RIME
DI MADONNA
GASPARA STAMPA;
CON ALCUNE ALTRE
DI COLLALTINO, E DI VINCIGUERRA
Conti di Collalto:
E DI BALDASSARE STAMPA.

Giuntovi diversi componimenti di varj Autori
in lode della medesima.

IN VENEZIA,
MDCCXXXVIII.

Appresso Francesco Piacentini.

Con Licenza de' Superiori, e Privilegio.



Luisa Bergalli.

O Tu che onori ogni scienza, ed arte, Rambaldo, in tanta fama ascesso omai, Che ciascun lido il tuo Nome risona; Sò che da me non chiedi atto dimesso, O suon di favellare umile e piano, Per far lieta accoglienza a questi Carmi. Sotto tanta umiltade altri s' asconda, Per far che grati sieno i dolci frutti Di Parnaso a coloro, i quai non sanno Veracemente esser di gloria amanti: Io dunque altro consiglio userò teco. Se questi Fogli a te, Signor cortese, Com' era il tuo disir, non vengon pronti, Aver non dei la mia tardanza a sdegno; Mentre fortuna è al mio voler nimica. Son queste quelle ornate e illustri Rime, Che Febo all' ombra del suo verde alloro, Dettò cantando ad Anassilla un tempo; Perchè il tuo Colle divenisse altero Al par di Sorga: e nuovo ampio argomento Di gloriarsi al tuo gran Sangue, e a noi Donne porge Costei. Queste son Carte Che di vero diletto empiono il Mondo; E insegnar ponno oltre all' Italia, quanto Largo il cielo a noi sia d' eletti ingegni; E fanno accorta altrui, che quale in terra Di giunger poetando opra non faccia, Dove con altri pochi ella pur giunse, In cambio di destar ne' pensier nostri Maraviglia, e piacer; ne move a sdegno. Opran le Muse nel formare i Vati, Come chi 'n liscia carta imprimer tenta Qualche leggiadra immagine; che prima D' averne una conforme al bel disegno, Molte indietro ne lascia; e queste poi Dona a' fanciulli, e la miglior dispiega Superbamente in degno ornato loco. Fu dato in sorte a questa Donna altera Di stare appresso al sacro Nume, ed ivi Scoprir di Pindo ogni tesoro ascoso. Ma qual alma, qual viso in ciel creato Ebbe il tuo COLLALTIN, che a se la volse, In sì forti catene avvinta e stretta? Più che la luce non insegna altrui, Donde derivi il bianco, il verde, il nero, E l' altra schiera de' color diversi; Egli a lei dimostrò da qual cagione Sorga ne' petti umani amor possente; In compagnia di speme, e di timore, Di piaceri, e d' angosce; ond' altri puote Fare a se specchio, e in qualche guisa aitarsi Contra questo fatal nimico acerbo, Fonte d' ogni conforto, e d' ogni danno; Che il ben promette, mentre il male apporta. O COLLALTIN già in terra, or vago lume, Che in ciel fiammeggi in qualche astro lucente, Certa son io, che il mio grave pensiero Delle tue laudi oggi discopri. Io bramo Spiegarle altrui; ma non vorrei che l' alma Donna, ch' ebbe di te fra noi vaghezza, Per quel ch'io scrivo, or mi prendesse in ira: Deh chiama dunque a te, mentre io ragiono, Quella tua sospirosa, e chiara Amante, Che Amor non ti dee già posta aver lunge; E del tuo dolce favellar la pasci, Sicchè s' infiammi del piacer d' udirti, A te solo rivolta, e me non curi. Qual altro cor, salvo il tuo forte armato Di pensier saggi, e d' onorate voglie, Durato fora a quell' alta bellezza, Al sospirar soave, al dolce canto, Che al tuo s' assomigliava in ogni parte, E a quel che fere ad udir trasse, e tronchi? Ahi come agevol cosa è perder tosto A sì dolci lusinghe ogni ragione, E privo rimaner d' ardire e possa Di più ritrarsi a libertade, e a pace. Ahi se cadevi in così dolce rete, Francia non ti vedea cinger la spada Di Guerrier forte, e non l' Etruria: il punto Temuto avresti di lasciar Costei, Più che lasciare il cor l' alma non teme. Quanti rimangon miseri e infelici, Per la pietà di due luci serene, Di poche lagrimette intorno sparse; Nè forse belle son come eran quelle Dell' amorosa tua Donna soave, Che l' alme distringeva in mille guise. Anch' io crudel ti dissi; anche a me parve Soperchia ferità la tua costanza; Che rado umano spirto in queste membra Racchiuso, può pregiar tanta virtude, Ch' ogni nostra quiete in terra offende: E solo è conosciuta allor che piove Un raggio a noi dal ciel, come in me avviene Ora, che dal tuo albergo un ne tramandi. Ma rimanti co' tuoi pregi beati, Che un' altra schiera innanzi a me ne veggio, Di così viva, e nuova luce adorni, Ch' io stimava men peso il dir de' tuoi: E se piu tardi a dir prendo di questi, Freno al caldo voler fu la temenza. Dite, RAMBALDO, io dir pavento, e bramo; E per quanto modestia agli occhi un velo Ti ponga, dei scoprir che a me conviensi Tesserti un fregio all' onorato crine. Bench' io non so qual mai leggiadro fiore Sia nato appresso alle Sorelle sante, Che da man della mia più degna assai Colto non fosse, ed a te porto avante. A te d' alto saper lode fu data, E d' alta Poesia; nè spero in vano Ch' esser tu debba in fine il più bel raggio, Che il nostro tempo di sua luce onori. O generoso Spirto almo e felice, Che solingo poggiar veduto al Tempio Sei dell' onor, non senza onesto affanno; Perchè non cresce in così pura voglia Qualunque di Regal Sangue tra noi Deriva, ed a Regal Sangue è congiunto, Come Tu sei(a) La Famiglia de' Conti di Collalto trae l' origine dai Re de' Longobardi, ed è la stessa che quella d' Hohenzollern, da cui deriva l' altra poi de' moderni Re della Prussia, Elettori di Brandemburgo., che degna gloria acquisti? Non creder mai, ch' altri il pensiero volga Alle tue imprese, agli atti tuoi gentili, Al magnanimo core, ed al consiglio, Che tosto allor non dica: Oh come è degno Rambaldo di sedere al grande Augusto A lato, e viver seco! Or di sublime Canto avrei d' uopo, ed a' tuoi vanti eguale; Ma trovo il valor mio picciolo e parco, Onde vergogna mi ricopre il viso: E me pareggio a villanella incolta, Che nastri, e fiori avendo al crine, pensa Di poter gire alteramente in faccia A molto ornato, e nobile soggetto; Innanzi a cui perle, e zaffir son belli. Ma siami tua bontà saldo conforto; Mentre conosco a mille prove, come Ad alto volo questa anima impenni, E poi mia voce umil benigno ascolti. O bontà somma, ond' io tanto mi pregio! Potessi almen narrar di qual novella Gioia, e alterezza or mi riempi il seno! Deh, poichè sorte rea tante fiate Levò sul capo mio la fera spada; Il tuo solo favor mi resti in terra; Ch' altri non mi vedrà chinare il viso Più mai di doglia, e di timor dipinto; Nè forza avrà di far ch'io pianga, e turbi La pace mia, qual più maligna stella Data fosse compagna al viver mio. Tu sei la Fonte, onde il mio ben rampolla; E tu col tuo poter lo stil mio innalzi, Dove giammai per se non potria gire. Se all' affannato ingegno aita porgi, In bel cheto riposo i dolci Versi Canterò di Costei, che per tuo dono Risorge al Mondo, in fin ch' io sia possente Di seguir sue bell' orme, e venga un giorno, Che con più degne, e luminose note, E con più chiaro, e più nobil volume Io narri quel, che or solo adombro in parte. Io prego intanto il grato ciel, che sopra Te, Pianta eccelsa, e sopra i Rami tuoi “ Piova rugiada sì che non t' offenda Per avversa stagion caldo, nè gelo. ” E il verde RAMUSCEL (a) Il Co: Pietro di Collalto primogenito, nato addi 15 d' Aprile 1738. e Nipote di S˙ E˙ il Sig˙ Co: Antonio Rambaldo di Collalto. che scopre appena La sua tenera chioma al ciel rivolta, All' ombra tua cresca felice, e altero. Così l' almo FANCIUL, ch' ora è tua speme, Allor sarà tua nuova gloria, e pace; E sarà tal, che si contenda un giorno, Tra l' un paese che sull' Istro impera, E l' altro che del mar siede al governo, Qual più di sue famose, elette imprese Deggia vantar si, e dir: Questi è mio Figlio. Se giunto agli anni gloriosi suoi, Avverrà mai, che il mio predire ascolti; Spero che fuor de' maestosi lumi Alcun diletto Egli dimostri, ch' io L' alte or abbia di lui cose promesse. Benchè lieve è scoprir ne' fonti puri Degli Avi, le future opre di lui: Tal frutto nasce a noi di tal radice. Tanto non dan le Stelle; io venni anch' io In terra il fausto dì ch' Ei vi discese, Molti anni prima, e pur gloria mi manca. Pensando al tuo gioir dunque, mi piace, Conte, che in tempo sì bramato, e caro Giungano a te questi onorati Fogli: Degni d' esserti innanzi ora che sei Tanto nell' alma di letizia pieno. Ornarli io devea forse in miglior guisa; Ma veste a tal beltà pari non dassi; E me Signor col tuo gradir consola; Che qualche pregio è pur nel desir mio; Nè in vano ho mai con te mie preci sparte.