Gliceria? lo che se mai succede Sono spedito affatto. Deh, potrebbesi Trovar alcuno, più infelice, e misero Di me? Oh Dio, ch'io non possa sfuggire Per nessun modo il parentado di Cremete? In quante guise sono stato Schernito, vilipeso? Ecco accordata, Stabilita ogni cosa. Guata s'io Sto fresco. Io era il rifiutato, ed ora Sono il bramato: che viene a dir ciò? Sennon, che, come ho sospetto, vi sia Malizia sotto, e vogliano affibbiare Colei a me, poichè non troveranno A chi attaccarla. Mi. Trista alla mia vita Questo ragionamento mi fa propio Spiritar di paura. Pan. Che dovrò Dir di mio Padre? far un interesse Di tal fatta con tanta milensaggine? Così passando alla sfuggita per la Piazza, mi disse: Panfilo, tu dei Oggi tor moglie; apparecchiati; va In Casa; Ch'ei mi parve, che dicesse: Spacciati, vatti ad impiccare, ed io Rimasi li, come un palo, e va a dire, Ch' abbia potuto far una parola: Inventar qualche scusa goffa almanco, Sennon bugiarda, e maliziosa: io stetti Là muto, che se alcun dicesse, oh, che Avresti fatto, se ne fossi stato Prima avvertito. Averei fatto tanto, Ch' ora non farei questo. Che riparo Ci vuole imprima? Tante passioni Mi turbano, e mi fanno andar la mente In mille cose. L'amore da un lato E la compassion di questa, e lo Affrettamento delle nozze. Poi Dall' altro il vergognarmi di mio Padre, Il qual sì dolcemente fino a quì Mi lasciò viver di mia volontà. Averò dunque animo di oppormi A ciò ch'ei voglia? Ahi, ch'io non so, che deggia Farmi. Mi. Meschina a me, che non so dove Finirà questo dubbio. Ma bisogna, O ch' ei si abbocchi con lei, o sì ch'io Parli con lui qualche cosa di lei Perocchè quando l'animo è in bilancia Per ogni pocolino dà giù da Una, o dall'altra parte. Pan. Chi favella Di qua? Buongiorno, Misida. Mi. Oh, buongiorno Panfilo. Pan. Che fa ella? Mi. Domandate? Ella ha le doglie, poverina, ed è Travagliata di ciò, che s'hanno a fare Oggi le vostre nozze: inoltre teme, Non voi l'abbandoniate. Pan. Che di tu? Come vuoi tu, ch'io potessi tentare Questo? Come vuoi tu, ch'io sofferissi, Che la trista recassesi da me Inganno alcuno; se ella dette a me Il suo cuore, e la vita sua, ed io L'ho avuta sopra modo cara, come Mia moglie? Lascierei, ch'essendo ella Allevata sì bene, e ammaestrata Sì onestamente; fosse poi costretta Dalla necessità a rovinarsi? Non saprei farlo mai. Mi. Io ne son certa Inquanto a voi; ma il punto sarà vincere La violenza. Pan. Tiemmi tu per tanto Vigliacco, tiemmi per sì sconoscente, Salvatico, e crudel, che nè la pratica Nè la vergogna, nè l'amor mi movano Nè tengan persuaso a mantenerle Fede? Mi. Io so sol, ch'ella meriterebbe Che non ve la scordaste. Pan. Ch'io non me La scordassi. Oime, Misida, Misida, Ancora io le ho scritte in mezzo all'anima Quelle parole, che mi disse Crisida Di Gliceria. Ell'era per morire, Che mi chiamò, ed io le andai vicino: Voi eravate fuori tutte, ed ella Incominciò, ch'eravamo noi soli: Panfilo mio, tu vedi la bellezza, E l'età di costei: tu sai benissimo Quanto queste due cose posson esserle Dannose per salvar la sua onestà, E la sua roba; onde per questa mano, Ch' io ti stringo, ti prego, e per la buona Tua indole, per la tua fede, e per la Orfanità di lei, io ti scongiuro, Che tu non rompa seco l'amicizia: E che non l'abbandoni, e se t'ho amato. Come un carnal fratello, e s'ella ha fatto Sempre stima di te, e se ti fu Ubbidiente in ogni cosa, io le Ti do in marito, in amico, in tutore Ed in Padre: e a te lascio la cura Di questi nostri beni, e raccomandolo Alla tua fede. Poscia mi ripose La mano di Gliceria in mano, e subito Spirò. sò l'ho accettata, e sarò sempre In suo prò. Mi. Così spero. Pan. Ma perchè La lasci tu? Mi. Io vo, che ho a chiamare La Levatrice? Pan. Spacciati: ma ascolta Un poco; guarda non le far parola Di queste nozze, che non aggiungessi Anche questo al suo mal. Mi. Buono, io v'intendo. CARINO, BIRRIA, E PANFILO. Car. CHe di tu, Birria; ch'ella si darà Oggi per moglie a Panfilo? Bir. Si dico. Car. Da chi lo sai? Bir. Io l'ho sentito dire Testè a Davo, costì in piazza. Car. O me Infelice! Sin ora, che il mio animo Fu tra speranza, e timor e' potè Durarla; ma poichè se n'è pur gita Ogni speranza; ei rimane abbattuto Disconsolato, e stupefatto. Bir. Di Grazia, Carino, poichè non si può Aver quel, che volete, e voi vogliate Quel, che si può. Car. Io non voglio altra cosa Che Filumena. Bir. Quanto sarà meglio, Che voi badaste a cavarvi di testa Questo amore, che dir di certe cose, Che non fanno altro, che vie più distruggervi Vanamente. Car. Ogni sano sa dar buoni Consigli agli ammalati. Se tu fossi In me, la cosa ti parrebbe un'altra Bir. Si sì, come vi piace. Car. Ma io veggio Panfilo; io mi risolvo di tentarle Tutte anzi di morire. Bir. Or che farà Car. Lui stesso pregherò, supplicherò Lui stesso, conterogli l'amor mio. Penso, che otterrò almanco una lungagnola A queste nozze per alcun dì: intanto Spero, che qualche cosa nascerà. Bir. Cotesto qualche cosa sarà nulla. Car. Birria, che pare a te parlogli, o no? Bir. E perchè no, sennon altro, otterrete, Ch' egli saprà, che non è per mancargli Un pajo di fusa torte, togliendola. Car. Va alla malora, via di qua, briccone, Con questi tuoi sospetti. Pan. Io veggo quì Carino; io vi saluto. Car. E io voi, Panfilo. Appunto vi venia cercando Per dimandarvi speranza, salute, Consiglio, e ajuto. Pan. Io non ci sono in caso Per niente: ma deh, che puol mai essere Questo. Car. Voi non dovete oggi tor moglie? Pan. E' si dice. Car. Se fate questo voi, Oggi voi mi vedete per la ultima Volta. Pan. Perchè così? Car. Io non ardisco Dirvelo; digliel Birria tu. Bir. Dirollo. Pan. Cos'è. Bir. Gli è innamorato della vostra Sposa. Pan. Non siamo, in fede, del medesimo Parer; ma fu via ditemi, passò Tra voi altro, Carino? Car. Oimè, no, Panfilo. Pan. Domin' s'io l'avrei caro. Car. Ora vi prego Per l'amicizia, e per l' amor, che corre Tra noi, non la Sposate. Pan. Io farò ogni opera Per contentarvi. Car. Ma se non vi va Ciò fatto: O che vi stieno queste nozze A cuore. Pan. A cuore? Car. Almen tirate in lungo Alcuni giorni; tanto, ch'io mi parta Di qua, per non vederle. Pan. Udite, infine, Carin, io penso, che per nessun modo Potesse un uom dabbene farsi merito In quelle cose, in cui ei non lo ha: Bramo io più, di non far queste nozze, Che voi di farle. Car. Voi mi ritornate La vita in corpo. Pan. Ora, se voi potete; O il vostro Birria qui cosa veruna; Fingete, ritrovate, fate nascere Occasion, che a voi sia data, ch'io Mi adoprerò per non averla. Car. Basta Pan. Ma a tempo, ecco qui Davo, al quale io mi Rimetto in tutto. Car. E tu non sai far altro Che darmi male nuove; e non isbratti Di quà? Bir. Sì sì, e della buona voglia DAVO, CARINO, E PANFILO. Da. O' Buoni Dei, o che buone novelle Io reco. Dove posso trovar Panfilo Per trargli fuora la paura, ed empierlo Di allegrezza. Car. E' vien via lieto io non so Di che. Pan. Non sarà nulla, e' non sa ancora Queste sciagure. Da. Ch' io credo s'egli ha Inteso, che le nozze si apparecchiano… Car. Udite Voi? Da. Io credo, che mi cerchi Isbigottio per ogni cantone Della Città: ma dove anderò io Per ritrovarlo? Da qual parte posso Girarmi. Car. Che non gli parlate? Da. Orsù Anderò? Pan. Davo, statti là non ti Partire. Da. Chi sarà qui, che mi. Oh Panfilo, Io cerco appunto voi; oh buono! e voi Carino, tutti e due in acconcio; io vogliovi Tutti e due. Pan. Davo io son perduto. Da. prima. Udite questo. Pan. Io son morto. Da. Già so Di, che temete. Car. A' fede, che se io Non sono morto, ci son presso. Da. E so Di che temete anche voi. Pan. Queste nozze… Da. E so anche questo. Pan. Oggi… Da. Lo so, lo so. O voi mi infradiciate. Voi avete Paura di sposarla, e questi l' ha Di non sposarla. Car. Così sta. Pan. Benissimo. Da. E benissimo sia: non v' è pericolo Fidatevi di me. Pan. Io ti scongiuro, Quanto più presto puoi, cavarmi di Cotesto affanno. Da. Subito vi cavo. Prima Cremete non vuol darvi piu La Figliuola? Pan. E lo sai? Come? Da. Lo so. Vostro Padre, testè preesemi, e dissemi Che vi voleva oggi dar moglie, e tante Altre cose, che ora non è tempo Di narrarle. Io volo incontanente Verso piazza per dirlovi, e là Non vi ritrovo; quivi monto sopra Non so che altura, guardo quà, e là E non vi veggo: veggovi per sorte Birria, qui il servo di Carin, domandolo Di voi, ed egli no, che non vi aveva Veduto: io mi brucciava; pur pensando A che risolvermi, cosi tornando Verso casa; e tra me disaminando La cosa, vienmi alcun sospetto, e dico: Poca spesa si è fatta, il vecchio, e mesto, Nozze cosi improvvise; non mi quadrano. Pan. Stai tu troppo menando il can per l' aja? Da. Tostamente io corro ver' la casa Di Cremete, e quand' io son là non trovo Anima nata, e gia comincio a prendere Un poco di respiro. Car. Bene sta. Pan. Tira innanzi Da. Io mi trattengo quivi; Nè veggo entrarvi, nè uscir persona. Nessuna Donna era in casa, nessuno Apparato, niente di romore, E il so perchè me ne andai dentro, e stetti A guatar. Pan. Bene infatti sono grandi Indizj. Da. Or pare a Voi, che queste cose Si accordino con nozze? Pan. A me non pare, No, Davo. Da. A me non pare dite? Voi Non la pigliate pel buon verso. La Cosa è chiara. E di piu, nel partirmi M'incontrai nel ragazzo di Cremete, Il qual portava a casa certi suoi Erbaggi, e certi pesciatelli da Poco prezzo, che avevano a servire Per cena al Vecchio. Car. Davo, oggi io son salvo Per valor tuo. Da. Questo non ha che fare Con voi. Car. Come no? tu dì pur, che a Panfilo Ei non la darà più. Da. Vedi sottile Ingegno. Come s' ei fosse per legge Che s'ei non la da a lui, deggia toccare A voi; sen non vi provedete, e se Non pregherete gli amici del Vecchio, Egli vi resterà la voglia in corpo. Car. Tu hai ragione, io vi anderò, quantunque Questa sia una Speranza, che m' è andata Cotante volte a vuoto. State sano. PANFILO, E DAVO. Pan. CHE vuole dunque mio Padre, perchè Fa queste finzioni? Da. io vi dirò. S' egli addesso con voi mostrasse rabbia Perchè Cremete non vi da sua figlia E gli parrebbe aver il torto, e arrebbelo; Se non sapesse prima di che animo Voi siete intorno a questee nozze; ma Se voi diceste poi di non volerla, Allora egli rovescierà la colpa Sopra di Voi, e farà le bravate, Che or soprattiene. Pan. Che doverò io Sofferire?… Da. O Panfilo, egli è vostro Padre, e sare' difficile volergli Durar incontro. Gliceria non ha Protezioni detto fatto è puo. Trovar qualche cagione da cacciarla Fuor di Città. Pan. Cacciarla? Da. E senza indugio. Pan. Dunque, che farò io, Davo, di tu? Da. Ditegli, che voi consentite a torla. Pan. Oime. Da. Che cosa? Pan. Vuoi, ch'io dica. Da. Oh. Perche no? Pan. Nol farò giammai. Da. Guardate Pure non dir di no. Pan. Eh non mi stare A consigliar questa cosa. Da. Pensate Il ben, che nascerà da questo fatto. Pan. Nascerà, ch'io starò senza colei, Ch' io volgio, ed averò quell' altra, ch'io Non voglio. Da. Questo non sarà. Io pongo Che vostro Padre vi dica: Io voglio Ch' oggi tu tolga moglie, e voi diciate: Io la torrò; di grazia, che motivo Avrà più di riprendervi? e cosi Voi gli mandate in fumo que' partiti, Che ha presi senza alcun vostro pericolo. Poichè, per cosa certa, già Cremete Non vi darà più sua Figliuola, e' Voi Non avrete ad imporre alcuna regola Al viver vostro, acciocch' egli si muti Di pensiero: onde dite a vostro Padre, Che voi siete per torla, acciocchè quando Crederà aver giustissima cagione Di farsi contra voi montar la collera, Non l' abbia. Che se poi vi lusingate, Che non possa più essere, chi diavi Moglie infin, che tenete queste pratiche, Io ve lo nego; vostro Padre più Tosto vi farà torre qualche povera, Che lasciarvi menar sì scapestrata Vita: Ma s' egli sentirà, che Voi Gli acconsentite, e' non terrà più tanta Pratica affin di darvi moglie; ma Vi cercherà con più agio una Sposa: E accaderà frattanto qualche cosa Di buon per Voi. Pan. La pensi tu così? Da. E senza dubbio. Pan. Deh pensa in che impaccio Mi fai tu entrare. Da. E ancora non tacete? Pan. Orsù dirollo; ma guidiamla cauta, Ch' ei non si avvega, che ho un figliuol di lei; Però che le ho promesso di allevarlomi. Da. O gran pazzia! Pan. Mi scongiurò, ch'io le Dessi la fede di ciò, per potere Poi star sicura, ch'io non la abbandoni. Da. E' si farà il possibile; ma ecco Vostro Padre. Guardate non gli dare Sospetto, che voi siate maninconico. SIMONE, DAVO, E PANFILO. Sim. TOrno a veder, che facciano, e che Consigli egli hanno. Da. Egli è sicuro affatto, Che voi siate per dir di non volerla. E' vien da qualche luogo solitario, Dove aveva composto tra se cosa Abbia da dirvi, e spera aver trovata La eloquente orazione da Convincervi; però voi state in voi. Pan. Fatto sia a potere, Davo. Da. Su Abbiate fede in me, vi dico, Panfilo, Che vostro Padre non farà parola Oggi, se voi direte di pigliarla. BIRRIA, SIMONE, DAVO, PANFILO. Bir. IL mio Padrone ha voluto, ch' io lasci Ogni faccenda, perch' io codj Panfilo, E ricavi ciocch' ei sa fare circa Queste nozze, però io sono qui Dietro suo Padre. Appunto, vedi, egli è Con Davo qui, Stiamo in orecchi. Sim. E' sono Qui tutti e due. Da. Umbe state coll'arco Teso. Sim. Panfilo. Da. Fate vista di Voltarvi, e di vederlo all' improvviso. Pan. O vè mio Padre! Da. Di gala. Sim. Io voglio, Come t' ho detro, che tu prenda moglie Oggi. Bir. Io sto temendo, che risposta Verrà, pel fatto nostro. Pan. Io son prontissimo In questa cosa, e in ogni altra, che voi Vogliate. Bir. Toi su questa! Da. E' non sa più Che dire. Bir. Vedi, che risposta. Sim. Tu Fai il dover tuo, se cosi volentieri Fai ciò ch'io ti domando. Da. Non son io Indovino? Bir. Il Padron, per quel, ch'io veggo Ha la gambata. Sim. Or però va tu in casa Acciocchè a tempo tu sia in pronto. Pan. Io vo. Bir. Può darsi egli pure, che nessun' uomo Vi sia di buona fede? Infatti strigne Più la camicia, si suol dire, che La gonella. Sovviemmi, che io l' ho Veduta, quella giovine, e ricordomi Ch' era di un buono aspetto: onde io non so Darne il torto a Panfilo s' ei comoda Piuttosto se, che un altro. Or io vo' a dirlo Al Padrone; acciocchè per questa mala Novella, diami la mala ventura. SIMONE, E DAVO. Da. Costui si crede, ch' io sia per giuntarlo, E che per questo io rimanga. Sim. Che si dice là Davo? Da. Per ora io non ho, Che dire. Sim. Non di nulla eh? Da. Io nulla Affatto affatto. Sim. ed io aspettava udire Qualche faccenda. Da. Gli è accaduto cosa, Ch' egli non si aspettava, oh io mi accorgo Il galantuomo si affanna di questo. Sim. Potresti tu dirmi il vero? Da. Non v' è Più facil cosa. Sim. Spiacciongli le nozze Per l' amicizia della forestiera? Da. Niente, in fede, e s' egli pure ha qualche Bruciore, e' può durar due, o tre dì, Sapete, e poi si sdimenticherà. E voi vedete, che da sè ha preso La buona strada. Sim. E io ne son contento Da. In tempo, che gli fu lecito, e che Lo comportò l' età, fu innamorato: Ma ciò però di nascosto, e' sì cauto Fu, che non volle averne alcuno sfregio, Come conviensi ad un onesto giovine. Ora è tempo da moglie, ed egli addatta La volontà alla moglie. Sim. egli mi parve Alquanto svogliatello. Da. Non è già Per questo conto, no; ma si lamenta Di non so che di Voi. Sim. Di che mai? Da. O, l' è cosa da fanciulli. Sim. Cos' è. Da. Nulla Nulla. Sim. Di su. Da. E' dice che spendete Un poco troppo sottilmente. Sim. Io? Da. Si voi. Appena, dice, ha egli spese Due lire nel panatico: non è Questo un modo da dar moglie a suo figlio? Chi inviterò de' pari miei? E in questo Caso segnatamente? E a dirla qua, Ch' Ella resti fra noi; andate troppe Ristretto; io non saprei dirvene bene. Da. L'ho punto. Sim. farò si che ogni Cosa andrà bene. Ma questo, che è? A che mai tende questa golpe vecchia? Già, se quì sotto v' è qualche malizia Io son sicuro, che costui n' è il capo. MISIDA, SIMONE, DAVO, LESBIA, GLICERIA. Mis. NAffe, Lesbia, tu dì la verità, Che si pena trovar un' uomo, il quale Sia fedele alla Donna. Sim. Questa è la Fantesca dell' Andriana, ne vero? Da. Ella è dessa si. Mis. Ma questo Panfilo… Sim. Che dic' ella. Mis. Mantenne la promessa. Sim. Ah! Dav. Diavol fallo sordo, o fa colei Muta. Mis. Perchè comandò, che allevassesi La creatura, ch'ella partorisse. Sim. Oh Dio, che sento io? non v' è riparo, Se Costei dice il vero. Les. Mi racconti Un animo di un Giovine dabbene. Mis. Dabbenissimo: ma vien drento meco, Che tu non fossi poi tarda. Les. io vengo. Da. Che tiriaca troverò io a questo Velenaccio? Sim. Ch' è cio? che sia si pazzo D' allevarsi un figliuolo d'una femmina Straniera. O scimunito, io l'ho capita Pure una volta a mala pena. Da. Che Dice, ch' egli ha capito? Sim. Questo è il primo Trovato di costui, che fanno fingere, Che costei partorisca; perchè vogliono Sgomentare Cremete! Glic. Oime, Giunone, Lucina, accorri col tuo ajuto, salvami Te ne prego. Sim. Oh oh ve', cosi subito? L' è ben cosa da ridere; poichè Sentì, ch' era davanti alla sua porta Ella si affretta di gridare. O Davo, Non hai distribuito con molt' ordine La cosa, nè a tempo. Da. Dite a me? Sim. I tuoi scolari non hanno saputo Eseguire. Da. Io non so, che vi diciate. Sim. Deh vedi vedi, che scherzi farebbemi, S' egli mi avesse colto nelle nozze Vere; ma ora egli si aguzza il palo Sulle ginocchia. Io già navigo in porto. LESBIA, SIMONE, DAVO. Le. INsino ad ora, Archilla, io trovo in lei Tutti gli indizj, che soglionsi, e debbonsi Vedere, e che predicono buon esito. Ora sia prima lavata, e le si Dia la bevanda, che ho detto, ed in quella Dose, che ho comandato, ch'io sarò Qui fra momenti. Infede ha avuto Panfilo Un maschio molto graziato: or piaccia A Dio di conservarglielo, poichè Egli è di sì buon' indole, e non volle Mai lo scontento di sì buona giovine. Sim. Or chi saprà chi tu sei, non dirà Che questa sia farina tua? Da. Che diavolo Di cosa è questa? Sim. Non aveva data Commessione in casa, di ciò che Facea bisogno per la Donna da Parto: ma poichè ella è venuta fuori Posesi a cornacchiare dalla strada Alle di dentro. O Davo, a questo modo Tu mi schernisci, e sì fatto rassembroti, Che mi cominci a far davanti agli occhi Le fiche? almeno andar un poco cauto; Acciocchè, s' io mi accorgo paja almeno, Che avete alcun timor di me. Da. Da vero Egli s'inganna ora da sè, non io Lo inganno. Sim. Non te l'ho io detto? e acciò Che nol facessi, non t' ho minacciato? Mi avesti alcun rispetto? mi è ciò valso Nulla? io ti crederò questa bajata Che costei abbia partorito un figlio Di Panfilo? Da. Or conosco dove e' prende Il granchio, e veggo, che manifattura Ci vuole. Sim. Non rispondi? Da. Come? che Cosa credete voi? non altrimenti, Che se e' non vi fosse stato detto, Che la cosa doveva andar così, Sim. A me? non me l' ha detto alcuno. Da. O Non avete sentito, ch' ella è Finzione? Sim. Sono uccellato. Da. Si Che vi fu detto; o come poteva egli In altro modo venirvi nel capo Questo sospetto? Sim. Come? perchè io so Chi tu se'. Da. Par, che voi vogliate dire Ciò nascer per consiglio mio. Sim. E sonne Chiarissimo. Da. Di fatto non sapete, Simone, ancora di che naturale Io sia. Sim. Io non lo so? Da. Ma ecco, che Appena ho cominciato a raccontarvi Qual cosa, voi pensate, che io vi dia Ciance. Sim. E sai, che ho torto. Da. Però io Non oso più batter parola. Sim. Questo Io so per certo, che nessuna qui Ha partorito. Dan. Ve ne siete accorto Eh? Ma però e' porteranno qui Davanti l' uscio il fanciullo: E vi do Questo avviso, padron, perchè 'l sappiate; E non diciate poi che questo avvenne. Per consiglio di Davo, e per suo inganno. Io vorrei pur, che vi spogliaste affatto Di quella oppinion, che di me avete. Sim. Come lo sai? Da. Io l' ho udito, e lo credo. Tante cose si accozzano, che io Fo questa conghiettura. Primamente Ella si disse gravida di Panfilo, E si è trovato bugìa: ora poi Che Vede apparecchiarsi in casa per le Nozze, senza altro indugio manda la Fante a chiamar la levatrice, che Venga quì a lei, e le porti un bambino, Il qual se non fi fa, che sia veduto Da voi, le nozze mai non si potrebbono Disturbare. Sim. Che di tu? quando tu Sapevi, che si avea questo consiglio, Perchè non l' hai participato a Panfilo Tostamente? Da. Chi dunque, sennon io, Lo distolse da lei? Già e' si sa Per tutti noi, come perdutamente Egli l' amava: ed or si è risoluto A Moglie. In avvenir lasciate a me Cotesta briga; e voi nulladimeno Seguite a far andar avanti le Nozze, siccome fate, ed ho speranza, Che il Ciel ci ajuterà. Sim. Va pure in casa, E aspettami quivi: poni in ordine Quel, che s' ha a porre. E' non m' ha però indotto A creder tutte queste cose: che Non so già io, se tutto quel, che dice E' vero: Ma non ne fo molto caso. Quel, di ch' io fo un grandissimo conto E' la promessa di mio figlio. Or vadasi A Cremete, e si preghi, che la dia A mio figliuolo, e se ho il suo sì, Perchè non vo' io far piuttosto oggi Che un altro giorno le nozze? E se Panfilo Mi mancherà della promessa, io avrò Ragione di sforzarlo a mantenerlami, Ma ecco a tempo lo stesso Cremete. SIMONE, E CREMETE. Sim. IL mio Cremete, io vi saluto. Cre. O appunto Io cercava di voi. Sim. ed io di voi. Cre. Mi date innanzi a proposito. Vennero A trovarmi certuni, e mi dicevano Avere udito da voi, che io dava Oggi mia figlia al vostro figlio: io vengo A veder s' ella è una fantasiaccia Loro, o se vostra. Sim. Ascoltatemi un poco. E intenderete ciocchè io voglio da Voi, e ciocchè cercate voi da me. Cre. Ascolto: dite pur come vi piace. Sim. Per l' amor degli Dei, per l' amicizia Nostra, ch' è nata insin da picciolini, E che crebbe cogli anni, per la vostra Unica figlia, per lo mio figliuolo, La cui salvezza sta in voi; deh Cremete Non mi mancate d' ajuto: per modo Che si faccian le nozze; come si Avevano da fare. Cre. Ah, non istate A pregarmi; che par, che non possiate Impetrar da me questo sennon con le Preghiere. Vi credete voi, che ora Io sia diverso da quel, ch' era, quando Io la vi avea promessa. Se la cosa Giova ad entrambi, comandate, e sieno Degerite le nozze: ma se v' è Mal più, che ben per tutti e due, vi prego A procacciare il ben di tutti e due; Come se voi foste Padre di lei Ed io lo fossi di Panfilo: Sim. Si: Anzi mi piace, Cremete, così! E così voglio, che si faccia; nè Io lo vi chiederei, se nol volesse L' occasion. Cre. Cos' è? Sim. E' v' è corrucci Tra Gliceria, e mio figlio. Cre. Intendo: Sim. E v' è Di così fatta sorta, che io spero, Che se ne torrà giri. Cre. Favole. Sim. In fede. L' è vera. Cre. In fede anzi ell' è come io Vi dirò, che i corrucci degli amanti Affinano lo amore. Sim. Eh, via: vi prego Andiamo innanzi finchè abbiamo tempo, E che il suo caldo è soffocato dagli Affronti, e prima, che le scelleraggini Di costoro, e le lagrime spremute Dagli inganni, rivoltino il suo animo, Poco costante, alla compassione. Diamogli moglie. La dimestichezza; E il matrimonio di sì degna figlia, Cremete, il vinceranno, e spero, che E' si spelagherà da quei malanni. Cre. A voi che pare così, ed a me pare, Eh' e' si ristuccherà di lei, ed io Non potrò sofferirlo. Sim. Ma in che modo Potete voi saperlo sennon ne Fate la sperienza? Cre. Sarè troppo Far questa sperienza sopra di Mia figlia. Sim. Finalmente batte qui Ogni difficoltà, che può accadere, Tolgal Dio, il divorzio; ma se ei viene A buona vita, vedete che beni Ne seguono; voi imprima date un figlio Ad un amico, un buon genero a voi; E a vostra figlia un marito. Cre. Orsu via, Se pure sembra a voi, che giovi il farlo, Per me non vo' impedirvi nessun bene. Sim. A ragione, Cremete, ho di voi fatto Sempre gran conto. Cre. Ma, che dite infatti! Sim. Di che? Cre. Come sapete, che tra loro Vi sia discordia? Sim. Davo, ch' e' Strettissimo, Lor segretario, lo mi ha detto, ed egli M' ha persuaso dar fretta alle nozze, Quanto io posso. Ora credete voi, Che fare questo, s' egli non sapesse, Che il mio figliuol se ne contenta: ma Adesso lo saperete da lui Medesimo. Umbe', chiamisi qui Davo. Ma ecco, io veggo, ch' ei vien fuora DAVO, SIMONE, CREMETE. Da. Io veniva da voi. Sim. Che v' ha di nuovo? Da. Perchè non si chiama la sposa? E' può Star poco a farsi notte. Sim. Udite voi? Davo, fin' ora io ho molto temuto Essendo innamorato il mio figliuolo, Che tu non mi tendessi qualche tua Ragna, come è l' usanza per lo più De' famigli. Da. Io sarei uomo da questo? Sim. Così ho creduto: e per questo sospetto Io v' ho tenuta segreta una cosa, Ch' or vi dirò. Da. Che cosa è questa? Sim. La Saprai; poichè cominciò averti qualche Fede. Da. Alla fine avete pur veduto Quel, ch' io sono. Sim. Le nozze non dovevano Farsi. Da. Che? Come no? Sim. Ma per tentarvi Io le finsi. Da. Oh, che dite? Sim. La faccenda Sta così. Da. Vedi vedi ed io non seppi Accorgermene mai; oh siete astuto Sim. Ascolta: quando io t' ho mandato in casa; Mi dette appunto innanzi qui Cremete. Da. Domin' Siam noi forse diserti? Sim. Contogli Quelle cose, che tu testè m' hai pure Contate Da. Che mai sento? Sim. E ne lo prego, Che conceda sua figlia al mio, e appena Lo svolgo. Da. Oime, son morto. Sim. Che hai tu detto Là? Da. Dico: che ciò stette molto bene. Sim. Or per sua parte tutto è in punto. Cre. Io vo Dibotto a casa, acciocchè si apparecchino Le cose, e tornerò a darvi avviso. Sim. Ora ti prego, Davo; poichè solo Tu se' stato cagione, che si facciano Le nozze. Da. Io certo solo. Sim. Fa ogni opera, Che mio figlio ritorni da quì avanti Al buon cammino. Da. E lo farò con tutto Lo sforzo. Sim. E' ti sarà ora più agevole Finchè gli dura lo sdegno con lei. Da. State sopra di me. Sim. Via dunque. O dove Sarà egli? Da. Dovrebbe essere in casa. Sim. Ora anderò a trovarlo, e gli dirò Le medesime cose, che ho dette A te. Da. Io son disfatto. Che rifugio Avrò per non andar dirittamente A volgere la macina. Non ci è Più modo di pregare. Ecco ogni cosa Posta da me in garbuglio, Ho trappolato Il Padrone. Ho intricato in queste nozze Il suo figliuolo, e l' ho fatte conchiudere Contra speranza di quello, e a dispetto Di quest' altro. Io su le mie astutezze. S' io fossi stato queto, non sarebbe Accaduto alcun male. Ecco, ch' ei viene. Son disperato. O fosseci qui qualche Loco da nabbissarmi a rompicollo. PANFILO, DAVO. Pan. DOv' è lo scellerato, che mi ha messo In rovina? Da. Son morto. Pan. Ma confesso Ch' ella mi sta ben fatta; imperciocchè Io son tanto dappoco, e scimunito. Ed è pur vero, ch' io abbia affidato Ad un balordo di Servo lo stato Mio? dunque pago la pena di questa Stoltezza. ma e' non ne uscirà netto. Da. In fede, se io ci esco a questa volta, Non ho più da temer di cosa alcuna In vita mia. Pan. Ma che dirò a mio Padre? Dirò, che non la voglio forse adesso Che gli ho fatto promessa? Con che faccia Gli dirò questo? Io non so, che mi fare. Da. E io via manco. E pur mi sto beccando Il cervel dietro a questo: gli dirò Di ritrovar qualche partito, affine, Ch' or non mi venga tanto male addosso. Pan. Oh. Da. M' ha veduto. Pan. vieni un tratto qua Galantuomo, che di tu? Vedi tu In che bel gineprajo m' hanno messo I tuoi consigli? Da. E son uomo da trarvene. Pan. Da trarmene, sì eh? Da. Si certamente Panfilo. Pan. Appunto così come hai fatto. Da. Nò, che io spero, ch' ella anderà meglio. Pan. Doh, Scappaforche, pensi ch' io ti voglia. Credere? tu tornerai in piedi una Cosa, già guasta, e anzi rovinata? Deh, vedi in chi mi son fidato! in uno, Ch' oggi da un tranquillissimo riposo, In queste nozze mi gittò di lancio. Dimmi: non tel' diss' io, che la faccenda Sarebbe andata così? Da. Lo diceste. Pan. Or qual gastigo meriti? Da. La forca. Ma lasciatemi un poco ritornare In me, che già io so, che ho a trovarvi Qualche riparo. Pan. Oimè, perchè mi manca Il tempo da punirti a modo mio? Perciocchè il tempo stringe sì, ch' io deggio Pensar a riparare al caso mio; Non badare a pagarti come meriti. CARINO, PANFILO, DAVO. Car. POtrebbesi egli credere, o si è mai Udito, che vi sieno uomini di Tanta malignità, che si rallegrino Del male altrui, e che faccian lor comodo Gli altrui fastidj? O può esser ei vero? Anzi v' ha pur cosi pessima razza D' uomini, i quali promettono, ed hanno Vergogna a dir di no. Poi quando è tempo Di mantener la parola, si traggono, A marcia forza, la maschera, e temono, E trovanosi aver promesso cosa, Che non ponno attenere. Allora egli escono Con queste sfacciatissime parole. Chi se' tu? Ch' hai a far meco? Perchè Hotti a dar la mia roba? Orsu, orsu Io sono il mio più stretto amico. O vadasi A dir loro; dov' è la fede? stanno Con faccie invetriate; e allor non hanno Vergogna; dove sare' di bisogno Averla, perche fallan della loro Parola; o l' hanno poi soprabbondante Quando sta male, cioè sul promettere; Che si vergognan dir di no. Ma intanto, Che farò io? L' affronterò; farò Risentimento di quest' onta? lo Caricherò di villanie? E' si Dirà: non ne hai guadagno: eh, io ne avrò; Ch' io so, che a lui darò fastidio, e me Sfogherò? Pa. O Carinò, se gli dei Non ci ajutano, io ho messo in rovina Voi, e me da balordo. Car. Da balordo. Infine poi l' avete ritrovata La scusa. Ecco attenuta la parola. Pa. Che vuol dir questo, infine? Car. Amor tentate Infinocchiarmi con le vostre chiacchere? Pa. Che cosa è questa? Car. Dappoiche v' ho detto Ch' io n' era innamorato, voi ve ne Struggeste tosto di lei. Tristo a me, Che ho misurato il vostro sul mio animo. Pa. Siete in errore. Car. Non vi parea intero Il piacer vostro, se a me, che l' amo, Voi non davate pasto, e non mi aveste Tenuto a bada, con falsa Speranza. Ma abbiatevela pure. Pa. Ch' io mel' abbia? Deh, non sapete, rovinato me, Tra quante male venture io sia, E in quai travagli questo manigoldo, Co' suoi consigli, m' ha messo. Car. E ve ne Fate tal maraviglia, s' ei può toglierne Da voi lo esempio? Pan. Non direste già A questo modo, se voi conosceste Me, e il mio amore. Car. So ogni cosa. E' fu La gran battaglia fra voi testè, e vostro Padre, e perciò egli ha ora gran rabbia Con voi; perchè non potè mai piegarvi, Che la toglieste. Pan. Certo no: perciò Voi non sapete le mie angosce. Queste Nozze eran finte, e non era persona, La qual sognasse a darmi moglie. Car. E questo So anche, che l' avrete, perchè fu Volontà vostra. Pan. State cheto: no Non la fapete ancora. Car. Questo so Per certissima cosa, che dovrete Pigliarla. Pan. Deh, perchè mi trafiggete? Ascoltatemi un poco: non ristette Costui di stuzzicar, d'infradiciarmi, Ch' io dicessi a mio Padre, ch' io sarei Per menarla, e si fe' con suoi Scongiuri Con sue persuasioni, che m' ha spinto. Car. Chi è costui. Pan. Davo. Car. Davo? Pan. Egli mise Ogni cosa scompiglio. Car. Ma perchè? Pan. Non so, so solamente, che il dimonio L' avea con me; ch' io ho fatto a modo suo. Car. Questo si è fatto, Davo? Da. Fatto. Car. Ah, che Dì tu, impiccato? Dieti il Cielo il male Che meriti: ma dimmi, se volevano I suoi inimici vederlo impacciato In queste nozze, che altro consiglio Potevan dargli, che questo? Da. Io mi sono Ingannato: però non ho perduta L' usata valentia. Car. Lo so. Da. La cosa E' ita mal per questa strada, vadasi Per un' altra, sennon pensaste, che, Perchè s' è ita mal la prima volta, Questo malanno non abbia riparo. Pan. Anzi ei ne avrà: e spero, che se tu La guiderai destramente, faraimi Far due paja di nozze in vece d' una. Da. Panfilo per la servitù, che ho Con voi deggio adoprar, e mani, e piedi E metter la mia vita a ripentaglio, E di giorno, e di notte per giovarvi: Ma se qualche non buono avvenimento, Contra il nostro sperare, ci è accaduto; Tocca a voi perdonarmi. La faccenda Non ha avuto buon fine? io l' ho però Maneggiata di cuore. O se potete Trovar da voi qualche miglior partito; Lasciate me da banda. Pan. Bene sta: Ma rimettimi tu nel primo stato. Da. Io vi rimetterò. Pan. E' non ci è tempo Da perdere. Da. Oh zitto, che s' è aperta La porta di Gliceria. Pan. Non ha a fare Questo con te. Da. Io vo pure pescando Qualche riparo. Pan. Oime tu l' hai ancora A pescare? Da. io ve 'l do presto trovato. MISIDA, PANFILO, CARINO, DAVO. Mi. OR or, dovunque siasi il vostro Panfilo, Lo troverò, e lo condurrò qui A voi: ma intanto voi, figliuola mia, Non vi affannate. Pan. Misida? Mi. Chi è? O voi mi date innanzi a tempo, Panfilo. Pan. Che v' ha di nuovo? Mi. La padrona m' ha Imposto, ch' io vi pregassi, che voi, Se le volete ben, veniste là, Ch' ella ha gran voglia di vedervi. Pan. Oimè Son morto. La faccenda va di male In peggio. Vedi tu, com' io, ed essa Siam tormentati, tristi a noi, per tua Opera? Certo ella mi fa chiamare, Perch' ella avrà sentito la novella Di queste nozze. Car. O come agevolmente Potevano chetarsi queste cose Se costui stava in pace. Da. Orvia, se egli Non impazza da sè davanzo, dategli La spinta. Mi. Inverità per questo appunto Ma vi chiama, ed è in maninconia, La poveretta, per questo. Pan. Io ti giuro Misida, per gli Dei tutti, che mai Non l' abbandonerò; s' io mi credessi, Che mi avessero a diventar nimici Tutti gli uomini. Io l' ho bramata, l' ho Avuta; i nostri costumi si affrontano Vadano col malanno tutti quei, Che ci vorrebbon vedere disgiunti Nessun la mi torrà, fuor che la morte, Car. Io torno in vita. Pan. Non rispose mai Apollo il vero, più di quel, ch' io ho fatto Adesso. Se si può far, che mio Padre Non creda, che le nozze vadian rotte Per mia cagione; io l' ho caro, non si Può? vada la faccenda come vuole, E sì lo sappia. Ora, che ve ne pare Del fatto mio? Car. Che mi parete misero, Come son io. Da. Io vo cercando pure Qualche partito. Car. Almeno voi avete Più coraggio di me. Pan. So, che buon esito Doverà aver questo tuo bel partito, Che cerchi. Da. Certamente io farò poi Qualche cosa. Pan. Il bisogno sare' subito. Da. Sonne a segno. Car. Che è? Da. Io sonne a segno Pel Padron, non per voi, che non mi aveste Tranteso. Car. Ho inteso si. Pan. Che farai tu? Di grazia? Da. Io ho timore, che mi manchi Il tempo tra le man, per colorire Questo disegno, non vogliate credere, Ch' io possa indugiar qui a raccontarvelo; Però nettate di qua, che mi siete D' impaccio. Pan. Intanto io anderò su da lei. Da. Che fate voi, che non andate? Car. vuoi Che io ti dica il vero? Da. E' sarà qui, Con qualche nuovo prologo. Car. di me, Che farà egli? Da. Di me, voi siete pure Rincrescevole, non vi pare assai, Ch' io vi do tempo stornando per lui Queste nozze? Car. Ma infin poi, Davo? Da. Che Volete dunque? Car. La vorrei per moglie. Da. E questa è ben da ridere. Car. Se fai Qualcosa, vien da me. Da. O a che fare? Io non ci ho nulla in piè. Car. Ma pure se… Da. Orsu verrò. Car. Se ti accadesse alcuna Cosa io sarò in casa. Da. Tu sta qui Ad aspettarmi un poco, che io torno. Mi. Perchè? Da. Perchè bisogna far così. Mi. Spacciati. Da. O, dico, che io torno adesso. MISIDA, E POI DAVO. Mi. POssibil, che nessuno abbia un sol bene Fermo in questo mondaccio? O Dio! Credeva Che il sommo bene della mia Padrona Si fosse in tutto Panfilo; egli amico, Amatore, marito, che doveva Protegerla ogni tempo, or per cagione Di lui, deh, che rammarichi non ha La poveraccia? In fede, che quel male Ch' ella ne ha sorpassa tutto il bene, Ch' ella ne ha avuto: Ma Davo vien fuora, Ch' e' questo Davo mio, dove vai tu Con quel fanciullo? Da. Misida ve' qua, Per questo fatto mi bisogna la Tua svegliata memoria, e il tuo operare Destro. Mi. Che opra hai per le mani. Da. Te' Presto questo bambino, ponlo là Avanti l' uscio nostro. Mi. O la così In piana terra! Da. Togli quattro foglie Là da quell' Ara, e attaccagliele sotto. Mi. Perchè nol fai tu da te? Da. Perche se', Fosse bisogno giurar al Padrone. Che non l' ho messo io, possa giurarlo In buona coscienza. Mi. Bene sta. Ma come sei divenuto a quest' otta Così dabbene? Da. Spacciati, se vuoi Saper quel, ch' io vo' fare! O un' altro Diavolo. Mi. Cos' è. Da. Ecco qui il Padre della Sposa; Lascio il primo consiglio. Mi. Io non so infatti Ciocchè borbotti. Da. Io farò vista di Venir qui da man destra: sta avvertita, Di risponder secondo, ch' io ti dico, Se vi sarà da parlare. Mi. Io non so Quel, che vuoi fare per nulla; ma se V' ha cosa, in che vi possa giovar l'opera Mia, che tu 'l sappia più di me, sto quì, Ch'io non vo disturbar il vostro comodo. CREMETE, MISIDA, DAVO, Cre. POichè ho poste in ordine le cose, Che facean dibisogno per le nozze Di mia figliuola, io ritorno per fare Che invitino: ma che è quella cosa Colà? un fanciullo alla fede. O madonna Avete voi messo quel coso là? Mi. O dov' è andato? Cre. Non mi rispondete? Mi. E' non si vede in alcun canto. O me Disfatta, e' m' ha lasciata qui, e s' è Dileguato. Da. Dio ajutaci, che grida Sono al foro, quanti uomini, che stanno A piatire; e i viveri son cari. Non so più che mi dire. Mi. Perchè di grazia Mi hai lasciata qui sola? Da. O che è questa Favola? Di chi è questo bamboccio, Misida, chi l' ha messo qui? Mi. Se' tu Fuor di cervello a domandarne me? Da. Sta a veder, chi ho io a domandarne? Io veggo qui te sola. Cre. Di chi mai Potrebbe essere? Dav. Sei tu per rispondere A quel ch' io ti domando? Mi. O Da. Passa qui A destra. Mi. Tu farnetichi, non l' hai Posto tu stesso? Da. Se tu fai parola. Fuor di quel, ch'io ti chieggo, guai a te. Mi. Tu mi minacci? Da. Di chi è? su bene, Di pure schietto. Mi. egli è di casa vostra. Da. Oh ah ah. E' non è gran maraviglia, Che una Zambraccacia operi sì Sfacciatamente. Cre. Quella deve essere, Per quanto intendo, Serva di Colei D' Andro. Da. Parvi però, che siamo noi Genti da farne queste beffe? Cre. So Dire, che son venuto a tempo. Da. Svegliati. E leva quel fantoccio da quell' uscio; Fermati, guarda sai non ti partire, Per quante cose, ch' io ti dia. Mi. Ammazziti La peste, che mi fai tanta paura. Da. A chi dico io, a te, o nò? Mi. Che vuoi? Da. E pur con le domande: di chi è Questo fanciullo, che hai qui messo? escine. Mi. Non lo sai tu? Da. Lascia da parte quello Ch'io so: rispondi a quel, ch'io ti domando. Mi. E' del vostro… Da. Di chi vostro? Mi. Del vostro Panfilo. Da. Come di Pansilo? Mi. Acconciti Tu forse a dir di nò? Cre. Ho fatto sempre Bene a fuggir queste nozze. Da. O malizia Degna di pena. Mi. perchè gridi tu? Da. Non ho veduto jersera, che vi Si portava? Mi. Arditaccio! Da. Si, ell' è La verità: io ho veduto Cantara Affardellata. Mi. Lodato sia il Cielo, Che al suo partorir furon presenti Alcune Cittadine. Da. Certamente, La non conosce per chi la si mette A far queste sue cofe. O se Cremete Vedrà il fanciullo messo sulla porta, Non darà la figliuola: Ei la darà Affè più volentieri. Cre. O affè nò. Da. Ora ti fo avvertita, che se tu Non torrai via quel coso, io il butterò In mezzo della strada, e te insieme Seppelirò nel paltano. Mi. Alla se Poveruomo tu se' briaco. Da. Una Menzogna ne fa un' altra; parmi udire Bisbigliar anche, ch' ella è Cittadina D' Atene. Cre. Toi quest' altra. Da. E che costretto Per legge doverà torla per moglie. Mi. Domine! non è ella Cittadina? Cre. Senza saperlo io son quasi caduto In un mal gioco. Da. Chi parla di qua? O Cremete, voi siete giunto a tempo. Udite un poco. Crem. Io ho inteso ogni cosa. Da. Deh, avete udito ogni cosa? Cre. Si dico; Sin dal principio. Da. Per-Dio, voi avete Udito? Ecco tristizie, che si usano: Ch'ei stare' bene cacciar costei subito Ad esser iscopata. Questi qui E' l' uomo fai? non ti pensar d' avere A beffar Davo. Mi. O povera di me In coscienza, vecchio mio, non ho Detto tantino di bugia. Cre. Lo so Benissimo. Simone è dentro in Casa? Da. E' v' è. Mi. Non mi toccar ribaldonaccio: Ma in fe di Dio sennon dico a Gliceria I tuoi bei portamenti… Da. O Scioconnaccia! Non sai tu quel, che s'è fatto? Mi. Che vuoi Tu che io sappia? Da. Colui era il suocero. E non v' era altro modo per far, che Egli sapesse, ciocchè noi vogliamo. Mi. Tu mel' dovevi dir prima d' adesso. Da. Adunque, egli ti par poco divario Eseguire le cose come vengono Dall' animo, e come la natura Porta, dall' eseguirle con istudio? CRITONE, MISIDA, DAVO. Cri. MI fu detto, che Crisida abitava In questa piazza, e qui volle piuttosto Con disonor farsi ricca, che starsene Nella sua Patria povera, e onesta. Per la sua morte a me son devoluti I suoi beni per legge. Io veggo qui A chi chiederne. Il Ciel vi salvi. Mi. O Chi veggo mai, sarebbe egli Critone Il cugino di Crisida? Egli è desto. Cri. O Misida tu sia la ben trovata; Mi. O Critone, e voi il ben venuto. Cri. Infine Poi Crisida.. Avv. Mi. Certo la sua Morte, misere noi, ci ha rovinate. Cre. Appunto come state voi qui? bene? Mi. Noi eh? cosi come si può, poichè Non ci è dato, come suol dirsi, di Star come si vorrebbe. Cri. Che è di Gliceria? ha ancor trovati i suoi parenti? Mi. Dio 'l volesse! Cri. Non gli ha ancor trovati? Non son venuto in buon punto. Davvero, S' io lo sapeva, io non moveva piede. Sempre fu detta, e sempre fu creduta La Sorella di Crisida. E' in possesso Or de' suoi beni. Or quanto a me, che sono Forestiero sia facile, e giovevole Andar per via di liti, fanmi accorto Gli essempi altrui: E poi credo, che ella Avrà qualche suo amico; qualche suo Difensore, che si partì di là Gia grandicella: inoltre si direbbe, Ch' io sono un baro, che fo il poveretto, E che uccello le altrui Eredità. Poi lo spogliarla non mi parre' bene. Mi. O Criton galantuomo! Per lo bene Di me, voi siete proprio quel medesimo Uomo da ben, che sempre siete stato Cri. Menami a lei, ch' io vo vederla, poi Ch' io son qui. Mi. Volentieri. Da. Sarà meglio S' io vo' con loro. Non è questo il tempo, Ch' io mi voglia lasciar vedere al vecchio. CREMETE, SIMONE. Cre. BAstevolmente, e davanzo, Simone, Ormai avete potuto conoscere, Ch' io sonvi amico, e mi son posto assai A pericolo: ond' è, che voi dovete Lasciar i preghi, che per voler fare L' uffizio dell' amico con voi, ho Poco men, che affogata la figliuola. Sim. Anzi ora vi prego, e vi scongiuro A diffinir coi fatti, quel favore, Che mi avete testè incominciato A far con le parole. Cre. Deh, vedete Come la vostra voglia vi fa ingiusto. Voi, purchè la vi cada a modo vostro, Non avete riguardo all' equità Ne alla cosa, che mi domandate: Che se l' aveste, omai vi rimarreste Dal farmi questo oltraggio. Sim. Che oltraggio Vi fo io? Cre. Oime, mi domandate? Avete oprato sì, chi' io risolveva. Dar mia figliuola a un giovanastro, il quale E' incarognato d' un altra, e non vuole Sentir di moglie. Ecco io l' avrei pur data Alla continua mala vita, ed in Dubbio, ch' ei la tenesse. Voi avete Voluto, che col suo sconcio, e col suo Dolore, io medicassi il mal costume Del figliuol vostro: Si faceva; e già Io aveva cominciato a darne opera Finchè mi parve di poterlo fare. Or non ci è caso: toglietelo in pace. E' dicon, che la sua femmina è Cittadina, e ne ha avuto già un figliuolo: Non pensate più a noi. Sim. Io vi scongiuro Per gli Dei, non vogliate prestar fede A coloro, cui torna il conto, ch' egli Rimanga un mal vivente. Quelle cose Son tutte finte a distornar le nozze: E quando lor sia tolta la cagione, Onde le fanno, non si udran più favole. Cre. Voi v' ingannate, io ho veduto Davo A contrastar con la serva. Sim. Io lo so. Cre. E non era già quelle finzioni Ai visi. E non sapevano, ch'io fossi Là. Sim. Io lo credo, e Davo poco fa Mel disse prima, ch' elle avrebbon fatto Questa novella; e io non so in che modo Sonmi scordato, ch' io volea avvisarvene. DAVO, CREMETE, SIMONE, E DROMONE. Da. ORsu orsu, state di buona voglia. Cre. O, vedete la Davo. Sim. D' onde è uscito? Da. Lasciatene la cura al forestiero. E a me? Sim. Che altro diavol sarà questo? Da. Io non ho mai veduto un uomo, una Venuta, un tempo più comodi. Sim. Che Loda, lo sciagurato? Da. Già ogni cosa E' in porto. Sim. Che fo io, che non lo affronto? Da. O ve' il Padrone, che penso? Sim. Buongiorno, Galantuomo. Da. Ve', ve' il Padrone. O E il nostro Cremete: dentro è in punto Ogni cosa. Sim. Eh bravo. Da. A vostro agio Chiamate chi vi pare. Sim. Infede si, Che non s' indugia per altro. Ma puoi Rispondermi a quel, ch' io ti dirò? Che interesse hai tu là in quella casa? Da. Io? Sim. Sì tu. Da. Dite a me! Sim. Si, dico a te. Da. Io v' era andato in questo punto? Sim. Quasi Ch' io ti chiegga del quando. Da. Io sonvi andato Col vostro figlio. Sim. Che, forse è la dentro Panfilo? O me infelice, io mi brucio. Non mi dicesti tu, boja, ch' egli erano In discrodia? Da. E sono. Sim. Perchè dunque E' egli là? Cre. Che pensate, ch' ei faccia? Egli è alle grida con lei. Da. E io voglio Anzi, Cremete, che intendiate una Indegnità la maggiore del mondo. E' capitato, testè, non so quale Vecchio franco, ed accorto, che se lo Vedeste, egli vi avrebbe cera di Un gran maestro: egli ha il viso pieno Di contegno, e anche par che nel parlare E' possa aver fedeltà. Sim. Che vuoi tu Contar perciò? Da. Niente inver sennon Quel, ch' io ho inteso da lui. Sim. Che dice egli Intutto in tutto? Da. E' dice di sapere, Che Gliceria è Cittadina d' Atene. Sim. Olà, Dromone, Dromone. Da. Che è Ciò? Sim. Dromone. Da. Ascoltate. Sim. Se tu fai Più una parola…. Dromone. Da. Di grazia Udite. Dro. Che volete? Sim. Piglia qui Costui di peso, e più presto, che puoi Portalo dentro. Dro. Chi? Sim. Davo. Da. Perche? Sim. Perchè voglio così. Piglialo dico Da. Cosa v' ho fatto. Sim. Piglialo. Da. Se voi Mi trovate bugiardo d' una menoma Cosa, ammazzatemi. Sim. Io non ti ascolto. Anderà poco, che io ti farò Suonare con un legno. Da. Nonnostante, Che quel che ho detto sia la verità? Sim. Nonnostante. Tu tiello stretto, e odi Legagli mani, e piè come una bestia. Va pur là, che, s' io vivo mostrerò Oggi a te, e a Panfilo, che bello Utile si è far di questi inganni A un Padrone, e a un Padre. Cre. Ah non vogliate Esser sì aspro. Sim. O Cremete, vi pare Questo un rispetto di figliuolo? E io Non vi muovo a pietà di me, ch' io abbia Per così fatto figlio ad affannarmi Tanto? Panfilo, olà. Panfilo olà, Vien fuori, di che cosa ti vergogni? PANFILO, SIMONE, CREMETE. Pan. CHi mi chiama? Oime, egli è mio Padre. Sim. Che di tu? O di tutti… Cre. Eh via piuttosto Ditegli la facenda, e tralasciate Le villanie. Sim. Quasi fi possa dirgli Cose più indegne di quelle, ch' ei merita. Su parla infin, Gliceria è Cittadina? Pan. E' si dice. Sim. E' si dice? O enormissima Sfrontatezza! Vi par, ch' ei pensi punto A quel, ch' ei dice, o che gli dolga punto Di quel che ha fatto? ha egli nel viso Menomissimo segno di vergogna? Deh, ch' egli sia sì scapestrato, che Contra il costume civil, contra la Legge, contra il voler del Padre, a costo Di tanto scorno, egli studi così Di aver colei? Pan. O meschino a me! Sim. E ora solo te ne avvedi, Panfilo, Di tua meschinità? e' si voleva Sai, conoscersi prima, prima sai; Quando ti se' ostinato di volere Compiere ogni tua voglia ad ogni patto. Allora incominciasti veramente Ad esser quegli, che ti chiami adesso. Ma che fo io? perchè mi cruccio? a che Mi travaglio? Perchè inquieto la Mia stanca età per la costui mattezza? Forse lo fo per portar io la pena Delle sue colpe? Anzi abbiasi colei E la si goda, e con lei viva. Pan. O Padre Mio. Sim. Che mio Padre? Quasi tu avessi Uopo di questo Padre; e a dispetto Già di tuo Padre t' hai trovato casa, Moglie, e figliuoli. Li hai condotto chi Dirà, ch' ell' è Cittadina d' Atene, Tu l' avrai vinta. Pan. Padre, posso dirvi Due parole? Sim. Che parole saranno Queste? Cre. Simone, via ascoltate. Sim. Ch' io Ascolti? Deh, che cosa ascolterò, Cremete? Cre. Egli è poi da lasciarlo dire. Sim. Or via, che dica, ch' io lo lascio. Pan. Io Confesso, che io sono innamorato Di colei, è se questa è colpa, colpa Confessola. Io mi rimetto in voi, O Padre, fate voi del castigarmi Come vi pare. Comandate voi. Volete voi, ch' io prenda moglie, ch' io Abbandoni costei? Sofferirò Il meglio, ch' io potrò: Ma ben vi prego, Che non vogliate creder, che quel vecchio Sia trovato da me: lasciate, ch' io Di ciò mi scolpi, e che lo meni quì Davanti a voi. Sim. Davanti a me? Pan. Deh Padre, Siate contento. Cre. Ei chiede cosa Ragionevole, lasciatelo. Pan. Sì fate, Ch' io ottenga da voi questo. Sim. Io lo fo. Io vorrei pur Cremete ad ogni modo Non trovarmi ingannato da costui. Cre. Per ogni gran delitto del figliuolo Ogni picciola pena al Padre basta. CRITONE, CREMETE, SIMONE, E PANFILO. Cri. LAsciate i preghi, già ognuna di queste Cagioni persuadonmi il farlo; Perche voi lo cercate, perchè il fatto E' vero, e perch' io bramo il bene di Gliceria? Cre. E' quegli Criton d' Andro? Certo E' desso. Cri. Bene stia, Cremete, Cre. Che Vuol dir, che fuor del solito voi siete In Atene? Cri. Mi è occorso; ma è Simone Quegli? Cre. Si è. Sim. Di me cercate forse? Siete voi quel, che dice, che Gliceria E' Cittadina d' Atene? Cri. Il negate? Sim. Così tu vieni quì apparecchiato? Cri. Apparecchiato a che? Sim. A che, mi dì? Tu farai queste cose senza alcuna Punizione? Menerai la mazza Ai giovanetti semplici, e di buona Nascita, e lor pasto dai, con dare Loro speranze, e promesse? Cri. Se' tu In cervello? Sim. E fermar vorresti gli Amori d' una poltrona con le Nozze? Pan. Io ho gran paura, che rimanga Di sotto il forestiere. Cre. Se sapeste, Simone, chi è costui, non vi parrebbe Così, ch' egli è uomo dabbene. Sim. Da Bene? E so dire egli è venuto appunto Oggi così a tempo delle nozze, E prima e' non si è mai veduto quì? Parvi Cremete, ch' egli sia da credergli? Pan. S' io non temessi mio Padre, io avrei Da suggerirli sopra questo fatto Un buono avvertimento. Sim. Giuntatore. Cri. Orsù. Cre. Critone, non ne fate molto Caso ch' egli è di questa taglia. Cri. Ed egli Vedrà poi poi di che taglia son' io; Che s' e' seguiterà a dirmi ciò, Ch' ei vuole, e potrà forse udir di ciò, Che non vuole. Son' io forse cagione? Importa a me di queste cose? e voi Non avete a portar vostre sciagure In pace? Ei si puô ben venir in chiaro, Se quel, che dico è vero, o no. Già tempo Ruppe un certo Ateniese, e fu gettato Sul lido d' Andro: e seco pure questa Fanciulla allor piccina; e il poverello Per sorte fu alloggiato in casa il padre Di Crisida. Sim. La favola incomincia. Cre. Lasciatel dir. Cri. Così ne m' interrompe? Cre. Seguite pur. Cri. Colui che ricovrollo Era parente mio: onde da lui Intesi, ch' egli era di Atene, e quivi A morte venne. Cre. Che nome aveva egli? Cri. Voletel voi saper sì tosto? Fannio. Cre. Oime, son morte. Cri. In verità mi pare, Che fosse Fannio, e questo so per certo, Ch' egli dicea d' esser Rannusio. Cre. O Dio! Cri. E allora in Andro queste cose istesse Furo udite da molti. Cre. Voglia Iddio, Che sia la cosa come spero; ma Dite un poco, Criton, che dicea egli Di quella fanciullina? Dicea forse, Ch' ella era sua? Cri. Non già. Cre. Ma di chi dunque? Cri. Di un suo Fratello. Cre. Ah certo ella è mia figlia. Cri. Che dite Sim. Che mai dite? Pan. Sta in orecehi, O Panfilo. Sim. O Cremete, gli credete Voi? Cre. Questo Fannio, ch' ei dice fu mio Fratello. Sim. Io lo conobbi, e so. Cre. Costui Quindi fuggendo i mali della guerra, Venia per ritrovarmi in Asia: e avendo Timore a lasciar là sola mia figlia, La menò seco: da allora in qua, Questa è la prima volta, ch' io so Quel che di lui accadessesi. Pan. Appena Io sono in me, cotanto son battuto Da timor, da speranza, da letizia Di un ben così miracoloso, e tanto Repentino. Sim. Rallegromi da vero Che per tanti riscontri conosciate Costei per vostra figlia. Pan. Io ve lo credo, O Padre. Cre. E' mi rimane però uno Scrupolo ancor, che non mel lascia credere Pan. Con tante sottigliezze date pena. Cercate cinque piè al mattone. Cri. Che Scrupolo? Cre. Il nome non s' incontra. Cri. In vero, Da picciolina ella ne aveva un' altro, Cre. Vi ricordate Criton, qual ei fosse? Cri. Vo malinando. Pan. Sofferirò dunque, Che la poca memoria di costui Soprattenga il mio bene, quando io posso Da me porgermi aita? Certo no. O Cremete, sapete quale è il nome Che voi fantasticate? egli è Pasibula. Cri. Ella è dessa. Cre. Sì certo. Pan. Mille volte L' ho udito di sua bocca. Sim. O il mio Cremete, Io credo ben, che voi pensiate, come Tutti ne siamo consolati. Cre. Se Dio mi guardi, lo penso. Pan. Che rimane Ora, o mio Padre? Sim. Il fatto stesso mi ha Già appiacevolito. Pan. O caro Padre. Circa il prenderla in moglie, poichè l' ebbi Come tale in poter, Cremete, non Muterà la faccenda. Cre. La ragione E' buonissima, purche qualche nuova Cosa non voglia vostro padre. Pan. Bene. Sim. Io per me lo confermo. Cre. Avrà sei mila Scudi di dote. Pan. Ed io l' accetto. Cre. Volo A trovar mia figliuola. Olà, Critone, Venite meco; poichè credo, ch'ella Non mi conosca. Sim. E perchè non la fate Condur in casa nostra? Pan. Dite il vero. Io darò questa cura a Davo. Sim. A Davo? Non si può già. Pan. Perchè. Sim. Perch' egli ha cure Per se vie più importanti. Pan. Che affar ha? Sim. Egli è legato. Pan. Oh padre egli è legato Malamente. Sim. pur l'ho fatto legare Bene. Pan. Io vi prego fate, ch' ei si lasci. Sim. Si ch'io voglio. Pan. Ma presto. Sim. Io vo dentro. Pan. Oh giorno in cui mi cola mele, e zucchero! CARINO, PANFILO, Car. VEngo a veder ciò che si faccia, Panfilo; Ma eccol qui. Pan. Penserà forse alcuno, Ch' io non creda ciò vero; ma si pensino Gli altri come lor piace, che a me piace Crederlo vero; e penso che gli Dei Abbiano eterna vita; perchè i loro Piaceri non finiscono; che se Nulla di amaro a questo mio piacere Non succedesse, io mi avrei guadagnato Una vita immortal. Ma in qual persona Bramar mai deggio d' incontrarmi per Farle palese il novo bene? Car. Cosa Vuol dir questa Allegrezza? Pan. Io veggo Davo. Io non bramava alcun più di costui, Ch' io so che più di ogni altro da dovero Avrà sommo piacer del piacer mio. DAVO, PANFILO, CARINO. Da. DOve può esser mai Panfilo? Pan. Davo. Da. Chi mi chiama? Pan. Son'io. Da. Panfilo, ve'. Pan. Oh tu non sai la mia fortuna. Da. Io no; Ma so ben'io la mia disgrazia. Pan. Anch' io La so Da. Ecco l' usanza; prima voi Sapeste il mio male, ch' io non seppi Il vostro bene. Pan. La Gliceria mia Ha ritrovato suo padre, e sua madre. Da. Oh bene, oh bene. Car. To. Pan. Suo padre e'un vostro Grand' amico. Da. Chi e'? Pan. Cremete. Da. In fatti Questa e' una nuova altro che da calze. Pan. E' non vi sarà intoppo perch'io la Prenda per moglie. Car. Costui sogna ciò Che vorrebbe vegliando. Pan. Ma cos'è Del fanciul, Davo? Da. Non temete, ch'egli E' accarezzato dalla buona sorte. Car. Io sono in porto, se cotesto è vero. Vo' parlar loro. Pan. Chi è? Ve', siete bene, Il mio Carin, qui giunto a tempo. Car. Grande Avventura! Pan. Udiste? Car. Intesi tutto. Or via ne' vostro lieti casi prendavi Pietà di me; poi che Cremete Adesso E' tutto vostro, e so che farà tutto Ciò che vorrete. Pan. Io mi ricordo. Troppo Però fia l'aspettar ch' egli esca fuora. Venite meco, ch' ora egli si trova Da Gliceria. Tu, Davo, studia il passo, E va in casa a chiamar, chi via la levi Di qua. Che guardi tu? che non cammini? Da. Io vado. Or non convienvi di aspettare, Che costoro escan fuori; che le nozze Conchiuderansi di dentro, e se debbono Far altro, si farà tutto di dentro. Voi però fate segno di allegrezza.

IL FINE.