RIME E LETTERE

DI

VITTORIA COLONNA

MARCHESANA DI PESCARA.

FIRENZE,

G˙ BARBÈRA, EDITORE.

1860.

La stampa di queste rime fu condotta con lievissime varianti, che reputammo necessarie, sulla edizione, fuor di commercio, fatta a Roma. nel 1840 per cura del Cav. Pietro Ercole Visconti ed a spese del Principe Alessandro Torlonia, quando egli impalmò donna Teresa Colonna. E vogliamo qui ringraziare pubblicamente la cortesia di questo Signore, il quale, inviandocene una copia, consenti che su quella ponessimo in luce il presente volumetto. Te lettere poi furono raccolte da noi, e ne dicemmo la provenienza nelle note.

Note1. Dalla Raccolta, assai rara, di Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, et eccellentissimi ingegni, scritte in diverse matere. Libri tre, in Vinegia 1564.* Vedi le note in fine delle Lettere, pag. 453.

AL PRINCIPE D'ORANGES.2. Questa lettera della marchesa di Pescara che raccomanda a Filiberto di Chalons principe d' Oranges, Fabrizio Maramaldo capitano spagnolo, sebbene non porti data veruna, è certamente scritta innanzi l' assedio di Firenze; durante il quale il giorno istesso 3 agosto 1530 nella giornata di Gavinana, il Principe perdè sul campo la vita, e il Maramildo la disonorò per sempre, trucidando vilmente il Ferruccio.

Se per lo scriver mio sopra cosa di tal qualità parerà forse che l' autorità sia minore che la materia, e l' audacia mia maggiore che 'l merito, attribuisca vostra signoria la colpa alla fortuna, che tanti e tali parenti, che per obligo e voluntà aiuteriano Fabrizio Maramaldo, siano o morti o absenti ; onde necessitata io, con la luce sola della viva memoria loro, son costretta riputar le mie tenebre più chiare che alcuna volta non sono : ma piuttosto voglio esser tenuta per audace, che per ingrata. La sincerità di Fabrizio e la virtù di vostra signoria, mi assicurano che nè supplicar l' uno di giustizia, nè escusar l' altro di colpa mi conviene; ma perchè le sinistre informazioni, che oggidì s'usano, potrian forse far dubitar a Vostra Eccellenzia esser possibile cosa remota da ogni possibilità, ho voluto scriverle e certificarla che in cosa di simil qualità la felice memoria del Marchese mio signore3. Parla del marito Francesco Ferrante d' Avalos marchese di Pescara. fece infinite volte esperienzia della virtù, sincerità e fede di Fabrizio, e in tempo ch'era in minor grado che oggi non è. Laonde estranea cosa mi parrebbe che la candida fede di un tal cavaliere, affinata per tal mano, la malizia di uno tristo potesse offenderla o macularla. Supplico adunque Vostra Signoria Illustrissima che considerata la prudenzia del Marchese mio signore che lo approvò per buono, quella del signor Marchese del Vasto4. Alfonso d' Avalos marchese del Vasto e nipote del Pescara, a cui succedette nel comando delle armi spagnole in Italia, e nel capitanato generale del ducato di Milano. che confermò, la sua istessa che per adietro parte del suo esercito gli ha fidato, voglia rimoversi ogni dubbio dell'animo ; e con quella chiarezza e larga volontà e ottima opinione che a tal Principe si conviene, deliberi conforme a giustizia e a ragione, e lo, restituisca nell'onorato grado e autorità, che i suoi servizi ricercano: che la nazione spagnuola, come inclinatissima all'onor de' cavalieri, ne la loderà, e la italiana crederà che vostra signoria la tenga in più estimazione che alcuna volta non si crede. E noi tutti lo averemo a singular grazia. E nostro Signor Dio la conservi a lungo.

LA MARCHESA DI PESCARA.

Note5. Queste lettere della marchesa di Pescara alla Duchessa d' Urbino, in numero di nove, che pubblichiamo per la prima volta, stanno nell' Archivio Centrale di Stato, carte d' Urbino, Filza 266.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.6. Leonora Ippolita Gonzaga di Mantova, sposata a Francesco Maria I della Rovere duca d' Urbino nel 1509. Morì nel 1543.

Illma e Eccellma Signora mia.

Io so lo amore e reverenzia grandissima che la felice memoria del cardinel nostro7. Dice qui del cardinal Pompeo Colonna suo zio, morto in Roma nel giugno del 1532 ; sebbene a costui, più celebre per grandi vizi che per miti virtù, non sembrino troppo convenire gli elogi che in questa lettera tributa alla sua memoria la reverente nipote. portava a Vostra Signoria, e però vedo la sua pena non diferir da quella che io sento, che è grandissima. Solo dovemo allegrarce della sua gloria e vera pace antivista da lui, e dal Signore ottimo nostro per mille esperienzie, visioni, fede e grazie fattolo sicuro. A Vostra Signoria baso la mano, sempre desideratissima servirla, pregandola me raccomanda al mio messer Pietro, 8. Forse il cardinal Pietro Bombe tenerissimo dei duchi d' Urbino. e se la signora Costanza9. Costanza d' Avalos moglie di Alfonso Piccolomini duca d' Amalfi, che fiorì circa la metà del secolo XVI, fu donna d'animo virile e quasi guerriero. Rimasta vedova in età giovanile seppe così bene mantenersi nell' esercizio d'ogni rara e singolare virtù da meritare gli encomi sinceri dei più chiari uomini del suo tempo. E non solo, mortile in guerra i fratelli e i nepoti, assunse generosamente la cura e il governo delle loro famiglie, ma fu, con insueto incarico al suo sesso, perpetua castellana d' Ischia, allora che questa isola si teneva la chiave del reame di Napoli. I principi che successero agli Aragonesi la onorarono a gara, e Carlo V di duchessa di Francavilla ch' ella ora la nominò principessa. Ebbe essa amore grandissimo alle lettere e ai letterati, e sappiamo che molto si dilettò di poesia; sebbene non giungessero fino a noi che pochi suoi versi, in parte pubblicati dal Domenichi nella sua raccolta di rimatrici, Lucca 1559. Mancò alla vita nel 1560. Stanno fra queste della marchesa di Pescara alcune lettere a lei dirette. serrà tornata a Vostra Signoria, me li raccomandi molto, e facciali dar o mandar l' alligata. Da Orvieto a dì primo d' agosto 1532. Al servizio di V˙ S˙ Illma e Eccellma

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.

Illustrissima Signora mia.

Molta grazia e contentezza grande me ha causato la nova della unione strettissima tra el signor Ascanio10. Ascanio Colonna duca di Paliano e di Tagliacozzo, fratello di Vittoria, avea tolto in moglie Giovanna d' Aragona figlia di Ferdinando duca di Montalto ; e un fratello di questa, Don Antonio, sposò nel 1533 Ippolita della Rovere figlia di Francesco Maria I duca d' Urbino. Ecco i vincoli di parentado a cui allude questa lettera. e le Signorie Vostre, per posser tanto Più chiaramente mostrarli la mia servitù ; e che ce sia ancor el nove vincolo del parentado tra el signor don Antonio e la signora Ipolita, del qual non meno me alegro che se fusse donna Vittoria mia.11. Vittoria figlia in primo letto di Ascanio Colonna, donna per molta dottrina singolare, fu la nipote bene amata della marchesa di Pescara. Nostro Signor Dio faccia che sia con tanto contentamento e felicità, quanto essa medesima desidera. E creda che in quanto io posso servirla non mancarò con quella sincerità che devo, come ogni possibil esperienzia li mostrarà continuo. E la supplico me comandi sempre, chè maggior grazia non potria farmi. Da Ischia a dì 16 di febbraio 1533. Al servizio di V˙ Illma. S˙ deditissima

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.

Illustrissima Signora mia.

La sua prudenzia e la bona Voluntà del Signor Duca di Montalto 12. Don Antonio duca di Montalto di che nella nota 10. terranno sufficiente scusa a la tardanza, e la sua modestia e cortesia emenderà lo effetto, poi che fra loro non è niente diviso. Io la supplico me faccia scriver spesso della salute sua, e me comandi, chè maggior grazia non potria farme. E perchè lo homo del preditto signor suplirà, non dirò altro se non che mille volte meli raccomando. Da Ischia a dì 13 di aprile (1533?).

Deditiss. a servir V˙ S˙ Illma e Eccellma

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D' URBINO.

Illustrissima Signora mia.

Ancor che el signor Don Antonio parta fra dieci giorni, e io mandi un mio con esso a parlar a Vostra Signoria, non lassarò de scriver questa, per allegrarme della grandissima contentezza che vedo nel signor Don Antonio della signora donna Ipolita. Nostro signor Dio li contenti e ne dia alla Signoria Vostra continuo piacer e satisfazione. E perchè con detto signor la signora Marchesa 13. La moglie del marchese del Vasto, donna Maria d' Aragona, sorella di Giovanna e di Don Antonio. Vedi la nota 10. e io scriverimo largo, non darrò più molestia a Vostra Signoria con questa ; se non che le basamo mille volte la mano, ditta signora e io, insieme con donna Vittoria mia, e così al signor Guidobaldo 14. Guidubaldo, figlio di Francesco Maria I e della duchessa Leonora, contava in questo tempo circa venti anni. e alle signore suo figliole. Da Ischia a dì 14
di ottobre (1533?).

Al servizio di V˙ S˙ Illma deditissima

LA MARCHESA DI PESCARA sua sorella.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.

Illma e Eccellma Signora mia. Lo arciprete della rocca Guglielma15. La Rocca Guglielma è un borgo del regno di Napoli in Terra di Lavoro, distretto di Gaeta, a mezzogiorno da Ponte Corvo. antico servitor della madre dell' Illustrissimo signor duca e suo, ha sempre desiderato andar a basar le mani delle Signorie Vostre; e a me è stato carissimo per farli intender alcune cose che lui li esporrà da mia parte. La supplico voglia darli integra fede, e creda che so persona di magior pregio avessi possuta mandar, non l'averia trovata mai ne più sincera nè più affezionata. Vostra Signoria Illustrissima con la sua bontà e virtù consideri la intenzion mia, e creda che de quello che Dio serrà più servito e le Signorie Vostre, restarò io più contenta. Solo la prego che senza nissuna reserva mostri la sua voluntà, e non lo intenda altra persona che Vostra Signoria e lo Illustrissimo signor Duca.16. Francesco Maria I. Qua se trova el signor Don Antonio più bello che mai, tutto dedito alla signora donna Ipolita; e tanto desidera venirsene che me ne alegro molto, che ancor sia con infinite ragione, è gran piacer che le cognosca tutte come veramente fa. Rendo molte grazie a nostro signor Dio che intendo Vostra Signoria esser gravida : per sua clemenzia Nostra Signora li conceda con salute el figlio maschio. E perchè ho inteso che Vostra Signoria ha auto qualche volta dificil parto, me par bene che se remedi la signora donna Ipolita. E benchè io non credo che sia se no natura e complessione, pure quel che non nòce, e se ne sono viste molte esperienzie, devo farse, chè a quanto se è fatto hanno auto ottimo parto. E perchè bisogna farse prima che dorma col marito, ne ho data la informazione all'arciprete, chè possa la signora Donna Ipolita farlo prima ch' el signor Don Antonio arrive, che poi sie arrivato, con la ansia che va, serrà dificil a tenerlo troppi dì. Baso a Vostra Signoria mille volte le mane insieme con la signora Marchesa e donna Vittoria mia. El signor Don Antonio partirà fra otto giorni al più, benchè lui vorria volar, ma perchè vada sano li medici lo han fatto intertener. Da Ischia a dì ultimo di ottobre (1533).

Al servizio di V˙ S˙ Illma sempre deditissima

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D'URBINO

Illustrissima Signora Mia.

Per il signor Don Antonio non conviene lassar di scriverli, nè esser si larga che faccia iniuria alla sufficenzia sua. Solo suplico Vostra signoria sia servita comandarme, chè maggior grazia non potria reciever, e basar da mia parte mille volte el mio signor Guidebaldo che intendo è così dotto, savio e di ottima speranza; che me fa continuo rengraziar nostro signor Dio di tal nepote, e Vostra Signoria che me lo ha dato. Ma non posso star satisfatta fin che non me comandano alcuna cosa per la quale li sia più chiara la voluntà mia di servirli. Vostra Signoria avverta adesso che è gravida, non muoverse da Mantua che è suo aere, e spero che il farrà un bel figlio maschio, che Dio el faccia, e le conceda quanto desidera. Da Ischia a dì 10 di novembre 1533.

Deditissima a servir V˙ S˙ Illma

LA MARCHESA Di PESCARA sua sorella.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.

Illma e Eccellma signora mia.

La Signoria Vostra me obliga tanto, che me fa parer discortese non possendo servirla come io vorria. Lo homo del signor Duca deve già esser gionto, e della tardità Dio sa che non ho colpa, nè manco per sollecitare: ma bisogna far come se pò non come vorria, nè come al suo merito e della mia signora donna Ipolita conviene. La ottima voluntà delle signore cognate e loro mariti miei fratelli supplirà continuo; nè restarò io di endivinar tutto quello che posso pensar che li sia servizio. L'andar del signor Marchese in Ongaria17. Il marchese del Vasto. Vedi la nota 4. ancor sta in dubbio; e da molti se procura che non vada, chè bene pò pensar la Signoria Vostra quanto importa levar lui e la gente che viene da Italia, e portarla in parte ove starrà ad arbitrio de Todeschi, ultra mille altri inconvenienti, Dio remedie; chè la mia satisfazione seria vederlo contra infideli, ma non con tanto nostro danno e evidente periculo. Lo illustrissimo signor Duca mio fratello18. Il duca di Paliano. Vedi la nota 10. saprà meglio di noi ogni cosa, e come ottimo signore e parente dovria sempre consigliarli che procuri non se metter in preda de barbari, e aprir de qua el varco ad altri tali. Penso, secondo ce scrive che s'era resoluto, circa il signor Don Antonio, ancor quest'altro stia dubioso. Baso mille volte le mani di Vostra Signoria delli veli, quale me sono stati gratissimi, e proprio come io li desiderava. Della tenta non importa che se posson retinger benissimo, perchè io li porto negri. Troppo grazia me è stata la cura che si è degnata tenerne. Ho piacere che vada a Mantua. Me farrà grazia dir al signor suo fratello che li baso la mano, e così al signor Duca; quali nostro signor Dio insieme con la Signoria Vostra, e con la illustrissima signora sua madre, alla quale pur baso le mani, conservi prosperi e guardi. La signora Marchesa mia del Vasto li basa le mani, e così donna Vittoria mia nepote; e a tutti li signori suoi figliuoli me raccomando. Da Ischia a dì 5 di maggio 1534.

Deditissima a servir Vostra Signoria Illma e Eccelma

LA MARCHESA DI PESCARA sua sorella.

La Signoria Vostra haverà inteso molto ben che nacque una figliola al signor Ascanio, ma è tanto bella che si compriria. Non lassarò dirli che quel Sebastiano,19. Certo Sebastiano Buonaventura, gentiluomo di quel tempo al servizio della casa d' Urbino. Dio grazia è andato via, e son scoverte le sue pazzie ; e perchè so che a lei non era occulto ogni cosa cel scrivo per allegrarmi seco, benchè credo . . . .20. La carta logorata in fine non lascia leggere la due ultime parole.

Note21. Sta questa lettera insieme con altre cinque dirette a diversi, (che qui pure si danno) nel Nuovo libro di lettere de i più rari autori della lingua volgare italiana, in Vinegia per Paolo Gherardo 1545, pag. 30 a tergo.

A MONSIGNOR ANDREA CORNARO
VESCOVO DI BRESCIA.

Molto Reverendo Signor.

Come al debito natural saria impia cosa il non sentir Vostra Signoria una tal perdita, così all'obligo cristiano è cosa piissima il ringraziarne Dio, qual ha concesso a Sua Signoria Reverendissima di poter dare con sì santo fine testimonio di sì bona vita, come ha sempre fatta, mostrando chiaramente quanto era col core unito a quel divino spirito di Cristo; il quale lo resse continuo in modo, che nè per opera, nè per parola s'intende che pregiudicasse il suo prossimo. Onde nell'ultimo ha più veramente fatto constare, che questo non era solo natura mite e benigna, ma costantissima e pura fede in colui che lo ha si ben soccorso nella maggior necessità. La Signoria Vostra non ha di che dolersi. Tutti li uffizi di amorevol fratello, di fidel servo e di ottimo amico continuo li ha fatti, e più ora che mai. Resta solo che con la sua pazienzia e pace faccia fede di questo al resto del mondo; acciò come per il passato lo ha servito nella vita, lo serva per il futuro nella sua memoria. Io rendo grazie a Dio che Vostra Signoria non riman di sorte che abbia bisogno delle offerte mie, ma per il mio obligo io ho necessità di farlo, e pregarla si serva di me più ora che mai, come di vera sorella, e che si conforti in quel comun Signore, unico consolator e vera vita in ogni genere di pena e di morte: e creda che in persona averei fatto questo uffizio con lei, so non per non darlo incomodo sopra il dolore, il quale vorrei mitigarlo col sangue, se io potessi. Ma confido che potria consolar me per la sua cristianissima virtù e bontà. E di core me le raccomando, raccomandandolo a Cristo con tutta l'anima.

Al comando di V˙ S˙ molto Reverenda22. Questa lettera non porta data di sorta; noi però la crediamo scritta da Ischia nel 1534, in morte del cardinal di san Pancrazio, Francesco Cornaro, zio di Andrea.

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.

Illustrissima Signora mia.

Perchè ogni dì parlamo lo imbasciator e io delli affanni di quella poco fortunata Signora, me ne remetto a lui circa lo avvisarne Vostra Signoria; la qual come per un'altra mia averà inteso, stia sicurissima che mai da lei ce è stato un defetto al mondo, anzi summa descrezione e pazienzia. Signora mia, io li mando oggi un mio a parlare e saper se a lei pare, senza altra licenzia del marito, venirsene a Sora, el che io indicaria per ogni respetto bene, e pigliare questa colpa sopra di me d' esterne stata cagione. Se in questo mezzo vien la voluntà del marito procurata dal signor Ascanio, al qual lo ho sollicitato per doi staffette che andavano, bene; se no e ne avenga el contrario, ce attaccarimo sopra lo aver ditto de sì la duchessa di Tagliacozzo e il signor Ascanio.23. Vedi la nota 10. E come è lì se potrà far ogni cosa meglio; pure intenderò la voluntà sua da lei stesso, e prima se li piacerà, e vederò quello responde Vostra Signoria e così farrò. Signora mia, se pur quelli replicassero a non voler che la venga in Sora, tanto, potrà tardar quanto io vo ad Arpino che serrà fra venti dì ; chè allora io la farrò venir in ogni modo elle ce andarò a posta. E è bene non pubblicarne niente che non vorria so conducessero altrove, chè questa gente è tale, che mai Vostra Signoria con la sua bontà el potrà credere. La Signoria Vostra tenga per certo che ne ho l' ansia che pò aver lei, e spero la sua bontà la farà vincer tale dificultà che in sì tenera età se gli para dinanzi. Suplico Vostra Signoria me faccia grazia mandar subito le alligate al loco de' capuccini di Fossombrone; chè questa povera congregazion ha auta una gran persecuzione, adesso che vedendo Santa Croce24. Matteo Cervini da Montepulciano, Cardinal di Santa Croce in Gerusalemme, che poi nel 1555 fu Papa Marcello II. (che l' ha presa in odio perchè scopre troppo i difetti de quelli de i zoccoli), non poter per via dell' Imperatore25. Carlo V. offenderla, qual da Napoli scrisse al Papa contra de lei, e poi intesa la verità ce l'ha raccomandata; ha preso espediente de turbarla, e mosso un fra Lodovico c'ha un cervello balzano, e reduttolo a milli inconvenienti che in Capitulo se ne voleva uscir con quanti posseva, e fece la alligata patente contra ogni convenienzia : chè merita ogni male chi dice difetti veri quanto più i falsi ultra infiniti altri errori. Dio li ha remediati, ma però ha auto tanto favor da Santa Croce che non se è fatto quel che conveniva, onde bisogna refaccia capitulo per levarli le grazie li aveva concesse, sperando le usassi in bene, che mai potrà dirsi quanto errore ha fatto a mettere a disputa così puro oro come è questa congregazion ; che, creda Vostra Signoria, da lui in poi vivon tutti come nella primitiva chiesa. Si appellò al cardinal de Trani26. Giandomenico de' Cupis da Montefalco denominato il cardinal di Trani perchè ebbe il governo di quella Metropolitana, vestì la porpora sotto il pontificato di Leone X nel 1517. Morì in Roma nel 1553. per non voler obedire dicendo che'l vicario non lo pò comandare, e non considerando che quel frate che appella è scomunicato, e che tuttochè li abbia fatto ogni favor possibile, pur lo ha cacciato de Roma. Dice andava a Fossombrone a inquietar lì. Vostra Signoria me creda, che ieri me son comunicata, che costui è atto a ruinarlo, e si mostra umil ma molto grasso. Se pur venisse a Vostra Signoria, di grazia per umiliarlo un poco, mostrili che fa grande errore a non voler stare a obedienzia, chè ce stette san Francesco. Che 'l vicario li fa partito che stia dove li piace, purchè lassi li errori che fa, che bisogneria un anno a dirli alla Signoria Vostra; ma so crederà alla sustanzia, ch' io non penso se non al ben comune. E così ancor prego Vostra Signoria faccia dire a quei frati che non li credano cosa che dica, che in Capitulo sapranno la verità e vedranno le scritture. El povero fra Belardino27. Fra Bernardino Ochino da Siena, cappuccino. Abbiamo accennato di lui nella Vita della Colonna che sta innanzi al volumetto. Osserveremo qui come nel tempo in che fu scritta questa lettera, l' Ochino non per anco aveva abbracciato la Riforma, lo che avvenne circa il 1542. ha voluto morir delle insolenzie di costui; ma Dio voleva purgar questa cosa e publicar questi occulti veneni, che a poco a poco l'averia redutta alla obedienzia de' zoccoli ; che come fosse, li serria ruinata come tanto altre reforme fatte fra loro, tutto già guaste. Questa sola se preserva perchè con licenzia del Papa, se levò da quel Generale, e sta ogni dì meglio. E se io averò mai grazia a Santa Maria dell' Oreto, ove spero andar presto, di parlare a Vostra Signoria, saperà con quanto ordine di Dio se governa questa povera riforma perseguitata da tutti li uomini troppo mondani; e quanto, Dio perdone, ha fatto mal questo fra Lodovico per istigazione de chi la vorría guastare; ma si Deus est nobiscum, quis contra nos? Baso le mane di Vostra Signoria e la supplico me comandi sempre. Da Roma a dì 17 giugno 1536.

Al servizio de V˙ S˙ Illustriss. deditiss.

LA MARCHESA DI PESCARA.

Note 28. Dalla Raccolta di Lettere volgari ec. Vedi la nota 1.

A MESSER LODOVICO DOLCE.29. Lodovico Dolce fu un mediocre letterato ed erudito dei secolo XVI. Scrisse moltissimo e d'ogni cosa, ma di nessuna con eccellenza, come avviene sempre a chi credendo saper tutto, in tutto vuol mettere le mani. Pure a' suoi tempi lo tennero in qualche conto. Morì in Venezia nel 1566.

Magnifico messer Dolce, dolcissimo e paziente se senza sdegno avete aspettato la mia risposta. Vi ho scritto due altre lettere; l'una si perse, l'altra non fu data, e questa non so se arrivarà a voi. Benchè con molta ragione abbiamo tali impedimenti, sapendosi che non sono sufficienti le parole a satisfar l'opra de' suoi divini sonetti. Giovarà pure la mia tardanza a discolparmi, perchè molti vostri e miei amici vi averan scritto quanto io gli abbia lodati; e dalla virtù loro crederete che la mia sufficenzia sia bastevole a quello di che mi sento insufficientissima. Però era meglio credeste che non voleva ringraziarvi, che veder ora che non so nè posso farlo come conviene. Ma questo si vede esser ignoranzia e poca virtù. Allora non assumeva tal peso temendo non poterlo portare, ora avendol preso, mi bisogna con esso a mio malgrado cadere. Da quella negligenzia poteva sperar che mi svegliaste con duo altri sonetti, ma da questo mancamento son quasi sicura che prenderete risoluzione di non buttarne più. Non lassarò perciò di dire ch'io non apersi mai forsi carta che mi empisse tanto gli uni e gli altri occhi, come fe la vostra lettera. A quei della fronte si scoversero minute perle, dal bell' ordine datogli sì vivo spirto, che rappresentavano le parole prima che fossero guardate non che lette; a quei dell'intelletto si mostrò in un punto Parnaso, Apollo e le Muso nel maggior loro onore, aver con somma letizia condito del vostro dolce in modo l'acque d' Elicona, che del suo ambrosia e nettar non han più invidia a Giove. Riman solamente in me l'amaritudine di non potervi essere così grata come vorrei, aspettando quelle occasioni che porgeranno il tempo e la cortesia vostra di ricercarle. Da Arpino, a dì 15 di dicembre 1536.

Al comando vostro

LA MARCHESA DI PESCARA.

Note30. Sta questa lettera nel volume delle Rime di Vittoria Colonna, edizione romana del 1840, in una nota a pagina CXIV della vita della potesse.

AL CAVALIERE GIOVAN GIORGIO
TRISSINO.31. Il cav. Giovan Giorgio Trissino da Vicenza fu un illustre letterato e scienziato del secolo XVI. È noto che la sua Sofonisba fu per l' Italia il primo modello della tragedia secondo le leggi e il costume del greco teatro, e tutti, se non letto, han certo udito parlare del suo poema L' Italia liberata dai Goti. Morì in Roma nel 1550.

Magnifico Signore.

Il signor duca32. Ercole II d' Este duca di Ferrara, alla corte del quale trovavasi in quel tempo la Colonna, trattenutavi con grandi dimostrazioni d' onore. mostra in ogni cosa il suo buon giudizio. Mi è sodisfazione che venga qui tal persona, e non potrei spiegarla. Mi duole che non credo goderla molto per l'aere contrario all'indisposizion mia; però è moderato il piacere; benchè la carità mi costringa di averlo caro per gli altri. E nostro Signor Iddio vi guardi. Di Ferrara a di 10 gennaro 1537.

Serva al comando vostro

LA MARCHESA DI PESCARA.

Note33. La pubblicò Pietro Bigazzi fra i documenti posti a corredo della tragedia di G˙ B˙ Niccolini, Filippo Strozzi. Firenze, Le Monnier, 1847, pag. 259-60.

AL MARCHESE DEL VASTO.

Illustrissimo signor fratello onorandissimo. Pare alle persone che io possa lassare tutto el mondo, ma non Vostra Signoria, però confidano: e la fede loro, senza molestia vostra.

Filippo Strozzi34. Filippo Strozzi, il primo cittadino di Firenze ai suoi tempi, mercante, politico, letterato, che osò contendere con la sterminata potenza di Carlo V; vinto co' suoi a Montemurlo fu prigione di Cosimo I nel forte di San Giovan Battista. Tentò invano sottrarsi dall'ugne del Duca, e non gli valso l'oro che avea moltissimo, non la protezione di principi, di grandi, di prelati. Fu trucidato in prigione sul cadere del 1538, spargendosi ovunque aver egli rivolta in sè stesso una spada a caso lasciata nella sua carcere. È bello vedere che anche Vittoria Colonna si adoperasse, sebbene invano, per lui. mi prestò una volta certi danari, benchè subito glieli resi, pure mi è rimaso l'obbligo alla sua voluntà. Vorrei in servizio di Sua Maestà ed onor di Vostra Signoria, che in quel può l'aiutasse; massime quel desiderio della patria escusa forse parte dell' errore, massime che costoro mandano a Sua Maestà, alla quale non bisogna raccomandar quelli che non errano. Io li ho compassione e supplico Vostra Signoria che essa medesima si muova a raccomandarlo a chi li pare, nel modo che Iddio l'inspirerà; alla cui bontà piaccia inclinare la mente dell' Imperatore a parerli che la dimostrazione fatta basti, e dia ormai fine a tanto sangue ; e la illustrissima persona di Vostra Signoria guardi. Di Ferrara a dì 11 settembre 1537.

V˙ S˙ IlIustrissima servirà sempre

LA MARCHESA DI PESCARA.

Note35. Pubblicò primo questa lettera il Tiraboschi nella Storia della Letterat. ital. Firenze, 1812. Tom. VII, lib. 3°, p. 1169-70.

AL CARDINAL CERVINI
POI PAPA MARCELLO II.

Illmo e rev. Monsig. osservandissimo.

Quanto più ho avuto modo di guardar le azioni del reverendissimo monsignor d'Inghilterra,36. Reginaldo Polo dei duchi di Suffolch inglese, chiaro per regia stirpe e più assai per nobilissime virtù dell' animo. Fu creato Cardinale da Paolo III. Morì nal 1558 tanto più m'è parso vedere, che sia vero e sincerissimo servo di Dio. Onde quando per carità si degna rispondere a qualche mia domanda mi par di essere sicura di non poter errare seguendo il suo parere. E perchè me disse che li pareva, che se lettera o altro di Fra Belardin mi venisse, la mandassi a Vostra Signoria Reverendissima senza risponder altro, se non mi fossi ordinato; avendo auto oggi l' alligata col libretto che vedrà, ce le mando. E tutto ora in un plico dato alla posta qui da una staffetta che veniva da Bologna, senza altro scritto dentro; e non ho voluto usar altri mezzi che mandarle per un mio de servizio. Sicchè perdoni Vostra Signoria questa molestia, benchè come vede, sia in stampa. E nostro signor Dio sua reverendissima persona guardi con quella felice vita di Sua Signoria, che per tutti i suoi servi se desidera. Da Santa Caterina di Viterbo a dì 4 di dicembre 1542.

Serva di Vostra Signoria Rev. ed Illustrissima

LA MARCHESA DI PESCARA.

(Poscritta) Mi duole assai, che quanto più pensa scusarsi, più se accusa; e quanto più crede salvar altri da' naufragii, più li espone al diluvio, essendo lui fuor dell'Arca che salva e assicura.

Note37. Inedita. Vedi la nota 5.

ALLA DUCHESSA D'URBINO.

Illustrissima Signora mia.

Lucia38. Non è facile rilevare di chi si parli, nè per conseguenza fermare l'anno in che questa lettera fu scritta. me ha fatto tardar tanto a scrivere a Vostra Signoria che mai osservai promessa che più mi offendesse; e Dio voglia che lui con le sue belle parole e bona grazia sappia suplir a tutto el bisogno: perchè conviene che sappia esplicar il desiderio estremo che io tengo de servirla, un grandissimo pentimento delle cose seguite, una voglia ardentissima de vederla e emendar con li futuri servizi la colpa passata; che sappia escusarme de aver tardato a scriverli e mille altre cose che appena son bastata a dirle a lui. Ma se pur fosse sufficiente a tutto questo, come potrà far che io non sia condennata de aver eletto lui per messo de tanto gran cosa, che appena arrivo io stessa col pensiero dove prosume giunger esso con le parole. E se qua con meco lo vedo mezzo impedito, che non mi sollevo niente dall' umano, che farà nella presenzia divina della Signoria Vostra Illustrissima? Suplicola consideri quel ch'io vorrei che dicessi e quel che dirrà. E li baso mille volto le mane. De Ischia, a dì 20 di settembre.

Al servizio di Vostra Signoria Illustrissima

LA MARCHESA DI PESCARA sua sorella.

Note39. Questa e la seguente lettera stanno nel primo libro della raccolta di Lettere volgari ec. ricordata alla nota 1.

ALLA REVERENDA MADRE SUORA SERAFINA CONTARINI.

Reverenda sorella e in Cristo madre osservandissima. Se io non sapessi cito Vostra Reverenzia vive armata di tutti quei scudi divini, che non lasciano passare troppo dentro le punte delle saette umane, non avrei ardire di scriverle in sì grave e acerbo caso Ma ricordandomi delle sue pie e dolci lettere, quando convitava quello amatissimo fratello40. La presente lettera consolatoria è scritta in morte del cardinal Gasparo Contarini patrizio Veneto, fratello di suor Serafina; mancato in Bologna nel 1542. a desiderar di ritrovarsi con lei alla vera patria celeste, e della dimanda che gli fe dell' esponer certi salmi, che dinotava avere la morte, passione e resurrezione di Cristo sempre impressa nel cuore ; mi sono arrischiata ad allegrarmi in spirito con lei di quel che col senso sommamente mi doglio, e a pregarla che coi sopranatural lume che Dio le concede, consideri che non avendo di che dolerci, nè perchè desiderare, che questa sì degna e cristiana vita si allungasse più; e parlando delle cose inferiori e da voi giustamente poco prezzate ; dirò, che degli onori mondani era già sì carico, che venendolo a trovare come in loro propria stanza, egli più presto, quasi faticoso peso, gli ha deposti, che essi mai in niun tempo l'avessero lasciato. I quai sì santamente e rettamente ha essercitati di continuo, che avendo per primo oggetto, e per ultimo fine il Signore, che ce li dona, sodisfaceva di modo la spirituale e temporal espettazione, che allegrando gli veri amici, non lasciava agli altri mai giusta causa di querela alcuna. La dottrina, prudenzia, e saper suo era ormai in tanta ammirazione de' buoni, e in tanta invidia del mondo, che bisognava o spogliarsene, o che tutti gli altri paressero da lui spogliati e nudi. Quanto all' ottimo e divino essempio che dava a ciascuno, e alla molto importante utilità alla Chiesa, alla pace e al quieto viver vostro, dovemo per viva fede esser sicuri, che l' infallibil ordine del Re, signore e capo di tutti noi, sa il migliore e più alto tempo di tirare a sè le membra sue. Riman solo la perdita della sua dolcissima conversazione, e il profitto di santissimi documenti suoi ; del che avrei a vostra Reverenzia e a me stessa grandissima compassione, se non fosse che i suoi viaggi e le vostre clausure non ce ne facevano godere. Sì che di contristarci non vedo molta ragione, ma sì di consolarci e allegrarci assai di vedere con l' occhio dell' animo il suo pacifico spirito, unito con la vera eterna pace ; e la sua umilissima anima esser fatta gloriosa e grande da Colui che fra tanta altezza d' intelletto gl'impresse tale essempio di umiltà, che ben mostrava superare con lo spirito divino ogni ragione umana. Or gli potrà Vostra Reverenzia parlare, senza che l'assenzia l' impedisca di non essere intesa. Or non avrete affanno d'andare lontana dal vero fratello carnale, anzi ringraziando l'uno, goderete in esso del ben dell' altro, in uno istesso tempo con un solo concetto e un medesimo lume, come sono certa, che proverete con l' anima ; che io solo con la penna vo cercando di disegnarlo a colei, che per lunga esperienza sa tutti i colori e l' ombre, e i lumi di quella santa pittura. Ma l'ho fatto per cordialmente pregarla, che in essa solamente tenga saldo l' occhio interiore, come spero certo che Dio l' aiuterà a poter fare, E si degni commandarmi, come alla più vera e obligata serva di quel perfettissimo fratel suo e signor mio ; or che altra spiritual servitù non mi resta, che questa dell' Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor d'Inghilterra,41. Vedi la nota 36. suo unico, intimo e verissimo amico e più che fratello e figlio ; qual sente tanto questa perdita che 'l suo pio e forte animo, in tante varie oppressioni invittissimo, par l' abbia lasciato correre a dolersi più che in altro caso che lì sia occorso giamai. E quasi lo spirito consolatore, che abita sempre in Sua Signoria, ha voluto lasciarlo contristare, acciò sia testimonio che questa jattura è solamente de' buoni, onde bisogna che lei sola supplisca, come anima sciolta già dalle cose carnali : potendosi attribuir a natural pena in lei quel che a questo signore è reputato spiritual carità; sì che confirmatissima per tanti anni s' abbraccia col suo celeste sposo; qual ci conceda trovarci tutti insieme nell' eterna felicità. Da Santa Caterina di Viterbo, (1542).

Sorella di Vostra Reverenzia, e in Cristo ubidiente figlia,

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA SERENISSIMA REGINA DI NAVANA.42. Margherita di Valois figlia di Carlo d' Orléans duca d' Angoulème e sorella di Francesco I, sposata nel 1527 in seconde nozze ad Enrico d' Albret re di Navarra. Morì nel 1549.

Serenissima Regina.

Le alte e religiose parole della umanissima lettera di Vostra Maestà mi dovriano insegnare quel sacro silenzio, che in vece di lode s' offerisce alle cose divine. Ma temendo che la mia riverenzia zia non si potesse riputare ingratitudine, ardirò non già di rispondere, ma dì non tacere in tutto ; e solo quasi per innalzare i contrapesi del suo celeste orologio ; acciocchè piacendole per sua bontà di risonare, a me distingua, e ordini l'ore di questa mia confusa vita, fin tanto che Dio mi concederà di udire Vostra Maestà ragionare dell' altra con la sua voce viva, corno si degna darmi speranzia. E se tanta grazia l'infinita bontà mi concederà, sarà compito un mio intenso desiderio, il qual è stato gran tempo questo, che avendo noi bisogno in questa lunga e difficil via della vita, di guida che ne mostri il camino, con la dottrina e con l'opere insieme ne inviti a superar la fatica, parendomi, che gli esempi del suo proprio sesso a ciascuno siano più proporzionati, e il seguire l' un l' altro più lecito; mi rivoltava alle donne grandi dell' Italia, per imparare da loro e imitarle. E benchè ne vedessi molte virtuose, non però giudicava, che giustamente l'altre tutte quasi per norma se le proponessero. In una sola fuor d' Italia s'intendeva essere congiunte le perfezioni della volontà, insieme con quelle dell' intelletto : ma per essere in sì alto grado e sì lontana si generava in me quella tristezza e timore, che ebbero gli Ebrei vedendo il fuoco e la gloria di Dio su la cima del monte, dove essi ancor imperfetti di salir non ardivano: e tacitamente nel cuor loro domandavano al Signore, che la sua divinità nel verbo umanando si degnasse di approssimarsi ad essi. E come in quella spiritual sete la mano pia del Signore gli andò intertenendo, or con l'acqua miracolosa della pietra, or con la celeste manna; così Vostra Maestà s'è mossa a consolarmi con la sua dolcissima lettera. E se a quelli l'effetto della grazia superò di gran lunga ogni loro espettazione; a me similmente l'utilità di vedere la Maestà Vostra, credo che avanzerà d' assai ogni mio desiderio. E certo non mi sarà difficil viaggio per illuminare l'intelletto mio, e pacificar la mia coscienza: e a Vostra Maestà penso che non sia discaro ; per aver dinanzi un subietto, ove possa essercitare le due più rare virtù sue, cioè l'umiltà, perchè s'abbasserà molto ad insegnarmi, la carità, perchè in me troverà resistenza a saper ricever le sue grazie. Ma essendo usanza, che 'l più delle volte di parti più faticosi sono i figliuoli più amati, spero che poi Vostra Maestà debbia allegrarsi d' avermi sì dificilmente partorita con lo spirito, e fattami di Dio e sua nuova natura. Non saprei mai imaginarmi, come mi vedeva la Maestà Vostra innanzi a sè, se non fusse, che essendosi per sua nobilissima natura rivolta indrieto a chiamarmi, è stato necessario che di lontano e dinanzi a sè mi veggia ; o forse nel modo, che 'l servo Giovanni precedeva al Signore: a similitudine del quale potessi io almeno servire per quella voce, che nel deserto delle miserie nostre esclamasi a tutta l' Italia, il preparar la strada alla desiderata venuta di Vostra Maestà. Ma mentre sarà dalle sue alte e reali cure differita, attenderò a ragionare di lei col Reverendissimo di Ferrara;43. Ippolito d' Este dei duchi di Ferrara, creato cardinale da Paolo III nel 1539. Morì in Roma nel 1572. il cui bel giudicio si dimostra in ogni cosa, e particolarmente in reverir la Maestà Vostra. E mi godo di vedere in questo Signore le virtù in grado tale, che paiono di quelle antiche nell' eccellenza, ma molto nuove a gli occhi nostri, troppo omai al mal usati. Ne ragiono assai col Reverendissimo Polo, la cui conversazione è sempre in cielo, e solo per l' altrui utilità riguarda e cura la terra; e spesso col Reverendissimo Bembo,44. Il cardinal Pietro Bembo di Venezia fu in tanta celebrità ai suoi tempi, che vien meno al paragone quella serbatagli dai posteri. Lo dissero nel poetare divino, ma non era che un servile imitator del Petrarca. Più giusta è la lode che gli venne per le Istorie Veneziane e la altra prose che scrisse, se specialmente vogliansi considerate dal lato della lingua. Da Paolo III ebbe nel 1539 la porpora, e morì a Roma nel 1547. tutto acceso di sì ben lavorare in questa vigna del Signore, che ogni gran pagamento, senza mormorazione degli altri, se ben tardi fu condotto, gli conviene. E tutti gli miei ragionamenti m' ingegno che abbiano principio e fine da sì degna materia, per aver un poco di quella luce che, con la mente nell' ampiezza de' suoi viaggi, Vostra Maestà sì chiaramente discerne, e sì altamente onora ; la qual si degni: illustrare ogni giorno più si preziosa margherita, poi che sa sì ben dispendere, e impartire gli suoi splendori, che tesaurizzando a sè, fa ricchi noi altri. Bacio la sua real mano, e nella sua desideratissima grazia umilmente mi raccomando.

Di V˙ S˙ M˙ obbligatissima serva

LA MARCHESA. DI PESCARA.

Note45. Questa e tutte le lettere che seguono son cavate dalla raccolta di Paolo Gherardo. Vedi la nota 21.

ALLA DUCHESSA D'AMALFI.46. Costanza d' Avalos duchessa d' Amalfi. Vedi la nota 9.

Eletatissimo spirito, se in questa tua domestica cena ti figurerai, come lo credo, esser tu quell' amato giovene che nel sacro santo petto intese i divini segreti; per quella cara dilezione che caldamente ci lega in un desio, ti prego al tuo aspettato ritorno vogli farmi, come suoli, participe delle grazie ricevute, acciò che dalle ale sue sospinta, sia dal tuo merito portata ove dal mio sperar non lice. Perchè so che mercè del Signor nostro sarà chiaro alla tua mente, come l'alta invisibil luce si fa visibile a'suoi eletti, come sopra il mirabil trono senza seder si quieta, e di sè stessa con sè medesima si rende facile ; e come quel gran Padre genera il suo Figliuolo, e come questo sommo principio gli è simile in ogni cosa. Come l'ardente fiamma procedendo da questi dui non è lor punto inferiore, vedrai l' unità della divinità loro esser solo una sustanzia senza poterci essere accidente alcuno; vedrai come l' incarnata sapienzia, senza aggiunger nome di quattro alle tre persone, ha sublimato tanto questa nostra umanità che l'ha fatta una medesima cosa con Dio ; vedrai il primo ordine della prima gerarchia tutto ardente, come di sola fiamma si pasce e si contenta il secondo, quali lucidi intelletti che di puro intendimento si vivono sempre sazii, il terzo che come preparate sedie abbracciano il sommo bene, e a modo di saggi giudici assistono beati e sinceri. E perchè so che 'l vivace spirito in questo atto fermerà l'alma interna vista, qua fermerò la mente, lasciando la speculazione dell'alte gerarchie per giorno non dedicato al santo consolator nostro; e se pur hai tempo d'intender come da quella larga mensa si mandano le grazie alli mortali, sappiti, prego, come s'ha da preparar la sitiente anima per riceverla. Ma perchè so che nel tuo alienarti starai sì lucida in quel divin lume, sì accesa nel bellissimo fuoco, e sì perfetta nell' alta somma perfezione, che attenderai sol a cibarti, mi par che all' allentar dello spirito quando già senti che la gravezza terrena vuol richiamarti, ti fermi col mio osservandissimo padre Paolo, o col mio gran lume Agostino, ovvero con la ferventissima serva mia Maddalena; e da essi t'informa di quel che t'ho supplicato, e sopra tutto ti prego ti sforzi veder come la singularissima patrona e regina nostra Maria il mirabil mistero dell' altissimo Verbo incarnato in lei ; e come si liquefà di divino ardore e di veder la sua istessa carne fatta un vivo eterno sole, e come vive beata nella riposata e sicura pace del cielo, e quanto godo di vedere, che dallo suo vivo lume nascono i raggi che fanno bello il Paradiso, e che della sua benignità passino ne i beati per unirli, e acquetarli nell'alta eterna luce di Dio; alla qual per sua bontà ci conduchi.

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D'AMALFI.

Sorella dolcissima.

Intendo che le mie littere così semplicemente scritte vi danno consolazione assai, ond'io non curarò di maggior ornamento per non impedirvi il gusto, nè di più eleganzia, essendo con voi sicura di calonnia, e d'ogni iniquo morso di maligna intenzione. Ma dico quel che soavemente ne l' usata nostra chiesa

mi rappresenti. Questa mattina il mio più caro pensiero vedeva con l' occhio interno la Donna Nostra e del ciclo, con sommo affetto e soprabondante letizia abbracciare il suo Figliolo, e di purissima luce mi parve discernere mille lacci che con nodi di ardentissima carità li legavano insieme. Prima, il suo chiaro e lucido intelletto con esso, quanto può creatura col creator, unito ; la saggia e sincerissima anima nel suo solo divino obbietto umilmente corigiunta; la candida e risplendente umanità non solo come albergo la riposava in sè, nè a tanto simili li vedeva, che quest' anima e quella una istessa carne velava a noi mortali. Meditava poi gli oblighi infiniti da' quali ella qui in terra ogni giorno più accesa, con una riverenzia il serviva per la nobilissima da principio e sempre immaculata concezione, per la pia e sopra ogni altra vera redenzione. E perchè le diede potestà di madre, amore di sposa, sicurtà di figlia, la fece attissima a volare con l' ali del gran merito suo sopra tutti i celesti cori; chè essa gloriosa donna supera gli angeli, che se come nunzii col andar e ritornare ubbediscono il maggior sole, ella andando e ritornando d'Egitto, e seguendolo sempre, con tanta carità lo servì, che 'l molto amaro le era sommamente dolce per condurlo ; supera gli arcangeli, che se hanno cura d'una provincia o d' un regno, ella del Signor di tutti i regni del mondo la ebbe continuo; supera le virtù che se dan vigore di far miracoli, ella ne fece infiniti, oltre il massimo di tutti i miracoli di concepire e partorire vergine e intatta e sopra ogni immaculata virtù immaculatissima e sincera. Avanza le podestà , che se hanno podestà di scacciare i contrari spiriti, ella totalmente li unisce, anzi totalmente signoreggia, che solo del suo santo nome e glorioso trema l'inferno. Avanza i principati, che se hanno nome d' esser duci e lumi a grandi e inferiori lumi, essa illuminatissima regina e vera luce, e guida di tutti i beati, e più de i viatori, senza la cui tramontana in ogni picciol' acqua del vasto mare di questo secolo faria naufragio certo. Avanza le dominazioni, che so esso dominano tatti l'inferiori cori, ella come madre di chi le ha dato il dominio, domina quelle e gli altri. Passa ancora l' ultima gerarchia molto più propriamente, chè se i troni, come vere sedie, il signor pare che si riposi in loro, quasi che hanno il giudizio ove, più che in questo quietissimo albergo, si riposa e ripara ;* Così nell' unica stampa che abbiamo davanti. e chi meglio potrà dar giudicio so nel gran lume ella vide più rettamente d' ogni altro il giudicar puro e vero? Passai cherubini, che se essi purissimi sono tutti intelletto e sapienzia, e intendono il sommo bene, pienissimanente e vivamente non potranno giunger a quella, che nella mente, nel ventre, con l'interno e corporeo occhio lo vide e vede continuo, coli tanta plenitudine di grazia e con sì eccessivo lume d'intelligenzia, che se altro intelletto fosse maggior del suo, quel di Cristo avrebbe eguale; che solo all'infinito figlio è di poco inferiore l' eterna madre. Passa i serafini, che se hanno per propinquità e per amore il titolo dei più accesi, non bisogna molte ragioni a mostrare che è più esser una medesima carne, che un vicino spirito, e che per tutto questo transcorso si vede quanto ardentemente e obbligamente lo adori e ami, e quanto infiammi in quella dolce e chiara face. Or considera con la tua devota anima questa elevatissima luce, sopra tutti i cori unita col suo diletto in somma e tranquilla pace, e alza un poco la mente a quel trino e uno lume, come mira questa elettissima sua donna, e che in lei pare che si veda quel che in luoco non si vede giammai. Vedesi in questo candido e purissimo cristallo l' invisibil luce suprema; e pare che ivi si sazii il gran Padre d'aver mostrato la sua invitta potenzia nella potente figliuola, il Figliuol godo d'aversi con la sua sapienzia ordinata sì sapiente madre, si consola lo Spirito Santo di veder rilucere in questa perfettissima sposa l' ottima sua bontade. E perchè lo scender di tal altezza non sia disordinato, torna per medesima scala a meditarla in terra. E pensa come nutrendo l' Autor d' ogni vita, era internamente nodrita da lui, come sostenendolo si sosteneva, e soavemente levandolo da terra era altamente elevata in cielo, e per dargli col sonno breve riposo, le era eterna pace per ricompensa concessa. Io non so perchè quando il glorioso petto gli alimenti gli dava, il caldo della divina bocca, e l' affetto d'amore con che il sentiva non asciugava il santo latte, o chiudeva la via d' onde nasceva ! e perchè il celeste peso non faceva con l'umil pensiero tremarsi le sacre mani, che 'l bagnaro e fasciaro, e gli altri necessari effetti gli fusser quasi impossibili ! Ma di che potrò io maravigliarmi se miracolosamente fu a tale effetto mandata nel mondo? se per ragione gli era madre, poteva ben ardir d'essergli serva. E quel figlio che vergine aveva partorito, ben poteva aver audacia di prudentemente governare. Or considera quel santo ardente spirito, che sì caldamente come sua diletta sposa l' amava, quante dolcezze in questa divina cura gli dava continuo, con quanta ampia e larga volontà le fece gustar il vivo fonte, il fuoco della carità e la spiritual unzione. E perchè sempre andò augumentando di grazia in grazia, mentre teneramente lo nutrì, gustò che l' anima fosse il fonte vivo ; e quasi continuo de l' infinita dolcezza inebriata esultando, in questo spirito con vive, calde e soavissime lagrime lo bagnava. E poi che già nell' età perfetta negli alti e grandi miracoli essercitar lo vide, con tanto ardore e carità l' amò, e sì puramente arse nel santo e chiaro fuoco, che sino alla morte non ebbe timor di seguirlo. Anzi talmente s'era dilatata ne l'ampia mente sua l' amorosa fiamma, che consentì al tormento della sua istessa anima, e avrebbe desiderato accompagnarlo con quella del suo corpo per l' universale salute. E poi elio glorificato e glorioso le apparve, sentì la spiritual unzione, che avendo l' interne piaghe mite e tranquillissima quiete e superinfusa pinguedine, si saziò di quanta pace e gaudio perfettissimamente e felicemente può gustar in terra vivendo. Pensa che illuminati accenti allor formava, che sagge ignite parole uscivan dalla santa bocca, che pietosi e chiari raggi lampeggiavano da quei lumi divini, che rettissimi consigli senza uscir delle leggi davan legge a chi l'udiva, come maestra vera costituita dal maestro primo a fermare quelli ordini al mondo che aveva egli fondati col proprio sangue.

LA MARCHESA DI PESCARA.

ALLA DUCHESSA D'AMALFI.

Di due gloriose donne, sorella amatissima, vorrei ragionar teco, della nostra advocata e fedelissima scorta Maddalena, e di quella che oggi si celebra la morte e anzi felice vita, Caterina. E benchè il sommo Re nostro dicesse a' suoi discepoli: Qui voluerit inter vos major fieri, sit vester minister; et qui voluerit, inter vos primus esse, erit vester servus; donde ogni comparazione è massimo errore, pur perchè io vo considerando la gloria del cielo, della quale questa incarnata verità parlando disse: In domo patris mei mansiones multae sunt, confidando nell' umil e amorosa mia verso loro antica e rinata servitù, ardirò distinguere un poco i gradi e le grazie, che 'l grande e vero sposo e Signor nostro ha loro concesse. E poi suplicaremo esso vero giudice che le ha degnate a tanto bene, che quali col suo pietoso giudizio ne l'alto sedi le discerne, ne i bassi pensieri nostri le dipinga, non già con quei raggi, coi quali lassù vivono ornate, ma come quaggiù e capir e sostener le possiamo. Vedo la ferventissima Maddalena udir a piedi del Signore: Dilexit multum, e Caterina nella carcere : Agnosce, filia creatorem tuum. L'una pare, che per amore sen voli all'alto grado de' Serafini, l'altra che per intelligenzia ne i Serafini si collochi. Credo a quella esser dato il titolo della contemplativa e a questa il bello e raro nome dell' amata virginità, vedo alle lacrime de l'una resuscitare il quatriduano fratello, e alle preghiere de l' altra scender l' angel dal cielo, e rompendo la cruda rota rivoltarla a danno di quattro mila gentili, non per causar morte a quelli, ma per dar vita ad altri infiniti, ed ambedue con le ignite, saggie e dolci parole convertir vedo regine con li regni e numero grandissimo di persone. Considero che quella amata discepola meritò prima di tutti veder il glorioso immortale; dando chiaro testimonio il Signor grato quanto il suo ardore, la sua perseveranza e il suo fido e accetto amore gli fosse piaciuto. E per certificarla che era sua apostola, le comandò che fosse la prima annunciatrice de la aspettata novella, e del mirabil mistero della sua resurrezione. Considero che a quest' altra disse: non cosa alcuna, ch'io sarò sempre teco. Onde apertamente dichiarò quanto l'intrepido animo, la dottissima e calda disputazione, la sincera e costante fede che aveva per lui mostrata, gli era stata accetta. Vedo che l'una con trentatrè anni di continuo martirio, poi di già esser purgato il suo oro, volse talmente cimentarlo che purissima vergine, e luminosa apparesse la sua lampa nel cospetto dell' amantissimo sposo.

A l' altra sincerissima vergine immaculata col martirio e col proprio sangue, egli mostrò nel lume suo la sua prudenzia. Vedo la convertita donna da l'ora che ardentemente lo amò, ogni giorno più accesa, con novi e umili affetti fino alla croce seguirlo: e quando a gli altri per la sua morte s'intepidì la fede, accendersi a lei l'amore, accompagnare e servir sempre la santa madre, aver con la Regina del cielo lo Spirito Santo. Fatta poi perfettissima e dotta pronunciatrice del Verbo divino, nell' alto monte della sua penitenzia, spessissimo dal suo fulgente sole esser con somma carità visitata. Vedo l'audace e intrepida vergine con saldissima e sagace fede esporsi ad ogni tormento, desiderar con puro e forte affetto dare al suo redentore la propria vita, con letizia innarrabile e fermezza inusitata confermar nella passione i convertiti da lei. Penso quanto gran cosa fu quel virgineo e sacro corpo fosse per man de gli angeli portato per sì lungo spazio al prezzato monte, ove l'antica legge si diede al popol caro. E penso che mirabil cosa fu, che sette volte il giorno da l'apostola diletta per gli angoli fosse portato il corpo divino ad ascoltar l'armonia dei cielo. Sì che l' una nel breve tempo con la morte e col martirio dimostrò quanto avria sempre servito; e l'altra con la lunga fatica fece fede, che ogni grave tormento e ogni grave martíre le sarebbe stato caro. Sì che ambedue felicissime dinanzi al vero sole, che con pietoso occhio le riguarda, lietissime le discerno, e parmi che con abondanti luci de' suoi più vivi raggi le adorna o abbellisce continuo, e con larga mano le sue più interne e grazie care l' impartisce e dona. Ora specchiamoci noi ne le opere dei bellissimi lor corpi, e i pensieri delle sante e chiare menti imitando, rendiamo il vero culto al conveniente nostro Signore. Ai divini piedi del quale l'una credo con immenso gaudio in tranquilla e vera pace eternamente si riposa, e l'altra alla destra della donna del paradiso come sposa del suo figlio felicissima vive. Onde poi alla gloriosa Regina quella come eletta sopra ogni altra donna, e questa come prima vergine rendono con incessabil lode grazie del principio vero.

LA MARCHESA DI PESCARA.

Reverendo osservandissimo Padre mio.

Io pensarò di scriver così umilmente sopra lo Evangelio della adultera qualche meditazion simplice; però lassarò star le difficultà tanto discusse e ventilate, cioè che li scrivesse il Signor e perchè s'inclinasse etc. Dirò solo che costei ebbe una singolar grazia, e forse delle maggiori che Cristo concedesse in terra. Due adventi si leggon di Cristo, l'uno tutto dolce, evo solo mostrò la sua gran bontà, clemenzia e misericordia, nel qual disse in molti luoghi, che veniva per li peccatori, per medico delli infermi, per ministrare, per dar la pace, la luce, la grazia, tutto infocato di carità, vestito d'umiltà, soavissimo e piesoso. L'altro tutto armato per molti, ove mostrarà la sua giustizia, la maestà, la grandezza, la infinita potestà, nè ci
sarà tempo di misericordia, nè loco di grazia. Or questa felice donna ebbe grazia di essere giudicata dal giustissimo vero giudice nel suo advento dolce, e nella sua benigna conversazion fra noi,
perchè ancor sempre stesse in sua voluntà il giudicar tutto il mondo. Io non trovo che dalla propria parte adversa, e da lei che era presente e taceva, fosse costituito giudice, e esso liberamente assumesse, e eseguisse lo ufizio del giudicare se non in questo atto. Dunque assumendolo adesso, e facendola impeccabile d'allora innanzi che disse: amplius noli peccare, ed essendo come è immutabile, e le sue vere parole infallibili, bisogna dire, che non fu necessario giudicarla più. E benchè di tutti quelli ai quali Cristo concesse grazia particolare, si creda che sian salvi, pure a costei si vede chiaramente, anzi, ch'è più, si deve tener per fermo, che facesse vita beata in terra, assoluta del passato e certa di non esser più condannata nè poter peccar nel futuro. Mai niuno fece tanto utile al più intimo suo cordial amico, come gli inimici fecero a costei. Andarono per tentar Cristo e offender lei, e essi so ne andarono confusi e superati, e ella rimase assoluta e sicura. Volendo precipitarla nei mali, la condussero al fonte vivo di ogni bene, la fecero star in mezzo fra essi tenebre e Cristo vera luce, e allegarono Moisè al conditor delle leggi, anzi fattor della natura e dator della fede e della grazia, pensando o che trasgredesse la legge o mancasse della sua misericordia. Ma le pietre della loro iniqua durezza giunte colla pessima lor voluntà nel cor di questa donna, già àrmata della costante fede di Cristo Gesù, con maggior impeto ritornarono sopra di loro. E però penso che udendo dire: « chi è di voi senza peccato, getti in lei la prima pietra, » si considerarono, e vedendosi pieni d'infiniti peccati, gli parve ogni peccato una grossa pietra gittar sopra ciascuno di essi, e ne andarono. Anzi credo che quando Cristo erexit se e mostrò in maestà di guardarli come reprobi, e condannati, non sostennero quella vista; anzi vedendo il sol degli occhi belli obnubilato, e la grandine delle pietre di lor peccati venirgli addosso, gli parve tempo da fuggire: Incipientes a senioribus, perchè quelli eran stati i primi a far il discorso perfido di prendere Cristo nelle parole. Oltra che i vecchi son più avari e temevan più di perdere le loro ricchezze, e più ambiziosi, però avean più cura di conservarsi le dignità. E credo ancora che trovandosi in questa confusione, che i peccati loro stessi gli lapidavano, li paresse veder l' inferno aperto e Lucifero che li chiamava alla sinistra piena di cecità e di errore, facendo allora Cristo in essi la giustizia del peccato, che poi commisero del glorioso Stefano. Sì che veramente furono lapidati costoro interiormente per far maggior vendetta di sè medesmi, volsero far beata la cagion dei &illegible; danni e lassarono sola con Cristo la benedetta donna, la qual poteva ben dire, o felix culpa, quae tantum ac talem meruit habere redemptorem! E che onorato disprezzo che fa il suo! partirsi gli iniqui accusatori, e lassârla col pietoso giudice. O che dolce solitudine, essere abbandonata da nemici crudeli, peccatori e sempre morti non che mortali, e star sola col vero figliuol di Dio misericordiosissimo, anzi essa misericordia e impeccabile e divino! Dicono alcuni, che la restò tremando, e raccomandò al Signor etc. E io ardisco dire il contrario: anzi credo che in partirsi coloro gli parve che ogni grave peso se le togliesse dalle spalle, e gli nacque una grandissima fede che questo benigno Signore l'assolvería; e in quelli santi occhi vedeva mille raggi di viva speranza, l'aspetto tutto ardente di carità. E quando gli disse: mulier, ubi sunt qui te accusabant? penso io che la volse assicurare per crescerli la fede, e li disse: dove sono? quasi dicendo, sono un' ombra, non son niente le accuse invidiose e inique, se ben son vere; nascendo da pessima radice, non fanno frutto nella orecchia del retto giudice; io non le accetto. Basta che non t' han potuto condannare, perchè i peccati d'altri non condannano, e del tuo sei pentita: però ti voglio usar misericordia. Allora ella ripreso animo con acceso amore e viva fede disse: Signor mio, nessun m'ha condannata: e a te, che sei Signor del mondo, figliuol di Dio, messia vero sta il mio condannarmi o l'assolvermi. Io sto sicura dinanzi a te, io mi butto nelle tue braccia; fa di me quel che ti piace. E non ebbe ardir di pregarlo di cosa alcuna, anzi come veramente convertita, illuminata e perfetta si lassò tutta in Cristo, e non riguardò sè stessa; conformò la sua volontà con quella del Signore. E è molto da considerar questo veder quel giudice che poteva condannarla e assolverla, li parla, le domanda se è condannata, quasi mostrando darli animo che lo pregasse; e ella lo riconosce per Signore e li dice: nemo, domine, dicendo chiaramente, Signor in te sta. E è così abandonata in Cristo, che confessando la potestà non vuol turbar la sua legge, e la sua determinazione, contentandosi egualmente di quanto fosse suo servizio, e onor della sua Maestà. E per la bontà di Dio non solo la volse assolvere, e far di lei sì pietoso giudizio, ma la fece impeccabile. Alla qual grazia la sua misericordia ci conduca.

Figlia obedientissima e discepola di Vostra Reverenza

LA MARCHESA DI PESCARA.

Reverendo osservandissimo Padre mio.

Metterò anche qui in brevità alcuni dotti concetti della Reverenzia vostra; cioè, che lei vedendosi così confusa e essendoli alla presenzia del vero sole dato lume e remorso della sua coscienzia, e li suoi peccati la lapidarono interiormente di sorte tale, che amazzò lo spirito proprio, e risuscitata con quel di Cristo disse col pensiero: Signor mio, tu dici che io sia lapidata da colui che è senza peccato, dunque non può lapidarmi altro che tu. Nessuno è veramente senza peccato, se non la tua bontà. Fammi questa grazia, io che son sicura dei raggi del tuo divin lume, saran le pietre che mandarai a percoter il mio intelletto. Fulgori del tuo amore mi penetraranno il core, onde sarò morta al mondo per sempre, e solo viva alla obedienzia tua. In questo modo lapidi tu Signor con la tua santa mano i pentiti peccatori; questi sono i martiri che per dolcezza morenno per te o in te resuscitano immortali. E quando disse: ubi sunt qui te accusabant, si può dir quasi deplorandoli e esaltando lei: ove sono quei superbi che sopra te, umil donna, volevano far esperienzia della mia sapienza e sono cascati nella ignoranzia? E translata te con la vera luce.

LA MARCHESA DI PESCARA.

AVVERTENZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. III

VITTORIA COLONNA . . . . . . . . . . . . . . . . . V

PARTE PRIMA. -- Rime Varie . . . . . . . . . . . . 1
     Rime Inedite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133

PARTE SECONDA. -- Rime Sacre e Morali. 149
     Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 337

PARTE TERZA. -- Letter . . . . . . . . . . . . . . . 387