CARTEGGIO DI VITTORIA COLONNA



VITTORIA COLONNA
MARCHESA DI PESOARA

CARTEGGIO
reccolto e pubblicato
DA
ERMANNO FERRERO E GIUSEPPE MÜLLER

Seconda edizione con Supplemento
RACCOLTO ED ANNATATO DA
DOMENICO TORDI

TORINO
ERMANNO LOESCHER

FIRENZE
Via Tornabuoni, 20
ROMA
Via del Corso, 307
1892

PROPRIETÀ LETTERARIA

Torino—Stabilimento tipografico Vincenzo Bona.

ALLA MEMORIA
DI
ALFREDO REUMONT

1523, 8 maggio.

Autogr. la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, Vittoria Colonna, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, nuova serie, vol. III, parte II. 1878, p. 31, n. 1.)

III.mo S.re

Ad misser Mario Equicolo (1) Mario Equicola, segretario della marchesa Isabella d'Este Gonzaga, madre del marchese Federico II, e letterato, di cui si hanno parecchi scritti a stampa. Le lettere del marchese di Pescara all'Equicola, pubblicate dal Luzio (Vittoria Colonna, nella Rivista storica mantovana, vol. I, 1885, p. 4 e segg.), lo mostrano compiacente intermediario in un furtivo amore del marito di Vittoria per una damigella della marchesa di Mantova. scripsi circa li quattro milia ducati che per M. Theodoro V. S. III.ma deve al Marchese mio S. (2) Teodoro Trivulzio, capitano dei Veneziani, fatto prigioniero dai collegati, imperiali e pontificii, nella presa di Milano (19 novembre 1521), “il quale pagò poi al marchese di Pescara ventimila ducati per la sua liberazione.” Guicciardini, St. d'Italia, l. XIV, cap. IV. Sulla promessa fatta dal marchese di Mantova per il pagamento di questa taglia vedi una lettera di Baldassarre Castiglione al detto marchese, 25 maggio 1524, in Castiglione, Lettere, Padova, 1769, t. l, p. 112. Carteggio di Vittoria Colonna. et non ho resposta: non so se per vergogna de tanta dilactione, credo ad causa de non osar epso ricordarlo ad V. S. e per mal recapito de la lettera; ma anchor in la causa non fusse culpa, fa lo effecto e multo danno, per donde son forzata advisarlo ad V. S. Ill. Et benchè me sia grave molestarla rendendome certa che, tenendo là voluntà tene al Marchese mio, nè la lettera nè la opera li dolerà: li scrivo et li supplico manda pagarli, cheè certo con grandissima difficultà ho fatto intertenere per vinti di el vendere un castello. Et per certo se la necessità fosse minore, anchor la conditione et forze de V. S. Ill.ma siano tale che l'usarli più cortesia sia iniuriarlo, non me saria posto ad scriverlo, perchè penso tener magior pena et fastidio in cercarli che V. S. Ill. ma in pagarli. Le altre ragioni, che M. Mario supra questo scripse ultra che io le rispondesse, son tale che me assicurano che con sua prudentia le ha V. S. Ill. ma anullate, però io non le replico, ma concludo che hormai havendo passato quel ch' è passato, senza altra dilactione, quando pensasse V. S. perderli, iudicarà doverli pagare, et Nostro S. la Ill.ma persona de V. S. et Stato gaude et secunde come desea (1) Il Luzio (Fabrizio Maramaldo,, Ancona, 1883, p. 11, nota) osservò che non regge la supposizione del Campori che questa lettera, insolitamente acre, fosse dettata dal marito, poichè questi allora era in Ispagna. Però il Campori non disse dettata, ma scritto a suggestione e d'ordine, ciò che può conciliarsi anche con l'assenza di lui.

De Arpino, VIII°ree; maij MCCCCCXXIII.

Al servitio de V. S. Ill.ma

deditissima La Marchesa de Pescara

All'Ill. °ree; et Ex. °ree; S. r Marchese de Mantoa, capitano generale de la Sancta Eclesia)

(1) Giovan Matteo Giberti (1495—1543), datario pontificio. Allorchè il cardinale Giulio de' Medici, di cui era confidente, divenne il papa Clemente VII (1523), il Giberti fu fatto capo della segreteria pontificia, e poscia (1524) gli fu conferito il vescovato di Verona. Sulle sue relazioni con Vittoria Colonna vedi Reumont, p. 48 e segg., 91, 162.
Sedici lettere di Vittoria al Giberti (dal 21 novembre 1523 al 20 settembre 1524) ed una a Baldassarre Castiglione (20 settembre 1524) furono trascritte nel secolo XVI in un fascicolo cartaceo, che si conserva nella biblioteca Capitolare di Verona (già n. DXXXIII, ora DCCCXIV). Monsignor Giuliari le pubblicò per nozze, ammodernandone l'ortografia, in un opuscolo, divenuto irreperibile, e che abbiamo avuto in comunicazione dall'egregio editore. Al conte Carlo Cipollo siamo debitori dell'esatta trascrizione di queste copie.

1523, 21 novembre.

Copia del sec. XVI.—Bibl. Capitolare di Verona, ms. n. DCCCXIV.—(Giuliari), Lettere di Vittoria Colonna tratte da un codice della Capitolar bibilioteca di Verona, Verona, 1868, p. 15, n. I).

Rev.do e molto magnifico Signore

Questa notte ho inteso la desiderata nova che il R.mo Cardinale vostro sia fatto Papa (2) Il cardinale de' Medici fu assunto al pontificato il 19 di novembre.. Sia rengratiato senza fine Nostro Signor Dio, et lo suplico dia ad tale principio tale mezo e fine, che chiaramente si veda che più perfetta opera non si è vista mai, nè così saviamente condutta, et da sè stesso per propria prudentia obtenuta. Non presumerò posser explicare la insuperabile allegreza che io ne sento, essedno a voi, et per l'altra volta che lo sperai (1) All morte di Leone X, quando Giulio de' Medici sperò succedere al cugino, ed in sua vece fu eletto Adriano VI. et per la propria ragione, ben nota. Ben ne certifico che io son certa che seria impossibile ad altri che a voi comprendere la grandeza d'essa, chè dalla vostra medesima la potrete iudicare: alla quale non reputo la mia di niente inferiore. A Su S. basarete per me li piedi, et li direte che io non posso altro che suplicare continuo N. S. e Nostra Donna per la sua conservatione, a noi non meno che a voi necessaria, et ancora a tutto el mondo. Pregove, S. V. M., questa felicità non vi toglia quel che l'altra non ve tolse, anzi più che mai mi scriviate, etc.

De Napoli, a XXI de novembre 1523

(2) In queste copie le date sono in principio delle lettere. Le trasportiamo alla fine giusta il costante uso della marchesa.

S.or, vi è obblig.ma

La Mar.a de Pescara.

1523, 27 novembre.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 15, n. Il).

Non ad necessità, ma ad prudentia atribuisco el non mandarme cusì desiderata nova per lettera sua, chè 'l soverchio bene suole alle volte causare el contrario suo. Rendoli de sì amorevol consideratione infinite gratie, et non meno de mandarne lo aviso in tempo, che facesse experientia in me de haver la amistà sua meco el debito grado; chè essendo in tanta felicità, pensava che nissun piacere possesse capere nel animo, non che crescerla, et la grata et piacevol lettera sua non solo bastò darli aumento, ma farme conoscer che senza essa doveva reputar imperfetto quel bene, che alhora reputava perfettissimo. Per el che ancora la obligatione sia antica, et la amicitia nel grade che potria desiderare, le nove cause di crescerli affectione me constringono usar termini convenienti alla certeza deve esser tra noi delli animi nostri; che 'l rengratiarne, l'offerirve et il pregarve ve serviate delle cose mie, anzi più che vostre, deveno essere hormai non che excusate ma represse. Et se pure corro in questo errore, pregolo creda che 'l desiderio di più obligarmeli fa che lo importuni che me comandi; chè ad chi esso è, servendolo, se guadagna molto più che in receverne piacere.

Non oso alegrarme del ottimo principio de la sperta gratitudine verso voi di Su S., chè con mostrarne molta allegreza iniuriaria el merito vostro, tenendo per certo che questa sia arra di maior bene. Pregolo, quando pò desocuparse di tanto importante cure, se ricordi ordinare che me scrivano, etc.

De Napoli, a XXVII de novembre 1523

Di V. Rev. S.a

che vi è oblig.ma La Mar.a de Pesc.a

1523, 16 dicembre.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 16, n. III).

Ancor che la voluntà mia verso il servitio et honor vostro non possi crescere, tengo per fermo non è la vostra inver me per niente minore; per el che dovria essere secura che come ad me deletta el scriverli, così ad essa il respondermi dilettasse: ma per che io tengo abundantia de otio, dove epso deve haverne carestia, temo la necessità faccia in epso effetto contrario al desiderio; sì che molte volte sto in dubio, se devo soprasedere il mio piacer per darli la sua quiete. Pure il ricordarmi quanto assuefatto è alla fatica, et che per non manchar de sua consueta, anzi totalmente abinata (1) La n di abinata (innata) proviene da correzione. cortesia, virtù e bontà, vorrà più presto fraudar sè stesso, che lo ordine de la vera amistà, le scrivo e scriverò, volendo ancor che più presto me iudichi importuna che negligente, soverchio recrescevole che immemore; chè quel si pò atribuire ad ignorantia, questo ad malitia chiara. Ben toglierò hormai il poco necessario, che è di novo declarare lo animo mio verso di lui, et la dedicata servitù di molto tempo a Sua Beatitudine; alla quale sempre vi occorra tempo direte li baso li degni piedi, desiderosissima farlo presentialmente, etc.

De Aquino, a XVI de decembre 1523. Ad V. S.

obligatissima
La Marcha de Pescara.

1523, 19 dicembre.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 17, u. IV).

Per fugire nome di discortese, credo che lo acquistarò di mendace, et per che la ragione mi toglie gran parte de la colpa, convene narrarvi il caso. Poi de creato nostro signore Papa, ricordati molti de la solita vostra humanità verso me, mi hanno dato infinite molestie, perchè ve le dia a voi, et non possendo io darvele senza riceverne la maior parte, me ha forzata el commune interesso a publicare che, poi questa creatione, è sucessa cosa, per donde è tra voi et me nata mortal nimistà, e che prima scriveria al Turco che a voi. Sì che, se pur tal fama vi pervenisse alle orecchie, voglio che possiate disingannar alcuno bueno, se in questo errore capesse; tanto più che 'l portator di questa è stato uno delli ingannati, come quello, che mirava più al proprio suo interesse che al ragionevol respetto che ve tengo. Et ancor penso habbiate forse per via di Mantua avute le alligate medaglie non solo man.te (1) mandate., ma composte da messer Io. Antonio Muscetola (2) Probabilmente lo stesso, di cui nella lett. XXXV. Ma non trovammo nell'opera del Tafuri (Istoria degli scrittori nati nel regno di Napoli) ed altrove uno scrittore napolitano di tal nome.. Però sapendo vi delettano le laudate compositione, ve le mando; nè oso laudarle io, ma rimetterle al miglior iuditio vostro. Ben ve dico che lo auctore non ha voluto servar ordine in esse, per fugire malivolentia, e tiene delicato ingegno, et bona inventione; ancor che non tenga tanto del oratore, come ad alcuno de quelli suggetti converria, etc.

De Aquino, a XVIIII dicembre 1523.

Al servitio de V. S.
obligatissima
La Marchesa de Pescara.

1524, 4 gennaio.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 18, n. V).

La obligatione ch'io le tengo fa me doglia tanto el darli molestia, che nissun piacere posso recever tale, che non sia maior la pena de haver a domandarcelo. Ma la presente non posso negar de scriverla, così per esser cosa conveniente seguir la voluntà del Marchese, my signore, e pregar che le opere comenzate da esso se reducano ad perfectione, come el redundar in benefitio di persona, che per esser creato mio e bon signor, non posso nè devo lassar di desiderarlo. Tanto più che quando fece lo errore, che fu in tempo della immortale et santa memoria di Leone, li promisi che, accordando la parte, io acommodaria con Su Santità per vostro mezo el resto, il che fece; et hora mi pare che se è fatta per amor del Marchese la gratia di remetterlo, resta solo quello che seria tanto iusto ad farse, che con vergogna non mediocre me conduco a pregarve che fate non si faccia, et per certo se esso havesse miglior modo, io li imponeria silentio; ma conoscendo el poco che fo, Signor, vi prego, vogliate operarve sia la gratia tanto libera, che non ce sia niente imperfetto, chè certo lo receverò a molto piacere acumulando alle infinite obbligatione che li tengo, etc.

De Aquino, a iiij de gennaro 1524.

Signor, desidera servirla
La Mar.a de P.

1524, 26 gennaio.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 19, n. VI).

Se la virtù fusse totalmente estinta nel mondo, così fecondo seme ne è reposto in esso, che serian maggiori li frutti novi da lui solo produtti, che tutti li altri passati; et ben possemo allegrarce che ce sia concesso otener gratie da così largo et gran signore, per mezo di servitor tanto cortese, che col piacevol modo ce duplica la mercede. La gratia fatta da Su Santità al signor mio, sì humanamente me la fa la vostra lettera nota, chè molto più estimo lo stile che lo effetto, et mi constringe alcune volte dolerme di quel che più soglio allegrarme; che è vederlo in grado, che non li bisogna far della mia voluntà o opera o experientia, chè me seria non men debitore, che io li sia debitrice et obligata. ma forse più, et con la solita fede oso pregarlo sia la presente mia solo per sè e Su Santità, parendogli (1) Seguivano queste parole cancellate dall'amanuense stesso, che le scrisse: essendo el Marchese mio in Napoli etc.

De Aquino, a XXVI de gennaro 1524.

Signor, che desea servirve
La March.a de Pescara.

1524, 28 marzo.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—)Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 19, n. VII)

Arrivando qua di lunedi santo, non mi parse molestarlo con mia lettera, nè mostrarme io di tanto poca conscientia, ancor che'l scriver ad essa sia in ogni tempo opera meritoria appresso Dio et al mondo; chè se gli effetti visibili ce danno cognitione de la causa invisibile, che più chiaro et notabile effetto si può vedere che le molte virtù risplendono in voi solo, considerando che, essendo ogniuna di esse bastante a nobilitare un soggetto, unite insieme tutte in una creatura, si viene per essa assai facilmente in cognitione del Creatore? Ma io come quella che penso più alli periculi e fastidii de la guerra (1) Combattevasi in Lombardia tra l'esercito imperiale, fra i cui capitani principali era il Pescara, e i Francesi comandati dall'ammiraglio Bonnivet., che alla tranquillità della contemplatione, lassai di scrivervi et de pensarce; follo con questa et vi dico che sto qua in Marini, con el solito deseo et obligation servirve, quale non suffrendo aumento, non oso darli altro nome che lo usato.

A Su Santità basarete per me li piedi, per la gratia de la plenaria indulgentia si è degnata mandarmi, quale non meno ho prezata per venire de la mano tanto desiderata da me vederla con tal potestà, che per la propria salute de l'anima, etc.

De Marino, a XXVIIII de marzo 1524.

Obligatissima La Mar.a di Pesc.a

1524, 30 marzo.

Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—)Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 20. n. VII)

Le sue lettere mi sogliono essere sempre gratissime, ma quella di hoggi mi ha data tanta consolatione che non porria esplicarlo; chè le altre del Priore (2) Il priore di Capua, il fiorentino Leone Strozzi, V. lett. XVI. mi haveano posto in anxia molto grande, havendome mandato con esse lettere del Marchese, che iacea indisposto e in letto. Ringratio Nostro Signore Dio che se fosse levato, et voi mille volte de la diligentia usata in avisarmelo La obligation mia non pò crescere, nè esserme la sua perfection più nota; resta solo che si degni comandarme, perchè trovando modo di minuir la una de me, confirmerà l'altra in lui, poi quel togliermi el vitio della ingratitudine serà darse in maior grado la virtù de la humiltà, che essendo, come è, fundamento de ogni perfectione, con una medesima opera resterà essa servita, et io satisfatta.

La palma (1) La palma benedetta della Pasqua., e per chi la benedisse, et per il singnificato, et per mandarla voi, l'ho presa con tanto piacere, che porria questa gloria, se io la reputasse vana, far che non mi fusse valida la confessione, ma parendomi che, nascendo la allegreza da Su Santità, possi dire che sia el mio spirito exultando nel Signore, che è, e spero che sia, la mia salute, con la universal pace, che per sue gloriose e sante mani si concluderà, non lo atribuirà a peccato, etc.

De Marino, a XXX di marzo 1524 Sig.r,

ve è obligatissima La Mar.a di P.a.

1524, 20 aprile.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 21. n. IX).

Sono stata tanto admirata questi dì che nissun male havesse tanta audatia de offender così bona [persona] (1) L'editore v'aggiunse, a ragione, questa parola., anzi se è lecito dir, perfetta, come esso è: chè se non havesse sperato che trovaria el contrario suo tanto superiore, che senza altro remedio bastava vincerlo, seria stato maiore el mio interiore, che lo exteriore suo; et pensando che de tal pugna stia alquanto faticato, et per lo iusto disdegno et colera li resti el gusto amaro, li mando questo poco dolce, più perché essendo di mia mano, penso lo habbia accetto et corroborato dal desiderio mio, tenga la virtù ristorativa più valida, che per la carentia esso possa tenerne di megliori, e resto pregando Nostro Signor Dio per universal benefitio se degni tenerlo sano etc.

Da Marino, a XX de aprile 1524. Sig.r,

v'è obligatissima La Mar.a de Pesc.a

1524, 3 maggio.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 21, n. X).

Tanto spesso mi concede gratie la S. V., che più presto manca a me el modo di rengratiarla che ad epsa la manera de darmene occasione. Non so se è per che io habbi troppo inopia de acommodate parole, o lui soverchia copia de cortesi effetti; e benchè questo venga in mia utilità, e quello in qualche vergogna, consento di esserli in ogni cosa inferiore, pur che con bona sua gratia possa dire che la mia voluntà in servirla supera di tanto la sua, che quanto perdo nel resto, lo avanzo in questo solo, et se le opere ha fatte per satisfar me, et io niuna, alla minor di epse simile per servirlo, mi danno il torto lo haverlo pregato senza esser comandata, mai potranno almen darme tanta ragione, che pur si dirà che delle cose non esperimentate si può far falso iuditio, ma chi ha vera cognitione di noi facilmente me darà la sententia in favore, chè li desiderii nostri sono tanto estendersi quanto ricerca el merito di ciascuno; et se 'l loco deve capere el locato, io resto senza niun dubbio di questa guerra vincitrice. El che summamente prezo, et me importa, non possendo con altro fine, che se degnarà comandarme, mostrarmi di non essere del tutto ingrata: ancor che mi pare conoscerlo per tale, che nè mei servitii, nè di quanti conosco, nè obligarci tutti insieme potriano egualare el merito suo. Bisogna adunque che per farme una nova et maior gratia et usare una insolita humanità, se degni per me, o in mio nome, obligarsi ad sè stesso: chè in altra persona non vedo nel mondo chi possa sufficientemente satisfarlo.

Da Marino, a III di maggio 1524. De V. S.

obligatissima
La Mar.a de Pesc.a

1524, 26 maggio.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 22, n. XI).

Questa mattina ho avuta la lettera vostra: ho conosciuto m li madrigali quanta forza tiene la verità, chè del primo, et per essere in mia laude, e tale che non cede alla compagnia, doveria più satisfarme; ma il pensare che li altri siano fatti per voi mi hanno tanto contentata, che s'io non vedesse quella speranza sua piantata in così ottimo terreno, che pò tenerne el frutto per maturo, haveria molta pena de l'error mio, in non accettar che sian per voi, e del suo che havesse electi da versi tanto bueni altro suggetto che 'l vostro. Et per mostrarli che meritano ogni laude, concluderò con una che le inchiude in sè tutte: che è certiflcarli che, al poco veder mio, sono così conformi al merito vostro, che nè la opera deve al suggetto, nè esso a lei: che la una mostra del suo autor l'ingegno tanto svegliato, che non ha bisogno d'aiuto, l'altro è da sè in grado, che non pò cosa nissuna ingrandirlo. Ma ben ha mostrato il nostro messer Pietro (1) L'autore di questi madrigali sembra sia Pietro Aretino, allora a Roma, donde, verso la metà di questo stesso anno 1524, fuggì, per avere contro di sè sollevato lo sdegno del Giberti. Tornato, al cadere dell'anno, compose, in onore del Giberti, la Canzon in laude del Datario. Cf. Virgili, Francesco Berni, Firenze, 1881, pag. 103 e segg. haver ottenute due grande imprese: alzare il verso suo tanto che di questa mente canti del valor vostro, e senza abassarlo niente, nobilitar di modo el poco mio, che non ha tolta niuna delle merite laudi al madrigal primo. Prego V. S. che, oltre el rengratiarlo per me, lo faccia accorto che, se di novo vuole per sua humanità tirar per me l'arco del suo ingegno, non se admire, se non tocca il segno, come dice, de' mei honori, che sono così pochi, et il segno così piccolo, che nè quelli fanno numero, nè questo si discerne. El signor Ascanio (1) Ascanio Colonna, suo fratello. sta meglio alquanto, etc.

Da Marino, a XXVI di maggio 1524. Al servitio di V. S.

La March.a de Pesc.a

1524, 15 giugno.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitti. Col., p. 23, n. XII).

Tanto più grata mi è stata la desiderata speranza di pace (2) Accenna alle pratiche di pace fra Carlo V, Enrico VIII e Francesco I tentate da Clemente VII., quanto maior era la guerra, che in me stessa causava el desiderar cosa quasi impossibile, chè per tale fin qua la ho reputata, e benchè V. S. mostri nella sua lettera non haverne quel fondamento che desideramo, io voglio fondare la mia speranza in esso che scrive, e non in quelli che li scrivieno, che bisognerà sia assai grande el vento che la svella. Oltra che mi pare serian bene ignoranti quelli che scrivessero una bugia, che con la venuta del signor Arcivescovo (1) Nicolò Schonberg, arcivescovo di Capua, adoperato da Clemente VII in queste pratiche. sì presto si scoprirebbe; et quando non sia tanto quel che desideramo, assai è che quelle terribilità de Anglia non sian così extreme come ce figuravano (2) Enrico VIII era allora unito con Carlo V contro Francesco I. Probabilmente per le terribilità de Anglia è da intendersi la minaccia d'invasione della Francia da parte degli Inglesi.. Al valore et merito di Su Santità ogni difficultà è facile, del che la vicina experientia ce fa certi che, se ridussero li nimici ad exaltarlo, et li contrarii soi per forza o bona voglia ad basarli li piedi (3) È nota l'opposizione, che incontrò l'elezione di Clemente VII, sopra tutto nel cardinale Wolsey, aspirante al trono pontificio., ben potrà redurre questi Principi, exausti di denari, fatigati da guerre, et timidi hormai de la conscientia, per vedere le future imprese farsi più iniuste che le passate, ad una santa unione e necessaria quiete di tutta Cristianità, per firmare anzi ampliare questa nostra fede tanto vexata da quelli, che deveriano già aver ricevuto castigo da questi, che sono causa nutrirli in tanto errore.

Ve prego, quando siano le cose più chiare, vogliate, per quanto pò meritare perfetta o sincera amicitia, avisarmelo, se la preghiera mia non è superba.

Da Marino, a XV di giugno 1524. Dedita per servire V. S.

La Mar.a de Pesc.a

1524, 2 luglio.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 24, n. XIII).

El favore che si è dignato nostro Signore concederme, tenendo memoria di comandare a così bassa serva, come io li sono, me haveria levata nel sommo culmine de la felicità, se come si è tratto del quarto di Ardea (1) Il castello di Ardea, al tempo di papa Martino V, dai Benedittini di San Paolo era passato ai Colonna, ai quali rimase sino ai giorni di Marcantonio, flglio di Ascanio., se trattave de dividere in me stessa la miglior parte di me: chè ancor fosse creata indivisibile dal supremo Signor che mi informò, Sua Beatitudine, che in terra lo rapresenta, è tale che li deve esser possibile ogni inaudito miraculo, et con suo servitio mi haveria fatta eterna; essendo stata bastante a fare un novo presente a Signore sì novo nel mondo, che la minor cosa, che forze l'universo a venerarlo, è la dignità dove el vedemo assunpto. Pesame solo quel di che soglio allegrarme, che li sia el signor Ascanio tanto sincero et obediente servo, che l'industria et diligentia mia sia stata poco di bisogno in fare che remetta el terreno, el seme, flori et frutti nelle degne mani di Su Santità; et beati quelli son degni essere da la sua benignità riguardati con occhio sì amorevole, che exhorta quello che pò comandare: non ho havuta audatia molestare le sue sante orecohie con le mie ignorantie, però non li rispondo. Pregove, Signor, supplite per me liberamente, certificandoli che io lo adoro con tutto el core, la mente e l'anima, nè da altri spero quiete per el Marchese e per me: baso li suoi santissimi piedi, etc. (1) La lettera giunga alla fine della pagina; non restò posto per trascrivere la firma..

Da Marino, a II di luglio 1524.

1524, 25 luglio.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 25, n. XIV).

Tale sono state le sue dimostratione verso me in questa dolentia mia, che me dole sia già mancata, se esse hanno da mancarme con essa; chè niun male potria essermi sì grave, che il bene de la sua molta cortesia non mel ricompensasse; et se di questo mille experientie passate me devono far sì certa, che 'l mostrarne novo piacere me darà forsi infamia de incredula, considere che 'l reiterar le cose, che assai delettano, sempre piace, maxime quelle che immeritamente pare che se possedano, tanto più che essendo la sua benevolentia ver me fundata in la propria virtù, et non de mio merito, temo sempre che la imperfection mia, ognì dì essendoli più nota, possa in qualche parte minuirla; per donde quanto meno spero, et più effetti vedo, maior allegreza mi causa. Rengratiarlo non voglio per non cominciar cosa senza fine, ma si li darò per pago nova fatica, poichè si ben le suffre per farme gratia. El Marchese, my signor, è molto obbligato al (1) Segue uno sgorbio.

Da Marino, a XXV di luglio 1524. Al servitio di V. S.

La Marchesa de Pesc.a.

1524, 13 agosto.

(Copia.—Bible. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 25. n. XV).

Tre dì sono che in me combatte la allegria col male, chè l'una insieme con la ragione et voluntà vorriao ch'io scrivesse, facendo in alcuna parte quello a che sono tanto obligata: l'altro non me l'ha consentito, nè consente. Al fine mi sono risoluta farli scrivere questa, in la quale rengratio prima Nostro Signor Dio, et poi Su Santità, che con fare ascendere alla S. V. un scalino più alto (2) Il Giberti fu creato vescovo di Verona l'8 di agosto 1524., et a dirittura de la scala ch'io dico, me dà certa speranza vederlo di qua a molti anni, quali Nostro Signore conceda a chi è in la sumità di essa, cosa, credo, molto più da me, che da voi medesimo desiderata; perchè la S. V. desidera la quiete, et io vorria tanto inquietarlo, che 'l mondo tutto li desse molestia, et che fusse tale la gloria de casa de' Medici, che non solo essi havessero saputo essere con gratia di Nostro Signore Dio, ma ancora li loro servitori, et piaccia a chi tutto pò che questa sia vera profetia (1) Qui stavano queste parole cancellate: Rengratiolo summamente del breve.. De la indispositione mia, che mi ha represa di tante recascate, la certifico che, se sempre l'havesse vista, mai me haveria iudicata se non inferma: et come maestro Hieronimo (2) Probabilmente il medico. potrà dirli, mai ho fatto nissuna disobedientia, nè discordine. Quello, de che mi danno colpa, de pigliar collera, bisogneria toglier la causa, che seria che'l Marchese non valesse quel che vale, che non fossemo doi in carne una, et ch'io non li fusse obligata come sono; sì che questi che danno relatione di me, se pure è lo signor Priore di Capua (3) V. lettera IX., use de la potenzia divina, et potrà liberarme subito. Io ben cerco pedere la memoria delle poche et tarde provisioni, che vanno al Marchese, per non farme danno, et obedirla: che poi V. S. preza tanto ch'io stia sana, lo miro con maggior diligentia per servirlo (4) «La cosa suona come se vi fosse un rimprovero, che forse si riferisce alla titubanza del papa in quel tempo.» Reumont, p. 76.. Io sto in ogni modo assai bene, et questi pochi residui di febre vanno burlando meco, per che non me inquietano niente, lassonome tutto el dì netta, non servano ordine al venire, et tutti doi terminano con sudore: tengo lo stomaco bono, et spero presto levarme. Prego V. S. mi perdoni se in questi dì non li ho scritto, che è stato per obedire a' medici, et non per poco deseo ch'io ne havessi, etc.

De Marino, a XIII de agosto 1524.
Al servitio di V. S. molto R.da.

La Mar.a de Pesc.a

1524, 20 settembre.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 26, n. XVI).

Lo haver V. S. fatto quanto sino ad hoggi li ho domandato, me teneva di modo obligata, che con difficultà grandissima credeva poter servirla, tanto che in qualche parte la satisfacesse; ma addesso sono del tutto exclusa che possa tempo nè forze bastarme, essendo la sua cortesia verso me tale, che da sè stessa me ha offerto quel che io posseva pregarli; anzi senza darmi el rossore de cusì spesso fatigarlo, ha presa la fatiga di procurare quel che sa che desidero: nè potrò confortarme con pensiere, che della mia voluntà deditissima in suo servitio reste contento; perchè alli effetti vedo che con la medesima me la paga avanzandome sempre in le opere, et se pure la sua humanità lo quietasse con el possibile, non posso quietarmi io, sentendomi ogni di gravare di novo peso, senza speranza di alleviarlo, et solo essere obligata a chi deveno essere tutti i bueni; anzi in questo excedendoli, come credo dichiara che'l suo favore si è largamente demostrato con meco, per donde me ne segue non piccola gloria. Il pensar poi quanta maior seria se cusì, come li sono obligata, tenesse obligato lui, toglie questo piacere, et cresce in maior grado quella pena, nè trovo altro consolo che considerare le molte virtù sue, et che niuna persona potria fare effetti correspondenti a quelli, che da lui nascono, considerato el merito de la causa, nè so qual seria meglio, o vederle unite in esso et godere de sua perfetta amistà, o che repartite arricchissero el mondo, che vedemo hoggi si desnudo: benchè mi pare che ne habbi V. S. tanta copia che, senza togliersene niuna, rimedia in gran parte la inopia d'altri. Nè voglio darli con questa più fastidio de certificarli che maior gratia per me non potria farme concedere, che quella me ha scritta de vederla procurare, etc. (1) Questa lettera «accenna a nuovi obblighi verso il Giberti, ma con giri di frase così artificiali che riesce difficile, se non impossibile, di trovarne il vero senso.» Reumont, p. 76.

De Marino, a XX di settembre 1524.
Servirà V. S. R.da

La Marchesa de Pesc.a

1524, 20 settembre.

(Copia.—Bibl. Capitolare di Verona. Ms. DCCCXIV.—(Giuliari), Lett. di Vitt. Col., p. 31).

Ex.te S.or Non haveva io perduta la memoria di observarli la promessa; anzi mi dole che la ho havuta tanto viva, che continuo mi ha impedita la dolceza de si bella lettione, pensando di remandarla senza relegerla le volte ch'io vorrei, et almeno mi servisse in retenerla in sè bene impressa (2) Il Castiglione aveva dato a Vittoria Colonna copia del manoscritto del Cortegiano, da lui composto dieci anni prima a Roma. Quando Vittoria scrisse questa lettera al Castiglione, che le aveva chiesto la restituzione del manoscritto, egli stava per partire per la nunziatura di Spagna.. Poi me ha tanto deservita in sollecitarmi, et percne son già al mezo della seconda volta ch'io la lego, prego la S. V. me la voglia lassar finire, ch'io le prometto remandarcelo, come intenderò per sua lettera stia per partire da Roma. Nè bisognerà mandare altri per esso, ch'io lo inviarò cautamente et sicuro. Non conveneria ch'io li dicessi quel che me ne pare, per la medesima causa che V. S. dice, non è da parlare de la belleza della signora Duchessa (1) Elisabetta Gonzaga, sorella di Gian Francesco, marchese di Mantova, moglie di Guidobaldo I di Montefeltro, duca d'Urbino, lodata nel Cortegiano.: ma perchè gliel promisi, non curerò con una ornata lettera darli ad intendere quello che sa meglio di me. Semplicemente li dirò la pura verità, affirmandola con sacramento tale, che mostri la efficatia che devessi che li dico por vida del Marchès, my S.or, ch'io non ho visto mai, nè credo vedere altra opera in prosa meglio o simile, nè forse meritamente seconda a questa: perchè oltra el bellissimo soggetto et novo, la excellentia del stile è tale che con una suavità non mai sentita vi conduce in uno amenissimo et fruttifero colle, salendo sempre senza farve accorger mai di non esser pur nel piano dove entrasti; et è la via sì ben culta el ornata, che difficilmente può discernersi chi habbia più faticato in abbellirla, o la natura o l'arte. Lasciamo stare le meravigliose argutie, le profonde sententie, che ci rilucono non meno che gemme legate in si poco oro che solo li serve per necessaria compagnia, senza togliere pur una minima parte de la lor luce; nè credo che altre possin trovarse tali, nè meno artefice migliorar l'incasto. Ma che dirò io de la proprietà de le parole, che veramente dimostrano questa chiareza di possere usare altro che 'l toscano? E stata ventura sia venuta si tardi, perchè la fama di chi la ha si strettamente observata sia fin qui vissa, et quel che più ho notato è che dove usa altra parola, sono così da lassar le toscane, che par più per seguir queste meglio che per fugir quelle, l'habbi fatto. Le facetie et burle son tanto accomodate et ben dette, che anche siano morti molti di quelli che le dissero, non ho possuto lassare di non tenerli invidia grandissima. Ma di quella parte, che più me piace et obliga, che è le forsi debite laude, che date alla continentia e virtù de le donne, determino tacere; ma non tacerò già quello che più admiratione mi ha causato, che è che a me pare che chi scrive latino habbi una differentia con li altri autori, simile ad uno artefice, che lavora di oro, a quelli che lavorano di rame: chè per semplice opera che faccia, la excellentia de la materia luce tanto che la dimostra bella; ma la opera di rame con grande ingegno et sottil modo non può farsi tale, che in la comparatione non perda molto; ed il novo vostro vulgare porta una maestà con seco sì rara, che non deve cedere a niuna opera latina. Che abbia ben formato un perfetto cortegiano non me ne maraviglio, chè con solo tenere uno specchio denanzi, et considerare le interne et externe parti sue, posseva descriverlo qual lo ha descritto; ma essendo la maggior difflcultà che habbiamo conoscer noi stessi, dico che più difficile li è stato formar sè che un'altro: sì che o per l'uno, o per l'altro che sia, merita tanta laude, che me ne rimetto al sig. Datario (1) Il Giberti, a cui più tardi Vittoria inviò copia di questa lettera, la quale perciò trovavasi tra le carte del vescovo di Verona, e quindi fu trascritta nel fascicolo della Capitolare insieme con le letter della Colonnese a lui., il qual solo giudico bastevole che per me la dia.

Da Marino, a XX settembre 1524.

1525, 21 marzo.

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro secondo, Vinegia, 1545. e. 3v).

Illustrissima Signora mia. Havendo così ragionevol causa di fare qualche testimonio del piacere ch'io sento per li prosperi e gloriosi successi dello illustrissimo signor suo consorte (2) La battaglia di Pavia, combattuta il 24 febbraio 1525., son stato in opinione usar altro termine che 'l scrivere, parendomi che questo sia cosa troppo comune, et che si usa ancor in molto minor allegrezza; massime non sapendo io far di modo, che habbia in sè alcuna singularità fuor delle altre: molti altri segni ancor, come far fuochi, feste, soni, canti, et altre tali demostrationi, per ragionevoli rispetti mi sono parsi assai minori che il concetto dell'animo mio: però sonomi pur tornato al scrivere, confidatomi che Vostra Signoria debbia vedere quello ch'io ho nell'animo, ancor che le parole non lo esprimino. Chè, se havendo Vostra Signoria havuto desiderio che qualcuno scrivesse il Cortegiano, senza ch'ella me lo dicesse, pur accennasse, l'animo mio, come presago e proportionato in qualche parte a servirla, così come essa a comandarmi, lo intese e conobbe, et fu obedientissimo a questo suo tacito commandamento; non sì può se non pensare che l'animo suo medesimamente debba intendere quello ch'io penso, e non dico, e tanto più chiaramente, quanto che quelli sublimi spiriti del ingegno suo divino penetrano più che alcun altro intendimento humano alla cognitione d'ogni cosa, ancor alli altri incognita: però della satisfatione ch'io sento del contento suo, et della famosa gloria del signor suo consorte, il quale triompha di due tanto eccellenti vittorie, e della servitù mia verso lei, le supplico a dimandarne a sè stessa et a sè stessa crederlo, perchè son certo che a sè stessa non mentirà di quello che non solamente essa, ma tutto il mondo vede trasparere nell'animo mio, come in cristallo purissimo. Così resto basciandole le mani, e raccomandandomele humilmente in bona gratia. In Madrit, alli XXI di marzo M. D. XXV.

Baldessar da Castiglione.

1525, 26 marzo.

(Minuta.—Archivio di Simancas. Secretaria de Estado, leg. 1554, f. 442).(1) Dobbiamo la trascrizione di questa e della lettera di Carlo V, n. XXXI, alla gentilezza del signor D. Francisco Diaz, direttore dell'Archivio generale di Simancas. Di questa esiste copia in una collezione privata a Firenze (insieme col n. XXI) e nei Diarii di Marin Sanuto (vol. XXXVIII, f. 260).

Carolus etc.

Illustris consanguinea nostra charissima. Quam primum allatum nobis est de tam insigni, tam memorabili victoria, quam Deus Optimus Maximus in Insubria nobis adversus Gallos nuper concedere dignatus est, certe per alia multa quae incundissima nobis in mentem veniebant, fuit nominis tui recordatio, quam quidem et non parum auxit qui hic agit pro illustri Marchione Piscariae, tuo coniuge, Franciscus Gutterius (1) Francesco Guttierez, al servizio del marchese di Pescara, poscia del marchese del Vasto. qui convenienti gratulatione tuo nomine functus effecit, et tuum Victoriae nomen auspicatissimum nobis semper crederemus. Neque immerito, quum ex eo genere sis, ex ea familia, ex qua tam nos quam maiores nostri non vulgaria quocumque tempore officia reportarunt: tali vero cum marito coniuncta, cuius et virtute et re bellica industria atque faelicitate existimamus non minimam tantae victoriae partem constitisse. Merito itaque victoriam Victoria gratularis, ex qua intelligere potes, tantum in te amplitudinis, tantum gloriae redundare, et commoda etiam, quum nihil tam magnum sit, quod Marchio ipse de nostra et gratitudine et liberalitate expectare non possit. Tanti vero animum tuum erga nos atque observantiam facimus, et pene mariti tui merita tecum communia iudicemus tibique ob id, quantum par est, debeamus. Vale. Datum ex oppido nostro Maioreti, die 26 martii M. D. XXV.

Carolus divina clemencia Electus Romanorum Imperator, semper augustus etc.

Illustri Victoriae Columnae Marchionissae Piscariae, consanguineae nostrae carissimae.

1525, 1° maggio.

(Copia.—Firenze. Collezione privata. Raccolta di lettere e notizie diverse, vol. VI, f. 79-81).(1) Un'altra copia di questa risposta si ha ne' Diarii del Sanuto (vol. XXXVIII, f. 260); una terza nell'Archivio di Mantova.

Cesarea e Cattolica Maestà.

Se Nostro Signore Dio, rispettando il supremo (2) superno, Sanuto. merito di Vostra Maestà (3) Vostra Cesarea Maestà, San., si degnò elevarla in sì eccelso grado, che così (4) li, San. potenti Re ne aspettano la libertà, e sono costretti supplicarli mercede, che audacia teneria io a rispondere all'humanissima lettera sua, se da essa medesima non nascesse in me luce per capirla et animo per meritarla? Et oggi niuno può arrogarsi tanto che, volendo servirla, non li bisogni col suo favore acquistar quanto ad Essa vuol restituire; perchè ivi è il sommo culmine (5) lume, San. d'ogni perfetione, le virtù sì unite vi risplendono (6) rifulgono, San. che tutto il mondo ne resta offuscato e mirato (7) nudato, San.; in la sua bontà conviene collocare ogni speranza, che più alto (8) altro, copia fior. segno non si concede a mortale. E perchè nella sola consideratione ed intelligenza di sè stessa è felice e beata, non conviene supplicarli altro, se non che poi se le concede nella propria grandezza la propria fruitione d'ogni desiderato bene, voglia quello li (1) qual se, San. deve tutto il mondo e non può darcelo, tenerlo con la sua immensa benignità per ricevuto; chè cosi satisfarà sè stessa, et supplendo al mancamento dell'universo, lo farà più meritevole del degno impero suo. Ma che dire (2) dirò, San. della felicità mia, essendo stata nella memoria di V. C. Maestà in tempo che trionfava di tante nazioni. disponeva delle regie vite, repartiva le provincie el regni, pendeva dal suo giudizio la quiete di tutta la Christianità e la necessaria ruina degli infedeli? Non presumo (3) Non presumerò. San. credere altro, se non che in una medesima ora volle (4) volesse, San. mostrare che, come sapeva debellare i superbi, così (5) così manca nella copia fiorentina. gli piaceva (6) sapeva, San. esaltare gli umili. Nè cosa più (7) così, San. grande può trovarsi che alla grandezza dell'animo (8) magnitudine del suo animo. San. suo non sia piccola, nè sì minima che l'umanità sua non la riceva per grande; volendo essere in questo effetto, come negli (9) agli, copia fior. altri, conforme (10) essere conforme in questo effetto come negli altri. San. a quel Signore, che più d'ogni altro (11) più che mai altri facesse, San. rappresenta (12) La copia fiorentina finisce il periodo dopo li servitii.. Li servitii, la fede e la sincerità (1) Li servitii, fede et sincerità, San. del Marchese, mio signore e di mia casa tengo per tali che non indegnamente sono a V. C. Maestà accetti; e la promessa comodità (2) come dice, San. desidero più per testimonio in questo che per insolita cupidità mia; benchè la gratitudine e liberalità sua sempre prevenne (3) previene, San. ogni giusta domanda. Nè so qual sia più da stimare, o ricevere il premio di tanto gran Principe, o la gloria che dica esserne debitore. Il nome mio tengo in grandissima estimatione, essendomi stato posto per la vittoria de' suoi passati, e tanto più essendo dalla Maestà Vostra preso in augurio felice (4) Il nome mio tengo in grandissima stima essendo da la Cesarea Maestà Vostra preso in augurio felice, nè incongruamente, essondomi stà imposto per ia vittoria de soi passati. San., conosco averlo usato solo in vincere me stessa, desiderando più presto, con tanti iminentissimi e diversi pericoli, che il Marchese (5) el signor mio Marchese, San. le serva, che venga a quietarsi con me. Pregherò (6) ad acquetarsi, come pregarò, San. sempre Dio per la salute della C. M. Vostra, tanto necessaria a tutto il mondo e particolarmente a noi, che da questo sol lume (7) da solo questo lume, San. siamo retti e sostenuti (8) illuminati, San..

Da Ischia, addì primo di maggio 1525.

1525, 14 ottobre.

(Minuta.—Archivio segreto Vaticano. Clementis VII brev. min., a. 1525, p. l. n. 9, breve 310.—Fontana, Nuovi documenti vaticani sulla fede e sulla pietà di Vittoria Colonna, in Arch. della R. Soc. rom. di st. patr., vol. X. 1887, p. 606, n. 1).

Dilecte in Christo filie nobili mulieri Victorie Marchionisse Piscarie.

Dilecta in Christo filia salutem, etc. Cum, sicut accepimus, dilectus filius, nobilis vir Franciscus Davalos Marchio Piscariae, consors tuus, quem nos alias indueti singulari virtute, auctoritate et meritis eius gubernatorem nostrae civitatis Beneventi deputavimus, ob curas bellicas et exercitus Cesarei regimen quibus in Liguria et Cisalpina Gallia distinetur, eidem gubernio Beneventano vacare praesentialiter nequiens, te loco sui in gubernio eodem generalem eius locumtenentem deputaverit, suasque in eo tibi vices commiserit, prout in eius litteris, quas hic habemus pro expressis, plenius dicitur contineri. Nos attendentes plurimas et excellentes virtutes tuas quas ad nobilitatem tui generis adiunxisti, quibus super muliebrem sexum te claram reddens, viro tuo non minus animo et virtute quam corpore copularis, sperantesque quod omnia solita cum prudentia, iustitia et vi geres et exequeris deputationem et commissionem predictas et illarum vigore predicto acta et gesta; apostolica auctoritate tenore presentium confirmantes defectusque tam iuris quam facti, siqui forsan in iis intervenerint, supplentes tibi, ut absentia eiusdem tui consortis durante onia et singula que ipse consors tuus in gubernio predicto iuxta nostras litteras ei concessas, quas hic pro expressis ac de verbo ad verbum repetitis haberi etiam volumus, facere posset, si personaliter interesset, tu etiam facere, gerere et exercere possis eiusdem auctoritate et tenore concedimus et indulgemus gestaque sic per te plenam roboris firmitatem obtinere decernimus. Non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis stilo palatii, iuribus statutisque dictae civitatis, etiam iuramento vel confirmatione apostolica roboratis ceterisque contrariis quibuscunque. Datum Rome, etc. xiiij octobris 1525, anno secundo.

Vidit [P. An.] et Jo. Winchel. Commisit dominus Datarius.

1525, 2 dicembre.

(Minuta.—Archivio segreto Vaticano. Clementis VII brev. min.., a. 1525, p. II, breve 469.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. X. pag. 607, n. II).

Dilecte in Christo filie nobili mulieri Victorie de Columna Marchionisse Piscarie.

Dilecta in Christo filia salutem. Tuis meritis ac virtutibus inducti piisque precibus inclinati tibi ac dilectis filiis, nobili viro duci Amalfie, propinquo tuo (1) Alfonso Piccolomini duca d'Amalfi, che nel 1517 aveva sposato Costanza d'Avalos, sorella di Alfonso marchese del Vasto. Alfonso e Costanza erano cugini del marchese di Pescara. Carteggio di Vittoria Colonna., Vincentio de Paride, Francisco de Caprio et Gabrieli Romano, necnon Angeline de Aquino, Laure de Caprio, Constancie de Ursino nobilibus, et Clare de Surrento familiaribus tuis, ut quatuor ecclesias vel altaria per vestrum quemlibet in locis, ubi respective fueritis, eligendi devote previaque confessione et contritione vestris per quindecim continuos vel interpellatos dies, etiam post presentem annum iubilei, visitando aliquidve iuxta vestram conscientiam et vestri confessoris consilium in pia opera erogando omnes et singulas ac easdem prorsus indulgentias et sancti iubilei gratiam pleneque consequamini, quas ad almam Urbem nostram presenti anno iubilei veniendo et quatuor basilicas eiusdem Urbis ad hoc deputatas visitando consequeremini, auctoritate apostolica tenore presentium de Omnipotentis Dei misericordia concedimus, non obstantibus litteris nostris super iubileo editis ceterisque contrariis quibuscunque. Datum Rome, etc. die 2a decembris 1525, anno tertio.

1525, 10 dicembre.

(Minuta.—Archivio segreto Vaticano. Clementis VII brev. min., a. 1525, p. II, breve 475.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. X. p. 607, n. III).

Dilecte in Christo filie nobili mulieri Victorie de Columna. Marchionissae Piscarie.

Dilecta in Christo filia salutem. Mittimus ad Nobilitatem tuam dilectum filium Hieronimum Monopolitanum ordinis predicatorum (1) Questi fu più tardi arcivescovo di Taranto., relligione et doctrina prestantem, qui affectum animi nostri et summam erga te benivolentiam tibi significet; hortamur eandem Nobilitatem tuam in Domino ut eum patienter audire sidemque prestare in omnibus velis. Datum Rome, etc. die X decembris MDXXV, Pontificatus nostri anno tertio.

(2) Sorella di Alfonso d'Avalos, padre del marito di Vittoria Colonna, e d'Inigo, padre del marchese Alfonso del Vasto. Mori nel 1541. Intorno ad essa ed alle sue relazioni con la marchesa di Pescara vedi Reumont, p. 14, 18, 24, 26, ece. e gli scritti citati a p. 301.

(1525), 21 dicembre.

(Autogr.—Archivio di Monte Cassino. Sopra un foglio solo con la risposta di Costanza d'Avalos, n. XXVI.—Muller e Ferrero, Alcune lettere inedite di Vittoria Colonna marchesa di Pescara, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XIX, 1883-84, p. 1073, n. I) (3) Vedi n. XXVI..

III.ma S. mia. Quella felice anima (4) Il marchese di Pescara, morto a Milano il 25 di novembre 1525., la quale nel suo testamento è, che quanto se trova in la casa che sia d'altri se restituisca; et io per questa lettera fazio fede alla S. V. che me scripse de sua mano restituisse el Colle alli frati de San Benedetto, et da quella hora in cqua io ho facto dare la intrata al dicto loco aspectando che'l papa lo determinasse; mo che dicto S.r mio resolutamente lo dice et Sua S.ria non ce vole mettere de conscientia, et questi frati se contentano benedirli tucte le intrate percepute dalla casa, prego V. S. ce lo fazia restituire, altramente seria carrico de quella anima et de la S. V. El S.r Marchese del Guasto (1) Alfonso d'Avalos marchese del Vasto (1502—1546). Il marchese di Pescara, nel testamento, con cui aveva istituito erede il cugino, aveva raccomandato di rendere ai proprietarii le cose dovute. Ora il Pescara aveva tenuto a torto una terra del colle di San Magno, spettante all'abazia di Monte Cassino. Vittoria si adoprò per la restituzione di questa terra, onde questa ed altre lettere, che si conservano nell'archivio cassinese. sono certa non ce replicarà, perchè faria magior cosa per lo dicto S.r mio, tanto più che questi padri dicono feno fare processo et stanno per havere la sententia in favore. El signore li pregò soprasedessero. Supplicola monstrare lo amore che sole, in non fare stare quella benedecta anima sospesa. Da San Silvestro (2) San Silvestro in Capite, convento di Roma. nel quale erasi ritirata Vittoria dopo la morte del marito. V. Reumont. p. 88., a di 21 decembre.

Servitrice de V. S.ria La Marchesa.

In calce d'altra mano: Fede de la S. Marchesa che restituisse il Colle.

E d'altra mano: Per ordine del S.r Marchese bona memoria et la Sa S. prega il S.r Marchese se contenti per la coscientia.

(1526), 9 gennaio.

(Autogr.—Archivio di Monte Cassino. Sopra una carta sola con la lettera di Vittoria, n. XXV (1) È aggiunta un'accompagnatoria della duchessa di Francavilla al marchese del Vasto. Gli spedisce questa minuta e la lettera di Vittoria a lei del 21 dicembre 1525. Tutte e tre autografe in un foglio solo..—Muller e Ferrero, in Atti dell' Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1093, app. n. II).

III.ma S.ra

III.ma S.ra figlia honoranda e che debio adorare. La sua lettera per il rever.do padre cellerario di Monte Cassino ho receputa, quale tengo ad gratia. Son paratissima seguire quanto comanda et che è cosa conveniente; nè se deve, nè posso mancar mai, dove è il servitio di quella gloriosa anima; et se fa quanto questo padre demanda, lo quale portò con sè un doctore, al quale ha parso che, per far le cose più ferme, se habbia la voluntà anchora del Marchese del Guasto, quale se pò tenere per certissimo, che puro esequi lo quello io debio. Baso sue mano, et suplico la divina clementia ce conceda soa gratia. Scripta in Isia, viiij de gennaro. Mando la copia del scrivere al S. Marchese. Ad questi padri resto obligata, che con molto amore se mostrano in tucto.

Quella ve adora, la soa infelice sia nel mondo.

Constantia.

1526, 5 maggio.

(Minuta.—Archivio segreto Vaticano. Clementis VII brev. min., a. 1526. p. III breve 184.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. X, p. 608, n. IV).

Dilecta in Christo filia, salutem et apostolicam benedictionem. Exponi nobis fecisti, quod cum tu viro tuo (insignis memoriae) orbata, deinceps pro tui animi quiete et salute liberoque ab humanis curis secessu quandam domum in civitate Neapolis tibi per dictum tuum virum relictam unacum quattuor aut sex honestis et vitae celibis mulieribus inhabitare ibique Deo altissimo magis animo et affectu, quam ullius regulae professione, samulari intendas, cuperes ex devotionis intimo servore in quodam sacello seu cappella, quod seu quam in dicta domo construi facere intendis, missam et divina officia celebrari facere ac pro tua devotione Eucharistiae sacramentum in tabernaculo marmoreo deaurato et clave clauso cum lampadibus die noctuque semper accensis retinere posse, quod tibi absque Sedis Apostolicae licentia speciali facere non licet, et propterea nobis humiliter supplicasti, ut huiusmodi tuo pio et honesto desiderio annuere de benignitate apostolica dignaremur. Nos aulem. etsi id quod tua Nobilitas a nobis petiit, hactenus forsan aliis non concessimus, et raro ab hac Sancta Sede concedi consuevit, cum ipsius sacramenti domus (quam sapientia sibi edificavit) sola ecclesia esse debeat, tamen cum apud nos devotio ac pietas tua multiplicesque virtutes quas tu muliebrem supergressa sexum ad tui nobilitatem generis adiunxisti tantum valerent, quantum etiam paterna nostra benivolentia erga te et tuos omnes exigebat, id ipsum ad spiritualem consolationem tuam tibi non duximus denegandum, sperantes ac pro certo habentes, te huius coelestis sponsi ac Domini (quem ospitatura es) dignitatis et gloriae memorem, ea puritate animae et devotionis affectu tantum sacramentum culturam ac veneraturam esse, qua te decet tali genere partam ac tot virtutibus insignitam. Itaque tuis humilibus et devotis praecibus annuentes, tibi quoad vixeris in dicto tabernaculo ut decet ornato ipsum Eucharistiae sacramentum per idoneum sacerdotem a te eligendum honore et reverentia debitis sacello seu cappella domus tuae huiusmodi, quod seu quam ab aliquo antistie gratiam et communionem Apostolicae Sedis habente benedici facies ita, quod ad profanos usus ob huiusmodi sacramenti collocationem amplius nunquam revertatur, collocari et asservari facere, inibique continue in debita veneratione habere et cum lampadibus accensis continue tenere et quotiens volueris inibi missam et alia divina officia celebrari facere, ac Eucharistiae sacramentum tam tu quam mulieres praedictae ab eodem sacerdote etiam in die Pascatis (sine rectoris parrochialis praeiudicio) recipere, cuiusvis licentia super hoc minime requisita possitis et valeatis, auctoritate apostolica tenore praesentium concedimus et indulgemus, non obstantibus apostolicis ac sinodalibus et provincialibus constitutionibus et ordinationibus caeterisque contrariis quibuscumque. Datum Romae apud Sanctum Petrum sub annulo Piscatoris, die V maij MDXXVI, pontificatus nostri anno tertio.

(Dilectae in Christo filiae nobili mulieri Victoriae de Columna Marchionissae Piscariae).

(1526), 17 maggio.

(Autogr.—Archivio di Monte Cassino.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX. p. 1080. n. VIII) (1) Questa lettera e due alte dell'archivio di Monte Cassino sono notate con la errala data 1537. che noi abbiamo ripetuto. pubblicandole la prima volta. Questa lettera sembra la stessa, a cui si riferisce la seguente..

Reverendo Padre. La vostra lettera me ha cresciuto el dolor, essendo sempre in grado che lo reputo suppremo. Yo non ho possuto trovarme como desiderava, perchè la infelicità mia sia magiore, pregove che como serrite reposato, vogliate venire questo camino, se havete de tornare in Lombardia. Quando vogliate stare alcun dì in Napoli, possete fidarve de monsignor de Scuteri o scriverme largamente ogni cosa, chè epso portarà la lettera secura. Circa quello dite del Colle, da che la felice memoria sua me ne scrisse che se vedesse accomodare, sempre li ho dato del poco mio cinquanta ducati l'anno al loco de San Benedetto, como li frati sanno, in modo de limosina, et se non havessi altro da magnare, melli levaria per darceli sempre. La restituition del proprio castello consiste in la voluntà delli eredi. Facciano li patti et voi, che la S.ra Duchessa (2) Di Francavilla. mel scriva. ancor havessi yo de pigliar queste terre, del che non sono resoluta. Yo sono molto contenta, et in quanto allo interesso mio non se escuseno niente, che perderlo finchè io vivo et la intrata che in la do (sic) m'è molta gratia; et non solo questo, ma io ne certifico che quanto haveva de mobilo et quanto tengo de intrato, pagati li servitori, tutto dono per la anima del S. mio: sì che concludete con li altri, chè io da ogi con questa lettera me spoglio de quanta attione ce havesse, et nostro S. Dio ne guardy; et anzi ne dico più che ho fatto con el Papa, che fin che li eredi se resolveno, dando la intrata come se dà: el peccato sia delli miei, se peccato ce fosse, et stia quella anima absoluta, et volse Sua S. che yo ne digiunasse certi venerdi pane et acqua, che li ho fatti: più per me non se pò. Di Marini, di xvij de magio.

Vostra spiritual figlia
La Marchesa de Pescara.

Reverendo padre, procurate con li eredi, chè io molto lo desidero.

(Al Reverendo in Christo patre, frate Feliciano, etc.
De restituire il Colle).

1526, 27 maggio.

(Copia.—Archivio di Monto Cassino, I. f. 3v; II, r. 77v.—Muller e Ferraro, In Atti dell' Acc. dalle sc. di Tor., vol. XIX. p. 1071, n. II).

III.mo Sig.re Come Vostra III.ma S.ria sa, la bona memoria dell'ill.mo sig.r mio sempre ha cercalo di scaricarse l'anima di quello castello del Colle, et questo ho anchora io tentato, come per una mia lettera diretta al padre confessore, exhibitore de questa, potrà più largamente intendere. Et perchè il detto padre me offere assai meglio partito, che quello li offeriva io, per la detta lettera poterà quella intendere tutto et avisarme di quello più expediente gli parerà, perchè a V. III.ma S.ria me ne rimetto, alla quale baso le mano, et me raccomando sempre.

Dat. Mareni (1) Marino. xxvij maij 1526.

Io sempre ho data la intrata, e cusì farrò fine ad altro. Bono sarria pigliarce per discarco de tutti ultimo fine.

Al servitio de V. S. III.ma La Marchesa de Peschara.

(All'III.mo S.re il S. Marchese del Vasto, fratello honorando, etc.)

1526 (prima della fine d' agosto).

(Lettere di principi, Libro secondo, Venetia, 1575, e. 179).

Penso che nella contemplatione del Santo Sacramento se era tanto alzato l'intelletto di V. Eccellenza, che non possendo più mirare a cose basse, et pensando per la solita humanità sua a volermi pur dar gratie di quello, che non aspetto, si mosse a scriver di me quelle laudi, dalle quali conosco l'opere mie lontanissime, ancorchè non neghi l'animo esser drizzato a quel segno, al quale V. Eccellenza fa che sia gia pervenuto; et come chi ha havuto lungamente una perfetta musica, ancorchè quella manchi, restandogli l'orecchie piene di quel suono, gli pare per un pezzo udire la medesima soavità, così non mi maraviglio che lei, stata in lunga contemplatione delle cose divine, parli a me, come ad uno delli tanto eletti da Dio, che sia bastante a mostrare a lei quel camino, dove per sè stessa la tira la divinità della sua mente. Però non conoscendo io quelle laudi per mie, non m'affaticherò in ringratiarnela, nè aspetto d'ogni servitio mio maggior frutto di quello, che sento in me stesso, servendo a persona sì degna, come essa è.

Nelle cose dell'illustrissimo sig. Ascanio ho fatto quell'officio, che ho possuto: ma potendo V. Ecc. conoscere giusta causa nello sdegno di Sua Sant. non s'ha da maravigliare, che non risponda sì presto la risolutione, che vorria (1) I Colonnesi erano rimasti dalla parte imperiale, quando Clemente VII, spaventato dalla potenza acquistata da Carlo V dopo la vittoria di Pavia, erasi stretto in lega con Venezia, il duca di Milano, Firenze e il re di Francia. Il duca di Sessa, ambasciatore imperiale, e don Ugo di Moncada, spedito in Italia da Carlo V, avevano indarno tentato di staccarlo da questa lege. Il 22 di agosto 1526 il papa, porgendo ascolto al Moncada, venne ad un accordo coi Colonnesi, i quali promisero di sgombrare Anagni e non tenere più soldati nel territorio ecclesiastico, a patto che Clemente perdonasse le offese ed abolisse il monitorio pubblicato contro il cardinale Pompeo Colonna. Ma questo accordo non era che un inganno. Nella notte dal 19 al 20 di settembre il cardinale Pompeo, in compagnia di Ascanio e Vespasiano Colonna e dello stesso Moncada, entrò in Roma con circa ottocento cavalli e tremila villani, conducendoli all'assalto del Vaticano, donde il papa fuggi in Castel Sant' Angelo. Il palazzo apostolico, la sagristia di San Pietro e una parte del Borgo furono saccheggiati. Il papa fu costretto a venire ad un accordo col Moncada. Vedi De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, vol. II. Venezia, 1866, p. 376; Reumont, p. 90. Vittoria trovavasi a Marino quando si facevano gli apparecchi contro il papa. Questa lettera del Giberti, con la sola indicazione dell'anno e senza quella del giorno, è evidentemente anterioro all'accordo del 22 di agosto, e mostra che Vittoria erasi rivolta al Giberti per intercedere a favore del fratello.. Sua Beatitudine ama Sua Ecc., et haria piacere d'ogni bene et satisfattion sua, quando si cercasse con li mezi, che si converria, et non con volerla sforzare, et pigliare troppa sicurtà della facilità et patientia sua. La voluntà mia di servire esso sig., quale Vostra Ecc. l'ha conosciuta, mi fa tanto più dolore, che li modi, che Sua Ecc. tiene, mi precludano la via di servirli: pur dove posso, non mancherò. Et in buona gratia di Vostra Eccellenza quanto più posso, mi raccomando.

Da Roma, alli…1526.

Di Vostra Eccellenza affetionatissimo servitore Gio. Mattheo Giberto Datario.

1526, 9 novembre.

(Minuta.—Archivio di Simancas, Secr. de Estado, leg. 1554, f. 552).

Carolus etc.

Illustris consanguinea carissima. Tametsi cum primum clarissimi Marchionis Piscariae inopinatam mortem audivimus, devotionem tuam per illustrem quondam Suessae Ducem (1) L'ambasciatore cesareo, il duca di Sessa, era morto il 18 agosto di questo stesso anno 1526. consolari facimus, ut quod presentia nostra nobis prestare non licebat, per gratissimum nobis virum fieret. Non tamen officio nostro nos satisfecisse arbitrabamur, in quod semel verbis, id etiam nunc litteris nostris mandaremus, non quod nobis persuadere possimus, devotionem tuam preter innatam sapientiam ac viro parem animum e tam insigni stirpe Romanoque sanguine ortam aliena consolatione egere, presertim quum si huiusmodi invicti bellis viri obitus quenquam ad planctum luctumque commovere deberet, sumus profecto nos qui strenuum, fortem, prudentem caeterisque imperatoriis virtutibus ornatum ducem amisimus; est etiam Christiana Respublica ac presertim Italia que inclito protectore ac omnibus seculis memorabili viro inmature orbata est, tu vero et si qui sunt, a quibus vere diligebatur, non tam de illius obitu commoveri quam certe invicem gratulari deberent; vixit enim Marchio, non tamen sibi vixit, sed Reipublicae. Nunc vero, cum non mortuus, sed ad faeliciorem vitam translatus sit tam egregio nomine apud posteros relicto, cur deplorabitur ab hiis, qui eius felicitatem optabant, haec et multa alia cum devotionem tuam prudenter excogitasse omnemque statim animi tristitiam levasse credamus, his paucis tamen verbis de mariti morte non tam condoleri, quam de eius vera gloria tecum gratulari voluimus. Nos certe tanti viri tum vetera tum recentia officia iucunda semper memoria prosequemur, et quam animi gratitudinem erga illum habehamus, erga devotionem tuam atque illustrem Marchionem Vasti qui ei non in facultatibus tantum, sed in virtutibus etiam successit, quam libentissime depromemus, prout Franciscus Gutterius, vir certe nobis gratissimus et qui summo studio res tuas agit uti expertus refert. Vale. Datum in civitate nostra Granatae, die nona novembris 1526.

1526, 9 dicembre.

(Lettere di principi, libro secondo, Venetia, 1575, c. 170).

Sia Vostra Ecc. certa che mi fu acerbissimo veder N. Sig. constretto dalla ingiuria grande a voltarsi a deformar quella casa (1), Dopo i fatti del settembre, il cardinale Pompeo fu espulso dal sacro collegio, ed arse guerra nelle terre dei Colonna. Marino, Montefortino, Zagarolo. Gallicano ed altri castelli furono incendiati. Stefano Colonna, capo del ramo di Palestrina, condusse gente del papa contro i cugini, con cui era in disaccordo., che io haveva sempre desiderato veder grandissima. Ma poichè l'odio de gli altri, che è stato il premio della servitu mia, non m'ha tolta la buona gratia di V. Eccell., ogni altra perdita mi par poca, nè può lei farmi più singular gratia che comandarmi, chè mi troverà sempre prontissimo ad obedirla, come volentier farei in interpor l'opera mia per accomodar, come lei ricerca, qualche forma di quiete, s'io ce ne vedessi alcuna con dignità et honore di N. Sig., al quale dopo Dio è obligato principalmente il mio servitio, et forse che la divina bontà ci aprirà qualche via, se ne gli altri sarà quella bontà et desiderio di quiete, che è stata sempre in la San. Sua, et in buona gratia, etc.

Da Roma, alli 9 di dicembre 1526.

Di V. Eccell. affettionatiss. servit.
Gio. Mattheo Giberto Datario.

1527, 25 agosto.

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro secondo, Vinegia, 1545, c. 5v).

Illustrissima et Eccellentissima Signora mia. Io non ho osato questi tempi passati scrivere a Vostra Signoria per non esser sforzato a commemorar quello, che nè io poteva dire, nè Vostra Signoria ascoltare senza estremo dolore (1) La morte del Pescara.. Hora che le calamità intervenute (2) Nell'anno 1527, fatale all'Italia e sopra tutto a Roma. sono tanto grandi, che quasi come universal diluvio hanno fatto le miserie d'ognuno eguali, pare che a tutti sia licito, e forse debito, scordarsi ogni cosa passata; et aprire gli occhi, e almen uscir dalla ignoranza humana insino a quel termine, che la nostra imbecillità ci concede, che è il conoscere che niuna cosa sapemo, et che il più delle volte quello, che a noi pare vero, è falso, et per contrario quello, che ci par falso, è vero: perciò, come io già tenni per morta Vostra Signoria nel signor Marchese suo consorte di gloriosa memoria, così hora con più vero giudicio mirando, tengo il signor Marchese per vivo in Vostra Signoria, parendomi che alla virtù delle divine anime de l'uno o l'altro sia tanto propria la immortalità, che basti per rimediare che il corpo da quelle habitato sia esso ancor essempto dalla morte; e così penso che quello, che insin qui tanto ci ha tribulati, sia stato più presto un sogno vano, che vero effetto. Scrivo adunque a Vostra Signoria tornandole a memoria, ch'io sono suo affettionatissimo servitore, e molto più che non posso scrivere: però per satisfare a questo, et al chieder perdono, se pur bisogna, del mio non haver scrittole insin qui, rimettomi a quanto in mio nome le dirà il signor Guttierez (1) Segretario del marchese del Vasto., e così bascio le mani di Vostra Signoria, la cui persona nostro Signor Dio guardi e prosperi, come desidera. De Valledolit, alli xxv d'agosto. M. D. XXVII (2) La stampa ha per errore MDXXII..

Baldessar da Castiglione.

1527, 21 settembre.

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro secondo, Vinegia, 1545, c. 6v).

Illustrissima Signora. Io son molto obligato al signor Gio. Thomaso Tucca, il qual è stato causa che Vostra Signoria m'abbia fatto gratia di sue lettere: lo qual io tengo in molto, et così è ragione che io lo tenga, poichè con tante mie non ho potuto mai cavare una risposta, ancor che in diversi propositi habbia scritto. Vero è che non era conveniente che Vostra Signoria mi scrivesse, se con quella scrittura non mi commandava qualche cosa. Hora io farò per il signor Gio. Thomaso quanto sarà in poter mio, per commandarmelo Vostra Signoria, et per l'amor fraterno che a lui tengo. Che il signor Guttierez habbia scritto a Vostra Signoria che io mi lamenti di lei, non mi maraviglio, perchè in vero già mi lamentai con lei medesima con una mia lettera in sino dalle montagne di Franza, quando venivo in Hispagna (1) Il Castiglione in una lettera del 14 marzo 1525 ad Andrea Piperatio ricorda questa lettera a Vittoria Colonna scritta dal Moncenisio (Castiglione, Lettere, Padova, 1769, vol. I. pag. 147).
Cartaggio di Vittoria Colonna.
A chi prima mi fece accorgere che ne tenevo causa fu il mio signore Marchese del Vasto: il quale mi mostrò una lettera di Vostra Signoria, dove essa medesima confessava il furto del Cortegiano: la qual cosa io per alhor tenni per sommo favore, pensandomi che l'havesse da restare in sua mano e ben custodito, finchè da me gli fosse aperta così honorata pregione. In ultimo seppi da un gentilhuomo napolitano, che hor ancor si trova in Spagna, che alcuni fragmenti del povero Cortegiano erano in Napoli, et esso gli havea veduti in mano di diverse persone: delle quali chi lo havea così publicato diceva haverlo havuto da Vostra Signoria. Dolsemi un poco, come padre che vede il figliuolo mal trattato: pur dando poi luogo alla ragione, conobbi che li meriti suoi non erano degni che d'esso si tenesse maggior cura; ma come abortivo fosse lassato nella strada a beneficio di natura: e così veramente mi deliberai di fare, parendomi che se qualche cosa nel libro era non mala, dovesse per essersi veduta così incompositamente haver acquistato molta disgratia nella opinione delle persone, e non bastare più diligenza alcuna per dargli ornamento, poich'era stato privo di quello che forse solo havea da principio. che è la novità: e conoscendo quello che Vostra Signoria dice, che la causa del mio lamento era molto frivola, deliberai, se non potevo restar di dolermene, almeno non lamentarmi; e quello ch'io dissi col signor Guttierez (se ben se interpreta) non fu lamento. In ultimo altri inclinati più a pietà, che non era io, mi hanno sforzato a farlo trascrivere tale quale dalla brevità del tempo mi è stato concesso, e mandarlo a Venetia perchè si stampi (1) Il Cortegiano usci alla luce a Venezia, presso Aldo, nel 1528. Nella dedicatoria a don Michele de Silva, vescovo di Viseu, il Castiglione parla amaramente di Vittoria: «Ritrovandomi in Ispagna ed essendo d'Italia avvisato che la signora Vittoria della Colonna, marchesa di Pescara, alla quale io già feci copia del libro, contra la promessa sua ne aveva fatto trascrivere una gran parte, non potei non sentirne qualche fastidio, dubitandomi di molti inconvenienti, che in simili casi possono occorrere; niente di meno mi confidai che l'ingegno e prudenza di quella signora (la virtù della quale io sempre ho tenuto in venerazione come cosa divina) bastasse a rimediare che pregiudizio alcuno non mi venisse dall'aver obbedito a' suoi comandamenti. In ultimo seppi che quella parte del libro si ritrovava in Napoli in mano di molti, e come sono gli uomini sempre cupidi di novità, parea quelli tali tentassero di farla imprimere».: e così si è fatto. Ma se Vostra Signoria pensasse che questo havesse havuto forza de intepidire punto il desiderio, che io tengo di servirla, errarebbe di giudicio, cosa che forse in sua vita mai più non ha fatta: anzi restole io con maggior obligo, perchè la necessità del farlo tosto imprimere mi ha levato fatica di aggiongervi molte cose che io havevo già ordinate nell'animo, le quali non potevano essere se non di poco momento come le altre: e così sarà diminuito fatica al lettore, et all'autore biasimo: sichè nè a Vostra Signoria, nè a me accade ripentire, nè emendare: ma a me tocca basciarle le mani, et in sua gratia sempre raccomandarmi. Di Burgos, a XXI settembre MDXXVII.

Baldessar da Castiglione.

1527, 26 novembre.

(Lettere di principi, libro secondo, Venetia, 1575, c. 238).

Desiderarei non esser già prima stato, quanto io ero, certo dell'amore et humanità verso me di V. Eccellentia, perchè quelle dimostrationi, che me n'ha fatte, et fa ogni dì più efficaci, se mi fossero nuove et inaspettate, m'empiriano di tanto piacere, che mi faria dilettevole ogni travaglio che passo, benchè ancor così ne sento mirabil conforto; et mi pare che queste catene m'acquistino honore appresso chiunque vede il conto, che V. Eccellentia tiene della liberation mia (1) Negli accordi fra il papa e gl'imperiali il Giberti era uno degli ostaggi.. Ho visto quello, che la scrive al reverendissimo et illustrissimo monsignor Colonna (1) Il cardinale Colonna s'adoprò assai a mitigare le miserie. Questa lettera testimonia la parte presa da Vittoria nell'opera pietosa., la cui Signoria s'è sin qui portata talmente verso tutti noi, che gliene havemo obligo, et ci fa anco haver ferma speranza di condurre la cosa nostra a buon porto, come assai buono sarà, se in questa fortuna saremo messi in luogo, dove possiamo star con qualche quiete; ma il desiderio mio va più oltre in cercare d'esser dato da mò in mano de' signori imperiali, come ci devo andar fra tre mesi per ostaggio dell'osservantia delle cose, che Sua Santità promette; perchè s'io ottengo questo, non mi saria la libertà con le occupationi, che havemo per il passato, tanto grata, quanto sarà la prigionia con l'ocio et dilettatione dell'animo, che io mi propongo d'haverci. Di questo ho pregato l'illustrissimo signor Marchese, et Sua Eccellentia è desiderosa di compiacermi, che bene appare in essa et l'opera, che Vostra Eccellentia ci ha fatta per littera, et l'humanità sua, ma o la diflcultà, che è in ottenerlo, o qualche disgratia, che vuol disturbarmi la dolcezza di quella quiete, fa che sino a qui non ne vedo alcun frutto, et poca speranza. Ringratiarei Vostra Eccellentia delli pegni, che offere del Stato suo per me; ma come posso io ringratiarla, o che è in me, che possa di nuovo prometterli, essendomeli già tutto donato et obligato ancor più hora che mai? Nella cui buona gratia quanto posso mi raccomando.

Da Roma, alli 26 di novembre 1527.

Di V. Eccellentia affettionatissimo servitore
Gio. Mattheo Giberto Datario.

(1) Segretario pontificio.

1528, 3 giugno.

(Lettere di principi, libro terzo, Venetia, 1577, c. 12 (2) In edizioni posteriori questa lettera ha il falso titolo: al sig. arcivescovo Sipontino.).

Illustrissima et Eccellentissima mia Signora. L'ardente desiderio di monsignor mio di Verona in servire a Vostra Eccellentia oscurava quello de' più bassi, ma non manco affettionati servitori suoi. Però mi dolgo della mia trista sorte, che m'habbi servato l'occasion, ch'io desideravo a tempi così tribulati; pure anco in questi sarei molto contento, se nel servitio mio verso gli illustrissimi signor Marchese et signor Ascanio potessi far conoscere a Vostra Eccellentia che ne gli animi de' servitori suoi è impressa la medesima osservanza et servitù verso Vostra Eccellentia.

N. Signore mi commise alli dì passati ch'io scrivessi per sua parte al signor Andrea Doria in raccomandatione delli detti signori; lo feci, et perchè so quanto M. Andrea ama monsignore mio, ci aggiunsi l'opere fatte l'anno passato da V. Eccell. et dall'illustrissimo signor Marchese in beneficio di Sua Signoria (3) Nella battaglia navale di capo d'Orso, nel golfo di Salerno, vinta da Filippino Doria sugl'imperiali, che vi perdettero il vicerè di Napoli, don Ugo de Moncada (28 aprile 1528), furono tra i prigionieri Ascanio Colonna ed il marchese del Vasto. Vittoria trovavasi allora ad Ischia.. Mi risponde che ancor che per ragione di guerra sieno suoi prigioni. non li tiene per tali: et che si sforza a farli tutti quelli buoni trattamenti et carezze, che sono possibili; sì come per lettere d'esso signor Marchese credo che Vostra Eccellenza habbi inteso. Io ne ho scritto a monsignor mio, et so che anco Sua Signoria scriverà efficacissimamente, etc. Nè si può credere altrimenti, che in mano di persona sì valorosa quei signori habbino ad haver trattamento non conveniente alla condition loro.

Io mandai un tempo fa a Vostra Eccellentia una di monsignor mio, quale tengo certo che capitasse male. Scrivendo a Sua Signoria, l'ho fatto intendere la memoria che V. Eccell. ne conserva, che gli sarà gratissima. Sua Sig. se n'andò a Venetia; lì si starà, sino che si discosti da Verona questa tempesta di lanzichinechi (1) Diecimila fanti tedeschi, sotto il comando del duca di Brunswick, spediti al soccorso di Napoli. erano calati per il Trentino nelle terre della repubblica di Venezia, donde il duca d'Urbino li obbligò ad uscire.: se quel Veronese fosse terreno da produrre il frutto secondo il seme, che Sua Signoria ci semina delle buone opere, viveria nello stato, che è, contentissimo; ancor così, con tutto che habbi delli fastidii assai, vive lieto, parendogli dolce ogni fatica, che duri per servitio di Dio.

Ho fatto a nostro Sig.re le raccomandationi di Vostra Eccell., che gli sono gratissime. Mentre scrivo questa, arriva il signor Giovanni Antonio (2) Giovanni Antonio Muscettola, consigliere del Collaterale a Napoli, poscia reggente della Cancelleria, mandato dal principe di Orange al papa. Cf. Girolamo Morone a Carlo V, giugno 1528, in Müller, Doc. di Girol. Morone, nella Misc. di st. it., t. III, p. 680, e De Blasiis, in Arch. stor. per le prov. napol., t. III, p. 324., et Dio ci facii gratia che, se non può essere universale, sia almanco tra Sua Sant. et la Maestà Cesarea pace et amore, in che certo l'animo di Sua Beatitudine non potria essere meglio disposto: nè mi pare horamai se ne possa dubitare, poichè essendo l'ingiurie, et l'offese fresche, con una tanta occasione, che Sua Beatitudine ha havuta, non s'è mossa ad alcuna dimostratione contra la Maestà Sua.

Prometto a Vostra Eccellentia, che il di avanti, che havessi la lettera sua, nostro Signore m'haveva commesso che scrivessi al signor Conte Filippino (1) Doria., che provedesse monsig.r Jovio (2) Paolo Giovio, che. verso questo tempo, avea visitato Vittoria ad Ischia. di qualche passaggio sicuro: perchè la presenza di Sua Signoria, grata a N. Signore in ogni tempo, gratissima gli saria in questi travagliati; ma non vuole negargli il poter con buona gratia sua restare anco con V. Eccellentia, quanto a lei et a Sua Signoria piacerà.

Alcune lettere, c'ho havuto da Genova dell'illustriss. sig. Marchese, ho date al S.r Guttyeres, suo secretario, che saranno con questa. Supplico V. Eccellentia che mi facci degno di commandarmi, quando occorre, in che possa servirlo. Et alla buona gratia, etc.

In Viterbo, alli 3 di giugno 1528.

Di V. Eccellentia humil servitor
Gio. Battista Sanga.

1528, 30 giugno.

(Autografa la sottoscrizione.—Madrid. Biblioteca della Real Academia de la historia. Biblioteca de Salazar y Castro. A. 42, fol. 420.—Müller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1075, n. III) Esiste nella stessa biblioteca una lettera della duchessa di Francavilla all'imperatore, del medesimo giorno, scritta dallo stesso segretario con parole pressochè uguali. Dobbiamo la comunicazione della lettera publicata al ch. D. Pedro de Madrazo, segretario dell'Accademia reale di storia di Madrid.

S. Ces. M.

Cognobbi sempre esser cosa conveniente ad boni far testimonio del vero, et principalmente alhora che conoscono possere giovare ad chi lo merita. Per questa dunque intenderà V. M. Ces. che possa con multa verita affirmarli che M. Laudisio de Laudisiis et Madamma Francesca Porcara, sua mogliere, sempre in ogni evento hanno con molta fideltà et integrità seguito la parte aragonese in questo Regno, et adesso in questa moderna invasione de la Liga Si tratta della spedizione del Lautrec nel regno di Napoli nel 1527., essendo morto il p.to M. Laudisio in sua fideltà, la p.ta Francesca et Aurelio, suo figlio, son venuti ad ridurse in questa forteleza de V. M., lassando il poco che haviano occupato dali p.ti invasori. Et richiesta io posso ancora affirmarli ricordarmi che 'l Re Federico Federico d'Aragona. re di Napoli (1496—1501). de felice ricordatione, per li dampni et incomodi che 'l p.to M. Laudisio et Francesca paterono, seguendo la parte aragonese, loro concesse cento ducati annui per sè et soy heredi et succ.ri de loro corpi legitimamente descendenti, et ne fo expedito ordine al Perceptore R.io che li pagasse per in fino ad tanto che S. M li havesse dato equivalente ristoro, et li forono pagati per dui anni, dove poy per le turbolentie, che nel Regno accaderno, dicono non haverli possuto havere. Potrà di questo V. M. haver più plena informatione dal capitan Avalos chi la presente porterà. Ne resterò ricomandarli quanto più posso la p.ta Francesca et Aurelio, suo figlio, che certo, per la vertù et bona parte loro, meritano molto esser aiutali da V. M Ces., a la quale como fidelissima sierva et vaxalla baso le mano. Del su castyllo de Yscla, ultimo junii 1528.

De v.ra Cesarea Maj.tad

humil syerva y vasalla
La Marquesa de Pescara.

(1528, luglio).

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 8; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 389, n. 1).

Se per lo scriver mio sopra cosa di tal qualità, parerà forse che l'auttorità sia minore che la materia, et l'audacia mia maggiore che 'l debito Nelle edizioni successive: merito., attribuisca Vostra Signoria la colpa alla fortuna, che tanti e tali parenti, che per obligo et voluntà aiutariano Fabricio Maramaldo, siano o morti o absenti Una perfidia di un Vincenzo Carafa marchese di Montesarchio era stata cagione dello sdegno del principe d'Orange contro Fabrizio Maramaldo. Il Carafa, per accrescere il disordine fra gli imperiali assediati in Napoli dai Francesi, scrisse una lettera al Maramaldo, fingendo che questi già avesse meditato di passare a parte francese ed eccitandolo a persistere in questa risoluzione. La lettera fu fatta cadere nelle mani dell'Orange, che, bollente d'ira, arrestò il Maramaldo e lo voleva far perire. Cittadini e soldati si levarono in favore del capitano calabrese, e da Ischia Vittoria scrisse questa lettera » di buonissimo inchiostro « come chiamolla il Giovio. Vedi De Blasiis, Fabrizio Marramaldo e i suoi antendati, nell'Arch. stor. per le prov. nap., anno Il, 1877, p. 36 e segg. Il fatto av venne verso il luglio 1528.. Onde necessitata io, con la luce sola della viva memoria loro, son costretta riputar le mie tenebre più chiare, che alcuna volta non sono, ma più tosto voglio esser tenuta per audace, che per ingrata. La sincerità di Fabricio et la virtù di Vostra Signoria mi assicurano, che nè supplicar l'uno di giustitia, nè escusar l'altro di colpa mi conviene; ma perchè le sinistre informationi, che hoggidì si usano, potrian forse far dubitare a Vostra Eccellentia, esser possibile cosa remota da ogni possibilità, ho voluto scriverle, et certificarla che in cosa di simil qualità la felice memoria del Marchese, mio signore, fece infinite volte esperientia della virtù, sincerità et fede di Fabricio, et in tempo ch'era in minor grado, che hoggi Le edizioni posteriori aggiungono: non é.. Là onde estranea cosa mi parrebbe che la candida fede di un tal cavaliero, affinata per tal mano, la malitia di un tristo potesse offenderla o macularla. Supplico adunque Vostra Signoria Illustrissima che, considerata la prudentia del Marchese mio signore, che lo approvò per buono, quella del signor Marchese del Vasto, che confermò, la sua istessa, che per adrieto parte del suo essercito gli ha fidato, voglia rimoversi ogni dubbio dall'animo, et con quella chiarezza, et larga volontà et ottima openione, che a tal Principe si conviene, deliberi conforme a giustitia et a ragione, et lo restituisca nell'honorato grado et auttorità, che i suoi servitii ricercano: chè la natione spagnuola, come inclinatissima all'honor de' cavalieri, ne la lauderà, et la italiana crederà che Vostra Signoria la tenghi in più estimatione, che alcuna volta non si crede; et noi tutti lo haveremo a singular gratia. Et Nostro Signor Dio la conservi a lungo.

La Marchesa di Pescara.

1529, 19 dicembre.

Copie due nell'archivio di Monte Cassino. I, f. 4; II, f. 28.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1092, n. I).

Victoria Columna de Davalos Marchionissa Pischariae ad Voi, magnifico Vasches, Vicemarchese nostro de Aquino et Palazzolo, salutem. Perchè per alchune ragioni, che 'l sacro monasterio de Monte Casino pretende in la terra del Colle, et per più cauta exoneratione de le conscientie delli illustri Sri Davali et nostra havemo deliberato et concluso consignare al sacro preliba to monasterio quello vel circha, che frutta il Colle, in lo quale pretende, come è detto, videlicet ducati cinquanta; per tanto, vista la presente, vi confererete a Palazzolo, et fate intendere a quelli officiali et citadini et università, che noi per la presente li obligamo la starza nostra de Palazzolo, de la quale se possano pigliare tanti grani, che in S. Benedetto ascendano alla summa de detti ducati cinquanta, et che loro se habbiano da obligare al rev.do padre D. Chrisostomo di Napoli, abbate di detto monasterio et presidente de la congregatione, o al P. Priore o a D. Benedetto de Castello de Sangre, agenti del dicto monasterio, de dare gli predetti cinquanta ducati al dicto monasterio o soi agenti ogni anno in la festa di S. Benedetto cusì, come noi per la presente anchora obligamo la predetta intrata al predetto monasterio con le clausule necessarie et oportune, non mutata La seconda copia: mittendo. la substantia della verità et de le cose predette. consignarli la attuale possessione di detta starza pro rata de la summa predetta. Et ad maiore cautela de detto sacro monasterio, detta università anchora se habbia da obligare, secondo è detto de sopra, quale summa per la presente detta università se possa exigere dalli affittatori de detta starza, promettendoli per la presente conservarli in ciò senza alchuno danno, et così exeguirete subito ad ogni semplice requisitione de alchuno de detti padri, chè tale è nostra firmissima volontà et intentione. Et questo se intenda senza preiudico de le raggioni de l'una e dell' altra parte, quando altramente volessero determinare o questo presente accordo confirmare. Data Arpini, XIX decembris 1529.

(L. S.) La Marchesa de Peschara.

1530, 20 gennaio.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, p. 93).

Dà M. Flaminio Tomarozzo V. S. intenderà un bisogno, che io ho del favor vostro. Priegovi et per l'antica devotion mia verso voi, et per la molta virtù vostra, ad esser contenta di donarlomi, chè io giugnerò questo obligo a gli altri, che io con voi ho insino dalla fe (lice) me (moria) di Papa Leone in qua, i quali non m'uscirono, nè usciranno giamai dell' animo. Il detto M. Fl. vi potrà dire, quanto io mi sia rallegrato col nostro secolo, havendo veduto a questi giorni qui molti sonetti vostri fatti per la morte del sig.or Marchese, vostro marito; il qual secolo sì come tra gli huomini ha lui havuto nelle arme eguale alla virtù de gli antichi più lodati et più chiari, così ha voi, che tra le donne in quest'arte sete assai più eccellente che non pare possibile, che al vostro sesso si conceda dalla natura. Di che ho preso infinito piacere con molta maraviglia mescolato, sì come buono et devoto servo, che io vi sono. A cui bascio la mano. A XX di gennaio MDXXX. Di Bologna.

(A Mad. Vittoria Colonna Marchesa di Pescara a Napoli).

(1530), 24 giugno.

(Autogr.—Milano. Bibl. Ambrosiana. Cod. H, 245 inf., c. 1.—Catalogue de la collection de M. Picrre Antoine Crevenna, (Amsterdam), 1776, vol. IV, p. 75).

Reverendo Signore. A Voi non asconderò io che me manca ogni modo per lodar el divin sonetto del mio M. Pietro Bembo (1) Il Bembo scriveva al Giovio il 7 d'aprile 1530: «leri solamente ebbi la vostra lettera de' 17 del passato mandatami insieme col bello e leggiadro sonetto della Marchesa di Pescara e con la lettera, che mandandovi il sonetto a voi scrive». Questa lettera più non si conosce: il sonetto è il LXI delle rime varie (ed. Saltini), di cui il Bembo fa molti elogii ed in risposta al quale scrisse un sonetto (a pag. 382 nella citata ed.), mandato al Giovio con lettera del 29 maggio.
Non sappiamo quando incominciarono le relazioni fra il Bémbo e Vittoria. È probabilissima, ma non provata, l'affermazione del Reumont (p. 37, 177) che esse rimontassero al soggiorno di lei in Roma sotto il pontificato di Leone X. Cf. anche la lettera precedente del Bembo a lei.
el verso va a finir la clausola così lontana senza sforzo alcuno, anzi par che le desinentie vengano si necessarie a la ben ordinata sua prosa, che la bella et suave armonia loro prima si senta nel anima che nel orecchia, et quanto più si rileggono et più spesso si considerano, maggior admiration porgono, anzi direi invidia, se non che 'l mio intelletto si sente più improportionato a quel lume che non lo appetisce como cosa, de la di cui perfetion non è capace, sì che io me risolvo, che son totalmente inamorata de lui, nè cerco che voi siate col mezzo de questo amor fora de ogni sensuale appetito, perchè nè M. Pietro, nè io ce dolerà che se ne facci istoria, et se ne alegrerà molto el mio sole. Scriva pur lui e creda che Dio li darrà molti altri anni de vita, et la invida morte, già resoluta che non lo offende, lo lasserà per non tirar el suo arco in vano, habian pur gli altri belle parole e copiose, chè poco giova haver candide e grosse perle senza saperle infilar, di modo che l'una favorisca l'altra como fa lui. Nostro Idio me conceda che possa parlarli et voi contenti.

De Ischia, adì XXIV de giugno (1) Il Giovio inviò al Bembo la presente (di cui dobbiamo la trascrizione al ch. ab. Antonio Ceruti dottore dell'Ambrosiana) accompagnandola con una sua del 15 luglio 1530: «Ecc.mo S.or mio» egli scrive «Ho hauto questa inclusa de la ill. March.a vostra inamorata, quale per esser elegante et pertinente a V. S. ho voluto mandarli, nè già prendo alcuni de quelli sospetti, qual sogliono prender li rivali, perch' io son certissimo che l amor di Sua Ecc.tia verso S. S.ria è in tuto e per tuto simile al mio verso ley, idest celeste, sancto et platoniciss.°ree;. Sua Ecc.tia è venuta da Iscla a Napoli con le altre divine S.rie cioè la serena Amalfia et la iucundiss.a Vasta, con la Francavila, spechio di virtù, et già unica in belleza. Attendono ad far che 'l S.r Marchese del Vasto impregna la Vasta, avanti che 'l parta per la impresa de Ungaria…..» La lettera è conservata nell'Ambrosiana insieme con quella di Vittoria. Il tratto, che riportiamo, fu trascritto dall' autografo e pubblicato dal Cian (Un decennio della vita di M. Pietro Bembo (1521—1531), Torino, 1885, p. 165).
Il 15 di settembre, il Bembo rispose al Giovio, ringraziandolo della lettera ricevuta e di quella della marchesa, scusandosi di non aver potuto rispondere subito, perchè, quando le lettere gli pervennero, era malato di gravissima febbre.
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Al vostro comando
La Marchesa de Pescara.

(Al Rev.do Mons.r il Sig.r Paolo Giovio, vescovo di Nocera).

1531, 11 marzo.

Minuta.—Archivio di Stato di Mantova. Copialett. ordin., lib. 302) (1) Trascrittaci dal dott. Alessandro Luzio..

Ill.ma S.ra come sorella hon. L'amor fraterno, ch'era fra lo ill.mo S.re di Pescara de fe (lice) me (moria) e me, e la stretissima amicitia e domestichezza, che ho con l'ill.mo S.re Marchese del Guasto, fa che singularmente ami V. S. congiunta di matrimonio alla dolce memoria dell'uno et de strettissima parentella a l'altro; e questo mio amor verso lei lo fanno anche maggiore le singular virtù sue. Perciò mi è caro havere spesso nuova di quella, et intender il suo ben stare, del che havendo havuto notizia da M. Georgio di Cardi, ne ho havuto piacere molto grande, et tanto maggiore che oltre questa bona nova me ha anche visitato in nome di quella e fattomi le amorevoli et humanissime offerte sue, che me sono state accettissime. Esso me ha anche presentato da parte sua un sacchetto di odoratissime rose, quale sì per esser delicato tanto, quanto si possa desiderare, sì per venir dalle mani de V. S., m'è gratissimo, et lo tengo molto caro, godendolo in memoria di quella, alla qual vorrei pure far piacere, per il quale fosse certificata del fraterno amore che le porto, se sapessi in che; però la prego di cuore che, desiderando ella di qua cosa alcuna che sia in mio potere, la si contenti di farlomi sapere, che per me non si mancarà di far quello, che ricerca la benevolentia grandissima che è tra noi. E non sapendo per hora in che altro farle piacere, se non in quello che ho inteso (1) Il passo dalle parole Ho inteso a farmela haver presto fu per la prima volta pubblicato dal Braghirolli nel suo lavoro Tiziano alla corte de' Gonzuga di Mantova, inserito negli Atti della R. Accademia Virgiliana di Mantova, 1881, nel quale così narra come il Tiziano compiè questo lavoro: «Era naturale, che Federico, per compiacere a donna sì illustre, si affrettasse a scrivere a Tiziano… tuttochè il dipintore fosse alquanto indisposto, fu così sollecito a compiacere al Gonzaga, che smettendo ogni altra faccenda, che aveva alle mani, agli undici di marzo aveva già approntata la tavola, del che B. Agnello (ambasciatore del Gonzaga a Venezia) rende avvertito il duca. Dalle relazioni di poi date regolarmente dall'Agnello si scorge che tale lavoro fu operato da Tiziano, dappoichè trascorsi soli 10 giorni, ai 22 marzo, potè accennare: La Maddalena è già in termine, che la si può far vedere ad ogni eccellente pittore». Agli 8 aprile era condotta a perfezione, tanto che il 14 di detto mese fu mandata a Mantova. Ond'è che Federico scrivendo a Tiziano ai 19 aprile ebbe a dire: Pensavo bene che dovesse essere cosa bella, ma la ho trovata bellissima e veramente di quante cose di pittura ho veduto non mi pare, che vi sia cosa più bella». L'esimia perfezione del dipinto indusse probabilmente Federico a ritenerlo per sè, giacchè non solo non trovammo che fosse mandato alla marchesa di Pescara, ma lo vedemmo notato invece tra i capolavori d'arte della galleria dei duchi di Mantova che nel 1627 furono venduti al re d'Inghilterra» (p. 79).
La Maddalena fu mandata a Vittoria (vedi lett. del duca 28 luglio 1531), ma sembra non l'abbia tenuta gran tempo. In fatti, due anni dopo essa mostrò di nuovo il desiderio di avere una pittura della Maddalena, ed Isabella Gonzaga scriveva, nel marzo 1533, al Tucca questa lettera pubblicata dal Luzio (Vittoria Colonna, nella Riv. stor. mantovana, anno, I, p. 19): «Io vidi questi di passati in una lettera che voi scrivevate al mio conte Nicola di Maphei un capitolo sopra il desiderio che tiene lo ill.mo S. Marchese del Vasto d'haver il mio quadro di S.a Maria Maddalena per farne dono a la S.ra Marchesa di Pescara; et perchè non ho cosa al mondo ch'io non vogli che sia parimenti di S. Ex., mi fu di grandissima satisfatione vedere ch'ella havesse tal desiderio, et subito le haverei mandato il quadro, ma perchè ne ho voluto far prima fare un simile, è stato necessario ritenerlo, fra tanto che il pittore se ne sia servito in prenderne l'esempio. Hora che egli l'ha finito, lo mando pel medesimo portatore di questa mia, et lo indirizzo a Voi, pregandovi che in mio nome lo vogliate presentare al p.to S. Marchese, facendo intendere a S. Ex. che mi duole ch' egli non sia assai più bello che non è, benechè piacendo a lei non può essere se non bellissimo; et che quando io habbia alcun'altra cosa di che ella si possa servire et valere, mi par superfluo offrirglielo, ecc.»
dal S. Fabritio Maramaldo, qual me ha detto che ella desidera d'haver una pittura bella et di mano di pittore excellente d'una figura de S.ta Maddalena, ho subito mandato a Vinegia e scritto a Titiano, quale è forse il più excellente in quella arte che a'nostri tempi se ritrovi et è tutto mio, ricercandolo con grande instantia a volerne far una bellissima, lagrimosa più che si può, et farmela haver presto; et alla excellentia del pittore et alla instantia ch'io li ne ho fatta, tengo che l'opera serrà perfettissima, et spero d'haverla forssi de qua da Pasca, et havutola la inviarò a V. S., alla qual de continuo me racomando. Da Mantova, alli XI marzo 1531.

(1) Scrittore sanese noto specialmente per i suoi scritti sulla lingua volgare e i tentativi di riformare la poesia italiana risuscitando i metri latini.

1531, 7 aprile.

(Delle lettere di M. Claudio Tolomei, libri sette, Vinegia, 1547, c. 37v).

Desideravo mandarvi, Escellentissima Signora, qualcuna de le mie ciancie, non già per voglia ch'io habbi ch'elle sian vedute, o perchè io le stimi punto di ciò degne; ma per non esservi discortese, chè ben sarei rozzo, s' io non m'ingegnassi di sodisfarvi, poi che con tanta humanità me lo domandate. Ma rivolgendomi tra quelle poche cosette, ch'io talora per fuggire ozio ho composte, non vi ho trovata opera finita; ne m'è parso di potervi per ancor mandar cosa, se non imperfetta e indegna di venirvi dinanzi. Nondimeno io mi sforzarò infra non molto tempo mandarvi una operetta in difesa de la lingua nostra contra i biasimatori di lei (2) È l'opera stampata più tardi: Due orationi in lingua toscana: accusa contra Leon segretario di segreti rivelati difesa. Parma. 1548, 4°ree;., de la quale havendo perduto nel sacco di Roma il secondo libbro, che quasi era finito, non ho mai ripresa questa fatica di rifarlo, pur aspettando, che la fortuna mi volesse almeno usar questa cortesia di farmelo ritrovare. Ma poi ch'ella non ne fa segno, m'ingegnarò con nuova fatica ristorar questo poco danno. In questo mezzo fo come coloro che non havendo modo di spender del suo, spendeno de l'altrui; così io vi mando una tragedia di M. Lodovico Martelli, giovene florentino, il quale, se la fortuna invidiatrice de l'altrui virtù non havesse così tosto tolto al mondo, haverebbe forse con alto grido fatto risonare il nome suo (1) Ludovico Martelli fiorentino (n. 1499), morto nel 1527 prima di aver terminato la tragedia Tullia.. Ma perchè ne parlo io, e ne parlo a voi, la qual sete stata da lui con maravigliosi e divini concetti celebrata e consolata? Manca a questa tragedia un coro, che 'l poeta non fece, il quale per comandamento de lo illustrissimo Cardinal de Medici, signor mio (2) Il cardinale Ippolito de' Medici, presso cvi stava il Tolomei e stette sino alla morte di questo prelato., sono stato costretto comporlo, e quasi roca anatrella mi son posto a paragon del soave canto del cigno. Ma pur così come egli è ve lo mando, sperando che se ben non vi sodisfarà l'opera, almeno non vi dispiacerà il disiderio che ho di obbedire quanto io posso a colui, che tanto benignamente me l'ha comandato. Di Roma, a li VII d'aprile MDXXXI.

1531, 12 aprile.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, pag. 94).

Poscia che io compresi nessuna cosa esser maggiore del vostro alto animo, ho sempre giudicato non convenirsi darvi da pensare in alcuna cosa di picciol momento. Et perciò tentando altra via ho voluto in una mia lieve bisogna, nella quale ho creduto poca della vostra autorità potermi levar d'impaccio, far di meno di molestarvi. Ma hora che non mi vien fatto cosa che io voglia più tosto per poca diligenza d'altri, che per molta malagevolezza loro, ho diliberato romper questa mia credenza et rispetto o forse ancho vergogna con V. S. et pregarvi ad esser contenta di far dire a gli heredi del S.or Bartholomeo Caracciolo, che mi paghino ducento et trenta duc (ati) d' oro in oro larghi, che essi mi debbono per uno affitto della commenda mia di Benevento, concessa al detto S.or Bart. lor padre, nel quale affitto egli si mori, restandomi debitore d' uno anno intero, che ne porta la detta somma, sì come voi potrete vedere dall'essempio del detto affitto, che vi sia mandato con questa lettera. Stimo che essendo eglino gentili huomini, essi non mancheranno di fare in ciò da gentili huomini et di sodisfare al debito, che meco hanno. Pure se avenisse che essi altramente facessero, siate pregata in ordinare che si truovi costi alcuno, che atto sia a procedere per la via della ragione in richieder loro questi denari, al quale i miei procuratori commissione manderanno da poter ciò fare a nome mio et costrignerli a pagarmi. Se io sarò presontuoso stato in dare a V. S. così bassa noia, so che almeno voi sarete dell'usato vostro alto animo in iscusarmene agevolmente. A cui bascio la dotta mano, et nella vostra buona gratia senza fine alcuno mi raccomando. A XII aprile MDXXXI. Di Padova.

(Alla Marchesa di Pescara a Napoli).

1531, 25 maggio.

(Autografa la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte Il, p. 32, n. II).

III.mo et Ex.mo Signor.

Una littera de la Ex.tia Vostra hebbi circa un mese fa (1) È la lettera del duca n. XLII., et se sono tardata ad respondere la prego me excusi con la causa che è solo stata per non dupplicar lo error. Rengratio con questa V.ra Ex.tia de la infinita sua cortesia, et per li respecti dice de la felice memoria del Marchese de Pescara, mio signore, et del signor Marchese del Vasto, mio fratello, et per la sua istessa virtù lo ho havuto et havrò sempre in quella estima et reverentia che conviene. Et me dole che Georgio (2) Di Cardi. V. lett. cit. me honorassi così poco, che un coscinetto che io non viddi may donasse da mia parte a la Ex.tia V.ra Et essendose dignato immeritatamente satisfarsene, me ha obligata mandarli questi dui, et Dio voglia che non debbia men dolersi Georgio del suo fallo che io de sì scioccamente emendarlo. De la Magdalena la rengratio infinite volte. Sempre che se degnerà commandarme, oltra de farme singolar gratia, serà da me con quella voluntà che farria el dieto signor Marchese del Vasto et con la debita observantia servito. Et Nostro Signor Dio sua Ill.ma et Ex.ma persona guarde con la prosperità che merita et desidero.

Dal castello de Isca, a XXV de magio 1531. Deditissima servir V. Ill.ma et Ex.ma S.ria

La Marchesa de Pescara.

1531, 28 luglio.

(Minuta.—Archivio di Stato di Mantova. Copialett. riserv., lib. 46.—Luzio, Vittoria Colonna, in Riv. storica mantovana, anno I, 1885, p. 18, nota 3).

Ill.ma ecc. Doe lettere di V. S. a me gratissime ho ricevuto in questi dì passati, una che accompagnava il nobilissimo et precioso dono che la mi mandò di cossinetti di odoratissime rose in un bello et delicato repositorio (1) Lett. XLV., l'altra, con che mi avisava di havere havuto grata la S.ta Madalena che li mandai (1) Questa lettera di speciale ringraziamento per la Maddalena non si è trovata.. Di tutto li rendo le maggiori gratie che posso et non manco de lo havere havuto tanto accetto il mio piccolo dono che del havermi mandato a donare cosa tanto degna, la qual veramente non me potria essere stata più grata, si per esser cosa preciosa da sè, si per venirmi dal loco che viene. Che V. S. sia stata compiaciuta da me in la S.ta Madalena et che io habbia prevenuto tutti gli altri, che in tale cosa la doveano compiacere, mi piace, perchè havendo ella veduto qualche pronteza in me di satisfaria, spero che la debba tanto più confidentemente ricercarme a farli piacere, quando la vederà di potersi accomodare di me in cosa alcuna da le bande di qua, come la prego di core che la faccia, perchè questo è uno de' grandi desideri che tengo. Volentieri ho fatto sapere al pittore che ha fatto la S.ta Maddalena, quanto V. S. me ne scrive, perchè so di quanto incitamento li serà lo intendere il iudicio ch'ella ha fatto de l'opera sua, dal quale l'haverà da riconoscere se l'aggiungerà cosa alcuna alla perfectione de la sua arte, eccitato da le lode che V. S. li dona. N. S. Dio conceda a V. S. tutto quello contento che la desidera alla qual, ecc. Mantova, 28 luglio 1531.

(1531), 7 novembre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 33, n. Ill).

Ill.mo et Ex.mo S.r

La cortesia della S. V. supera tanto el poco servitio mio, che pensando esserme desobligata me ritrovo con molto magior peso di prima. Alla sua humanissima lettera non risponderò altro che basarli per epsa la mano et havendo inteso che se conduce la S.ra Duchessa per moglie et mia S.ra (1) Margherita Paleologa, figlia di Guglielmo II. terzultimo marchese di Monferrato. Il contratto matrimoniale fu sottoscritto il 26 luglio 1531, gli sponsali celebrati a Casale il 3 ottobre., me ha parso con questa mia mostrar parte del debito della servitù che ragionevolmente ho presa, et supplicarli melli faccia cognoscer per sua et si degni comandarme che magior gratia non potria recever, nè voglio esserli più molesta. N.ro S. Dio conforme alla grandezza del merito loro li conceda ogni desiderata felicità et ly baso ad ambedui le mano.

In Yschia, adì VII de novembre.

Al servitio de V. S. Ill.ma et Ex.ma deditissima continue

La Marchesa
de Pescara.

(A lo Ill.mo et Ex.mo S.or el S.r Duca di Mantua.)

1532, 11 gennaio.

(Minuta.—Archivio di Stato di Mantova. Copialett. ordin., libro 304) (1) Trascrittaci dal dott. Luzio..

Ill.ma S.ra come sorella honor. La lettera di V. S. de VII de novembre mi è stata gratissima per essere piena de humanità e de termini, per li quali si può molto ben conoscere la bona voluntà che la tiene verso di me, del che anche mi ha fatta piena fede il testimonio di mons. M. Pavolo Iovio (2) Il Giovio da Roma, il 4 dicembre 1531, scriveva al duca: «Essendo questi giorni passati ne la beata isola d'Ischia, intesi el successo de le famosissime et felicissime nozze, et volendo io congratularmi con V. E., la sig.a Marchesa de Pescara me ne ha dato occasione con imponermi che indirizzassi questa sua alligata a quella… con alcuni sonetti de più freschi….. Essa S.ra è tanto devota del nome di V. E. che più non desidera di buona fortuna et felicità al proprio Marchese del Vasto». Rispondeva il duca, il 2 di gennaio 1532, ringraziando dei sonetti della marchesa e lodandoli (Luzio, Vitt. Col., p. 20, nota 1)., che ha accompagnato la lettera, et anchor che a monstrare lo amor che la mi porta non sia necessario il testimonio di alcuno, perchè chiaramente per molti segni lo conosco, nondimeno mi è charo che vi si gionga quello de mons.r Iovio, quale presso di me ha quel credito che si conviene. Alla S.ra Duchessa, mia consorte ho fatta l'ambasciata che V. S. mi scrive, havendo voluto che la sappia le ottime e rare qualità de quella e la stima grande che faccio che una S.ra tale habbia bona openione di me. Ella ha piacer grandissimo di conoscere V. S., e la réngratia senza fine, pregandola, come faccio anch'io, che di lei et di me la voglia valersi come de proprii fratello e sorella, chè tali vogliamo essergli sempre et de continuo ne trova disposti nelli piaceri suoi, e molto ne sarà grato puoterlo monstrare con effetti, et a lei me racomando di cuore. Da Mantova, alli 11 di genaro 1532.

(1) Eleonora Gonzaga, sorella di Federico II, marchese, poi duca di Mantova, sposata nel 1509 da Francesco Maria della Rovere, duca d'Urbino.

(1532), 16 febbraio.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze. Carte d' Urbino, filza n. 266.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 392. n. III).

Ill.ma Signora mia.

Molta gratia et contentezza grande me ha causata la nova della unione strettissima tra el signor Ascanio e le Signorie Vostre, per posser tanto più chiaramente mostrarli la mia servitù: et che ce sia ancor el novo vincolo del parentado tra el signor don Antonio et la signora Ipolita (2) Ippolita della Rovere, figlia della duchessa d' Urbino, sposòdon Antonio d'Aragona duca di Montalto, fratello di Giovanna, moglie d'Ascanio Colonna, e di Maria moglie del marchese Alfonso del Vasto. Antonio, Giovanna e Maria d'Aragona erano nati da Ferdinando duca di Montalto, figlio illegittimo del re Ferrante I., del qual non meno me alegro che se fosse donna Victoria mia (1) Figlia di Ascanio Colonna. Sposò, dopo la morte di Vittoria, don Garcia de Toledo, figlio di don Pedro, vicerè di Napoli, ed egli stesso più tardi vicerè di Sicilia.. Nostro Signor Dio faccia che sia con tanto contentamento et felicità, quanto epsa medesima desidera. Et creda che in quanto io posso servirla, non mancarò con quella sincerità che devo, come ogni possibil exsperientia li mostrarà continuo. Et la suplico me comandi sempre, chè magior gratia non potria farme. Da Ischia, a di XVI de febraro. Al servitio de V. Ill.ma S. deditissima

La Marchesa de Pescara.

(A la Ill.ma S.a et Ex.ma la Duchessa de Urbino).

(1532 ?), 13 aprile.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 394, n. IV).

Illustrissima Signora mia.

La sua prudentia et la bona voluntà del signor Duca de Montalto serran sufficiente scusa ad la tardanza, che la sua modestia et cortesia emenderà lo effetto, poichè tra loro non è niente diviso. Io la suplico me faccia scriver spesso della salute sua, et me comandi, chè maggior gratia non potria farme. Et perchè lo homo del preditto signor suplirà, non dyrò altro se non che mille volte melli reccomando. Da Yschia, a dy XIII de aprile.

Deditissima a servir V. S. Ill.ma e Excell.ma

La Marchesa di Pescara.

(Ala Ill.ma S.ra mya et sorella honorand.ma la S.ra Duchessa di Urbino).

(1532), 5 maggio.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 400, n. VIII).

Ill.ma et Excell.ma Signora mia.

La S. V. me obliga tanto che me fa parer discortese, non possendo servirla come io voria. Lo homo del signor Duca deva già esser gionto, et della tardità Dio sa che non ho colpa, nè manco per sollecitare: ma bisogna far como se pò, non como voria, nè como al suo merito et della mia signora donna Ipolita conviene. La ottima voluntà delle signore cognate (1) Le mogli di Ascanio Colonna e del marchese del Vasto. et loro mariti, mei fratelli, suplirà continuo: nè restarò io de endivinar tutto quello che posso pensar che li sia servitio. L'andar del signor Marchese in Ongaria ancor sta in dubio (2) Il marchese del Vasto prese parte alla guerra d' Ungheria del 1532, capitanata dallo stesso Carlo V.; et da molti se procura che non vada, chè ben pò pensar la Signoria Vostra quanto importa levar lui et la gente che viene da Italia, et portarla in parte, ove starà ad arbitrio de' Todeschi, ultra milli altri inconvenienti, Dio remedie; chè la mia satisfation seria vederlo contra infideli, ma non con tanto nostro danno et evidente periculo. Lo illustrissimo signor Duca mio fratello (3) Cioè il duca d'Urbino, Francesco Maria della Rovere. saperà meglio de noi ogni cosa, e como ottimo signor et parente dovria sempre consigliarli che procuri non se metter in preda de barbari, et aprir de qua el varco ad altri tali. Penso, secondo ce scrive, che serrà resoluto circa il signor don Antonio, ancor quest'altro stia dubioso. Baso mille volte le man di Vostra Signoria delli veli, quali me sono stati gratissimi, et proprio como io li desiderava. Della tenta non importa, che se posson retinger benissimo, perchè io li porto negri. Troppo gratia me è stata la cura che si è degnata tenerne. Ho piacere che vada a Mantua. Me farà gratia dir al signor suo fratello (4) Federico II duca di Mantova. che li baso le mano, et così al signor Duca; quali nostro Signor Dio insiemi con la Signoria Vostra, et con la illustrissima signora sua matre (5) Isabella d'Este Gonzaga, vedova del marchese di Mantova Giovanni Francesco., alla quale pur baso le mano, conservi, prosperi et guardi. La signora Marchesa mia del Vasto li basa le mano, et così donna Victoria mia nepote; a tutti li signori suoi figlioli me raccomando. Da Yschïa, a dì 5 di maggio.

Deditissima servir Vostra Signoria Ill.ma e Excell.ma

La Marchesa di Pescara sua sorella.

La Signoria Vostra haverà inteso molto ben che nacque una figlia al signor Ascanio, ma è tanto bella che si compriria. Non lassarò dirli che quel Sebastiano (1) «Gerto Sebastiano Buonaventura, gentiluomo di quel tempo al servizio della casa d'Urbino». Saltini, p. 456., Dio gratia, è andato via, et son scoverte le sue pazzie; et perchè so che a lei non era occulto ogni cosa cel scrivo per allegrarmene seco, benchè credo che…. (corrosa la carta).

(Alla Ill.ma S.ra et Ex.ma mia la S.ra Duchessa de Urbino etc.). (Due indirizzi).

1532, 25 luglio.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, p. 95).

Assai tardo alle lettere di V. S. rispondo, recatemi da M. Giov an Iacopo Salernitano. In colpa di ciò è stato il volere io sodisfare in alcun modo a quello, che egli mi disse, che voi gli havevate imposto che procacciasse, et cioè d'haver la mia imagine dipinta. Perciò che pensai di far dare finimento ad una medaglia del mio volto già da persona incominciata, che si morì, havendo l'opera nelle mani (1) Questa medaglia non può essere la stessa, di cui il vicentino Valerio Belli lavorava i conii in questo anno 1532 (Bembo allo stesso, 28 febbraio e 12 marzo 1532) e che l'Armand (Les médailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, Paris, 1883, t. I, p. 136, n. 4) crede probabile sia la medesima del Mus. Mazzucchellianum, t. I, tab. LVII, n. 2, poichè il Belli morì solo nel 1546. Tre altre medaglie del Bembo, l'una attribuita al Cellini, l'altra a Pastorino de' Pastorini, la terza d' ignoto autore, sono state lavorate dopochè il Bembo fu fatto cardinale. Prima di questo tempo Leone Leoni incise una medaglia del Bembo, ora sconosciuta, ma ciò nel 1537 (v. p. op. cit., t. I, p. 146, n. 1, 163, n. 5, 189, n. 7, t. II, p. 174, n. 5).. Questa medaglia per la povertà de' maestri m'è fin questo dì stata indugiata a fornirsi: et poi è suta fornita non bene, che non mi rassomiglia, quanto potrebbe et io vorrei per ubidirvi compiutamente. So io bene che tali memorie al mio picciolo stato non si convengono. Ma il desiderio, che io ho d'havere la vostra imagine, m' ha fatto men guardare alla qualità di me stesso, sperando, se io a voi mi donava tale quale io potea, che voi non doveste a me negarvi altresi, di che disiderosissimamente vi priego. Così alle vostre honorate lettere et al sonetto leggiadro scrittomi, che in loro era, rendo tardamente con questa penna quelle maggiori gratie, che io posso. Nessuno più ricco dono potea io ricevere, che i tre vaghissimi sonetti vostri in diversi tempi havuti, che mi sono invece di pretiosissimo thesoro cari. Cari etiandio mi furono gli altri due bellissimi sonetti del carro d'Helia et del ginebro (1) Sonetti XVII e CXI delle rime varie nell'edizione del Saltini. mandatimi di vostra mano insieme con l'ultimo che a me veniva, nell'uno de' quali a me pare che voi di gran lunga superiate et vinciate il vostro sesso: nell'altro d'alquanto voi stessa. La indispositione, nella quale intendeste, ch'io era, mi s'è dileguata et partita; si come voi nelle vostre lettere indovinaste che dovea essere: et intanto sto bene, chè io ripiglio un poco la speranza di potervi anchor venire a vedere sin costà, che è il maggior disiderio, che io habbia. N. S. Dio vi dia lunghissima vita, poscía che v'ha dato sì chiaro et sì divino ingegno. State sana. A XXV di luglio MDXXXII. Di Padova.

(Alla Marchesa di Pescara ad Ischia).

(1532), 1° agosto.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. dì Vitt. Col., p. 391, n. II).

Ill.ma et Eccell.ma Signora mia.

Io so lo amore et reverentia grandissima che la felice memoria del cardinal nostro (2) Il cardinale Pompeo Colonna era morto il 18 di giugno 1532 a Napoli, dove aveva l'ufficio di vicerè. Su questa lettera v. Reumont, p. 131. portava a V. S., et però vedo la sua pena non diferir da quella che io sento, che è grandissima. Solo dovemo allegrarce della sua gloria el vera pace antivista da lui, et dal Signore ottimo nostro per mille exsperientie, visioni, fede et gratie fattolo sicuro. A. V. S. baso le mano. sempre desiderosissima servirla, pregandola me raccomande al mio messer Pietro (1) Il Bembo., et sella signora Costanza (2) Forse Costanza d'Avalos duchessa d'Amalfi. serrà tornata a V. S., melli raccomandi molto, et facciali dar o mandar la alligata. Da Orvieto, a dì primo di agosto.

Al servitio de V. S. Ill.ma et Ex.ma

La Marchesa di Pescara.

(A la Ill.ma S.ra mia la Duchessa de Urbino, sorella honorand.ma et amat.ma etc.).

(1532), 24 ottobre.

Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 395, n. V).

Illustrissima Signora mia.

Ancor che 'l signor don Antonio parta fra X giorni, et io mandi un mio con epso a parlar a V. S., non lassarò de scriver questa, per allegrarme della grandissima contentezza che vedo nel signor don Antonio della signora donna Ipolita. Nostro signor Dio li contenti et ne dia alla S. V. continuo piacer et satisfatíone. Et perchè con ditto signor la signora Marchesa (1) Del Vasto. et io scriverimo largo, non darrò più molestia a V. S. con questa; se non che ly basamo mille volte le mano, ditta signora et io, insiemi con donna Vittoria mia, et così al signor Guidobaldo (2) Guidobaldo, figlio del duca d'Urbino, a cui succedette nel 1538 e che visse sino al 1574. Era nato nel 1514. Nel 1534 sposò Giulia da Varano, e, rimasto vedovo nel 1547, passò a seconde nozze nel 1548 con Vittoria, figlia di Pier Luigi Farnese. Oltre ad Ippolita già ricordata, sue sorelle furono Elisabetta, sposata da Alberigo Cybo Malaspina, principe di Massa e Carrara, e Giulia, che nel 1548 si maritò con Alfonso d'Este, figlio naturale di Alfonso I, duca di Ferrara. et alle signore sue figliole.

Da Yschia, a dy xxiiij de ottobre.
Al servitio de V. S. Ill.ma deditissima,
La Marchesa di Pescara
sua sorella.

(A la Ill.ma S.ra mia la S.ra Duchessa de Urbino, sorella honorandissima).

(1532), 31 ottobre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 396, n. VI).

Ill.ma et Eccell.ma Signora mia.

Lo arciprete della rocca Guglielma (3) Terra nel circondario di Gaeta., antico servitor della madre dell'illustrissimo signor Duca (1) Giovanna di Montefeltro, sorella di Agnese, madre di Vittoria Colonna, e del duca d'Urbino, Guidobaldo I, e moglie di Giovanni della Rovere. Il figlio Francesco Maria succedette nel ducato nel 1508 allo zio. et suo, ha sempre desyderato andar a basar le man delle S.rie Vostre; et ad me è stato carissimo per farli intender alcune cose che lui li exsporrà da mia parte. La supplyco voglia darli integra fede, et creda che se persona di maggior prezzo havessi possuta mandar, non la haveria trovata mai, nè più sincera, nè più affetionata. V. S. Illustrissima con la sua bontà et virtù consideri la intention mia, et creda che de quello che Dio serrà più servito et le S.rie Vostre, restarò io più contenta. Solo la prego che senza nisciuna reserva mostri la sua voluntà, et non lo intenda altra persona che V. S. et lo illustrissimo S.r Duca. Qua si trova el signor don Antonio più bello che mai, tutto dedito alla signora donna Ipolita; et tanto desydera venirsene che me ne alegro molto, che ancor sia con infinite ragione, è gran piacer che le cognosca tutte, como veramente fa. Rendo molte gratie a Nostro Signor Dio, che intendo V. S. esser gravida: per sua clementia Nostra Signora li conceda con salute el figlio maschio (2) La duchessa partorì a Mantova il 15 d'aprile 1533 un figlio, a cui fu imposto il nome di Giulio, e che divenne cardinale ed arcivescovo di Ravenna. Et perchè ho inteso che V. S. ha hauto qualche volta dificil parto, me pare bene che se remedy la signora donna Ipolita. Et benchè io non credo che sia se no natura et complessione, puro quel che non noce, et se ne sono viste molte exsperientie, deve farse, chè a quante se è fatto, hanno hauto ottimo parto. Et perchè bisogna farse prima che dorma col marito, ne ho dato la informatione all'arciprete, chè possa la signora donna Ipolita farlo prima che 'l signor don Antonio arrive, che poi de arrivato, con la ansia che va, serrà dificil a tenerlo troppo dì. Baso a V. S. mille volte le mano insiemi con la signora Marchesa e donna Victoria mia. El signor don Antonio partirà fra otto giorni al più, benchè lui vorrìa volar, ma perchè vada sano, li medici lo han fatto intertener.

Da Yschia, a dì ultimo de ottobre.

Al servitio di V. S. Ill.ma sempre deditissima.
La Marchesa di Pescara.

(Ala Ill.ma S.ra mia la S.ra [Duchess]a de Urbino, sorella honorand.ma).

(1532), 10 novembre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 399, n. VII).

Illustrissima Signora mia.

Per il signor don Antonio nè conviene lassar de scriverli, nè esser sì larga, che faccia iniuria alla sufficentia sua. Solo suplico V. S. sia servita comandarme. chè maggior gratia non potria recever, et basar da mia parte mille volte el mio signor Guidobaldo che intendo è così dotto, savio e de ottima speranza che me fa continuo rengratiar Nostro Signor Dio de tal nepote, et V. S. che mello ha dato. Ma non posso star satisfatta sin che non me comandano alcuna cosa, per la quale li sia più chiara la voluntà mia de servirli. V. S. adverta, adesso che è gravida, non muoverse da Mantua che è suo aire, et spero che lì farrà un bel figlio maschio, che Dio el faccia. et ly conceda quanto desydera. Da Yschia, a dì X de novembre.

Deditissima a servir V. Ill.ma S.ria

La Marchesa di Pescara sua sorella.

(Ala Ill.ma S.ra mia la S.ra Duchessa de [Urbino], sorella honorand.ma et amat.ma).

1533, 7 maggio.

(Delle lettere di M. Claudio Tolomei, libri sette, Vinegia, 1547. c. 12).

Arrivato qua, Escellentissima Signora, Giacomo Beldandi da Imola, e' m' ha riferito le molte cortesie ch' egli ha ricevute da voi, le quali non solo m'obbligano per risplendervi dentro un raggio de l'infinite virtù vostre, ma ancora perchè m'ha fatto sede come, intendendo ch'egli era cosa mia, le havete usate più volontieri. La qual cosa con un medesimo nodo ha legato e lui e me insieme: ma m'è tanto più stretto, quanto a quel legame che mi teneva de le virtù vostre, s'è aggiunto questo altro del benefizio da voi ricevuto. Giovami nondimeno esservi molto obbligato, conoscendo perciò ch'io tanto più son vostro. Onde s'io forse non farò cosa che paghi in qualche parte questo mio debito, haverò almeno un contento d'esser manco disciolto da voi. Il medesimo Giacomo m' ha detto come il signor Marchese del Guasto v'ha mandata una copia de la mia orazion de la pace (1) Indirizzata a Clemente VII e stampata a Roma nel 1534., ma guasta molto, e male scritta; di che m'incresce assai: ma non mi maraviglio già che da questi capitani di guerra sia così guasta e mal trattata la pace. Ma se volete, Signora Escelentissima, salvar me e la pace insieme, mandateli a domandar l'originale scritto di mia mano, il quale a la partita sua di Roma se ne portò seco, che in ogni modo meglio si riposarà ne la felice quiete d'Ischia, che tra l'armi e tra gli strepiti de' soldati. Io mi stenderei a farvi qui fede quanto io adori le singolarissime virtù vostre, se non che mi parrebbe porre in quistione il conoscimento mio e 'l merito loro. Di Roma, a li VII di maggio MDXXXIII.

1533, 2 luglio.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, pag. 96).

Mentre che io ho voluto rendervi gratie della vostra imagine mandatami con alcuna più convenevole scrittura, che non sono le semplici lettere, sopragiunto da noie domestiche assai pungenti et tratto a pensar di loro. mi sono indugiato di far così dovuto ufficio a questo dì. Et per aventura l'altezza della materia, di cui scriver si dovea, è tale che non quandunque altri vuole et cerca et ne fa pruova, ma quando solamente dal cielo è dato, si perviene allo ottenimento di sì alta gratia, sì come per adietro altra volta m'è avenuto, che molto tardo feci risposta alle vostre chiare et leggiadre rime. Ma come ciò sia, che non voglio lunga escusation farne, poscia che all'animo grande vostro risguardando più mi si conviene rimanervi tenuto grossamente, che procacciare in parte alcuna d'alleggierire il debito: vengo hora con queste poche righe a ringratiar la cortesia vostra di così raro et caro dono: il quale io serberò per cosa tanto maggior di quello, che non pare che possa essere una sigura dipinta, quanto la vera, che ella rassembra, è eccellenza di più prezzo, che non cape il vostro sesso. Se lo illustriss.mo S.or Marchese del Vasto è costì, si come a questi dì s'è inteso, piaccia a V. S. nella sua buona gratia raccomandarmi. Io a voi bascio con molta riverenza la mano. A II di luglio MDXXXIII. Di Vinegia.

(Alla Marchesa di Pescara ad Ischia).

1533, 17 novembre.

(« Post scritta de la marchesana di Pescara sotto la lettera del marchese del Vasto (1) Questa lettera manca., Lettere scritte a Pietro Aretino, (Venezia), 1551, libro I, pag. 112).

Sono tre giorni, che mi fu data una vostra littera, qual più per satisfarvi, che per necessità ch'io vi cognoscessi, la mostrai al signor Marchese: e ve ne scrive, et è tanto vostro, che non bisogna il mio aiuto; et ha sempre tenuta Sua Signoria per tale, che da buoni non possa esser offesa; et voi, per persona de tanto ingegno, che non possiate ingannarve facilemente. Sì che rimanga tutta la colpa ne le nuvole, che s'interposero fra questa luce et voi; et tutto se emenderà con maggior effetto che non si seria forsi fatto prima: sì che toglieteve ogni ansia, et mandate le altre vostre rime al ditto signor, che molto è da lodar queste, c'havete mandate.

XVII novembre MDXXXIII.

Al vostro comando
La Marchesa de Pescara.

(1) A questa ed alla seguente, scritte da Ischia, non si può assegnare una data sicura.(2) Forse il poeta napolitano (1509—1525).

(1525&emdash;1533 circa), 9 gennaio.

(Autogr.—Milano. Biblioteca Ambrosiana.—Ceruti, Lettere inedite di dotti italiani del secolo XVI tratte dagli autografi della Biblioteca Ambrosiana, Milano, 1867, p. 5).

Molto Magn. Sig. Io ve do milli fastidii, ma velli satisferò con ogni mia possibil forma continuo; ancor ve devo li profumi, et subito velli mandarò. Vorria che me facessino far una cascetta della grandezza delle tre, ma più presto più che manco, et che fosse ad modo de coliseo, tutto a colonnati bianchissimi, et le corone, capitelli et intorno e tutto, dove se pò, molto dorato, ma che se facessi sì presto, che fosse fatta lunedì o martedì, che 'l Vittez va a Vico, ma che non lo sapessi nè facia, nè persona del mondo; et non me domandati più parrere, ma fate prestissimo; et dentro tutta piena de profumi mediochi, ma lavorati bianchi, et perchè honne grandissima prescia, fate che dentro siano minuti, dico le carrafelle, et altro, che forsi se trovaranno fatti; pure tutto remetto a voi, pur che sia bellissima, et ce vorria spender trenta scuti; vedite, ch' in da star al giuditio del sig. Marchese et de altri boni; et perchè M. Tomas Cambio dette a questo mastro XV o XX scuti di nome della siga Marchesa del Vasto, per una cascetta ad modo de laberinto, et non se è fatto, detta signora si contenta che se mettano in questa cascetta mia, ch'io la satisfarò a Sua Signoria, et li restanti li mandarò insiemi con li vostri, subito el me advisate, che se possa fare in ditto tempo, cioè per tutto giovedì. De gratia, advisatemene subito subito, et fative dar una gran prescia; et se ve par che sia in modo de templo, fatelo, purchè siano belle colonne et ricca, et tra l'una et l'altra si veda quello che pare ad voi et al mio epicuro; senza più replica fate lavorar dì et notte, ma non le feste. Resto al comando vostro, et sia come in voi confido, et advisate subito sesse bisogna mandar mo lo resto, che lo mandarò volando. Da Yschia, a dì VIIII de genaro.

Al comando vostro
La Marchesa de Pescara.

Sig. Tucca. Dio perdoni a chi non li dette l'altra, o per dir meglio, a chi la perse, quando il sig. Marchese vella dette, che me haverete tenuta per tarda…, Dio faccia, faccia effetto. Al sig. Belardino Rota me recomando, et li mandarò subito ciò che li devo.

(A tergo: Sig. Tomas Cambio, de gratia subito mandatela al sig. Ferrante Rota).

(1525&emdash;1533 circa), 20 settembre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 416, n. XV).

Illustrissima Signora mia.

Tucca me ha fatto tardar tanto ha scriver a V. S., che mai observai promessa che più mi offendesse; et Dio voglia che lui con le sue belle parole et bona gratia sappia suplire a tutto el bisogno; perchè conviene che sappia explicar un desiderio exstremo che io tengo de servirla, un desiderio exstremo che io tengo de servirla, un grandissimo pentimento delle cose seguite (1) Soprascritto, dalla mano di Vittoria, a passate.. una voglia ardentissima de vederla et emendar con li futuri servitii la colpa passata; che sappia escusarme de haver tardato a scriverli et mille altre cose che appena ho bastata a dirle a lui. Ma se pur fosse sufficiente a tutto questo, como potrà far che io non sia condennata de aver eletto lui per messo de tanto gran cosa, che appena arrivo io stessa col pensiero, dove presume giunger epso con le parole? Et se qua con meco lo vedo mezzo impedito, che non mi sollevo niente dal humano, che farrà nella presentia divina della S. V. Illustrissima? Suplicola consideri quel che io vorrei che dicessi et non quel che dirrà. E ly baso mille volte le mano.

De Yschia, a dì XX de settembre. Al servitio de V. S.

La Marchesa di Pescara
sua sorella

(Ala Ill.ma S.ra mia la Sig.ra [Duchess]a de Urbino, sorella
honorand.ma etc.).

(1535, agosto).

(Autogr.—Archivio segreto Vaticano. Concilio di Trento, vol. XXXVII, f. 177. —Fontana, Documenti vaticani di Vittoria Colonna marchesa di Pescara per la difesa dei cappuccini, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. IX, 1886, p. 355, n. I).

Reverendissimo Monsignor mio.

Della legge divina s'intese più Cristo e Paulo che Bartolo e Baldo: però V. S. Rev.ma bisogna pugni per li servi del Signore (1) Questa lettera è scritta in favore dei cappuccini. La riforma di Matteo da Bascio fatta nel seno degli osservanti aveva incontrato nimicizie e gelosie; poi una bolla di Clemente VII del 3 di luglio 1528 aveva approvato l'unione dei seguaci di Matteo coi conventuali, permesso ad essi di ricevere nella loro compagnia chi volesse prendere il loro abito. Così era riconosciuto l' ordine dei cappuccini. Ma essi ebbero altri incagli da parte di Clemente VII, che li espulse da Roma. Vittoria Colonna e la duchessa di Camerino, Caterina Cybo da Varano, nipote di Clemente VII, si adoprarono presso questo per ottenere il ritorno dei cappuccini. Vittoria da Marino venne per questo scopo a Roma (Boverio, Annales ordinis Minorum Sancti Francisci qui Cappuccini vocantur, t. l, Lugduni, 1632, a. 1534, xxiv).
Morto, poco dopo, Clemente, Paolo Ill, che gli succedette, proibi, il 18 di decembre 1534, ai cappuccini di ricevere osservanti o frati di qualunque altro ordine, sino alla celebrazione del capitolo generale degli osservanti. Poco dopo, il 12 di gennaio 1535, levò tale divieto, salvo per gli osservanti sino alla riunione del capitolo da tenersi verso la Pentecoste. Il 14 d'agosto rinnovò la proibizione generale di accogliere frati dell'osservanza od altri. Ma, il 29 dello stesso mese, concesse facoltà ai cappuccini di ricevere gli osservanti. se i loro superiori. entro il termine di due mesi, non avessero assegnato alcuni luoghi ove poter praticare una riforma.
Questa lettera appare scritta mentre attendevasi una concessione del papa ai cappuccini di accogliere frati nella loro riforma. Essa è senza indirizzo, ma può dubitarsi sia stata mandata al Contarini, trovandosi in un volume di lettere scritte a lui, però avente sulla legatura uno stemma. che non è il suo. L'editore di essa la credette scritta in principio del gennaio 1535, il che è impossibile, non avendo il Contarini avuto la porpora che nel maggio. Quindi conviene assegnarla all'agosto prima del breve del 29. Ci rimane però sempre qualche dubbio nel giudicarla mandata al Contarini, dacchè questi non venne a Roma che nel principio del settembre (Dittrich, Regesten und Briefe des Card. G. Contarini, Braunsberg, 1881, p. 78, n. 264). In fatti può sembrare non troppo naturale che da lui, lontano e appena allora entrato nel sacro collegio, Vittoria potesse sperare appoggio per i suoi protetti.
Sulle relazioni del Contarini con Vittoria discorre Reumont, p. 175 e segg. Ai lavori intorno a questo personaggio citati dallo stesso, p. 312, è da aggiungere Dittrich, Gasparo Contarini, 1483—1542, Braunsberg, 1885.
, intendo pensino dire che possan venire i frati licentia obtenta, questo seria una porta più chiusa che fusse mai, perchè quando questi poverini hebbero tutti i disfavori et le disgratie, se remetteva la licentia al Papa, et serà malissimo, dir quanto peximo seria remetterla a chi li carcera et li ruina: se dicesse petita (1) Vittoria temeva che per entrare nei cappuccini fosse necessario chiedere licenza ai superiori (licentia obtenta), mentre nel breve della Penitenzieria apostolica del 18 maggio 1526 erasi permesso a Matteo da Bascio e a Ludovico e Raffaele da Fossombrone di vivere fuori del convento in qualche romitaggio, purchè avessero chiesta licenza al superiore, anche se questi non l'avesse concessa (licentia petita non obtenta)., como el capitulo licet, la bolla eugeniana (2) La bolla ricordata sembra sia quella di Eugenio IV dell' 11 gennaio 1455. ed ogni legge vole, serria comportabile benchè puro dannoso; per l'odio che li mostrano, ma obtenta è far proprio ottener dal dimonio contra Dio quel che vole. Similmente de l'obedentia e de l'abito che ne sono in possessione X anni con la bolla di Clemente (3) La citata bolla del 3 luglio 1528., che bisogna dir sia a concilio per scrittura, se mai scrittura in ciò s'è fatta, basta dirlo a parole per non metter le cose certe in dubio, che seria un'iniustitia como sesse dicesse a uno: possedi la tua casa fin al tal tempo; sì che V. S. Rev.ma che ha più conscientia, et vede più la verità è più obligato dirla senza respecti, che è un periculo di far danno a mille anime bone, niuno danno a tutta la religione, che con queste provate speranze mai, quelle se emendano, anzi ogni dì se ruinano che se vedessero che in verità li bisogna proveder di comodità di ben vivere a frati loro per detener i boni, serrian forzati a farlo; che così li abbatteno, li conculcano, et se fa da ogni banda summo disservitio a Dio; et però serria assai iusta conclusione che nelle altre cose si observasse la bolla di Clemente et nel venire licentia petita, como vole el capitulo licet, benchè sia pur con periculo.

Serva de V. S. R.ma
La Marchesa di Pescara.

La S. V. Rev.ma sa che tanto è a dir licentia ottenta quanto scomunicar da mo tutti boni. Pensi V. S. como sonaria bene che scomunicassero quelli voglion far bene. et così è questo maxime a l'orecchia divina; è troppo dir petita, che subito l'incarcerano, ma ottenta non se è ditta mai; immo la peggio scrittura contra questi fu che quelli non venissero sin al Spirito Santo (1) Cioè al tempo in cui si tenne il capitolo degli osservanti. V. pag. 94 nota. sin che se reformavano, et che adesso poi che dato tanto lume di loro selli facesse peggio che mai pensi V. S. che errore. Nostro Signore Dio li faccia dir quel che so che vorria, che però la immensa bontà di Dio non li fece haver audientia quel dì, perchè ce pensassero meglio, et sapessero che mai se prefisse tempo alla bolla, nè se disse licentia ottenta, et se 'l capitulo licet se potesse allegar contra questi, milli anni sono che li haverian chiuso la bocca, che bisogna dir ottenta a quello che se fa, non se pò ottenere.

(2) Ambasciatore del duca di Mantova a Roma.

1535, 15 aprile.

(Autogr. la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Mantova.—Luzio, in Riv. stor. mant., anno I, p. 21, nota).

R.do S.r La sua ho ricevuta et il desyderio et obligatione mia servire la Ex.tia del S. Duca è tale che la vita e quanto ho metteria per el minor suo servitio. Ma la verità è questa che del governo del Stato et delle altre cose della felice memoria del S.or mio io avea cura, ma de denari non me impacciava, chè el suo ministro in ciò era M. Iacovo Nomecitia, che ancor vive in Napoli et è molto mio, nè per interesse niuno me dirria buscia, sì che subito scriverò a lui che me informi della verità, et farrò la fede che vole la Ex.tia del S. Duca, ma così non saprei che dirmi, maxime che, se ne fussi domandata, non saprei nè quando nè come nè a chi fusser stati pagati. So ben che ne fu scritto alla Ex.tia del Duca sollicitandolo, et io proprio gliel scrissi assai prima che il S.or mio moresse, et poi non ne intesi parlare più, che me denota certo che furon pagati, ultra che son sicura Sua Ex.tia nol dirria (1) Si riferisce alla somma di quattromila ducati dovuta dal Gonzaga al Pescara per la taglia di Teodoro Trivulzio e da Vittoria chiesta nella lett. l. Il 5 d'aprile 1535 il duca di Mantova scriveva al Peregrino: «Perchè intendo che la ill.ma S.ra Marchesa di Pescara a questi dì è stata a Roma et poi partita per Loreto et che deve di novo tornar a Roma, dove forse al ricever di queste ci potria essere, havendo bisogno da Sua S.ria d'una fede, per la qual la dechiara et afferma come, nel tempo che vivea il suo consorte bona memoria, per li agenti mei furno pagati ad esso S.or ducati tre millia d'oro larghi, per liberare il S.or Theodoro Trivulzio, prigione di S. Ex….. Sareti contento pregare la ditta S.ra ad farmi tal fede». (Luzio, p. 20, nota 2).. Altra memoria non ne ho: se voi sapesti quando furon pagati o a chi, io me andaria recordando et senza aspetare l'aviso da Napoli farria la fede; chè Dio sa l'anxia che ho servir la Ex.tia del S. Duca, maxime che solo per dirlo tal persona io farria mille fede, ma como ho detto, se mel domandassero poi, remarria impedita. Et N. S. Dio V. Rev.da persona guardi. Da Civita Latina, el dì XV de aprile 1535.

Al comando de V. R.da S.ia
La Marchesa de Pescara.

1535, 20 aprile.

(Autogr. la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Mantova.—Luzio, in Riv. stor. mant., vol. I, p. 21, nota).

R.do S.or La resposta sua ho avuta, et mi piace che ce sia qualche luce che fossero pagati ditti danari, come io son certa, ma non so che mi ponere in scritto. Ho avisato subito a quel agente in Napoli, et ne aspetto resposta, et per servire la Ex.tia del S.or Duca et non dir buscia, me pareria solo posser dire che io fo fede che qualsivoglia danari pagati al Prior di Capua, a Philippo Strozzi (1) Il celebre florentino, in cui favore vedremo intercedere Vittoria, quando egli era prigioniero dopo il fatto di Montemurlo. Era padre di Leone, priore di Capua. o a chi se voglia dalla Ex.tia del Duca de Mantua per el Marchese de Pescara sonno per conto della taglia de M. Teodoro, chè altro negotio de danari non era tra loro; chè così essendo in Roma lo Strozzi, da chi pò sapere chi li hebbe, penso haveria Su Ex.tia forse lo intento suo, et io non dirria una buscia, ché non so como accomodarmece, perchè invero io non lo so. Se in questo mezzo posso saperne altro, ve lo avisarò, et me li racomando. Da Civita Latina, el dì XX de aprile 1535.

Al comando vostro
La Marchesa de Pescara.

1535, 1° giugno.

(Autogr. il poscritto e la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Mantova.—Luzio, in Riv. stor. mant., vol. I, p. 21, nota).

R.do S.or Se sin qui s'è tardato mandarseli questa poca testimonianza che posso fare per servitio del Ex.mo S.or Duca et per la verità, l' ha causato perchè so stato aspectando posserne aver maggior luce, et perchè anch'or non ne ho possuto intendere più certeza de questa che ne so io, et li mando per questa mia allegata; non me è parso ritardar più darneli notizia, et se non fosse a su satisfatione, so che non se è mancato de quanto sì per mia coscientia como per satisfare al pref.to S.or de quel che se è possuto, et me li ricomando. Da Genazano, primo de giugno 1535.

Lo agente de Napoli me scrive che pensa lui ne fosse restato a pagar alcun poco resyduo, ma trovandose pagati in conto de ditto S.r al Prior de Capua, non ne posseva restar resyduo, sesse trova pagati tra lui e Philippo Strozzi el ditto numero integro. Advertite che sesse trovassero denar pagati et non dicessero proprio al M.se per conto suo, potria esser partite delle fantarie o d'altro, che loro ne havevano carico, et de gratia non se faccia cosa contra consyentia sopra la parola mia, benchè so per milli modi non lo faria el S.or Duca.

Al comando de V. R.da S.ria
La M.sa de Pescara.

(1) Figlio del marchese Giovanni Francesco e fratello del duca Federico allora regnante. Era nato nel 1505. Fu fatto cardinale da Clemente VII nel 1527. Cf. Reumont, p. 152.

(1535), 29 dicembre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 33. n. IV.)

Ill.mo et R.mo Monsignor mio obs.mo

Scrissi al Vescovo de Verona (2) Giovan Matteo Giberti. perchè V. S. sapessi che io li diceva la verità, che doveva aiutarsi questi padri r.di della santa et vera vita de San Francesco (3) I cappuccini.: hor li mando la sua, quale lo certifica. V. S. faccia como deve a Dio et alla sua virtù, et sappia che Sua M.ta Cesarea, non sapendo se non dal General (4) Era ministro generale dei francescani Vincenzo Lumello. seran cinquanta frati smandati, scrisse così (5) Della lettera di Carlo V al papa da Napoli contro i cappuccini è cenno pure nella lett. LXX.; ma già se ne pente, et in Roma lo mostrarà, spero (6) Quando Vittoria scriveva questa lettera, Carlo V, reduce dalla spedizione di Tunisi, trovavasi a Napoli, ove dimorò sino al 22 di marzo 1536. Il 5 d'aprile entrò in Roma e vi restò sino al 18. Quivi visitò Vittoria. Cf. Reumont, p. 154; Luzio, p. 22 e segg.. V. S. in questo mezzo sia con el Papa, et non comporti el mal li fanno.

Da Genazzano, ai XXVIII de Xbre.

Dedit.ma servir V. S. Ill.ma et R.ma

La M.sa de Pescara.

(Al R.mo et Ill.mo Monsig.or mio el S.r Cardinal dé Mantova).

1536, 26 marzo.

(Autogr. la firma.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di si. patr. dell'Emilia, n. s. vol. III, parte II, p. 34, n. V.)

Ill.mo et Ex.mo S. La virtù et optime parte cognosciute (1) cognosceste, Camp. in persona de q.m M. Mario Aequicolo (2) Vedi lett. I, nota 1. finchè vixe et la fidel servitù tenia con Sua Ex.tia me teneno sì obligata che, non possendo far altro in recognitione de questo, ho non sol preso a mio servitio Iulio, suo nepote, ma desidero per omne via se offrisse il modo monstrarmeli propitia et benefica. Per donde factome intendere che, come herede del p.to suo zio, deve ricuperare in questa città de Mantua alcuna quantità de denare et altro, sopra che lui largamente scrive al mag.co M. Ioan Iacobe Calandra, secretario de Sua Ex.tia, et ha constituito suo procuratore M. Hieronimo Piperario, non ho possuto ni voluto lassar con questa mia ricomandarli tal negotio, et con quanta efficatia voglio et posso supplicarla sia servita far ordinar siano sue cose talemente tractate et expedite, et max.e che 'l dicto M. Gieromino risolva il conto de certa casa, che conosca non restar niente defraudato de la speranza tene in mio scrivere, et io della fede, che in omne cosa et piccola et grande per sua humanità li tengo, che me ne obligarà non altramente che se 'l tucto cedesse a comodo de la propria persona mia, et N. S. la vita et Stato de Sua Ex.tia guarde et seconde como desea.

Da Roma, 26 martii MDXXXVI.

Deditiss.a per servir V. Ill. et Ex. S.ria

La Marchesa de Pescara.

1536, 6 aprile.

(Minuta.—Archivio segreto Vaticano. Pauli III brev. min., a 1536, n. 2, breve 223.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. IX, p. 367, n. V)

Dilectae in Christo filiae nobili mulieri Victoriae Columnae Marchionissae Piscariae.

Paulus P. P. III.

Dilecta in Christo filia salutem et apostolicam benedictionem. Eximiae devotionis affectus quem ad Romanam Ecclesiam gerere comprobaris, necnon multiplices virtutes quibus te Altissimus decoravit, quasque tu mulierem superegressa sexum ad tui nobilitatem generis adiunxisti, merito nos inducunt ut votis tuis, illis praesertim quae animae tuae salutem ac spiritualem consolationem respiciunt, benignum impartiamur assensum. Hinc est quod nos tuis in hac parte supplicationibus nobis humiliter porrectis inclinati, tibi quoad vixeris ut altare portatile habere, et super illo in locis ad hoc congruentibus et honestis etiam non sacris et ecclesiastico interdicto ordinaria auctoritate suppositis, dummodo causam huiusmodi non dederis interdicto, etiam antequam dies elucescat, circa tamen diurnam lucem, in tua ac familiarium tuorum domesticorum praesentia missas et alia divina officia per aliquem idoneum et discretum presbiterum secularem seu cuiusvis ordinis etiam mendicantium regularem per te pro tempore eligendum celebrari seu decantari facere ac illis interesse. Nec non ut in aliqua capella seu alio loco sacro constructo seu per te construendo etiam in aliquo tabernaculo, ut decet, ornato ibi existenti cum debitis honore et reverentia venerabile Eucharistiae sacramentum per eundem sacerdotem per te, ut praemittitur, eligendum collocari, et cum lampadibus ac aliis luminaribus accensis continue osservari, et quotiens volueris alias tamen decenter missas et alia divina officia ante ipsum sacramentum similiter celebrari et decantari facere. Et insuper ut eundem seu aliquem alium presbiterum secularem seu cuiusvis ordinis etiam mendicantium regularem in tuum possis eligere confessorem qui te vita tibi comite ab omnibus et singulis peccatis tuis, et semel in anno in casibus Sedi Apostolice reservatis, confessione tua diligenter audita absolvere et pro commissis poenitentiam salutarem iniungere valeat, necnon ut ab eodem presbitero, sicut praemittitur, per te eligendo in locis praefatis Eucharistiae sacramentum huiusmodi etiam in die paschali, sine tamen rectoris parrochialis praeiudicio, tam tu quam familiares tui praefati recipere cuiusvis licentia super his minime requisita. Ac etiam ut quaecumque monasteria monialium cuiusvis ordinis, etiam Sanctae Clarae, tu et aliae decem honestae mulieres per te nominandae bis in mense de inibi praesidentium consensu ingredi et cum monialibus ipsis conversari, dummodo ibidem non pernoctetis, libere et licite possitis et valeatis apostolica auctoritate tenore praesentium concedimus et indulgemus, non obstantibus apostolicis ac in provincialibus et sinodalibus conciliis editis generalibus vel specialibus constitutionibus et ordinationibus caeterisque contrariis quibuscumque, proviso quod locus pro collocatione Sacramenti huiusmodi per te construendus ab aliquo catholico antistite gratiam et communionem Sedis Apostolice habente prius benedicatur et ad prophanos usus deinceps ob sacramenti huiusmodi collocationem nunquam revertatur. Datum etc. Romae etc., VI aprilis 1536, anno primo (sic).

Feci verbum cum S. D. N.

Hie. Car.lis Ghinuccius.

S. D. N. attentis meritis D. Marchionissae et confidens quod non plus quam liceat divulgabit concessit.

Idem Hie. Blos.

(1) Nell'archivio è notata con l'errata data 1537

(1536), 10 guigno.

Autogr.—Archivio di Monte Cassino.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1031, n. IX.)

Ill.ma Signora mia. Per molto che in tempo della felice memoria del signor mio et poi continuo se sia fatto per quietar el Colle, sempre se sono amazzati como cani; et hora per haver trovati gravidi li animi loro per li error fatti col mal governo delli offitiali, se ne sono morti tanti che ne ho un dolor excessivo. Temo certo sia che mai ha piaciuto a Dio sia in poter nostro. Io ne ho scritto molte volte a V. S. et al S.r Marchese; io feci quanto posseva, et la conventione de darli cinquanta ducati l'anno, fui io. Hor per amor de Dio per una miseria, poi che Dio usa si larga la sua mano col S.r marchese, non vogliate stare in questo affanno, ma fornitela. Sa che 'l Marchese de Pescara se ne fe' consientia; questo del Vasto pur così, et V. S. sempre ha parlato bene, ma non segue lo effetto, perchè se remettono a servitori, quali mai dirriano che un castello se restituisse, e in vero non è offitio loro; tocca alle S. V. determinarse al servitio de Dio, massime che la piatta, che haveva de' vassalli, non c'è più, che quasi tutti quelli che non volevano non ce sono. Io ho voluto de novo far questo ultimo offitio de dirli el vero. La suplico mandi questa propria al S.r Marchese; ne si pò dir nè lo dicimo che lassi lo Stato. Io lo ho ditto sempre, immo ho pagato più che 'l castello non vale. Et Nostro S.r Dio guardi V. S. Da Roma (1) Roma è soprascritto ad Ischia cancellato., a dì X de giugno.

Al servitio de V. S. Ill.ma sempre

La Marchesa de Pescara.

Questo intender del Stato se lassa, ha fatto perder in tutto la obedientia. Ce ho mandato el S. Iuan Batista Conte: spero quietarà ogni cosa, benchè el resto sta quietissimo, puro serria bene che presto se resolvessero in Napoli.

(A la Ill.ma S.ra mia la S.ra Principessa de Francavilla).

(1536), 27 guigno.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—(Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 405, n. X).

Illustrissima Signora mia.

Perchè ogni di parlamo lo imbasciator et io delli affanni de quella poco fortunata signora, me ne remetto a lui circa lo advisarne Vostra Signoria; la qual, como per una altra mia haverà inteso, stia sicurissima che mai da lei ce è stato un defetto al mondo, anzi summa descretione et patientia. Signora mia, io li mando ogi un mio a parlare e sapere se a lei pare, senza altra licentia del marito, venirsene a Sora, el che io iudicaria per ogni respecto bene, et pigliare questa colpa sopra di me, d'esserne stato cagione. Se in questo mezzo vien la voluntà del marito procurata dal signor Ascanio, al qual lo ho sollecitato per doi staffette che andavano, bene; se no et ne avenga el contrario, ce attaccarimo sopra lo haver ditto de sì la Duchessa de Tagliacozzo (1) Giovanna d'Aragona, moglie di Ascanio Colonna. e il signor Ascanio. E como è lì, se potrà far ogni cosa meglio; pure intenderò la voluntà sua de lei stessa, et prima se li piacerà et vederò quello responde Vostra Signoria et così farrò. Signora mia, se pur quelli replicassero a non voler che la venga in Sora, tanto potrà tardar, quanto io vo ad Arpino, che serrà fra XX dì; che allora io la farò venir in ogni modo, che ce andarò a posta. Et è a bene non pubblicarne niente, chè non vorria sella conducessero altrove, chè questa gente è tale, che mai Vostra Signoria con la sua bontà el potria credere. La S. V. tenga per certo che ne ho l'ansia, che pò haver lei, et spero la sua bontà la farrà vincer tante dificultà, che in sì tenera età se gli para dinanzi. Suplico V. S. me faccia gratia mandar subito le alligate al loco de' capuccini de Fossombrone (1) Il convento fondato nel 1529 da fra Ludovico da Fossombrone., chè questa povera congregation ha hauta una gran persecutione addesso et che vedendo Santa Croce (2) Il cardinale Francesco Quin~ones de Luna ministro generale dell'ordine di San Francesco, indi cardinale dal titolo di Santa Croce in Gerusalemme. Nel 1534 fu nominato protettore dell'ordine. Egli avversava la riforma dei cappuccini. (che la ha presa in odio perchè scopre troppo i difetti de quelli de i zoccoli (3) Cioè degli osservanti.) non poter per via del Imperatore offenderla, qual da Napoli scrisse al Papa contra de lei, et poi intesa la verità cella ha raccomandata, ha preso expediente de turbarla, et mosso un fra Lodovico, che ha un cervello balzano (4) Nel primo capitolo tenuto dai cappuccini ad Albacina nello aprile del 1529 Matteo da Bascio fu eletto vicario generale. Egli rinunziò due mesi dopo a quest'ufficio, e il papa, per non far convocar subito un altro capitolo, gli surrogò col titolo di commissario generale Ludovico da Fossombrone. Questi più tardi non voleva aderire alle istanze dei cappuccini chiedenti la convocazione di un nuovo capitolo. Vittoria Colonna, e da sè stessa e per mezzo della cognata, la duchessa di Tagliacozzo, si sforzò d'indurre fra Ludovico alla convocazione del capitolo, e, non riuscendovi, si rivolse al papa, il quale ordinò al frate di raccogliere questo capitolo, che si tenne a Roma nel novembre 1535, e nel quale fu eletto vicario fra Bernardino da Asti. Ludovico si lagnò altamente, e mostrò il suo sdegno per non essere stato eletto egli a quell'ufficio, ed ottnne dal papa la convocazione di un nuovo capitolo, che si tenne a Roma nell'aprile del 1536. In esso Bernardino da Asti fu riconfermato nel vicariato. Avnendo Ludovico rifiutato di sottomettersi, i cappuccini lo espulsero dall' ordine con sentenza confermata dal papa. Sulla parte avuta da Vittoria per indurre Ludovico a riunire il capitolo vedi Boverio, Ann. Min. Capp., t. I, a 1535, XIV. A lei erasi rivolto nel 1529 questo frate con lettere commendatizie della duchessa di Camerino, allorchè egli venne a Roma. Col favore di lei ottenne di potere stabilire in questa città il primo convento di cappuccini a Santa Maria dei Miracoli, transferito nell'anno appresso a Sant'Eufemia (ibid., a 1529, XCVI)., e reduttolo a mille incovenienti, che in Capitulo se voleva uscir con quanti posseva, et fece la alligata patente contra ogni convenientia: chè merita ogni male chi dice difetti veri, quanto più i falsi, ultra infiniti altri errori. Dio li ha remediati, ma puro ha hauto tanto favor da Santa Croce che non se è fatto quel che conveniva, onde bisogna refaccian Capitulo per levarli le gratie li haveva concesse, sperando le usassi in bene, chè mai potria dirse quanto errore ha fatto a metter a disputa così puro oro, como è questa congregation; che, creda V. S., da lui in poi vivon tutti como nella primitiva Chiesa. Se appillò al cardinal de Trani (1) Giovanni Domenico Cupis di Montefalco, detto il cardinale di Trani, a cui Ludovico si rivolse dopo il capitolo del 1535, e che assistette a quello del 1536, a nome del papa., perchè non volea obedire, dicendo che 'l vicario nol lo pò comandare, non considerando che quel frate che appella è scomunicato, e che tuttochè li habia fatto ogni favor possibile, pur lo ha cacciato de Roma. Dice andarà a Fossombrone a inquietar lì V. S.; me creda, che heri me son comunicata, che costui è apto a ruinarla, et si mostra humil, ma molto grasso. Se pur venisse a V. S., de gratia per humiliarlo un poco, mostrili che fa grande errore a non voler star a obedientia, che ce stette San Francesco; che 'l Vicario li fa partito che stia dove li piace, purchè lassè li errori che fa, che bisognaria un anno a dirli alla S. V.; ma so crederà alla sustantia, chè io non penso se non al ben comune. Et così ancor prego V. S. faccia dire a quei frati che non li credano cosa che dica, che in Capitulo sapranno la verità et vedranno le scritture. El povero fra Belardino ha voluto morir delle insolentie de costui (1) Fra Bernardino Ochino da Siena, che aveva indotto Vittoria Colonna a procurare che fra Ludovico da Fossombrone riunisse il capitolo del 1535. Dagli osservanti era passato, nel 1534, nei capuccini. In quell' anno predicò a Roma durante la quaresima a San Lorenzo in Damaso, ed è probabile che allora Vittoria per la prima volta s'incontrasse con lui. Cf. Reumont, p. 147, 151, 158.; ma Dio voleva purgar questa cosa e publicar questi occulti veneni, che a poco a poco la haveria redutta alla obedientia de' zoccoli; che como fosse, li serria ruinata como tante altre reforme fatte fra loro, tutte già guaste. Questa sola se preserva, perchè con licentia del Papa se levò da quel Generale, et sta ogni dì meglio. Et se io haverò mai gratia a Santa Maria de Loreto, ove spero andar presto, de parlar a V. S., saperà con quanto ordine de Dio se governa questa povera reforma perseguitata da tutti li homini troppo mondani; et quanto, Dio perdone, ha fatto mal questo fra Lodovico per istigatione de chi la vorria guastare; ma si Deus est nobiscum, quis contra nos? Baso le man di V. S. e la suplico me comandi sempre. Da Roma, a di XXVII de giugno.

Al servitio de V. S. Illustriss. deditiss.ma

La Marchesa de Pescara.

(A la Ill.ma et Ex.ma S.ra mia la S.ra Duchessa de Urbino).

(1) In questa lettera si accenna al capitolo dei cappuccini tenuto nell'aprile del 1536 ed al breve pontificio, che lo confermò. Essa è anteriore alla bolla di Paolo III del 25 di agosto di quel medesimo anno, la quale confermò il riconoscimento dei cappuccini e ne rimise il vicario sotto la dipendenza del ministro generale dei conventuali, il quale però riconosceva il ministro generale degli osservanti come capo di tutto l'ordine di San Francesco.
In questo tempo un pericolo grave minacciava la riforma dei cappuccini, cioè l'annunciata riforma degli osservanti, il cui generale si adoprava presso il papa per ottenere che sotto un medesimo capo si riducessero e quelli e gli osservanti. Il papa rimise lo studio del negozio a sei cardinali. A un di essi, il cardinale Antonio San Severino, il vicario generale dei cappuccini, fra Bernardino da Asti, presentò un ricorso, che può essere confrontato con questa lettera di Vittoria. Vedine il testo in Boverio, Ann. Min. Cappucc., a 1536, XVII-XXII.

(1536, verso la metà).

(Orig. in parte autogr.—Archivio segreto Vaticano. Concilio di Trento, vol. XXXVII, f. 170.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di si. patr., vol. IX, p. 356, n. II).

Reverendissime Domine.

La devotion che ho al glorioso San Francesco, il stimolo de la conscienza con la fede che mi causa la bontà della S. V., me rendono secura che non attribuiranno il mio scrivere ad presumption, ma ad devotione, non ad temerità, ma ad zelo de la verità. Et quanto la feminil ignorantia et soverchio ardir mi toglie di credito, tanto la raggione et il solo intresse cristiano, qual me muove, mi presta d'autorità.

Pensava, Rev.mo Signore, che le cose dece anni per opere provate non bisognasse provarle ogni giorno con parole, chè come il Signor Nostro dice: Ipsa opera quae ego facio, testimonium perhibent de me, onde la perfettissima vita di septecento frati veri mendicanti, laudata hor mai da tutte le città di Italia non ne fusse in dubio persona alcuna; et quelle maxime che son più da cinque anni che dicevano che volevano ancor vedere un altro anno come questa sancta reforma seguisse. Et con questo colore ferno chiudere la porta, che frati de la Observantia non possesser venirve con dir che quelli se reformariano: et questi non potrian seguire. Et cossì quando con la porta aperta et quando chiusa, han sempre dato ad intendere che la Observantia se reformaria. Et come chiaramente se vede quella se è continuo allargata. Et questa è continuo augmentata in ordine, in spirito, in numero di perfectissimi et doctissimi patri, sichè le S.e V.e Rev.me deveriano hor mai esser securi che è opera di Christo. Et li loro sancti Capitoli con un Rev.mo Cardinale, e del primo ordine (1) Il menzionato capitolo dell'aprile 1536, a cui assistette il cardinale di Trani. V. lett. LXX., oltra l'altre sue degne qualità, che ne fa fede l'infiniti lor boni exempli, le humili et docte praedicationi, non li fussero cagione di rinovar li affanni. Per donde se cognosce che alcuni, non per ignorantia del vero, ma per dolor del vero cerca fatigarli et far credere che siano in dissentione, odio et errori. Ma al fine questo oro nel foco s'affina et le legna delle loro insidie se consumano.

Molte cose m'han dicto che l'oppongano, che, ponendosi Cristo e San Francesco dinante, saranno resolute.

Prima che paiono Luterani, perchè praedicano la libertà del spirito, che se son subgiugati alli ordinarii delle terre, che non han scripture, che non obediscano al Generalissimo, che portano differente l'habito, et che acceptano li frati de la Observantia.

Circa al primo se responde che si San Francesco fu haeretico, li soi imitatori son Lutherani. Et si praedicar la libertà del spirito sopra li vitii, ma subgietto ad ogni ordinatione della Santa Chiesa, se chiama errore, sarria anchora errore observare lo Evangelio, che dice in tanti lochi: Spirilus est qui vivisicat, etc. Oltra che apertamente dimostrano che non li han inteso praedicare questi che lo dicano; chè si li intendessino, praticassino un poco con loro, intendessino la loro humiltà, obedientia, povertà, vita, exempii, costumi et charità; li sarriano tanto devoti che piangeriano d'haverli fatti venire quattro cento miglia senza nisciuna necessità, et farli andare ogni giorno per tribunali fatigando, solo per posser in pace observare la loro povertà.

Al secondo de subgiucarse alli ordinarii, se responde che non se fe' mai più cristiana opera di questa, che anchor bastasse dire: che chi biasma questa ordinatione viene contra la mente di San Francesco, il qual ad suo tempo puose questo medesimo in observantia; et perhò epsi, come quelli, che non mirano in altro che redurse alla povertà de la regola et mera intention del suo autore, non in li cantoni privatamente, ma nel Capitolo publico ultimamente da lor celebrato, hanno non innovato questo articolo, ma, essendo stato corropto da altri, ristauratolo e reductolo a la prima observantia, chè sottoponendose primo alla Sanctità di Nostro Signor come ad capo, se vogliono stare alla obedentia de li prelati, lo fanno come ad membri di tal capo: et è molta più humilità et devotione di colloro che amano et observano, et vogliono esser sottoposti al capo con tutte le membra, che di colloro chi vogliono, et dicano altrimente, vedendose maxime lo scandalo che segue et de la ruina delle anime da questa dissentione et altercatione, che seguita tutto il giorno ne le città et diocesi; di che sento parlare con signori che ne hanno vera experientia.

Circa le scripture se risponde che quante ne sonno expedite in l'ordine di San Francesco in tanti anni, cioè quelle che strengono et che son fundate sopra l'observantia et la regola, tutte son dirette ad questi patri, come quelli che se sforzano quanto è possibile puramente observarle; oltra che hanno la copia autentica de la bolla concessa ad questa congregatione per la sancta memoria di Clemente (1) Cioè la bolla del 3 luglio 1528., qual non deve servire ad particulari, come molte scripture di Papi passati determinano, Ce son de più li brevi che confirmano lo Capitolo et lo presente Vicario (1) Breve del 29 di aprile 1536. Il vicario era fra Bernardino da Asti., et altri brevi, benchè le miracolose scripture ch'hanno sonno le ferventissime opere, che denotano ciascun d'epsi et tutti insieme havere la bulla de le piaghe di Christo nel core et li brevi delle stigmate di S. Francesco ne la mente confirmate da infinite benedictioni, che ogni giorno hanno havuto et hanno da la Sanctità di Nostro Signore; et acceptano tutte quelle scripture, che li ponno stringere l'observantia della loro regola, et quelle, che in alcun modo la allargano, tutte l'han renunciate et renunciano.

In quanto che non obediscano al Generalissimo se risponde che se vede, se prova, se sa che la religion de la Observantia have bisogno di reforma, et in tre loro Capitoli generali hanno concluso reformarse et poi non l'han fatto, nè possuto fare; immo in li Capitoli provinciali poi han guasto, et dalla radice funnitus extirpato ogni principio di reformatione. C'è sopra di ciò una bolla de la sancta memoria di Clemente che ce l'ordina (2) Bola del 16 novembre 1532 approvante la congregazione della più stretta osservanza., et doi brevi de la Santità di N.°ree; S.e, l'uno impetrato da loro, l'altro da questi, sì che chiarissimamente hanno bisogno di reformatione, et perchè tutte le reforme fatte tra loro son guaste, et questa sola, che non li è subgetta augmenta, bisogna che stia separata, che como le S.rie V. R.me sapeno, quelli che odiano la reforma in sè stessi, l'odiano anchora ne li altri. Perchè pare che quel bianco scuopra più il negro loro, et questa è la potissima causa di tanta persecutione ad costoro. Hor se non la ponno comportare absenti, como la potrian comportar presenti? Anzi li pigliano ad consumar di sorte che o bisogna che se ne fugano, o concorrano con gli altri exclamando solo ad Dio, qual per sua pietà l'intende. Et il R.mo Sancta Crose sa quanto exclamava luy che la religion se reformasse, et no~n so in che modo adesso voglia guastare, impedire et ruinare quella opera, che se pò dire che Sua Rev.ma Signoria ne dette occasioni, maxime sapendo che da tanti anni in qua sempre se sono allargati, como da quel che se vede publico nello habito, nelle cerimonie, nelle fabriche, nelle musiche, nelli testamenti che acceptano, nel conservar che fanno, nel modo di essere proprietarii coloritamente, se pò intendere quel che per honestà se tace. Ma son cose contrarie ad ogni reforma, qual anchor che con molto dispiacere loro per honor de Dio et zelo de la verità le diranno loro alle S. V. Rev.me. Oltra che lo General, ad chi questi obediscano, è il primo di San Francesco; se loro obtennero mutatione al loro proposito, per non havere contraditione al largo vivere, questi anchora per posser viver stretto, et in pace hanno obtenuto altro, non per che questo General sia meglio di quello, ma per che questo non li impedisce, non se ni impaccia, et non li odia, maxime che se vede quanto questo sancto Generalato l'ha offesi et l'offende, et quella ambitione li è cagione d'ogni male; et prima andariano per le selve questi poveri padri che arrisicarse alla certa rovina loro. Et se cognosce che non è per poca humiltà che se subgiugano ad tutto il mondo, ma per non esser impediti, nè revolti da sì sancto proposito. Immo penso che sia obligato ogni buono et tanto più Sua Sanctità et le S.e V.e R.me favorirli, defenderli et proibir ogni cosa che in ciò li fosse suspetta, non che contraria, acciò che quel ch'han promesso ad Dio et ad San Francesco, senza timore se possa securamente observare. Pare una disputa di ambitione che vogliano sian subgetti immediate per ruinarse, et non mediate, como stanno per substinerse.

In quanto al recever di frati, che è quello, unde, al mio giudicio, orta est haec tempestas, ciò è voler chiudere più che Dio non vole questa porta. Oltra ce siano molte cause, che mi pongono gran pagura che chi lo fa dispiaccia ad Dio, dovendose recordare di quel dicto del Signore: Ve vobis qui clauditis regnum coelorum. Ce son tanti oblighi che tenemo tutti di aiutare, spronare et infiammare li homini a la via de Dio, et le religioni alla professione loro, che deveriano andar pregando frate per frate et secular per seculare che se reformasse. Nè posso intendere per che San Francesco debbia h aver minor sorte che gli altri Santi in questa Corte. Come le Rev.me S. V. sanno, nell'ordine di San Benedicto son circa diece reforme, tutte separate, immo se vestono bianchi per più separarse dal negro; et è necessario ogni modo di separatione. Sancto Augustino et tutte le religioni hanno fatto reforma. Hor che maraveglia è che San Francesco vogli che doi volti se siano reformati li soi, l'una prima mediocremente, quest'altra perfettamente, et che'l suo santo habito, la sua evangelica regola sine glosa se observi ad tempi nostri, et che ne abbia exclusa ogni prosumptione di fundatore et di frasche. Che benchè fusse un fra Matteo (1) Fra Matteo da Bascio. sanctissimo huomo, che cominciò questa reforma, il quale vive hogge et sta tra questi patri, et non curando di ambitione, andava praedicando, quando se fece la bolla de la sancta memoria di Clemente, pur dico che San Francesco è il fondator lui, nè questi hanno altra guida, nè camino con altro lume.

Sanno le S. V. Rev.me quanto mons.e Santa Croce se fa cavaliero sopra il scandalo, che vol dare ad intendere che nasca dalla reformatione di questi poverelli. Non è più che quanto lo figura et ingrandisce lui, immo è somma edificatione et utilità di tutta la religion di San Francesco et alli doi terzi di frati observanti. Non vò dir più, che potria dirlo, dispiace la persecution che ad questi se da. Anzi ogni dì scriveno con grandissima istantia che preghino Dio che possano liberamente andare ad reformarse, et per amor di Dio li pregano che resistano alle persecutioni, che insistano per la fraterna carità ad aiutarli, per che ad lor è prohibito lo parlar, bisogna che in secreto scrivano. Immo le carceri, le croci, li minacci son tali che li convien mostrarse inimici di cappoccini, et de la vera observantia, di quel che a Dio han promesso. Et si le S. V. Rev.me fusseno nel core di costoro che sanno che pena fu la loro mentre lì vixero aspectando oportunità di andar ad questa reforma, che non ce è nisciun d'epsi che non habbi aspectato diece, dodeci et venti anni con speranza che là se reformassero, li havrian compassione, quando receveno. Et si 'l Rev.mo Protectore et diece, che governano, la pigliassino per un altro verso, non ce sarria mai stata parola, maxime si dicessino: questi son nostri fratelli, del medesimo padre figliuoli, hanno più austerità, Dio li inspira et dà forza di observare quella rigidità, che prima se ordinò. Non vogliamo impedire quelli, che vogliano seguirli; immo godiamo di vedere la nostra regola nella prima purità, et noi ad poco ad poco ce anderemo reducendo almeno alle glose de la regola. Starriano quieti et contenti tutti, perchè tra la religion di San Francesco sarria bonus, melior, optimus. Et si pur non possano redure l'altre ad quel che conviene, almen non offenda questa, che è la più perfecta, che pareria inditio di poca voluntà al servitio de Dio, al vivere christiano, purità evangelica et seraphica regola. Et non se chiame danno quel che è chiaro guadagno a la Chiesa di Dio. Se quelli de l'Observantia vengono ad questa strettezza, vanno per certo pur ad San Francesco. Che perdita nasce di questo ad Dio, ad Sua Sanctità et a l'ordine? O son buoni, o son tristi questi, che vanno ad reformarse, si son buoni è segno evidente, che fra epsi non ponno observar bene la regola loro; se non tristi, devono havere caro di purgare di questa feccia la loro observantia: o vengono per spirito o vengono per sdegno; si per spirito, è grandissimo et mortal peccato ad impedirli, si per sdegno, felicissimo sdegno, che poi li fa si perfettamente vivere, come se vede. Benchè questa è falsa obiectione, nè è da credere che per fugire una disciplina piglieno una perpetua penitentia, et per una ambitione di non havere un officio (come dicano) vadino ad perder per sempre ogni grandeza di officio et di ambitione. Nè comanda S. Francesco che con carceri, morti et supplitii se sostenga la sua regola, ma con humiltà, povertà et carità. Chi recusa l'obedientia per carità ha sì poco amore, che non andarà ove non è altro che amor et carità; maxime che hanno milli modi da fugirla. Come se vede, che ogni anno ne escano da quattrocento per altri habiti, che quelli di San Francesco. Onde se cognose che non doule l'andar di frati alla perfectione, ma la poena di non dare ad intendere di essere i primi alla strecteza, como han fatto da molti anni in qua in causa questo rumore. Ma Dio non vole che quest' argento non se scuopra hor mai da questo oro. Et che per venti frati, che hanno questa fantasia, se consenta che tanti centenara di persone ogni giorno inganneno Dio, la professione, il voto, che fanno, et tutto il mondo, chè la maior parte de la religion se ne duole. Et quasi in tutte le città, quando vedono l'une et l'altre scripture, dicono ad quelli de l'Observantia che consideraranno la cosa, et ad cappoccini che vadino ad vestirli. Si che non so per che con argomenti humani se guastino li divini, con nuove leggi se rompeno l'antique et sancte constitutioni de la Chiesa, che permettano il restringerse ad qualunque persona regolare et la optima intention di Nostro Signore che Cardinale li defese, et Papa li duole del fastidio che in ciò li danno, di modo che si se chiude nuovamente, è ruina di tutti buoni. Meglio è dunque determinare con la ragione, con Christo, con Paulo, con le leggi, che indivinare col nostro giuditio.

Nel stato, in che questi se ritrovano, se vede il mirabile utile, che fanno: et quanto crescano in numero et perfectione. Io non so como le S. V. Rev.me non tremano ad mettere la mano in cambiare una minima cosa del vivere et essere loro. Questi non domandano grandeza, non vogliono essere ricchi; solo per amore de le piaghe di Christo et de le stigmate del patre loro pregano che siano lassati stare ne la pacifica quiete de Dio et vera observantia de la regola loro. Et certo da questo molestarli ogni dì nascono tre inconvenienti grandissimi: primo il favorire, fomentare et notrire li relaxati nel stato et largheza loro et farli parere invidi, superbi, ambitiosi et privi di carità et di ragione. Secundo il male odore, che se manda in tutte le città de Italia et fuor de Italia, ove hor mai son noti questi che habbia tanta repugnantia l'optima vita loro; per che ciascuno vede le bone opre loro, ma non ogniuno intende qualche syreneo canto che li offende. Tertio, perchè si non se ne parlasse più, quelli per non cadere se emendariano ad poco ad poco, et questi per mantenerse ne acceptariano pochissimi et tutti ferventi, como già in questo Capitolo hanno expressamente ordinato; sì che per lo amore di Dio et del officio de le S. V. Rev.me vogliano aiutarli. Et sappiamo che bisognaria conversare con l'angioli, per observare questa sancta regola. Como ponno adunque esser tutti rubi incombusti, che stiano nel foco senza brusciarse. Et si non fusse volontà de Dio che cossì simplicemente se observasse, nè quel gran Sancto l'havria fatta, nè quel bon Papa l'havria approbata, nè tante volte se sarria reformata; immo quando il Papa primamente l'approbò, ce fu qualche repugnantia di Cardinali et un Cardinal spirato da Dio disse: si Vostra Sanctità non approba questa regola, bisogna negar lo Evangelio di Christo, ove è fundata. Hor quanto infinito ben fece quella sola parola, parlando di cosa dubia futura, et quanto infinitissimo ne potran fare le parole de le S. V. Rev.me, lodando questa reforma già diece anni ordinata, conservata et cresciuta. Questa è la vera vocatione ove son chiamati tutti li frati di San Francesco. Queste ferventi predicationi ponno fare utile alla Chiesa de Dio, sì che io non credo che Dio permetta questa impropria tribulatione si non per che il lume loro penetre più l'interni occhi de le S. V. Rev.me Et ne facciamo capaci li altri acciò che in pace preghino per Sua Sanctità et per le Rev.me S. V. et non habino occasione di andare exclamando et piangendo ad Dio et ad Sua Sanctità di questo torto; nè si dia occasione d'allegreza ad tanti heretici che ce sonno, che se vede hoge il mondo come sta et ad quante cose se deve attendere. Et questo solo nerbo de la fede di Christo, del servitio di Sua Santità et de la Chiesa se vole rompere o attenuare, cosa extremamente da fugire. a la prudentia de le S. V. Rev.me (autogr.). Circa l'abito me par sì impropria querela che non ce convenga resposta; olimè se comportano mille abiti lascivi, se consenteno mille varietà alle religioni fundate senza proposito, se comporta che per parer un ghelfo, l'altro ghebellino portino li pennacchi contra la scomunica, et questi non ponno renovar l'abito del glorioso patre loro, qual per mostrarsi sì despetto et povero al mondo da grandissima devotione, immo non ce è frate devoto che sotto quel capuccio non comporti ogni fatica, pensando che chi lo portò, et li serve per una cellina ove ponno sempre meditar li affari loro; et non senza causa quel gran Santo lo portò et poi di lui sexanta anni, el che l'imagini, sigillo, reliquie et pinture chiaro dimostrano.

Hor che proposito ce è de cambiar l'obbedientia, ove X anni son stati con summa perfettione questi, per satisfare l'ambition di quelli, a quali se sa el danno che li ha fatto et fa el Generalato? Che convenientia vole che se manchi alla legge anzi che costitutione alla carità e alla ragione di questi, per che se tema el disturbo mondano circa l'intrare a stregnersi? Et che conscientia fate che se toglia la devotione del abito a questi per la passione di quelli? Signor mio Rev.mo, non li ruinano capucini, immo li edificano; li ha fatto danno el Cardinalato protectore et Generalato magiore, et delle pecunie et delle indulgentie et favore attendano a levar le loro superfluità e gli errori, et lasseno in pace questi poverelli, et V. S. che più el cognosce non serrà scusato innanzi a Dio, se i respetti humani l'intepidiscono; chè Christo non ebbe respetto a morir per noi.

Serva di V. S. Rev.ma

La Marchesa di Pescara.

(Al Rev.mo Monsignor mio Contarino. So ben non bisognava mandarla a V. S., ma per amor di Christo habia patientia di legerla, quando potrà).

(1) Nell'archivio è notata con l'errata data 1537.

(1536), 26 ottobre.

(Copie due nell'archivio di Monte Cassino. I, f. 7v—8r; II, f. 80v—81r.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1082, n. X.

Ill.mo et Excell.mo S.or osservandissimo. Molte volte ho scritto a V. S. questa cosa del Colle, et per ultima mia satisfatione gli scrivo questa. Io non trovo che de bona conscientia lo possa tenere, cioè la possessione, e vedere poi loro iustitia, nè c'è utilità alchuna, perchè rende quarantacinque ducati, et noi ne damo cinquanta lo anno. Commodità non ce conosco, anzi se è despeso più questo anno nel Colle che non vale. Oltre di ciò vedo miracoli grandi, che tutti quelli che recusavano darse a gli frati son morti, sì che so lo animo de V. S.; ma come queste cose se remetteno a ministri, non c'è niuno de loro che habbia, ardire, maxime in simili cose, che per servitio de Iddio spettano a gli patroni, tanto più che se Dio et lo Imperatore dona a V. S. una terra, non dimandate agli servitori se devete accettarla o no, cosi di questa, che donate et ritornate a Christo. Et se dicessero o gli frati ne fanno peggio di noi e manco elemosine, ve dico, S.r, che queste sono ragioni degli heretici contra il Papa. Basta che la dignità ci è; del resto hanno da dar conto a Dio. V. S. lo fa per servitio de Dio et S. Benedetto. Et se bene senza la Prencepessa non pò, facciate chiara la banda vostra, et poi lassi il dire de la sua a lei. Et Nostro S.or Iddio conceda a V. S. quanto desidera. Da Roma, a dì xxvj di ottobre.

Al servitio di V. S. Ill.ma La Marchesa sua sorella.

Tanto più che loro proponevo molti iusti partiti di recompensa o de lassare il criminale e tutto quello che V. S. iudicarà iusto.

(Al Ill.mo S.or fratello el S.or Marchese del Vasto).

1536, 8 novembre.

Lettera autografa, già nella collezione Alfred Bovet, venduta a Parigi nel 1885. È così descritta nel catalogo della collezione n. 2031: «Lettre de Vittoria Colonna, Rome, 8 novembre 1536.

Elle promet au révérend Jacopo Herculano, clerc de S.t Pierre, de faire tout ce qui sera nécessaire pour le convent de S.t Nicolas tant pour la fabrique et réparation de l'Église, que pour le bien des pères capucins» Nel catalogo sono riprodotte le ultime parole, la firma e il sigillo, con gli stemmi d'Avalos e Colonna e la leggenda: VICTORIA COLVMNA MARCHIO. PISCARIAE (1) Quando ci fu segnalata questa lettera, era troppo tardi; e quindi inutilmente tentammo farne acquisto..

(2) Letterato veneziano (1508-1566), autore di molti mediocri componimenti in diversi generi.

1536, 15 dicembre.

(Copia del secolo XVI.—Archivio di Stato di Firenze. Carte Strozziane. Cod. CXXXVII, f. 179.—Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 123; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 410, n. XI).

Magnifico Messer Lodovico Dolce, dolcissimo et troppo patiente, se senza sdegno havete aspettato la mia risposta. Vi ho scritto due altre lettere: l'una si perse, l'altra non fu data, et questa non so se arrivarà a voi. Benchè con molta ragione avengano (1) Nella copia habbiam. tali impedimenti, sapendosi che non sono sufficienti le parole a ringratiar l'opera de' vostri (2) satisfar l'opra de suoi copia. divini sonetti, giovarà pure la mia tardanza a discolparmi, perchè molti vostri et miei amici vi haveran scritto quanto io gli habbia lodati; et dalla virtù loro crederete che la mia sufficientia sia bastevole a quello, di che mi sento insufficientissima. Imo (3) Anzi ed. era meglio credeste (4) Aveste creduto ed. che non voleva ringratiarvi, che veder hora che non so nè posso farlo, come conviene. Quello del bono animo vostro si poteva attribuire a humilità; ma questo si vede esser ignorantia et poca virtù. Alhor non assumeva tal peso, temendo non poterlo portare. Hora havendol preso, mi bisogna con esso a mio malgrado cadere. Da quella negligentia poteva sperar che mi svegliaste con duo altri sonetti; ma da questo mancamento son quasi sicura che prenderete risolutione di non buttarne più. Non lassarò perciò di dire che io non apersi mai forsi charta, che mi empisse tanto gli uni et gli altri occhi, come fè la vostra lettera. A quei della fronte si scoversero minute perle, dal bel ordine dato loro (5) datogli, copia. sì vivo spirto che rappresentavano le parole prima che fossero guardate, non che lette. A quei dell'intelletto si mostrò in un punto Parnaso, Apollo et le Muse nel maggior lor honore haver con somma letitia condito del vostro dolce in modo l'acque d'Helicona, che del suo ambrosia et nettar non han più invidia a Giove. Riman solamente in me l'amaritudine di non potervi esser sì grata, come vorrei; aspettando quelle occasioni che porgeranno il tempo et la cortesia vostra di ricercarle.

Da Arpino, adì XV di decembre MDXXXVI (1) Manca la data nella stampa..

Al comando vostro
La Marchesa de Pescara.

1536, 20 dicembre.

(Minuta.—Archivio segreto Vaticano. Pauli III brev. min., a 1536, n. 4, breve 132.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. IX, p. 369, n. VI).

Dilectae in Christo filiae nobili mulieri Victorie de Columna marchionissae Piscarie.

Dilecta in Christo filia nobilis mulieri salutem etc. Dudum meritis tue devotionis inducti tibi inter alia, ut tu et decem honeste mulieres per te nominande quecumque monasteria monialium cuiusvis etiam Sancte Clare ordinis bis in mense de eorumdem monasteriorum regimini presidentium consensu ingredi et cum monialibus ipsis conversari, dummodo ibi non pernocteretis, libere et licite possetis per alias nostras in forma brevis litteras concessimus (2) V. n. LXVIII. prout in illis plenius continetur. Cum autem eiusdem tue devotionis merita quotidie maiora fiant tuque spiritualium operum exercitio in dies magis delecteris inducimus ut votis tuis que ex ipsius devotionis fervore procedunt, per amplius annamus. Tuis itaque supplicationibus inclinati litteras predictas ad hoc, ut tu quecumque virorum monasteria cuius[vis] ordinis iuxta dictarum litterarum tenorem ingredi et citra pernoctationem ibi conversari valeas, extendimus et ampliamus per presentes, non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis ac omnibus illis que in dictis litteris voluimus non obstare ceterique contrariis quibuscumque. Datum Romae apud S. Petrum, 20 dec. 1536 anno 3°ree;.

S. D. N. visum est quod tali persone similia non sint neganda.

Hie. Car.lis Ghinuccius.
Blos.

(1536), 22 dicembre.

(Autogr.—Archivio segreto Vaticano. Concilio di Trento, vol. XXXVII, f. 167.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. IX, p. 365, n. III).

Reverendissimo Monsignor mio observantissimo.

La S. V. Rev.ma con l'opera sua ha puro fatto sì grandi et belli sostenimenti alla navicella di Pietro, che è sicura di naufragio, et la S. V. ne porta el timone; rengratiato sia Dio, et perchè non bastò mostrar la mia alegrezza a Monsignor Rev.mo de Ingliterra (1) Reginaldo Pole (o italianamente Polo) (1500-1558), congiunto in parentela con la famiglia regnante d'Inghilterra. Egli in fatti era nato da sir Riccardo Pole e da Margherita contessa di Salisbury, figlia di Giorgio duca di Chiarenza, di cui furono fratelli i re Edoardo IV e Ricardo III. Da Edoardo IV nacquero Edoardo V ed Elisabetta, la quale andò sposa ad Enrico Tudor conte di Richmond; poscia a re Enrico VII, da cui ebbe Enrico VIII. Reginaldo Polo, esiliato dalla sua patria, viveva per lo più in Italia e fu inalzato al cardinalato il 22 di decembre 1536. Intorno a lui ed alle sue relazioni con Vittoria vedi Reumont, p. 228, 230, ecc. (ef. p. 315)., suplico V. S. cel dica per me, et non consenta la S. V. che la sua bontà sia da altri occultata circa la minuta impropriissima del breve (2) Il breve del 20 di dicembre., come messer Carlo da Fano (3) Carlo Gualteruzzi da Fano, uomo di lettere e di affari presso la corte pontificia. li dirrà, chè Dio ne serrà servito et io li restarò obligatissima.

Da Civita, adì XXII di dic.bre.
(4) All'esterno è aggiunto: a dì XXII di oebre 1536. Come si vede, Vittoria trovavasi allora a Civita Lavinia, possesso dei Colonna (venduto da Marcantonio nel 1564 ai Cesarini), interrompendo il soggiorno di Arpino, che risulta dalla precedente e dalle seguenti lettere. In questo giorno, 22 di dicembre (seppure non vi fu un leggero sbaglio nella cifra), la marchesa ricevette la notizia della nomina del Polo al cardinalato e si rallegrò, per lettera, con lui e col Contarini, che aveva approvato la scelta fatta dal papa (ef. Beccadelli, Vita del card. Reg. Polo, in Mon. di varia lett., t. l, parte Il, Bologna, 1799, pag. 292).

Serva obligatissima
La Marchesa di Pescara.

(Al Rev.mo Monsignor mio observantissimo el S.or Cardinal Contarini.).

(1) Questa lettera, senza indirizzo e data, sembra scritta verso il 1536 al cardinale Gonzaga, a cui Vittoria aveva raccomandato i cappuccini (lett. LXI), e forse si richiama a questa stessa lettera. Ma potrebbe la presente essere scritta pure a qualche altro membro del sacro collegio, per esempio al Contarini.

(verso 1536).

(Autogr.—Biblioteca nazionale e palatina di Parma.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1091, n. XVIII).

Ill.mo et Rev.mo Monsig.or mio. Como sa Dio et molti, ad me non parve bene la chiamata de' reformati, perchè sapeva chi hobstava el—(2) Due volte in questa lettera si trova una lineetta in vece di un nome, omesso appositamente e noto a chi riceveva la lettera.; ma hor che son venuti, me par una violentia se ne vadano desperati. So che V. S. ne ha per gratia de Dio compassione et troverà ogni giorno più vero quanto al primo li dissi de questa religione. Scrivo a Sua S. la poliza che vederà. La suplico per amor de Dio faccia che sia trovato (?) giusto homo da bene et che mandino un palafrenieri a dire a fra Iuan Corso che insiemi con fra Paulo reformato vadano a Sua S.. Como serrà lì, Sua S. potrà parlar a fra Paulo solo. Et basterà expedirlo con una letera de monsignor Farnese (3) Il cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa Paolo Ill. diretta al general, ma che resti de reformati a—Scrivo ancor doi parole a Chieti (1) Il rigido Giampietro Carafa, arcivescovo di Chieti, creato cardinale il 22 decembre 1536, e che poi fu pontefice col nome di Paolo IV (1555—1559)., che selle pon dar poi, perchè non guasti o se ne offenda.

Serva de core de V. S. Rev.ma

La M.sa de Pes.ra.

(1537), 13 febbraio.

(Copie due nell'archivio di Monte Cassino. I, f. 4v—5r; Il, f. 78v.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1076. n. IV.

Ill.ma S.ra mia. Per molte cause vorria ce levassimo da questo peso del Colle, et se io, che non ne ho coscientia, ne tremo, non so come V. S. se quieta, perchè in suo tempo fo et se ben ce havessi mille raggioni, che io ne ce le trovo, non se pò negare che la possessione non sia la loro. Io ne parlai al S.or Marchese del Vasto, et me disse se contentava se restituisse, et non me pare cosa da consultarse con ministri, chè quando anime pateno, loro non le potranno aiutare. Circa el criminale io non ne farria caso, massime che gli vassagli se ne remettono a noi, et c'è una decisione del Consiglio in favore loro. Se ne paga più che non vale, sichè non so perchè se tiene, tanto più che l'utile de' vassalli lo perdo io per molti anni, et me ne contento. Inmo ce lo supplico oltra che loro quietano. Non so con che conscientia se tenessero le intrate tanti anni prima ch'io le desse; perchè so la ottima voluntà de V. S. li scrivo cusì et basterà a lei, come quella me lo ha dato, lo remetta a me, che io non curo della colpa con Iacovo (1) Giacomo Nomecizia (o Nemecisio) di eui è cenno pure nella lett. LXXX ed in altre precedenti. o altri, et gli baso le mano. De Arpino, a dì xiij de febraro.

Al servitio de V. S. Ill.ma

La Marchesa de Pescara.

(Al Ill.ma S.òra mia la S.ra Principessa de Francavilla).

1537, 13 marzo.

(Minuta.—Archivio segretò Vaticano. Pauli III brev. min., a 1536, n. 5, breve 318.—Fontana, in Arch. della Soc. rom. di st. patr., vol. IX, p. 370, n. VII).

Dilectae in Christo filiae nobili mulieri Victoriae [Columnae] Marchionissae Piscariae.

Dilecta in Christo filia salutem. Desiderium tuae Nobilitatis peregre proficiscendi et ultra Sancti Iacobi in Compostella et Sancti Maximini in provincia Provinciae, in qua Beatae Mariae Magdalenae corpus reconditum esse creditur, ecclesias, sacrum Domini nostri Iesu Christi sepulcrum visitandi nobis expositum, opinionem nostram de tua probitate, relligione ac in Summum Deum pietate maxime auxit, si ea opinio, quae maxima semper de te apud nos fuit, ullo pacto augeri potuit, in hoc quidem quod haue peregrinationem laboriosam illam quidem et periculosam tuae quieti, tuis opibus, tuis tot commodis preposueris, nec precibus consanguineorum aut affinium tuorum divelli ab ea potueris amoremque Iesu Christi ante omnes humanos affectus collocaveris, virilem animum in femineo corpore apertissime ostendisti, quamobrem nos qui tuum fervorem accendere potius quam ulla ex parte extinguere desideramus, benedicimus tibi in Christo filia, et Deum oramus, ut peregrinationem tuam fortunet teque in itinere comitari dignetur. Tuis ergo precibus inclinati tibi, ut sepulcrum visitare tecum usque ad XV personas el inter eas dillectum filium Hieronimum de Monte Politiano, ordinis minorum congregationis capucinorum, confessorem tuum, et duos alios eius socios de sui superioris licentia ad hoc pium opus ducere possis, auctoritate apostolica tenore presentium concedimus et indulgemus, mandantes in virtute sanctae obedientiae personis ecclesiasticis per universam Christianitatem et in partibus infidelium existentibus, ut tibi ac tuis comitibus omnia loca, sacra templa, monasteria et sanctas relliquias pie ostendant teque et illos nostra et Dei causa benigne suscipiant et te illosque quosvis alios principes, dominos et personas seculares, ut tibi et tuis in itenere omnem quam poterunt commoditatem exhibeant, parem a nobis gratitudinem, quando acciderit, reportaturi.

Romae, xiij martii 1537, anno tertio.

Blos.

Non potui facere verbum cum Sanctis. D. N., sed videtur mihi hec persona digna sit hac et etiam maior gratia.

Hier. Card.lis Ghinuccius.

(1) Da Castello di Sangro. Vedi lett. XXXVIII.

(1537, febbraio).

(Copie due nell'archivio di Monte Cassino. I, f. 5r—v; Il, f. 79r—v.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1077, n. V).

Rev.°ree; Patre. Ho havuto grandissimo piacere che sia remesso a me da la Prencepessa a mia preghera le cose del Colle, et però mando la copia delle mie scritture alla R.tia V.ra, che vedamo accomodare el servitio de Iddio et S. Benedetto senza danno de li heredi miei, chè Casa Colonna, quale mai ne have havuto uno carlino, non habbia da mettere del suo in morte mia: chè io sono obligata restituire lo Stato al Marchese del Vasto et soi heredi, come me lo han dalo, si che bisognariano tre cose: la una la evittione dell'Abbate in Capitulo ogni volta che gli heredi del Marchese dessero impaccio a gli mei; l'altra che quando gli heredi o il Marchese volessero il Colle per la commodità et a ciò non dicano che gli ho fatto tanto danno per la scropulosa conscientia, siate obligati darcelo in caso che ve diano equivalente recompensa; la altra se remettono alla Prencepessa et Marchese et me, se gli ho havuti, che credo de no, tutti gli frutti del passato et per non tardare a ciò che, partita io, non se mutasse il mondo, devria che tra voi et me facessimo delle scritture con promettere che lo Abbate et Capitulo ratificaranlo, et io che in ratificando ve se dia la possessione, e se altro per vostra e mia cautela ve pare, me ne remetto alla conscientia vostra, chè così come io penso per S. Benedetto, devete voi pensare che gli mei non habbiano ad pagarlo, che assai è che io relassi quella commodità, che iustamente sotto la conscientia de altri poteria havere; ma lo fo perchè temo che non haverresti cacciato poi costrutto. Et se Iacovo Nemecisio lo intendesse, mo haverriamo da fare et da dire. Puro de tutto me remetto alla P. Vostra; lo più dirà il padre cell.rio. Et nostro S.ore Iddio ve guardi.

Al comando de Vostra Rev.tia
La Marchesa de Pescara.

(Al Rev.do Padre D. Benedetto, Priore di Monte Casino).

1537, 26 marzo.

(Autogr. la poscritta.—Archivio di Monte Cassino.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1078, n. VI).

Reverendo in Christo Padre. Ho havuto la lettera de la P. V. et inteso quanto scrive. Me piace perchè Don Honorato ha da conferirse in Ischia, che se aspecti la resposta della S.ra Principessa (1) Di Francavilla., et che ne contentasseno lassar il criminale, il che non serria se non bene, imperhò venga che se voglia et facendo quelli del Colle tucte le forze loro per non venir sotto al sacro monasterio, me pareria che in ogni modo se pigliasse la balìa, che non li è altra cosa et havendo se serria patrone de tucto, et pian piano se potriano lor adolcire et tirarli al resto. La rengratio del pane, et alle oratione sue et de questi reverendi patri me recomando sempre. De Arpino, XXVI martii 1537.

Pigliando la balìa seria haver tutto, et in vero costor del Colle dicono che ponno provare che non forno antichamente nostri, ma de non so chi del Regno et che non havete scrittura alcuna, se non che sia nominato el Colle con quasi tutto el regno che haveate prima, et io son certa che io son stata quella, che sempre ho ingrandite le ragion vostre. Poi ce è in tutti li privilegii de questi S.ri, dachè lo hebbero, ce è il Colle, sì che consideratis considerandis me pareria ben pigliasseno l'integra possession della balìa, poi Dio aiutarà como li è servitio.

Al comando de Vostra Reverentia
La Marchesa de Pescara.

(Al Rev.do in Christo Patre D. Benedecto de Castello, Priore de Monte Casino).

(1537), 18 aprile.

(Copie due nell'archivio di Monte Cassino. l, f. 6v - 7r: II, f. 80r. — Muller e Ferrero. in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1079, n. VII).

Ill.mo S.or fratello hon.mo ed amantissimo. Molte cose son passate questi di tra la S. Principessa et me et li padri di Monte Casino e la università del Colle circa el darlo alle Rev.tie loro. Et perchè me dicono che la S. prefata lo avisa a V. S., me remetto a lei. Ma perchè vogliono fede da me che quello me scrisse la felice memoria del S. mio, dico che è verissimo che, poco prima morisse, me scrisse che desiderava se pigliasse alchuno appontamento ne le cose del Colle con gli frati et che se satisfacessero. Poi da otto anni in qua, che io lo ho havuto sempre, gli ho dati cinquanta ducati l'anno (1) Vedi lett. XXXVIII., et se V. S. se ricorda, ne gli ho parlato dui volte, et se è remesso alla S.ra et Iacovo. Hora che io parto, lasso alla S. Duchessa (2) Leggasi: Principessa. che sempre saranno le S.rie V.re de accordo, per nisciuno mio interesse resti da fare quanto vorrano. Altro non so che dire: gli homini del Colle gridano et volevan venire fin Ili a V. S., in caso che io gli forzassi a lassargli: anzi gli pregai se dessero alla S. Princepessa, che me gli ha dati, et non volsero. Puro gli padri dicono che, se hanno la volontà de V. S., gli accordaranno. Dio faccia quello è suo servitio, et le baso la mano. So' breve, perchè da detta S.ora Prencepessa V. S. sarrà largamente informata. Da Arpino, a dì xviii de Aprile.

Al servitio de V. S. Ill.ma sempre

La Marchesa de Pescara.

Nelle mie scritture sta che le S.ie V.re me danno le terre con che ce le torni come stanno, quando io sia satisfatta. Però non posso senza volontà loro darlo, ma io per me de ogni mio incommodo son contenta, massime ch'io ne pago più che non vale; solo gli vassagli impediscono. Faccia V. S. come Dio gl'ispira.

(Al Ill.mo S. fratello hon.mo et amantissimo il S. Marchese del Vasto, General Capitano della M.ta Ces. in Italia).
(1) Nel novembre 1536 il marchese del Vasto fu dall'imperatore nominato a questo ufficio e al governo del ducato di Milano. Il De Leyva, che li aveva tenuti, era morto il 13 di settembre durante la guerra di Provenza.

1537, 22 aprile.

(Autogr. la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emitia, n. s., vol. Ill, parte Il, p. 35, n. VI).

Ill.mo et R.mo Mons.r mio obs.mo

Poi deprovata la mula di V. S. me par ringratiarla de novo ch'è bonissima et serve molto bene. Essendo in Arpino passò dellì il padre fra Ber.no et li vennero le alligate del S.r Don Ferrante (1) Don Ferrante Gonzaga, signore di Guastalla, vicere di Sicilia, fratello del duca Federico e del cardinale Ercole. Sul suo desiderio di avere a predicare a Palermo Bernardino Ochino, vedi lett. di Nino Sernini al cardinale Gonzaga, Roma 1°ree; giugno 1537: «Don Ferrando mi ha scritto che desiderarebbe molto quest'anno haver frate Bernardino da Siena che predicasse in Palermo, et perchè questo suo desiderio havesse effetto, S. Ex. ne scrisse al detto frate, il quale rispose modestamente, come quella per la sua lettera vederà. Io ho pensato che per ottener questo non vi sia miglior mezzo che V. S. Ill.ma et la S.ra Marchesa di Pescara, da che si truova in coteste hande; et per volere in questo mezzo intertenere la pratica, ne ho parlato a M. Carlo de Fano come a suo amico, acciochè gli scrivesse, il quale mi ha detto che pensa saremo assai tardi, perchè crede habbia già pormesso al vescovo di Verona…» (Luzio, Vitt. Col., p. 33, nota 2). Cf. la lett. del Gualteruzzi, n. LXXXIV., et perchè el P. de Salerno (2) Ferrante Sanseverino principe di Salerno. hebe lettera dal Cardinal Sanseverino (3) Antonio Sanseverino. che se contentava S. S. che a preghere di decto P. andasse a Salerno, lui ha risposto che li seria molto caro andare in Sicilia, ma che Su S. faccia lei, perchè bisogna vadi dove li è comandato. Il Marchese del Vasto ancora molto lo desidera sì che se vede sempre la bontà de le S.rie V.re, che a lei como al S.r Don Ferrando piace, ma non lassarò dirli che un Spagnolo me scripse che in casa del nostro Car.lo amico se andavano glosando de falsa invidia le sue sancte parole. Credo certo non con volontà del dicto Car.le, perchè se non son tornati li Neroni, che il lume de Dio li sia odioso, et che le cose, ove son migliara de sinceri testimonii se possano extorcere, tanto più che le sue prediche et in Perusa (1) L'Ochino predicò a Perugia nell'avvento del 1536 in San Lorenzo, come ricavasi da cronache contemporance, p. es. da quella recentissimamente stampata dal Fabretti, Cronache della città di Perugia, Torino, 1888, vol. II, p. 183. et in Napoli (2) In San Giovanni Maggiore nella quaresima del 1536, dove lo udì sovente Carlo V. son state tanto scripte da boni et tanto estimate ch'è gran ardir che l'invidia confonda sè stessa, a la quale non c'è altro rimedio che mancar de esser bono, però ogni dì crescerà in lui. Il quale mo che parte ricomando ad V. S. che da tante insidie lo difenda, non per sè, ma per il fructo de tante anime, che se ben altri predica, non moveno, non fanno la utilità delle sue, como se vede. Credo che andarà però verso Roma, benchè sia perplexo; chè se sta, li dicono che cerca o desidera grandeze, se va humilmente predicando dicono: fuge Roma: lui non se escusa, nè parla per non mostrar credere che de lui se facci conto, et tanto facere potria attribuirse a presumptione: vedeno che a le passate diverse insidie el potente spirito de Christo se fa più vivo, cercano hor caluniar questo lume che havemo et de cqua nasce che li eretici ce cavan li occhi, perchè como Christo compare a modo de Pharisei, andamo a le calunnie, a pervertir le parole, a seminare occulte spine. Io ho voluto advisarne V. S. perchè, ove bisogno, facci l'offitio, che la sua virtù et bontà conviene, chè almeno se non lo amano et honorano, como ne le cità ove non è passione han facto, almeno lo lasseno ne la sua fatigha salvar le anime; il che se vede fa maravigliosamente, benchè io per mia tristitia non ne habia hauata altra consolatione che de udirlo dire da infinite persone.

Scrivo la alligata al R.mo Santa Croce (1) Cf. n. LXX., perchè como Dio sa li effetti, et con S. S.ria ho alcuna volta deslodato. Suplico V. S. R.ma ordini le sia data.

Dal Monte San Io. il dì XXII de aprile 1537.
(2) Ora Monte San Giovanni Campano (circondario di Frosinone), vicino ad Arpino, non nel Ferrarese o nel Bolognese, come dissero il Campori e il Reumont (p. 163). Essa era partita in quei giorni da Arpino. La data dell'8 aprile 1537, che il Frizzi (Mem. per la storia di Ferrara, t. IV, Ferrara, 1796, p. 313), senza addurre testimonianze, assegnò all'arrivo di Vittoria in questa città, ripetuta dal Campori e dal Reumont (p. 158, 311), deve adunque essere respinta.

Serva obligat.ma de V.ria Ill.ma et Ex.ma S.ria

La M.sa de Pes.ra

(Al Ill.mo Signor mio obs.mo il Cardinal di Mantua).

1537, 4 giugno.

(Autogr.—Archivio di Stato di Mantova) (3) Questa lettera era inchiusa nella lettera di Vittoria al cardinale Ercole Gonzaga, n. LXXXV. Essendo stata levata da posto, non fu ritrovata dal Campori. La rinvenne nel carteggio ordinario di Roma e ce la trascrisse il ch. Luzio..

Ill.ma et Ex.ma S.ra

Questa mia sarà per far riverentia a V. Ex. dopo la mia tornata a Roma. dalla quele sono stato absente presso ad un mese, in fral qual tempo haveva pure speranza di poterle basciar la mano almeno così a cavallo, essendo ella medesimamente in quel mezzo tempo in viaggio, sì come io sapea ch'ella doveva essere. Ma l'Ex. V. non volle consentirlomi, scrivendo non voler che se sapesse la strada che a far havea, credo io per non mi dar occasione di tornarmene consolato a questo veramente nido et ricetto di tribulati. Ma come che il fatto si stia, gionto in Roma, ho inteso V. Ex. esser in Ferrara et dovervi stare per aventura tutta questa estate, laonde non ho voluto, nè potuto mancare di questa humile visitatione, la quale fie non solo per mia parte, ma etiandio a nome di Mons. di Verona mio. Il quale per l' ultime sue scritte in Chambrai dice che è gran tempo che non ha inteso alcuna cosa di V. Ex., et che ciò gli è grave sopra modo, imponendomi strettamente che io in tutte le mie lettere ne gli renda buon conto et di lei et de' suoi dissegni, et ispetialmente del suo viaggio. Alla qual impositione et comandamento io non potrò rispondere senza l'aiuto suo, degnandose ella farne intender alle volte di sè et dello stato suo alcuna cosa, il quale se le desidera sempre felice.

Mons.r, come io detto ho di sopra, si ritrovava in Chambrai, et doveva insieme col Legato (1) Il cardinale Polo mandato dal papa nei paesi d'oltralpe. Egli doveva risiedere nel Belgio, salvo che potesse far ritorno nel suo paese, dond'era partito, essendo caduto in odio ad Enrico VIII per l'affare del divorzio. andar a Liegi, luogo neutrale, per ordine del Re di Francia. Il quale, per essere suto ricercato dall' Inglese di far loro poco piacere (1) Quando il Polo venne in Francia, l'ambasciatore inglese chiese a Francesco I di consegnarglielo. Il re rifiutò ed invitò il Polo a continuare celeremente il suo viaggio verso i Paesi Bassi. Intanto Enrico VIII dichiarava traditore il cardinale, ne metteva a prezzo la testa, e faceva offerte all'imperatore per averlo nelle mani. Il Polo allora da Cambrai si recò a Liegi (giugno), e nell'agosto fu richiamato a Roma., haveva fatto intender che li parea che fosse bene che 'l Legato non si trasferisse alla corte sua, ma più tosto si fermasse in qualche luogo neutrale in Fiandra. Mons. di Verona andò a basciar la mano a S. M.ta, dalla quale fu ricevuto con molto honore, et s'abbattè appunto andare alla presa del castello d'Hedim (2) Fatta dai Francesi il 13 di aprile 1537.. S. S. trovò tutti quelli R.mi Cardinali, che accompagnavano il Re loro, armati in arme bianche, et incominciò a dar loro la baia et motteggiarli sopra la profession che facevano. tutta differente da quella che far doveano.

Io ho scritto a Siena, dove intendo esser hora il padre fra Bernardino, che Mons. di Verona lo desidera haver questo anno che viene alla sua Chiesa. Ma non vorrebbe che l'anno incominciasse a Quaresima, come si suol fare in molti lochi, perciò che quel predicar di alhora li pare cosa fatta a stampa, ma desiderarebbe ch'egli v'andasse come prima potesse. Ho dato l'impresa a M. Lattantio (3) Lattanzio Tolomei da Siena, cugino di Claudio, uomo dotto ed amante delle arti. Cf. Reumont, p. 188.. non so come saremo ben serviti: questo dico perciò che temo non sia sforzato andar altrove, che da l'un canto il Vicerè di Sicilia scrive qui a diverse persone che adoperino d'haverlo, et dall'altro il Marchese d'Aghillar (4) Il marches d' Aguilar, ambasciatore cesareo a Roma. Egli voleva far andare l'Ochino a Firenze, per compiacere a Margherita d'Austria, figlia naturale di Carlo V, vedova del duca Alessandro de'Medici, assassinato il 7 di gennaio di quei medesimo anno. lo vorrebbe per Firenze; pur nonostante questi gran domandatori, non ho anchora perduta del tutto la speranza della dimanda di Mons. di Verona, et in gran parte l'ho fermata sul favor di V. Ex. ch'abbia ad aiutarmi seco, quando pur habbiamo ad haver bisogno d'intercessione et di mezzo appresso di lui, che appena il credo, sì è tutto disposto al compiacer gli amici et servi di Christo, et ispetialmente quelli che sono inviati alla strada, che esso medesimo predica al mondo.

Non mi resta a dir altro per hora se non raccomandarmi infinite volte a V. Ex. et con quella maggior reverentia che io posso basciarli la mano con questo inchiostro, poscia che altrimenti per hora non m'è dato poterlo fare.

Di Roma, alli IIII di giugno MDXXXVII. Di V. Ill.ma S.

Devotiss. servo Carlo Gualteruzzi.

(Alla Ill.ma et Ex.ma S.ra la S.ra March.sa di Pesch.a, mia S.ra et Patrona osser.ma

a Ferrara)

(1537), 12 giugno.

(Autogr.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III. parte II, p. 36, n. VII).

Ill.mo et Rev.mo Mons.or mio obs.mo

La mia intentione, como V. S. R.ma sa che li scrisse de quel remetter de danari, hera firmarme in Mantua non possendo per hora passar in Ierusalem; poi per timor che lì se congregasse molta gente per il Concilio (1) Convocato dal papa per il 23 di maggio 1537., pensai stare in Venetia, finchè posseva passare; poi a Dio è piaciuto che sia qui in Ferrara molto quieta e consolata, Dio gratia, chè la Ex.tia del Duca (2) Ercole Il d'Este, che governò dal 1534 al 1558. e tuti me satisfanno della mia desiderata libertà de solo attender alle vere carità et non tanto misturate como quelle che se causano dalla conversatione. Piaccia alla bontà divina che queste hore tutte mie le spenda de modo che non ne sia nisciuna mia, ma tutte de Christo. La mia S.ra Duchessa de Urbino me disse che V. S. verria qui: hebbi molto caro per imparar dal suo bono et da lui mal trattato spirito alcuna cosa. Scrissi a V. S. de quelle tele ordite dalla invidia contro el padre fra Belardino, et perchè V. S. partì, subito, non vorria rimanesse con quella ombra contra la luce, che lui ha da Dio. Li dico che per lettere de molti intendo che fu in Roma, et il papa e tutti i boni li ferno grandissime carezze, el che onora la Chiesia, et che vada (3) Così risulta dal confronto con l'autografo fatto per noi dal dott. Luzio. con tutta la benedittione possibile, che se vedeva dalli mirabil frutti nascer l'invidia, et ogi me scrivono l'alligata (4) Vedi lett. precedente., sì che molti il dimandano et io lo vorria lì in Mantua, che me pareria ove V. S. l'aiutassi a far frutto. La prego me faccia intender se crede serria per fare opera in servitio de Dio, perchè in qualche modo vedria de impedir l'altri, ma non bisogna dirne altro; li basta me advisi el suo parere, et Dio lo mandarà ove più lo servirà. Faciame gratia dire al S.r Duca e madama che li baso le mane, e quel S.r, che li ha aperta la mente e mollificato il cuore, se degni farcelo arder del suo fuoco e perficer nella sua gratia.

Da Ferrara, a dì XII de giugno.

S.va oblig.ma de V. S. Ill.ma et Ex.ma

La M.sa de Pes.ra (1) Il cardinale Gonzaga preparò la seguente risposta a questa lettera; ma non la spedì, essendo andato egli stesso a Ferrara. Trovasi nell'archivio di Mantova in minuta. Ne diede un sunto il Campori (p. 11), la pubblicò per intero il Luzio (p. 30, nota 1).
Alla Marchesa di Pescara. (*) Nel copialettere è notato: ma non andò.
Ill.ma Sig.ra mia osser.ma. Hebbi a questi dì una di V. Ill.ma S., che mi fu di molta satisfatione per havere inteso per essa con quanta quiete del animo la si stia costì in Ferrara, dalla qual cosa, perchè so che è molto desiderata da lei, non posso io se non pigliarme piacer grande. Ben è vero che di maggior contento mi sarebbe stato che quella dimora, che V. S. dissegna di fare in queste nostre parti di Lombardia, fusse più presto stata qui in Mantova che altrove, ove so che havrebbe havuti di molti contenti spirituali et temporali, che non può havere costì, non perchè il Principe non sia delli virtuosi et cortesi, che io conoschi, ma più tosto per non essere in Ferrara quella regola di vivere nelli preti et altri di Chiesa, che si ritrova qui. Apresso a questo habbiamo uno ospitale che si chiama della Misericordia, tanto ben governato da alcune di queste gentildonne, et in sè così buona et pia opera, che mi rendo certo che sarebbe stato materia degna del spirito et abbondante charità che Dio N. S. gli ha concessa. Il nostro Principe poi et queste altre S.re ill.me sarebbero restate molto satisfatte della sua stanza qui, et agiungendo che questa città sia più imperiale che l' Imp.e proprio et di tanta confidenza al sig.r Marchese del Vasto, quanto altra si sia di tutta Lombardia, discorro che a noi doveva toccare questo favore della presenza di V. Ill.ma s.; et se io havessi creso che quando ella mi ricercò che da Roma qui le facessi rispondere alcuni denari, che ciò fusse fatto da lei per volere stanciare qui tutto il tempo che le convenisse stare di qua, io non solamente l'havrei mandata ad invitare per mei a posta, ma io gli sarei venuto in persona. Ma per confessare il vero a V. S., non havrei mai pensato che per venir qui et starvi qualche tempo fusse bisognato ch'io l'havessi fatto rispondere li predetti danari, sapendo che io sono qui uno delli più accomodati che vi sia, et tanto tanto suo servidore che non reputerei il mio esser mio veramente, se non fusse altro tanto il suo. Ma poichè non si può fare che V. S. non sia dove è, et che forsi è stato per lo meglio ch'ella habbia fatta amicitia con quel ill.mo sig.re, laudarei mo che non fusse tanto d'altro, che non si dignasse d'esser anco di noi una parte di questo tempo che starà di qua, perchè l'assicuro che, senza comparatione, haverà maggiore satisfatione et contenti spirituali qui, che non ha in Ferrara; et quando non ve ne fusse alcuno altro che un assai accomodato luogo delli nostri capuccini, non so quello che mi possiate replicare. Quando V. S. si risolva di venire, come strettissimamente la priego a volerlo fare, sia contenta di rimandarmi indietro il presente mio pallafrenieri, qual mando a questa posta, et insieme con lui uno delli suoi, il qual habbia gusto di case fatte al cervello suo, chè se ne provederà una, che serà di sua satisfatione, et se gli farà un salvocondotto amplissimo che nissuno la molesterà, si non quanto vorrà ella che li sia dato fastidio. Et io le porrò alle mani due mie sorelle monache, con le quali vorrò che sguazzi tanto consolata, quanto se fusse al monte Calvario col capo in quella buca della Croce, et se cusì non è, mi contento che mi dii in preda del nostro gastaldo, il cui contado non è molto discosto de qui. Et non havendo altro che mi dire, baciole le mani, et la suplico a ricordarsi di me in utroque foro. Di Mant., il XVIII di giugno 1537.
Di V. Ill.ma S.
Servitore
Her. Card. di Mant.
Post. Mi sono lasciato trasportare dal dolce ragionar seco et dal desiderio che io ho, che V. S. sappia che non potrei ricevere maggiore contento al mondo che di vederla qui, et non le ho risposto cosa alcuna intorno al nostro frate Bernardino, del quale non ho mai dubitato anchora che in Roma si dicessero di molte cianze, come si sole di ogni uno; ma quanto alli casi suoi non mi saprei risolvere, se non parlassi prima con V. Ill.ma S.; però dovendo esser questo o ch'io venga costì o ch'ella si trasferischi qua, mi riserbo di dirle quanto mi parerà che Dio potrà operarer qua et altrove per istrumento di lui. (Ut in litteris).
.

1537, 11 settembre.

(Copia del secolo XVII fatta dal senatore Carlo Strozzi.—Archivio di Stato di Firenze (carte Uguccioni-Gherardi).—Bigazzi, Documenti inediti spettanti alla vita di Filippo Strozzi, in appendice al Filippo Strozzi, tragedia di G. B. Niccolini, Firenze, 1847, p. 259; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 413, n. XIII).

Illustrissimo Signor fratello honorandissimo. Pare alle persone che io possa lassare tutto el mondo, ma non Vostra Signoria, però confidano; è la fede loro, senza molestia vostra. Filippo Strozzi (1) Allora prigioniero dell'imperatore nella fortezza di Firenze dopo il fatto di Montemurlo. Su questa nobile lettera vedi Reumont, p. 167 e segg. mi prestò una volta certi danari, ben che subito glieli resi, pure mi è rimaso l'obbligo alla sua voluntà. Vorrei in servizio di Sua Maestà ed onor di Vostra Signoria che in quel può l'aiutasse; massime quel desiderio della patria escusa forse parte dell'errore, massime che costoro mandano a Sua Maestà, alla quale non bisogna raccomandar quelli che non errano. Io li ho compassione, e supplico Vostra Signoria che essa medesima si muova a raccomandarlo a chi li pare, nel modo che Dio l'inspirerà; alla cui bontà piaccia inchinare la mente dell' Imperatore a parerli che la dimostrazione fatta basti, e dia ormai fine a tanto sangue; e la illustrissima persona di V. S. guardi. Da Ferrara, a di 11 di settembre 1537.

Servirà V. S. Illustrissima sempre

La Marchesa di Pescara.

1537, 4 novembre.

(Lettere di M. Pietro Aretino, Venetia, per Venturino di Roffinelli, decembre 1538, c. 139v).

Il nostro secolo, Signora, che non ha più di che maravigliarsi, tali son l'opre, che havete prodotte con l'ingegno, si vorrebbe stupire di quelle, che partorite con lo spirto. Ma per esser fuor d'ogni comparatione più degna l'anima che l'intelletto, non sa come si incominciare ad aprir bocca od alzar ciglio. Due cose non più vedute, nè più comprese, ha visto e compreso il mondo: l'una fu l'invitto de l'animo del sommo vostro consorte: l'altra è l'invincibile de l'alta mente vostra bontà, de la quale vi si dona la palma; per ciò che egli con tali forze vinse le battaglie de le genti, et voi con sì fatto valore vincete le guerre de i sensi. E mentre la purità de le fiamme, di che ardano gli angeli, vi accende il cuore, sete vantata dal grido vero de la fama santa, onde il cielo vi serba altre palme, et altre corone, che non son le mortali; ben fu augurio di beatitudine il dì, che foste battezzata Vittoria, ben fu fatale cotal nome, poi che vincendo quasi in fatto d'arme tutte le vanità mondane, vi ornate de le spoglie e de i trophei, che s'acquistano nelle sconfitte date da la fermezza del ben fare e da la constantia de la fede a gli inganni terreni. Voi non per iscemare il grado del gran marito vostro, havete ritrovata la militia spirituale, le cui sacre schiere vengano in campo sotto l'insegne de la ragione, la quale per honor di Giesù, et in servigio de l'anima, triompha de gli avversari de l'ottime operationi, ma per mostrar che, sì come egli pose in uso, per domare l'inespugnabile, ciò che mai seppero le scole di Marte, così voi ponete in opra, per soggiogar l'abisso, quel che si può ritrare da gli studi di Christo, tenendo a vile quegli, che hanno più animo in acquistar la gloria de l'universo, che quella del cielo, mostrando più cuore in farsi signori de le città de la terra, che del regno del Paradiso, spargendo con più lealtà il sangue per gli huomini, che le lagrime per Iddio, e nello sperar de la laude o del guadagno, reputano la morte vita, impaurendo poi fin de l' ombre nel servire al Redentor nostro. Perciò i dominatori d'ogni clima non portar mai diadema che splendesse, come splende quello, che sfolgora nel capo di colui, che ha saputo sottomettere sè stesso, perchè la difficultà de la fortezza e de la prudentia sta in far ciò, e non in debellar gli imperi. E se così è, che carro, che ghirlanda si debbe a la giusta bontà vostra, poi che ella, che sempre tiene la coscientia in publico, nè mai fugge il conoscimento de l' errore, anzi havendo tuttavia guerra coi vitii e pace con le vertù, ha fatta prigione sè medesima di sè propria? O donna eletta, voi sola sapete vivere a la mensa celeste cibandovi di vivande cotte dal fervore al fuoco de la carità, la quale nel saldo vostro petto trova tutti gli alberghi de i suoi diletti casti, soavi, dolci, netti, sacri e santi. E perchè i suoi veraci desideri non fanno udir altro che le parole di Dio ascose dentro al seno de le scritture, havete cambiato lettione, e trasformando i libri poetici ne i volumi prophetici, studiate Christo, Paolo, Agostino, Girolamo e l'altre squille de la religione. Onde lieta per l'utile memoria, che lasciate quaggiuso o per la patria eterna procacciatavi lassuso, havete compassione, essendo tale, a chi è altrimenti solo per conoscer voi, che sete ristretta ne i paterni costumi, et adorna de le materne gratie, che tutto il mortale non è pur breve e poco, ma comune a gli animali anchora, e schifa de i doni, che ubbidiscano a la fortuna et al tempo; procacciate per l'anima perpetua cose sempiterne, sodisfacendo a Dio, che sempre fu, et a lei, che sempre sarà. Ma sarien pur eccellenti le magnificentie terrestri, se i principi, che ne son monarchi, ci ponessero innanzi una norma di ben vivere, come ci havete posto voi. Di Vinetia il IIII di novembre M. D. XXXVII.

1537, 6 novembre.

(Lettere scritte a Pietro Aretino, (Venezia), 1551, libro II, p. 18).

Molto Magnifico Signor. Non so s'io debbo più lodarvi che dislodarvi del libro che m' havete mandato: lodarvi perchè varamente il meritate in questa compositione, o dislodarvi perchè così buono ingegno habbiate a occupare in altre cose che in quelle de Christo, mostrandovi men grato a Dio e meno utile al mondo (1) A questo tempo l'Aretino aveva già stampato queste due opere ascetiche I sette salmi della penitenza di David (1534) e I tre libri della umanità di Cristo (1535).
Probabilmente il libro, che l'Aretino inviò a Vittoria, è la ristampa de' due primi canti di Marfisa con l'aggiunta di un terzo, dedicati al marchese del Vasto (Tre primi canti di battaglia del divino Pietro Aretino nuovamente stampati e istoriati), che porta la data di Venezia, settembre 1537.
Colui che mi diede il ditto libro non è mai più comparso, però aspettandolo ho tardato a rispondervi: ho scritto caldamente al Marchese del Guasto circa il negotio vostro; ma poi che sete contento quetarmi di quella cortesia, che io vi scrissi per sessanta scudi, ve ne mando adesso trenta, et ho scritto a M. Sebastiano Bonaventura che ve li dia, che in verità io non ho qui tanto che mi basti andar in Bolognese a un certo loghetto, dove vo per l'aer, chè questo mi è dannoso al possibile: il resto vi manderò più tosto che potrò. N. S. Dio vi inspiri a parlar et pensar di lui. A quel vostro giovane che mi mandò il libro non ho tempo risponder adesso, escusatemi.

Di Ferrara, alli VI di novembre MDXXXVII.

Al vostro honor paratissima
La Marchesa di Pescara.

(Al Signor Pietro Aretino etc.).

1538, 9 gennaio.

(Il secondo libro de le lettere di M. Pietro Aretino, s. l., 1547, p. 21).

Piacemi, modestissima Signora, che le cose religiose, ch'io ho scritto, non dispiacciano al gusto del vostro buon giuditio, et il dubbio, nel quale sete stata circa il dovere lodarmi o dislodarmi per ispendere l'ingegno in altro che in lettioni sacre, è sentimento dell'ottimo spirito si voltasse a Dio per esser egli il datore delle virtù et de gli intelletti. Confesso che mi faccio meno utile al mondo e men grato a Christo, consumando lo studio in ciance bugiarde e non in opre vere; ma d'ogni male è cagione la voluptà d'altrui et la necessità mia; chè, se i principi fussero tanto chietini, quanto io bisognoso, non ritrarei con la penna, se non misereri. Eccellente Madonna, tutti non hanno la gratia della divina inspiratione; essi ardono sempre della concupiscentia et voi abbrusciate ogni hora del foco angelico, et sonvi gli uffici et le prediche quel che sono a loro le musiche e le comedie. Voi non volgereste gli occhi a Hercole nelle fiamme, nè a Marsia senza pelle, et essi non terrebbero in camera S. Lorenzo su la grata, nè lo Apostolo scorticato. Ecco il mio compar Bruciolo intitola la Bibia al Re, che è pur christianissimo (1) La traduzione della Bibbia di Antonio Brucioli, stampata a Venezia nel 1532 e dedicata a Francesco I., et in cinque anni non ha havuto risposta, e forse che il libro non era ben tradotto e ben legato? Onde la mia Cortigiana, che ritrasse da lui la gran catena (2) Su questa catena d'oro donata da Francesco I all'Aretino vedi Mazzuchelli, Vita di Pietro Aretino, Milano, 1830, p. 118., non si rise del suo Testamento Vecchio, perchè non è honesto, sì che merito scusa delle ciancie da me composte per vivere et non per malitia. Ma così v'ispirasse Gesù a farmi contare da M. Sebastiano da Pesaro, dal quale ho ricevuto i trenta scudi, che gli imponeste, il resto ch'io debbo, come egli è vero. Di Vinetia, il IX di genaio MDXXXVIII.

(1) Il noto autore dell'Italia liberata dai Goti, di cui la vita e le opere furono studiate dal ch. ab. Bernardo Morsolin, al quale dobbiamo la trascrizione esatta di questa letterina.

(1538), 10 gennaio.

(Autogr.—Vicenza, presso la famiglia Trissino.—Pubblicata da Luigi Bossi in appendice al vol. X (Milano, 1817, p. 158, n. V) della sua traduzione della Vita e pontificato di Leone X di Guglielmo Roscoe; Visconti, Rime di Vittoria Colonna, Roma, 1840, p. CXIV; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 412, n. XII).

Mag.co Signor. El sig. Duca mostra in ogni cosa el suo buon giuditio: me è satisfaction che venga qui con la persona, che non potrei explicarlo. Me dole che non credo goderla molto per lo aere contrario alla indisposition mia; però è moderato el piacere, benchè la carità me costringa haverlo caro per li altri. Et nostro S. Dio ve guardi.

Da Ferrara, a dì X genaro.
(2) Il Bossi aggiunse la data 1537, errata, la quale fu ripetuta dal Visconti e dal Saltini.

Sono al comando vostro
M. di Pescara.

1538, … gennaio.

(Il secondo libro de le lettere di M. Pietro Aretino, s. l., 1547, p. 18).

Non può esser, Signora, che non sia stato qualche ruba favori, mendica gratie e trafuga cene quello, che per tormi la servitù, che io ho con seco, due hore innanzi che il servidor mio venisse a voi, fece contra di me il pessimo uffitio. Leggete il prologo della Cortigiana (1) Nel prologo della Cortigiana un forestiere chiede ad un gentiluomo perche siasi fatto tanto apparato. E questi risponde: «Per conto di una commedia, che debbe recitarsi or ora».—For. «Chi l'ha fatta, la divinissima marchesa di Pescara?»—Gent. «No, che il suo immortale stile loca nel numero de gli Dei il suo gran consorte». E continua il dialogo di questo passo lodando i letterati contemporanei., et scorrete la comedia del Marescalco (2) Atto V, scena III: «Pedante (a proposito di un nascituro):….. e sendo femina che Dio…..»—Marescalco «Me ne scampi».—Ped. «Lo voglia, arà de le qualitati de la famosissima marchesa di Pescara».—Cav. «Ora sì che bisognerà legarvi».—Ped. «Perchè?»—Cav. «Perchè appena Dio potrà fare che donna alcuna avesse una sola de le mille gloriose parti sue. Se ben rinascesse madonna Bianca del conte Manfredi di Collalto, de la cui presenza si meraviglia ora il cielo, sì come già se ne meravigliò la terra».—Conte: «Ella è così, nè potea egli esser marito di miglior mogliere, nè ella mogliere di miglior marito».—M. Iacopo: «Voi dite la verità».—Mar. «Or vedete cuius figurae, che le vostre chiacchiere non dànno in nulla».—Ped. «Certum est che ella fu lattata da le dieci muse». guardate la Pistola de i Salmi (3) I sette salmi de la penitentia di David, Vinegia. 1534. Nell'epistola dedicatoria ad Antonio de Leyva l'autore dice di questo: «Veggiolo anchora tutto acceso di christiano zelo rimirarme, che godo nel vedere la sacra Vittoria Colonna fervidamente considerare insieme col mirabile Alfonso Davolos le sante parole di questa mia dovuta fatica….». et ogni altra mia cosa, et vedrete s'io ho sempre havuto la vostra laude nella mia penna: tutte le persone del mondo sanno come l'Aretino tenne sempre sopra la testa gli honori della Marchesa, e dove ha mancato la bassezza dello stile, ha suplito l'altezza della volontà; e perchè io vi ho tuttavia conosciuta di spirto generoso, di natura magnanima, d'ingegno pellegrino, di virtù sola, di creanza nobile e di vita buona, non mi sarei mai messo a toccarvi il nome inviolabile, massime essendo quella donna, la quale giova a ciascuno; chè quando fusse altrimenti, lo confessarei, e per sapere che stimate più merito il rimettere il biasimo datovi, che non sentite piacere delle glorie attribuitemi, ve ne chiederei perdono; ma ci saria faccenda, se i Principi desser fede acciò che in dishonor loro esce fuor col mio titolo, come la viltà e l'ignoranza altrui vol parer d'esserci, ella cerca di contrafarmi la voce; sì che toglietevi da cotale impressione, e non ingiuriate la mia innocentia, con riputatione della malignità, che v'ha riportato il falso. Hor ditemi se voi credete che ciò non fusse pervenuto a l'orecchio del vostro Duca e della vostra Duchessa d'Urbino, quando pur io l'havessi detto? Et essendogli noto, hassi a pensare che facesser per me appresso di voi opere sì calde? Ma io torno a la consolation presa del vostro farmi dire che non sete chietina, quale io stimo; certamente io ve lo credo, perchè la scienza, di che la natura v'ha dotato la grandezza dello intelletto, sa bene che il premio, che si cerca ritrar da Dio per causa delle buone operationi, non consiste nel merto della favella, nel chino degli occhi, nè in l'aspro de l'habito, ama nella mente pura, nella elemosina larga e nella coscienza vera. Il principe, che si mostra quasi padre dei sudditi, diventa figliuolo di Christo, onde dee rallegrarsi la faccia con il pro che fa al corpo la salute dell'anima, et ingrassarsi con tal letitia il magro del digiuno, e tengasi il collo dritto, mentre si serve a Giesù, chè guai a chi lo torce con la circonstantia del parere e non con l'effetto de l'essere. Di Vinetia, il… di genaio MDXXXVIII.

(1538), 26 marzo.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1083, n. XI) (1) Questa lettera e quelle, che seguono ai n. XCIV, XCV, C, CVI, CXXXVIII, ci furono trascritte dal cav. Cesare Foucard, già direttore dell'Archivio di Stato di Modena..

Ill.mo et Ex.mo S.or S.or mio obser.mo

Mirai in Ierusalem, diedi in Egitto, pensai starme a Bologna in silentio (2) Vittoria, dopo essere rimasta circa dieci mesi a Ferrara, ne partì il 22 febbraio 1538 per Bologna, come si raccoglie da una lettera firmata Rinchinos al cardinale Gonzaga, citata dal Campori (p. 12) e pubblicata dal Luzio (p. 32, nota 1), che avverti quel nome essere lo pseudonimo del cardinale Benedetto Accolti, detto il cardinale di Ravenna. Sul soggiorno di Vittoria Colonna a Ferrara vedi Campori, p. 10 e segg.; Reumont, p. 158—170. e il dì medesmo che dal Castello partii per andarvi hebbi resposta da madamma (1) Margherita d'Austria, vedova di Alessandro de' Medici. qui che faceva predicar el padre (2) L'Ochino era stato nell'agosto 1537 a Ferrara, e vi aveva fondato una casa di cappuccini. in Pisa, non in Firenza; così voltai le redine, et per fugir cirimonie venni in un monesterio; ma de poi son state tante le carezze de madamma che, se io non havesse gustato quelle de V. S. et de madamma de Ferrara (3) Renata di Francia, moglie del duca Ercole Il. iudicaria che Spagnoli fanno assai; ma infin quando più godeva delle mirabil prediche, è stata tanta la instantia de Firenze che contra la voluntà de madamma ha bisognato remandarlo a quella cità, et io ho concorso per lo honore de Dio et magior frutto. Me sto qui consolata sin che serrà tempo ir a Lucca a bagni, qual presi, observarò la promessa. Suplico Vostra Ex.tia dica a monsignor (4) Ippolito d'Este, fratello del duca, arcivescovo di Milano, cardinale nel 1539. che de quel tintor, che li dette quella nova, stia sicuro che non è nè credo serrà, per quanto se pò cognoscer el futuro, et a la S.ra Mascara (5) Parole enimmatiche, di cui non riusciamo ad indovinare il senso, come neppure potemmo scoprire chi è la S.ra Mascara, se nome o pseudonimo (cf. lett. XCIV)., che alla avemaria me impaurì, dica che ho grandissima voglia de poterli parlar doi hore, serrà poi. El padre fra Belardin quando partì, che fu ieri, me disse che molto basava le man de V. Ex.tia, et se con le prediche che addesso non se n'è Vostra Ex.tia scordato, io spero che lo haverimo lì la quaresima che viene; certo qui per tutto è adorato, et son tutte burle, se non le sue prediche de quaresima, puro io me sto senza et ho ditto, è statto quel che Paulo dice: anathema ottabat esse pro fratribus meis. Vostra Ex.tia me faccia gratia darla al conte Alfonso (1) Forse Alfonso Trotti, che fu ministro del duca Alfonso I (Giovio, Vita d'Alfonso I; Cellini, Vita, I. II, c. vii)., qual prego et così messer Quaglino diano nova de me alla Ex.tia de madamma, alla S.ra Iacova (2) Probabilmente madonna Iacoma da Gelino, o Gellina, governante della principessa Leonora, il cui nome compare in una lista della casa di questa principessa (1569) e nel testamento della stessa (1575) (Campori e Solerti, Luigi, Lucrezia e Leonora d'Este, Torino, 1888, p. 94, 154). Leonora nacque il 19 giugno 1537, mentre Vittoria trovavasi a Ferrara, e fu da lei tenuta al fonte battesimale., S.ra Margarita (3) Forse Margherita Negrisuoli, balia della detta principessa (op. cit., p. 154, 190). e compagne e a tutte e tutti. Da Pisa, a dì xxvj de marzo.

Serva obligat.ma de V. Ex.ma S.ria
La M.sa de Pes.ra

(All'Ill.mo et Ecc.mo S.or mio oss.mo il S.or Duca di Ferrara).

(1538), 6 aprile.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, p. 98).

Io son pregato da alquanti gentili huomini di questa città ad intercedere con V. S. che sia contenta persuadere al molto rever. vostro padre frate Bernardino da Siena che accetti di venire, a quest' altra quaresima prossima, a predicare qui nella chiesa de' Santi Apostoli a riverentia et honor di N. S. Dio (1) Vi predicò in fatti nel 1539.. La qual cosa essi disiderano grandemente poter impetrar da S. Pat.; nè pure essi soli, ma tutta questa cittadinanza aspetta d'udirlo infinitamente volentieri. Io che non posso negar loro sì honesta et pia richiesta, nè men di loro mi terrò a buona ventura poter conoscere et udir quel santo huomo; priego il più caldamente che io posso et con quella riverenza, che si conviene, V. Ill.ma S.a a farne degni di questa gratia, sicuro che quanto vorrà la vostra bontà et virtù che egli faccia, tanto egli farà. Nelle vostre sante orationi raccomandandomi. A VI d' aprile MDXXXVIII. Di Vinegia.

(Alla Marchesa di Pescara a Roma).

(1538), 9 aprile.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Muller a Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1084, n. XII).

Ill.mo et Ex.mo S.or mio observ.mo

Le lettere de V. S., per el mio andar invisibile, a cagion de fugir cirimonie, non le ho haute prima de ogi qui in Lucca (2) Il Carnesecchi, interrogato nel suo processo dinanzi all'Inquisizione sulle sue relazioni con Vittoria, rispose: «L'ho conosciuta et osservata come meritava la vertù di quella signora. La prima volta ch'io la vedesse et li baciasse la mano fu qui in Roma il primo anno di papa Paulo terzo per introductione, si ben mi ricordo, del cardinale Palmieri, il quale era molto amico di quella signora. Di poi la reviddi a Fiorenza, essendo lei capitata in quelle bande per andare alli bagni di Lucca, dove essendo stato ancor io per mia buona sorte in quel tempo medesimo, hebbi occasione di pigliar ancor più stretta famigliarità et servitù con lei, et la continuai poi insin all'ultimo della sua vita». E altrove: «Mi ricordo esser stato alli bagni di Lucca nel tempo medesimo che vi era la marchesa, et d'haverla quelche volta visitata, ma non mi ricordo già d'essermi trovato in Lucca quando lei, et d'esser mai stato in quella città, se non in quell'anno per transito, tornandomene da detti bagni verso la patria, et questo fu nell'anno 1538». (Manzoni, Estratto del processo di Pietro Carnesecchi, nella Misc. di storia it., t. X, p. 267, 510).
L'Ochino predicò allora anche a Lucca. Ad Annibal Caro scriveva Giovanni Guidiccioni essergli piaciuto molto questo predicatore ed avergli indirizzato due sonetti (Guidiccioni, Opere, ed. Minutoli, Firenze, 1867, vol. I, p. 221 e i sonetti LXXII, LXXIII, a pag. 47).
ove ho basato el piedi alla Santità de nostro Signore (1) Paolo III era in viaggio verso Nizza, ove giunse il 17 di maggio per il celebre convegno con Carlo V e Francesco I., et con la mia verso Vostra Ex.tia sincerissima servitù li parlai più de una hora solo di lei (2) Dai tempi di Giulio Il gli Estensi erano in urto col governo pontificio. In fine di quest'anno 1538 il duca Ercole spedì a Roma don Francesco d'Este, il quale conchiuse l'accordo tra suo fratello e il papa (23 febbraio 1539) con la rinnovazione dell'investitura data da Alessandro VI alla casa d'Este, mediante pagamento di 180 mila ducati d'oro (Muratori, Antichità Estensi, parte II, p. 366). dicendoli la voluntà li cognosceva; mostrò affettion assai et de cognoscer Vostra Ex.tia per tale, ma disse i tempi e i ministri dilatavano. Dissi: Padre Santo, bisogna Vostra Santità se fidi lui, chè poi non observando el S.or Duca, è in vostra mano el rimedio; ma se'l Duca fidasse et Vostra Santità per caso mancasse, rimarria mal Su Ex.tia; concluse aspettar un poco, etc. Replicai: o dirrò el vero, Santo Padre, questo aspettar guasta, perchè se in questo abboccamento seguendo, Vostra Santità fa quel che vole, stirarà el Duca in modo che, per non spezzar la tela, lassarà la mano, et non se accordarà, se Vostra Santità non fa cosa che voglia ditto S.or, se ne starrà poi che tanto ha offerto etc. Disse che se prima posseva attendere che 'l farria; Ghinucci (1) Il cardinale Girolamo Ghinucci, che accompagnò il papa a Nizza. ne ha voglia et ce vien bene, maxime Simonetto absente (2) Il cardinale Iacopo Simonetta, che il papa, prima di partire, aveva eletto, insieme coi cardinali Campeggi ed Aleandri, per legato al concilio, che si doveva riunire a Vicenza.; sì che in Piacenza se potria far qualche bene, maxime che dico a V. S. certo che, se non manca de quello ha scritto, Sua M. contentarà el Papa del matrimonio (3) Il matrimonio fra la figlia naturale dell'imperatore, Margherita, ed il nipote del papa, Ottavio Farnese, celebrato poi nel novembre 1538. non solo per quello ha scritto a lui, ma qui, però sia per V. S. solo: et trovo qui le cose in altro termine che non credeva quella Mascara (4) È la medesima persona ricordata nella lett. XCII?; immo se loro andassero al aboccamento, forsi farriano più che non pensano. Non ho cifra, però non posso dir più, sono et serrò sempre a suo servitio, et certo ogni altro loco me par alieno e Ferrara patria mia. Baso a madama le mano. Da Lucca, a dì viiij de aprile.

Serva obbligat.ma de Vostra Ex.ma S.

La Marchesa de Pescara.

(All'Ill.mo et Exc.mo S.or mio oss.mo il S.or Duca di Ferrara).

1538, 18 maggio.

(Autogr. la proscritta e la sottoscrizione.—Archivio di Stato di Modena.—Muller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1085, n. XIII).

Ill.mo et Ecc.mo S.r mio oss.mo

Essendo alli mesi passati a mia contemplatione stato concesso da Vostra Ecc.tia un grado a messer Iullio Petrucci di adottorarsi in Ferrara gratis, però essendo per alhora fatti tutti li dottori, che in quel anno occurevan farsi, li fu promesso un grado del anno proximo da venire. Hora dandosi al sopra ditto oportuna occasione di adottorarsi et io desiderosa compiacerli, supplico Vostra Ecc.tia voglia essere contenta, havendo già conferito il benefitio, commettere a quel sacro collegio di Ferrara, voglia per il presente donare ditti gradi, atteso che a lhoro nulla importa tre o quattro mesi più o meno, et a me ne faranno piacer grande. Nè altro mi occorre che del continuo farmi a Vostra Ecc.tia raccomandata. Da Lucca, il dì xviij de maggio MDXXXViij. Non li fu promesso da Vostra Ex.tio, ma quelli homini da bene, a chi aspetta, me dettero de ciò fermezza, per quanto lui ancor me affirma; però supplico V. S. li faccia ogni favor, acciò segua.

Serva obbligat.ma de V. S. Ill.ma et Ec.ma

La M.sa de Pes.ra.

(All'Ill.mo et Ecc.mo S.r mio oss.mo il S.r Duca di Ferrara).

1538, 25 settembre.

(Lettere scritte a Pietro Aretino, (Venezia), 1551, libro II, p. 18).

Magnifico M. Pietro. Ve ringrazio della molta cortesia che demostrate nel mandarme sì bella et cara opera, et lodo assai la vostra liberalità in donarme quel residuo de trenta scudi, de' quali et dei pagati per altrui colpa fui debitrice, et li recevo da voi in dono, et vi prego che quando ve li manderò, chè sarà gionta che serò in Roma, vogliate in mio nome, ma per vostro conto donarli a qualche poverino, chè così la mia parola et la vostra offerta faranno lo effetto loro, et quella abundante infinita ricchezza de Dio ve dia sì povero lo spirito, che senta che non c'è altro tesoro che arricchirse di lui. Da Luca, ove son stata sempre, non a Pisa, come dice la vostra, ma passai de lì, et non possendo passar in Ierusalem, me stava qui consolata, ma son costretta da Sua Santità tornar a Roma istigato dal vostro et mio Marchese del Guasto, che li par se offenda la grandezza sua con la mia christiana bassezza.

A dì XXV di settembre del XXXVIII.
(1) Questa lettera, in risposta ad una dell' Aretino, che le annunciava l' invio dell'opera, spedita con la lett. XCVIII e riparlava dei danari, di cui è parola nelle lett. LXXXVIII e LXXXIX, fu pubblicata con la data del 1539. Ma siccome si vede che fu scritta da Lucca, così deve anticiparsi al 1538.

Al vostro honore paratissima
La Marchesa di Pescara.

(Al Magnifico Messer Pietro Aretino).

1538, 3 ottobre.

(Copia.—Biblioteca Vaticana. Collettanee di Gaetano Marini. Cod. 9069. f. 43—44, con la nota; «dall'originale in un codice della Libr. Albani») (1) Trascrittaci dal comm. Enrico Stevenson.

Ill.mo e R.mo Mons.e obs.mo

Intendo le ottime opere de V. S. R.ma per i frati di Christo, et suoi, et son certa che ne haverà da Dio premio ultra di quello, che sente nel bono effetto la sua istessa virtù; et perchè sempre Sua Santità responde bene, et Monsignor Ghinuccio benissimo, ma poi ogni giorno emanano ordini contrari a loro, bisogna che V. S. R.ma non desista; perchè come sa chiusero la porta del intrar de frati, sperando redur questa reforma a niente, et mostrando reformarsi loro; hor che vedono che questa per un solido fundamento della verità s'empie di seculari et va innanzi, et le loro reforme ogni giorno indrieto, non ponno haver patientia, ma in tutti i modi la molestano, che certo ormai ne vien pietà a quante città sono in Italia, che in tutte l'odor della ottima vita de' capuccini è mirabile grazia a Dio et a V. S., che fu primo origine de farce intrare i buoni. Dicono che Mons. Ghinucci (2) Il testo Ghigucci, corretto Binucci. dice che vorrà bene vadano doi o tre frati reformati dei loro a informarli delle loro reforme. Creda V. S. R.ma che il Generale ce mandarà doi o tre de quelli che ne ha solo la mostra, et forsi per quei pochi dì farà vestirne doi o tre di quelli piace a lui; ma se de vero vogliono saper la verità, faccian andar tutti i reformati de Santa Caterina, che è nella provintia di Genova, che li mandarò i nomi io, che stanno desperati: et della provintia de Santo Antonio, che se dogliano non poter vivere, che vennero ad me parte de loro a dolersi che nè volessero far bene, nè che altri lo facesse, et se dicono ogni homo in ogni loco pò far bene, lassi dir V. S. R.ma che è vero a chi non ha promessi i tre voti; ma chi li ha promessi, et vede che non si observano nei lochi dove stà, et che chi vol solo parlarne è incarcerato, creda V. S. che è peggio che tenerli in galea; ultra che fin contra Dio et contra ogni bono, che l' intende, quei poverini, che se sono una volta scoperti a reformarse con consentimento del proprio Generale, se stanno male come scrivono, et è così, lassenoli venire nella vera reforma, che liberaranno la Observantia de tanti malenconici, come dicono loro che sono reformati, et usciranno quelle anime dalla carcere ove stanno, et dal periculo della eterna: perchè, come pò considerar V. S., stanno in gran tormento, et se l'udissero, ne piangeriano, et sono andati al General del Observantia a buttarseli a piedi che li aiuti; disse che l' ordinarìa ali Provintiali; andorno alli Provintiali, et li dissero: sapete che ce ha ordinato el Generale, che ne mandiamo doi a Ragusa, doi a Brindisi, et che a poco a poco v' andamo dissipando. Hor veda V. S. che reforme, et come starrian capuccini con loro. Io non so de che ha timor Sua Santità, et li altri a non lassar andar le cose, como Dio le ha ordinate, che chi vol stringerse, se strenga; se tanta contraversia trovarrà l'Observantia, quando se strense, quanti beni fecero che non li haveria fatti. V. S. de gratia faccia come sole, quando vole, et mostri questa al mio Monsignor Ghinucci, el qual tengo per un delli compiti homini del mondo, se questi zoccolanti non fossero cagione d'impedirli molte gran gratie, che Dio li manderia: baso a V. S. le mano.

Da Lucca, a dì iij de ottobre 1538.

Serva di V. S. Ill.ma e R.ma La Marchesa de Pescara

(All'Ill.mo e R.mo Sig. mio observ.mo el Sig. Card. Triultio).

1538, 17 novembre.

(Il secondo libro de le lettere di M. Pietro Aretino, s. l., 1547, p. 104).

Religiosa et ottima donna. Perchè io so che disprezzate il mondo e non la virtù, vi faccio porgere una mia nuova fatica, la quale è sudata, come potete vedere, per il vostro nome anchora. Se a Dio, che non ha bisogno d'honori, non si accendessero et ardessero lumi et incensi, non haverei aperto la bocca nelle vostre lode (1) Non sappiamo a quale sua opera accenni l'Aretino., et perchè la venerabile duchessa di Urbino mi fece leggere quanto di me le scrivete, sono obligato a ringratiarvi del conto che fate delle cose, ch'io ho fatto, ma circa l'interesso dei denari trattimi del core per altri, sono sforzato di chiedervegli in carità, chè anch' io, che son mendico christiano et virtuoso, merito le vostre elemosine; avenga che i poveri di Ferrara, che dite, non v'hanno tanto impoverita che non potiate aiutare uno di quegli che son qui, bastandovi d'haver ricco lo spirito de le gratie di Christo. Di Vinetia, il 17 di novembre MDXXXVIII.

1538, 30 dicembre.

(Origin.—Roma, Archivio Colonna.—(Piccioni), Lettere inedite di Vittoria Colonna, Roma, 1875, p. 39, n. XIII).

El Rey. Illustre y amada nuestra. La letra que nos screvistes à los VI del presente havemos visto; y el Commendador mayor de Leon (1) Aveva allora questa dignità Francisco de los Covos. nos hizo assy mismo relacion delo que del screvistes, y holgamos de entender tam particularmente lo que en todo dezis; nuestra voluntad para la protection y conservacion de la Casa Colonna ha sido y es la que su grande affection y fidelidad y los servicios que nos ha hecho tienen meresada, y assy la havemos mostrado y mostraremos en todo lo que se offresciere. Y quanto à las differencias, que ay entre el illustre Ascanio Colonna, vuestro hermano, y Princesa de Sulmona (1) Isabella. figlia di Vespasiano Colonna e della prima moglie Beatrice Appiani, sposò in prime nozze Ludovico Gonzaga detto Rodomonte, fratello di Giulia, sua matrigna, ed in secondo matrimonio Filippo di Lannoy principe di Sulmona. Vespasiano Colonna, nel testamento fatto la vigilia della morte, avvenuta il 13 marzo 1528, aveva istituito erede la moglie Giulia Gonzaga, sostituendole la figlia Isabella, allora ancor nubile. La prima prese possesso dei ducati di Traetto e di Fondi nel regno napolitano e dei castelli nel Lazio posseduti dal morto marito. Ma Ascanio Colonna impugnò il testamento come contrario al diritto vigente nello Stato romano ed alla consuetudine di casa Colonna, escludenti le donne dalla successione nei dominii feudali romani. Ne sorse una guerricciuola, finita in quello stesso anno con vantaggio di Ascanio. Ma la questione, come si vede da questa lettera, non era troncata: ancora negli ultimi anni della sua vita, Vittoria scriveva intorno ad essa una lunga lettera al nipote Fabrizio (25 nov. 1544). Cf. Reumont, p. 216., lo que nos havemos siempre dicho y diximos à Su Santitad es que holgariamos que se tomasse alguno buen medio entre ellos, y en falta desto se hieziesse justicia: y agora screvimos al Marquès de Aguilar, nuestro ambaxador, que hable à Su Santidad sobre ello, y tenga la mano en concertallos, y que se tome alguno buen assiento en sus differencias; y quando esto no huviere lugar, siendo la cosa della Iglesia, y en que el remedio della justicia no se puede negar, no sabuamos con que razon ni color la pudiessemos, ni deviessemos estorvar. Y no nos queda que dezir mas en respuesta de vuestra carta de aggradesceros lo que dezis en ella, que se vee claramente que procede de la affection que nos teneis. Dat. en Toledo, à XXX de deziembre de MDXXXVIII.

Yo el Rey

(A la Illustre y amada nuestra Dona Victoria Colonna Marquesa vidua de Pescara).

1539, 23 febbraio.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, p. 98).

Mando a V. Ill.ma S. le allegate del nostro molto rever. frate Bernardino (1) Nel settembre 1538 l'Ochino era stato eletto vicario generale dei cappuccini. Sulle sue prediche a Venezia vedi pure le lettere dell'Aretino a Giustiniano Nelli e a Paolo III. Sulle prediche dell'Ochino fatte in quell'anno a Venezia, che si hanno a stampa, cf. Benrath, Bernardino Ochino, p. 44 e segg., il quale io ho udito così volentieri tutti questi pochi dì della presente quadragesima, che non posso a bastanza raccontarlo. Confesso non havere mai udito predicare più utilmente, nè più santamente di lui. Nè mi maraviglio se V. S. l'ama tanto, quanto ella fa. Ragiona molto diversamente et più christianamente de tutti gli altri, che in pergamo sian saliti a'miei giorni et con più viva charità et amore et migliori et più giovevoli cose. Piace a ciascuno sopra modo, et stimo ch'egli sia per portarsene, quando egli si partirà, il cuore di tutta questa città seco. Di tutto ciò si hanno immortali gratie a V. S., che ce l'havete prestato. Et io più che gli altri ne sentirò eterno obligo. Non sono potuto rimanermi di dirvene queste poche parole. V. S. stia sana et mi tenga per molto devoto alla sua virtù. A XXIII di febraio MDXXXIX. Di Vinegia.

(1539), 5 marzo.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena).

Ill.mo et Ex.mo S.r mio observ.mo

Suprema gratia è la mia che questa lettera, in resposta della sua portatami per Alfonso Giliolo (1) Gentiluomo della corte del duca di Ferrara., vada insiemi con la desiderata nova della publicatione del R.mo Cardinal novo da Este (2) Ippolito d'Este, fratello del duca Ercole, fu pubblicato cardinale il 5 marzo 1539., fattura della molta prudentia della Ex.tia Vostra, chè, benchè non sia fornito el concistorio, credo certo che serrà oggi ditta pubblicatione, della qual sento quella alegrezza, che pò sentir V. Ex.tia, con la qual me congratulo de core de ogni sua felicità, et del compare del novo figlio (3) Luigi d'Este, nato il 25 dicembre 1538, secondo figlio del duca, già padre di Alfonso, nato il 23 novembre 1533; di Anna, n. 16 novembre 1531; Lucrezia, n. 16 dicembre 1535; Eleonora, n. il 19 giugno 1537., et hec mutatio destere Excelsi. S.r mio, non ho tempo de più allongarmi, ma serrò con l'animo presente a tutte le feste, che li se faranno, et so che le prime serranno le spirituali. Et la suplico faccia per me basar i figlioli bellissimi et la man della Ex.tia de madama e tutte le dame della mia Ferrara. Da Roma, a dì V de marzo.

Serva la M.sa de Pescara.

(Al Ill.mo et Ex.mo S.r mio observandissimo el S.r Duca de Ferrara).

1539, 15 marzo.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV. p. 99).

Troppa cura si piglia dell'honor mio V. S. et troppo vi faticate per me, che nulla ho meritato con voi. Sì come da M. Flaminio (1) Marcantonio Flaminio. novellamente ho inteso, io non debbo far fine, nè farò mai di rendervene immortali gratie. Chè so bene quanto l'auttorità della grande et infinita bontà vostra et il valore del vostro generosissimo animo dee potere in ogni alto luogo. Et stimo che non possano i miei calumniatori, a' quali però io perdono, macchiarmi et nuocermi appresso verun giudice, a cui V. S. mi purghi et mi difenda. Ma vi priego che lasciate che N. S. Dio, che sa quello, che dee ben mio essere, governi egli questa bisogna, come alla sua maestà piace. Et fo V. S. di questo sicura che tutto ciò che ne averrà io riceverò da lui per lo migliore, et ne gli renderò piene gratie. Io non cercai mai d'esser Card., et se io n'ho a dir più oltra il vero, nè ancho disiderai (1) Il Bembo fu creato cardinale il 24 marzo 1539.. Non voglio già negarvi che la buona openione, che ha N. S. di me havuta, non mi sia gratissima stata et più anchora per ciò, che io non l'ho nè mendicata, nè ricercata, che per altro. Ma non mi pento tuttavia di questo mio picciolo et basso stato, se non in quanto io a N. S. Dio non serva come deverei. Ma ciò nell'animo mio sta, non nella mia fortuna, et posso a sua maestà servire così in questo stato, come in altro. Ragiono con V. S., come horagionato questa mattina col rev. padre frate Bernardino, a cui ho aperto tutto il cuore e pensier mio, come harei aperto dinanzi a Gesù Cristo, a cui stimo lui essere gratissimo et carissimo, nè a me pare haver giamai parlato col più santo huomo di lui. Sarei hora in Padova, sì perchè ho fornito una bisogna, che m'ha tenuto qui più d'uno anno continuo et sì per fuggir le dimande et i ragionamenti, che mi sono tutto 'l dì fatti da questi gentili huomini et amici miei et parenti sopra questo benedetto cardinalato, se non fosse che io non voglio lasciar d'udire le sue bellissime et santissime et giovevolissime predicationi et ho deliberato starmi qui, mentre ci starà egli. Stia sana V. S., et me tenga nella sua buona gratia. A XV di marzo MDXXXIX. Di Vinegia.

(Alla Marchesa di Pescara a Roma).

(1539), 20 marzo.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte Il, p. 41, n. XIII).

Ill.mo et Ex.mo Signor mio obs.mo

Scrissi a V. S. alegrandome del signor suo fratello (1) Vedi lett. Cl.; hor le scrivo per questo altro, benchè non li habia parlato, nè sappia se sta contento come merita.

Et perchè suplirà el signor Marco a recordarli la mia obligatissima servitù, non li serrò più molesta. Le baso infinite volte le mane, et la suplico al mio unico signor principe base la bellissima manina; ancorchè li sia flgliolo, faccia questa humilità in mio nome.

Da Roma, adì XX de marzo.

Obligat.ma servir Va Ill.ma et Ex.ma Signoria La M.sa de Pescara.

1539, 4 aprile.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, p. 101).

Vostra Ill.ma S. ha più da rallegrarsi della nuova dignità et grado datomi da N. S., per ciò ch'ella ne è stata in buona parte cagione, che per alcun mio merito, di che ella per sua molta cortesia ragiona meco nelle sue lettere, nelle quali veggo il grande affetto suo verso me, che da ogni parte soprabonda alla verità et si spande con la piena falda del suo caldo amore et del suo chiarissimo ingegno. Il che fa che io tanto maggiori gratie ne le ho da rendere et rendo tutto pieno d'infinito obligo alla sua singular bontà et benivolentia. N. S. Dio, dalla cui pietà ogni cosa viene, mi doni tanto della sua gratia che io possa rispondere alla credenza di voi. La quale in tanto non sarete sopra ciò ingannata, che io porterò meco sempre una ardente volontà di bene adoperare ad honor della maestà sua. Il nostro frate Bernardino, che mio il voglio da hora innanzi chiamare alla parte con voi, è hoggimai adorato in questa città; nè vi è huomo nè donna, che non l' alzi con le laudi fino al cielo. O quanto vale, o quanto diletta, o quanto giova! Ma mi riserbo di parlar di lui con V. S. a bocca. Et ancho ho pensiero di supplicar N. S. ad ordinar la sua vita di maniera, che ella possa bastar più lungamente ad honor di Dio et giovamento de gli huomini, che ella non è per bastare, così duramente governandola, come egli fa. Lo avvenimento del dono fattomi da N. S. tanto m'è più caro et grato stato, quanto io spero a brievi di veder V. S. et honorarla et riverirla presentemente, alla quale con tutto il cuore et con tutto il mio affetto mi raccomando. A IV d'aprile MDXXXIX. Di Vinegia.

(Alla Marchesa di Pescara a Roma.)

(1539), 11 maggio.

(Autogr.—Archivio di Stato di Firenze.—Campori, in Atti delle Dep. di si. patr. dell' Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 38, n. X).

Ill.mo et Ex.mo S.or figliolo hono.mo

Non ho ancor scrito a V. S. poi che Dio le ha dato el dominio integro delle sue cose (1) Guidobaldo II era succeduto al padre Francesco Maria, morto il 20 di ottobre 1538., reservando la prima lettera per cosa ch'io molto desiderassi; et perchè un de'miei magior pesi è il timor d'essere ingrata, vo sempre satisfacendo li obblighi miei, et però quando passai da Cagli, Guido (2) Chi fosse questo Guido, che stava a Cagli, non siamo riusciti a sapere, anche interrogando persone esperte della storia di quella città. me fece molte carezze, et è antico et fidel suo et vassallo de V. S.; cel recommando quanto per me sia possibile, et certo receverò in somma gratia quanto per lui farrà la S. V. la cui ill.ma et ex.ma persona nostro S.or Dio guardi.

Da Roma, adì 11 de maggio.

Deditissima per servir V. Ill.ma et Ex.ma S.ia La M.sa de Pescara.

(All'Ill.mo et Ex.mo S.or nepote hono.mo el S.or Duca d'Urbino).

(1539), 27 maggio.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Müller e Ferrero, in Atti dell' Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1086, n. XIV.)

Ill.mo et Ex.mo unico S.or mio.

Quanta consolation me sia stata sentir resonar sì honoratamente la mia cara Ferrara in Roma per la degna ambasciaria de Vostra Ex.tia (1) Il duca spedì a Roma Celio Calcagnini a ringraziare il papa dell'elezione di suo fratello al cardinalato., epsa sola sel potrà imaginare; et poi se è augumentata molto la mia alegrezza vedendola venir in questo humil loco et portarme la sua dolcissima lettera et le sue infinite cortesie. Rendo gratie grande alla Ex.tia Vostra, et suplico la divina bontà se degni con suo servitio darme iusta occasione de poter tornar a servirlo, como sommamente desidero et sono obligata. S.or mio, ho hauto un poco de martello intendendo che questo novo principino (2) Sui figli del duca vedi lett. Cl, nota 3. sia più bello che'l mio bellissimo principe, et nol posso creder per niente; et perchè in V. S. è il iuditio perfetto et la passione eguale, la suplico se degni scriverme el vero, et sella cosa fusse nel animo suo dubiosa, me contento starne al iuditio et resolution della bella sorellina (3) La primogenita Anna.; chè hor che V. S. ha tolto dalle sue spalle questo grave peso della Chiesia de Dio, pò metter un'hora per me in queste dolcezze, che sono pur sante e bone. Ho ditto quel che io so al S. Cavaliero, che lo riferirà a Vostra Ex.tia più per el debito della mia servitù che per non saper, chè sa ogni cosa meglio e più certo come per experientia ho visto: servirà al nostro monsignor de Ravenna (1) Bernardo Accolti detto il cardinale di Ravenna.; et per non esserli più…. resto basandoli la mano et così al ex… (2) Guasti cagionati da fuoco... demo. Da Roma, a dì XXVIJ de maggio.

Serva obligat.ma de V. S. Ill.ma et Ex.ma La M.sa de Pescara.

1539, 24 luglio.

(Autogr. la poscritta.—Archivio di Stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 39. n. XI).

Ill.mo et Ex.mo Signor mio.

Trovandosi M.re Ottaviano Sorbolo da Bagnacavallo, subdito di V. Ex.tia, quale li darà la presente, governatore del mio Stato, non ho possuto nè posso mancharli per l'amor li porto, attente le sue bone qualità, di raccomandarlo a V. E.tia quanto più posso, maxime in le cose iuste et honeste. Lui mi fa intendere che per molti anni si trova obligato per uno instrumento de suo patre et altri suoi parenti e complici di non offendere certi loro adversarii compatrioti sotto pena de mille ducati d'oro, per contraventione de la quale, senza perhò colpa, intervento et defecto alcuno suo nè de suo patre, anzi in absentia e stando detto M.re Ottaviano in queste parti di Roma, asserisse haver patito extremamente alli anni passati. Et perchè esso abhorisse simil discordie et risse, già longo tempo è che se è absentato dalla patria et venuto habitare in paese di Roma, dove si è acasato et preso domicilio con moglie e figli, exercitando la professione sua honoratamente. Per il che le par duro sentirsi continuamente obligato et astretto nel vinculo del detto instrumento. Donde li pò succedere gran ruina et danno in le facultà, quale tiene nel dominio di V. Ex.tia, per emergente colpa et demerito et scandalo nascesse d'alcuno de'suoi parenti o complici, senza notitia et defecto del detto M.re Ottaviano, alieno e lontano totalmente et con il corpo et con l'animo da simili maledictioni et inimicitie, in le quali mai lui se ingeritte, nè è per ingerirse.

Per tanto per non star continuamente con tal flagello et suspitione, viene et ricorre a V. Ex.tia se degni farli gratia de levarlo dal duro obligho di detto instrumento, concedendoli non sia tenuto esso M. Ottaviano per facti de parenti o altri complici et adherenti suoi, ma solamente per lui et suoi figlioli, del che è per dare ogni nova cautione, che piaccia a quella.

Hora mi è parso che 'l caso suo sia degno di compassione et da essere exaudito da V. Ex.tia; perhò l' ho voluto accompagnare con questa mia, supplicando quella non li voglia per amor io denegare detta gratia, quale anchora ch'iustissima sia, reputarò farsi in la persona mia propria, et le ne restarò con obbligho perpetuo, et di più raccomando a V. Ex.tia il prefato M. Ottaviano in ogn'altra sua cosa li potesse occorrere apresso di quella, supplicandola se degni per amor mio exaudirlo et farlo expedire presto, acciò possa retornare al servitio mio et di animo quieto et riposato attendere a quello. Et a V. Ex.tia di continuo baso le mani.

D Roma, alli XXIV di luglio M.D.XXXIX.

Molta gratia me farrà V.ra Ex.tia, tanto più che me serve il ditto M.re Ottaviano nelle terre mie, et par cosa assai iusta quella domanda, maxime restando obligato per sè et soi figlioli.

Dedit.ma e obligat.ma al servitio de V.ra Ex.tia

La M.sa de Pescara.

(Allo Ill.mo et Ex.mo Signor mio il Signor Duca di Ferrara).

(1539), 10 dicembre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 40, n. XII).

Ill.mo et Ex.mo Signor mio obs.mo.

El soverchio favor de V. S. Ill.ma me è stato questa volta una iusta reprensione de haver tardato tanto a scriverli che me habbia prevenuta, et me gionse la lettera della Ex.tia Vostra un giorno che haveva freschissima memoria delle sue divine virtù, havendo parlato con monsignor mio R.mo, suo fratello, el quale in molte cose me representò la Ex.tia Vostra, benchè como temporale Dio li concedesse maggior bellezza, ma nel resto, per il poco ch'io lo ho praticato, è fratel de Vostra Ex.tia, et certo sono obligatissima alla sua cortesia nata dal exempio datogli dalla Ex.tia V.ra, non da mio merito. Le cose del mondo vanno in modo che pagaria ogni gran cosa se potessi ragionar un giorno con Vostra Ex.tia, ma ottenessi la gratia de Iosuè, che fermò el sole allongando el giorno. Sella Ex.tia Vostra sapesse quanto affanno hebbi del mal del mio bellissimo S.r principe et le orationi che qui se ne fecero, cognosceria che de core li son vera serva: suplicoli se recordi comandarme, et io attenderò a pregar Dio che me faccia ritornar nella sua dolcissima Ferrara con Vostra Ex.tia, mio padrone, et con tante mie amiche, commare et sorelle et con la Ex.tia de madama et divini figlioli. In questa Natività renasca Vostra Ex.tia in Christo qual si degni haver particular cura di Sua Ex.tia

Da Roma, adì X de Xbre.

Obbligat.ma servir V.ra Ex.tia
La M.sa de Pescara.

(verso 1539).

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini libro primo, Vinegia, 1542, c. 44v).

Fin qui non mi ho potuto dolere di quel che intendeva che quel servitore andava dicendo; perchè io conosco l' huomo: ma hora me ne allegro, perchè ha dato a Vostra Signoria occasione di difendermi, et se egli ci pensasse, vederia esser nato effetto contrario all'intention sua: perciochè l'arme sue sono tanto deboli che non mi hanno potuto nuocere, et lo scudo di Vostra Signoria così forte che mi haveria difeso da maggior nimico: et difendendo, honora gli assaltati, là onde in luogo di contristarmi, son costretto a desiderar tali oppugnatori, dove io speri poi così fatte protettioni. Un altro guadagno ho fatto di tante calumnie, per l'argumento, che hanno dato a Vostra Signoria di scrivermi così humana lettera, et tanto stimo questa continuatione di memoria et di benivolentia che per questo stimo ancor più me stesso, et parmi haver necessità di portarmi di maniera, che non sia chi possa stimarmi indegno della gratia di Vostra Signoria, la quale, caminando velocemente per la via di Dio, ammonisce me con molti altri della mia tardezza. Questi buon padri cappuccini (1) Nel 1539 fu fondato a Verona il primo convento di cappuccini. Il vescovo Giberti ne fece fabbricare un altro a Bovolone (Boverio, Ann. capp., 1539, XXIV e segg.). Quindi sembra doversi credere scritta verso questo tempo la lettera del Giberti priva di nota cronologica., nelli quali risplende la vera, simplice et non fucata religione, per questo anchor son felici, che non hanno bisogno di favore humano: nondimeno, dove io posso, non potendo assimigliarmi a Vostra Signoria in altro, mi sforzo di assimigliarmele in questo ch' io mostro di conoscere di quanto honore et favore sia degna la lor vita innocente: et non volendo per hora estendermi in altro, bascio le mani di Vostra Signoria, et nella gratia sua, quanto posso, mi raccommando.

Il Vescovo di Verona (1) Nell'edizione del 1542 la lettera è senza firma. Questa compare nella successiva del 1544.

(1540), 16 gennaio.

(Autogr.—Archivio di Stato di Mantova.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 37, n. IX).

Ill.mo et Ex.mo Monsig.or mio obs.mo.

Promisi a mastro Agabito scriver a V. S. R.ma per lui, poi la matina che partì me trovai occupata, sicchè per non mancar li darrò questa molestia, et circa ditto patre non so che dirme, perchè in pulpito non lo ho mai odito, ma è molto aprobato dal R.mo Santa Croce, si che da V. S. ne aspetto el total vero iuditio, maxime hora che il R.do fra Belardino, passando de qui per andar a predicar in Napoli, me disse troppo gran cose della solida et non simulata virtù et bontà della S. V. R.ma, alla quale ho molta invidia che stia fuor de qui. Li baso le mane infinite volte, et la prego dica poi al preditto Agabito che li ho scritto per lui.

Da Roma, adì XVI de gennaro.
(1) Questa lettera è del 1540, sia perchè in essa si fa menzione del Fregoso, inalzato al cardinalato solo sulla fine del 1539, sia perchè vi si parla dell'Ochino, che passò per Roma per andare a predicare a Napoli.

Serva de V. Ill.ma et R.ma S.

La M.sa de Pes.ra

V. S. R.ma haverà ben inteso i molti affanni de molti, perchè el nostro Cardinal Fregoso (2) Federico Fregoso, figlio di Agostino, doge di Genova, e di Gentile di Montefeltro, sorella della madre di Vittoria, fu arcivescovo di Salerno, ed ebbe la porpora il 19 dicembre 1539. (Cf. Reumont, p. 178). Non riusciamo ad intendere le parole di questa poscritta. La congettura del Campori (p. 38, nota 2) che esse si riferiscano alla condanna del libro dell'Orazione scritto dal Fregoso è inammessibile, trattandosi di cosa posteriore alla sua morte, avvenuta nel 1541. In morte di lui Vittoria scrisse due sonetti (ed. Saltini, parte II, n. CXCVII, CXCVIII). acceptassi de provar d'esser un novo rubo incombusto.

(A lo Ill.mo et R.mo Monsig.or mio obs.mo el S.r Cardinal de Mantua).

(1) Questo prelato e poeta, che scrisse sonetti in lode di Vittoria, era in questo tempo presidente della Romagna.

1540, 4 febbraio.

(Delle lettere familiari del commendatore Annibal Caro, vol. III compilato da Anton Federigo Seghezzi, Padova, 1785, pag. 252 (2) Il Seghezzi aggiunse un certo numero di lettere del Guidiccioni, che trasse da un codice della Classense di Ravenna, a quelle del Caro, reputandole scritte da quest'ultimo, che fu segretario del Guidiccioni. Ma vedi l'osservazione del Minutoli in Guidiccioni. Op., vol. I, p. LXIII e segg..—Opere di Monsignor Guidiccioni. nuovamente raccolte ed ordinate a cura di Carlo Minutoli, Firenze, 1867, vol. II, p. 236).

Dell' esaltazione del Cardinal Fregoso non si debbe saper grado se non al giudizio di nostro Signore e alle virtù di Sua S.ria rev.ma. Tuttavolta l'obbligo, che l'E. V. dice d'averne meco, per questo m' è gratissimo, perchè vedo che di quel poco, che io ci ho fatto coll'affezione e colli buoni officii, e stato accetto e conosciuto; benchè n'abbi soverchio premio. Del governo per messer Cesare Vannuzio V. E. facilmente si può chiarire che io non ho modo di consolarlo, perchè tutti i lochi son presi, e da persone, che, senza ingiuriarle e sdegnar chi mi comanda che ce le tenghi, non si posson rimuovere. Nè per questo deve dubitar che la mia servitù le riesca a parole, come par che mi minacci di voler credere, se non la servo in questo, perchè la impossibilità si scusa per sè medesima: ed ella prima che ora si può essere certificata ch' io le sono servitore cogli effetti a par di qualunque altro.

E a V. E. con tutto l'animo mi raccomando.

Di Furlì, alli IV di febbraio 1540.

1540, 15 febbraio.

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 126v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 423, n. XVII) (1) Una copia in un codice del secolo XVII della biblioteca Quiriniana di Brescia (E VIII, 16) ci fu trascritta, del pari che la lett. CXIX, dal prof. Adolfo Bersi..

Sereniss. Regina. Le alte et religiose parole della humanissima lettera di V. Maestà mi dovriano insegnare quel sacro silentio, che in vece di lode s' offerisce alle cose divine; ma, temendo che la mia riconoscentia (2) Così la copia della Quiriniana. La stampa ha reverenza. non si potesse riputare ingratitudine, ardirò, non già di rispondere, ma di non tacere in tutto, et solo quasi per inalzare i contrapesi del suo celeste horologio, acciochè, piacendole per sua bontà di risonare, a me distingua et ordini l'hore di questa mia confusa vita, fin tanto che Dio mi concederà di udire V. M. ragionare dell' altra con la sua voce viva, come si degna darmi speranza. Et se tanta gratia l' infinita bontà mi concederà, sarà compito un (3) il nella copia della Quiriniana. mio intenso desiderio, il qual è stato gran tempo questo, ch' havendo noi bisogno in questa lunga et difficil via della vita di guida, che ne mostri il camino con la dottrina, et con l'opre insieme ne inviti a superar la fatica; et parendomi che gli essempii del suo proprio sesso (1) suo sesso, copia. a ciascuno sian più proportionati, et il seguir l'un l'altro più lecito; mi rivoltava alle donne grandi dell'Italia, per imparare da loro et imitarle: et benchè ne vedessi molte vertuose, non però giudicava che giustamente l'altre tutte quasi per norma se la proponesseno, in una sola fuor d' Italia s' intendeva esser congioncte le perfettioni della volontà insieme con quelle de l'intelletto: ma per essere in sì alto grado et sì lontana, si generava in me quella tristezza et timore, che hebbero li Hebrei vedendo il fuoco et la gloria di Dio su la cima del monte, dove essi ancor imperfetti di salir non ardivano, et tacitamente nel cuor loro domandavano al Signore che la sua divinità nel verbo humanando, si degnassi di approssimarsi ad essi: et come in quella spiritual sete la man pia del Signore gli andò intertenendo, hor con l'acqua miracolosa della pietra, hor con la celeste manna, così V. M. s'è mossa a consolarmi con la sua dolcissima lettera; et se a quelli l'effetto della grazia superò di gran lunga ogni loro aspettatione, a me similmente l'utilità di vedere la M. V. credo che avanzarà d'assai ogni mio desiderio: et certo non mi sarà difficile il viaggio per illuminare l'intelletto mio et pacificar la mia coscienza, et a V. M. penso (2) spero, id. che non sia discaro, per haver dinanzi un subietto (3) il suggetto, id., ove possa essercitare le due più rare vertù sue, cioè l'humiltà, perchè s'abbasserà basserà molto ad insegnarmi, la carità, perchè in me troverà resistenza a saper ricever le sue gratie. Ma essendo usanza che 'l più delle volte de i parti più faticosi sono i figliuoli più amati, spero che poi V. M. debbia allegrarsi d'havermi sì difficilmente partorita con lo spirito, et fattami di Dio et sua nuova creatura. Non saprei mai immaginarmi come mi vedeva la M. V. innanzi a sè, se non fusse che, essendosi per sua nobilissima natura rivolta indrieto a chiamarmi, è stato necessario che di lontano et dinanzi a sè mi veggia; o forsi nel modo che 'l servo Giovanni precedeva al Signore, a similitudine del quale potesse io almeno servir per quella voce, che nel deserto delle miserie nostre esclamassi a tutta l'Italia il preparar la strada alla desiderata venuta di V. M. Ma mentre sarà dalle sue alte et regali cure differita, attendarò a ragionare di lei col reverendiss.mo di Ferrara, il cui bel giudicio si dimostra in ogni cosa, et particolarmente in reverir la M. V. Et mi godo di vedere in questo signore le virtù in grado tale, che paiono di quelle antiche ne l'eccellenza, ma molto nuove a gli occhi nostri, troppo homai al mal usati. Ne ragiono assai col reverendiss.mo Polo, la cui conversatione è sempre in cielo, et solo per l'altrui utilità riguarda et cura la terra; et spesso col reverendiss.mo Bembo, tutto acceso de sì ben lavorare (1) tanto acceso di desiderio a lavorare, copia. in questa vigna del Signore, ch'ogni gran pagamento, senza mormoratione degli altri, se ben tardi fu condotto, gli conviene; et tutti gli miei ragionamenti m'ingegno che habbin principio et fine da sì degna materia, per havere un poco di quella luce che, con la mente ne l'ampiezza de'suoi viaggi, V. M. sì chiaramente discerne, e sì altamente honora; la qual si degni illustrare ogni giorno più sì pretiosa margherita, poi che sa sì ben dispendere et impartire gli suoi splendori che, thesaurizzando a sè, fa ricchi noi altri. Baso la sua regal mano, et nella sua desideratissima gratia humilmente mi raccommando. Di Roma, alli XV di febraro del M.D.XL (1) Figlia del papa Paolo III e moglie di Bosio II Sforza conte di Santa Fiora..

De V. S. M. obligatissima serva La Marchesa de Pescara.

(1540), 13 maggio.

(Autogr.—Modena. Collezione Campori.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 42, n. XIV).

Ill.m et Ex.mo S.or mio obs.mo. Creda V. S. che alla sua molta virtù sono sì obligata che me è somma gratia che me comandi; et col S.or Andalo parlava allora della molta satisfation, che hebbe Sua M.ta del andata de V. S., et che ancor lo havessi sì bene expedito serà stato poco lo effetto respetto a la voluntà, ne rengratio Dio et de me V. S. se prometta quel che si pò per obedientis.ma Circa el padre, havendo inteso che la propria S.ra Costanza Farnese (2) Figlia del papa Paolo III e moglie di Bosio II Sforza conte di Santa Fiora. non haveva possuto ottenerlo per Bologna et Mantua, scusandosi S. S.ta per l'instantia ne li fa Venetia (1) L'Ochino predicò nella quaresima del 1542 a Venezia. Ma questa lettera non può essere del 1541, poichè dalla metà di marzo di quell'anno Vittoria trovavasi nel convento di San Paolo ad Orvieto. Nel giugno 1540 l'Ochino fu a Palermo, e scrisse una lettera al vicerè Gonzaga, pubblicata dal Campori in nota a questa., tamen volsi provar per el mezzo del R.mo Fregoso, et me scrive le alligata poliza qual ho dato a M. Pietro, et benchè io creda più quel che disse a la figlia, puro o sia per Venetia o per Roma, non vedo ordine per Sicilia, sì che V. S. Ill.ma resti servita de quel che Dio inspira a Sua S., et me comandi sempre insieme con la S.ra Visregina (2) Isabella figlia del duca di Termoli., et ad tutti doi baso la mano.

Da Roma, adì XIII de maggio

Deditiss.ma servir V. S. Ill.ma et Ex.ma
La M.sa de Pes.ra

(All'Ill.mo, et Ex.mo S.or mio obs.mo el S.or don Ferrante de Gonzaga, Vicerrè de Sicilia et Generale Capitannio ecc.).

(1540, fine di maggio).

(Lettere volgari di diversì nobilissimi huomini, libro secondo, Vinergia, 1545, c. 8v).

Illustrissima et Eccellentissima mia Signora. Io non pensai giamai, partendomi di Roma (3) Il poeta florentino Lugi Alamanni accompagnò in Francia, nel 1540, il cardinale Ippolito d'Este., di portarne meco us si gran desiderio di essere con Vostra Eccellentia et un tanto dolore di haverla lasciata, come ho poi ritrovato in camino: il quale, come più mi allontano, più vien crescendo, ma in ciò solo amica mi ho trovata la fortuna in havere la compagnia di monsignor illustrissimo et reverendissimo di Ferrara, mio padrone, il qual non meno, nè in altra maniera è mal trattato dalla memoria di lei, la qual pur ci giova in questo che, essendo continua materia al ragionare, ci fa il camino più agevole et men lunghe et aspre queste Alpi: et facciamo a prova chi più se ne dolga, havendo lasciata Vostra Eccellentia, et più la lodi, et più si prezzi in haverla conosciuta: et io oltre al ragionarne, non mi sono potuto contenere di haverle scritto un sonetto di imaginatione delle sue rarissime opere, et poi non so quanti altri, più devoti assai di quel che io soglio, et, per dir il vero, più tocco da voglia di somigliare Vostra Eccellentia et di esserle caro, potendo, che da quel buon spirito, che loro si converrebbe: ma ho speranza che 'l tempo, l'usanza et l'essempio di lei mi desteranno quelle parti divine, che hanno in me si lungamente dormito, et ancor senza noi son sepolte nel sonno più che mai. Hor, per lasciar questi ragionamenti a più comodo luogo, dico all' Eccellentia Vostra che mi trovo in Leone (1) Il cardinale d'Este entrò a Lione il 17 di maggio, come si ricava da un suo libro di amministrazione conservato nell' Archivio di Stato di Modena., ove mi sono state date lettere per lei della Regina di Navarra, le quali le saranno presentate per mano di monsignor di Rodes, imbasciatore costì per il Christianissimo (2) Giorgio d' Armagnac, vescovo di Rodez, più tardi cardinale. persona eccellentissima et rarissima et ripiena di quelle singolar parti, che si possono più desiderare in ogni honoratissima persona. Domani partirò per la corte con monsignor illustrissimo et reverendissimo di Ferrara, il qual m' ha commandato ch'io le dica che tante volte quante di lei si ricorda il giorno, che sono più di mille, pieno tutto di riverenza et d'affettione, le bacia la mano, et io senza fine humilmente baciandole parimente la mano alla sua honorata et desiderata gratia quanto più posso me le raccomando, et prego Dio che la facci felice et venirle voglia di commandarmi.

In Leone.

Il di V. Eccellen.tia

Hum. et devoto ser. Luigi Alamanni.

(1540, giugno).

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 100) (1) Questa lettera e la seguente sono ripetute nelle successive edizioni del 1544 e del 1545; mancano in quella del 1548 e nelle seguenti. L'apostasia del Vergerio non ispiega il motivo dell' esclusione, poichè una terza lettera fu riprodotta in queste edizioni posteriori..

Eccellentissima Signora. Due flate ho scritto a V. Eccell. sul viaggio che ho fatto di Roma in qua (2) Il Vergerio, vescovo di Capo d'Istria, accompagnò il cardinale d'Este nel suo viaggio in Francia., et le ho dato aviso d'alcune cose più notabili che ho vedute, et de gli studii et pensieri miei. Hora perseverarò a far il medesimo. Ma prima la pace di Dio, quella che supera ogni altra dolcezza di questo mondo, sia con voi et custodisca et riempia il cor vostro et la intelligentia vostra. Noi giongessimo a Fontana bell'eo (1) Fontainebleau., dove è hora la Corte, alli VI di questo (2) In una lettera dell' 11 di giugno 1540 da Fontainebleau il cardinale scrive al duca suo fratello: «… giunsi qua domenica passata, che furono li 6 del presente» (Arch. di Stato di Modena). sani et lieti, il Cardinal mio et tutti. Il Re Christianissimo lo ha raccolto con una amorevolezza grande, et lo tiene in un favore meraviglioso. La Corte nella prima gionta mi parve una gran cosa, et credo che alla giornata mi parerà maggiore, perchè andarò pian piano conoscendo i prencipi et i gran personaggi, che vi sono, et prendendo qualche domestichezza di quelli, che io potrò; massimamente trovandone che habbino dottrina et lume di conoscere le vie di Dio; nelle quali vorrei pure che sua divina Maestà mi facesse gratia di poter intrare et seguire V. Eccell., che vi è intrata già buon pezzo, et è corsa tanto avanti.

Alla serenissima Regina di Navara non ho anchora fatta riverentia, nè la ambasciata della Eccellen. V., perciò che ho havuto rispetto a corrervi così tosto, consapevole della imbecillità et ignorantia mia et parendomi vederla di un giuditio molto grave. La vidi et contemplai attentamente per spatio di una hora continua, mentre che Sua Maestà parlava con il Cardinal mio; et parevami vedere et udire in quella faccia et in tutti i gesti di quel corpo una dolcissima harmonia di maestà, et di modestia et clementia. Poi, per la openione, che la Eccellentia Vostra ha di lei nell'animo impresso, negli occhi suoi mi pareva discernere quello spirito servente et quel lume, che Dio le ha dato così chiaro, da poter caminar alla beatitudine della eterna vita, senza incappare negli impedimenti, che sono in questa mortale. Io usarò ogni diligentia per poter tosto gustar più vicino il cibo di quelle dolcissime vertù: et se ella degnarà di lasciare che io l'ascolti qualche volta, manco m' increscerà di haver lasciata la scuola della Eccellentia Vostra et de' reverendissimi miei Cardinali Contareno, Polo, Bembo, Fregoso, che era tutt'uno. Gli studii miei sono da viandante, cioè sehza ordine; et quel poco, che io leggo, è in quegli auttori, che c'hanno descritte le altioni del nostro maestro Christo et dove possiamo meglio nutrire le anime nostre. Ho composto quattro discorsi sulle materie di Germania, et non gli mando hora alla Eccellentia Vostra, perchè io non ho via secura, et temo mandarli per le incerte, havendo là dentro espresso qualche cosa da buon Christiano, cioè liberamente ad honor di Dio; et ciò non piace al mondo, essendo diverse et alcuna fiata contrarie queste da quelle vie. Supplico V. Eccellen. a man gionte che prieghi Dio per me, il quale son freddo et quasi aggiacciato, et vorrei pur un giorno sentirmi un poco caldo nel suo servitio. Christo vede esso il core et desiderio mio; esso lo scaldi con una scintilletta del suo amore, chè io ne lo prego per tutto quello, ch'e' porta alle anime nostre: così molte flate lo prego io, ma perchè io non impetro la gratia, ripriego Vostra Eccellentia che ella lo prieghi che mi esaudisca.

Il Vescovo Vergerio.

(1540, verso la metà).

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 102) (1) Trovasi nelle edizioni del 1544 e del 1545; manea in quella del 1548 e nelle seguenti..

Eccellentissima Signora. La gratia, la misericordia, la pace di Dio padre et di Giesù Christo figliuolo del padre in verità et carità sia con voi. V. Eccellen. sa che appunto in questo modo San Giovanni salutò quella gentildonna, il cui nome proprio fu Eletta, non senza misterio, et che era con fervor grande venuta alla cognitione della verità evangelica. Et con questo modo istesso ho voluto salutar la Eccellentia Vostra, che hora è uno de'precipui lumi, et di più eletti, che ci va mostrando quella verità medesima, che era quasi nascosa tra le tenebre del nostro secolo. Et se tutto el disiderio et fine mio nelle lettere, che io le scrivo, è di trattare le cose dello spirito et delle scritture et di conferire con lei, et con questo modo accendermi un poco nel servigio del nostro Signor Dio, non ho dovuto già fuggire, come vicioso, un principio, che havesse una così lungha salutatione come è questa, pure che io la prendesse da quel fonte, che io l'ho tolta, onde non si può torre nè dire cosa, che non sia sempre buona in ciaschedun loco et tempo, ch'ella sia detta, perciò che Dio non riguarda se noi osserviamo gli ornamenti et le regole delle scientie et delle usanze mondane, pur che usiamo spesse fiate et ci nutriamo della sua parola et che diciamo et facciamo le cose nostre a gloria della sua divina Maestà. Ho da scrivere hora di una mia grandissima letitia et consolatione, che io ho havuto in questi giorni passati. La serenissima Regina di Navarra mi ha tenuto quattro longhe hore per le due prime fiate, a ragionar seco dello stato presente della Chiesia di Dio et de' sacri studii et di alcuni articoli bellissimi et tutti spirituali et di quegli appunto che Vostra Eccellentia suol desiderar che si ragioni et si pensi sempre. Li quali ragionamenti, perciochè mi sono parsi come un ricco thesoro dignissimi da conservare et da communicare; per esser anche tale che communicando si augumenta, subito che io mi partìa da Sua Maestà, ho raccolti insieme et descritti; et se havrò tempo hoggi di rivederli et farli trascrivere, penso di mandarli con questo spazzo, et far veder alla Eccellentia Vostra, quanto alto questa Regina ascende con lo intelletto et quanto bene ella sente et parla della gratia di Dio et della forza della parola di Dio. Ma bisognerebbe che sì come vi ho descritta la sustantia et la somma delle openioni sue, così io vi havesse saputo descriver il fervore, la eloquentia, la gratia meravigliosa, con la quale Sua Maestà a me le esprimeva. Signora Marchesa, io stimo che non sia possibile di dirle meglio. Et come, direte, potesti tu intenderle, usando essa, come intendiamo che usa per ordinario, la lingua francese, la quale tutti sappiamo che tu non intendi? Sua Maestà parlava francese, et io non intendo altri che parli in questa lingua, et nondimeno questa volta tanto l'ho intesa che io penso de haverne perdute pochissime chissime parole: et la ragione è che ella intende la lingua nostra d'Italia, se ben non l'usa, et intende etiandio molto della latina, nella quale io la sentii pronunciare alcune cose molto bene. Adunque Sua Maestà havendo rispetto et compatendo alla mia poca intelligentia et infirmità et volendo esser intesa, quando usava qualche vocabolo o modo di dire francese, che a lei poteva parere un poco duro et difficile alle mie orecchie, incontanente lo mitigava con un poco del nostro volgare d'Italia o col latino; oltra che ella pronunciava tanto distinto et tanto chiaro che mi faceva tosto capire la forza di quelli vocaboli; et poi si parlava di materia, della quale ho pur letto et sentito ragionar altre fiate. Basta che mi pare di haver ben inteso et raccolto intieramente quei ragionamenti, et la Eccellentia Vostra gli vederà et li leggerà con stupore, non solo con piacere et frutto. Lodato sia Giesù Christo, che in questi nostri tempi turbulenti ha suscitati in diverse città et provincie spiriti così fatti; il che soglio considerare et dire a tutte l'hore et stupirmi et consolarmi; in questi regni la serenissima Regina, di cui parlo, in Ferrara Madama Renea di Franza, in Urbino Madama Leonora Gonzaga, le quali io vidi tutte due venendo in qua, et conversai parecchie ore con le loro Eccellentie: et mi parvero intelletti molto elevati et molto pieni di carità et molto accesi in Christo; in Roma Madama Vittoria Colonna per dir hora solamente del sesso vostro. Io per me son securo che questa habbia ad esser la via, con la quale si venirà tosto a purgare et illustrare la santa vigna et Chiesa del Signore, che era piena di spine et di oscurità: cioè, se la bontà di Dio ci anderà suscitando di questi spiriti ferventi in un sesso et l'altro, in questa et in quella città et provincia, li quali da un longo sonno, che ci teneva gli occhi et gl' animi gravati et pigri, ci possono svegliar et scaldare nella cognitione delle vere vie et nel servigio di Dio, più che tutti gli inchiostri del mondo, che ci scrivessero ogni giorno molte reformationi, et più che quante diete si potessero mai fare. Emittet verbum suum (dice il propheta parlando di Dio), et farà molli quelle cose, che erano indurate, cioè gli cori nostri, gli intelletti nostri, gli giudicii nostri, che si erano, come in un durissimo giaccio, fermati nelle cose del mondo et negli errori. Soffiarà lo spirito di Dio, et noi per l' acque desgiacciate correrem in fretta portati nella nave della sua gratia suor dell' onde degli errori alla verità et alla eternità; et chi potrà retenere et tardare il nostro corso et l'impeto dello spirito di Dio? Mi raccomando a Vostra Eccellentia.

Il Vergerio.

1540, 14 agosto.

(Copie due nell'archivio di Monte Cassino. I, f. 8r - 9r; II, f. 81r-v.—Müller e Ferrero, in Atti dell' Acc. delle sc. di Tor., vol. XIX, p. 1087, n. XV).

Ill.mo S. fratello hon.do et amantissimo. Molte volte ho scritto alla S. Prencepessa et a V. S. de questa cosa del Colle, et l'uno se remette all'altro; però me par ultimamente scusarmene con le S. Vostre, quale so che insieme con detta S.ra hanno optima voluntà, ma gli ministri sempre hanno più gli occhi all'interesse che alla conscientia. Però a V. S. sta la resolutione, perchè io non so che utilità, honore et quiete nasca da non consolar questi rev.di padri, quali son condescesi a iustissimo partito, cioè lassar il Colle a V. S., come se sta, et gli cinquanta ducati, che io gli do l'anno per detto Colle, che la S. V. se contenti darceli in una cosa stabile o possessione o altro, et faranno tutte le cessioni et tutte le benedittioni agli passati et presenti, et Vostra S. sarrà fore d'ogni scrupolo: chè sin hora questo solo ch'io pago fa che se tiene con qualche proposito, et io lo volsi lasciare et dare la possessione a loro; ma hebbi lettera da la S.ra che non lo facessi, il che fece detta S.ra con gran causa, perchè gli vassalli se ne dolevano con meco e con lei. Hora gli frati vengono mo a non volere gli vassagli, sì che alla dimanda loro non vedo che de bona conscientia se possa, nè debba replicare; et certo se in tempo de V. S. e mio questo non se queta et fornisce, le cose se invecchiano, et gli altri dicono: mio padre lo tenne e dava denari, così voglio fare io, che gli denari, quando se pagano et quando no; poi secondo gli ministri seranno, sì che tutto verrà poi sopra la conschientia de chi è bene informato del vero, come è Vostra S. da me et più la S.a che'l recevette. Il Marchese mio mi ordinoò che se restituisse, et poi se vedesse de iustitia così, come questi rev.di padri allhor dimandorno: la soa morte impedì, onde questi sono venuti a più conveniente partito; perchèà certo è, ben che'l vassallo sia vostro et che loro siano recompensati, che io ho detto quanto posso, fatto et scritto, et gli do l'anno quel che vale et più, sichè io sono fora de carico, ma sono obbligata alla anima del signor mio et a quella de V. S., la quale so non bisogna in ciò molto pregarla, sapendo che dona più al mondo et che veda le gratie che Dio gli ha fatte et che ho reservata a lei questa bona opera sì che l' ha segregato dall' altri per molte gratie. Così Nostro S.ore istesso ce lo augmenti, et gli inspiri alla esecutione di questo servitio suo, et gli baso le mani. Da Roma, a dì xiiij di augusto 1540.

A. V.ra S. supplico che creda quello che'l presente latore di questa gli dirrà, et con lui pò pigliare la resolutione piacendoli.

Al servitio de V. S. Ill.ma sempre
La Marchesa de Peschara.

(Al Ill.mo S. fratello hon.do et amantissimo il S. Marchese del Vasto).

(1540, dopo la metà).

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 128).

M. Aloisio Alemani m'ha detto di haver havute lettere di V. Eccellen., nelle quali ella mi saluta, et si scusa di non haver potuto rispondere ad alcune mie. Io questa memoria, che si è tenuta di me, stimo et prendo per una longa et favorita risposta et continuo a scrivere. La serenissima Regina di Navara mi diede a legger la lettera ultima della Eccel. Vostra, et sopra vi fece meco ragionamenti et discorsi longhi; et mostrava di essere molto consolata, perchè ella vi havesse commosso l'animo a far quella buona deliberatione. Io non ho in somma maggior bene, nè maggior consolatione, che questa Regina, nata con quelle sue amorevolissime parole et con quei suoi modi meravigliosi a scaldar nel servigio di Dio i più freddi cuori del mondo; a me aviene questo, che io sto otto et dieci giorni che non comparisco alla Corte et vivo in qualche bella solitudine et attendo a coltivare l'animo mio et spargervi dentro la parola divina: et poi vado dove è l'ardor della carità di Sua Maestà, et sento che egli scalda quel seme et lo fortifica, et lo fa crescere et produrre il frutto, che è la cognitione di Dio et di quel che io sono, et un desiderio fervente di mettermi a servire lui solo. Hora io non vuoglio esser più longo et molesto alla Eccellen. Vostra. La pace di Christo sia con lei. Humilmente mi le raccomando.

Il Vescovo Vergerio.

(verso 1540).

(Copia in codice del secolo XVIII.—Biblioteca Quiriniana di Brescia (E. VIII, 16). —Müller e Ferrero, in Atti della R. Acc. delle sc. di Torino, vol. XIX, p. 1089, n. XVI).

S.ma M.

Stimano gli huomini molto la degnità regale, massimamente quando viene da lontano per antica progenie; et assai più se è accompagnata dalla virtù, che ricerca sì alto grado. La dottrina similmente et le doti dell'intelletto sono in gran pregio, et più s'honorano se in subietto di più felice fortuna si ritrovano. Ma sopra tutte queste cose è da reverire la religione, come suprema perfettione dell'anima nostra; et maggiormente in quei gran specchi, ove i popoli possono godere della utilità dell'esempio. Hor con che ardire scriverei io a V. M., intendendo che in alto grado, che to non posso esprimere, possiede tutte le predette degnità, se da sua parte non mi fosse stato comandato; et se io non credessi che sì hello edificio convien che habbi il suo vero fondamento, che è l'humiltà? Confesso dunque che gran tempo l'ho col pensero riverita, onde che era già sì grande il concetto di V. M. per fede, che conveniva partorirlo in qualche opera per amore, senza havere in cosa mia altra fidanza di quella, che la sua buontà mi concede. Non sarò già così ardila che io offerisca a tanta grandezza la mia debil servitù, perchè non ho desiderio d'ingrandirmi, come farei, quando ella degnasse accettarla; et perchè so che quella usa le cose humane per fruire le divine, et passa solo per le temporali quasi secura dell'eterno; in me non trovarebbe parte alcuna per servirsence a sì alto fine, se già la mia bassezza et indignità non fosse occasione, favorendomi di scoprir più la sua nobil cortesia, Benchè temo che, penetrando al vero, di me cognoscerà il suo intelletto non esservi cosa degna di rappresentaria alla memoria, et perderà col tempo l'affettione, che per sua buontà mi porta. Misser Luigi Alemani supplirà per me con V. M., la cui regal persona Nostro S.or Dio preservi nella sua gratia. Di Roma, ecc.

Devotiss. serva di V. M.
Vittoria Colonna
Marchesa de Pescara (1) Firma certamente alterata dal copista: Vittorin sottoscrivevasi sempre nelle lettere la marchesa di Pescara.

(verso 1540).

(Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, libro primo, Vinegia, 1542, c. 125v.

La vostra lettera, Cugina mia, m'ha portato tanto di contentamento, vedendo in essa la vostra tanto desiderata affettione dipinta vivamente, che la gioia m' ha fatto dimenticar la noia, ch'io dovrei havere di sentire in me il contrario delle lode, che mi dona la bontà del vostro giudicio, il quale vuole et stima ciascun simile a sè medesmo; et se non fusse che voi conoscete la conditione de i prencipi vitiosi, i quali l' huomo dice più agevolmente esser corretti per lode contrarie a loro, che per nulla dimostranza de lor proprii diffetti, io non saprei conoscere la carità, che voi usate verso di me; ma questa ignoranza è convertita in certa conoscenza dell' amore, che voi mi portate, mostrandomi la differenza, ch'è da' triomphi et dignità mondane et esteriori alla beltà et ornamento della figlia et vera sposa del solo et del gran Re, la quale è interiore et ben a dentro. Et mi par, mia Cugina, che per trovare questo fermo fondamento di quella pietra d'humiltà, non potevate prender meglior mezano che di dirmi qual io sono, quanto alla fantasia del mondo, che riguarda alla nobelezza et apparenze temporale et quale voi stimate che io sia per di dentro: perciò che io confesso, quanto al di fuori, che Dio m' ha messa e fatta nascer in tale stato che l'abbondanza et il demerito mio mi dovriano donare una meravigliosa temenza; et che per il di dentro io mi sento sì contraria alla vostra buona openione ch'io vorrei non haver vedute vostre lettere, se non per la speranza, che ho, che mediante le vostre buone preghiere elle mi saranno uno sprone per uscire del luoco, ove io sono, et cominciar a correre appresso di voi; perciò che avenga che voi siate così avanti che riguardando lo spacio, ch'è tra voi et me, io perda la speranza delle mie fatiche, non voglio io perdere la fè, che dona contro speranza a speranza vittoria, de la quale Dio per vostro buon ufficio havrà la gloria, et a Voi ne donerà il merito: alla qual cosa è necessaria la continuanza delle vostre orationi et le frequenti visitationi delle vostre utili scritture (1) Oltre a lettere, Vittoria inviò pure alla regina un libro di suoi sonetti, del quale così parla l'ambasciatore estense Sacrati in questi estratti di dispacci, che furono pure pubblicati dal Campori, Vitt. Col., p. 26, e segg. 1540, 14 agosto (Joinville).—«Alli passati essendomi stato indirizzato un libro di sonetti scritti a mano della signora Marchesa di Pescara da un gentilhuomo mio compatre, acciò gli havesse da presentare alla serenissima Reina di Navarra in nome suo, per havere Sua Maestà fatto recercare lui de' detti sonetti per mons. de Rhodes, et per essere quel gentilhuomo gran servitore della Marchesa et esser persona, che si diletta di questa arte et ne fa cumullo, non gli seppe negare, et il libro capitò con le lettere nelle mani di mons. Gran Contestabile (*) Di Montmorency., et Sua Exc.a mi fece dare le lettere per via indiretta et retene il libro vedendolo intitolato a Sua Maestà. Io che faceva ogni studio per intravenire dove fossero capitate le lettere, non ne potendo venire più in luce, et essendogli una lettera con la mia alla detta Reina, andai a lei, et dandogli la lettera et narrandogli il caso, mi rispose che 'l libro era in mano di mons.r Contestabile per havere lui detto che gli era capitato un libro di sonetti alla Reina di Navarra et che non sapeva come, ma che io avertisi se parlava seco di non gli dire che l'havesse inteso tal cosa da lei, et che altro non desiderava se non havere il libro indrizato a me et pregasse Sua Ex.a a volernello dare, acciò potesse esseguire quanto teneva in commissione dall'amico mio che così ho fatto, et mi ha risposto esser vero che l'ha havuto, et non sa come li sia capitato, et che non ha visto mie lettere et che l'haveva mostrato al Re et dappoi datolo alla Reina di Navarra: cosa che mi fu di gran contento intendere: dalla qual Reina andai subito allegrandomi che l' havesse havuto et dicendogli quanto n'aveva inteso da mons. Contestabile, sorridendo mi rispose che non l'haveva havuto altramente, et che era vero che ritrovandosi alla presentia del Re et sua, gli disse havere il libro et che gli rispose il dovere vorrebbe che me l'havesti mandato a casa et che Sua Exc.a non gli dette altra risposta, ma che lei mai glielo havrebbe mandato a domandare per più rispetti… Di quanto al libro Sua Maestà non volse gli ne movessi altro dicendomi che mons. Contestabile havea detto al Re ciò che in detti sonetti v'erano di molte cose contro la fede di Gesù Christo, et che, sapendo Sua Maestà il buon nome della signora Marchesa, se ne mocava, et mi ha pregato scriva ad Roma ne sia mandato un altro. Dicendo io a mons. rev.mo nostro quanto havea detto Sua Maestà circa il libro, et ridicendogli non la volere così lassare et recercare Sua Exc.a di muoverla come cosa mia et per servitio dell'amico, mi disse che a lui non pareva havesse a movere tal cosa perchè gli potrebbe intravenire parole et fatti fastidiosi tra Sua Exc.a et la Reina, ma che più presto gli facesse dire per un de' suoi ciò che mi haveva detto Sua Maestà havendoli dato la lettera di quel gentiluomo, pensando che havesse havuto il libro, et che questo era mio interesso particolar, pregando lei a volermi dar il libro a fine ne possi essequire la commissione, et per anco non mi è stato tempo di poterlo fare.» 1540, 24 agosto (Joinville).—«Mons. Contestabile mai ha dato quel libro de' sonetti alla Regina di Navarra.» 1540, 25 agosto (Joinville).—«Questa mattina mi son ritrovato all' abbadia, et la prima persona che giunse fu la Regina di Navarra, la qual con grande allegrezza mi disse havere havuto quel libro de sonnetti da mons.r Contestabile, et che glielo dete l'altro hieri alla cena del Re, publicamente dicendogli che'l pachetto dove era alligato il libro era indirizato a lui, et che lei gli rispose di no, dicendoli sapere di certo essere indrizato all'amb.re di Ferrara, come poteva constare per lettere, et mi ha detto che già la Maestà del Re era informato del tutto, et che vedendo mons.r Contestabile volersi tor quel buono in mano che'l libro fosse a lui indrizato ne prendea piacere, et si mocava di Sua Ecc.a per haverlo tenuto sin all'hora nelle mani; et essa l'ha havuto di questo modo, perchè quando fui a presentare li falconi al Re, narrai la cosa a mons.r de Villandri, pregando Sua Signoria a voler operare per molti rispetti con mons. Contestabile che mi desse il libro, acciò potesse esseguire il prego dell'amico et volontà della Regina: il qual mons. ha fatto l'ufficio conoscendo di quanta importantia era la retentione del libro. Dappoi il desinare del Re trovandomi in salla, dove era tutta la Corte, monsig. Contestabile mi chiamò et mi disse haver dato il libro alla Regina, et che non accadeva lo facessi pregare, perchè l'animo suo era di darlo a Sua Maestà, o a me, et che li perdonassi, se non l'havea dato a me, perchè gli è parso darlo a lei per buon rispetto, al qual risposi, purchè l'havesse havuto, restava contentissimo.», le quali io vi prego che non vi annoi di continuare: imperò che l'amicitia, cominciata per la fama, è tanto accresciuta per haverla veduta nelle vostre lettere reciproca, che più che gia mai desidero di haverne, et anchor più di esser così aventurosa che in questo mondo possi di Voi udir parlare della felicità de l'altro, et se in questo qui conoscete ch'io vi possa far qualche piacere, io vi prego, mia Cugina, d'impiegarmi, come vostra sorella; perciò che di così buon cuore vi sodisfarò, come nell'altro desidero et spero vedervi eternalmente.

Vostra buona cugina et vera amica
M. Margherita Regina di Navara

(All Illustrissima Marchesa di Peschara).

(1) Sulle relazioni di Michelangelo con Vittoria vedi GUASTI Le rime di Michelangelo cavate dagli autograsi, Firenze, 1863, p. XXI-XXV; Grimm, Leben Michelangelo's 3a ed., Honnover, 1868, t. III, p. 139—176; Reumont, p. 185—199.
Di Michelangelo a Vittoria non restano che due lettere e di lei a lui cinque, tutte senza data. Salvo una da Viterbo (1542—43) ed un'altra, ceh ci sembra degli ultimi anni della marchesa, crediamo, col Reumout, che quest lettere, meglio che ad anni posteriori spettino al tempo della dimora di Vittoria a Roma fra il 1539 e il 1540.

(1539&emdash;40).

(Copia tratta dal codice Vaticano dello Poesie di Michelangelo.—Firenze, Museo Buonarroti.—Bottari e Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, Milano, 1822, vol. I, p. 12) (con indirizzo errato) (2) A Cosimo I duca di Firenze.; Milanesi, Lettere di Michelangelo Buonarroti, Firenze 1875, p. 515, n. CDLV).

Signora Marchesa. E' non par, sendo io in Roma, che egli accadessi lasciar il crocifisso (1) Il Condivi (Vita di M. A., c. 63) e il Vasari (Vita di M. A., ed. di Milano, t. XIV, p. 285) parlano di un disegno di un Cristo in croce dal Buonarroti fatto per Vittoria. a messar Tommao (2) Tommaso de'Cavalieri, romano, amico di Michelangelo. e farlo mezzano fra Vostra Signoria e me suo servo, acciocchè io la serva, e massimo avendo io desiderato di far più per quella che per uomo che io conoscessi mai al mondo; ma l' occupazione grande, in che sono stato e sono, non ha lasciato conoscer questo a Vostra Signoria: e perchè io so che ella sa che amore non vuol maestro, e che chi ama non dorme, manco accadeva ancora mezzi: e benchè e' paressi che io non mi ricordassi, io facevo quello ch'io non diceva per giugnere con cosa non aspettata. È stato guasto il mio disegno: Mal fa chi tanta fè sì tosto oblia.

Servitore di Vostra Signoria
Michelagniolo Buonarroti in Roma.

(1539&emdash;40).

(Autogr.—Firenze. Museo Buonarroti.—Da copia antica presso di sè, Campori, Lettere artistiche inedite, Modena, 1866, p. 14, n. XIII).

Cordialissimo mio S. Michel Agnelo. Ve prego me mandiate un poco el Crucifisso, se ben non è fornito, perchè il vorria mostrare a gentilhuomini del R.mo Cardinal de Mantua: et se voi non sete oggi in lavoro, protressi venir a parlarmi con vostra comodità.

Al commando vostro
La Marchesa di Pescara.

(1539&emdash;40).

(Autogr.—Londra. Museo Britannico.—Grimm, Leben Michelangelo's 3a ed., Hannover, 1868, vol. III, p. 340. Da copia antica presso di sè, Campori, Lett. art. ined., p. 15, n. XV).

Unico maestro Michelagnelo et mio singularissimo amico. Ho hauta la vostra et visto il crucifizo, il qual certamente ha crucifixe nella memoria mia quale altri picture viddi mai, nè se pò veder più ben fatta, più viva et più finita imagine et certo io non potrei mai explicar quanto sottilmente et mirabilmente è fatta, per il che ho risoluta de non volerlo di man d'altri, et però chiaritemi, se questo è d'altri, patientia. Se è vostro, io in ogni modo vel torrei, ma in caso che non sia vostro et vogliate farlo fare a quel vostro, ci parlaremo prima, perchè cognoscendo io la dificultà che ce è di imitarlo, più presto mi resolve che colui faccia un'altra cosa che questa; ma se è il vostro questo, habbiate patientia che non son per tornarlo più. Io l'ho ben visto al lume et col vetro et col specchio, et non viddi mai la più finita cosa. Son

al comandamento vostro
La Marchesa di Pescara.

(1539&emdash;40).

(Autogr.—Firenze. Museo Buonarroti.—Da copia antica presso di sè, Campori, Lett. art. ined., p. 15, n. XVI).

Li effetti vostri excitano a forza il giuditio di chi li guarda et per vederne più exsperientia parlai de accrescer bontà alle cose perfette. Et ho visto che omnia possibilia sunt credenti. Io ebbi grandissima fede in Dio che vi dessi una gratia soprannaturale a far questo Cristo: poi il viddi sì mirabile che superò in tutti i modi ogni mia expettatione: poi facta animosa dalli miraculi vostri, desiderai quello che hora maravegliosamente vedo adempito, cioè che sta da ogni parte in summa perfectione, et non se portia desiderar più, nè gionger a desiderar tanto. Et ve dico che mi alegro molto che l'angelo da man destra sia assai più bello, perchè il Michele ponerà voi Michel Angelo alla destra del Signore nel dì novissimo. Et in questo mezzo io non so come servirvi in altro che in pregarne questo dolce Cristo, che sì bene et perfettamente havete depinto (1) Qui ci pare si accenni non al crocifisso, di cui nelle lett. CXXICXXIII, ma alla deposizione dalla croce, per lei dipinta dal Buonarroti e così descritta dal Condivi (c. 63):«Fece a requisizione di questa signora (la marchesana di Pescara) un Cristo ignudo, quando è tolto di croce, il quale, come corpo morto abbandonato, cascherebbe a' piedi della sua santissima madre, se da due agnoletti non fosse sostenuto a braccia. Ma ella, sotto la croce stando a sedere con volto lacrimoso e dolente, alza al cielo ambe le mani e braccia aperte, con un cotal detto, che nel troncon della croce scritto si legge:
Non vi si pensa quanto sangue costa!
La croce è simile a quella, che da' Bianchi, nel tempo della morìa del trecento quarantotto era portata in processione, che poi fu posta nella chiesa di Santa Croce di Firenze». Onde da questa lettera non crediamo si possa dedurre che, oltre al disegno, il Buonarroti abbia dipinto un corcifisso per la marchesa. Il Vasari parla pure di questo lavoro, che il Gori, nelle note al Condivi (ed. di Firenze, 1746, p. 119), scambiò in un gruppo di marmo. Vedi anche un brano di lettera riportato dal Luzia, Vitt. Col., p. 51, nota 2.
, et pregar vio me comandiate come cosa vostra in tutto et per tutto.

Al vostro comando
La M.sa de Pescara.

(1539&emdash;40).

(Autogr.—Firenze, Museo Buonarroti. Codice autografo delle Poesie di Michelangelo, sotto il sonetto Per esser manco almen, Signora, indegno.—Milanesi, Lettere di Michelangelo Buonarroti, p. 514, n. CDLIV).

Volevo, Signora, prima che io pigliassi le cose, che Vostra Signoria m'ha più volte volute dare, per riceverle manco indegnamente che io potevo, far qualche cosa a quella di mia mano: dipoi, riconosciuto e visto che la grazia di Iddio non si può comperare, e che'l teneral a disagio è peccato grandissimo, dico mia colpa, e volentieri dette cose accetto: e quando l'arò, non per averle in casa, ma per essere io in casa loro, mi parrà essere in paradiso: di che ne resterò più obrigato, se più posso essere di quel ch' i sono, a Vostra Signoria.

L'aportatore di questa sarà Urbino (1) Macinatore di colori di Michelangelo., che sta meco, al quale Vostra Signoria potrà dire, quando vuole ch' i venga a vedere la testa c'ha promesso mostrarmi. E a quella mi racomando.

Michelagniolo Buonarroti.

(2) Impossibile stabilire una data a questa lettera. Il Guidiccioni morì il 26 di luglio 1541

(prima del 1541).

Opere di Monsignor Giovanni Guidiccioni nuovamente raccolte ed ordinate a cura di Carlo Minutoli, Firenze, 1867, vol. I, p. 225).

Vostra Eccellenza mi farebbe tener da molto più che io non mi tengo e che io non sono, se io non conoscessi la povertà del mio dire. È il suo costume di esaltar gli umili, poichè si scusa meco di aver tardato a scrivermi, et è larga di quelle lodi a'miei sonetti, che sariano debite e poche alli suoi. Ma io so certo che so nulla, e non cerco altra gloria di loro, salvo che di sapere che siano letti da lei; perchè d'ogni mia fatica, o picciola o grande, mi parerà di ricever gran premio, quando io sia di ciò sicuro, e quando io possa farle conoscere che vengano da persona, che non è mai sazia di faveller di lei e di pensare all'alta virtù dell'animo suo. Et fusse piacer di Dio ch'io mi avvicinassi tanto al suo dotto e leggiadro stile che io potessi, non voglio dir con isperanza di laude, ma senza timor di riprensione, comporre un verso. Ma poi che Ella ha sì buona opinione dì me, mi sforzerò con ogni studio di far sì che Ella non sofferisca molto rossore di avere sperato qualche frutto di sì sterile pianta. La ringrazio della liberalità, ch'Ella m'ha usata del suo ritratto, il quale non potevo venire dinanzi agli occhi e nelle mani di alcuno, il quale con maggior riverenza e con più desiderio lo vedesse et lo ricevesse di quello che farò io, come mi fia mandato, che doverà esser presto, secondo ch'io ne sono avvisato da chi n'ha cura. De gli ultimi suoi tre bellissimi sonetti similmente le rendo grazie; gli quali m'hanno tanto ripieno l'animo e le orecchie, quanto sogliono le cose, che si gustano saporitamente e che piacciono assai: e parmi che il Bembo n'averia da desiderare qualch'uno nell'opera sua. Et non dubito punto che Ella sia per acquistare ogni giorno più e superar con più mirabil cose sè medesima, quello che già non mi saria potuto capir nella mente parendomi che Ella fusse arrivata a quella finezza e perfezione di stile e di concetti che si può immaginar più vera. E comprendo che l'antica gloria di Toscana si rinoverà, anzi passerà del tutto nel Lazio. Io le mando alcuni miei sonetti per ubbidirla e per imparare. Le porgo umili preghi che voglia palesare a Gioseppe, suo servitor (1) Giuseppe Iova, lucchese, segretario di Vittoria, su cui veggasi la nota del Minutoli ad una lettera allo stesso Iova, in cui il Guidiccioni lo loda dell'aver preso servizio dalla marchesa e fa qualche osservazione richiestagli intorno a sonetti di lei (Opere, vol. I, p. 227)., gli loro errori, acciochè io possa, ammonito da lui, correggerli et emendarli. Tra loro ne sarà uno indirizzato a lei (1) Forse il sonetto XIX, a pag. 20 del vol. I dell'edizione citata., per lo quale io non so se io meriti perdono a non consentire che sì valorosa donna vinca il dolore e l'ira. Delle tante offerte, che Ella mi fa con sua buona grazia, ne accetto una, e fla questa: che le piaccia degnarsi pensare alcuna volta che non ha uomo al mondo che la riverisca quanto io, nè chi più desideri di mostrarnele. Alla quale mi raccomando e le prego ogni felicità.

(2) Anche di questa lettera, del resto insignificante, è impossibile determinare la data. È però scritta prima del tempo, in cui Vittoria dimorò successivamente nei conventi di Orvieto, Viterbo e Roma.

(prima del 1541), 7 marzo.

(Autogr.—Archivio di stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 45, n. XVIII).

III.mo et Ex.mo Signor mio obs.mo

V. Ex.tia sa che, dicendome per sua humanità che voleva suplicarli, li resposi che solo me herano a core le cose del Cavalier Piatese, cognoscendo che l'expedirlo presto importa al servitio de Dio. Lui va alla S. V.; la suplico li mostri che non li ho ditto buscia, et che la fede grandissima, che ha in V. S. Ill.ma, haverà el suo effeto et serrà per sua somma bontà presto exspedito, chè quanto posso me sono informata e vedo che solo consiste in esser viste le sue ragione da persona integra et sincera, et perchè so la bona voluntà de V. S. Ill.ma, non li serrò più molesta. Suplico la divina bontà che la prosperi et exalti como io desidero.

Dal Castel del Vescovo, adì VII de marzo.

Serva obligat.ma de V. Ill.ma et Ex.ma Signoria
La M.sa de Pes.ra

(1) Questa e le seguenti nove lettere (n. CXXIX-CXXXVII) concernono i primordii della lotta fra Ascanio Colonna e il papa Paolo III e sono dei primi giorni del marzo 1541. V. lett. CXXXIV.
II papa, nel 1540, aveva aumentato il prezzo del sale. Perugia, che avea voluto opporsi a quest'ordine, fu sottomessa con la forza. Ascanio Colonna, a sua volta, non volle prendere il sale per i suoi feudi nello Stato ecclesiastico; alcuni suoi vassalli furono imprigionati. Egli, per vendicarsi, scorse per le terre pontificie predando bestiami e recando danni. Il papa lo fece cita re con breve del 25 di febbraio 1541. Il Colonna non comparve; e non rispose altro se non di essere vassallo fedele della Chiesa. Si venne alle armi, non ostante gli sforzi fatti per comporre la questione dal marchese d'Aguilar, ambasciatore di Carlo V a Roma, e dal vicerè di Napoli. Vedi Reumont, pag. 203 e segg.
II sig. Domenico Tordi ci ha comunicato la copia dell'inedito breve di citazione tratta dall'Archivio di Stato di Roma (Processi criminali, 1539—41, filza 24, n. 1, f. 5):
Paulus papa III. Dilecto filio nobili viro Ascanio Columnae, domicello Romano salutem et ap. ben. Scripsimus tibi superiori anno, ut quemadmodum ceteri domicelli Romani faciebant pro menium almae Urbis nostrae edificio vastatores ex tuis terris et locis, mitteres et pro eiusdem Urbis subventione frumentum per subditos tuos ad ipsam Urbem portari permitteres, quod utrumque a te neglectum fuit. Nuper vero his non contentus, cum quidam ex tuis ob non solutionem augumenti pretii salis per nos impositi mediante iustitia in dicta Urbe capti et detenti fuissent, tu sine ullo nostro respectu quoscumque ex locis Ecclesie ad ipsam Urbem venientes in tuis terris capi et detineri, praeterea vaccas quasdam et forsan alia animalia dilecti filii Iacobi Zambeccarii, qui appaltator salariae nostrae existit, in predam abigi curasti et fecisti, que omnia in vilipendium iustitiae et honoris nostri ac in conspectu pene nostro a te facta sine indignatione audire nos potuimus. Quamobrem tam ob premissa, quam etiam ob nonnullas alias rationes nos moventes tibi in virtute sanctae obbedientiae ac sub indignationis nostrae, nec non rebellionis confiscationisque omnium castrorum, oppidorum, terrarum et locorum ceterorumque bonorum etiam allodialium, quae ab hac S.ta Sede habes ammissionisque privilegiorum et gratiarum ab eadem Sede tibi concessarum, ipso facto, nisi parueris, incurrendis penis per presentes precipimus et mandamus, ut infra triduum ab intimatione presentium tibi facienda computandi coram nobis personaliter et non per procuratorem comparuisse debeas voluntatem nostram auditurus, mandantes pariter ven. fratri nostro Benedicto Episcopo Esinensi, eiusdem Urbis gubernatori, ut habita fide dictae intimationis, si non comparueris, absque aliqua ceremoniarum observatione te dictas penas incurrisse et ad illarum executionem procedi posse et debere declaret et mandet. Volumus autem, quod si tua persona comode haberi non poterit, affixio presentium in valvis oppidi tui Marini facta et dimissa ibi copia perinde te arctet, ac si eedem presentes personaliter intimate fuissent non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis caterisque contrariis quibuscumque. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoris die XXV februarii MDXLI. Pont.s nostri anno septimo.
Blo. de Fulgin. Phi. S.ti Sepulchri
In un'altra copia dello stesso breve, nella Vaticana si legge:
Dominus Iohannes Gebolden, SS.mi D. N. Papae cursor, accessit ad castrum Marini et ante cameram Ascanii se contulit adductus a quodam Iohanne Asserto, secretario seu cancellario eiusdem, qui inde eum duxit ad domum suam et ibi pransi fuerunt ad invicem, et petiit a dicto cursore ut daret in eius manibus tam originale, quam copiam supradicti brevis, ut illam domino consignaret, quam cuidam dedit, ut portaret dicto domino. Post tres vel quatuor horas, cum staret in eodem domo animo exequendi vel saltem affigendi ad portas dicti castri, dictus Iohannes secretarius dixit cursori, quod non quereret, debit ei unum servitorem suum, qui comitatus est eum usque ad quinque miliaria circa. Facta a cursore hac relatione mag.cus D. Benedictus de Valentibus, procurator fiscalis, petiit a Pontifice ut mandaret gubernatori Urbis citare dictum Ascanium in acie Campi Florae et ad valvas ecclesiae Principum Apostolorum de Urbe et cancelleriae.

(1541, primi di marzo).

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lettere inedite di Vittoria Colonna, Roma, 1875, p. 18, n. II).

Ill.mo S.or Io credo che presto si scopriranno cose di Francia, per donde se vederà che il motivo di Sua S. non è per voi solo: per donde temo molto che non riusciranno partiti ma inganni. Però bene è che non manchi per voi, se cosa possibil si trova. Io non ho spaciato aspettando questo. Però vorrei scrivesti a Sua M. Vio ancora, et mandatemela per Conciano (1) Segretario dell'ambasciatore imperiale. se vi pare. Mal se può intendere questo Papa; però considerate bene con gratia di Dio che tutto sia con servitio di Sua M., et non si curi d'altro solo per servitio di Dio et escusar danni, con honore però. Dell'Arcivescovo (1) Francesco, figlio di Marcello Colonna del ramo di Zagarolo, Dopo aver militato al servizio imperiale, prese gli ordini sacri nel 1529, ebbe in commenda l'abbazia di Subiaco, per cessione dello zio, il cardinale Pompeo, e poscia fu arcivescovo di Taranto. non mi avete risposto. Perchè Francia havrà detto comenza, innanzi che V. S. rispondesse con le vacche alla presa de' vassalli, el Papa levò il governo di Campagna a Santiago, et fece molti motivi intorno sete (sic) al regno di Napoli.

V. S. si sforzi che il S.or Conciano venga sotisfatto che ve ama più di me.

A suo servizio
La Marchesa

(Alo Ill.or S.or el Sig.r Ascanio Colonna).

(1541, primi di marzo).

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett, ined. di Vitt. Col., p. 20, n. III) (2) Di questa lettera e di quelle di Ascanio ai n. CXXXI e CXXXIV abbiamo avuto una copia favoritaci dal prof. Bartolommeo Fontana, che le trascrisse nell'archivio Colonna..

Ill.mo S.or. Da Conciano intenderà che V. S. ha indovinato che per altro non se son fatti questi maneggi che per mostrare bona voluntà: penso li motivi de tanta armata sieno per altro che per voi solo: ma Casa Colonna sempre è la prima. Tutto se è scritto a Sua M.. V. S. attenda a guardarsi, che ogni cosa che farrà poi de venuto l'ordine de Sua M. serrà honorato. Dio per sua bontà vi guardi et estorvi tucti i mali. A tante cose grandi de amazzar barricelli, governatori cardinali se è preso rimedio, però non bisognava tanta guerra per trenta vacche. V. S. non discovra mai il suo motivo, ma dica la verità, che hanno voluto armar con questo colore, et che voi non volevate essere preso in letto, poi che ogni dì vedevate bone parole e tristi fatti, però ve defendete; et Dio ve aiuti come spero nella sua bontà. El sig.r Marchese (1) Manrique de Lara marchese d'Aguilar. se governa bene, di guisa in tutti i lochi estaranno preparati secondo i motivi del Papa et l'ordin de Sua M. Interim a voi tocca solo, poichè se crede troppo alle bone parole qui: il matrimonio con Francia è concluso (2) Il negoziato matrimonio di Vittoria, figlia di Pier Luigi Farnese, col duca d'Aumale, terzogenito di Claudio Ill duca di Guisa. Già il papa aveva tratto antecedentemente il matrimonio di questa sua nipote con Antonio duca di Vendòme (che fu poi re di Navarra). Nè miglior effetto sortirono le pratiche per le nozze col duca d'Aumale. Vittoria Farnese sposò poi, nel 1548, il duca d'Urbino, Guidobaldo II., et così ho scritto a Sua Maestà, et questi dicono de non mirare bene a tutto. Ormai non potrò scrivere chiaro troppo, finchè Dio vorrà che vedano che non tocca a noi soli.

A suo servitio
La Marchesa

(1541, 6 marzo).

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 22, n. IV).

Ill.mo S.or. In questa hora è venuto Valanzola (1) Segretario dell'ambasciatore imperiale., et dice che la importantia dell'Imperadore è grandissima, et che il S.or. Marchese per molto che gridi non pò più col Papa, Che V. S. per amor di Dio se contenti di questo partito ultimo di dar Marino et Nemi in poter del Papa con promessa del Marchese che vi sieno restituite al venir ordine dell'Imperadore, et che detto signore in scrittis vel commanderà da parte di Sua M., et che di questo partito il Papa non se ne contenta per niente, ma che stasera ce farrà ultimo de potentia: ma che quello, che lui spera che el Papa se contentaria, si è dar Rocca de Papa al Duca (2) Pier Luigi Farnese, duca di Castro in voce, ma in effetto il signor Marchese ce lassasse che io qui li nominassi che sarian quelli che V. S. mi scrivesse. Io ho risposto che il primo scriverò, ma il secondo non dirò mai. Respose che questo secondo è meglio, perchè non date niente, essendo homini vostri dentro, et che vel commandarà da parte dell'Imperadore in scrittis. Stasera va la posta all'Imperadore che manda il Marchese. L' Arcivescovo Colonna dice similmente che non solo haverete ogni servitio dall'abbadia (1) L'abbazia di Subiaco. Vedi la nota (2) a pag. 216. La menzione dell'arcivescovo e le parole della lettera CXXVIII «dell'arcivescovo non mi avete riposto» possono far supporre che questa sia precedente all'altra., ma verria in persona, et che ve raccomanda li suoi bestiami et suoi vassalli e che è vostro vogliate o non, et che Camillo (2) Signore di Zagarolo, fratello dell'arcivescovo Francesco. servirà coll'anima et col corpo. Di gratia scriveteli humanamente. Advertite a rispondere di modo che il Marchese la vederà. Oggi domenica (3) La prima domenica di marzo cadeva al 6. a XXIII hore.

(Alo Illustre S.or Ascanio Colonna).

(4) Come risposta alla precedente si può assegnare al 7 marzo.

(1541, 7 marzo).

(Minuta.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 24, n. V).

III.ma Si.ra sorella. Ho havuta la lettera sua, e mi pare che V. S. habbi ben resposto a Valenzuola. In summa tutta la forza sopra di me è 'l commandamento et servitio de la Ces.a M.. Però non posso negar di contentarmi di uno di doi parliti scrittomi da V. S. a mia elettione, presupponendo che debbino intervenire tutte le circumstantie necessarie et convenienti, de le quali V. S. non fa mentione alcuna, credo come di cose che di necessità ve se intendono per cavarne la quiete, sopra la quale il Si.or Marchese et tutti questi ministri cesarei fundano il servitio di S. M. Cesarea, il quale appo me bisogna et voglio che preceda a tutte l'altre cose. Et se ben mi pareno durissimi ognun di questi partiti, mi confortarò con fare honor a Su S. et obedir a la Cesarea M., evitanto il male et essendo causa di bene.

(1541, 7 od 8 marzo).

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 25, n. VI).

Ill.mo S.or. La staffetta a S. M. partì ieri et le nostre furono a tempo. Non so perchè non giudicate bene in ogni tempo quello accordo, saria un stabilirse più che necessario. Qui è gente assai: credo sieno oramai appresso a cinque mila fanti. Io teneva per bene quello accordo dandola in potere di quel cavaliere amico, o se aspettate la risoluzione dell'Imperadore, guardatevene bene, et che non paia la brama solo in parole, benchè a questo tener la campagna Dio ve aiuti per sua bontà. Rendolcite el M.se, che giova haverlo amico; et Dio ve guardi. Non so se di poi han mosso altro, chè non ho più inteso niente. Del M. del Vasto non ho anchor resposta, nè potria haverla. So che 'l M.se qui ha scritto a tutti che stiano in ordine a la resposta di Sua M.

La Marchesa.

All'Imperadore ho scritto che li accordi herano impossibili et non suo servitio dar quella Rocca, che Sua M. passando per Marini mirò et disse: esta es la roca de Izo. Tanto credo haver scritto bene. Attendete pure a voi.

(1541, 8 marzo).

(Autogr.—Roma, Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 27, n. VII).

Ill.mo S.or. Havendo già escluso (1) Forse è da leggere concluso. ogni cosa, è venuto il S.or Marchese a parlarmi con collera escusandosi che non pò più: et mi ha mostrata lettera di Sua M. freschissima, che gli dice faccia ogni opera per tenere il Papa contento; e che lui vede che li ha data sua figlia, a che non pò mostrarsi in conto alcuno contra loro, finchè l'Imperatore non commanda altro; che lui ha intertenuta la gente che non sia pagata fino in domattina; che per ultimo scriva a V. S. che il suo parer è, et che cel commanderà in scriptis da parte di Sua M., che dia Rocca di Papa al Duca di Castro con fede che dica lui all'Imperatore tornarvela. Et che lui replicò et recluse che dessero o Nepe o Castro (1) Nepi signoria e Castro ducato di Pier Luigi Farnese. a vostra electione de queste due al S.or Marchese, finchè entregasseno Rocca de Papa a V. S. Intendete bene: lor dar Nepe o Castro al Marchese, noi Rocca de Papa al Duca senza homini nostri nè loro: et che non volendo noi questo, non se ne parli più. Or, S.or, ve prego per amor di Dio, non ve ne movete a furia, conservative el S.or Marchese, maxime per lo advisar a Sua M.. Se non lo volete far, respondete cortesemente che diano Nepe o Castro al detto S.or Marchese, et voi Rocca de Papa al detto S.or Marchese: o se vogliono che in nome sino del Duca che metta li homini el S.or Marchese che loro non lo faranno et voi restarete bene; et sel faranno, non è nè male, nè desonore dare ogni cosa al S.or Marchese in nome di Sua M.. Per amor di Dio, considerate bene che mo è l'ultima resolutione. Vedete quanti affanni et periculi sono, et Dio per sua bontà ve inspiri. Respondete subito et scrivete a Sua M., chè è mal mandar là una posta senza vostra lettera: et la copia dell'ultima vostra resolutione mandarò allo Imperadore. Da Roma ogi, martedi.

El Marchese crede più alla fede del Duca, che se fosse quella di Dio. Li tempi sono così. Da me li fu reposto come conviene; me disse: ve commando da parte de Sua M. che scriviate così, per che ho stentato come un cane et non se pò più; et come la gente è tutta pagata, non ce è remedio. Sì che, S.or, di gratia, scriva dolcemente et in bon modo, chè a lui pare offerir assai pigliando Castro o Nepe. Et advisateme, quando vanno le poste a Napoli, dove più in là di Marini se haveria a indirizar le vostre. Di gratia, honori molto il Marchese nello scrivere et in mostrarli fede. Da Roma, ogi martedì a XX hore. Venga la resposta sta sera.

(Al Sig. Ascanio).

1541, 9 marzo.

(Minuta.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 29, n. VIII).

Ill.ma S.ra sorella honorandissima. Vista l'alteration de li partiti per la lettera de V. S. non ostante che sian stati offerti da Valensuola, ministro de la Maestà Cesarea, respondo che io attenderò a difenderme et offendere, secondo per defenderse la ragion de la guerra permette, da questa matina in Ilà, siccome V. S. me scrive, nè fin hora me occorre di dover fare altro partito che una suspension d'arme per tre mesi assecurata dall'ill.mo sig.r Marchese d'Aghilar in nome dell'Imperatore con restitutione hinc inde de quanto se troverà detenuto in poter de le parti. È ben vero che la volontà de S. M. Ces.a io l'accetto per mia imperatrice, quando me sarrà mostrata per scrittura de S. M. o per mezo de suoi ministri, lassarò star la mia et seguitarò quella; et se 'l sig.r Marchese con questi altri sig.ri, come han tante volte detto et di novo dicono, han questo modo de terminare li presenti movimenti, non accade mettere più in dubbio cosa alcuna, perchè il volere de la M. Ces.a è il termine dove se fermano tutte le cose mie.

Supplico V. S. non se voglia intromettere più a questi partiti, perchè la resolvo adesso per sempre: non voler per mia volontà consentire mai ad altro partito del sopradetto; di quello, che pò nascere de la voluntà de S. M., meglio lo sanno li suoi ministri che V. S. Però quietise et faccili vedere questa per conclusione, et l'originale lo tenga in suo potere, mandandone copia ancho a la Ces.a M. con scriverli quello che Dio ispirerà, che così ho fatto io per molte vie.

Medesimamente supplico V. S. che non se parta mai da queste doi cose con li ministri di Sua M., et poi lasse mandare, scrivere et exequire ad essi secondo li parerà più servitio del padrone come meglio informati. L'una è farli richiedere sempre che me aiuteno, come per tante iuste cause devono: la seconda è per togliere ogni dubio che son per exeguire la voluntà di S. M., sempre che me sarrà mostrata come è detto.

Prego V. S. resti servita che questa resolution se intenda, a fin che non inviluppeno il mondo de altre opinioni che preiudicassero.

A' dì 9 de marzo 1541.

(1541, verso il 10 di marzo).

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 31, n. IX).

Ill.mo S.or. Se è mostrata la lettera al Marchese, et Sua S.ria me ha mandato a dire che non posso più intrometterme. In questo tempo lui è andato fuor di casa, et Conciano dice che per amor di Dio non manchi scrivere questa volta, chè el S.or M.se dice che lui non ha autorità da Sua M. di commandar questo: ma che dice esser grandissimo deservitio di Sua M. et grandissimo servitio lo accordarse et che le ragioni et tutto ponerà in scrittis, et venerà lui proprio a Marini a farlo, et che Nepe o Castro se darrà in suo potere, et Rocca de Papa spera se dia in poter di quello che ve mandai a dir per Cesare de Solmona. V. S. poi che ha resposto bene in scrittis potria mandar un homo suo a parlare dolcemente col Marchese et vedere de fornirla, perchè il S.or Marchese dice che la lettera è di sorte che butta la soma adosso a lui. Si che V. S. pensi tutto. Appresso dico (segue una parola in cifra) esser venuto qui et dettome come da sè haver gran ansia de accordo (segue un'altra parola in cifra), e che V. S. dovria lassar qualche cosa per stregner questo adesso che li seria grande utile; resposi desiderarlo ma con denari: disse con denari essere impossibile, ma con qualche terra. Si che pensi V. S. che se pò fare, et advisemi che vorria concluder subito. Et Nostro Signore Dio lo guardi. Sin a tre hore di notte dettero tempo, ma già è una; sichè mandi domattina per tempo.

La M.sa di Pescara.

(A lo Ill.mo S.or el S.or Ascanio Colonna).

1541, 17 marzo.

(Orig.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 33, n. X).

El Rey. Illustre Marquesa amada nuestra. Vimos vuestra letra, y los servicios que nos y nuestros passados havemos rescibido de la Casa Colonna son de qualidad, que non se pueden olvidar, y nos tenemos y tendremos siempre la memoria que merescen para mirar y favorescer lo que à la conservacion della conviniere. Y assy aunque, como vos por vuestra prudencia lo podeys considerar, los tèrminos, que Ascanio ha usado en el negocio presente (el qual es separado de los otros que estan en justicia y se pudiera remediar por otro camino, y no querer se despues justificar como el Marquès de Aguilar de nuestra parte lo tenia concertado) ayan salido de los lìmites de razon y honestad. Todavia hazemos la diligencia, que entendereys del dicho Marquès para que el negocio se ataje por via amigable, y suspendan y cessen las armas y los inconvenientes, que dellas se podria seguir segnaladamente a su Stado y al bien pùblico y quietud de Italia, al qual os rogamos deys entera fè y credito. Y pues con vuestro hermano teneys tanta parte, deveys à consejarlo, amonestarlo y reduzirlo à ello por que es lo que conviene à su beneficio y à la conservacion de su Casa, que vos tanto desseays y à nuestro servicio. Dat. en Ratisbona, à XVII de março MDXLI.

Yo El Rey.

(Ala Illustre y amada nuestra la Marquesa de Pescara).

1541, 26 marzo.

(Orig.—Roma. Archivio Colonna.—(Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 35, n. IX).

El Rey. Illustre Marquesa amada nuestra. Despues de haver respondido à vuestra primera letra, como havreys visto, se rescibieron las de VII y XI del presente: y porque para remedio de lo que se ha offrescido havemos scripto y screvimos que le hagan de nuestra parte las diligencias necessarias, como entendereys del Marquès de Aguilar, os rogamos mucho que dàndole entera fee y crehencia por vuestra parte ayudeys que Ascanio venga por la suya en lo que para ello se requiere: porque esto es lo que conviene à su Casa y Stado, y à la quietud y reposo de Italia, y bien pùblico de la Cristianidad, y de otra manera se podrian seguir grandes inconvenientes. De Ratisbona, à XXVI de março MDXLI.

Yo El Rey (1) Sulle pratiche de Colonna non Carlo V cf. anche la lettera del Guidiccioni, commissario pontificio nella guerra contro Ascanio Colonna, al papa, 8 aprile 1541, in Opere, vol. II, p. 398. Le lettere del Guidiccioni offrono un vivo quadro di quella guerra miserabile, per cui sono anche da vedere le Storie de' suoi tempi dell'Adriani.

(Ala Illustre amada nuestra la Marquesa de Pescara).

(1541), 28 maggio.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Mller e Ferrero, in Atti dell'Acc. delle sc. di Tor., vol XIX, p. 1090, n. XVII).

Ill.mo et Ex.mo S.or

Se io potessi dolerme della persona che più me ne sono lodata, me dolerei de Vostra Ex.tia, che me dicono ha creso che io in Lombardia andasse altrove che alla mia desideratissima Ferrara et a star sotto la religiosa et amorevol protection de V. S. Certo gran testimonio serria questo della mia ingratitudine; la Ex.tia Vostra sappia che sto in questi travagli consolatissima, et rengratio Dio che con perder li beni della fortuna me dia occasion de acquistar quelli del animo, et sono in un santo loco et per esser de Sua Santità gratissimo, et se mai determinasse partir da terra de Sua Beatitudine, Vostra Ex.tia senteria Prudentia romana (1) Prudenzia, fida cameriera di Vittoria, che rimase con lei sino alla morte. alla chiesia de San Paulo, come l'altra volta. Et con la debita humilità et servitù li baso le mano, et cosi alla Ex.tia de madama. Da Orvieto, in San Paulo (2) Nel convento di San Paolo in Oriveto, dove la marchesa di Pescara era già stata nel 1531, e tornò nella metà del marzo 1541. Vi restò durante la guerra fra suo fratello Ascanio Colonna e Paolo III, finita con la peggio del primo.
Sull'andata nel marzo 1541 e sul soggiorno di Vittoria ad Orvieto, vedi i passi delle lettere del governatore della città, Brunamonte de' Rossi, al cardinale Farnese, stampati nelle Opere del Guidiccioni, Firenze, 1867, t. Il, p. 399, nota; cf. Reumont, p. 211 e segg. Del ritiro della marchesa in questo convento fa cenno pure il cardinale Polo in una lettera da Roma al Contarini (11 aprile 1541), in cui, dopo aver detto della guerra di Ascanio, prosegue informando che Vittoria abbandonò Roma «itaque vero Orvietum se recepit, ibique in coenobio monacharum se abdidit, quarum institutis et conversatione, ut postea ad me scripsit, ita delectatur, ut cum tot angelis se versari existimet. O felices animos quibus haec cognoscere cura est!» (Polo, Epist., p. III, Brixiae 1748, p. 18). Il ch. Domenico Tordi, il quale pubblicherà un lavoro sul soggiorno della Colonnese in Orvieto, ci ha favorito la seguente notizia, estratta, a sua preghiera, dalle Riformagioni di quel comune dal prof. Luigi Fumi, valente illustratore delle cose orvietane:«Die XIX marti 1541 Consilio XII sapientum Civium etc. In quo fuit propositum, ex quo accessit ad hanc civitatem Ill.ma et Ex.ma Marchesia de Pescaria et cum sit eiusdem auctoritatis et qualitatis et adeo grata S.mo D. N. et R.mo de Farnesio, si placet eidem facere aliquam elargitionem et eusenium et quomodo et qualiter, et si videtur fore visitandam per M. D. Conservatores.» Riferita la proposta al Consiglio generale, si stabilì di spendere«usque ad decem flor. in eusenio faciendo prefate Ill.me et Ex.me domine Marchesie in rebus commestibilibus» e «quod magnifici D. Conservatores una cum aliquibus civibus habeant visitare S. Ex.mam D. et eidem offere possibilia per Communitatem nostram et ipsius cives.» Messa ai voti la proposta, fu vinta con «sexdecim fabis nigris» del sì «nulla alba»
a dì XXVIIJ de maggio.

Serva obligat.ma de V. Ex.ma et Ill.ma S.
La Marchesa de Pescara.

(A lo Ill.mo et Ex.mo mio obs.mo il S.or Duca di Ferrara).

(1541, verso la metà).

(Reginaldi Poli epistolarum collectio, pars III, Brixiae, p. 77 e segg.) (1) Esiste una copia nella Marciana (Ital. el. X, cod. XXIV, f. 241r. 242r).
In questa lettera il Polo ringrazia la marchesa della lettera di condolenza scrittagli per la morte della madre salita al patibolo per ordine di Enrico VIII nel maggio 1541, dopo due anni di prigionia. Margherita contessa di Salisbury, madre del cardinale, era l'ultima discendente diretta dei Plantageneti.

Reg. Card. Polus Marchionissae Piscariae.

Quo pauciora sunt hoc tempore, quae vel lego vel ex aliorum sermonibus intelligo, quae me delectare aut consolari possint, eo mihi gratiores fuere literae Excellentiae tuae, quae me valde tum consolatae sunt, tum etiam delectarunt. Quanquam non illae quidem (nec enim, ut vere dicam, tantum illis tribuo, utcunque eleganter et apte ad consolandum scriptis), me ab omni humana consolatione destitutum et animo pene prostratum ad meliorem spem erexerunt, sed qui hoc fecit fuit Spiritus ille, qui in illis loquebatur, qui cum sit fons omnis verae et solidae consolationis, suam vim tum maxime exercens, cum maxime destituti videmur, nomen consolatoris habet et Paracletus dicitur, quem video Excellentiam tuam, ut ducem actionum suarum, sic etiam scriptorum magistrum habere. Is vero, cum mihi in illis litteris proponit causam Christi esse, quam tracto, in qua mihi conscius sum nihil me defuisse, quantum quidem in me fuit, sed pro viribus et gratia a Christo mihi data laborasse, ut ad illius honorem perageretur; si plura et maiora impedimenta invenio, quam adiumenta vel potius impedimenta omnia, adiumentum ab hominibus nullum, quid restat, nisi ut in Christo me consoler? Consolatio vero talis est, ut agnoscam illum esse, cui data est omnis potestas in coelo et in terra, cuius benignitas et cura maior est erga suos, qui illi sunt, pro quorum salute ad eius honorem laboramus, quam nosmet erga nosmetipsos uti possimus. Haec ergo si agnoscamus, quid deinde dubitare possumus, quin cum tempus aderit beneplacitum coram Deo Patre, quod ille solus novit, uno momento omnia impedimenta ipse discutiat et reliqua, quae optamus, perficiat, etiam melius quam optare possumus? Qui neque interim despicit operam nostram, quae est gratia eius, in qua frustra nunquam laboramus, etiamsi, quod praecipue cupimus, non succedat, qui saepe nescimus quid cupiamus etiam in bonis, sed ille novit, et, cum volet, omnia corriget, qui est benedictus in saecula, amen.

Haec certe, de quibus me admonent literae Excellentiae tuae, non solum me consolantur, sed, ut aequo animo feram omnia, plane faciunt, pro quibus Christo gratiae habeantur. Quod vero scribit Excellentia tua, se vereri, ne tardiores ad amplectendum Christi negotium redantur illi, quorum auxilium imploramus, quod privatum commodum inde fortasse non ita perspiciunt, quare optare, una cum publico commondo, ut privatum aliquod illis proponi possit. Ego vero non sum nescius, quam non parvi sit momenti in publicis causis apud homines privati commodi ratio, id quod experientia rerum humanarum docet, neque certe in hoc defuimus, ut ante oculos multa proponeremus. Sed hoc me antea Christi doctrina, nunc experientia docet, in his, qui ministri sunt Regni Christi, qui oculos a Christi causa avertunt, nisi prius commodum privatum videant, ne hoc quidem ante oculos utcunque positum videre posse, hoc, inquam, me experientia nunc docet in iis, quae proposui, ut ante docuerat ratio doctrinae Christi, in quo, ut omnes thesauri sapientiae et scientiae sunt absconditi, ita etiam omnium privatorum commodorum et utilitatum, sic, ut servus eius, qui in eo privatum commodum agnoscere non vult, non extra quidem ante oculos positum unquam agnoscat. Quid ergo hic faciendum, si consolationem quaerimus? Ad id nempe redeundum, quod modo ex literis Excellentiae tuae dixi, id est, ad providentiam Christi de regno suo. Spera in eo et ipse faciet. Si vero modum tractandi hoc Christi negotium quaerimus, certe cum omnia tentaverimus, quae ingenio et studio perfici possunt, vincit tandem illa ratio, quae licet non sit sola, praecipua certe est, quam Excellentia tua in extremis literis attingit, quae precibus constat. Haec anim Ecclesia et Christi servi plus semper valuerunt, quam reliquis omnibus, quae vel ingenio vel viribus effici possunt, per hanc semper Ecclesia ex omnibus periculis evasit, per hanc stat. Quare quod Excellentia tua, quod ad me proprie attinet scribit, se quidem amore, virgines vero suas, quibuscum habitat, puritate assidue me suis precibus Deo commendare, hoc quidem mihi ita gratum fuit, ut nihil magis delectare, nihil prorsus maiorem confidentiam mihi de salute mea afferre potuerit. Imo si quid spei reliquum sit ex tot insidiis et periculis, quae vitae meae undique a Pharaone intenduntur, aliquando effugiendi, hoc certe situm est in illis sacris cohortibus, quas Deus pro sua misericordia mihi multis in locis quasi in praesidiis dedit, quarum precibus contra inimicos Dei defender, de quibus certe nunquam sine magna animi securitate cogito et quoties audio in officio illas praestare, ut ex multorum literis saepe intelligo, nihil quidem libentius aut iucundius audio, ut hoc tempore ex literis Excellentiae tuae magna ob hanc ipsam causam laetitia sim affectus. Quare nihil iam restat, nisi ut obsecrem Excellentiam tuam una cum tuis virginibus, ut super hanc custodiam suam vigilet. Et sane decet Excellentiam tuam ita facere, quam cum semper sum veneratus, postquam Dei in eadem summa virtutum dona cognovi, tum postremo cum Pharaonis furor mihi matrem eripuisset, quae me genuit, in matris loco ipsam suscepi, non talem, qualem Moyses, cuius postea negavit se esse filium, cum illa esset filia Pharaonis, sed qualem, si nunc mei protectionem suscipiatis, semper quidem sum praedicaturus, qui non minus destitutus videor, quam tum Moyses, cum infans esset, expositus non solum periculis fluminis, ut ille, sed terrae marisque, et quod omnia superat, falsorum fratrum, et ideo non minus dignus, qui a filia magni regis suscipiar, et eius Regis, qui Pharaonem et exercitum eius proiecit in mare et praesertim ipse, qui ob Pharaonis iram et in causa eiusdem magni Regis laboro. Quare iterum atque iterum me tuae Excellentiae et suarum virginum patrocinio commendo, pro quibus semper meae ad magnum illum regem preces erunt paratae, ut digne suis fillis vos semper tueatur et protegat.

1541, 1° ottobre.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1552, vol. IV, p. 102).

Raccozzando io alcune cose dette da V. S. a M. Vettor Soranzo (1) Nobile veneziano, più tardi vescovo di Bergamo. Lo s'imputò di opinioni eterodosse. et alcune altre dettemi dal mio M. Flaminio ritornato hora da Ogobbio, veggo che la mia nuda et semplice innocentia è stata calunniata appo V. S., il che dolendomi fino all'anima, ho voluto mandare a posta il detto M. Flaminio allei, acciò che egli le faccia conta et chiara la verità et laq qualità del mio animo. V. S. sarà contenta dargli fede, come a me medesimo. Ho diliberato di non amar più huomo alcuno, poscia che quello, che io così perfettamente ho amato cotanti anni, così ingiustamente mi s'è alienato in questa maniera: et se V. S. non fosse, direi ancho donna alcuna. Ma pure stimo che io penserò di usare etiandio con lei alcuna malitia o almeno avertimento per lo innanzi, per non esser più così alla sproveduta sopragiunto, come hora stato sono. O, o, o, nusquam tuta fides. Ma come che sia, in ogni modo a V. S. semplicissimamente mi raccomando. Al primo d'ottob. MDXLI. Di Roma.

(Alla Marchesa di Pescara a Viterbo) (1) Vittoria era andata allora a Viterbo, nel convento di Santa Caterina, dove stette sin verso la metà del 1544.

1541, 18 novembre.

(Delle lettere di M. Pietro Bembo, Vinegia, 1522, vol. IV, p. 103).

Io non voglio escusarmi con V. S. se io sono stato in lungo silentio con lei. Perciò che più noia ho havuto a tacere, che non harei havuto scrivendo. Anzi mi sarebbe stato lo scriverle spesso di molta satisfattione et contento. Et hora non so se io le scrivessi, se non fosse per dirle che io ho una grande invidia al mio M. Vettor Soranzo, il quale potrà essere molto spesso con V. S., quello che non potrò fare io. Et che se io fossi gagliardo, catene non mi terrebbono, cho io non trascorressi per quattro giorni a Viterbo almeno hora in compagnia di vostra figliuolo (1) Il cardinale Polo, che, siccome disse il Carnesecchi, non solamente era amico di Vittoria «ma faceva professione di amarla et honorarla come madre, et lei e converso teneva il cardinale per figliuolo.»
Nel settembre 1541 il cardinale Polo era venuto a Viterbo come legato del Patrimonio di San Pietro. Sui ragionamenti che teneva con Vittoria intorno a cose religiose e sulle persone, che trovavansi allora a Viterbo, si leggono molte notizie nel processo del Carnesecchi, di cui riportiamo i passi concernenti Vittoria nell'Appendice I.
Il Soranzo sopra menzionato, a detta del Carnesecchi (p. 213, 264), veniva a visitare il cardinale a Viterbo.
il quale accrescerebbe con la bontà et dolcezza sua il mio diletto. Hor su, convengo haverne una bella patientia, la qual però io certo sono che non mi val punto, così la porto mal volentieri et in tutto mal mio grado. M. Vettor potrà dire a V. S. tutto il mio stato externo et interno, chè lo sa et allui nessuna parte di me è occulta. Dunque allui mi rimetto. La somma del mio dolore è che non so quando poter vedere V. S. et ragionar seco, sì come io solea poter fare. Pregate N. S. Dio per me et mantenetevi sana, come intendo che sete hora, Sig.a mia carissima, osservandissima, valorosissima, santissima. A XVIII di novembre MDXLI di Roma.

(Alla Marchesa di Pescara a Viterbo).

(1) Figlia di Federico Gonzaga signore di Bozzolo e vedova di Vespasiano Colonna duca di Traetto e di Fondi. Vedi la nota alla lett. XCIX. Sulle sue relazioni con Vittoria Colonna e su questa lettera vedi il processo del Carnesecchi negli estratti, che riportiamo nell'Appendice I.

(1541), 8 dicembre.

(Copia del sec. XVI.—Nell'Estratto del processo di Pietro Carnesecchi edito da Giacomo Manzoni, nella Miscellanea di storia italiana, t. X, Torino, 1870, p. 496).

Illustrissima Signora mia. Sempre V. S. mi fece gratia: dalla prima volta che la viddi in Fundi sa che non trovai cortesia se non in lei, et hor mi ha dato molta consolatione a mandare tante et sì buone cose al signor Cardinale et a quelli altri signori, perchè oltre che io ne habbia partecipato per humanità di monsignor reverendissimo, me ho un'altra maggior satisfattione, cioè che V. S. sia causa che commensi a perdere una certa strana consuetudine che tiene di accettare di malissima voglia ogni presente, perchè questa mattina messer Luigi Priuli (2) Alvise Priuli, veneziano, amico del Polo, suo compagno nei viaggi e nelle legazioni. Cf. il processo citato. me ha detto che ha preso le cose della S. V. con grandissimo piacere, vedendo tanta affettione et charità; senza parere a Sua Signoria di haverneli dato causa con altro che col continuo desiderio di honorarla et compiacerli. Sì che, Signora mia, io che sono a Sua Signoria reverendissima della salute dell'anima e di quella del corpo obbligata, chè l'una per superstitione, l'altra per mal governo era in periculo, pensi V. S. se desidero posserlo servire (1) Così emenda il Manzoni. Nella copia: scrivere., et non mi è stato mai concesso sin qui, et hor spero che sarà un poco più flexibile a così ragionevol cose, et se la Signora absente può tanto con la sua christiana cortesia, hor che sarà se per gratia di Dio potessi esser qui? massime che havendo io la mia consolatione di conferire con lei, anzi di imparare veramente quel che Dio per ottimi mezzi li ha communicato, non haveria sì gran necessità di loro, che mi bisogna desiderarli troppo, non dico solo monsignor, che è occupatissimo, et lo ho per scusato, ma il nostro ottimo spirito M. Flaminio non lo ho visto se non due volte poi che venne, sì che, se non fusse M. Luigi Priuli et il signor Carnesecchi (2) Il Carnesecchi stette a Viterbo nel 1541, donde poi andò a Venezia (Proc., p. 198)., io starei male. Et certo saria conveniente che la Signora revedesse un poco la sua patria in Lombardia, hor che della vera celeste patria è si ben informata, che li potria giovare pur assai, et passando di qui se potria fermare un par di mesi, dando a monsignor occasione di mostrarli in effetto il desiderio che ha di satisfarli et ad me di recevere gratie da lei et pensando che tutti scrivano a V. S. la ottima voluntà di monsignor verso lei, non ardirò di far questa lettera più longa, che il piacer di scriverli mi ha trasportato pur troppo, et li bacio la mano.

Di Viterbo, in Santa Catharina, a dì 8 di dicembre.

Deitissima servir V. S. Ill.ma
La Marchesa de Pescara.

Ho inteso che V. S. ha mandato la espositione sopra San Paulo (1) Opera del Valdes dedicata a Giulia Gonzaga, fervorosa sua uditrice in Napoli. Il libro fu poi stampato a Venezia nel 1556 (Commentario o declaracion breve y compendiosa sobre la epistola de S. Pablo apostel à los Romanos, muy saludable para todo christiano)., ch'era molto desiderata, et più da me, che n'ho più bisogno, però più nella ringratio et più quando la vedrò, piacendo a Dio.

(1542), 11 gennaio.

(Delle lettere da diversi Re et Principi et Cardinali et altri huomini dotti a Mons. Pietro Bembo scritte. Primo vol. Venetia, 1560, p. 28).

Ill.mo et Rev.mo Monsignor mio osservandissimo.

Farei ingiuria al credito dell reverend.mo et ottimo M. Soranzo, se scrivessi lungamente per lui, et non honorarei debitamente l'affetion, che V. S.ria Reverend.ma mi porta, se lasciassi di scrivere. Onde, per supplire all'uno et non mancare all'altro, scriverò breve, ricordandole la mia servitù, nel rimanente rimettendomi a lui. Questo solamente non posso tenermi di dire, che sommamente desidero di vederla et di parlarle, ma fuor di Roma; et supplico Nostro Signor Dio, che la accresci nella sua gratia.

Da Viterbo, alli XI di gennaio.

Al servitio di V. S. Ill.ma et Rever.ma deditissima

La Marchesa di Pescara.

(1) La nostra congettura che questa e la seguente lettera, continuazione della presente, siano dirette all'Ochino, il cui nome fu taciuto nella stampa fatta nel 1545, dopo la sua fuga, ci sembra non troppo arrischiata, badando agli epiteti della sottoscrizione appropriati alla relazione della marchesa col cappuccino. L'appellativo poi di Reverendo osservandissimo Padre mio conviene ad un frate. Certo è che non sono dirette nè al Polo, nè al Contarini, nè al Morone, nè ad altro prelato, con cui la scrivente adoperava il titolo di monsignore.

(1535&emdash;1542).

(Nuovo libro di lettere de i più rari autori della lingua volgare italiana, Vinegia, 1545, c. 37v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 444, n. XXI).

Reverendo osservandissimo Padre mio.

Io pensarò di scriver così humilmente sopra lo Evangelio della adultera qualche meditation simplice; però lassarò star le difficultà tanto discusse et ventilate, cioè che li scrivesse il Signor et perchè s'inclinasse etc. Dirò solo che costei hebbe una singolar gratia, et forse delle maggiori, che Christo concedesse in terra. Due adventi si leggon di Christo, l'uno tutto dolce, ove solo mostrò la sua gran bontà, clementia et misericordia, nel qual disse in molti luoghi che veniva per li peccatori, per medico delli infermi, per ministrare, per dar la pace, la luce, la gratia, tutto infocato di carità, vestito d'humiltà, soavissimo et pietoso. L'altro tutto armato per molti, ove mostrarà la sua giustitia, la maestà, la grandezza, la infinita potestà, nè ci sarà tempo di misericordia, nè loco di gratia. Hor questa felice donna hebbe gratia d'essere giudicata dal giustissimo vero giudice nel suo advento dolce et nella sua benigna conversation fra noi, perchè anchor sempre stesse in sua volontà il giudicar tutto il mondo, io non trovo che dalla propria parte adversa et da lei, che era presente et taceva, fosse costituito giudice, et esso liberamente assumesse et eseguisse lo ussitio del giudicare, se non in questo atto. Dunque assolvendola adesso et facendola impeccabile d'alhora innanzi che disse: amplius noli peccare, et essendo come è immutabile, et le sue vere parole infallibili, bisogna dire che non fu necessario giudicarla più. Et benchè di tutti quelli, ai quali Christo concesse gratia particolare, si creda che sian salvi, pure a costei si vede chiaramente, anzi ch'è più, si deve tener per fermo che facesse vita beata in terra, assoluta del passato et certa di non essere più condannata, nè poter peccar nel futuro. Mai niuno fece tanto utile al più intimo suo cordial amico, come gl' inimici fecero a costei. Andarono per tentar Christo et offender lei, et essi se ne andarono confusi et superati, et ella rimase assoluta et sicura. Volendo precipitarla nei mali, la condussero al fonte vivo di ogni bene, la fecero star in mezzo fra essi tenebre et Christo vera luce, et allegarono Moisè al conditor delle leggi, anzi fattor della natura et dator della fede et della gratia, pensando o che trasgredesse la legge, o mancasse della sua misericordia. Ma le pietre della loro iniqua durezza giunte colla pessima lor volontà nel cor di questa donna, già armata della costante fede di Christo Giesù, con maggior impeto ritornarono sopra di loro. Et però penso che udendo dire: chi è di voi senza peccato, getti in lei la prima pietra, si considerarono, et vedendosi pieni d'infiniti peccati, gli parve ogni peccato una grossa pietra gittar sopra ciascun d'essi, et ne andarono. Anzi credo che quando Christo erexit se, et mostrò in maestà di guardarli come reprobi et condannati, non sostennero quella vista; anzi vedendo il sol degli occhi belli obnubilato et la grandine delle pietre de' lor peccati venirgli addosso, gli parve tempo da fuggire, incipientes a senioribus, perchè quelli eran stati i primi a far il discorso perfido di prendere Christo nelle parole; oltra che i vecchi son più avari et temevan più di perdere le loro ricchezze, et più ambitiosi; però havevan più cura di conservarsi le degnità. Et credo anchora che, trovandosi in questa confusione che i peccati loro stessi gli lapidavano, li paresse veder l'inferno aperto et Lucifero, che li chiamava alla sinistra piena di cecità et di errore, facendo allhor Christo in essi la giustitia del peccato, che poi commisero nel glorioso Stephano. Sì che veramente furono lapidati costoro interiormente, e per far maggior vendetta di sè medesimi, volsero far beata la cagion dei loro danni, et lassarono sola con Christo la benedetta donna, la qual poteva benedire, o felix culpa, quae tantum ac talem meruit habere redemptorem! Et che honorato disprezzo che fu il suo! partirsi gli iniqui accusatori et lassarla col pietoso giudice. O che dolce solitudine, essere abbandonata da nemici crudeli, peccatori et sempre morti non che mortali, et star sola col vero figliuol di Dio misericordiosissimo, anzi essa misericordia, et impeccabile et divino! Dicono alcuni che là restò tremando, et raccomandò al Signor etc. Et io ardisco dire il contrario: anzi credo che in partirsi coloro gli parve che ogni grave peso se le togliesse dalle spalle, et gli nacque una grandissima fede che questo benigno Signore l'assolveria; et in quelli santi occhi vedeva mille raggi di viva speranza, l' aspetto tutto ardente di carità. Et quando gli disse: mulier, ubi sunt qui te accusabant? penso io che la volse assicurare per crescerli la fede, et li disse: dove sono? quasi dicendo, sono un'ombra, non son niente le accuse invidiose et inique, se ben son vere; nascendo da pessima radice, non fanno frutto nella orecchia del retto giudice; io non le accetto. Basta che non t'han potuto condannare, perchè i peccati d'altri non condannano, et del tuo sei pentita; però ti voglio usar misericordia. All' hora ella, ripreso animo, con acceso amore et viva fede disse: Signor mio, nessun m' ha condannata; et a te, che sei Signor del mondo, figliuol di Dio, Messia vero, sta il mio condannarmi o l'assolvermi. Io sto sicura dinanzi a te, io mi butto nelle tue braccia; fa di me quel che ti piace. Et non hebbe ardir di pregarlo di cosa alcuna, anzi come veramente convertita, illuminata et perfetta si lassò tutta in Christo, et non riguardò sè stessa; conformò la sua volontà con quella del Signore. Et è molto da considerar questo, veder quel giudice, che poteva condannarla e assolverla, li parla, le domanda se è condannata, quasi mostrando darli animo che lo pregasse; et ella lo riconosce per Signore et li dice: nemo, domine, dicendo chiaramente: Signor, in te sta. Et è così abandonata in Christo che, confessando la potestà, non vuol turbar la sua legge et la sua determinatione, contentandosi egualmente di quanto fosse suo servitio et honor della sua Maestà. Et per la bontà di Dio non solo la volse assolvere et far di lei sì piatoso giuditio, ma la fece impeccabile. Alla qual gratia la sua misericordia ci conduca.

Figlia obedientissima et discepola di Vostra Reverentia

La Marchesa di Pescara.

(1535&emdash;1542).

(Nuovo libro di lettere de i più rari autori della lingua volgare italiana, Vinegia, 1545, c. 4v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 451, n. XXII).

Metterò anchor quin in brevità alcuni dotti concetti della Reverentia Vostra, cioè che lei (1) L'adultera del Vangelo. Continuazione della lettera precedente., vedendosi, cosi confusa et essendoli alla presentia del vero sole dato lume et remorso della sua coscientia et li suoi peccati, la lapidarono interiormente di sorte tale che amazzò lo spirito proprio, et risuscitata con quel di Christo disse col pensiero: Signor mio, tu dici che io sia lapidata da colui, che è senza peccato, dunque non può lapidarmi altro che tu. Nessuno è veramente senza peccato, se non la tua bontà. Fammi questa gratia, io che son sicura de i raggi del tuo divin lume, saran le pietre che mandarai a percoter il mio intelletto. Fulgori del tuo amore mi penetreranno il core, et le solide pietre della fede santa mi fermarai nel petto, onde sarò morta al mondo per sempre, et solo viva alla obedientia tua. In questo modo lapidi tu, Signor, con la tua santa mano i pentiti peccatori, questi sono i martiri che per dolcezza morenno per te o in te resuscitano immortali. E quando disse: ubi sunt qui te accusabant, si pò dir quasi deplorandoli et exaltando lei: ove sono quei superbi, che sopra te, humil donna, volevano far esperientia della mia sapientia, et sono cascati nella ignorantia et translata te con la vera luce.

La Marchesa di Pescara.

1542, 22 agosto.

(Muzio, Le mentite ochiniane, Vinegia, 1551, c. 8.—Da copia nella Biblioteca Comunale di Siena, Benrath, Bernardino Ochino von Siena, Leipzig, 1875, p. 346) (1) Ci siamo attenuti al testo del Muzio, migliore assai della copia sanese: ma è probabile che l'editore ritoccasse questa lettera scritta con concitazione di animo..

In non picciolo fastidio di mente mi truovo qui fuore di Firenze (2) Nel convento di Montughi. Sulla fuga dell'Ochino (di cui Benrath, p. 106 e segg.) vedi Reumont, p. 223 e segg. Cf. anche i documenti mantovani editi dal Luzio, Vittoria Colonna, p. 38 e segg., venuto con animo di andare a Roma (3) La copia sanese aggiunge: dove sono chiamato.. Benchè nanti ch' io fussi qui, da molti ne sia stato dissuaso, ma intendendo ogni dì più le cose et il modo col quale procedono, sono stato particolarmente da Don Pietro Martire (4) Pietro Martire Vermigli, allora priore di San Frediano, che. accusato come l'Ochino, non tardò a seguirlo nella fuga. et da altri molto persuaso di non vi andare; perchè non potrei se non negar Christo o esser crucifisso. Il primo non vorrei fare, il secondo sì, ma con la sua gratia, ma quando lui vorrà. Andar io alla morte voluntariamente, non ho questo spirito hora. Dio, quando vorrà, mi saprà trovar per tutto. Christo ne insegnò a più volte fuggire, in Egitto et alli Samaritani, et così Paolo mi disse che io andassi in altra città, quando in una io non ero ricevuto. Dapoi che farei più in Italia? Predicar sospetti et predicar Christo mascarato in gergo? Molte volte bisogna bestemmiarlo per sotisfare alla superstition del mondo, et non basta, chè ad ogni disgratiato basterebbe l'animo scrivere a Roma, et puntar me: et così presto ritorneremo ai medesimi tumulti. Et scrivendo manco potrei dar luce a cosa alcuna. Per questi et altri rispetti eleggo partirmi, et particolarmente perchè io veggo procedono in modo che io ho da pensare che vorrebbono infino esaminarmi et farmi rinegar Christo o ammazzarmi. Credo, se Paulo fosse nel mio termine, non piglierebbe altro partito. Posso dir che come per miracolo sono passato Bologna et non son stato ritenuto per la voluntà, che ho mostrata di andare, et per la bontà et prudenza del Cardinal Contareno (1) Allora moribondo a Bologna. Finì la sua vita il 24 agosto., sì come ne ho avuto evidenti indicii. Di poi ho inteso che Farnese dice che sono chiamato perchè ho predicato heresia et cose scandalose; il Theatino (2) Il cardinale Carafa, arcivescovo di Chieti, l'antica Teate, nominato allora dal papa capo della Congregazione del Sant'Ufficio.. Puccio (3) Roberto Pucci, fiorentino, creato cardinale il 2 di lugio 1542. et de gli altri, che non vo nominare, de gli avisi che ne ho havuto, [parlano] in modo che, se havessi crucifisso Christo, non so se si facesse tanto rumore. Io son tale quale sa V. S., et la dottrina si può sapere da chi mi ha udito. Imo mai non predicai più riservato nè con più modestia che questo anno: et già senza udirmi mi hanno pubblicato per uno heretico. Ho piacer che da me comincino a riformar la Chiesa. Tengono in fino un frate in Araceli con l'habito nostro che al Capitolo generale ordinarono gli fosse levato l'habito, onde vedendo tanta commotion di me, penso sia bene cedere a tanto impeto. Dall'altra parte pensate se mi è aspro per tutti li rispetti. So considerarete. So ben che 'l senso (1) per tutti li rispetti che sapete, considerate so ben che senso, copia. repugna a lasciar tutto et a pensar che si dirà. Christo ha permesso et voluto ch' essi mi necessitino così a qualche buon fine. Mi sarebbe stato sopra modo gratissimo parlarvi et havere el vostro giuditio et (2) Da questo punto sino alla fine si ha solo nella copia. di mons. R.mo Polo o una lettera vostra; ma è più d'un mese che non ho vostre lettere. Pregate il Signor per me, ho animo servirgli più che mai con la sua gratia, et salutate tutti.

Da Firenze, alli xxii di agosto MDXLII.

(3) Monaca di Santa Chiara a Murano, sorella del cardinale.

(1542, verso settembre).

(Lettere volgarì di diversi nobilissimi huominï, libro primo, Vinegia, 1542, c. 124; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 418, n. XVI).

Reverenda sorella et in Christo madre osservandiss. Se io non sapesse che V. R. vive armata di tutti quei scudi divini, che non lasciano passar troppo dentro le punte delle saette humane, non havrei ardire di scriverle in sì grave et acerbo caso, ma, ricordandomi delle sue pie et dolci lettere, quando convitava quello amatiss. fratello a desiderar di ritrovarsi con lei, alla vera patria celeste, et della dimanda, che gli fè del esponer certi psalmi (1) «Il commento sopra due salmi, che volgarmente espose per la sua reverenda sorella suora Serafina, professa a Santa Chiara a Murano.» Beccadelli, Vita del card. Contarini, in Monumenti di varia letteratura, t. I, parte Il, Bologna, 1799, p. 59. Di una breve istruzione sulla vita monastica composta dal Contarini per questa sua sorella è cenno in una lettera del Contarini stesso al cardinale Gonzaga (Luzio, p. 47, nota 1)., che dinotava haver la morte, passione et resurrettione di Christo sempre impressa nel core, mi sono arrischiata ad allegrarmi in spirito con lei di quel, che col senso sommamente mi doglio, et a pregarla che col sopranatural lume, che Dio le concede, consideri che non havemo di che dolerci, nè perchè desiderare che questa sì degna et christiana vita si allongassi più; e parlando delle cose inferiori, et da voi giustamente poco prezzate, dirò che de gli honori mondani era già sì carico, che venendolo a trovare, come in lor propria stanza, lui più presto, quasi faticoso peso, gli ha deposti, che essi mai in niun tempo l'havessero lassato: i quai sì santamente et rettamente ha essercitati di continuo, che havendo per primo oggetto et per ultimo fine il Signore, che ce li dona, satisfaceva di modo la spiritual et temporal espettatione che, allegrando gli veri amici, non lassava a gli altri mai giusta causa di querela alcuna. La dottrina, prudentia et saper suo era hormai in tanta ammirattione de' buoni et in tanta invidia del mondo che bisognava o spogliarsene, o che tutti gli altri paressero da lui spogliati et nudi. Quanto all'ottimo et divino essempio, che dava a ciascuno, et alla molto importante utilità alla Chiesa, alla pace et al quieto viver nostro, dovemo per viva fede esser sicuri che l'infallibil ordine del Re Signore et capo di tutti noi sa il meglior et più alto tempo di tirar a sè le membra sue. Riman solo la perdita della sua dolcissima conversatione et il profitto de i santissimi documenti suoi, del che havrei a Vostra Reverentia et a me stessa grandissima compassione, se non fosse che gli suoi viaggi et le nostre clausure non ce ne facevan godere. Sì che di contristarci non vedo molta ragione, ma sì di consolarci et allegrarci assai di vedere co' l'occhio del animo il suo pacifico spirito, unito con la vera eterna pace; et la sua humilissima anima esser fatta gloriosa et grande da Colui, che fra tanta altezza de intelletto gl'impresse tal essempio di humiltà, che ben mostrava superar col spirito divino ogni ragione humana. Hor gli potrà V. Reveren. parlare, senza che l'absentia l'impedisca di non essere intesa. Hor non haverete affanno di andar lontana dal vero fratello carnale, anzi, ringratiando l'uno, goderete in esso del ben de l'altro, in uno istesso tempo con un solo concetto et un medesimo lume, come son certa che provarete con l'anima; ch'io solo con la penna vo cercando di disegnarlo a colei, che per lunga esperientia sa tutti i colori, le ombre et gli lumi di quella santa pittura: ma l'ho fatto per cordialmente pregarla che in essa solamente tenga saldo l'occhio interiore, come spero certo che Dio l'aiuterà a poter fare; et si degni a commandarmi, come alla più vera et obligata serva di quel perfettissimo fratel suo et signor mio, hor che altra spiritual servitù non mi resta, che questa dell'illustriss. et reverendiss. monsignor d'Inghilterra, suo unico, intimo et verissimo amico et più che fratello et figlio; qual sente tanto questa perdita, che el suo pio et forte animo, in tante varie oppressioni invittissimo, par l'habbia lassato correr a dolersi più che in altro caso, che li sia occorso mai: et quasi lo spirito consolator, che habita sempre in Sua Signoria, ha voluto lassarlo contristare, acciò sia testimonio che questa iattura è solamente de'buoni. Onde bisogna che lei sola supplisca, come anima sciolta già dalle cose carnali, possendosi attribuir a natural pena in lei quel che a questo signor reputo spiritual carità. Si che confirmatissima per tanti anni s'abbracci con lo suo celeste sposo, qual ci conceda trovarci tutti insieme nella eterna felicità.

Da Santa Catherina di Viterbo.

Sorella di V. Reveren. et in Christo obediente
figlia
La Marchesa di Pescara.

(Alla Reveren. Madre Suora Seraphina Contarena, sorella in Christo honoranda).

(1) Figlio del celebre Girolamo. Fatto cardinale il 2 di luglio 1542; imprigionato e sottoposto a processo sotto Paolo IV per accusa di eterodossia. Nel suo processo, di cui è copia nell'archivio del duca Tommaso Scotti a Milano, esistono dodici lettere di Vittoria, di cui dieci a lui, una al cardinale Polo ed una ad Alvise Priuli. Qualche tratto imperfettamente e con grafia ammodernata fu stampato dal Cantù. Di tutte dobbiamo la trascrizione alla gentilezza del conte Giuseppe Trivulzio.
Il cardinale Morone, interrogato nel processo, rispondeva sul conto della marchesa, dicendo: «Io la conobbi in Napoli, e, quando fui fatto vescovo, mi mandò certi rochetti e breviari: e dopo qualche anno la vidi in Roma, e forse prima in Viterbo essendo per passaggio, ce la conobbi molto affezionata (come mostrava spiritualmente) del cardinal Polo, il quale allora era povero, e pativa gran persecuzione dal Re d'Inghilterra per un libro, che avea scritto contro detto Re in favore del primato di nostro Signore; e per quanto mi fu riferito da diverse persone, mandarono qui uomini a posta per farlo avvelenare, ed anche per farlo ammazzare, e credo che per questa causa Papa Paolo III gli mantenesse alla guardia un certo capitano con alcuni soldati continuamente, e quando volse andar a Trento, legato al Concilio, la signora Marchesa di Pescara mi raccomandò con ogni affetto la salute di questo signore.» (Cantù, Il cardinale Giovanni Morone, p. 19). Sulle relazioni del Morone con Vittoria vedi il processo del Carnesecchi di cui diamo estratti nell'Appendice I, e su queste lettere inserite nel processo del Morone i brevi cenni, che si hanno nel compendio dei processi del Sant'Ufficio da Paolo III a Paolo IV, pubblicato dal Corvisieri, i quali abbiamo ripetuto eziandio nella stessa Appendice.

(1542), 30 novembre.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del cardinale Morone ms., f. 398.—Cantù, Gli eretici d'Italia, Torino, 1865, vol. I, p. 415; Il cardinale Giovanni Morone, in Mem. del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, Classe di lettere e scienze morali e politiche, vol. X, 1867, p. 17).

Con molti scrvitii, etiam che da Dio mi fossero date potente occasione, non potrei monstrare alla Signoria Vostra la mia voluntà di servirla, nè explicarli la securtà che mi dette allorchè, umanamente e con tanta christiana affectione, mi disse che, in Christo fondando ogni mia fede, credessi che la Signoria Vostra Reverendissima faria per monsignor d' Inghilterra quel che li fusse possibile, e che sperava andasse e tornasi come se desiderava da tutti li servi del Signore (1) I cardinali Morone, Polo e Paris erano stati nominati legati al concilio indetto a Trento per il 1°ree; di novembre 1542. Giunsero in questa città il 21 di novembre. Il 5 di maggio il Polo ed il Paris ripartirono. Una bolla del 6 di maggio 1543 differì il concilio a tempo più opportuno. Le date dell'elezione del Morone al cardinalato e del viaggio del Polo a Trento presso Reumont, p. 178 e 256 sono sbagliate.. E havendo poi inteso che continua in Vostra Signoria Reverendissima questa sollicitudine, demonstrandola ogni hora con evidentissimi segni, mi allegra tanto e mi conferma sì nella presa speranza che non ho potuto lasciar di molestar Vostra Signoria con questa mia, ringratiando Dio in lei che si sia degnato ligare in tanta unione col vincolo della vera pace doi suoi sì cari amici e di costituirmeli serva in modo che, absente da loro, senta consolatione della divina carità, che se hanno insieme, massime che la mia extrema indignità mi toglie l'impedimento, che suol dare l' invidia, anchor fusse santa e buona, e mi lassa humilmente godere che Christo, unico Signore, capo e ogni ben nostro, habia voluto che insieme conferiscano li amplissimi tessori e inestimabili divitie sue, e li habbia eletti ad un tanto e sì importante effetto. E qui non si manca da queste purissime spose di Christo pregarlo che toglia ogni impedimento e ogni dilatione a perficere le optime aspirationi delle Signorie Vostre sempre conforme e rimesse alla sua suprema e rectissima volontà, così in man della Signoria Vostra di comandarmi al meno per monsignore, che o per troppo sua humiltà, o per mia troppo indegnità non vol che pensi pur di servirla, sia da me servito in lei, che certo non potria fare maggior carità che essere occasione che io non mi alleviassi tanto peso di obligo, che fo con Sua Signoria reverendissima, che è di prezzo tanto quanto per me vale l'anima mia quando la riguardo in Christo, ove lui, come suo instrumento, me la fa vedere e sentire ogni momento le grandissime verità, che Iddio li ha poste nel cuore, riguardato e cognosciuto da quel di Vostra Signoria Reverendissima con altro lume che non fo io. Piaccia al Signore di augumentarli in grazia sua e favorirli quanto per sua gloria li bisogna.

De Santa Caterina de Viterbo, a dì 30 di novembre.

Non lassarò di dire a Vostra Signoria questo a mia confusione che, quando il senso talhor, imitando la madre al giovine Thobia, mormora delli timori per le insidie fatte a monsignor, subbito lo spirito li risponde: Satis fidelis est vir ille, cum quo dimisimus eum. Sì che Vostra Signoria veda che fa l'offitio dell'angelo.

(1) Poi papa Marcello II (1555).

(1542), 4 dicembre.

(Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. VII, parte III, Modena, 1779, p. 43, nota (dall'originale in Siena presso la famiglia Cervini); (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 415, n. XIV).

Illustriss. et Reverendiss. Monsignor obbligatiss.

Quanto più ho avuto modo di guardar le actioni del reverendiss. monsignor d' Inghilterra, tanto più m'è parso veder che sia vero et sincerissimo servo de Dio: onde quando per carità si degna respondere a qualche mia domanda, mi par di esser sicura di non poter errare seguendo il suo parere. Et perchè me disse che li pareva che se lettera o altro di fra Belardin mi venisse, la mandassi a V. S. Reverendiss. senza responder altro, se non mi fossi ordinato, havendo hauto oggi la alligata col libretto (2) Probabilmente quello stampato a Ginevra col titolo: Prediche di Bernardino Ochino da Siena. Si me persequuti sunt, et vos persequentur, sed omnia vincit veritas. 1542, die X octobris. che vedrà, celle mando. Et tutto era in un pligho dato alla posta qui da una staffetta, che veniva da Bologna, senza altro scritto dentro; et non ho voluto usar altri mezzi che mandarle per un mio de servizio. Socchè perdoni V. S. questa molestia, benchè, come vede, sia in stampa, et Nostro Signor Dio Sua Reverendiss. persona guardi con quella felice vita di Sua S., che per tutti i suoi servi se desidera. Da Santa Catarina di Viterbo, a dì iiij di decembre.

Serva di V. S. Reverendiss. et Illustriss.

La Marchesa di Pescara.

Mi duole assai che quanto più pensa scusarsi, più se accusa, et quanto più crede salvar altri da naufragii, più li expone al diluvio, essendo lui fuor dell'Arca, che salva et assicura.

(1543), 4 gennaio.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 425).

Ill.°ree; et R.mo Mons.r oss.

V. S. mi fa sempre gratie, et hora me n' ha concessa una grandissima di farmi scrivere dal R.mo monsignor di sua mano ch'io continuo debbia servire la S. V., et così farò in tutta la mia vita, non solo in quello se degnarà comandarmi, ma in quanto dico me farà cognoscere che li sia servitio; e circha fra Bernardo (1) Fra Bernardo de Bartoli, domenicano, della cui ortodossia si sospettò, mandato a predicare a Modena, dove era vescovo il Morone. debito suo et mio è de haverne obligatione alla Signoria Vostra Reverendissima, et senza altro adviso andarà per aver de andare a giornate piccole et essere il tempo breve, massime che Mr. Luisi me scrive (?) che tornarà in Modena con ordine di V. S., per il che ho advertito Mr. Soranzo che non facci altra provvisione se pur per altra lettera che questa della Signoria Vostra l'havesse inteso. Me allegro molto che habbia letto e ottimamente gustato li scritti de monsignor, et se non fosse soperchio ardire suplicare[i] V. S. che, piacendo a detto S.r, li rellegesse un'altra volta; per che la prima me par sia quella acqua forte, che magna tutta la carne trista, la seconda poi è quello unguento soavissimo, che refresca et conforta de modo che sommamente se gusta la salute nostra. V. S. haverà in un medesimo tempo sentito l'una et gustato l'altro, massime che la consolatione va unita per tutto; così piaccia al fonte di essa et de ogni ben terreno [far] le S.rie Vostre Reverendissime sempre avide et sempre satie della sua dolcezza, anzi più quiete et contente d'ogni sua voluntà.

Da Santa Catharina de Viterbo, addi IIII de gennaro.

Deditissima a servire Vostra Signoria Reverendissima et Illustrissima

La Marchesa de Pescara.

(1543), 20 marzo.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 423).

Illustrissimo et Reverendissimo Monsignor.

Alla sua lettera scritta con grandissima verità et tutta a mia consolatione confortandomi con quel, che Christo mi scrive nel cuore circa la mia debita servitù con monsignor, non ho prima risposto, havendola havuta in tempo, che'l timor dell'indispositione di Sua Signoria me misse nel animo tanto amaro che non posseti gustar quel dolce del ottimo suo testimonio contra M. Luisi, quale io vedo che fa come Vostra Signoria dice, cioè che opera el contrario lui di quel che exorta me; et V. S. creda che io non guardaria tanto sottilmente ogni sua parola, ma sempre penso nascano da altro fiato che dal suo, però mi affreno; con tutto che mi pare sia contra lo stimolo del vero spirito bono, quale al ultimo vincerà ogni difficultà, et già me ne mostra evidenti segni, havendomi dati V. S. R.ma in mio favore. Ma come potrei io non dico rengratiarla, chè questo mostraria credere io de essere in più grado di lei con monsig.r, ma pregar Dio per V. S. tanto che basti, havendo per lettera de man della Signoria stato inteso che la Signoria Vostra li è stato padre, madre et tutti li spirituali et humani debiti insieme in questa sua malatia e che Dio l' ha provisto de un solo sugetto de ogni necessaria provisione? Et io per aggiungere peso a V. S., la supplico me faccia gratia, rengratiando per me, chè troppo son grandi le consolationi, che per questo suo singularissimo infermamento si è degnato concedermi et farmene experimentare gran parte di molti modi, et si degni guardarlo insieme in parte ve possa con suo servitio talvolta presentare allegramente.

Da Santa Catharina di Viterbo, adì XX di marzo.

Serva di V. S. Ill.ma et Reverendissima
La Marchesa de Pescara.

(1543), 20 maggio.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 429).

Vostra Signoria Reverendissima si volta con sì accesa charità verso il reverendissimo Polo che ogni gran cosa, che facci per lui, li par sì piccola che le dispiace che si oda non che si ringratii, et dall'altra parte Sua R.ma Signoria cum si gran humilità riceve quanto per lei opera che li pare essere insieme con tutto il resto di quelli, che ne può disporre, insufficienti a rengratiarnela la minor parte. Ond' io fra questi sancti et boni extremi entro talhor arditamente in mezzo, non per suplir per uno, nè per sodisfar l'altro, ma solamente sperando de partecipare di queste gratie alle Signorie loro dal author de tutti i beni. Et havendo inteso quanto detto signor viene consolato, satisfato et obligato da V. S., non ho possuto tenerme de non allegrarme con la S. V. et di non restarli infinite volte obligata anchor io, vedendo tanti testimonii, che si può reputar da me un di quelli carissimi et electissimi figli del nostro comun padre, maxime in haver fatto tutto il contrario di quel, che V. S. R.ma mostrava desiderare, allegando la sua inhabilità, cioè d'esser tolto dellì et non sinhora cillà volsuto lassar solo, acciò tanto più senta quel, che sì bene intende, de riguardare alla virtù, che move il suo instrumento in tutto i modi che più li piace et non all' instrumento istesso. Et così riguardo io V. S. R.ma et monsig. Polo insieme in una medesima man, et perchè non me admiro se da una stessa virtù riscaldati non si satiano d'accendersi l'uno et l'altro, et io sola fredda et inferma vivo consolata dalla certezza che pregano il Signor Nostro et che V. S. si degni servirsene, chè certe più che mai se refazzano qui da queste bone Madri l'oratione per lei et massime con il molto sollecitarle, che fa il padre fra Bernardo, satisfatissimo et obligatissimo alla S. V. R.ma, la qual Nostro Signor guidi ad ogni suo volere. Da Santa Catharina de Viterbo, addi XX di magio.

Non scrivo de mia mano, per che V. S. non responda della sua, che è troppo mio favore et sua fatica.

Serva de V. S. Ill.ma et Rev.ma
La Marchesa di Pescara.

(1543), 7 luglio.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 411).

Quando viddi la lettera della sorella di Sua Reverendissima Signoria (1) Sorella del cardinale Morone fu Anna, sposata a Massimiliano Stampa, di cui restò vedova nel 1552., compresi dalla sua carità et parentato interiore, che ha con Vostra Signoria, et ne rengratio lei et baso la man a Sua Signoria Reverendissima; et circha l'exortation, che me fa di fare il detto rimedio, veramente subito subito l'haveria obedita, se io fussi restata de farlo per poco curar la mia sanità; ma perchè la penso sempre [con] mastro Damiano, optimo medico, che non si facci rimedio alcuno, excepto necessitato dal dolor, non sentendo poi a la uscita de la primavera necessità alcuna, me ne son stata et sto (2) Da questo punto a li sentiva trovasi in Cantù, Eretici d'Italia, t. I, p. 415; Il cardinal Morone, p. 18, insieme con un tratto della lettera CLXIV. La scrivente accenna probabilmente alla malattia, che la travagliò nel 1543 (vedi Reumont, p. 251); quindi la lettera si può assegnare a quest'anno. assai meglio in questo silentio, et quanto più per grazia di Dio il gusto, più compassione ho alla Signoria Vostra Reverendissima; ma il Signore con tanta pace le parli dentro che non senta li strepiti di fuora, come la mia debilità li sentiva. Et ho trovato qui un prior de Sancta Maria….. de l'ordine di San Dominico, molto servitore de Vostra Signoria Reverendissima, qual dice che el alloggiò a Montepulciano, che li dette gran edificatione. Così piaccia al Signor di darmela presto, quanto alla visitatione de Vostra Signoria Reverendissima, et la conservi nel suo servitio.

Da Sancta Catharina de Viterbo, a dì VII di luglio.

(1543), 15 luglio.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 417).

Il desiderio d'andare a Dio et l'advertentia de obedire il medico io l'haveva, havendo udito da Vostra Signoria che si conviene; ma come questi doi desiderii stessero insieme per l'amor de una istessa causa, nol sapeva intendere. Hora ringratio Dio, che spirò la Signoria Vostra a chiarirlo tanto bene in questa sua lettera, che quel, che faceva per obedire, farrò hora per non peccare; et sa (1) Da questa parola sino a per accendermi e consolarmi trovasi con lacune in Cantù, Eretici d'Italia, t. I, p. 418. il Signor Nostro che per altro non desidero excessivamente di parlar con V. S., se non perchè vedo in lui un ordine di spirito, che solo lo spirito lo sente, e sempre mi tira in su a quell' amplitudine di luce, che non mi lassa troppo fermare nella miseria propria, anzi con sì alti substanziosi concepti mi mostra la grandezza di lassù e la bassezza e nihilità nostra, che, vedendo noi stessi et tutte le cose create servirci a questo, bisogna trovarci solo in colui, che è ogni cosa. Et quanto io per gratia sua caminassi presto verso lui, tanto più ho di bisogno di parlare alla Vostra Signoria, non per anxia, nè dubbi, nè molestia, che abbia, nè tema d'havere per bontà di colui, che ne assecura, ma perchè ogni volta che la Vostra Signoria parli di quel stupendissimo sacrificio della eterna destinatione, dell' essere preamati e di quel viene ascondito trovato su quelli monti, porti et fonte, che scrive, con sempre convertire il gladio del verbo contra ogni nostra confidentia, fa star l'anima sull'ali, sicura di volar al desiderato nido; sì che tanto è a me parlare con Vostra Signoria come con un intimo amico del sposo, che mi prepara per questo mezzo, et mi chiama a lui et vol che ne ragioni per accendermi e consolarmi; et quanto son io minor cosa, tanto maggior è la humilità de Vostra Signoria, per il qual messo come di gaudio a lui per la necessaria gratia, che concedette a me, così piaccia che presto et sano sia, per che 'l venir con Sua Signoria in questi tempi mi dà gran ansia, ma in colui, che soglio sperare, spero, et per non fastidirlo più scrivo a Messer Luisi. E come Madama dà ordine di non alloggiar in rocca (1) La rocca di Viterbo ristorata dal papa Paolo III, che ogni anno si recava in questa città nei mesi estivi (Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma, 1742, p. 309). Col nome di Madama è probabilmente designata Margherita d'Austria, moglie d'Ottavio Farnese, nipote del papa., credo per rispetto di Vostra Signoria, non già per l'aere, per ciò piglia casa nella terra, non havendo possuto in Santo Sisto (1) Chiesa collegiata di Viterbo, con annesso palazzo, dove alloggiò Carlo V nell'aprile 1536, venendo da Roma., ove molto desiderava. Et Nostro Signore Iddio guardi Vostra Signoria come io desidero, et li bascio la sua mano, del remedio, che fece mandare et delle lettere de' medici, ma più della sua lettera et più assai della venuta, qual piaccia a Dio che sia lieta et sicura. De me lo dico che non posso dire essere in tutto sana per non contradire al medico, nè anche me sento di modo che possa dire che sto male, sì che dirò che sto assai assai meglio, maxime con questa consolatione de Vostra Signoria, qual saria suprema, se non temesse il viaggio (2) Il cenno sul ritorno del cardinale e quello sulla propria malattia persuadono ad assegnare questa lettera al 1543.. La bontà de Dio lo guardi.

Da Sancta Catharina, addì XV di luglio.

(metà 1543?).

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 37, n. VIII).

Ex.mo et Ill.mo S.or

Ho hauto adviso addesso da assai bon loco che se teme l'armata del Turco vada in Spagna (3) Forse accenna agli apparecchi dei Turchi nel 1543, nell'agosto del qual anno, congiuntasi l'armata turca con la francese, fu assalita Nizza., et benchè nol creda, pur per esser cosa conforme a quel revocar de Thodeschi, lo scrivo a V. Ex.tia, et li baso le mane facendo sempre pregar Dio per la sua felicità e salute. So che la Ex.tia sua à veri advisi et io addesso niuno: puro quel che so è mio debito dirlo.

Obligat.ma serva di V.ra Ex.ma S.
La M.sa di Pescara.

(1) Questa lettera di condolenza per la morte di Francesco Cornaro, vescovo di Palestrina, avvenuta a Viterbo il 1°ree; ottobre 1543, è diretta al nipote del defunto, vescovo di Brescia, il quale, alla morte dello zio, gli successe nell'arcivescovado di Spalatro.

(1543, verso ottobre).

(Nuovo libro di lettere de ì più rari autori della lingua volgare italiana, Vinegia, 1545, c. 30v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 403, n. IX).

Molto Reverendo Signor.

Come al debito natural saria impia cosa il non sentir V. S. una tal perdita, così all'obbligo christiano è cosa piissima il ringratiarne Dio, qual ha concesso a Sua S. Reverendissima di poter dare con sì santo fine testimonio di sì bona vita, come ha sempre fatto, mostrando chiaramente quanto era col core unito a quel divino spirito di Cristo, il qual lo resse continuo in modo che nè per opera, nè per parola s'intende che pregiudicasse il suo prossimo. Onde nell'ultimo ha più veramente fatto constare che questo non era solo natura mite e benigna, ma costantissima et pura fede in colui, che lo ha sì ben soccorso nella maggior necessità. La S. V. non ha di che dolersi. Tutti li uffitii di amorevol fratello, di fidel servo e di ottimo amico continuo li ha fatti, et più hora che mai. Resta solo che con la sua patientia et pace faccia fede di questo al resto del mondo; acciò come per il passato lo ha servito nella vita, lo serva per il futuro nella sua memoria. Io rendo gratie a Dio che V. S. non riman di sorte che habbia bisogno delle offerte mie, ma per il mio obligo io ho necessità di farle et pregarla si serva di me più hora che mai, come di vera sorella, et si conforti in quel comun Signore, unico consolator di vera vita in ogni genere di pena et di morte: et creda che in persona haverei fatto questo uffitio con lei, se non per non darle incomodo sopra il dolore, il qual vorrei mitigarlo col sangue, se io potessi, ma confido che potria consolar me per la sua christianissima virtù et bontà. Et di core me le raccomando, raccomandandolo a Christo con tutta l'anima.

Al comando di V. S. molto reverenda
La Marchesa di Pescara.

(Al molto reverendo Signor il Signor Arcivescovo Cornaro).

(1542&emdash;43), 20 luglio.

(Autogr.—Firenze. Museo Buonarroti.—De copia antica esistente presso di sè, Campori, Lett. art. ined., p. 13, n. XII).

Mag.co Mess. Michel Agnelo.

Non ho resposto prima alla lettera vostra, per esser stata si pò dire resposta della mia, pensando che se voi et io continuamo il scrivere secondo il mio obligo et la vostra cortesia, bisognarà che io lassi qui la cappella de Santa Catarina senza trovarmi alle hore ordinate in compagnia di queste sorelle, et che voi lassate la cappella de San Paulo (1) In questo tempo Michelangelo lavorava a dipingere la cappella Paolina., senza trovarvi dalla matina inanzi giorno a star tutto il dì nel dolce colloquio delle vostre dipinture, quali con li loro naturali accenti non manco vi parlano che facciano a me le proprie persone vive, che ho d'intorno; sì che io alle spose et voi al vicario di Cristo mancaremo. Però sapendo la nostra stabile amicitia et ligata in cristiano nodo sicurissima affectione, non mi par procurar con le mie il testimonio delle vostre lettere, ma aspettar con preparato animo substantiosa occasione di servirvi, pregando quel Signore, del quale con tanto ardente et humil core mi parlaste al mio partir da Roma, che io vi trovi al mio ritorno con l'imagin sua sì rinovata et per vera fede viva nel anima vostra, come ben l'avete dipinta nella mia Samaritana (1) Di una Samaritana al pozzo, terzo lavoro da Michelangelo fatto per Vittoria, parla il Vasari (ed. di Milano, vol. XIV, p. 285), tace il Condivi..

E sempre a voi mi raccomando et così al vostro Urbino.

Dal monasterio di Viterbo, a dì XX di luglio.

Al comando vostro
La M.a di Pescara.

(Al mio più che magnifico et più che carissimo M. Michel Agnelo Buonaruoti).

(1542&emdash;43), 24 agosto.

(Copia.—Modena. Coll. Campori.—Campori. Lett. art. ined., p. 12, n. XI).

Mag.co Messer Carlo. Mi avreste fatto piacere ad istruirmi la risoluta intenzione del nostro in ogni cosa ottimo Michelagniolo, e sarà obbedito massime che in vero io non era molto sodisfatta della mula, però aveva tardato a mandarla. Non ho tempo per questa di dire altro. Al mio Messer Lodovico Becadello (2) Monsignor Ludovico Beccadelli, che più tardi fu arcivescovo di Ragusa, e lasciò scritti, fra cui le vite del Contarini, del Polo, del Bembo, pubblicate poi con altri lavori dal Morandi nei Monumenti di varia letteratura tratti dai manoscritti di Monsignor Ludovico Beccadelli, Bologna, 1797—1801, 2 vol. molto mi raccomando.

S. Caterina, adì 24 di agosto.

Al comando vostro
La Marchesa di Pescara.

(Al Magnifico Messer Carlo da Fano, amico nostro carissimo).

(1542&emdash;43), 1° settembre.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. dì st. patr dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 43, n. XVI).

Ill.mo et Ex.mo S.or mio obs.mo

In niuna opera di carità potria V. Ex.tia mostrar più la humil sua volontà et pia intentione che recordarse di questa vil creatura, benchè la mia servitù lo recerchi quanto alla intensa sua grandezza; piaccia al S.r Dio che con un terzo figlio et con tutte le altre gratie che desidera sia recompensata tanta benignità, et per esser la sua lettera di credenza non farò ingiuria al sufficientissimo imbasciadore, ma solo li basarò le mane col core, restando la mia servitù ogni giorno più vinta et più avida di esercitarsi presente. La infinita superna bontà la feliciti con la Ex.tia di Madama et con la sua divina prole.

Da Santa Catarina di Viterbo, adì primo di sett.bre

Serva obligat.ma di V.ra Ill. et Ex.ma S.ria
La M.sa de Pes.a

(All Ill.mo et Ex.mo S.or il S.r Duca di Ferrara).

(1542&emdash;43), 15 settembre.

(Copia.—Biblioteca comunale di Fano. Altra in una raccolta di copie di lettere di uomini illustri del secolo XVI, credute di mano di Carlo Gualteruzzi, già presso Anicio Bonucci, che la pubblicò nelle Lettere volgari di diversi nobilissimi uomini ed eccellentissimi ingegni del secolo XVI, libro I, Firenze, 1865, p. 35).

Ill.mo et Rev.mo Mons.r mio oss.mo

Non scrissi a V. S. per M. Carlo (1) Con molta probabilità il Gualteruzzi., parendomi d'ingiuriarlo troppo, non solo per la sufficientia, ma per la longa informatione, che ha de la mia verso la S. V.a deditissima volontà et obligata servitù, ma con M. Bernardo (2) Probabilmente Bernardo Tasso. non posso tenermene, non perchè riferisca a V. S. che lei sa de la satisfattione, che mi ha dato in ragionarmi de la S. V., ma perchè sappia la consolatione mi resta di haver conosciuto lui et del bellissimo et forse unico sonetto, che ha fatto, del quale io credo che è più obligato a me che non sono io a lui, essendoli occorso come a quei perfetti pittori, che, vedendo una persona molto mal composta da la natura, cercano d'imitar quel disordine, bastandogli che si veda la excellentia de l'arte, non la perfettion de la cosa, onde costrenge chi la riguarda alla consideratione de la dotta man, senza pensar punto a la indegnità de l'effigie. Rimane a V.a S.ria Rev.ma il peso di lodarlo et a me il pregar Dio per lei et per lui, et le basio la mano.

Da S.ta Catherina, a dì XV di settembre.

Serva di V.a S. Rev.ma
La M.sa di Pescara.

(1542&emdash;43), 22 dicembre.

(Copia.—Milano, Archivio Scotti Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 419).

Illustrissimo et Reverendissimo Monsignor honorandissimo. La letera de Vostra Signoria saria sufficiente a resuscitare la consolatione, dove fosse in tutto morta et de quella, che io sento per la medesima causa, considero quanto sii grande, perchè se nel mio cuor piccolo et ristretto et nella mia mente angusta fa incredibil effetto, che (1) Nella copia: lorchè. farà nel cuor dilatato et nella mente amplissima di Vostra Reverendissima Signoria? Et non meno mi rallegro di quella, che la V. S., Monsignor Reverendissimo, sente, il che mi testifica la ragione, che la Sig.ria me scrive, cioè che non l'è niente parco delle gratie et lumi, che Dio l' ha donati; che è manifesto segno che ha cognosciuto essere sì humile et capace il suo benedetto animo, che non lassa cadere una minima stilla del acqua viva, che è data, anzi senza alterarla punto la remanda al primo fonte, donde Mons.r la riceve, et così satiandosi insieme, ne honorano il Signore et ne rallegrano i servi suoi, et spero in irrigando la sua hormai troppo sterile vigna, benchè Vostra Signoria per humilità par che di questo hora quasi se disperi. Confesso bene alla Signoria Vostra che saria stata la mia allegreza molto maggior, se havesse potuto rispondere, come mi pareva d' esser mossa, ma ogni parola di Mon.r mio è, non dico legge, che riduca lo spirito in servitù, ma regula infalibile, che libera mi fa andare alla dritta via: onde se ben per humilità non comanda, son da Dio costretta a osservar quanto vedo che li pare, et havendomi (1) Da questa parola alla fine trovasi in Cantù, Eretici d'Italia, t. I, p. 417; Il card. Morone, p. 18. detto che non lo laudi mai, me bisogna tacere, chè se in questa materia verissima, ch'è a me tanto cara, avessi potuto allargarmi, Vostra Signoria Reverendissima avria visto il caos d'ignorantia, ove io era, et il labirinto di errori, ov' io passeggiava sicura, vestita di quell'oro di luce, che stride senza star saldo al paragone della fede, nè affinarsi al fuoco della vera carità; essendo continuo col corpo in moto per trovare quiete e con la mente in agitatione per haver pace. E Dio volse che da sua parte mi dicesse: fiat lux, che mi mostrasse esser io niente e in Christo trovare ogni cosa.

De Sancta Catharina, adì xxii de Xbre.

(1542&emdash;44), 15 marzo.

(Autogr.—Archivio di Stato di Modena.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell'Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 43, n. XV).

Ill.mo et Ex.mo Signor mio obs.mo

Baso le man a V. S.ria della cortese risposta fatta sopra la mia recomandatione a Pier Antonio Gratiani, et se ben poi, o per altre occupationi maggiori, o per la vera fede, che ha in me che più prezzi il servitio suo che la mia propria satisfatione, non è seguito con effetto la sua et mia speranza, non ho voluto mancar del mio solito credere che al fine succeda di questa, come del altre cose, ciò è che conforme al Signor Nostro Christo non lassi mai di farmi gratia, havendo io sempre aumentata la fede fondata solo nella nobità del suo animo et nella experientia della sua virtù, per il che ho voluto di novo importunarla, perchè allor domandai et hor cerco; restarà poi il pulsare, perchè me sia aperto, se col cercare non trovo: et mille volte baso a V. S. le mane.

De Santa Catarina, ma non già quella bellissima di Ferrara (1) Su questo convento vedi Frizzi, Mem. stor. di Ferrara, 2a ed., t. IV, Ferrara, 1848, pag. 193 e segg. ma de questa medicore di Viterbo, adì XV di marzo.

Serva obblig.ma di V. S. Ill.ma et Ex.ma
La M.sa di Pescara.

(1542&emdash;1543).

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone ms., f. 431).

Sig. Luisi. Ardisco dir che pertanto scritto io non ho visto mai da mons.r la miglior cosa di questa lettera (1) Manca evidentemente il principio della lettera.. Sia benedetto il nostro reverendissimo Morone, la cui bontà excita così grandamente la charità di monsig.r nostro, et credo che ha havuto solo fatiga a far tanto bene intelligibili sì alti concepti, quali certo mi par per gratia de Dio de intendere bene; et me rido che, quando me ne disse quelle poche parole, pochissimo ne intesi a rispetto di quel che vedo; sia di tutto rengratiato Dio infinitissime volte. Il pregaria volentieri che crescesse le tentatione al buono et ottimo amico et patrone, maxime in questo nido, chè sono bon segno in lui, allegrezza a mons.r e occasione di grandissima consolatione. Baso la man a Sua Signoria che mi habbia fatta gratia di vederla, et con gran consolatione lessi quella ultima parte, parendomi che dove è più chiara [la] colpa propria nostra, sia più al mio proposito, maxime in caso delle visite, benchè, per molto ch' io con voi me ne doglia, sempre me ditte che son care et grate et mia salute et della mia carne tanto chiara che voi tutti dicete, ciò è della troppa affettion, che ho a tal spirito de Dio, che secondo voi può essere tentatione: unusquisque tentatur concupiscenlia sua. Mai ho havuta pratica che me dicano che sia bon segno, nè che mai me ne dicessero una parola consolatoria, anzi vanno trovando ogni modo in ciò de sconsolatione, di modo che ringratio infinitamente il nostro reverendissimo monsignor che, così scrivendo ad altri, ha fatto intendere a me che non è errore, per che se fussi errore e tentatione, la sua charità mai se saria tenuta de dirme che era bon segno. voi direte: tu non confessi che sia errore, perchè silla infermità non c'è, sempre non se può consolar l' inferma. Voi saprette che ho provato tutto con voi, et la consolatione son stati silentii, prohibitione, apportamenti de sconsolatione in tutti i modi circa questa cosa, dico per che nel resto son stata sempre pur troppo consolata da tutti, sì che in fine io reassumo dalle vostre actioni et carithà che la cosa è sì perfetta, l'affection mia sì giusta, debita et sancta, così utile all'anima mia, sì cara et grata a Dio che me andasse solo retirando, come se suol retirar la mente dalla troppo fixa occupatione et dolcezza dello spirito, acciò retorni a servir l'altro, prossimi per exercitar la charità, perchè con mons.r exercito più la fede recevendo absolutamente da Dio quanto lui fa, sì che sempre sono obligatissima al dolcissimo mio et reverendissimo Morone, che in tutti i modi me fa consolata. Circa Michelangelo che non è gionto Gisberto troppo seria errore tuo, se ha mons.r niuna delle due cose, che scrivette, anzi è tanto minima cosa che me ne vorrei servire solo per XV giorni, finchè fo venir l'altro da Venetia, maxime che non me ricordo bene, se è di monsignor o del Flaminio, cioè quel nero verde, che venne da Venetia che'l vorrei far guernir bene con piede d'argento indorato et intorno per la vista nel dipegnia, che se li fatica forte nella capella che fa di San Paulo (1) Vedi lett. CLVII. Il copista omise o alterò qualche tratto della fine di questa lettera, cosicchè ci riesce affatto inintelligibile.; et sel Flaminio l'adopera, se vi par, non ne direte niente, me rimeto; se è de monsignor, mandatemelo poi con vostra comodità.

Al comando vostro
La Marchesa de Pescara.

(1544), 22 giguno.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del cardin. Morone ms., f. 413).

Io pigliaria spesso consolatione de scrivere a Vostra Signoria Reverendissima, se fusse secura che me non rispondesse, maxime che ricevo la gratia delle sue lettere in quella diretta al signor Luisi, nel qual Vostra Signoria scrive a tutti gli amici come a fedelissimo dispensator de questi richi favori, et vorrei ben che questa mia andassi alla Signoria Vostra con una di monsignor, ma bisogneria torre un pocco della sua humiltà a lui e della mia arrogantia a me, acciò o tacendo o scrivendo Sua Signoria, fossimo in questo conformi, però non so quel che ne seguirà; ma che scrivo, se andarà o restarà o accompagnata o sola a Sua Signoria se rimette (2) Passo reso oscuro da inesatta trascrizione dell'antico copista.. Considerando (3) Da questa parola a christianissima vita fu pubblicato dal Cantù con un tratto della lettera CLIII in Eretici d'Italia, t. I, p. 415; Il cardinal Morone, p. 18.. lo stato di Vostra Signoria Reverendissima, non so se più compassion li debbo havere, quando o con le turbe servendo Christo nelli suoi fratelli, o quando è solo con Christo, vedendo i fratelli di lui: maxime che, essendo il corpo in fatiga et la mente desiderando la soletudine, mi fa chiaro il copioso fonte d'ogni gratia, non li lassa tanta sete senza dargli spesso qualche dolce poto, acciò, dir col desiderio, dir con l'effetto, sostenga la sua christianissima vita. Et certo considerando Maria discepola amata dal Signore, me ricordai più particolarmente della signora parlandomi che V. S. quasi un simil modo con lei (1) Sembra sia da emendare: me ricordai piu particolarmente della Signor[i]a [Vostra] parlando (il Signore) a V. S. quasi in simil modo che con lei. perchè havendo tenuta Maria alli suoi piedi, in molte consolationi pascendola spesso della sua, excusandola sempre, la chiamò poi con più interna vocatione a magior opera, quando, cercandolo, resuscitato li apparve, et intendendo lei la voce amata dirgli Maria, cognobbe col cuore il maestro in altra più divina cognotione, et più che mai desiderava trovarlo et consolarsi secco; ma lui gli mostrò l'altra strada, cioè il tocarlo, vederlo et servirlo nelli suoi fratelli, dicendoli che andasse a loro. Et così Vostra Signoria, benchè sempre sia stato in consolatione interiore, tanto in questa altra penetrativa voce et più interior cognitione, quando più li piacerà strengersi secco et abbracciarlo, l'ha mandato a servirlo nelli fratelli in altro modo che non desiderava e anchor che nelle bande nove che va denuntiando con le parole et con l'esempio et siano molti che lo tengono per deliramento, niente di meno questo buon Pietro continua trovare il vero sino a toccare et revolgere l'interminato; onde spero che saremo tutti insieme in pace et consolatione, sedendo et aspettando virtuti ex alto, senza patire impedimenti dall'incredulità de intorno. Et circa me non pensi Vostra Signoria che per la vicinità di monsignor io godo più del solito di lui, nè che io preghi mai che la sua ordinatissima carità esca di regola, ma che secondo l'usanza si mova all'infallibil voluntà di colui, che nissuna sua actione gli renda infruttuosa, anzi hora più che mai ho volute l'orationi a pregar il Signor che li scopra le mie necessità, acciò le siano occasione et giusto sperone al godo ben più spesso del mio Giesi, idest M. Luisi, che viver per resuscitarmi con l'authorità di questo Eliseo, ma non vedendomi vivificare et non volendo ritornar vacuo de frutto lo usa per amazzar la carne, acciò lo spirito si faci più vivo, onde la mia povera viduità torna sempre exclamando ad Eliseo, certificando che bisogna lui in persona per ordine dato ab eterno da chi solo il possa fare, sì che Vostra Signoria Reverendissima preghi per me, che io certo lo fo per lei, [et] mostri dal debito obedientia et sadisfatione, excusando el mio ardore con la humil fede sua, et spero essere exaudita per la sicurtà, che mi porge la gran compagnia, che ho in questa preghiera, et li basio humilmente la mano.

Di Santa Anna, adì xxij de giugno (1) Questa lettera non può essere che del 1544. Non può appartenere al 1545, nè al 1546, perchè nel giugno di questi due anni il Polo ed il Priuli, che in essa sono indicati come presenti, erano lontani dalla marchesa (vedi la nota 1 alla lett. CLXXI). Essa rimane quindi il documento più antico di Vittoria dal convento delle benedittine di Sant'Anna de' Falegnami a Roma. Dal 9 gennaio 1545 al 10 gennaio 1547 si hanno atti notarili di lei in questo convento (Visconti, Rime di Vitt. Col., Roma, 1840, p. CXXXVII). Sugli ultimi anni della marchesa a Sant'Anna, vedi Reumont, p. 255 e segg..

Deditissima a servire Vostra Signoria Reverendissima et Ill.ma

La Marchesa de Pescara.

(1) Antonio Bernardi, dalla patria detto Mirandolano (1502—1565), stette per molti anni presso il cardinale Alessandro Farnese, accompagnandolo ne' viaggi e nelle legazioni. Lasciò parecchie opere, fra cui un' apologia contro i Peripatetici stampata nel 1545 e una esposizione della retorica d'Aristotele pubblicata dopo la sua morte nel 1590. Nel 1544 fu assunto alla prepositura della Mirandola, donde però stette sempre assente. La lettera di Vittoria si riserisce appunto a ciò.

(1544), 28 agosto.

(Copia.—Roma. Biblioteca Vàticana. Collettanee di Gaetano Marini, cod. 9069, f. 44) (2) L'originale autografo di questa lettera in due pagine e mezzo faceva parte della collezione Benjamin Fillon (nel cui Catalogue è descritta al n°ree; 1358 con riproduzione della sottoscrizione), posta in vendita a Parigi nel 1878. Non siamo riusciti a rintracciarne l'acquisitore. La copia ci fu trascritta dal comm. Enrico Stevenson. Molto Rev. M. Antonio.

Ho avuto gran piacer de intender che siate per andare alla vostra Chiesia et cantarvi la prima messa, sì che bisognerà pur studiare un poco la Epistola et l' Evangelio, et così Dio vi darà lume [e] gratia de intender con altra renovation la santa parola, aderendo ad essa con la fede, non con la ragione humana, et vederemo il divino philosopho con l'omo celeste, col qual spirito caminate senza che hora ve ne accorgiate, in qual sensibil modo che ve ne accorgereti, studiando hora per forza la Scrittura sacra, et così l'onnipotente Padre con la divina et sopranatural sua sapientia vi tiri in ottimo modo a servir più internamente la sua bontà, et cognoscereti quella paterna forza de condurvi a veder Christo per più vostro intimo amico, che hora senza legger le sue dolci parole non par d' haverlo, che nemo potest venire ad me (dice lui), nisi Pater, qui misit me, traoerit eum, et nemo venit ad Patrem, nisi per me, et nemo cognovit Patrem, nisi filius et cui voluerit filius revelare: et lui non se rivela alli grandi ingegni, come voi, se nelle sue parole nol cercate, che se ben come christiano il cognosceti et l'amate, altramente vi mostrarà la dolcezza delli suoi mirabili secreti, come ve ha dato gratia per satisfar la ragione et intellettò humano de ben investigar quelli de Aristotile, et però non fusti mai tanto alegro del vostro alto intelletto, quanto serreti hora lieto de captivarlo ad obsequium fidei, sentendovi vestir di quella intelligenza sopranaturale, qual solo mostra la vera fede in questo sì ottimo maestro. Beato voi, che posseti fare a Dio sì gran sacrificio, mostrando il vostro sì grande intelletto, il qual ormai satio delle cose naturali deve esser abbattuto da Dio per darli altra divina impresa, et questo effetto è già in voi sì vicino all'atto che non può più stare in potentia: bisogna sacrificare tutto il vostro homo terreno a Colui, che si fece humano per sacrificarsi per voi. Vada via Aristotile per un pezzo, chè poi quando questo divin sopranaturale sarrà principal signor di ogni vostra actione, mettendo la filosofia nel suo loco vi servirà ottimamente. Hor come è possibile che se tutte le gratie, che vi ha date Dio, le recognosceti da lui, possiate dir che non voleti condelectarvi della mia divina legge secundum interiorem hominem? Per certo non ce è causa alcuna, sì che spero nel infinita sua bontà che vi dirà che durum est tibi contra stimulum calcilrare, maxime che in voi non è necessaria conversione, nè farvi de novo bon servo de Dio; ma solo che non più habbiate a resistere a tanti speroni, che lui interiormente et noi esteriormente vi damo; et così ve ne prego et vi certifico che pensai scriver doi parole, ma è giusto che sia longa rispondendo a molte et molte vostre con questa, mostrando voi la solita cortesia et io la sicurtà, che ho sulla vostra incommutabil affectione.

Da S. Anna, a dì XXVIII di agosto

Al comando vostro
La Marchesa de Pescara.

(Al Molto Rev. Sig. Messer Antonio de Bernardi della Mirandola).

(1) Fabrizio Colonna duca di Marsi, figlio di Ascanio (1525—1551). Era in questo tempo al servizio dell'imperatore.

(1544), 25 novembre.

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna. (Piccioni), Lett. ined. di Vitt. Col., p. 41, n. XIV).

Ill.mo Signor figlio amatissimo. Credo che questa mia lettera non bisogneria scriverla, perchè V. S. deve essere informata de' fatti suoi; et che el sig.r padre et signora madre l'abbiano molte volte fatto capace delle cose passate, et che 'l signore Ascanio tenga homo con la Sig.ria V.ra, che abbia le scritture. Et quando mai questo fusse, son certa che Sua Maestà, il sig.r Granvela (2) Niccolò Perrenot di Granvelle, ministro dell' imperatore. et il sig.r Figueroa (3) Don Juan de Figueroa. e il sig.r Segretario Diacolet abbiano molte volte inteso il tutto. Pur essendo dagli amici e servitori vostri stimolata che hora che si deve sperare che si scolpiscano tanti disegni et si veda l'imagine del giusto hormai totalmente lissiata et fornita, hanno voluto che per il Segretario Marchina io mandi a V. S. una copia, che mi trovo qui mal scritta della bolla di Papa Martino, et un' altra copia dell' istromento fatto tra il S.or Prospero et S.or Marc'Antonio (4) Marcantonio Colonna e suo zio Prospero stabilirono con istrumento del 7 dicembre 1508 che nei loro possedimenti succedessero i loro figli e discendenti maschi in infinito; mancando le loro discendenze mascoline, la successione spettasse a Fabrizio e a' suoi discendenti maschi; mancando anche questi, succedesse il parente più prossimo alle linee di essi istitutori, ancorchè fosse delle linee dei Colonna di Palestrina o di Zagarolo, escluse sempre le femmine (Coppi, Memorie Colonnesi, Roma, 1855, p. 274)., dove chiara si vede la vostra giustizia, oltre l'antica consuetudine, che donne in Terra di Roma non hanno ereditato, se per violenza o favore non si è fatto. Hor quanto più deve essere escluso in questa Casa, dove tali scritture penitus l' escludono? In modo che la S.ra Principessa di Sulmona (1) Vedi lett. XCIX., quando venne in Roma con tutto il favore possibile, essendo alhora quello della casa vostra per la partita del sig.r Ascanio et per l'absentia della S.ra Duchessa (2) Giovanna d'Aragona, prima ancora che si venisse alla lotta aperta fra Paolo III e suo marito, crasi coi figli ritirata ad Ischia, donde l' 8 d'aprile 1541, durante l'assedio di Paliano, scrisse al papa una lunga lettera pubblicata nell'Arch. stor. ital., nuova serie, t. V, parte II, p. 143. Cf. Reumont, p. 209 e segg. vostra madre et per li maggiori negotii et importantie de Sua M. Ces. et per lo sdegno di Sua Santità nel più infimo grado che poteva essere, consigliata ed informata della nostra giustitia, non volse tentare la causa per il petitorio, ma solo l'aggitava per il possessorio, ed in questo possessorio dove lei credeva havere giustizia non fu possibil mai, che non essendo in Roma per voi persona alcuna se non M.r Lorenzo (3) Lorenzo Bonorio auditore di Ascanio. Vedi App., p. 351., et io chiusa in S.to Silvestro, che previde ogni verità che havesse sententia in favore, vergognandosi li propri giudici di darla; et Sua Santità propria, per quanto altri mi hanno riferito, l'ha detto molte volte. Sichè le vostre giustitie, per quanto le cose possono da humani giudicii intendersi, sono fondatissime et sicure; et così credo che Sua Maestà le reputi. E perciò m'è parso farvene de nuovo capace. Ma non già che questo vi sia freno, anzi che vi sia sperone a rimettere il tutto nel retto, pio et prudentissimo volere di Sua Maestà, al qual solo, parendovi, possete mostrar questa lettera. Et di più dico che non solo le vostre giustitie son chiare per le scritture, ma di più, perchè il signor Vespasiano, padre della S.ra Isabella principessa, non solo tenne per bene la scrittura fatta dal sig.r Prospero, suo padre, ma la comprobò con gli effetti, perchè, morto il sig.r Marco Antonio, lui prese la possessione pacifica di tutto lo Stato suo, nonostante le figliole femine (1) Marcantonio mori nel 1527, un anno prima del cugino Vespesiano.; et così poi venendo tutto in potere del sig.r Ascanio seguì il medesimo, comprobando con gli effetti le medesime scritture: oltre che la bolla di Martino lega tutta la casa, e questo Papa poi con gli effetti ha mostrato il medemo, dando la dote a quell'una che vi era rimasta. Sichè per via di ragione, lo Stato di Terra di Roma è tutto vostro, cioè di vostro padre et vostro et di vostro fratello (2) Marcantonio, il capitano delle galere pontificie a Lepanto.. Et quanto alla convenienza li servitii si sanno, e il servitio di Sua Maestà si vede quanto poco profitto renderia che quello Stato si smembrasse contro il volere della prima testa che fu Papa Martino, et contra il volere di sì principal braccio, che fu il signor Prospero, che tanto ben morse in suo servitio (3) Il 30 di dicembre 1523, durante la guerra, che si combatteva in Lombardia., oltre di vostro avo, il sig.r Fabritio, mio padre, et tutti quelli di vostra Casa, che furon mai et che son vivi hoggi. A questo possete vedere quanto prezzorno sempre et quanto importa in terra di Roma che li Stati non sieno in altre mani alienati et che le cose et ricchezze si mantengano in mano de'maschi, che essendo in tempo di Martino la casa con principi et grandi, ordinò che non si passasse da sei mila florini di dote. Et quando mio padre mi lasciò alla morte sua qualche cosa più, tutto me lo diede in Regno, e questa signora ha hauto tutto lo Stato del Regno, che si vede che non era manco volontà del sig.r Prospero: et io vorrei che havesse un regno, purchè non si togliesse a noi, come l' infinita prudentia della Maestà Sua conoscerà. Per il che dovete confidarvi e rimettervi in Sua Maestà totalissimamente, la quale con tanto amore et perseverantia ha continuamente aiutate et favorite in modo le cose vostre, che parea che delli maggiori suoi interessi si scordasse, attendendo a questo uno solo, perchè mai venne lettera che 'l negotio vostro non vi fosse per quasi principale: e supplicarli che consideri il tanto patire hormai de' vassalli, l' estreme spese che al sig.r Ascanio occorrono, e sopra tutto la sua benignità, et si degni di soddisfare il sig.r Principe, come fece il Duca di Urbino quando non volse toglier le terre al Marchese di Pescara, mio signore, et come Sua Maestà si vede, et altri principi si legge che han fatto molte volte. E sa Dio che desidero ogni consolatione e utilità della S.ra Principessa; et son certa che l'Imperadore, il quale da tanto ardente guerra, com'era quella col Re di Francia, seppe cavare così honorata pace, e vedendo la porta aperta a cosi gran vittoria seppe serrar quella del suo gran desiderio (1) La pace di Crespy segnata il 18 di settembre 1544., troverà il modo di ridurre in pace la S.ra Principessa con voi, e senza torvi il vostro haverà via di sodisfare il desiderio loro, acciò che hormai il pretender da voi, li suoi servitori non siano più scudo alla voluntà d'altri e danno e dilatione alli interessi vostri. Del che io son sicurissima nel benigno e religioso animo di Sua Maestà, e quando tutti mi dicono che le vostre cose stanno male, perchè non ci sono molti che l'aiutino, io rispondo che queste sono ragioni d' accrescere molto la mia fede, vedendo la causa tutta in man d'Iddio et delli due suoi primi ministri, cioè di Sua Maestà, alla quale apartiene di diffendere tutte le giustitie et di beneficar tutti i necessitati et mostrare verso di voi tanta particolar consideratione, e di Sua Santità, alla quale tocca col suo Stato, non solo col vostro, usare ogni pio atto et ogni degna sodisfazione. Sichè il sig.r Ascanio non può far meglio che usar quell'arme e sciogliere tanti lacci, che vide S.to Antonio, cioè sola humilitas, et V. S. come fedelissimo servo rimetterlo tutto al prudentissimo ordine della Maestà Sua, la quale il S.or Dio prosperi con lunga e stabil felicità, dandomi gratia ch'io seguiti puramente il debito mio di orare per tutti col core in verità, et tanto più per la Maestà Sua, come continuo facio.

Scrissi a V. S. una lettera, della qual questa è copia per il sig.r Marchina, e per non haver hauto risposta, essendo hora dalla sincera voluntà del S.or Juan de Vega (2) Ambasciatore cesareo a Roma. per il S.or Secretario Ximenes fattome intendere che parte una staffetta, se altro in questa congiuntura mi occorre che scriva, però le mando di più il testamento del Principe, padre del sigr. Prospero (1) Antonio principe di Salerno (m. 1472).; e le dico che anco in favor vostro ce è lo statuto di Roma e tutto quello che per scritture, consuetudine, pacti ce pò essere. Et perchè intendo che dicono che la bolla non è vera, pur tutta Roma sa che fu tolta dal proprio registro della Camera del Papa et il signor Ascanio ne ha doi piombate, sì che è vana cavillatione. Et ancor dicono che el Stato novo di Campagna, perchè di novo l'ebbe il signor Vespasiano, è della figliola. V. S. sia certa che li dottori dicono tutto il contrario, anzi concludono essere del signor Ascanio, perchè la eredità non viene a lui per via del sig.r Vespasiano, ma dalle antiche sopradette scritture di tutta la Casa. Sì che non ci è causa alcuna visibile a noi che lo stato in una pietra si debbia diminuire. Ma perchè il sig.r Principe di Solmona è presente, et come persona, che li è passato tanto tempo per le mani, deve stare armato di quanto si pò pensare, non si pò da lontano comprehendere le sue cogitationi; però io per me credo che tutto questo scrivere sia superfluo, facto solo a voi per satisfare gli amici: ma alla prudentia di Sua Maestà e del suo consiglio non è necessario mostrar come queste cose se fanno. Sì che solo a voi per poterne ragionar bisognando servono le mie lettere. Et nostro Signor Iddio vi faccia gratia di fruire l'imperador del cielo et questo terreno, come li doi soli signori, che l'un per ministro dell'altro, vi sono patroni et padri. Da S.ta Anna di Roma, a dì XXV di 9bre (1) Il cenno alla pace di fresco conchiusa fra l' imperatore ed il re di Francia induce ad assegnare questa lettera al 1544..

Di V.a Ill.ma Sig.ria zia et come madre

La Marchesa di Pes.ra.

(All' Ill.mo [S.r] il Sig. Fabrizio Colonna Duca di Marsi).

(fine del 1544 o principio del 1545).

(Copia.—Biblioteca comunale di Camerino. Codice miscellaneo della seconda metà del secolo XVI.—Fontana, in Arch. della Soc. Rom. di st. patr., vol. X, p. 628, n. X).

Cugina mia. Mi è paruto, havendo ricevuta la vostra lettera, ch'io debbia dire quel che disse Iacob, il quale non rispose altro alli suoi figlioli, quando gli dissero che Ioseph regnava in Egitto, pensando che trovassero questa nuova apposta per rallegrarlo, ma quando vidde i carriaggi et i presenti mandati da Ioseph, alhora lo credette, et disse: bastami, poichè 'l mio figliolo Ioseph vive. Così, cugina mia, havendo io pianto la vostra morte, non dubitando però della felicità vostra, ma considerando la infelicità di coloro, a quali la presentia vostra è tanto necessaria (tra quali numero me), sono stata più giorni senza potere ben credere la convalescentia; ma quando ho poi veduto la lettera vostra, con la quale mi pare sentire la voce et lo spirito vostro raggionare con meco, è forza ch'io dica: bastami, et lodato sia Dio che la mia cugina et buona amica vive, vive, dico, in Colui, il quale è la vera vita, per che quanto alla carne io vi tengo huono tempo fa per morta, et che il vostro Adam con tutte le concupiscentie sia morto et crucifisso nel Nostro Signore Iesu Christo, col quale et per il quale voi siete morta et resuscitata, vivendo nella nova carne dell' agnello morto inanzi la creazione del mondo, et renovata in novo spirito, caminando sopra nova terra, contemplando i nuovi cieli, estimando le cose vecchie, le quali sono esteriori, esser passate, per che l'esteriore finirà et non ci resterà altro permanente che l'interiore, sì che nissuna cosa mortale è degna di essere desiderata da colui, il quale ha il suo core fisso nell' eterno Dio et nel bene della sua eternità. Ond' io tengo per certo che, contemplando voi le cose esteriori, le quali Dio ha fatte per accecare i peccatori et per che siano alli suoi eletti scala per salire alla cognizione della sua immensa potentia, sapientia et bontà, le giudicate tali quali elle sono, cioè un vapore o fumo chiaro per un poco et poi passato così presto come passa la lagrima della perdita, quando è giunta alla speranza della recuperatione. Ma chi le conosce non vi può mettere il suo core, et chi non ha il core, nè ancho imbratta in loro il corpo, per che vedendo et udendo tutte queste cose guarda solamente Dio, il quale parla et opera per le sue creature, et questo fa con l'occhio simplice dal quale è veduto Dio in tutte le cose, onde il corpo viene ad essere fatto luminoso, non vedendo altro fra le tenebre di questo mondo che la luce che vi luce, et così sono l'occhio et il cor vostro, a quali io offero le mie affettionatissime raccomandationi, ma non di me sola, anzi di mons.or il Cardinale d' Armignac (1) Giorgio d'Armagnac fu creato cardinale il 19 dicembre 1544 Nello stesso codice, in cui si trova la copia di questa lettera, è trascritta un'altra della regina di Navarra al cardinale, per invitarlo a presentare a Vittoria la lettera, che ripubblichiamo, e ad ascoltare i consigli e tenere preziosa l'amicizia della marchesa. Fu stampata pure dal Fontana, Arch. cit., p. 626., mio figliolo, l' honore del cui capello non mi ha dato tanto piacere, quanto ne ho ricevuto intendendo per il testimonio della lettera vostra che la gloria di questo mondo non li ha niente mutato, cosa ch'io veggo essere molto rara in simili gradi. Però vi prego, cugina mia et bona sorella, piacciavi d'essergli madre nel absentia mia, et di parteciparlo delle gratie, che Dio ha donate a Voi, accio che le tentationi, che assaliscono dalla mano destra, nol facciano cadere nel abisso comune degli altri pari suoi, i quali in luogo di triunpho sono miserabil ruina della Chiesa, i cui ministri, se seguitassero in parole et costumi quei, de' quali si chiamano successori, i principi et popoli christiani correggerebbono i loro errori, et le bocche di coloro, che li sprezzano et riprendono, sarebbono chiuse, ma vivendo come vivono, se gli huomini tacciono, le pietre parleranno. Dio voglia che costui, il qual ho voluto nutrire per obedire alla sua santa parola et bona voluntà, sia trovato nel numero de' suoi eletti, sapendo bene che in ogni stato et grado ce ne sono de suoi, i quali non hanno piegato il ginocchio avanti a Baal, ma spero tanto nella bontà di Dio et in voi che, se per fragilità lo vederete cadere, l'avertirete come amica vera et correggerete come bona madre, la qual cosa vi prego a volere fare, come vorrei che facesti per la mia salute propria. Et con questa confidentia pregarò quel Dio, il quale può quel che vuole, et vuole più il ben nostro che noi non sapressimo mai desiderare che vi sia sempre quello, che già vi è, cioè vita et salute, sanità et consolatione et che mi tenga sempre mai nella vostra bona amicitia.

Vostra bona cugina, sorella
et amica Margarita.

(prima del 1545).

(Nuovo libro di lettere de i più rari autori della lingua volgare italiana, Vinegia, 1545, c. 33v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 428, n. XVIII).

Elevatissimo spirito. Se in questa tua domestica cena ti (1) Questa e le due seguenti lettere alla cugina Costanza d'Avalos, moglie di Alfonso Piccolomini duca d' Amalfi, non offrono alcun indizio per poter loro assegnare una data. La duchessa d'Amalfi fu donna di grande pietà, uditrice del Valdes a Napoli. Come Vittoria, coltivò la poesia e passò i suoi ultimi anni in un convento, in quello di Santa Chiara a Napoli. figurarai, come io credo, esser tu quel amato giovene, che nel sacrosanto petto intese i divini segreti, per quella cara dilettione, che caldamente ci lega in un desio, ti prego al tuo aspettato ritorno vogli farmi, come suoli, participe delle gratie ricevute, acciò che dalle ale sue sospinta, sia dal tuo merito portata ove dal mio sperar non lice, perchè so che mercè del Signor Nostro sarà chiaro alla tua mente come l' alta invisibil luce si fa visibile a'suoi eletti, come sopra il mirabil trono senza seder si quieta e di sè stessa con sè medesima si rende facile, et come quel gran Padre genera il suo Figliuolo, e come questo sommo principio gli è simile in ogni cosa, come l' ardente flamma procedendo da questi dui non è lor punto inferiore. Vedrai l'unità della divinità loro esser solo una sostantia senza poterci esser accidente alcuno, vederai come l'incarnata sapientia, senza aggiunger nome di quattro alle tre persone, ha sublimato tanto questa nostra humanità che l' ha fatta una medesima cosa con Dio; vedrai il primo ordine della prima gerarchia tutto ardente, come di sola flamma si pasce et si contenta il secondo, quali lucidi intelletti che di puro intendimento si vivono sempre satii il terzo, che come preparate sedie abbracciano il sommo bene, et a modo di saggi giudici assisteno beati et sinceri. Et perchè so che il vivace spirito in questo atto fermerà l'alma interna vista, qua fermerò la mente, lasciando la speculatione dell' alte gerarchie per giorno non dedicato al santo consolator nostro; e se pur hai tempo d' intender come da quella larga mensa si mandano le gratie alli mortali, sappiti, prego, come s' ha da preparar la sitiente anima per riceverla. Ma perchè so che nel tuo alienarti starai sì lucida in quel divin lume, sì accesa nel bellissimo fuoco et sì perfetta nell'alta somma perfettione che attenderai sol a cibarti, mi par che all'allentar dello spirito, quando già senti che la gravezza terrena vuol richiamarti, ti fermi col mio osservandissimo padre Paolo, o col mio gran lume Agostino, ovvero con la ferventissima serva mia Maddalena; et da essi t'informa di quel che t'ho supplicato, et sopra tutto ti prego ti sforzi veder come la singularissima patrona e regina nostra Maria il mirabil mistero dell' altissimo Verbo [ha] incarnato in lei, et come si liquefa di divino ardore di veder la sua istessa carne fatta un vivo eterno sole, et come vive beata nella riposata et sicura pace del cielo, et quanto gode di vedere che dal suo vivo lume nascono i raggi, che fanno bello il Paradiso, et che della sua benignità passino ne i beati per unirli e acquetarli nell'alta eterna luce di Dio, alla qual per sua bontà ci conduchi.

La Marchesa di Pescara.

(prima del 1545).

(Nuovo libro di lettere de i più rari autori della lingua volgare italiana. Vinegia, 1545, c. 34v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 431, n. XIX).

Sorella dolcissima.

Intendo che le mie littere così semplicemente scritte vi danno consolatione assai, ond'io non curarò di maggior ornamento per non impedirvi il gusto, nè di più elegantia, essendo con voi sicura di calonnia e d' ogni iniquo morso di maligna intentione; ma dico quel che soavemente ne l' usata nostra chiesa mi rappresenti. Questa mattina il mio più caro pensiero vedeva con l'occhio interno la Donna Nostra et del cielo con sommo affetto et soprabondante letitia abbracciare il suo Figliolo, et di purissima luce mi parve discernere mille lacci, che con nodi di ardentissima carità li legavano insieme. Prima il suo chiaro et lucido intelletto con esso, quanto può creatura col creator, unito; la saggia et sincerissima anima nel suo solo divino obbietto humilmente congiunto; la candida et risplendente humanità non solo come albergo la riposava in sè, nè a tanto simili li vedeva, che quest' anima et quella una istessa carne le velava a noi mortali. Meditava poi gli obblighi infiniti da'quali ella qui in terra ogni giorno più accesa con una riverenza il serviva per la nobilissima da principio et sempre immaculata concettione, per la pia et sopra ogni altra vera redentione. Et perchè le diede potestà di madre, amore di sposa, sicurtà di figlia, la fece attissima a volare con l'ali del gran merito suo sopra tutti i celesti chori; chè essa gloriosa donna supera gli angeli, chè, se come nuntii col andar et ritornare ubbediscano il maggior sole, ella, andando e ritornando d' Egitto et seguendolo sempre, con tanta carità lo servì che 'l molto amaro le era sommamente dolce per condurio; supera gli arcangeli, chè, se hanno cura d' una provincia o d' un regno, ella del Signore di tutti i regni del mondo la hebbe continuo; supera le virtù, chè, se dan vigore di far miracoli, ella ne fece infiniti, oltre il massimo di tutti i miracoli, di concipere et partorire vergine et intatta et sopra ogni immaculata virtù immaculatissima et sincera. Avanza le podestà, chè, se hanno podestà di scacciare i contrarii spiriti, ella totalmente li unisce, anzi totalmente signoreggia che solo del suo santo nome e glorioso trema l'inferno. Avanza i principati, chè, se hanno nome d'esser duci et lumi a grandi e inferiori lumi, essa illuminatissima regina è vera luce et guida di tutti i beati et più de i viatori, senza la cui tramontana in ogni picciol acqua del vasto mare di questo secolo faria [no] naufragio certo. Avanza le dominationi, chè, se esse dominano tutti l'inferiori cori, ella, come madre di chi le ha dato il dominio, domina quelle et gli altri. Passa anchor l'ultima gerarchia molto più propriamente, chè, se i troni, come vere sedie, il Signor pare che si riposi in loro, quasi che hanno il giuditio, ove più che in questo quietissimo albergo si riposa et ripara; et chi meglio potrà dar giudicio se nel gran lume ella vide più rettamente d'ogn'altro il giudicar puro et vero? Passa i cherubini, chè, se essi purissimi sono tutti intelletto et sapientia, et intendono il sommo bene, pienissimamente (1) Nella stampa, pienissimo; ma è da correggere come abbiamo fatto. et vivamente non potranno giunger a quella, cho nella mente, nel ventre, con l'interno e corporeo occhio lo vide e vede continuo, con tanta plenitudine di gratia, et con sì eccessivo lume d'intelligentia che se altro intelletto fosse maggior del suo, quel di Christo havrebbe eguale; chè solo all'infinito figlio è di poco inferiore l' eterna madre. Passa i seraphini, chè, se hanno per propinquità et per amore il titolo dei più accesi, non bisogna molte ragioni a mostrare che è più esser una medesima carne che un vicino spirito, e che per tutto questo transcorso si vede quanto ardentemente e obligatamente lo adori et ami, et quanto infiammi in quella dolce et chiara face. Or considera con la tua devota anima questa elevatissima luce, sopra tutti i cori unita col suo diletto in somma et tranquilla pace, et alza un poco la mente a quel trino et uno lume, come mira questa elettissima sua donna, et che in lei pare che si veda quel che in luoco non si vede giamai. Vedesi in questo candido et purissimo cristallo l'invisibil luce suprema; et pare che ivi si satii il gran Padre d'haver mostrato la sua invitta potentia nella potente figliuola, e il Figliuol gode d'haversi con la sua sapientia ordinata sì sapiente madre, si consola lo Spirito Santo di veder rilucere in questa perfettissima sposa l'ottima sua bontade. Et perchè lo scender da tal altezza non sia disordinato, torna per [la] medesima scala a meditarla in terra. Et pensa come, nutrendo l' Auttor d' ogni vita, era internamente nodrita da lui, come sostenendolo si sosteneva, et soavemente levandolo da terra era altamente elevata in cielo, et per dargli col sonno breve riposo, le era eterna pace per ricompensa concessa. Io non so perchè quando il glorioso petto gli alimenti gli dava, il caldo della divina bocca et l'affetto d'amore con che il sentiva non asciugava il santo latte o chiudeva la via d' onde nasceva! Et perchè il celeste peso non faceva con l'humil pensiero tremarsi le sacre mani, che 'l bagnaro e fasciaro, et gli altri necessari effetti gli fusser quasi impossibili! Ma di che potrò io maravigliarmi, se miracolosamente fu a tale effetto mandata nel mondo? Se per ragione gli era madre, poteva ben ardir d'essergli serva. Et quel figlio, che vergine haveva partorito, ben poteva haver audacia di prudentemente governare. Hor considera quel santo ardente spirito, che sì caldamente come sua diletta sposa l'amava, quante dolcezze in questa divina cura gli dava continuo, con quanta ampia e larga volontà le fece gustar il vivo fonte, il fuoco della carità et la spiritual untione. Et perchè sempre andò augumentando di gratia in gratia, mentre teneramente lo nutrì, gustò che l' anima fosse il fonte vivo et quasi continuo de l' infinita dolcezza, inebriata esultando in questo spirito con vive, calde et soavissime lagrime lo bagnava. Et poi che già nell' età perfetta ne gli alti et grandi miracoli essercitar lo vide, con tanto ardore et carità l' amò, e sì puramente arse nel santo et chiaro fuoco che sino alla morte non hebbe timor di seguirlo. Anzi talmente s'era dilatata ne l' ampia mente sua l'amorosa fiamma che consentì al tormento della sua istessa anima, e havrebbe desiderato accompagnarlo con quello del suo corpo per l'universale salute. Et poi che glorificato et glorioso le aparve, senti la spiritual untione, chè, havendo l' interne piaghe mite et tranquillisima quiete et super infusa pinguedine, si satiò di quanta pace e gaudio perfettissimamente et felicemente pò gustar in terra vivendo. Pensa che illuminati accenti allhor formava, che sagge ignite parole uscivan dalla santa bocca, che pietosi et chiari raggi lampeggiavano da quei lumi divini, che rettissimi consigli senza uscir delle leggi davan legge a chi l'udiva, come maestra vera constituita dal maestro primo a fermare quelli ordini al mondo, che aveva egli fondati col proprio sangue.

La Marchesa di Pescara.

(prima del 1545).

(Nuovo libro di lettere de i pilò rari autori della lingua volgare italiana, Vinegia, 1545, c. 37v; (Saltini), Rime e lett. di Vitt. Col., p. 439, n. XX).

Di due gloriose donne, sorella amantissima, vorrei ragionar teco, della nostra advocata et fedelissima scorta Maddalena et di quella che hoggi si celebra la morte et anzi felice vita, Chaterina. Et benchè il sommo Re nostro dicesse a' suoi discepoli: Qui voluerit inter vos maior fieri, sit vester minister, et qui voluerit inter vos primus esse, eril vester servus; donde ogni comparatione è massimo errore, pur perchè io vo considerando la gloria del cielo, della quale questa incarnata verità parlando disse: In domo patris mei mansiones multae sunt, confidando ne l'humil et amorosa mia verso loro antica et rinata servitù, ardirò distinguere un poco i gradi et le gratie, che 'l grande et vero sposo et Signor Nostro ha loro concesse. E poi suplicaremo esso vero giudice che le ha degnate a tanto bene, le quali col suo piatoso giuditio ne l'alte sedi le discerne, ne i bassi pensieri nostri le dipinga, non già con quei raggi, con quai lassù vivono ornate, ma come qua giù et capir et sostener le possiamo. Vedo la ferventissima Maddalena udir a piedi del Signore: Dilexit multum, et Chaterina nella carcere: Agnosce, filia, creatorem tuum. L'una pare che per amore sen voli all'alto grado de' seraphini, l'altra che per intelligentia ne i seraphini si collochi. Credo a quella esser dato il titolo della contemplativa et a questa il bello et raro nome dell'amata virginità, vedo alle lacrime de l'una resuscitare il quatriduano fratello, et alle preghiere de l'altra scender l'angel dal cielo, e rompendo la cruda rota rivoltaria a danno di quattromila gentili, non per causar morte a quelli, ma per dar vita ad altri infiniti, ed ambedue con le ignite, saggie et dolci parole convertir vedo regine con li regni et numero grandissimo di persone. Considero che quella amata discepola meritò prima di tutti veder il glorioso immortale dando chiaro testimonio il Signor grato quanto il suo ardore. la sua perseveranza et il suo fido et accetto amore gli fosse piaciuto. Et per certificarla che era sua apostola, le comandò che fosse la prima annunciatrice de la aspettata novella et del mirabil mistero della sua resurrettione. Considero che a quest'altra disse: non temere cosa alcuna, ch'io sarò sempre teco. Onde apertamente dichiarò quanto l'intrepido animo, la dottissima et calda disputatione, la sincera et costante fede, che aveva per lui mostrata, gli era stata accetta. Vedo che l' una con trentatrè anni di continuo martirio, poi di già esser purgato il suo oro, volse talmente cimentarlo che purissima vergine et luminosa apparesse la sua lampa nel cospetto dell'amantissimo sposo. A l'altra sincerissima vergine immaculata col martirio et col proprio sangue egli mostrò nel lume suo la sua prudentia. Vedo la convertita donna da l'hora, che ardentemente lo amò, ogni giorno più accesa, con novi et humili affetti fino alla croce seguirlo; et quando a gli altri per la sua morte s'intepidì la fede, accendersi a lei l'amore, accompagnare et servir sempre la santa madre, haver con la Regina del cielo lo Spirito Santo; fatta poi perfettissima et dotta pronunciatrice del Verbo divino, et nell'alto monte della sua penitentia, spessissimo dal suo fulgente sole esser con somma carità visitata. Vedo l'audace et intrepida vergine con saldissima et sagace fede esporsi ad ogni tormento, desiderar con puro et forte affetto dare al suo redentore la propria vita, con letitia innarrabile et fermezza inusitata confermar nella passione i convertiti da lei. Penso quanto gran cosa fu quel virgineo et sacro corpo fosse per man de gli angeli portato per sì lungo spatio al prezzato monte, ove l'antica legge si diede al popol caro. Et penso che mirabil cosa fu che sette volte il giorno da l'apostola diletta per gli angeli fosse portato il corpo vivo ad ascoltare l'armonia del cielo. Sì che l' una nel breve tempo con la morte et col martirio dimostrò quanto havria sempre servito; et l'altra con la lunga fatica fece fede che ogni grave tormento et ogni grave martire le sarebbe stato caro. Sì che ambedue felicissime dinanzi al vero sole, che con piatoso occhio le riguarda, lietissime le discerno, et parmi che con abbondanti luci de' suoi più vivi raggi le adorna e abbellisce continuo, et con larga mano le sue più interne et gratie care l'impartisce et dona. Hora specchiamosi noi ne le opere dei bellissimi lor corpi, et i pensieri delle sante et chiare menti imitando, rendiamo il vero culto conveniente al Nostro Signore, ai divini piedi del quale l'una credo con immenso gaudio in tranquilla et vera pace eternamente si riposa, et l' altra alla destra della donna del Paradiso, come sposa del suo figlio felicissima vive. Onde poi alla gloriosa Regina quella come eletta sopra ogni altra donna, et questa come prima vergine rendono con incessabil lode grazie del principio vero.

La Marchesa di Pescara.

(1545), 6 maggio.

Copia.—Milano. Archivio Scotti Gallarati. Processo del card. Morone, me., f. 42 7.

La sua lettera mi è stata causa di corroborare la patientia et de assicurar più la fede sperando certo che se queste congiure contra di noi son contra lo spirito secondo il testimonio della nostra conscientia, Christo trovarà bene il modo di remaner vittorioso in loro della causa sua; ma insino ad hora mi par che il danno et la colpa sia tutta mia vedendo che questo ottimo maestro signor nostro per sminuir l'affanno del absentia et delle altre cose, che V. S. dice, mi dà un altro pensier molto più molesto, cioè gli tanti pericoli, che vedo della sua vita, secondo si può congetturare dalla lettera di V. S. et altre, che ne sono state scritte a Sua S.ria (1). Accenna al viaggio del cardinale Polo, che di nuovo era stato nominato legato al concilio a Trento. I due suoi compagni nella legazione, i cardinali Del Monte e Cervini, giunsero prima di lui a Trento (13 marzo), il Polo ritardò il suo arrivo sino al 4 di maggio, per timore di insidie tesegli dal bolognese Ludovico Dall'Armi e da un conte di San Bonifacio da parte del re d' Inghilterra. Su queste insidie si possono vedere le lettere del Polo, del Del Monte e del Cervini fra il marzo e l' aprile del 1545 in Epist. Regin. Poli, p. IV, Brixiae, 1752, p. 185—187. Il Polo partecipò ai lavori del concilio aperto il 13 di dicembre, e ripartì nel giugno 1546, quando il concilio stava per discutere la dottrina della giustificazione per la fede.. Perhò sapendo (2) Da questa parola a secondo la carne mia trovasi in Cantù, Eretici d'Italia, t. I, p. 407; Il card. Morone, p. 18. io il credito che monsignore ha alla Signoria Vostra e la reverenza che monsignor Luisi e monsignor Marcantonio (3) Il Priuli e il Flaminio, che accompagnavano il Polo. le hanno, la supplico a tenerli spesso ricordati che attendano con ogni possibil diligenza alla sua guardia, lasciando in questo a Sua Signoria la guardia severissima della sua intrepida fede, considerando che Dio gli ha eletti fra tanti altri suoi servi a custodire questo membro suo, il quale a me pare che faccia sempre male, come che si muova o a dextris, secondo lo spirito suo, o a sinistris, secondo la carne mia, vedendo in ogni sua actione lume de Dio più chiaro al occhio interiore, quanto più al exteriore se obtenebra; et veramente saria malfatto usar con meco più rispetto alcuno che non giudicaria con chi mi tenesse cosa sua in spirito, se pensase hor mai che degenerassi tanto dalla sua robusta fede che 'l latte et le blandicie, dalle quali fu sempre alieno, mi convenisseno; sichè, Mons.r mio, non ho altra pena, se non che in queste absentie, periculi, asprezze divine et tante diverse cose, dalle qualli la carne è circondata, io non ho V. S. R.ma mio vero et salutiffero conforto, et sa Dio quanto desidero servirla, et al signor abate (1) Forse Vincenzo Parpaglia, abate di San Solutore, di Torino, amico del Polo e suo vicelegato a Viterbo. Vedi App. I, p. 339. ho parlato, al qual me remetto bassando la mano a V. S. R.ma.

Da S. Anna di Roma, adì VI de maggio. Serva de Vostra Sig.ria illustrissima et reverendissima>

[La Marchesa di Pescara].

De gratia, Vostra Signoria si degni per Christo, unico refugio nostro, scrivermi alcuna volta, quando non li sarà molto scommodo.

1545, 20 maggio.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del cardin. Morone ms., f. 403, 404 e 408).

Non potria explicar mai la consolation (1) Nella copia: consideration, che le sue lettere mi dànno, e ben che li habbia compassione delli impedimenti, travagli e stati che, contrarie alla quiete del suo spirito, desidera, tamen mi alegro di vederlo tanto superiore alle tribulatione che più sente quelle di monsignore nostro reverendissimo che le sue istesse; ma di questo io voglio haver un puoco di ardire di consolarlo, così, como lei si degna di consolarme della absentia e della sobrietà. E creda Vostra Signoria che io non sento affanno alcuno di quelle cose, che la Signoria Vostra monstra de scrivere di lui, perchè son sicurissima che quanto maggiore [è] la difficultà, tanto più in sì perfetto instrumento risuona la voce del Signore, e più si honora il vero mastro e capo di questo dignissimo membro, anzi mi figurava di vederlo como Christo mandato da Dio ad unire el popolo hebreo col gentile e dirli: ipse est paoe nostra, qui fecit utraque unum; e mi par di udirlo con la christiana sua humiltà abbassar quel monte e con la sua verità monstrare a quella croce la vera croce interiore nel supportar el fardello, sì che di questo ho plenissima sicurtà, e così le altre simil difficultà o fatiche o calunnie niente (2) Il tratto dalla parola niente a cerco di humiliarmi fu publicato con qualche lacuna dal Cantù, Eretici d' Italia, t. I, p. 415, e Il card. Morone, p. 18. mi molestano, chè troppo saldo è il suo fundamento, e troppo ben compatto e stagionato l'edifizio con mille ferme colonne di experienza, in modo che tutte le tribulationi li sono securi testimoni della sua fede invictissima, et ogni vento contrario accende el lume della sua speranza: e quante oppositione li può dar il mondo nelle opere che fa, vedo sempre al fine che son dalla sua divina carità arse et estinte di maniera, Signor mio, che ardisco dire che me ne ha impressa, per Dio gratia, qualche scintilla; sicchè non sento la mittà della amaritudine, che sentirei in tutte le difficultà e molestie, che mi occoreno. E con certi suoi amorosi e dolci modi christiani ha fatto che in doi anni io non ho saputo dove mi tener la testa, nè mai poteva cognoscere la sua (1) Manca una parola, forse volontà. de satisfare al suo intento, tanto che in questo caos mi fece sentire che doveva alzare gli occhi in un altro modo a quel lume, che poteva illuminare lui, secondo li miei bisogni, e non secondo la mia volontà. E così fo reputando egualmente venir da Christo ogni cosa, pigliando sommo piacere delle consolationi, quando Dio per suo mezzo le manda a me più secure che tutte le altre, tamen quando non vengano, non quanto solevo mi doglio, ma mi humilio o, per dir meglio, cerco di humiliarmi.

Solo mi resta una ansia grande, cioè che stia forte et che Iddio si degni lassarlo fra noi molto tempo, remittendo però il tutto alla sua paterna provvidentia, et seben Vostra Signoria dice del Ludovico, sappia che non ho mai havuto troppo dubio de Ludovico, ma de quel Bonifacio (2) Ludovico Dall'Armi e il San Bonifacio, che, abbiamo detto, tendevano insidie al Polo. e altri, a' quali il Ludovico può tener mano, sì che Vostra Signoria Reverendissima non lassi el suo solito, et gli bascio la mano. Et perchè me dice nella sua se sono a Viterbo, li dico che io vi gionsi domenica (1) Cioè il 17 di maggio. Come appare dalle lettere precedenti e dalla seguente essa stava allora nel convento di Sant'Anna di Roma. et sto molto contenta con la solitudine di Roma e con la compagnia de queste pure et dolci spose del Signor Nostro, le quali gli observano la fede, che lui l'ha data et dentro et fuori, et insieme, Sig. mio, Christo me ha sempre mostro che io non sono atta alli negotii del mondo, tanto mi par far meglio. Qui pur fiat voluntas Domini. Son sicurissima che ancho in questo non erra il discorso, che in ciò suol fare monsignor, le cui parole sempre mi sono in tutte le occorentie fisse nella mente.

Da Santa Catherina de Viterbo, a dì XX di maggio 1545.

Ho havutta poi l'altra di Vostra Signoria Reverendissima, nella qual exinaniscit se formam servi accipiens, dignandosi de considerar sì menutamente il mio stilo, ma sappia Vostra Signoria Reverendissima che monsignor non fece per mortificarmi il non essere io venuta a Viterbo quando vi fu lui e hora sì, ma per le occasioni; et volse Dio ch'almanco dicessi fargli sobrietà, chè fu per ridermi ad absoluto spirito, ma non ho tanta gratia che mostri questa cura, e baso la mano a Vostra Signoria Reverendissima, remettendomi di tutto a questi, che vanno al mio carissimo monasterio di Viterbo, ove pregano per Vostra Signoria.

Adì XXVII de maggio. Serva de Vostra Signoria Reverendissima et Ill.ma

La Marchesa di Pescara.

(1546), 4 maggio.

(Autogr.—Modena. Collezione Campori.—Campori, in Atti delle Dep. di st. patr. dell' Emilia, n. s., vol. III, parte II, p. 44, n. XVII).

Ill.mo et Ex.mo S.or. Tanto pio christiano et tanto homo da bene è il S.r Baron del Burgo (1) Nobile siciliano al servizio di Ottavio Farnese ed amico del cardinale Polo. Vedi App. I, p. 341. che al ottimo animo di V.ra Ex.tia mi par di far servitio, dandoli occasione di farli gratia, et perchè lui particularmente scrive il desiderio suo alla Ex.tia V.ra, io solamente la supplico che creda che obligarà molti boni in satisfar un bonissimo; et con non men fede scrivo a V.ra Ex.tia che faceva alla felice memoria del M.se mio cognato, nel cui loco mi alegro che lei sia successa (2) Il marchese del Vasto morì il 31 di marzo 1546. Don Ferrante Gonzaga gli succedette nel governo di Milano., che è stato non poco remedio a tanta perdita de sua casa et del mio M.se di Pescara (3) Ferrante Francesco, figlio primogenito del marchese del Vasto, che portò il titolo di marchese di Pescara. Fu vicerè di Sicilia e sposò Isabella Gonzaga, figlia del duca Federico e nipote di don Ferrante., essendo in questo loco con suo padre e mio fratello e S.re, et così alla S.ra M.sa, qual de modo sente questo dolore che assai più della faticosa vita che di questa felice morte mi doglio, et bascio a V.ra Ex.tia la mano.

Da S.ta Anna di Roma, adì 4 di maggio.
Deditissima per servir V. Ill.ma et Ex.ma S.ria

La M.sa de Pescara.

(Al Ill.mo et Ex.mo S.or mio obs.mo el S.or don Ferrante de Gonzaga, Vicerrè de Sicilia et Generale Capitanio ecc.)

1546, 4 ottobre.

(Copia.—Venezia. Biblioteca Marciana. Cod. Ital. cl. X, cod. XXIV, c. 3v-4v) (1) Questa lettera fu data tradotta in inglese da Rawdon Brown, Calendar of State papers and manuscripts relating to English affairs, existing in the Archives and Collections of Venise and in other libraries of Northern Italy, vol. V, London 1873, p. 171, n. 409..

Illustrissima Signora et madre osservandissima.

Il nostro Lilio (2) Senza dubbio la persona menzionata dal Carnesecchi (Proc., p. 254) come stante al seguito del cardinale a Viterbo: «M. Gilio inglese cameriero et scriveva». subito che gionto qui nel primo ragionamento con meco si faticava con ogni forza di parole a farmi intendere quanto V. S. Ecc.ma mi vogli bene di core, et come se questo mi fosse stato cosa nova et non prima saputa, lo lassava dire quanto voleva, che durò un gran pezzo, aspettando la conclusione che esso voleva inferire di questo. La quale, se fusse stata quella, che meritamente poteva concludere, cioè, facendo uno paragone delli miei portamenti verso tanto et più che materno amore, condannarmi d'ingratitudine, che nè in fatti, nè in parole habbia mostrato di rispondere alla minima parte di tanto amore, ma più presto fatto dimostrattione in contrario, come saria stato facile a mostrare, io certamente haverei hauto gran piacere di si giusta riprensione fatta con quella simplicità, che sempre ho havuto cara in lui. Ma poichè non concluse altro, io medesimo farò quella conclusione, tanto più a mia confusione quanto io mi sento grandemente errare in questa parte e non mi metto mai a correggere questo mio errore, benchè non posso dire di non avere messo studio di fare quello, che io conosco di dovere in questa parte, ma, trovando per esperienza che non mi riesce come desidero, io lo lasso stare, come se Dio mi privasse di questa gratia di poter satisfare all'animo mio in quella cosa che tanto desidero fare, la qual cosa, in vero, qualche volta mi dà gran fastidio, et cercando di consolarmi, non trovo altra sorte di consolatione, se non che ch'io mi persuado, come ho detto et scritto altre volte a V. Ecc.za, la volontà divina esser così per dar a lei la piena retributione, che promette a tutti quelli, che sono benefici, donde non si aspetta retributione, come dichiara Nostro Signore nella parabola di coloro, che invitano i poveri ai loro conviti, non mi lassa trovar modo di render a lei cortesia nel modo che essa usa con meco. Et in questa speranza mi consolo pregando Dio che li faccia ampla restitutione con tanto maggiore affettione dell'animo, quanto più da mia parte mi sento infinitamente mancare di farlo, godendo insieme l'imagine del divino amore espresso nella sua grande carità, la quale, benchè non trovi corrispondenza nella sua creatura, non lassa però di continuare la sua bontà, imo tanto più moltiplica come V.a Ecc.a fa meco. Et di questo ringratio infinitamente il Signore, che mi dà questa esperientia dimandando perdono dei miei difetti alla sua infinita bontà prima e poi a lei. Del mio stato non occorre che io le dica altro, essendo il nostro Lilio portator di questa, il quale spero raguaglierà del tutto V. E., et della grande commodità, che io ho qui in casa del rev.mo Bembo (1) Il Polo, partito da Trento col pretesto di mala salute, il 28 di giugno 1546, si recò a Trevella nella villa di Alvise Priuli. Il 9 di settembre andò a Padova in casa del Bembo: il 16 di novembre era di nuovo a Roma., dove sto prima con tanta sicurtà e contentezza dell' animo, come se io stessi in casa de mio padre, poi con quella comodità, che non potrei desiderar meglio a questo tempo, massime di due cose, nelle quali sempre ho sentito gran piacere, cioè d'uno studio et d' un giardino, i quali io ho trovati tutti dui qui così belli che non saprei dove poterli trovare più belli al mio gusto, et appresso questo l'amorevolezza delli suoi ministri, i quali mi vedono così volontieri ch'è sopra ogni altro piacere. Et questo scrivo a V. E., come alla mia madre, per darli occasione di ringratiare prima il nostro comun padre del cielo, perchè esso vuol essere chiamato da noi, invitandoci per il profeta Amos: voca me, pater meus es tu, et a chi invoca lui, promette essergli guida in ogni loco invitandoci a dire: Tu es dux etc. Et per questo V. E. ringratirà il primo padre, et poi questo secondo, che è stato ministro del primo. V. E. farà gratia di raccomandarmi alle orationi di quella santa compagnia, ove al presente quella si trova.

Scritto questo, ho inteso con molto maggior dispiacere, che non ho mai sentito della mia propria infirmità, l'indispositione di V. E., cominciando dal mese di agosto et continuando fino a questo tempo, nè in questo ho che dire, se non gridar al medico del cielo che si degni essere il suo medico, perchè di questo di terra non mi dà l'animo che lei debba pigliare altro rimedio, se non torre consiglio circa la dieta et circa l'aere, in che la supplico si lasci governare. Et alle sue devote orationi molto mi raccomando.

Di Padova, alli 4 d'ottobre del 46.

(1546), 30 novembre.

(Copia.—Milano. Archivio Scotti-Gallarati. Processo del card. Morone, ms., f. 400)

Sapendo delle molte occupatione di Vostra Signoria Reverendissima non volea ringratiarla della sua amorevole littera con altro che col core, ma vedendo quella che scrive a monsignor reverendissimo nostro (1) Il cardinale Polo dal 16 di novembre di quell' anno, come s'è detto nella nota precedente, era tornato a Roma., son stata costretta a manifestarli il mio peccato, cioè la invidia, che li ho di vedere la sua molta humiltà sapendo, quanto è differente il concepto, che hanno della Signoria Vostra quelli che in Christo lo cognoscono da quello, che monstra di haverne lei, benchè essendo ogni cognoscimento di nostra miseria argumento di lume divino, quanto più vede le tenebre sue, tanto più luce ha ricevula dall' author di ogni lume e tanto maggiore è l'exempio, che io doveria pigliarne. Ma le mie infermità sono sì nascoste e sì coperte da certe dolcezze nate forse da mala usanza che appena [le] vederia, se da giorno in giorno non me fossero scoperte per gratia d'Iddio, non per dirmele, che questa è troppo grazia del nostro Messer Luigi, quando il fa, ma talhor per il silentio, acciò cognoscendo che de ogni aiuto sono indegna vada humilmente a collui, che solo [può] farmi degna dello aiuto di servi suoi e consolarmi del suo. E certo molte volte ho desiderata la Signoria Vostra, perchè infinita consolatione sentiva dalle sue parole e dalla sua divina conversatione, maxime quando mi ragionava di quel libro, che la Signoria Vostra Reverendissima sì bene apre spesso, così prego Iddio che gli conceda ogni spiritual consolatione, supplicandola non mi risponda, chè pur troppa grazia mi è di veder quello, che scrive al nostro Messer Luigi, il qual non è toranto lì sano come io vorrei; credo che, como Vostra Signoria diceva, la troppo satisfatione lo vada consumando et che saria bene che la Signoria Vostra el chiamassi per un anno lì a Bologna, acciò scoprendo un pezzo della sua sì ben velata carne in questo contento qui paresse con l'assentia un puoco più grasso e più vivo che non pare: ma pur non vorrei far experienza in sì bon loco, ma che andassi un puoco a stare dove è stato Vostra Signoria e fusse oblicato a ragionare pellagianamente (1) Cioè sofisticamente, come il noto eresiarca Pelagio., e poi forsi haveria più grasso volto e più piatosa anima; ma sia como se voglia, io confesso a Vostra Signoria che mai a persona fui più oblicata che a lui, e hora in tanto spirito che nelli sui scritti si degna nominare altro che Iesu, come poi la Signoria Vostra vederà con gratia de Dio, qual si degni sempre mandarlo di consolatione in consolatione, finchè sia abbracciata dalla vera e eterna in quella patria, dove solo guardando fa ogni faticoso peregrinaggio felice.

Da Santa Anna di Roma, al ultimo di novembre (1) Questa è l'ultima lettera della marchesa, alla quale si può assegnare la data: delle seguenti non è certo l'anno. Vittoria, ammalatasi gravemente, fu trasportata dal convento di Sant' Anna, dopo la metà di gennaio 1547 nel vicino palazzo Cesarini, dove testò il 18 febbraio e spirò il 25 dello stesso mese in età di anni einquantasette. Del testamento della marchesa è dato un sunto in Visconti, Rime di Vitt. Col., p. CXXX..

Dilectissima serva di Vostra Illustrissima e Reverendissima Signoria

[La Marchesa di Pescara].

(1544&emdash;1546), 5 dicembre.

(Autogr.—Roma. Archivio Colonna. (Piccioni), Lett. inedite di Vitt. Col., p. 36, n. XII).

Ill.mo S.or fratello hon.mo et amat.°ree;. Fra le altre gratie, che ne ha fatto Dio, si è haver qui questo hono S.or imbasciatore, et con epso un segretario persona santa. Lui, dico Juan de Vega, fa ottimo offitio, et ha avuta ottima resposta di Sua Maestà. Io mai ne ho parlato: lasso fare a Dio et loro. Ma così come senza proposito, solo per interessi humani havemo honorati quelli passati che non erano di Cristo, così me pareria che in Cristo dovessimo amare, ringraziare et servire questi buoni. Lui, cioè Juan de Vega, mi parlò ieri amorevolissimamente, et discorrendo pareva a tutti doi bene che V. S. si accostasse in Abruzzo per ogni cosa che può intervenire. Questi giorni Sua S. è stata non troppo sana: ultra di questo le cose del restituir lo Stato (1) I possessi di Ascanio erano stati confiscati nel 1541. Alla morte di Paolo III (10 novembre 1549), Camillo di Zagarolo si impadronì dei castelli del cugino, che ne rientrò di fatto in possesso confermato dal nuovo pontefice Giulio III, con bolla del 22 di febbraio 1550. si stregnino, sicchè per ogni respetto, tutto in honore et servitio di Dio, seria bene che la S. V. si accostasse, ultra tanto utile che farà a quelli vassalli. Sicchè, se cosa dell'Imperatore o altro parere del R.mo di Mantua nol detiene, dovria fario, et per la Duchessa et bene de' figli gioverà. Pur quando per cose più importanti altramente fusse, scrivamene in modo che la possi mostrare; perchè questo S.or il dice come parere suo et mio amorevolissimamente. Et di me non dico altro, se non che sto ogni giorno meglio: il loco è asciutto et commodo et vivono da molto in qua queste suore onestissimamente (2): Queste parole possono far pensare che la lettera sia stata scritta nei primi tempi del suo ritiro a Sant' Anna e quindi sia del 1544.: ed io bacio a V. S. le mani.

Da S.ta Anna, a dì V Xbre.

Qui è il Duca di Malfi (3) Alfonso Piccolomini duca d'Amalfi., che se li raccomanda et sempre si è mostrato amorevole. Le alligate ha mandato a me detto Juan de Vega, et se dice niente in mia credenza, si è questo di accostarsi in Abbruzzo. Il che, quando V. S. pensi farlo, scrivalo prima a voi o a lui solo, acciò dica la causa essere per bene, acciò il Papa non se ne admirasse.

Al servitio di V. S. Ill.ma
La Marchesa sorella.

(Al Ill.mo S.re il Sig.r Ascanio fratello amat.mo onorando).

(1542&emdash;1547).

(Autogr.—Archivio segreto Vaticano. Concilio di Trento, vol. XXXVII, f. 166a. —Fontana, in Arch. della Soc. Rom. di st. pat., vol. X, p. 631, n. XI).

Santissimo et Beatissimo Patre et Signore Nostro.

La santa voluntà di Vostra Beatitudine nel ultima elemosina fatta alle suore di Viterbo non è stata ancor posta in effetto, benchè doi volte se sia degnata de dirme de sì: et perchè son certa che meglio non potria esser collocata, ardisco di supplicarla di novo che con la sua vera charità sia servita di exspedirla conforme alla mia speranza et alla loro devotione, che de tante infinite elimosine, che la Santità Vostra forsi più larghe che niuno altro Pontifice ha fatte, questa credo sia nel numero delle più grate a Dio, ultra di fare a me, sua devotissima serva, grandissima gratia; non volendo però nè desiderando se non quel che è servitio di Vostra Beatitudine, qual Dio si degne prosperar con ogni felicità.

De Vostra Santità

Humilissima serva, che li piedi suoi santissimi basa, La Marchesa di Pescara.

(1) Impossibile determinare il tempo, in cui furono scritte queste lettere di Bernardo Tasso, dopochè, entrato al servizio del principe Sanseverino (1531), venne a dimorare nelle città, donde sono mandate queste quattro lettere, di cui la seconda e la terza sembrano appartenere a tempo più antico; l'ultima è degli anni posteriori della vita di Vittoria. Bernardo Tasso la lodò in parecchie sue poesie e le dedicò ecloghe ed un'ode (Rime di Messer Bernardo Tasso, Vinegia, 1560, p. 82, 99—109, 160—199, 233, Ode, p. 8).

(dopo il 1531).

(Lettere di M. Bernardo Tasso, Vinegia, 1551, p. 109).

Io non era in dubbio, Ill.ma S.ra mia, che non fusse maggior la cortesia di V. S. che 'l merito mio, perchè quella è sì grande et questo sì poco che sarebbe del tutto privo di giudicio chi ne dubbitasse, ma non pensava io però che fusse tanta, che facesse torto al vostro giudicio, il quale conosce che con sì larga misura non s'ha da misurare il mio merito, ma dubito che habbiate piuttosto a la altezza de l' animo vostro che a la bassezza de la mia conditione voluto sodisfare. Nè so s' io vi debba haver maggior obligo o per li danari che m'havete mandati, o per la lettera, che m'havete scritta, perchè quelli possono supplire a le mie necessità, questa può honorare il nome mio. Io vi ringratio de l'uno et de l'altro, non per pagarvi con sì picciolo prezzo così grande obligatione, ma per mostrare almeno con le parole il desiderio, che ho di pagarla con gli effetti. Su questo mezzo penserò fra me medesimo com' io possa uscir di quest'obligo, il che, ancor che non mi paia agevole, sodisfarò al meno a la mia volontà con l'haver desiderato et procurato di fario. V. S. viva lieta, et mi tenga nel numero di quelli, che meritano di viver ne la sua memoria.

Di Napoli, etc.

(dopo il 1531).

(Lettere di M. Bernardo Tasso. Vinegia. 1551, p. 110).

Se l'obligo, ch'io debbo haver a V. S., dee aguagliare i benefici, che da me sono stati ricevuti da lei, io mi risolvo di dover esservi sempre obligato, perchè a quel segno non aggiungono le forze mie. Et certo che questa è nuova forma di liberalità et di cose, de le quali l'uomo ragionevolmente ne dee più tosto esser avaro che liberale. Molti si son trovati et in questo et ne' passati secoli, che hanno donati Stati, danari, robbe et altri beni di fortuna, ma la gloria niuno, ch' io sappia, fuor che voi, che con dispensar ne le mie compositione le vostre istesse lodi procurate di farmi immortale de le glorie vostre. La bellezza, la varietà, la vaghezza, il candore, che mi scrivete di conoscere ne le mie canzoni, sono frutti nati da la semenza de' meriti vostri, sparsi da voi ne l'arido campo de l'ingegno mio, ma non però tali, che aguaglino di gran lunga il seme. Nè so qual cagione vi muova a spogliarvi de le vostre proprie lodi per honorar le cose mie, le quali da sè et senza gli ornamenti del nome vostro non meriterebbono forse d'essere nè vedute, nè lette, salvo se per avanzar ogniuno di liberalità, come avanzate di virtù et di giudicio, non havete voluto usar questo nuovo modo. Io confesso d' haver poco giudicio in ogni cosa, ma in questa ne haverò tanto almeno, che riconoscerò queste lodi da la vostra benignità et non da miei meriti. Vivete lieta et conservatemi in alcuna parte de la buona gratia vostra. Di Napoli etc.

(dopo il 1531).

(Lettere di M. Bernardo Tasso, Vinegia, 1551, p. 111).

È certo mia ventura, Ecc.ma S.ra mia, che V. S. non misuri con quel medesimo giudicio, che misura l' altre cose i molti meriti suoi e 'l picciolo valor mio; chè altrimenti sarei appresso voi in quella piccola consideratione ch'io merito d'essere, et havrei charo che voi viveste di continuo in questo errore, perchè io vivessi ne la vostra opinione in quella reputatione che mi tenete; et mi contenterei che in questa parte solo haveste sempre poco giudicio. Ma dubito che, ravedendovi per uscir de l'errore presente et per emendare il passato, non mi spogliate ne la mente vostra di tutto quell'honore, di che m'haveva fatto degno più la vostra cortesia che 'l merito mio. Io so che le mie compositioni non sono tali, qual' è la virtù del suggetto et quali vorrebbe il mio desiderio, et questo è stato piuttosto difetto d'ingegno e di giudicio che di volontà, perchè io non solo ho desiderato, ma procurato di farle tali, che se non mostrassero al naturale l'infinita bellezza de l'animo vostro (che impossibile sarebbe), almeno ne mostrassero alcuna simiglianza. Et poichè è mancato il potere et non il volere, v'appagherete più del mio desiderio che de l'effetto, et misurando da l'animo mio la qualità de la cosa, mi giudicherete, se non grato pagatore de l'obligo, ch'io vi sento, almeno giudicioso conoscitore de l'obligo, che io debbo havervi de' grandi meriti vostri et de le picciole forze mie. Vivete lieta, Signora mia, et non isdegnate che come in vil parte, io tenga viva la memoria de le vostre virtù ne l'animo mio. Di Salerno etc.

(dopo il 1531).

(Lettere di M. Bernardo Tasso, Vinegia, 1551, p. 112).

La lettera di V. S. piena d'amore et di charità ha destato ne l'animo mio alcuni spiriti di virtù et di religione, et se così fusse pronta la carne, com'è lo spirito, io sarei così presto ad ubidirvi, come voi amorevole a persuadermi, ma questo spirito da la massa della terra che lo circonda aggravato non può senza l'aiuto del suo redentore sollevarsi da le miserie di questa vita et da i falsi piaceri di questo mondo. Io cerco quanto posso di spogliarmi di questi mondani desideri, di uccider queste vane speranze, che a guisa di Sirene col dolce canto delle lor fallaci promesse ne tirano ne' legami de le loro volontà, ma non vagliono a tanto le forze mie, et è di mestieri che quello, che col suo pretiosissimo sangue lavò le nostre colpe, et ne cavò de la servitù del peccato et de la morte, mi porga anco la mano del suo favore et de la sua gratia et mi sollevi del fango de l'humane calamità; et come sua creatura che crede et spera nell' infinita bontà sua, rompa questi lacci, che la carne ad ogni hora tende contro lo spirito, et col lume della sua gratia sgombri tutte le nebbie del peccato, che adombrano il sereno di quest'anima poverella, che ad hora ad hora l'ali dimenando, cerca uscir di questo fango et d'indirizzar tutti i suoi pensieri et le sue voglie a quello che l' ha creata. Voi, che sete in gratia di Dio, siatemi così liberale hora et per l'avvenire del vostro aiuto et del vostro favore come sete stata per lo passato de le vostre facultà; et continuando in quest'ufficio mostratemi la strada, per la quale così secura caminate all'eterna salute, et pregate colui, che vi scorge per questo camino, che con la voce de la sua pietà mi chiami, et non vi sdegniate se per l'orme de la vostra virtù seguitando i vostri passi, vi verrò dietro. Io farò quell'hinno, che mi commandate, se pur mi verrà fatto ch' io sodisfaccia al vostro giudicio et al mio desiderio. Vivete lieta, Sig.ra mia, et pregate Dio che mi faccia degno de la gratia sua. Di Salerno etc.

(1) Sembra degli ultimi anni di Vittoria.

(Autogr.—Firenze. Museo Buonarroti.—Da copia antica presso di sè. Campori, Lett. art. ined., p. 14 n. XIII).

Magnifico Messer Michel Angelo.

Sì grande è la fama, che vi dà la vostra virtù, che mai forsi haveresti creso che per il tempo nè per cosa alcuna fussi stata mortale, se non veniva nel cor vostro quella divina luce, che ne ha demostrato che la gloria terrena, per longa che sia, ha pur la sua seconda morte. Si che riguardando nelle vostre sculpture la bontà de colui, che ve ne ha fatto unico maestro, cognoscerete che io de miei quasi già morti scritti ringratio solamente il Signor, perchè l'offendeva meno scrivendoli, che con l'otio hora non fo. Et ve prego vogliate aceptar questa mia voluntà per arra de l'opere future.

Al vostro comando
La Marchesa di Pescara.

(1521, verso la fine).

(Copia nella Vita di Vittoria Colonna scritta da Filonico Alicarnasseo.—Roma. Biblioteca Barberini, Cod. ms. LIII, 111, f. 207; altro, LV, 47, f. 85. Biblioteca Corsini. Cod. ms. XXXIV, E, 23. f. 70.—Volpicella, in Museo di scienze e letteratura, nuova serie, anno I, vol. III, Napoli, 1844, p. 175) (1) Il sig. Domenico Tordi ci segnalò questa lettera e ce la trascrisse dal codice Barberiniano LV, la lezione del quale è identica all'edizione del Volpicella, salvo che questi ne rese l'ortografia con forma moderna.
Questa lettera si riferisce alle gare fra il marchese di Pescara e Prospero Colonna, generali degli eserciti imperiale e pontificio collegati contro i Francesi nel 1521, gare che riuscirono dannose al buon andamento della guerra ed obbligarono Leone X a spedire come pacificatore al campo presso Parma il cugino cardinale Giulio de' Medici (vedi, fra altri, Guicciardini, St. d' It., lib. XIV, e. II; Giovio, Vita di Ferrando Davalo, Fiorenza, 1551, pp. 105, 162, 175; e Vita di Leon X, Venetia, 1561, p. 146).
Filonico Alicarnasseo (pseudonimo, secondo il Volpicella, di Costantino Castriota) dice che questa lettera fu scritta dalla marchesa di Pescara al marito a suggestione di Prospero Colonna. Se poi il biografo abbia integralmente riprodotta la lettera, o ne abbia solo riprodotto il senso, è impossibile sapere; ma non ci pare che si possa aver ragione di dubitare che in realtà una lettera tale o simile sia stata scritta da Vittoria.
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Schiluro Scita, padre de cinquanta figliuoli, havendo color tutti fatti ridurre presso al suo letto nel hora del morire, sendo ciascuno de essi huomo da prove, raccordando a loro ciascun giorno con lunghe et considerate parole la concordia haver forza assolutamente de conserbare et accrescere le cose de poco conto, et al rovescio [la discordia] distruggere et consumare l'alte, illustri et desiderate, giachè discopriva elli, per la caligine che l'ambitiosi pensieri generato l'havea nel occhio della mente, esser mal intese le sue parole, quel che non basta la voce, nè può la carta, vuole con un esempio occulto, mutolo et non espresso farlo sì chiaramente palese a loro, che iscusatione non gli giovi, se mal osservatori si mostreranno nel avenire delle sue paterne et amorevoli persuasioni et indirizzi. Et infasciate tante saette insieme, quanti erano essentialmente coloro, priega, essorta et commanda a tutti che ciaschedun d'essi provare se voglia de grado in grado de romper loro, il qual veggendose indarno et vanamente obedito da loro renduti inhabili et indisposti a tale esecutione, elli indi a non molto sciolto il ligame ad una ad una le rompe tutte, volendo per tale esempio misticamente significare che insinchè la virtù et forza loro se trovarebbe unita, radunata et raccolta, non porria superarse o conquistare; et al opposto divisa, dissunita et disgionta a poco a poco verrebbe meno senza alcun fallo. Guardateve dunque, Signore, che il poter vostro da reciprochi morti non se consumi et riduca a fine con riso et mormorio delle genti, poichè in vece d'accarezzarve come ad amici, et a favorirve et a difenderve come a parenti, et a riverirve come a padre et figliuolo, siete in vane dissentioni et disquarti: flamma che se nudrisce ne' vostri petti, per quanto me figuro, da prattiche emolatrici, interessate et adulatorie vomitate da bocche (o Cielo, come non dirvi che disconfidate d'haver bene de stare in pace et acquistare per merti, honori et bene!) che vorrebbono il mondo sempre in perturbatione et rumori. Laonde, Signor mio, ve priego per il nostro nodo, ve scongiuro che lasciate queste pazzesche gare, attendiate ad amarve, a respettarve, servendo et non disputando, eseguendo et non contrastando; et questo a finchè, consolati l'amici et coloro tutti, che aborriscono trascuraggine così fatta, sareti con il servigio del padrone et gloria vostra sempre vittoriosi; et congionto et accoppiato il valore con l'industria, et l'ardire con l'esperienza tornareti tremendi et formidabili alle genti de contraria fattione et volere.

(1) Figlia naturale di Giuliano della Rovere (poi papa Giulio II), maritata a Gian Giordano Orsini signore di Bracciano.

(1530, 12 aprile).

(Autogr.—Roma. Archivio Orsini).

Di questa lettera di poche righe, affatto insignificante, con cui Vittoria da Arpino raccomanda a Felice Maria della Rovere Orsini Niccolò da Pontecorvo, il nostro amico sig. Domenico Tordi desiderava inviarci copia; ma ebbe negata la licenza di farla dal principe don Filippo Orsini.

(Minuta.—Roma. Archivio Colonna) (1) Copiata dal prof. Bartolommeo Fontana..

Sacra Cesarea et Catholica Maestà.

Victoria Colonna Marchesa de Pescara, vaxalla et serva di V. M., li fa intendere, che 'l condam M. Fabricio Colonna, suo padre, in la sua ultima volunctà fe' ligato ad essa supplicante del castello chiamato Pesco Costanzo (2) Castello nell' Abruzzo Citeriore concesso con altri feudi dal re Ferdinando il Cattolico a Fabrizio Colonna con diploma del 14 di giugno 15074 (Coppi, Memorie Colonnesi, p. 252). Nell'archivio municipale dell'Università di Pescocostanzo si conserva un libretto di pergamena di Capitula et Statuta rinnovti nel 1536 e sottoscritti di proprio pugno da Vittoria Colonna il 3 d'aprile 1537 in arpino. Dagli eredi di Ascanio Colonna il feudo passò ai Piccolomini, che nel 1774 vendettero i loro diritti baronali all' Università di Pescocostanzo (De Nino, Briciole letterarie, Lanciano, 1884, p. 75) (Comunicazione del sig. Tordi).
Il prof. Fontana ci apprese che nell'Archivio Colonna esiste la ratificazione del testamento di Vittoria in quanto Ascanio erediti la detta terra di Pescocostanzo, segnata da Carlo V ad Augusta il 1 febbraio 1548.
. dela provincia de Apruzzo con declaratione et legge che, morendo essa Victoria senza figlioli, ritornasse al M. Ascanio Colonna, figlio et universale herede del dicto M. Fabricio, et a sue heredi et successori, et anchorchè dicto castello del Pesco Costanzo fusse subiecto al dicto fidei commisso, occurrendo necessità al M. condam Marchese chese de Pescara, suo consorte, quale per servitio di V. Cesarea Maestà militava in Lombardia, havendo quello impegnato la più parte di quanto teneva, fu necessitata essa Victoria per aiutare suo consorte vendere il dicto castello del Pesco Costanzo (1) Il castello di Pescocostanzo è, senza dubbio, quello, a cui Vittoria accenna nella lett. I., ala qual vendita il dicto M. Ascanio Colonna, suo fratello, assentìo et consentìo. Alcuni anni dopo, havendo occasione essa Victoria recomprarlo, lo recomparò, et mo lo tiene et possede, et perchè non ha figlioli et discendenti successori, per corrispondere al amor fraterno, considerata la volunctà de esso M. Ascanio, che accosì volontiermente assentìo ala venditione, che essa ne fece, conoscendo il servitio se ne faceva a V. Maestà, intende disponere del dicto castello, intrate, iurisditioni et reliqua, como meglio lo tiene et possede, in vita vel in morte in persona del predetto Ascanio suo fratel, o de alcuni di suoi figlioli mascolo o femina, et pro filiis et heredibus descendentibus ex corpore de quello o de quella ex filiis predictis in cuius personam disponet, suplica V. Maestà, il piaccia ala dicta sua futura dispositione et scriptura publica o privata che farrà in personam alterius predictorum del castello predetto, et reliquis, ut supra, pro heredibus ex corpore discendentibus impartire il regio assenso et beneplacito, non obstante quavis dispositione iuris vel pragmatica in contrarium facientibus, havendo per expresso quanto in dicta dispositione se continerà, como se fusse de verbo ad verbum insierto nel presente memoriale, ordinando che neli sia expedito privilegio in forma, ut Deus etc.

(1) L'estratto del processo del Carnesecchi, dato in luce da Giacomo Manzoni (Miscell. di storia ital., t. X, Torino, 1870, p. 187—573) è probabilissimamente quello, che la curia pontificia spedi per mezzo del cardinale Girolamo Dandini, nunzio in Francia, alla regina Caterina de' Medici. Questa copia fu acquistata dal Manzoni insieme con buona parte delle carte dell'archivio Dandini a Bologna.

Ex constituto eiusden (Carnesecchi) sub die decima novembris 1566.

Interrogatus si ipse constitutus cognovit aut vidit, et ex qua causa, quondam Victoriam Columnam Marchionissam Piscariae, et a quo tempore et ubi,

Respondit: L 'ho conosciuta et osservata come meritava la vertù di quella signora. La prima volta ch 'io la vedesse et li baciasse la mano fu qui in Roma il primo anno di Papa Paulo terzo per introductione, si ben mi ricordo, del Cardinale Palmieri, il quale era molto amico di quella signora. Di poi la reviddi a Fiorenza, essendo lei capitata in quelle bande per andare alli bagni di Lucca, dove essendo andato ancor io per mia buona sorte in quel tempo medesimo, hebbi occasione di pigliar ancor più stretta famigliarità et servitù con lei, et la continuai poi insin al ultimo della sua vita, havendola in quel mezzo revista più volte et qui in Roma et poi a Viterbo, nel tempo ch' io ero apresso il Cardinale d'Inghilterra, essendosi lei retirata in quella terra in un monasterio, del cui titolo non mi ricordo, per potere, secondo diceva, attendere a servire a Dio più quietamente che non faceva a Roma.

Interrogatus si dictus dominus Cardinalis Polus erat amicus vel notus dictae Marchionissae,

Respondit: Non solamente era noto et amico a quella signora, ma faceva professione di amarla et honorarla come madre, et lei e converso teneva il Cardinale per figliolo et come tale mostrò di tenerlo in effetto, havendo lasciato herede di nove o dieci millia ducati, che ella haveva sul monte della zecca di Vinetia, i quali però furno da poi retroceduti et restituiti da quello signore in capo a non so che tempo alla S.a Vittoria, nepote della Marchesa, che fu maritata a Don Garsia di Toledo, parendoli che se per la coniunctione del sangue, come per la similitudine del nome si dovessero a lei più che a nissun altro, quasi hereditario iure, et havendo S. Signoria illustrissima voluto mostrarsi grato della cortesia recevuta da quella signora, almeno con quello che lei li haveva dato non potendo col suo proprio per esser puovero cardinale in quel tempo…….

Interrogatus si dictus D. Cardinalis solebat habere colloquia vel sermones cum eadem D. Marchionissa et de quibus rebus,

Respondit: Havea spesso ragionamenti con quella signora et in Roma et in Viterbo et sempre, credo, delle cose di Dio, perchè l'uno e l'altro se delettava più di questo che di niun altro subietto.

Et ad interrogationem dominorum,

Respondit: I particolari di lor ragionamenti non poteva intendere nè io nè altri, perchè parlavano insieme senza arbitri et senza testimoni, che si ben il Flaminio, il Priuli ed io accompagnavamo Sua Signoria illustrissima al monasterio, non intervenivamo però alli loro colloquii, ma se intertenevamo da noi o in chiesa o li intorno.

Interrogatus an sciat dictos etiam M. Anthonium Flaminium et Aloisium Priolum conversatos et colloquutos fuisse cum eadem D. Marchionissa et de quibus,

Respondit: Et questi signori ancora visitavano spesso la sudetta signora et parlavano ancor essi di cose spirituali, mesconlando però ancor con esse delle profane et comune secondo che occorreva.

Interrogatus an ipse quoque intererat eorum colloquiis,

Respondit: Intervenivo ancor io qualche volta alli ragionamenti loro.

Interrogatus an ipse constitutus et prediciti D. Cardinalis Flaminius et Priulus loquuti fuerint cum eadem Marchionissa de dogmatibus fidei et qualiter ipsa sentiebat de fide,

Respondit: Non mi ricordo che si sia parlato, nè trattato tra noi et quella signora d'altro dogma che della giustificatione per la fede et nè anche questo saprei dire a punto con che circonstantie ella se tenesse, ma basta che l'attribuiva molto alla gratia et alla fede in suoi ragionamenti. Et d' altra parte nella vita et nelle attioni sue mostrava di tenere gran conto dell'opere facendo grande elemosine et usando charità universalemente con tutti, nel che veniva a osservare et seguire il consiglio, che ella diceva haverli dato il Cardinale, al quale ella credeva come a un oracolo, cioè che ella dovesse attendere a credere come se per la fede sola s'havesse a salvare, et d'altra parte attendere ad operare come se la salute sua consistesse nelle opere, il che ella mi referì un giorno, dicendo haver fatto instantia al sudetto Cardinale che li dicesse l'opinione sua circa questo articulo della giustificatione, et non haverne potuto cavare altra resolutione che questa, nè havere poi havuto ardire di dimandargli altro intorno a questo, nè altro dogma pertinente alla fede, dubitando di non offenderlo con la troppa curiosità sua.

Interrogatus an sciat vel audiverit dictam Marchionissam tenuisse aliquas alias opiniones circa fidem suspectas,

Respondit: In verità non. È ben vero che mi pare havere compreso, legendo qualche suo sonetto, che ella tenesse la predestinatione assolutamente, ma non so dire a ponto in che modo.

Interrogatus an ipsi vel illi habuerint sermones de aliis dogmatibus et quibus cum eadem D. Marchionissa vel cum aliis illius alumnis, familiaribus, comitibus, viris et mulieribus,

Respondit: Non mi ricordo d'haver parlato, nè esser intervenuto con li sopradetti ad alcuno parlamento che si sia fatto di cose scandalose, nè hereticè con lei, nè con nissuno di suoi, benchè non cognoscevo nè anche altri della sua famiglia, con chi havesse potuto trattare di simil cose, excetto con una matrona, che stette seco insin alla morte, et che credo si trovi hora viva in Roma, et chiamarsi madama Prudentia.

Interrogatus si dicta domina Marchionissa habebat amicitiam vel conversationem cum D. Iulia Gonzaga et cum domino Cardinali Morono et quam,

Respondit: Con la signora donna Giulia non haveva più amicitia che tanto quanto bastava a conoscersi l'un et l'altra, et volersi più presto bene che altrimenti, nè credo che si parlassero, nè scrivessero mai insieme.

Col Cardinale Morone mi pare ricordare che havesse qualche famigliarità et conversatione, benchè non posso dire di haver mai visto Sua Signoria illustrissima con lei.

Interrogatus si scit dictam dominam Marchionissam habuisse amicitiam vel conversationem cum aliquibus hereticis vel de fide suspectis et quibus,

Respondit: Niuno che sappi io, perchè se bene era stata amicissima di fra Bernardino da Siena, era stato innanzi che egli fusse suspetto di heresia alcuna, et in quel tempo che era tenuto un sancto da tutti.

Et dicentibus dominis an sciat dictam Marchionissam scripsisse literas ad aliquos hereticos vel de fide suspectos vel ab eis literas receperit,

Respondit: Non mi ricordo, nè di l'uno, nè di l'altri. (p. 266-271). Ex constituto diei nonae decembris 1566.

Interrogatus an dictus quondam dominus Camillus (Ursinus) habuerit amicitiam vel conversationem cum dicta quondam domina Iulia vel cum quondam Victoria Marchionissa Piscariae et cum illustrissimis dominis Cardinalibus Polo, Morono, Contareno, Priulo et Flaminio vel aliis similibus,

Respondit: con la signora donna Giulia non so che havesse mai commertio niuno, nè credo che si vedessero mai insieme, ma con la signora Vittoria Colonna credo bene che havesse qualche conoscenza, se non per altro, per esser il ditto sig. Camillo stato molto amico del reverendissimo Cardinale Polo et per conseguente del Priuli et del Flaminio. Di Morone non dico nè sì, nè non, perchè non ne so nulla in causa scientiae, et del Contarino credo che fusse amico e così del Bembo.

Interrogatus si ipse dominus constitutus quandoque interfuit sermonibus habitis inter eunden quondam dominum Camillum et dictum quondam Cardinalem Polum, Flaminium, Priulum et Marchionissam Piscariae,

Respondit: Nè ancora di questo mi ricordo, ma è cosa che può esser accaduta facilmente…

Interrogatus si scit vel novit quae particularia colloquia intercedebant inter dictum quondam Camillum et dictum dominum Cardinalem Polum, Flaminium et Priulum et de causa eorum amicitiae et dictae dominae Marchionissae,

Respondit: Io non posso testificare, se non di quello che ho visto et udito, però dirò quello che mi ricordo esser passato tra gli sudetti, ragionando insieme in presentia mïa, nel qual ragionamento intervennero anchora doi monachi di Santo Benedetto, che fu il parlare delle tentationi, che pativa l'huomo christiano parte dalla carne, parte dal diavolo et parte dal mondo: nel qual proposito il signor Camillo s'allargò et distese più che tutti….. Quanto alla signora Marchesa, quanto ho detto, non so certo che fusse amicitia tra loro, ma son inclinato più presto a credere di sì che altrimenti per la medesima causa (p. 350—352).

Ex constituto eiusdem diei mercuri 19 februari 1567.

Interrogatus si ipse constitutus novit fuisse aliquam amicitiam vel familiaritatem, et an etiam propter causam religionis, inter quondam Victoriam Columnam Marchionissam Pischariae et dominam Iuliam Gonzagam,

Respondit: Io non so se le predette signore se vedessero mai, nè tampoco si scrivessero, donde la S. V. può facilmente considerare che amicitia et intelligentia potesse essere tra loro.

Et dicente domino quod imo ipse d. constitutus novit dictas dominas invicem olim sibi scripsisse, et ideo velit recordari,

Respondit: Può essere che si habbiano scritto et ch'io l'habbia saputo, ma in verità non me ne ricordo, nè deve parere gran fatto alla S. V., questo essendo già 20 anni passati che la Marchesa di Pescara morse…..

Interrogatus an dicta domina Iulia et dicta domina Marchionissa nossent quid invicem crederent circa religionem,

Respondit: Non mi ricordo nè anche di questo, con tutto ch'io creda d'havere parlato più volte et alla Marchesa della signora donna Giulia et a donna Giulia di lei.

Interrogatus ut specifice dicat in quibus articulis dicta domina Marchionissa deviabat a fide catholica,

Respondit: Non posso dire di certa scientia che quella signora deviasse in nissun articulo dalla fede catholica, ma ho bene per opinione ch'ella tenesse l'articulo della giustificatione per la fede, se ben non mi ricordo che ella s'aprisse mai totalmente meco che io lo possi testificare altrimente che per coniettura, fondata principalmente nella intrinsichezza, che haveva havuta con fra Benardino Ochino, et poi in quella che hebbe poi col Priuli et col Flaminio, i quali tenevano ancor essi la medesima opinione circa il suddetto articulo, oltre all'inditio, che di ciò dànno i sonetti composti et stampati di detta signora.

Interrogatus an ipse dominus constitutus conveniebat cum dicta domina Marchionissa et cum domino Aloisio Priulo vel aliis, et invicem conferebant de rebus fidei et de quibus articulis,

Respondit: Era tra noi convenientia, quanto al sudetto articulo; dico tra noi, cioè tra il Priuli et il Flaminio et me, ma se fusse tra loro et la Marchesa, non ne posso dire nulla affirmativamente, perchè non mi ricordo d'essermi trovato presente ad alcuno ragionamento occorso tra essa Marchesa et li sudetti, per il quale habbia potuto venire in cognitione di questo particulare.

Et ad aliam interrogationem dominorum,

Dixit: Ci trovavamo alcume volte insieme, o il Priuli o il Flaminio et io, o tutti e tre di compagnia con la detta Marchesa, ma i nostri ragionamenti erano per la maggior parte di cose communi et indifferenti, et si pure si parlava di cose di religione, se ne parlava in generale, discorrendo verbi gratia sopra la providenza che ha Dio de' suoi, et lodando la humiltà come fondamento di tutte le altre vertù christiane, et parlando poi della mortificatione, alla quale deve attendere il christiano, et similia.

Interrogatus an ipse dominus constitutus quandoque solus adibat dictam dominam Marchionissam et cum ea colloquebatur et an de rebus fidei et quibus,

Respondit: Non mi ricordo intorno a ciò d'alcuno particulare, essendo cosa ormai di 25 anni, non negando però di non mi ricordare d'haverla visitata più volte, et mentre era a Viterbo, et poi qui a Roma io solo, et di haver ragionato seco a longo, ma per quello che mi ricordo, i nostri ragionamenti erano la maggior parte in laude del Cardinale Polo, come subbietto che delettava ambedue, et il resto poi, a dire il vero, era più tosto di cose profane et temporali che di cose spirituali et divine. Et insomma non mi ricordo di haver conferito seco di alcun dogma di quelli, che sono in discettatione.

Et dicente domino an dictae Marchionissae aliquid locutus fuerit de dicta domina Iulia, et quas suscepisset opiniones de iustificatione ex sola fide, et similes,

Respondit: Nè anche questo mi ricordo (p. 492—495).

(Precede qui la lettera di Vittoria a Giulia Gonzaga (lett. CXLII), intorno alla quale il Carnesecchi è esaminato):

Quibus per eum visis et lectis, et super eis interrogatus,

Dixit: Io reconosco la mano della signora Marchesa che l'ha scritta la lettera, et con tutta la commemoratione, che si fa in detta lettera de' presenti mandati, mentre io era a Viterbo, dalla signora donna Giulia al Cardinale, non mi posso ricordare di questo fatto, mercè della mia infelice memoria già tante volte da me deplorata di sopra. Et quanto alla interpretatione della lettera in quella parte ove dice: quello che Dio per ottimi mezzi li ha comunicato, dico non sapermi imaginare che detta signora volesse intendere altro, che la dottrina et institutione, che la signora donna Giulia haveva havuta per mezzo del Valdes, ancor ch'io non sappia certo quello che essa Marchesa per altro se sentisse delli scritti et opinioni del suddetto Valdes.

Et quella epositione di San Paulo credo che sia quella del Valdes, come ho detto di sopra.

Interrogatus nonne etiam ex hisce literis apparet dictam Marchionissam accepisse opiniones haereticas a dicto domino Cardinali Polo, dum dicit: Io che sono a Sua Signoria reverendissima della salute dell'anima et di quella del corpo obligata, che l'una per superstitione, et l'altra per mal governo era in periculo,

Respondit: Io quant'a me non ne cavo questa conclusione, interpretando le parole di quella signora in buona parte, cioè che la volesse inferire che col mezzo de' buoni consigli et ricordi del cardinal Polo, del quale si parla in questa lettera, essa Marchesa se fusse ridutta quasi dall'estremo al mezzo, così circa le cose appertinenti alla salute dell'anima, come quelle che concernevano alla sanità del corpo.

Et ad aliam interrogationem,

Dixit: La signora Marchesa, avanti che pigliasse l'amicitia del Cardinale, si affliggeva talmente con digiuni, cilicii et altre sorte di mortificationi della carne, che si era ridotta ad havere quasi la pelle in sull'osso, et ciò faceva forse con ponere troppa confidentia in simili opere, imaginandosi che in esse consistesse la vera pietà et religione, et per consequente la salute dell'anima sua. Ma poi che fu admonita dal Cardinale che ella piuttosto offendeva Dio che altrimenti, con usare tanta austerità et rigore contra il suo corpo, con ciò sia che prima dice San Paulo ad Timotheum che corporalis exercitatio admodum valet ad pietatem (il che però mi imagino, et non so certo, che fusse da Sua Signoria illustrissima addotto in questo proposito, poi che il christiano è obligato ad haver cura del suo corpo, et conservare quel tabernaculo, che Dio l'ha posto, insin che piace di repeterlo a chi l'ha dato) la suddetta signora cominciò a retirarsi da quella vita così austera, reducendosi a poco a poco a una mediocrità ragionevole et honesta.

Et dicente domino quod imo dicta Marchionissa intelligit sub nomine superstitionum religionem catholicam et dogmata et ritus fidei orthodoxae consueto more haereticorum,

Respondit: Io ho havuto da fare assai a interpretare tante et tante lettere scritte da me alla signora donna Giulia, et ho hormai tanto stanca la mente et li spiriti che non posso attendere alla interpretatione di lettere d'altri, et però, senza contrastare altrimenti, mi rimetterò a quello, che sia il più vero et il più legittimo senso delle sudette parole.

Et replicante domino nonne recordatur ipse dominus constitutus in literis suis ad eandem dominam Iuliam scripsisse, per dictam dominam Iuliam se fuisse liberatum a superstitiosa et falsa religione, et super eis interrogatum, interpretatum fuisse, quod voluerit intelligere de opinionibus circa iustificationem ex sola fide, et de operibus et similibus, quas, opera dominae Iuliae, a Valdesio didicerat, et quare similiter non interpretatur has literas super nomine superstitionis,

Respondit: Non mi soviene a punto nè di quel che si contenesse quella mia lettera, nè della interpretazione che li fusse data da me allhora, ma presupposto che sia così, come V. S. dice, non mi pare che sit ex consequenti che si debbano interpretare le parole della signora Marchesa nel medesimo senso che le mie, essendo differentia del grado, nel che era ciascuno di noi, lei avanti che apprendesse la disciplina del Cardinale, et io avanti che per mezzo di donna Giulia apprendessi quella del Valdes.

Et dicto sibi quod imo haeretici, praesertim moderni, et alii male sentientes de fide (ut etiam ex praesenti processu colligitur) vocant superstitiosos deditos religioni et pietatis operibus, et superstitionem, regulas, institutiones et disciplinas ecclesiasticas, et ideo cum illa scribat se liberatam a superstitionibus intelligere videtur, a fidei catholicae doctrina seu religione et eius ritibus et sacris institutis,

Respondit: A me pare che per solvere questa questione bisognerebbe che ipsamet Marchionissa reviveret, et compareret ad dicendam causam suam.

Monitus ut velit libere fateri omnia et quaecunque ipse dominus constitutus scit de dicta domina Marchionissa et Cardinali Polo, omissis quibuscunque aliis excusationibus, cum non possit dici vere poenitens, neque sincere reversus, nisi integram indiminutamque veritatem tam de se ipso, quam de aliis, nulla personarum habita ratione, propalaverit,

Respondit: Io non posso dire con verità di sapere altro di quello che ho detto, nè so vedere perchè si debba dubitare che io non dichi sincerissimamente tutto quello che so, se non di quelle cose che appertengono a me, nelle quali pur fo professione d'haver detto la verità, per quanto mi è stato suggerito dalla conscientia et memoria mia insieme, almeno di quelle che appertengono ad altri, et massime a quelli dai quali, non essendo più in questo mondo, non posso più nè sperare nè temere cosa alcuna, potendo all'incontro temere di esser gravemente punito in questo mondo et nel altro, tacendo et dissimulando quello che io son obligato di dire et di fare.

Interrogatus quid ipse dominus constitutus intelligat per illa verba dictarum literarum: sì che se non fusse M. Luisi Priuli et il signor Carnesecchi, io starei male,

Respondit: Non credo che volesse inferire altro che quello che sonano le parole istesse, cioè che se non fosse stata visitata più spesso dal Priuli et da me, che dal Flaminio, che harebbe sentito più la solitudine della stanza di Viterbo che così non faceva…..

Interrogatus de quibus ipse dominus constitutus credat dictam Marchionissam intelligere dum scribit: Et pensando che tutti scrivano a V. S. la ottima volontà di Monsignor verso lei, non ardirò di fare questa lettera più longa,

Respondit: Credo volesse intendere per l'ordinario del Flaminio et di me, ma per occasione del presente mandato, et forse accompagnato dalla suddetta signora donna Giulia con una sua lettera al Cardinale, potrebbe essere che havesse inteso in quel tempo ancora del Priuli, come quello che, essendo quasi la man destra del Cardinale, presupponeva che dovesse rispondere a essa signora ringratiandola etc.

Et in fine eiusdem constituti,

Et inter scribendum dixit a se ipso: L'Abbate di San Saluto (*) ancora visitava spesso la suddetta Marchesa in quel tempo che lei era in Viterbo, dove lui era vicelegato.

Ex constituto diei iovis 20 februarii 1567,

Interrogatus si dicta domina Victoria Columna Marchionissa Piscariae accepit commodato ab ipso domino constituto vel Flaminio vel Priulo aliquos libros,

Respondit: Di me posso affermare, per quanto mi ricordo però, di non havere prestato, nè donato libri a quella signora, et delli altri non so rendere conto.

Interrogatus si dominus Cardinalis Polus libros de religione eidem Marchionissae donabat vel legendos tradebat,

Respondit: Nè anche di questo so cosa alcuna.

Et dicentibus dominis si dicta domina Marchionissa legit librum de Beneficio Christi et alios similes,

Respondit: Nè anche di questo so cosa alcuna.

Et cum haec scriberentur,

Dixit: Ma potrebbe forse saperne qualche cosa una M.a Prudentia, che stava con lei, et che l'accompagnò insin alla morte, la quale donna non so già se sia viva o morta, non havendone da tre anni in qua inteso nova alcuna.

(1) Cioè Vincenzo Parpaglia, abate di San Solutore di Torino.

Interrogatus an dicta domina Marchionissa legerit tunc Lutherum, Bucerum, Brentium vel Calvinum aut Melanchtonem aut aliorum haereticorum libros,

Respondit: Io non lo so, nè lo credo, massime havendo il cardinale più volte ammonito la detta Signora che non dovesse esser troppo curiosa, et che dovesse stare dentro ai termini convenienti al sesso et alla humiltà et modestia sua, il che veniva a essere de directo contrario alla tentatione che li fusse venuta di leggere simili libri.

Et dicentibus dominis si dictus dominus Cardinalis ipsam de hoc admonuit, ergo erat curiosa legere libros huiusmodi,

Respondit: Io non dico che il Cardinale l'havesse admonita di questo più che d'altro; ma che l'haveva admonita in generale che si dovesse guardare dalla curiosità.

Et replicantibus dominis quod imo per depositiones aliquorum constat dictam dominam Marchionissam delectatam fuisse lectione librorum huiusmodi haereticorum,

Respondit: Non nego che questo non possi essere, ma dico che non ne so niente et che tengo per certo che quando pur l'havesse fatto, l'harebbe tenuto occulto et a me et alli altri familiari del Cardinale, con paura che l'havesse risaputo.

Interrogatus quid dicta domina Marchionissa de Luthero et Calvino sentiret, saltem in privatis colloquiis habitis cum ipso et aliis familiaribus dicti domini Cardinalis,

Respondit: Non mi ricordo d'haver mai tenuto proposito seco, nè solo, nè accompagnato delli sudetti authori.

Et replicantibus dominis quod non est verisimile, cum constet ipsum dominum constitutum et alios dicti Cardinalis familiares saepius legisse libros haereticorum huiusmodi, et super eis contulisse, et dicat an etiam de Bernardino Ochino tunc sermonem habuerint,

Respondit: Io confesso che ne legevamo qualche volta il Flaminio et io, et forse anche il Priuli, ma di lei non so certo, perchè dubitava, secondo me, che risapendolo il Cardinale non l'havesse ripresa, imperò non est ex consequenti che noi dovessimo parlare et conferire di tal cosa con la Marchesa, dovendosene guardare, se non per altro, per rispetto del Cardinale sudetto, che detestava tal curiosità et in lei et in tutti generalmente. Quanto mo a fra Bernardino non mi ricordo a punto quello, che ella se dicesse di lui in quel tempo, perchè non se era ancora fugito in terre di heretici, quando io ero in Viterbo, ma credo ben per certo che fusse da lei biasimata et detestata la resolutione di ciò presa da lui, se bene li haveva per inanzi portato molta reverentia et rispetto (p. 498—505).

Ex alio eiusdem constituto diei 2 martii 1567.

Interrogatus, si ipse constitutus fuit aliquando Lucae pro suscipiendis balneis et si ibi tunc erat quondam Victoria Marchionissa Piscariae et si qui alii,

Respondit: Mi ricordo esser stato alli bagni di Lucca nel tempo medesimo che vi era la sudetta Marchesa, et d'haverla qualche volta visitata, ma non mi ricordo già d'essermi trovato in Lucca, quando lei, et d'esser mai stato in quella città, se non in quell'anno per transito, tornandomene da detti bagni verso la patria, et questo fu nell'anno 1538 (p. 510).

Ex constituto diei lunae 10 martii 1567.

Interrogatus quam anicitiam habebat Bartholomeus Spatafora cum Marchionissa Piscariae et Cardinali Polo, et an apud alterum eorum ilum cognoscerit,

Respondit: Io mi ricordo havere reso conto di sopra un' altra volta dell'occasione che presi amicitia con quel gentiluomo, imperò tornerò a replicarlo per satisfatione delle Signorie Vostre, dicendo d'haverlo conosciuto nell'anno 1545 o 46 in Roma per mezo della signora Marchesa di Pescara, essendosi alcuna volta affrontati insieme l'un l'altro di noi a visitare in un medesimo tempo la sudetta signora, con la quale pareva che egli havesse molta familiarità, ma per qual mezzo se l'havesse contratta io non lo so. Ma col Cardinale Polo credo la contraesse per mezo del harone del Burcio, che era un gran gentilhuomo siciliano, il quale stava allora qui al governo del duca Octavio et delle cose sue, et era molto amico et servitore del Cardinale sudetto, il quale alhora però se trovava absente (p. 525).

Et in quadam confessione per eundem constitutum facta cum detineretur in carceribus Turris Nonae, postquam curiae saeculari traditus esset, in fine processus:

….. Occorremi apresso aggiungere due cose, le quali forse parerà stranio o che non mi sia venuto in mente prima che adesso, o vero che siano state taciute et simulate da me così longamente, ma bisogna che mi sia perdonato dalla benignità et clementia delli illustrissimi et reverendissimi miei signori ancora questo errore, con infiniti altri, accettando in grado questa confessione che fo adesso, come se l'havesse fatta insin dal primo giorno che cominciai ad essaminarmi. Dico dunque, che nel tempo che si fece il decreto dal Concilio di Trento sopra l'articulo della giustificatione, essendosi il Cardinale d'Inghilterra bona memoria ammalato di catarro, et per questo retiratosi fuora di Trento a non so che luogo più ameno et salubre, la signora Marchesa di Pescara se ne rallegrò meco come di cosa che fusse tornata mirabilmente a proposito del sudetto signore, dicendo che Dio haveva quasi miracolosamente disposto et ordinato così, acciò che il Cardinale non fusse intervenuto a tal decreto, quasi volesse inferire di sapere che fusse discrepante il senso di S. S. illustrissima da quello, che tenevano gli altri, il che me fu similmente confirmato poi et dal Flaminio et dal Priuli, quando furno tornati da Trento a Roma; ma non mi dissero già in che particolarmente consistesse la differentia delle opinioni, nè io fui da tanto che me li domandassi per allhora, sperando credo, di havere tempo a farlo un'altra volta con più agio, il che poi non seguì per essermi in capo a pochi dì partito da Bagnorea, dove erano allhora, per la volta di Fiorenza, et poi di Francia.

Restami hora a dire una cosa, che in verità non mi è sovvenuta prima che da pochi giorni in qua, attenente alla signora Marchesa predetta, et quest'è ch'ella mi disse un giorno d'aver letto il commento d'un salmo di David che comincia: Eructavit cor meum cerbum bonum, il quale li era piaciuto mirabilmente, et tal commento era di Martino Luthero, imperò che li era stato mostrato sotto nome d'un'altra persona, et che da lei era stato letto con tale credenza et con tanto gusto et deletto, che non si ricordava d'haverlo mai sentito maggiore d'alcuna altra lettione di cose moderne (p. 549—550).

(1) Compendium processuum Sancti Officii Romae qui fuerunt compilati sub Paulo III, Iulio III et Paulo IV pubblicato da Costantino Corvisieri nell'Archivio della Società romana di storia patria, vol. III, 1880, p. 231—290- 449—471.
Più che compendio, come notò l'editore, il documento dovrebbe intitolarsi repertorio dei processi dei processi del Sant'Uffizio. È in copia (proveniente dalla biblioteca dei signori Gastaldo di Napoli) tratta da altro esemplare che appartenne al cardinale Giulio Antonio Santorio, e che il nipote di questo, Paolo Emilio Santorio, concesse nel 1610 al padre Antonio Caracciolo del convento dei Teatini di San Paolo di Napoli.

(p. 268) Ascanius Columna….. ipse instructus ab Ochino et a Polo et a Marchionissa sorore fol. 56, fasc. 1°ree; et fasc. 2°ree;.

(p. 269) Aloisius Priulus venetus….. complex haereticus ex auditu ex 4°ree; teste fol. 191 fac. 1a. Poli, Moroni, Marchionissae Piscariae, qui scribit illum scribere quaedam et arguit haereticum illum nostrum appellans fol. 281 fac. 1a et 2a de eo in aliis ad Card. Polum fol. 288 et ad Moronum fol. 290 et 291 ubi appellat eum suum Giezi: et fol. 293 fac. 1a et 294 fac. p.a et in his omnibus illum suum emulatorem in amore et familiarem Polo ostendit.

(p. 271) Frater Bernardus de Bartholis flo. ordinis praedicatorum …. opera Poli et Marchionissae Piscariae missum Mutinam ad praedicandum fol. 136 et fol. 155 fasc. 1°ree;. Sed de mandato Moroni et de scientia Poli et Sorantii ex litteris Marchionissae fol. 296 fasc. 1°ree;.

(p. 272) Bernardinus Ochinus…… amicus Marchionissae Piscariae. Moronus in sua confessione fol. 12 fac. 2a.

(p. 275) Flaminius….. illi curam Poli Marchionissa per Moronum commendat fol. 298 fac. 1a.

(p. 276) Hieronymus Bonus haereticus visitabat Marchionissam Piscariae fol. 15 in informatione.

(p. 276) Iohannes Baptista Scotus haereticus….. visitabat Marchionissam Piscariae quam detexit haereticam fol. 15 a tergo.

(p. 279—280) Marchionissa Piscariae filia spiritualis et discipula Cardinalis Poli haeretici fol. 15 ex 1°ree; teste, et complex illius et aliorum haereticorum ex Scoto fol. 84 fac. 2a et fol. 85 fac. 1a et ex 17 teste fol. 151 fac. 1a falsa doctrina imbuta a Cardinale, et propterea illius amator, ut ex pluribus litteris ad cardinalem Moronum a fol. 279 cum seq. et 291 et 294. Possunt contra eam testificari moniales monasteriorum in quibus degit Romae, Florentiae, et Viterbii fol. 15 et domina Isabella hispana, quam docuerat sanctos non esse intercedendos, ibidem. Visitabatur Romae a Guido Giannetto, a Scoto, a Bono et aliis haereticis, ibidem fol. 15 a tergo et quod se detexit haereticam. Scoto fol. 15 ibidem, ubi, in quibus, et de lectione librorum Lutheranorum et fol. 85 fac. 1a Item praedicta Marchionissa complex haereticorum ex 4. teste fol. 17 e fol. 84 fac. 2a Item Marchionissa declaravit testi adhaerere Contareni opinioni, quod sola fide iustificamur fol. 17 a tergo, de quo in repetitione fol. 161, et se didicisse a Polo, a quo fuerat persuasa fol. 29 in principio. Habuit scripta a Polo fol. 20. Ipsa cum aliis Poli et suis amicis seduxit Rainerium Gualanum, ibidem a tergo de eadem fol. 20 et ut Poli familiarissima habebatur, suspecta de haeresi fol. 48 fac. 2a et fol. 49 fac. 2a, fol. 16 fac. 1a et seq. Dicit Ascanium fratrem fuisse notatum de suspitione fol. 53 fac. 2a. Intima Moroni fol. 62 in fine et fol. 154 in fine et seq. Ipsa per litteras Poli mittit fratrem Bernardum Mutinam ad praedicandum pro Morono fol. 156 et fol. 51 fac. 1a et in repetitione fol. 155 fac. 1a et apparet ex litteris suis ad Moronum mittere de mandato Moroni fol. 296 fac. 1a. Ipsa et Polus male de fide sentiunt fol. 137 fac. 1a Marchionissa pecuniam de suis redditibus praestat haereticis, vel ad fidelium subversionem largiebatur per Polum. Unde et sola in monasteriis vivebat fol. 151 fac. 2a. Marchionissa maxime affecta propter falsam doctrinam erga Cardinalem Moronum et illius complex, cur sub disciplina Poli Cardinalis ex pluribus litteris suis ad Moronum a fol. 279, 280 et seq. ad idem fol. 283 et seq. et quod Polus legatus in Concilium sit veluti Christus mediator inter populos, et imprecatio pro eo contra Legatos collegas, et dicto fol. 283 illum veluti Christi nuntium expectat, illum mirifice extollit in suis ad eum fol. 288 et seq.—Polum vocat suum Eliseum, et Aloysium Priolum suum Giezi. Et de amore in eum ardentissimo et de inhibita doctrina fol. 290 et 291 et in aliis ad eumdem ac etiam de nimio amore et reverentia in Polum in suis litteris ad Moronum, unde tamquam carnalis a Priolo redarguebatur, et quod Christum videret in illo fol. 292 et 293 fac. 1a et idem fol. 294, ubi etiam quod est singularissimum Dei instrumentum, per quod ipsa acceperit doctrinam fol. 249 fac. 1a et 2a ad idem 296, ubi etiam hortatur Moronum ad relegenda scripta Poli, domini sui fol. 296 et 298, ubi etiam de cura Poli et de auctoritate illius propter doctrinam etc., et eum appellat optimum magistrum et dominum suum, et plura de eo et de Morono in litteris ad Priolum fol. 302 et seq. et ibi dicit Polum spiritum Dei, et iterum quod recipit absolute a Deo, quantum Polus agit. Moronus fatetur, ab ea Polum Cardinalem unice dilectum, ut ex teste eius patuit, et eam suspectam et infectam forsan opinionibus fratris Bernardi Ochini, et eam frequenter visitasse; in sua confessione fol. 12 fac. 1a et 2a, ubi quod eam saepe visitabat cardinalis Bembus et Sadoletus, et in constitutis a fol. 26 et sequentibus, ubi interrogatur super litteris eiusdem marchionissae.

(p. 282) Moniales S. Catharinae de Viterbo suspectae ex litteris Marchionissae Piscariae fol. 279 fac. 2a et fol. 284 fac. 1a et 2a et fol. 200 fac. 1a.

(p. 283—284) Cardinalis Polus doctor et complex Moroni ex litteris Marchionissae Piscariae pluribus a fol. 279 cum seq……. Polus pater et magister spiritualis in falsa doctrina Marchionissae Piscariae et ab ea unice dilectus et nimio affectu ac reverentia adamatus propter istam disciplinam fol. 15 ex eodem teste, et ex litteris Marchionissae fol. 279 et 280—282 et seq. 283 et 284 et in litteris Marchionissae Piscariae ad ipsum fol. 288 et 289, 290, 291, 292, 293, 294, 296 et 298 et seq. et 300, ubi Polum et Moronum mirifice extollit et fol. 302 et 303 ipse Moronus fatetur Marchionissam toto animo et unice dilexisse Polum in sua confessione fol. 12 fac. 2a……. Seduxit Moronum et Marchionissam eisque persuasit, ut ex 4 teste fol. 19.

(p. 288) Rainerius Gualanus neapolitanus complex fol. 19; ex quarto teste fol. 14 seductus a Marchionissa, Priolo et Flaminio fol. 20 a tergo, ubi quod se illuminatum asserebat. Idem abiuravit fol. 30 fac. 1a.

(p. 456—457) Moronus suspectus testi ex familiaritate cum Marchionissa Piscariae f. 61 et f. 62 fac. 2a et propter hanc familiaritatem suspectus alteri testi f. 134 fac. 2a et seq. et de hac familiaritate et conversione patet ex literis plurimis datis et acceptis a fol. 279 cum seq.

(p. 457) Habuit (Moronus) praedicatorem lutheranum Mutinae fratrem Bernardum missum opera Poli et Marchionissae Piscariae fol. 155 fac. 1a et fol. 156 et ipse fatetur misisse sibi propositum et approbatum a Polo et Priolo etiam aliis, sed etiam a fratribus sui Ordinis pro erudiendo populo haeresibus maculato, et benigne convertendo in confessione sua, fol. 5 fac. 2.

(p. 461—462) Moronus clare arguitur complex Marchionissae Piscariae et Card. Poli, huius etiam discipulus in nova doctrina per litteras Marchionissae et de intima secreta spirituali ac familiari conversatione cum eisdem f. 279 et 280 et ad illam saepissime rescribebat et invicem mutuas litteras accipiebat fol. 281 fac. 1a et 2a et seq. et ae idem in aliis fol. 283, et fol. 284 et 286 et ad eundem in aliis litteris fol. 290 et 291 et de gratia et de summa Marchionissae benevolentia in Polum et ad idem fol. 292, ubi significat Moronum didicisse a Polo et quod orat ne discedat a concilio cum Polo pro propagatione falsae doctrinae, ut ibi colligitur et fol. 293 et ibi de nimio affectu et reverentia in Polum et fol. 294 ad idem et 296 idem, ubi memorat Moronum de Polo scripsisse plura et vocat Polum optimum magistrum dominum nostrum et Moronum meum verum et salutiferum confortum f. 298 fac. 1a et 2a ad idem extollens utriusque Poli et Moroni virtutes et animorum coniunctionem et mutuam charitatem alludens ad doctrinam communem f. 300…… Moronus accipit litteras a Polo de Marchionissa, cuius vehementem affectum et ardorem erga se comprobat. Eas Moronus Marchionissae mittit, ut ex litteris per Marchionissam ad Priolum scriptis patet f. 302, ubi disputat de affectione in Polum, quam ille et aliis ut carnalem reprehendebant, dicit nostrum Rev.m Moronum item dulcissimum meum et rev.m Moronum. Moronus fulctus se novisse d. Marchionissam in sua confessione fol. 12 f. et in constitutis fol. 26 et seq. ubi etiam exhibentur et recognoscuntur litterae Marchionissae.

Nemmeno il piccone demolitore ha saputo risolvere l'eterna questione della tomba di Vittoria Colonna, nemmeno il piccone ha saputo togliere dall'oblio secolare i gloriosi avanzi di quella gentildonna che colla sua prudente e dotta conversazione, colla sua alta poesia e colla protezione accordata al nascente ordine dei Cappuccini (1) Non si creda che a Vittoria l'aver propugnato la riforma della chiesa nella chiesa, incominciando co' suoi Cappucini (B. Fontana, Doc. Vat. di V. C. per la difesa dei Cappuccini. Roma, R. Soc. rom. di st. patr., 1886), dalla riforma degli ordini monastici in dissoluzione, le abbia procurato gloriae onori. In quel tempo di ardimenti e di diserzioni, di necessità plaese di epurazione e di resistenza accanita, la qualità di novatore sotto qualunque forma e misura provocava le ire della parte avversa e i sospetti e spesso le censure della propria. Vittoria infatti molto ebbe a soffrire insieme a quell'accolta di pensatori che le facevano nobile corona e della quale ella era la gemma. Il protonotario Carnesecchi, uno di essi, sottoposto a lungo processo finì al capestro; altro e penoso processo fu sostenuto dal Card. Giov. Merone, che fu poi riconosciuto innocente; altri ne furono iniziati contro i Cardinali Contarini e Polo, e nemmeno Vittoria sarebbe certamente sfuggita all'Inquisizione, massime dopo la defezione dell'Ochino e del Vermigli, se morte non l'avesse, come i suoi due amici Cardinali, prevenuta. Cfr. Costantino Corvisieri, Compendium processuum S. Officii. Arch. della R. Soc. rom. di st. patr., anno 1880, vol. III, pag. 261-290; 449-471; Giacomo Manzoni, Estratto del processo di Pietro Carnesechi. Misc. di st. ital., Torino, 1870, tom. X; Paolo Giovio, Ragionamento sopra i motti, et disegni d'arme, et d'amore. Milano, de gli Antonij, 1559, pag. 33 e 34. propugnò strenuamente, non senza mille difficoltà e dispiaceri, la riforma religiosa in Italia nell'ámbito della Chiesa cattolica riannodando in gloriosa comunione gl' intendimenti e le aspirazioni dei più chiari e profondi pensatori dell'epoca sua; di quella gentildonna che a molti fu maestra di temperanza, a molti, come al divino Buonarroti, sprone e guida sicura, a tutti esempio raro e perenne di virtù.

Eppure dal piccone io attendeva fiducioso quella parola che gli uomini per inqualificabile incuria non avrebbero saputo più dirci.

Era il 26 di marzo 1887 un giorno di gravi preoccupazioni per me; per divagarmi uscii a zonzo per Roma e il caso mi condusse nella piazzetta di Sant'Anna de' Falegnami. Là trovai che si demoliva l'antico monastero delle Santuccie, allora ridotto ad Ospizio pei poveri orfani, detto di Tata Giovanni (1) Morichini, Di Giovanni Borghi maestro muratore, detto Tata Giovanni, e del suo ospizio per gli orfani abbandonati, memoria. Roma, 1830; Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, vol. XVIII, p. 32, vol. L, p. 26 e 90; Nibby, Roma nell'anno MDCCXXXVIII, Roma, 1839, Parte I moderna, p. 99; 1841, Parte II mod., p. 122., e la sua bella chiesetta. Le demolizioni di Roma hanno sempre attirato la mia attenzione e risvegliato in me un senso di amarezza e di rimpianto per tante care memorie che cedono alla cupidigia forse più che alle esigenze moderne; memorie illustri alle quali malauguratamente si vanno a sostituire quelle immani topaie, le cui linee architettoniche stanno spesso come atroce insulto alle gloriose tradizioni della grand'arte di Roma.—Infastidito ma non vinto dal polverume della demolizione sostai, e mi diedi ad interrogare l'intraprenditore del lavoro.—Avete cercato la tomba di Vittoria Colonna? —Nossignore, chè c'è una tomba?!—E come, non lo sapete, e il Municipio non ha dato nessun ordine di cercarla?—Gnornò! abbiamo l'ordine di salvare i marmi e che so io, ma di tombe niuno ci ha parlato.

Compressi allora ciò che conveniva e la sera stessa inviai un articoletto al Corriere di Roma. L'articoletto due giorni dopo era bello e stampato; la notizia della tomba negletta e dimenticata fece il giro delle conversazioni e dei giornali e, nella tornata Capitolina del 1°ree; marzo seguente, il Prof. Comm. Cesare Marinai (2) Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma, Salviucci, 1887, serie III, anno XV, fasc, 11 e 12; novembre e dicembre, 1887, pag. 374.
I giornali accennarono pure alla perorazione in prò délla ricerca fatta dal prof. Raffaello Giovagnoli.
mise la questione innanzi al Consiglio Municipale, il quale, a dir vero, si mostrò subito favorevolissimo alla ricerca delle ceneri di Vittoria Colonna: e il Sindaco, S. E. il Duca D. Leopoldo Torlonia, con speciale e personale interesse che non mi stancherò mai di additare a merito dell'illustre gentiluomo romano, delegò a presiedere la ricerca l' architetto Prof. Comm. Francesco Azzurri, assessore supplente per l'Edilizia, e il Prof. Giuseppe Gatti, segretario della Commissione Archeologica Comunale (1) Ecco la lettera che il Sindaco di Roma si compiacque scrivermi in seguito all' invio fattogli del documento da me scoperto:
«Commissione Archeologica Nom. di Protocollo 1231 Roma, 21 maggio 1887.
Ringrazio la S. V. Ch.ma del documento che si è compiaciuta rimettermi, relativo alla tomba dell' illustre gentildonna romana Vittoria Colonna.—La Commissione archeologica comunale, che ho l'onore di presiedere, avrà ogni cura perchè nella imminente demolizione della chiesa di S. Anna nulla si lasci inesplorato, all'effetto di ritrovare, se sarà possibile, un cosi insigne monumento di storia patria.
Con distinta stima Chiarissimo Sigr.r D. Tordi Roma.
Il Sindaco di Roma Presidente della Commissione Archeologica Torlonia.

Mancherei alla gratitudine che debbo a questi due egregi signori, dalla cui cortesia mi venne il grazioso invito di prendere parte alle indagini, se non facessi onorevole menzione della intelligente ed instancabile operosità da essi spiegata anche quando, a corto di notizie, si vagava nel buio delle ipotesi, e non era dato di presumere ad un felice successo.

Frattanto io non mi limitai a presenziare la ricerca, ma correva inoltre di archivio in archivio in cerca di notizie, e sul Corriere di Roma, il cui distinto direttore con grande liberalità aveva messo a mia disposizione le sue ampie colonne, mentre io rendeva informato il pubblico e lo interessava all' argomento della ricerca, intendeva pure a scuotere il torpore di quella Casa Colonna che ha la sua brava parte di colpa nella dimenticanza della sua antenata, cui dovrebbe invece riguardare come la sua gloria più pura (2) V. i miei articoli sul Corriere di Roma del 28 marzo, 19 e 30 aprile, 12, 15, 17 e 26 maggio 1887; cfr. il mio scritto «La pretesa tomba di Cola di Rieneo,, estratto dal periodico Il Buonarroti, serie III, vol. III, quad. II e III, 1887-88, nota n. 3 a p. 7.. Ed a questa Casa io ripeteva: Fate parlare il vostro ricco archivio e dateci la storia della tomba di Vittoria Colonna. A chi ci rivolgeremo noi per notizie se voi che ne dovreste avere seguite a tacere? E gli eccitamenti miei trovarono echi e conforto (1) L' interesse destato dalla ricerca della tomba di V. C. si potrà facilmente valutare colla scorta dell'elenco dei periodici di Roma che l'hanno calorosamente propugnata. Non mi lusingo davvero di essere esatto, anzi tengo per fermo di aver notato appena una metà degli scritti pubblicati in Roma e dichiaro che mi è stato impossibile di tener dietro agli innumerevoli echi delle provincie e dell'estro.
Capitan Fracassa, 4 e 29 aprile, 28 maggio, 22 giugno e 1°ree; luglio 1887; Popolo Romano, 5 e 24 aprile, 1°ree; e 16 maggio e 3 giugno; Fanfulla, 26 aprile e 26 maggio; Tribuna, 10, 16 e 28 maggio; Opinione, 14 maggio; Capitale, 15 maggio; Osservatore romano, 15 e 19 maggio, 1°ree; giugno; Voce della Verità, 17, 18, 19 e 28 maggio, 15 giugno; Squilla, 18 maggio; Diritto, 19 e 27 maggio; Galatea, 19 giugno; Moniteur de Rome, 28 giugno; Buonarroti, 30 giugno; Cracas, Diario di Roma, Anno CXXXII, n°ree; 3 del 22-28 maggio 1887
Anche da persone dottissime d'Italia e dell'estero ebbi parole d'iucoraggiamento. Nomino per tanti altri d'Italia S. E. Pasquale Stanislao Mancini che spontaneamente si era proposto di tenere una conferenza sulla celebre poetessa, in occasione della bene auspicata scoperta. E per tutti gli altri di fuori basti questa letterina del sommo Gregorovius:
`Monaco, 12 febr. 1888.
Signor Tordi stimatissimo,
La sua lettera data il primo del mese corrente mi è pervenuta, come anche il duplicato del documento che si riferisce alla tomba di Vittoria Colonna. Lessi questi interessanti scritti con quell' interesse che deve destare ogni cosa riguardante la memoria di una donna illustre, anzi immortale, quale fu la consorte del Pescara e la congeniale amica di Michel Angelo. Or comprendo bene come Lei, mentre distrugge la fiaba del sepolcro di Cola di Rienzo in S. ta Bonosa, con pietoso animo si affatichi a rivendicare non solo la sepoltura della Colonna al monistero di S.ta Anna che si demolisce, ma a rinvenirvi e raccorre le ceneri della medesima. Se il sito della sepoltura, stando alle sue indagini fatte con tanta cura, pare appieno dimostrato e stabillito, pur vi nascerà il pericolo dello sbaglio materiale in quanto agli avanzi sotterrati. Dirò quindi francamente che il mio interesse si fermerebbe alla verificazione del luogo della sepoltura. Con tutto ciò mi congratulerei seco lei, ove riuscisse nel suo proposito…
Protestandomi obbligatissimo verso di lei per le sue comunicazioni, mi raffermo con sensi di stima e di considerazione
Suo der. mo
Ferd. Greorovics.,
Son poi grato al Prof. Mariano Armellini di una nobile lettera che pubblico sulla Voce della Veritò il glorno 19 maggio 1887, nelle quale ebbe per me espressioni assai lusinghiere.
Casa Colonna ascoltò e l'illustre rampollo D. Fabrizio Colonna principe di Avella, compreso finalmente del dovere che gl'incombeva, nel giorno 16 maggio 1887 faceva uscire per le stampe dello stabilimento tipografico dell'Opinione uno scritto che intitolò: Sulla tomba di Vittoria Colonna. In esso vengono riportate lettere dell'auditore Lorenzo Bonorio (1) Ricavo dai processi criminali dell'auno 1546-47 che si conservano nell'Arch. di Stato di Roma, filza n. 24, che fra gli anni 1528 e 1547 furono auditori di Ascanio i seguenti:
messer Antonio Fellino di Nettuno, di stanza a Roma nel palazzo dei SS. Apostoli;
m.r Mario di Cave residente nel Castello di Marino;
mr Griffone;
m.r Io. Prospero di S. Stefano, e
m.r Lorenzo Bonorio, residente anche egli a SS. Apostoli.
Lorenzo Bonorio continuò in tale qualità fino alla morte e di lui tolgo questa memoria dal Codice Vaticano (Ottoboni), N. 2548 A:
«1556, 2 mar.—In Catasto S. mi Salvatoris, tomo 2.—Haeredes quondam D. Laurentij Bonorij solverunt florenos quinquaginta in contanti per manus D. Julij Bonorij pro anniversario celebrando pro anima eiusdem q. D. Laurentij qui se pultus est in ecclesia S.ti Marcelli, prout in Libro anniversariorum, fol. 116».
La publicazione di Don Fabrizio Colonna, Sulla tomba di V. C., pag. 116, nomina un tal Pietro Paolo che col Bonorio concorse a ragguagliare Ascanio sull' infermità e morte della sorella. Or non è improbabile che quegli fosse appunto «Petrus Paulus Santorius de Ginazano» già «Camerarius Illustrissimi q. Vespasiani» come è detto nei mentovati processi.
indiritte al suo padrone Ascanio Colonna, fratello ed erede di Vittoria, fuoruscito ad Avezzano (2) Vedesi nell' Arch. Colonna la procura d' Ascanio per adire l' eredità della sorella, datata d'Avezzano, il 4 marzo del 1547 (Visconti, op. cit., nota I, a pag. CXXXIX)..

Il Bonorio in data del 25 febbraio 1547 dopo raccontata la morte di Vittoria avvenuta quell'istessa mattina «ale dicisette ore et un quarto», soggiunge; «Essi questa sera di notte cum consulta di tre R.mi nominati nel testamento et di tutti i SSri. parenti maschi e femmine DEPOSTO IL CORPO IN S. ANNA CON ORDINE SE NE FACCIA QUELLO CHE V. E. VORRÀ, NON VOLENDO FARE ALTRO SI RESTERÀ LÌ».—Ed in altra lettera del 27 di febbraio il Bonorio cosi scriveva ad Ascanio: «Il corpo si sta ancora in una cassa impeciata; sarà bene che V. E. commandi SE VUOLE CHE RESTI Lì et se vuole se ne faccia cassa di velluto come si suole et tutto quello che sopra cio gli andarà per fantasia». —Lo informa poi in data dell'ultimo dello stesso mese: «Cum consulta del R.mo Inghilterra s'è dato a far la cassa et farassi cuoprir di velluto al solito et allocarassi dove sarà l' opinione di quelli che intendono, IN LA CHIESA DI S. ANNA, DA POTERSI LEVAR OGNORA CHE NE LE VENISSE VOGLIA».—E in data del 5 marzo: »In banco (in Roma) si sono trovati cento e settanta scudi d' oro, de quali cento se ne sono dati a medici e settanta si sono spesi in celluti et dati al racamador per la cassa, quali no basteranno. È necessario che V. E. suplisca subito o vro si venda parte dell'argento. La cassa s'è fatta per ordine delli Reverendissimi NÈ IMPEDIRÀ MUTARE L' CORPO OGNORA CHE COMANDERÀ».—Finalmente così lo ragguaglia a dì 15 marzo: «Del corpo si è seguito l'ordine suo: è in una cassa impeciata. Fra tre dì si porrà in quella di velluto IN ALTO et SE SARÀ INDICATO sia meglio LASCIARE IL CORPO DOVE È per l' effetto che V. E. scrive SI LASCIERÀ».

Questi brani di lettere, i quali non fecero che confermare quanto ebbe già a dire nel 1875 il signor Giuseppe Piccioni, l' odierno Capo Amministratore di Casa Colonna, nella sua pubblicazione dal titolo: Lettere inedite di V. C., ecc…, Roma, Barbèra, nota a pagina 38, nella loro autenticità persuasero maggiormente che il cadavere di Vittoria fosse stato deposto da bel principio nella chiesa di S. Anna, ma insinuarono pure il dubbio che esso poteva, quando che fosse, esserne stato rimosso per comando di Ascanio.—È purtroppo vero che Vittoria nel testamento aveva lasciato arbitra del seppellimento l'abbadessa del monastero in cui sarebbe morta; ma oltrecchè ella non finì i suoi giorni nel monastero di S. Anna, sibbene nell'attigua casa di Giuliano Cesarini, marito di Giulia Colonna, nell'attuale palazzo Chiassi, è pur naturale che la nobile Donna Filippa Marrochis, abbadessa del monastero di S. Anna nel 1547 (1) Memoriale delle Vestizioni, presso il Mon. di Campo Marzio. V. l'Aggiunta VII; D. Tordi, Cenno storico della Chiesa e del Monastero di Sant' Anna, sul Corriere di Roma del 15 maggio 1887., cedesse il suo diritto ad Ascanio, erede principale delle facoltà di Vittoria e delle tradizioni della famiglia Colonna. E Ascanio infatti pare che non avesse troppa volontà di lasciare in quella chiesa la salma dell'amata sorella; forse intendeva farla trasportare in una delle sepolture di famiglia, a SS. Apostoli in Roma, o a S. Andrea di Paliano presso l'avello del padre, od a S. Domenico Maggiore di Napoli presso quello del diletto consorte, il marchese di Pescara. E che ciò fosse davvero avvenuto niuno avrebbe tentato di affermare o recisamente negare, tanto più che pareva inesplicabile come in S. Anna non si fosse maì posto un ricordo a Vittoria. Sicchè la pubblicazione, peraltro lodevolissima, di Don Fabrizio, raggiunse involontariamente lo scopo di perpetuare le tenebre in che era avvolta la memoria della tomba della grande Colonnesse.

Era di certo smentito per sempre quanto sulle orme di Giulio Roscio (1) Roscio Julio, Elogia militaria, Romae, Paulinus, 1608, pag. 85. dicevano il Caferri (2) Caferrio Nicolao Angelo a Sancta Victoria, Synthema vetustatis sive flores historiarum, Romae, Dragondelli, 1667, pag. 335, col. II (Segue il Roscio)., il Crescimbeni (3) Crescimbeni Gio. Mario, Dell' historia della Volgar Poesia. In Venezia, Basegio, 1731, vol. I, lib. III, pag. 227; Comentari, 1730, vol. II, par. I, lib. II, pag. 361 testo ed annotaz., III (Si appoggia al Caferri)., il Quadrio (4) Quadrio Franc. Saverio, Della storia e della ragione d'ogni poesia. Milano, Agnelli, 1741, vol. II, parte I, lib. I, Dist. I, capo VIII, pag. 232., il Bussi (5) Bussi Feliciano, Istoria della città di Viterbo, Roma, Bernabò e Lazzarini, 1742, parte I, lib. VI, pag. 108 (Segue il Caferri)., il Catalogo a stampa della biblioteca Casanatense (6) Bibliothecae Casanatensis O. P. Catalogus librorum typis impressorum. Romae, Salvioni, 1768. Pars prima, C, pag. 364, col. III (Si appoggia al Bulifon e al Crescimbeni). ed altri che fanno morire Vittoria nell'anno 1546 e nel monastero di S. Caterina di Viterbo; era del pari smentito ciò che sulla fallace autorità del Bullart (7) Bullart Isaac, Acadèmie des sciences et des arts. Vie et éloges hist. des hommes illustres. Paris, Bilai, 1682, tome II, liv. V, pag. 336.' affermarono il Bulifon (8) Bulifon Antonio, Cronicamerone, e Vita di Vittoria Colonna, premessa all'edizione delle Rime di V. C. Napoli, 1692, pag. s. n., il Moreri (9) Moréri Louis, Le grand Dictionnarire historique. Paris, 1759, tome III, col. II, pag. 844. e seguaci, che la dicono invece morta nel monastero di S. Maria di Milano nell'anno 1541; era finalmente accertata la data di morte che Luisa Bergalli (10) Bergalli-Gozzi Luisa, Componimenti poetici delle più illustri Rimatrici, ecc. Venezia, Mora, 1726, vol. I, pag. 269. non seppe fissare che frag li anni 1541 e 1549 e Pompeo Litta (11) Litta Pompeo, Famiglie celebrie d'Italia, Famiglia Colonna, tavola VII. all'anno 1548; era insomma chiuso per sempre il ciclo delle fantasticherie più disparate e sulla data, e sul luogo della morte e della primitiva sepoltura di Vittoria Colonna, ma nonostante ciò niuno, ripeto, avrebbe senza taccia di avventatezza osato affermare se la salma di lei era da cercarsi piuttosto in S. Anna che altrove, ed io medesimo non mancai di fare indagini simultaneamente a Roma, fuori anche di S. Anna, a Paliano e a Napoli (12) Sulla tomba del Marchese di Pescara vedi l'Aggiunta I., ma senza frutto (13) Per le notizie vere che correvano prima della ricerca intorno alla morte ed alla sepoltura di Vittoria, vedi l'Aggiunta II..

Fu Però ottma ispirazione la mia di cercare qualche notizia del seppellimento di Vittoria Colonna sulla scorta delle carte da me radunate intorno al monastero di S. Anna. Queste notizie infatti, che a gran fatica ho potuto raccogliere e mi riprometto di mandare a stampa, fanno in più parti menzione di una seconda deposizione del corpo della Beata Santuccia Terrabotti da Gubbio, riformatrice, fra i secoli XIII e XIV, dell'ordine delle Benedettine, che da lei presero il nome di Santuccie, e fondatrice del Monastero di S. Anna dei Funari o Falegnami, ossai di S. Maria in Julia (1) Per un saggio di bibliografia delle opere manoscritte e stampate che trattano della b. Santuccia Terrabotti e del monastero di S. Maria in Julia de lei fondato vedi l' Aggiunta III., come anticamente nomavasi.

Ecco le principali annotazioni in proposito che estraggo da un ms. intitolato: Memoriale della Congregazione delle Santuccie, ecc., estratto dall' Archivio del Ven. Monastero di S. Anna di Roma M, DCC, LVII (2) Sono debitore alla generosa cortesia del Rev.mo Mons. Gioacchino Persiani, benemerito direttore dell'Ospizio di Tata Giovanni, di copia dell' interessante manoscritto e di tanti utili schiarimenti durante la lunga ricerca e colgo l'occasione per esternargli la mia più sentita gratitudine.
L'origine poi delle Memorie mi è fatta palese oltrechè dall' Avvertimento che le precede, anche dalla «Relazione della Visita fatta dall' E.mo e R.mo sig. Card.le Guadagni, Vicario di Nostro Sig.re et Visitatore apostolico della Chiesa e Monast.°ree; di S. Anna, principiata il primo febbraio e terminata il dì 5 marzo 1754».
Nella Relazione è detto:
«Decreti emanti il 6 marzo—N. 14: Avendo riconosciuto che tutte le scritture appartenenti al Monastero non erano ritennte nel presente Archivio, ma che alcune stavano separatamente in altro luogo, perciò ordinò che vi si mettessero in buon ordine, e fosse riordinato nel tempo stesso tutto l' Archivio, ed a quest'effetto la Matre Abbadessa (Donna Costanza Chiaramonti, prozia di papa Pio VII) si servisse di qualche perito in tali materie.» (Archivio della Congregazione dello S. Visita, anno 1754, n. 16).
E fu cotesto perito, del quale mi duole di non conoscere il nome come ne conosco la valentia, che riordinando i documenti del Mon.ro di S. Anna volle tessere anche queste Memorie «contenenti un ristretto dei suddetti documenti »da servire «come di Sommario o Indice ai medesimi» (Avertimento cit.).
Un estratto del Memoriale della Congregazione dèlle Santuccie lo pubblicai già nei giorni 12 e 15 maggio 1887, sul Corriere di Roma, col titolo:
«Cenno storico della Chiesa e del Monastero di S. Anna de' Falegnami, ossia del luogo dell'ultima dimora e della sepoltura. di Vittoria Colonna».

Al Cap. IX, dove si ragiona della Chiesa di S. Maria in Giulia, ovvero di S. Anna, è detto: «Nel 1305 passò la B. Santuccia all' altra vita ai 21 di marzo, festa del suo Patriarca S. Benedetto, nel qual giorno aveva preso la prima volta l' abito religioso. Il di lei cadavere si è per più secoli conservato con venerazione sotto l'altare maggiore della Chiesa (di S. Anna), finchè verso la metà del secolo passato (XVII), allorchè per ordine pontificio furono sotterrati tutti i cadaveri, che stavano elevati sopra terra nelle chiese (1) Tento di stabilire l'epoca della seconda deposizione di Vittoria Colonna nella Aggiunta IV., fu anche il corpo della B. Santucccia trasportato nella sepoltura comune delle Badesse, come risulta da una memoria dei 29 Giugno 1651».

Al cap. XI nella Nota dei documenti dell' Archivio, ecc. è registrato in fine:

«1651, 29 giugno. Attestato della traslazione seguita del Corpo della B. Santuccia dall' altar maggiore nella sepoltura delle Badesse».

Dinanzi a queste affermazioni io pensai: se le monache, per eccesso di zelo e di obbedienza ad un decreto pontificio, hanno nientemeno che sepolto la loro fondatrice nonostante che da tre secoli la tenessero già in venerazione, non è egli da supporsi che trovando sopra terra (in alto) anche il cadavere di Vittoria Colonna lo abbiano ugualmente seppellito? E chissà che ancora per questa deposizione non abbiano steso una memoria? Cercherò la Santuccia, dissi, e forse troverò Vittoria.

Non era però tanto facile scegliere la via da percorrere e la più breve.

Le monache Santuccie di S. Anna fin dal 23 gennaio 1793 per ordine del Papa, essendo oramai ridotte a numero esiguo, avevano dovuto lasciare l'antico loro monastero, la casa madre dell'ordine, alle monache Salesiane (2) Un po' di storia inedita per le monache Salesiane ved. nell'Aggiunta V. Cfr. Moroni, op. citt., vol. 1, pag. 28., e si erano riunite alle benedettine del monastero di S. Maria in Campo Marzio. Le carte di quest'ultimo monastero, dove furono certamente ridotte quelle di S. Anna, si trovano, alleggerite però dell'importantissima parte storica, radunate nell' Archivio di Stato di Roma. Rovistai fra quelle carte, ma di S. Anna non trovai altro che un Memoriale delle monache defunte, N°ree; 314, che comincia dal 23 gennaio 1630, va fino all'abbandono del Monastero ed anzi fu continuato per le Santuccie che finirono di vivere a Campo Marzio fino al 1816.

Pensai quindi all'Ordine de' Benedettini che credetti dovesse serbare buona memoria di Santuccia, sua insigne reformatrice; mal mi apposi però. Il dotto abate di Monte Cassino, D. Luigi Tosti, m' assicurò che di Santuccia l'ordine suo non serba alcuna notizia. Pare che il fatto stesso di essere stata riformatrice dell' Ordine e di aver così sottratto all' antica regola oltre 30 cospicui monasteri, piuttosto che la gratitudine dell'Ordine principale gliene abbia procurato l'ostracismo.

Ma Santuccia prima di farsi benedettina era stata oblata o terziaria dei Servi di Maria in Gubbio sua patria (1) Cft. gli scrittori dell' Aggiunta III.. Tenterò dunque dai Serviti del Convento di S. Marcello, dissi alfine con poca speranza. E fu appunto presso il P. M.ro Andrea Corrado, priore di questo vetustissimo convento (2) Ogni maggiore encomio che io facessi della modestia e del disinteresse dell'ottimo P. M.ro Andrea Corrado non varrebbe nè a diminuire il mio debito, nè ad aumentare la gratitudine che gli serbo sincera., che, fra varie memorie dell'Ordine delle Santuccie, raccolte, sembra, da chi aveva in animo di tessere la vita della beata Fondatrice, io rinvenni il bellissimo documento che contiene l'interessante notizia d'una seconda deposizione della salma di Vittoria Colonna, la quale deposizione, per essere avvenuta dopo la infelice morte di Ascanio (3) Per l'istoria inedita della morte e della sepoltura di Ascanio Colonna fratello di Vittoria vedi l' Aggiunta VI., cioè di quel solo a cui avrebbe potuto stare a cuore la sistemazione definitiva della tomba della sorella, lasciava svanire di per sè ogni idea di un' ulteriore remozione e trasporto.

Il documento altro non è che l' attestazione delle principali monache del monastero di S. Anna, fatta evidentemente allo scopo di tener memoria della tomba della loro venerata fondatrice, della quale io aveva ripetutamente avuto sentore da' miei appunti; ed è tanto più verosimile ciò che in esso vien detto del nuovo seppellimento della Colonnese, in quantochè è per accidens che quelle monache ne fanno menzione a conferma e comprova di quanto lor premeva di saldamente fermare in relazione alla B. Santuccia.

Varie monache firmatarie del documento figurano nel Memoriale delle defunte che lessi all'Archivio di Stato, di tutte poi ho trovato cenno in un quaderno delle professioni, che ebbi agio di vedere presso il monastero di Campo Marzio (4) Per le notizie intorno alle monache nominate nel documento da me scoperto riguardante la tomba di Vittoria Colonna vodi l' Aggiunta VII..

Ecco il prezioso cimelio:

«La Mto Ra Matre D. Battista del Bufalo di età di anni 87 zia Cugina di nostro Sig.re Papa Innocentio decimo oggi, che siamo alli 29 di Giugnio 1651, presente la Mro Rda Madre Abadessa D. M. Drosilla del Bufalo, la Madre Priora D. Scolastica Lanuvij, D. Clarice Boccapaduli, D. M. Giulia Boncompagni di novo hà testificato come più volte hà detto, di havere sentito dire alle moniche antiche, che la nostra beata Madre Santuccia hebbe una figliola, la quale quando la messero nel bangnio disse Giesù Maria, et al battesimo fu chiamata Giulia, et la sopra detta D. M. Giulia non solo afferma di ritrovarsi presente a quanto dice hora D. Battista, ma anco, che molte volte à sentito raccontare a D. Chiara Folchi, sua zia monaca, molto anticha in questo monasterio, che la nostra beata haveva una figlia che si chiamava Giulia, e che fu tenuto il corpo di detta beata Santucci, però in ossa, in una cassetta ricuperta con il proprio habito nella sagrestia in un altare dove sopra si teneva il tabernacolo delle altre reliquie; e mentre si stava di ciò discorrendo, è sopragionta D. Pavola Capozuchi, et ella anco ci hà racontato che à sentito dare molte lode à questa nostra Madre, et in particolare che essendo in un loco sotteraneo quì nel nostro monasterio un'animale spaventevole, et perciò le monache tutte inpaurite ricorsero alla loro cara madre, la quale vi andò con il Pastorale in mano, et facendo il segnio della s.ta croce subbito quella bestia crepò, e questo la confirmato la sopradetta D. Battista di averlo sentito dire più volte alle nostre vecchie, et proseguendo il discorso ci disse, che lei con li propri occhi vidde, quando levorno il suo corpo di sotto l'altare maggiore, et fu messo nella sepoltura delle Badesse, dove di presente si ritrova, et questa mutatione fù in occasione, che venne ordine che si levassero li depositi e messi li corpi sotto terra, et essendoci anco il deposito del ecclma D. Vittoria Colonna Marchese di Pescara, la quale stava in una cassa di cipresso foderata di velluto ricamata, et ella anco fù messa in detta sepoltura. Questa sig.ra è stata molti anni nel nostro monasterio, dove à tenuto una vita santa essendosi sempre esercitata nelle continua oratione, giornalmente faceva elemosine, si distribuiva quanto avanzava dalla sua tavola a' poveri, fù patientissima in una lunga infermità, della quale fenì il corso della sua s.ta vita, et quando si vidde al fine partì dal monasterio, menò seco cinque monache, et tra l'altre una ne fù sor Placita Totona, la quale era ancor viva. quando venne qui D. Battista, fù sepolta nella nostra chiesa, come si è detto, e molti anni doppo essendo aperta la sepoltura trovorno le veste alquanto disfatte, ma il corpo intiero, anzi mosse le mano e si ricoperse, et li fratelli della compagnia della morte ofersero molti denari per haver quel benedetto corpo, ma le nostre moniche non lo volsero mai dare. Tutte queste cose, che quì hò notate, so state recontate dalla detta S. Placita alle moniche antiche nel nostro monasterio, delle quali jo Donna Ma Drusilla del Bufalo, Abb.a del monasterio di S. Anna confirmo quanto di sopra.

jo D. Scolastica Lanuvia Priora mano p. pr.

jo D. Paola Capozuchi mano ppa.

jo D. Clarice Boccapadule Camerlenga m.°ree; ppa»

Alla stregua di questa importante dilucidazione le ricerche che si andavano ad esaurire infruttuosamente nelle mura della chiesa furono rivolte al sottosuolo. Da giornali poco informati si era detto che le monache di S. Anna, lasciando il loro monastero, avessero recato seco le morte consorelle avvolte in manto d'oro, solite leggende! si attribuiva il racconto a certa monaca di cui non si sapeva fare il nome. Indagini accurate nel monastero di Campo Marzio e nel ritiro delle Salesiane a Villa Palatina mi misero in grado di appurare la verità, che è questa: le monache le quali avevano trasportato seco le defunte, senza manti dorati però! erano non già le Santuccie, ma le Salesiane, le quali nel 1810, al tempo della soppressione napoleonica (1) Decreto della soppressione napoleonica delle corporazioni e degli ordini religiosi per Roma e dipartimento, in data 7 maggio 1810 (Moroni, op. cit., vol. XVII, pag. 16)., dovettero anch'esse sloggiare da S. Anna, e la chiesa fu ridotta a granaio e il monastero in gran parte nel lanificio dei Tavani (2) Da un Memoriale ms. delle Salesiane cit.:
« L'anno 1810 prevalendo in questa Città da più di un anno il Governo francese, questi mandò ordine il di 14 Giugno del d.°ree; anno alli Monasteri delle Monache e conseguentemente al nostro di evacuarsi pel di seguente 15 Giugno, per il che fummo costerette ad uscire, nè potè restare in Monr~o, che la Madre Teresa «Margherita Riganti, allora superiora» con quattro monache e tre converse.—«Lealtre sorelle al n. di 13 si ritirarono alcune dai parenti, altre dagli amici e quattro furono collocate nel Ven: Monr~o: delle Barberine, istituto Carmelitano.».
Il di 3 ottobre dello stesso anno fu dal Governo Francese messeo in vendita il nr~o: Monr~o: dove abitavano ancora quelle poche religiose, le quali finalmente dovettero usciro il di 13 di d.ta mose rostando il Mon~ro: in potere del Governo Franicese dal quale poi è stato venduto a Tavani fabbricatore di lana.»
. Seppi di più che la monaca racontatrice del trasporto mortuario era appunto la salesiana Suor Maria Placida della nobilissima famiglia Caetani (3) D. Tordi (Eurillo). La tomba di V. C. (Corriere di Roma del 19 aprile 1887)., la quale peraltro ne era stata informata dalle monache più vecchie e testimonie oculari.

Ed infatti, scoperchiate le tombe di S. Anna furono trovate ripiene di cadaveri, ridotti però, insieme alle casse, in vera poltiglia per le continue alluvioni alle quali va soggetta quella parte bassa di Roma, che appunto dai sedimenti delle arene del biondo Tevere prese la denominazione di Arenula, o, come oggi corrottamente si dice, Regola. Si potè però osservare dai teschi, che in gran copia avevano resistito alla forza edace del tempo e dell'acqua, che quelle spoglie appartenevano a donne, e dagli amuleti e dai brani di vesti si potè nco concludere che appartenessero certamente alle Santuccie. Nessuna delle vecchie lapidi riguardanti le monache defunte di cui fan parola le raccolte d'iscrizioni sepolcrali e specialmente il Galletti (1) Galletti Pier Luigi, Inscriptiones Romanae infimi aevi Romae extantes. Romae. Salomoni, 1760, tomus I, classis VI, pag. DLVII.
—n. 105. (Humi) D. O. M.| In Hoc Sepulchro | Moniales Sanctae Annae | S. Patris Benedicti Filiae | Deiparae Virginis Famulae | Ad | Deiparam Virginem Et Dominam | Iturae | Quiescunt | Sanctam Resurrectionem | Sperantes | Anno Salutis | M.DC.LXXXII||.
n. 106. (Humi) Ossa | Monialium | Sanctae Annae | Hic | Vsque Ad Annum M. DC. LXXXII | Sepulta ||.
, si trovava là a farci lume in proposito; sembra che venissero rimosse nell' ultimo rimodernamento della chiesa avvenuto nell'anno 1854 (2) Forcella Vincenzo, Iscrizioni delle Chiese e d'altri edificii di Roma. Roma, Cecchini, vol. X, pag. 82, n. 149:
«Honori | Deiparae | Virginis Mariae | Sine Labe Originali Coucepta|
Templum Hoc | Instauratum Anno Dni~ MDCCCLIV ||.
Io ho visto questa iscrizione che era dipinta al di sopra della porta di sacristia.
. Dissi ultimo rimodernamento, perchè la chiesa di S. Anna n'ebbe a subìre di continui, ed essenziali furono invero quelli di cui ci serban memoria il Panciroli (3) Panciroli, op. cit., il Roisecco (4) Roisecco, Roma antica e moderna. Roma, 1750. tomo I, pag. 580., il Venuti (5) Venuti, op. cit., pag. 218 e 219., il Moroni (6) Moroni, op. cit. ed il Nibby (7) Nibby, op. cit., pag. 99.. Ma per essere avvenuti fra gli anni 1654 e 1675, poco dopo cioè la seconda deposizione della B. Santuccia e di Vittoria Colonna e mentre tutt'ora vivevano alcune delle monache che ne stesero la memoria, è da credere che non arrecassero nocumento all'integrità della loro tomba.

La ricerca, nonostante ogni contrario presagio, proseguì con tutta alacrità e cura, mercè l'assidu direzione dei Sigg. Professori Azzurri e Gatti, come si disse, e confortata di presenza dall'illustrissimo sig. Duca Torlonia. Furono vuotate le sepolture, fu vagliato il terriccio per vedere di rintracciarvi qualche speciale contrassegno; furono abbattuti i muri laterali delle cripte, ne fu guastato l'impiantito ed escavato per un buon metro al disotto, ma senza alcun risultato positivo.

Le sepolture internamente si rassomigliavano, quadrangolari con muratura levigata. Le casse vi si calavano dalla chiesa sul piano e pare che la povertà evangelica fosse fra le tenaci tradizioni del monastero. Una sola tomba dall'apparenza più recente, sita al disotto della cantorìa fra l'uscio di sacristia e la porta della Chiesa, aveva all'ingrio una banchina sulla quale si deponevano le bare per sottrarle alquanto dall'ordinaria umidità. Ma una più speciale particolarità fu osservata in una tomba mediana più piccola. più levigata, più asciutta delle altre: essa aveva le pareti disegnate con linee diagonali di rosso, non conteneva altro che un teschio ed una crocetta di ordinario metallo un po' vistosa e sagomata (1) Il teschio, la crocetta e gli altri amuleti rinvenuti nelle sepolture di S. Anna si conservano accuratamente negli Uffizi della Commissione archeologica cemunale.. Fu osservato inoltre che quella tomba era stata oggetto di anteriore indagine: una delle sue pareti costituita per intiero da un arco di sostegno e di contrafforza, un muro di quasi due metri di spessore, era stata, non si sa da chi, nè perchè, nè quando, forata di sbieco da una sottoposta cripta in su nel pieno del suo spessore, e che il largo pertugio capace di dare comodamente adito ad un uomo era stato racchiuso con opera tumultuaria. Non so ridire quanto fummo turbati e sconcertati a vista di tale operato, nel quale non ci fu dato d'immaginare altro che un attentato alla santità del sepolcro. Fu esculsa l'idea che il colpo avesse avuto luogo nel tempo che la chiesa era pessata all'Ospizio di Tata Giovanni. Tale Ospizio essendone divenuto di fatto proprietario non aveva d'uopo di ricorrere a sotterfugi per esplorare una tomba. Si dovettero naturalmente formare due probabili ipotesi:

O che le monache, sia Santuccie che Salesiane, partendo, avessero in cotal modo sventrato quella tomba, oppure che tale sventramento fosse avvenuto durante il periodo di abbandono dal 1810 al 1816 (2) Per comprendere lo stato di squallore in cui fu ridotto il monastero di S. Anna durante la soppressione napoleonica, basta rammentare che le monache Salesiane vi avevano speso attorno per ridurlo una grossa somma (Aggiunta V.) e poscia leggere la Relazione della Vista eseguita in quel pio loco, ridotto ad Ospizio di Tata Giovanni, da mons. Giuseppe Perugini vescovo di Porfirio, Sagrista di Leone XII, e terminata il giorno 11 luglio 1826.—In tale relazione a pag. 13 è detto:
«Il possesso seguì nell'ottobre 1816» (Moroni, Dizion., vol. L. pag. 28, dice invece nel 1815) «ed aperte con la forza le porte si prese possesso dell'Ospizio che fu subbito occupato, sebbene non vi fossero neppure li telari alle fenestre e minacciava da per tutto rovina.—Non vi è voluto però meno della somma di sc. 3000 per ridurre il d.°ree; locale nel modo e forma in cui esiste e si è anche per la Chiesa imiegata non piccola somma, non avendovi trovate che le mura, devastata di due altari…”
»Il Governo contribuì sc. 600 per li 750 al Tavani acquirente e sc. 860 per li restauri, per cui, come si disse, non sono bastati sc. 3000 (Arch. della Congreg. della Sacra Visita, anno 1826, n. 242).
Anche il Moroni (op. cit., vol. L, pag. 28) dice delle gravi spese incontrate per stabilirvi l'Ospizio.
in cui e chiesa e monastero furono, come vedemmo, ridotti ad uso profano.

In ordine alle monache sorse spontanea questa domanda: Chi avrebbe dovuto esservi sepolto, perchè esse si fossero mosse a far ciò?—Per le Santuccie non avrebbe dovuto trattarsi d'altriche della loro beata fondatrice, colla quale essendo Vittoria Colonna, tenuta da esse in concetto di gran virtù, come vien detto nel documento, è naturale che pure essa sarebbe stata associata al trasporto.

In primo luogo escludo il fatto da parte delle Santuccie per la ragione stessa che l'opera della rottura del muro annuncia la fretta ed il mistero, e le monache Santuccie che vennero via da S. Anna comodamente e tranquillamente, in ossequio all'ordine pontificio, non avrebbero avuto mestieri nè dell'una nè dell'altro. Certo sembra inesplicabile come quelle monache abbiano perduto memoria della loro fondatrice, mentre l'archivio loro faceva fede del luogo della sua sepoltura, ma d'altronde quando esse ne avessero eseguito il trasporto a Campo Marzio, di esso avrebbe dovuto farsi cenno nei libri amministrativi di quest'ultimo monastero, che tutt'ora sussistono, come è fatta minutamente memoria di tutte le spese incontrate nella venuta delle monache di S. Anna (1) Vedi le notizie riguardanti il traferimento delle Santuccie nel Monastero di Campo Marzio nell'Aggiunta VIII..

E nel caso che fosse stata trasportata anche la Colonna è egli da credersi che le monache di Campo Marzio a sì breve distanza, dal 1793 ad oggi, ne avessero perduto memoria, esse che ricordano benissimo quanto debbono alla famiglia Colonnese e specialmente a Donna Chiarina principessa di Palestrina, che fu loro Abbadessa e intorno all'anno 1563 (2) Cornica | Del Venerabil Monastero di S.ta Maria | in Campo Marzio di Roma | del Ordine di S. Benedetto della Congreg.ne | Cassinense | Composta scritta | Da me Fra Jacinto de Nobili | Romano Predicator | Generale del Ordine di S. Domenico, della | Procincia Romana | l'anno del Signore | MDCVij ||. Codice Vallicelliano, Miscell. (4, 50 (00619), n. XLVIII, da c. 279 a 202, pag. 15 della Cron.
Martinelli Fioravante romano, Roma ex ethnica sacra. Roma, de Lazaris, 1653; Cronica suddetta, pag. 198; Cronica suddeetta, ristampa fatta da D. Olimpia Orsini Abbadessa. Roma, de Rossi, 1750, pag. 20; Sommaruchi Michelangelo, Rime, Il tempio d'Ercole, panegirico alle grandezze e meriti dell' Em.mo e Rev.mo Principe il Signor Cardinal D. Girolamo Colonna. Roma, Colli, 1650, pag. 217, stanza 433.—Nel Rubricellone di tutte le materie esistenti nell' Archivio del Ven. Monastero e RR. Monache della SS. Concezione in Campo Marzio, composto… da Francesco Maria Magni l'anno 1742, vi si trovano notati atti riguardanti D. Chiarina Colonna Abbadessa:
a pag. 60 in data 4 dicembre 1530
a » 60 » 9 mairzo 1540
a » 309 » 18 marzo 1551.
rinnovò quasi completamente il monatero. e costruì l'attuale chiesa, come ne serbano anche memoria nelle cronache del Monastero e lo attestano le varie armi colonesi che anche al presente si ammirano sparse pel medesimo?

lo, che colla benigna annuenza dell'eminentissimo Card. Parocchi, ho potuto fare qualche indagine in Campo Marzio, mi son convinto che quando il trasporto della Santuccia e della Colonna fosse avvenuto, sarebbe ricordato da quelle distintissime signore. Non dico poi che casa Colonna ne avrebbe dovuto avere alcun sentore, ma è meglio non toccare questo tasto: troppo nota è la noncuranza da essa avuta in addietro per Vittoria. Quando penso che di questa sua vera gloria ha lasciato persino sperdere la memoria del luogo della tomba, e non ha saputo serbare quella delle care sembianze di lei, per cui tuttora la discussione non posa; quando rifletto che una ventina di edizioni delle rime di questa sublime poetessa dal 1538 al 1760 hanno visto la luce scorrettissime, deturpate talora da immagini tutt'altro che capaci di ricordare la divina bellezza fisica e morale di lei, per la quale Galeazzo di Tarsia, Michelangelo ed altri sommi si elevarono in fama di poeti, senza che per ciò sia mai intervenuto un solo Colonnese, senza che alcuno d'essi si sia opposto al mal vezzo, mi vo persuadendo che poteva ben darsi il fatto del trasporto, pure ignorandolo Casa Colonna (1) La storia che registra la dimenticanza passata non tace la virtù presente.—Invero la pubblicazione di D. Fabrizio Colonna gli ha meritamente attirato la lode, la quale diverrà completa ed imperitura allorquando l 'egregio Principe si sarà convinto del gran beneficio che arrecherà alla storia di Roma e d'Italia la pubblicazione dei tanti documenti del suo prezioso archivio.
Non posso mancare di far qui anche onorate memoria del Principe D. Alessandro Torlonia marito della buona quanto infelice Donna Teresa Colona. Egli nel 1840 sostenne le spese della splendida edizione delle Rime della nostra poetessa, curata da Pietro Ercole Visconti; fece riprodurre dal celebre incisore Pietro Girometti un'antica medaglia recante l' immagine di lei, e un busto marmoreo di lei, opera dello scultore Pietro Galli, donò pure il dì 12 maggio 1845 alla Protomoteca del Campidoglio. Per ciò a lui si deve in gran parte il moderno risveglio del culto di questa gentildonna romana esempio sublime di belta, di sapere e di virtù.
Per l' iconografia di Vittoria Colonna vedi l'Aggiunta IX.
.

Un'osservazione di fatto esclude la manomessione della tomba dal tempo delle Santuccie. Le Salesiane avevano appunto nella cripta sottoposta stabilito il loro sepolcro comune, uso colombario, e naturalmente ne avevano rimesso a nuovo le pareti e la vôlta. Ora propriamente quella vôlta trovavasi deturpata dalla irregolare chiusura dello sfascio.

Le ricerche eseguite da me presso le monache Salesiane alla Villa Palatina non conclusero ad altro che ad accertare il trasporto da esse fatto delle loro defunte nel monastero dell'Umiltà, trasporto che non eseguirono già nella furia dello sfratto al tempo della soppressione napoleonica, ma sì bene dopo il 1826, come ne fa fede la Relazione della Sacra visita compiuta in quell'anno da Mons. Vescovo Giuseppe Perugini (1) Archicìo della Congregazione della S. Visita. Anno 1826, n. 16:
«Esiste un Cemeterio, che corrisponde sotto l'altar Maggiore ed ancora vi esistono tanto li cadaveri delle monache Salesiane morte nel tempo che hanno abitato questo Mon. che quelli, che esse trasportarono dal mon. dov'esse erano prima alla Lungara, e si debbono trasportare alla Umiltà.—Da che v'è l'Ospizio vi sono stati sepolti quelli, che vi sono morti, coll'annuenza del parroco di S. Carlo ai Catinari.»
Il trasporto all'Umiltà avvenne poco dopo, come ho appreso dalla Rev. ma Superiori delle Salesiane, ed è quello di cui parlava Suor Maria Placida Caetani.
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Per eliminazione sono dunque arrivato al tempo della profanazione del Monastero e della Chiesa di S. Anna, e pare che ad esso debba ascriversi il fatto della devastazione della tomba e della esportazione o dispersione dei cadaveri contenutivi insieme ai loro indumenti. La presenza del teschio fa pensare che soltanto la cupidigia poté essere il movente dell'opera nefanda. Si notò pure la presenza di ossa estranee, non umane, quasi avanzi del pasto del manuale che eseguì la rottura dello spesso muro, e al quale era forse segnata a premio la brevità nel compiere il bieco proposito.

È finalmente da notare che il resto del piano della chiesa fu vuotato sino alla profondità delle sepolture, e vi si rinvennero soltanto ammassi indistinti di ossa, provenienti da spurghi delle sepolture stesse. Anche i sotterranei del monastero adiacenti alla chiesa furono esplorati con lodevole cura, ma con pari insuccesso.

Oramai ogni speranza di rintracciare la tomba di Vittoria Colonna è svanita, alle sorprese io più non mi affido, ma non ci dorremo mai, credo di poterlo affermare anco per gli altri egregi signori (1) Oltre gli egregi signori Professori dirigenti Azzurri e Gatti, furono assidui alla ricerca il Comm. Alessandro Bardi ed il sig. Luigi Borsari., del tempo e delle minuziose diligenze spese nella lunga operazione: tempo e diligenze, che se non ebbero l'ambita ricompensa col fortuanto scoprimento, non andarono però del tutto perduti. I documenti pubblicati dall'eccellente Don Fabrizio e da me comprovano a iosa e tolgono ogni dubbio circa il luogo della tomba di Vittoria. Il tempo, le alluvioni, l'ignavia di lunga età, la cupidigia forse, hanno fatto affronto a quel deposito glorioso e venerando, ma credo che a tanta ingiuria siasi bastevolmente riparato in questi ultimi giorni col risveglio dato dalla ricerca. La Colonnese infatti ha avuto un vero plebiscito di riverente omaggio. Ho visto fra i rottami della Chiesa di S. Anna cospicue signore e uomini che onorano la scienza e il nome d'Italia, ho veduto sorgere sul Pincio la cara sembianza di Vittoria (2) Il busto al Pincio è del distinto scultore Carlo Novella., e del suo venerato nome fregiarne una delle principali vie moderne (3) La via intitolata a Vittoria Colonna è quella che dal ponte di Ripetta conduce al nuovo quartiere dei prati di Castello. Veramente, secondo il mio debole parere, sarebbe stato più storicamente ragionato d'imporre il nome della poetessa alla nuova cia che passa sull'area dell'antico monastero delle Santuccio, luogo dell'ultima sua dimora e della sua sepoltura; nè credo sarebbe poi mancata l'occasione di affidare, senza affronto alla storia, il regionale nome di Arenula ad aleuna delle vie adiacenti.; ho letto recenti e dotte pubblicazioni che proiettano sulla nobile figura di lei nuova e fulgida luce e le procurano nuovi trionfi: e siane esempio quella dei notevolissimi documenti estratti dal Prof. Bartolommeo Fontana dall' Archivio Vaticano (4) Fontana Bartolommeo, Doc. Vaticani di V. C. march. di V. C. march. di Pescara per la difesa dei Cappuccini.—Archivio della R. Soc. rom. di st. patr., 1886.
Il medesimo, Nuori doc. Vat. sulla fede e sulla pietà di V. C.—Ivi—1888.
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E di questo dobbiamo esser paghi. Le memorie che non sanno suscitare gli affetti, la virtù che non sa destare l'ammirazione, rientrano nell'àmbito comune, nè hanno diritto a solenne glorificazione.

Solo mi resta da esprimere un voto che mi esce fiuducioso dall'animo: se qualche palmo di terreno là dov'era la TOMBA DI VITTORIA Colonna, resterà, come si suppone, inoperoso, si assegni per un ricordo della di lei virtù (1) Ricordo qui una pubblica onoranza che fu già fatta in Roma a Vittoria. Su proposta del Ministro dell'Istruzione pubblica, l'illustre prof. Guido Baccelli, Sua Maestà il Re, ai 15 di marzo 1883, firmò un decreto che denomina la scuola normale femminile di Roma «Vittoria Colonna»; essendo« riconosciuta l'utilità di dare a quella scuola » un nome che ricordando alle allieve maestre una gloria ilaliana serva loro di stimolo allo studio (Raccolta uff. delle leggi e decreti, serie III, vol. 68, anno 1883, n. 1270, pag. 475 e seg.).. Avremo un monumento di più, ma sarà desso un monumento degno di Roma che dirà alle nostre donne: Siate buone e saggie!

Aggiunta I.—Debbo le interessanti notizie intorno alla tomba del Marchese di Pescara, e l'assicurazione che il corpo di Vittoria non potè mai esser condotto presso quello del marito, aila gentilezza del Rev.mo P. Carlo Maiello preposito della insigne R. Chiesa di S. Domenico Maggiore di Napoli.

Sulla tribuna della Sacristia di S. Domenico Maggiore di Napoli si vedono anche oggi le bare (o tanti come le chiamano laggiù) di vari illustri defunti della real Casa d'Aragona e suoi affini, fra i quali si ammira quello di Francesco Ferrante d'Avalos d'Aquino, marchese di Pescara, marito di Vittoria Colonna. Morto Il 25 novembre 1525 in un sobborgo di Milano per le gloriose ferite di Pavia o pel veleno fattogli propinare da Carlo V, fu deposto nella Chiesa di S. Pietro in Gessate, donde nel maggio dell'anno seguente fu onorevolmente trasportato a Napoli nella Chiesa di S. Domenico Maggiore. Sentite in proposito l'antico registro mortuario dell' insigne chiesa napolitana:

«Necrol. seu Liber Mort.um, pag. 32, n. 2;

Clemens Papa VII, anno 9, Carolus Rex, 1526, Xiiij Ind.nis.—Die XI. mensis maij eiusdem anni, et Ind.nia honorifice receptum fuit in ecclesia Sancti Dominici de Neap. corpus illustris Marchionis Piscariae Capitanii et ducis exercitus serenissimi Caroli Romanorum Hispaniarumque regis, qui Marchio bella strenuissima suo tempore gessit. Novissime autem Franciscum, Francorum christianissimum regem debellavit et ipsum captivum ad Caesarem in Hispaniam destinavit ex Mediolano, et sic sub deposito collocatum est in cappella maiori supra presbiterium fratrum: hic fecit cortinam pulcherrimam de auro, et ex funeralibus habuit Conventus cereos 60 ex cira alba»'

Come si vede, il corpo del Marchese di Pescara stava anch'esso in questa chiesa sub deposito per essere, al dire di Tommaso Costo, di Pietro Ercole Visconti, di Bendetto Minichini, trasporatato nella chiesa da erigersi da' suoi in onore di San Tomaso d'Aquino, del quale dichiaravansi parenti. La chiesse infatti sorse nel 1535 a spese del cugino Alfonso d'Avalos d'Aquino, marchese del Vasto (Bolla di fondazione di Papa Paolo III, del 24 luglio 1535), ma la salma del Marchese di Pescara continuò a riposare, e riposa anche oggi, nella sacristia di S. Domenico Maggiore.

Sulla bara si vede ancora il ritratto di lui, in tela, a mezzo busto, il labaro bicaudato creduto del duca d'Albany, dinsate de' re di Scozia; una spada sguainata colle leggende: Barbara adest tutus medio potes ire per hostes; e: Pescario Martis debetur martius ensi; ma non v' è più l'iscrizione che vuolsi dettasse l'Ariosto (V. Giovio. Vita di Ferrando Davalo, pag. 369; Nobile, Descrizione della città di Napoli, pag. 212), non v'è più la ricca coltre di cui fa parola il Necrologie surrferito.

Dai mss. del P. Lavazzoli domenicano, il Comm. Minchin tolse questa notizia intorno alla coltre antica:

Coltra d'oro bellissima fatta 11 marzo 1526 all' illustre Ferdinando d'Avalos Marchese di Pescara, e duce degli eserciti di Carlo V, la qual coltra nell'anno 1704 essendo già logora, con licenza della Sacra Congregazione dei Vescovi fu bruciata, assieme con altre, ed il prezzo dell'oro che vi fu estratto andò investito nella confezione delle 22 ferze di velluto, 25 ferze di lana camorcia, larghe palmi 2 1/4, fatte per i pilastri della chiesa».

Vedi Giovio Paolo, La Vita di Ferrando Davalo Marchese di Pescara. In Fiorenza, Torrentino, 1551, lib. VII, pag. 394 e seg.; Visconti Pietro Ercole, Rime di Vittoria Colonna con la Vita della medesima. Roma, Salviucci, 1840, pag. XCIX; Volpicella, Descrizìone storica di alcuni principali edificii di Napoli. Napoli, 1850, pag. 271 e 436; Ariosto Lodovico, Opere minori, per cura di F. L. Polidori. Firenze, 1857, vol. I, pag. 361; Nobile Gaetano, Descrizione della città di Napoli, 1855, pag. 210; Reumont Alfredo, Vittoria Colonna, Vita, Fede e Poesia nel secolo XVI, versione di Giuseppe Muller ed Ermanno Ferrero. Torino, Loescher, 1883, pag. 86; Minichini Benedetto, Voto storico ed artistico per dichiarare monumento nazionale la R. Chiesa di S. Domenico Maggiore. Napoli, Bellisario, 1886, pag. 54, 55, 139, 140 e 141.

Aggiunta II.—Ecco le principali notizie vere che anteriormente alla ricerca correvano, frammiste a molte false, intorno al tempo e al luogo della morte e sepoltura di Vittoria Colonna:

La più antica notizia della morte di Vittoria a Roma la trovo nella Vita di lei scritta secondo il Visconti da Giovanni Filocalo (Vita, pag. LVIII, nota), o come opinano Scipione Volpicella (Di Filonico Alicarnasseo. Museo di scienze e lett., 1844, e Studi di lett. st. ed arte, Napoli, 1876, pag. 37-47), e Alfredo Reumont (V. Colonna, vers. Muller e Ferrero. Torino, Loescher, 1883, pag. 293 e Arch. st. it., Firenze, Vieusseux, 1878, pag. 318) da Costantino Castriota. Vedi Cod. Corsiniano, 34 E, 23.

Anche Ludovico Beccadelli, amico di Vittoria, nella Vita del Card. Bembo, dopo lamentata la perdita di lui avvenuta ai 20 di gennaio 1547, aggiunge: «et parve appunto che quello anno si sforzasse estinguere gli chiari ingegni di Roma: perchè dopo la morte del R.mo Bembo fra termine di un mese ne privò della Signora Vittoria Colonna Marchesa di Pescara, che a giorni nostri in versi è stata un'altra Sapho, et in opere sante et di charità una Santa Elisabetta».

Ma più precisa notizia, a stampa, la leggo nel Catalogo della Libreria Capponi (Alessandro Gregorio), Roma, Bernabò, 1747, a pag. 1269. Quivi volendosi correggere il Crescimbeni che fa morire Vittoria nel 1546 a Viterbo, è detto: «si ha il suo testamento fatto in Roma a XV febbraio l'an, 1547, nel palazzo Cesarini, chiamato Argentina, ov' ella giaceva inferma, della quale infermità poco tempo dopo morì.

A questa veridica versione si attenne Giambatista Rota nella Vita di V. C., premessa all'ediz. delle Rime. Bergamo, Lancellotti, 1760, pag. XXXI; e dal Rota poi la trassero molti altri scrittori, fra i quali mi piace segnalare i seguenti:

Tiraboschi Girolamo, Storia della Letteratura italiana. Milano, Bettoni, 1833, vol. IV, pag. 153, col. I; Roscoe Guglielmo, Vita e pontificato di Leone X. Milano, Sonzogno, 1817, tomo VII, pag. 62; Levati Ambrogio, Dizionario biografico: Donne illustri, Milano, Bettoni, 1821, vol. I, pag. 145; Albrizzi-Teotochi Isabella, Vita e ritratti delle donne celebri raccolti dalla duchessa d' Abrantes. Milano, Stella, 1826, vol. II, pag. 148; Massetti Can. Celestino, Biografia di V. C. Album, vol. V, distr. 42 e 43. Roma, 1838; Paladini Luisa Amalia, Fior di memoria. Firenze, Melchiorri, 1855, pag. 68.

Nel 1840 Pietro Ercole Visconti nella splendida pubblicazione delle Rime di r. C. (Roma, Salviucci, pag. CXL), fatta a spese del Principe D. Alessandro Torlonia, confermò quanto aveva asserito il Rota ed aggiunse, giustamente congetturandolo dal testamento, che Vittoria fosse sepolta in Sant'Anna de' Funari.

Peraltro nè il Visconti, nè il Reumont seppero indicare nella chiesa suddetta il sito preciso della sepoltura, e non furono creduti quando la fissarono senza alcuna prova «nella sepoltura comune delle monache» (Cfr. Fabrizio Colonna, Sulla tomba di V. C., 1887, pag. 14).

Nessuna notizia in proposito seppero aggiungere i seguenti scrittori:

Coppi Antonio, Memorie Colonnesi. Roma, Salviucci, 1885, pag. 317; Ranalli Ferdinando, nelle Vite d'illustri Romani dal risorgimento della letteratura. Firenze, 1858; Le Fêvre Deumier, Vittoria Colonna. Paris, 1856; Grimm Ermanno, Michelangelo. Milano, Manini, s. d., vol. II, pag. 289; Gotti Aurelio, Vita di Michelangslo Buonarroti, Firenze, 1875, vol. I, pag. 247; Saltini G. Enrico, Rime e lettere di V. C. Firenze, Barbera, 1860; Masi Ernesto, Studi e ritratti. Bologna, Zanichelli, 1881, pag. 44.

Il march. Giuseppe Campori nello scritto intitolato: Vittoria Colonna (estratto degli Atti e mem. della Dep. di st. patr. dell'Emilia. Nuova Serie, vol. III, Modena, Vincenzi, 1878) reca a proposito della data della morte di Vittoria la testimonianza di Bonifacio Ruggeri oratore estense a Paolo III. Il Ruggeri così ne annunziava la morte in una lettera del 26 febbraio 1547: «Hieri morì la S.ra Marchesa di Pescara». Ed in un' altra del 19 marzo così scriveva: « la Marchesa di Pescara di bo: me: è morta qui in un monastero di monache, ove ella stantiava et son molti mesi che per diverse indispositioni che aveva la povera Signora, non si aspettava altro». La brevità dell'uscita dal monastero pare che non fosse avvertita dall'oratore di Ferrara.

La più completa affermazione, e più esatta, la trovo nella pubblicazione di Giuseppe Piccioni, Lettere inedite di V. C., ecc. Roma, Barbèra, 1875, p. 38 nota. In essa, fondata su documenti originali dell'Archivio Colonna, è detto: «Il vero è che la medesima morì in Romà in casa del sig. Giuliano Cesarini a Torre Argentina li 25 febbraio 1547 alle ore 7 1/4 ed il suo corpo fu la sera stessa per ordine dei Card. Polo, Sadoleto e Morone, suoi esecutori testamentari, deposto nella Chiesa di S. Anna».

Ora tutte queste notizie hanno avuto ampia conferma ed illustrazione dai documenti pubblicati dall'Ecc.mo Principe d'Avella e da me, e la discussione sarà certo chiusa per sempre.

Anche il prof. Bartolommeo Fontana ne' suoi Nuovi Documenti Vaticani sulla fede e sulla pietà di V. C. (Roma, 1888, pag. 13) riporta un brano di lettera di Marcantonio Flaminio, indirizzata a Caterina Cibo, nel quale sotto la data del «XXV di febraio del XLVij» è notato: «In questo medesimo giorno, alle deciotto hore, la S ra Marchesa è partita dal mondo con tanta alacrità di spirito, et con tanta fede che non dobbiamo honorare la morte sua con altre lagrime che nate di dolcezza et gaudio puro e santo».

Mi è grato in fine di arrecare un nuovo contributo alla storia della morte e della tomba della Colonnese colla pubblicazione di due altri documenti contemporanei.

Il primo lo leggo nel Codice Vaticano (Capponi), n. 29 c., 343 v.; è uno dei soliti Avvisi di Roma:

Febbraio 1547.

«Alli 25 morse la sig.ra Vittoria Colonna Marchese di Pescara quale fù sepolta nella chiesa di sant' Anna di Roma ove era vissuta molti anni ».

È ripetuto pure nel Cod. Vaticano del Galletti, n. 7871. Necrologio Romano B. I.

Il secondo documento è un estratto del Memoriale del Monastero di S. Caterina di Viterbo, e basta da sè solo a distruggere la flsima che quivi potesse esser morta e sepolta la Marchesa di Pescara nel 1546, come purtroppo dicono erroneamente tanti scrittori.

Il Galletti che lo riporta a pag. 151 del mentovato Cod. Vat., n. 7871, indica in testa della scheda la provenienza:

«In Viterbo.

Ricordo come alli 4: Marzo 1547: passò della presente vita a migliore, et più secura et felice patria la buona et s.ta memoria de la Exc.ma et Ill.ma et Ill.ma S.ra Marchesa di Pescara Vittoria Colonna, quale stette nel n.ro monistero tre anni di continuo con molta sua sodisfactione, et non mancho era la nostra vedere la grande devotione et perfettione et bontà sua, onde ci lasciò alla morte trecento scudi doro in oro, quali subito ci furono sborsati dal Ill.mo Cardinale Inghilterra, perho non siamo ingrate, ma ricordiamoci di benefitii, acciò il S.re si ricordi d i noi—dicho sc. 300 doro in oro».

L'errore della data è evidente: esso si spiega o con qualche ritardo nella compilazione di questa memoria, o coll'aver segnato invece la data del conseguimento del legato di scudi 300, o con una semplice anteposizione del come che rettamente potrebbe allogarsi innanzi a passò.

Il Campanari lesse un'erronea interpretazione di questo documento nella «Relazione ms. della origine ed avanzamento del monastero di S. Caterina di Viterbo» in data 1766 (Ritratto di V. C., Londra, 1650, pag. 4).

Copia del testamento della Colonnese esiste nell'Archivio Colonna ed in quello Capitolino. Ne do intanto un breve regesto:

«Illma excma Dna Victoria Columna Marchionissa Piscariae condidit test. Haeredem instituit Ascanium fratrem. Executores testam.ios voluit R.mos Cardinales de Anglia, Sadoletum et Moronum. Vult sepeliri in eo monisterio, in quo mori contigerit. Legavit monasteriis, in quibus fuit, scuta 300, scilicet mon.°ree; S. Annae, S. Silvestri, S. Catharinae de Viterbio, S. Pauli de Urbiveteri. Obiit dicto anno».

Nel monastero di S. Caterina di Viterbo sul muro del parlatorio, al disotto di un quadro rappresentante Vittoria, si legge un' iscrizione che ricorda con molta lode la dimora da essa fattavi «dall' anno MDXLI al MDXLIV. L'iscrizione fu posta o rinnovata nell'anno 1850: «dalla morte di lei CCCIIl».

Aggiunta III.—Ecco un elenco bibliografico delle principali opere manoscritte e stampate che trattano della beata Santuccia Terrabotti e del monastero di S. Maria in Julia da lei fondato, detto al presente di S. Anna de' Funari o Falegnami:

Panciroli Ottavio, I tesori nascosti nell'alma città di Roma. Roma, Zannetti, 1600, pag. 210; Severano Giovanni, Memorie sacre delle chiese antiche e moderne di Roma. Codice ms. Vallicelliano, segnato G, 26, n. 00595, parte I; Lo stesso. Roma sacra. Cod. ms. Vall. G, 16, n. 00585, car. 80; Lonigo Michele (1627), Catalogo di tutte le chiese antiche et moderne che sono state altre volte et sono hora in Roma, ecc. Codice ms. bibl. Barberini, XXXVII, 53, 2009, § S. Anna; Totti Pompilio, Ritratto di Roma moderna. Roma, Mascardi, 1638, pag. 180; Sodo Francesco, Compendio delle Chiese con le loro Fondationi consecrationi et Titoli de Cardinali ecc. Cod. ms. Vallicelliano G, 33, n. 00602, car. 141; Anonimo, Notizie delle chiese antiche, monasteri e luoghi udiacenti di Roma. Cod. ms. Vall. G, 36, n. 00605, car. 9; Torrigio Francesco Maria, Historia del martirie di S. Teodoro soldato. Roma, R. C. A., 1643, cap. XV, pag. 251; Jacobilli Lodovico, Vite de' Santi e Beati dell' Umbria ecc. Foligno, Alterij, 1647, vol. I, pag. 297 e seg.; Bruzio Gio. Antonio, Chiese, conservatori e monasteri di Monache della città di Roma. Cod. dell' Arch. Vaticano, arm. VI, n. 24, tom. XV, pag. 97 e seg.; Bollando Giovanni, Acta Sanctorum Antverpiae, Mersius, 1658, tom. III, pag. 362, XXI mart.; Martinelli Floravante, Roma ex ethnica sacra. Roma, de Falco, 1668, pag. 60 e 372; Lubin Agostino, Abbatiarum Italiae brevis notitia. Romae, 1693, Komarek, pag. 336, n. XLII e XLIII; Titi Filippo, Studio di pittura, scultura ed architettura delle chiese di Roma. Roma, Mancini, 1674, pag. 103; Gerardi Leonardo, Ragioni della peritia fatta dal sig. Vitale Giordani per parte delle RR. Monache di S. Anna. Roma, Buagni, 1694; Ciampini Giovanni, De Sanctoe Rowana Ecclesiae Vicecancellario. Romae, Bernabò, 1697, pag. 178; Giani Arcangelo, Annalium Sacri Ordinis Fratrum Servorum B. M. V. Lucae, Marescandoli, 1719, tom. I, cent. I. pag. 198 e seg.; Cherubini Girolamo, Vita della Rev. M. D. Maria Florida Roberti Abbadessa del Mon. di S. Anna. Roma, Corbelletti, 1722, pag. I e seg.; Pancirolo e Posterla, Roma Sacra e Moderna. Roma, Mainardi, 1725, pag. 499; Bovio Gio. Battista, La pietà trionfante. Roma, 1729, Mainardi, pag. 164; Pascoli Lione, Vile de' Pittori, Scultori ed Archiletti moderni. Roma, de' Rossi, 1730, tom. I, pag. 220 e 309; Fonseca Antonio, De Basilica S. Laurentii in Damaso. Fani, Fanelli, 1745, cap. XLVII, pag. 370 to 371; Roisecco Gregorio, Roma antica e moderna. Roma, 1750, vol. 1, pag. 579 e seg.; Vignoli Giovanni, Liber Pontificalis, seu de gestis Romanorum Pontificum. Romae, Bernabò e Lazzarini, 1752, tom. II, n. LXXVII, pag. 291; Notizie dell'orgine e dell'antichità del Ven. Monastero di S. Ambrogio detto della Massima. Roma, Pagliarini, 1755; Sarti Mauro, De Episcopis Eugubinis. Pisauri, Gavellius, 1755, cap. VII, pag. XCIX, n. XXVI; Garampi Giuseppe, Memorie ecclesiastiche appartenenti all'Istoria e al culto della B. Chiara di Rimini. Roma, Pagliarini, 1755, pag. 381 e seg., § VI; Terribilinio Gregorio, Descriptio Templorum Verbis Roma. Cod. ms. Casanatense, XX, XI, 2 pag. 135 e seg.; Venuti Ridolfino, Accurata e succinta descrizione topogr. e istor, di Roma moderna. Roma. Barbiellini, 1766, pag. 218; Galletti Pier Luigi, Necrologio. Cod. Vaticano ms., 7871, B, I, car. 13, anno 1305; Vasi Giuseppe, Tesoro sacro di Roma. Roma, Pagliarini, 1778, parte II, pag. 96, n. 324; Bombelli Pietro, Raccolta delle Immagini della B. V. Roma, Salomoni, 1792, tom. II, pag. 91; Moroni Gaetano, op. cit., vol. L, pag. 28; Nibby Antonio, op. cit., pag. 99; Cancellieri Francesco, Notizie istoriche delle chiese di S. Maria in Julia, di S. Giov. Calibita, e di S. Tommaso degli Spagnuoli o della Catena. Bologna, Nobili, 1823; Vasari Giorgio, Opere. Milano, Bettoni, 1829, pag. 499, col. II, Vita di Perino del Vaga; Armellini Mariano, Le chiese di Roma dalle loro origini sino al secolo XVI. Roma, tip. ed. romana, 1887, pag. 355 e seg.; Cantalmaggi Gio. Battista, ms. nell'Arch. pubblico di Gubbio. Le schede manoscritte del benedettino Ginanni, per quello che asseriscono il Garampi e il Bollando; quelle del servita Alasia; la cronaca citata del Monastero di Campo Marzio ed alcuni mss. che ho presso di me ricordano pure la Santuccia ed il Monastero di S. Anna.

Aggiunta IV.—Agotino Oldoini, nella Nova additio alla Vita di Paolo IV scritta da Alfonso Ciacconio (Vilae et res gestae Pont. Rom. Romae, De Rubeis, 1677, tom. III, col. I, pag. 831) dice che quel pontefice «Templorum reverentiae nitorique maxime consuluit: defunctorum monumenta ac deposita, quae aut super aras, aut superiore alio loco extabant, infra ecclesiarum dignitatem reputavit amovitque».

Il Mabillon etc. (Musei Italici, Luteclae Parisiorum, 1689, tom. II, In Ordinem Romanum Commentarius, cap. XIX, pag. CXXX, § VIII) ripete con più efficacia la stessa notizia: «Postremo in sepeliendis corporibus illustrium defunctorum id olim apud Italos, nedum Romae, servabatur, ut loculi in locis sublimibus ponerentur, quod Mediolani in porticu ecclesiae sancti Nazarii observare licet. Verum anno MDLXI Pius IV statuit (quod refert Johannes Franciscus Firmanus in Diario suo), ut deponerentur capsae defunctorum, quae erant in muris ecclesioe in altum: et fuit mandatum ordinariis, ut fieret in eorum ecclesiis, quod fuit multis in locis exsecutum non sine vivorum dolore. Sic Mediolani Carolus Borromaeus, sanctissimus ille antistes ac Pii nepos, corpora Trivulsiorum, quae in praedicto porticu sancti Nazaril sublimibus locis locata erant, humo infodi curavit, loculis tamen in summo vacuis relictis».

Pare dunque che l'ordine di Paolo IV rimanesse lettera morta, se pochi anni dopo, nel 1561, Pio IV dovette ripeterlo. Il Diario del Colleine (Diario di Cola Colleine Romano del Rione di Trastevere dall'anno 1521 fino all'anno 1561. Copia dell'anno 1603 Codice ms. Vaticano (Ottoboni), n. 2603, parte II, pag. 311 e 340) sotto la data del 1°ree; novembre 1561, scrive: «Lo mese de Novembro foro levati tutti li deposili delli corpi morti in alto nelle chiese». Ma il Diarista avrebbe fatto bene ad omettere il tutti.

Anche questa volta non mancarono pretesti per menomare l'ordine, e Pio V nella Costituzione IX, in data 1°ree; aprile 1566 (Bull. Rom. Pontif., Romae, ed. Cocquelines, 1745, tom. IV, par. II, pag. 284), tentò perciò di richiamarlo in vigore: «Ut in ecclesiis nihil indecens reliquatur, iidem provideant, ut capsae omnes et deposita, seu alia cadaverum conditoria supra terram existentia omnino amoveantur, prout alias statutum fuit, et defunctorum corpora in tumbis profundis infra terram collocentur».

Benedetto Minichini, parlando della R. Chiesa di S. Domenico Maggiore di Napoli (Napoli, de Gennaro, 1887, pag. 110, nota 50), asserisce che finalmente nel 1568 si pensò ad eseguire il precetto e ci dà qualche notizia intorno all'antica maniera di seppellire: «Un tempo le tombe si solevano anche riporre in alto, anzi sospese a legno nel muro sotto dei così detti trabacchini, spesso di velluto e tela d'oro, e con le rispettive coltre blasonate al di sopra di quelle casse mortuarie. Insomma erano arche di legno, che in Napoli si dissero sempre tauti, come ben segna il Costo, onde quegli avanzi di ossa fino al 1568 così sconvenientemente conservati, si sotterrarono (per ordine di Pio V, op. cit., pag. 27) nelle cappelle gentilizie o pure sotto il pavimento, ed in altre sepolture comuni. Quelle casse mortuarie poste a muro in alto, non davano apparecchio troppo elegante all'interiore aspetto della chiesa; e poichè questi mobili oggetti di legno e drappo così sempre esposti, e per la diuturnità del tempo, non si potevano affatto ben conservare intatti e nuovi, così addivenivano ruderi indecorosi».

La storie della ripotizione dell'ordine pontificio giova principalmente a far comprendere come le monache di S. Anna potessero anch'esse dilazionare la deposizione delle salme della b. Santuccia Terrabotti e di Vittoria Colonna.

Donna Battista del Bufalo dice di aver veduto «con li propri occhi» la deposizione delle ossa della Santuccia avvenuta incieme a quella della salma di Vittoria. Ma la Battista nata nel 1564 non professò a S. Anna che nel 1582, onde è chiaro che l'ordine pontificio non venne compiutamente eseguito a S. Anna che dopo quest'ultima data. A me starebbe estremamente a cuore di stabilire esattamente la data dell'esecuzione dell'ordine, ma poichè mi mancano prove di fatto, m'ingegnerò di farmi forte coll'analogia. Altri ordini generali non pare che fossero emanati, dopo quello di Pio V, fino al 1651.

Il P. Casimiro Romano (Memorie storiche della Chiesa e Convento di S. Maria in Araooeli. Roma, Bernabò, 1736, pag. 30) nota che nella Chiesa di Aracoeli, essendosi fino al Pontificato di Gregorio XIII procrastinato di eseguire detto ordine, questo pontifice con motu proprio lo ripetè particolarmente per la suddetta Chiesa. «Iusserit omnes capellas et omnia altaria, nec non tumulos et sepulcra in medio ipsius templi et in parietibus indecenter consistentes vel consistentia inde amoveri et ad alia in eodem templo loca, ubi impedimentum non prestarent, transferri.»— Ma ordine dato non volea dire in quei tempi, come abbiamo visto, eseguito, e il P. Casimiro ci soggiunge che questa nuova e speciale ingiunzione ebbe soltanto pieno effetto sotto il pontificato di Clemente VIII, e non vi volle meno di una visita Apostolica, con minaccie, forse, di pene e censure, se debbo giudicarne dall'impeto e, direi quasi, dalla barbarie dell'esecuzione, poichè è detto che «fecesi una deplorabile strage d'iscrizioni, di urne, di marmi e di altre antichità da molti ardentemente desiderate, come i sepolcri menzionati da Giorgio Fabbrizio (Roma illustrata, pag. 516, 517).

E sebbene il P. Casimiro non dica la data precisa dell'esecuzione, io credo di fissarla verso l'anno 1600 e più probabilmente all'anno innanzi, preparatorio di quello giubilare. Era infatti solito nella occasione dei giubilei, in cui affiuiva a Roma un numero stragrande di romei, di prendere preventive misure igieniche, richiamandosi a bandi e editti promulgati sì, ma fiaccamente obbediti da prima e presto passati in piena dimenticanza.—Ma all'occasione dei giubilei più che il bando o l'editto s'imponeva la terribile necessità, perchè rare volte Roma era scampata alla desolazione del contagio.

Apprendo poi dall'illustre mio compaesano Fr.°ree; M.a Febei (De origine et progressu celebritatis Anni Jubilei. Roma, 1675, pag. 195), da Andrea Vittorelli (De Jubil., par. 3a), da Marsilio Honorati (lib. I, c. 5) che i soli pellegrini che nel 1600 fecero capo all'Arciconfraternita della SS. Trinità sommarono alla cifra di 469 mila, fra i quali erano 25 mila donne. Enorme cifra per quei tempi privi di tanti mezzi di comunicazione e di trasporto.

E non è improbabile che finalmente in quest'occasione anche le monache di S. Anna si decidessero, loro malgrado, a sotterrare le venerate salme di Santuccia e della Marchesa di Pescara.

Aggiunta V.—Un po' di storia per le Salesiane estratta da un ms. del ritiro di Villa Palatina, intitolato: «Breve raguaglio della Fondazione del Monastero della Visitazione di S.ta Maria e dei cangiamenti….. estratio di libri più autentici del Monastero.»

La venuta in Roma delle monache della Visitazione o Salesiane, come comunemente si chiamano dal nome del loro fondatore S. Francesco di Sales (nato 1567, morto 1622, canonizzato 1665), è dovuta al Card. Brancaccio nell'anno 1668. Egli voleva fondare a Vetralla, terra della sua diocesi, un monastero di queste monache e però ne fece venire 4 da Torino. Ma a Vetralla si terminò per stabilirvi le Carmelitane; e le Salesiane, dopo avere successivamente abitato il Monastero della Incarnazione, detto delle Barberine, e poi quello di Campo Marzio, mereè larghi sussidi avuti dalla Casa Borghese, poterono finalmente procurarsi una bella abitazione alla Lungara, che ridussero a monastero e allato vi fabbricarono la chiesa che si chiamò di S. Maria della Visitazione.

Tra i benefattori di Casa Borghese trovo notati: il pricipe Don Giovanni Battista, la principessa di Sulmona sua ava, la principessa di Rossano sua moglie e il Card. Giacomo Rospigliosi, i quali concorsero complessivamente per la cospicua somma di scudi 17.500, ed inoltre con vari doni in oggetti sacri.

La clausura, autorizzata con Breve di Clemente X, fu stabilita il gioruo 9 aprile 1671 e prima superiora di quel monastero fu la M. Maria Francesca de Corbeau.

Invero la vita economica del nuovo monastero non fu mai troppo soddisfacente: le rendite erano esigue a mantenere una numerosa comunità. Incalzando il caro de' viveri, quelle monache si videro costrette nel 1791 ad umiliare un memoriale al papa Pio VI. Le reiterate promesse videro il compimento soltanto allorchè giunsero molte altre Salesiane emigrate di Francia. Il Papa donò loro il monastero di S. Anna con tutte le sue rendite, del quale presero possesso il 13 novembre 1793. Era protettore dell'Ordine il Card. Duca di York e fu prima superiora del monastero di S. Anna Ia M. Marianna Celeste Passerini.

La soppressione napoleonica trovò perciò le Salesiane in questo monastero, dal quale dovettero sloggiare il 15 giugno 1810.

Alla restaurazione ottennero dal Papa il monastero dell'Umiltà, già delle Domenicane, che per essere stato fin Il abitato da soldati, diede loro cagione della grave spesa di scudi 7000. Vi si stabilirono da prima in dieci il 26 ottobre 1814; le rimanenti non poterono prendervi stanza fino al 30 novembre di quell'anno.

Prima superiora dell' Umiltà eletta nel 1815 fu la M.dre M.a Geltrude Galli, professa del monastero di Offagna.

Copio da un altro ms. del ritiro di Villa Palatina la notizia della spesa incontrata pel riadattamento del monastero di S. Anna:

«Nel mese di Gennaio dell'anno 1793 le nostre Sorelle presero possesso del Mon.ro: di St. Anna e di tutti i beni appartenenti alle religiose Benedettine. Le spese che dovettero fare per ridurre il locale e prendere il loro sistema a forma (del Costumiere) del nostro Istituto furono immense. Basti dire che nel solo anno 1793 il totale dell'esito del detto anno ascende a sc. 19370:27.—Per cui non è meraviglia, che dovettero fare tante alienazioni di doti e fondi, come vedesi nei rispettivi libri di economia.»—Basti questa notizia a spiegare il vandalismo usato contro questo locale, solo pochi anni dopo, nel tempo della soppressione napoleonica.

Aggiunta VI.—Alfredo Reumont, uno dei più dotti ed appassionati cultori della storia del nostro paese, morto in Aquisgrana, sua patria, il giorno 26 aprile 1887, nella Vita di Vittoria Colonna (ed. cit., pag. 284, cap. VIII) si fa a discorrere della morte di Ascanio, fratello di lei, avvenuta a Castelnuovo di Napoli, dove trovavasi relegato, «non si sa con certezza quando», ed aggiunge che pure «i motivi della prigionia souo oscuri».

Io, sulla scorta di documenti Vaticani, che ampiamente illusterò fra breve, mi trovo in grado di far luce a questo proposito.—Il racconto ha un valore assoluto, perchè viene confermato dalla stessa Giovanna d'Argona, sua moglie, dalle figlie e da altri intimi:

«Ascanio alienava, sbaragliava et dissipava la robba et facultà sua et continuamente non mancava mandare ogne cosa a ruina….. perseverando in detti disordini di consumare et ruinare li stati et la casa sua et intendendo la Malestà dell' imperatore Carlo V la detta mala voluntà, che teneva detto signore Ascanio et che attendeva a dissipar la facultà e beni suoi, per lettera privata ordinò allo illustrissimo don Pietro de Toledo, alla hora Vicerre del Regno, che non permettesse che detto signore Ascanio alienasse cosa alcuna in Regno nè prestasse assenso ad alcuna alienatione che facesse.—Vedendo il potenfice Giulio terzo la mala voluntà di detto signore Ascanio, privò detto signore del stato e beni di Roma et investio il signore Marco Antonio Colonna—… Vedendo la maestà dell'imperatore Carlo Quinto altri mali portamenti del detto signore Ascanio lo fe carcerare in lo Castello Novo de Neapoli, fe levare al detto signore Ascanio lo stato de Regno et ne fe investire detto signore Marco Antonio, ma ancora li levò la compagnia di gend'arme et la compagnia de cavalli legieri et lo officio de gran connestabile et lo dette puro al signore Marco Antonio, quale lo esercitò esso signore Marco Antonio in vita di esso signore Ascanio et ne godette le provisioni….. et lo imperatore per nessun altra causa fece ritenere il signore Ascanio bo: me:, se non per oviare al danno potesse fare alla sua casa et a Marco Antonio suo figlio, et fu d'accordo con papa Giulio terzo in questo poi, che l'uno et l'altro li levorno il possesso delli stati che havea tanto in Regno che in Roma et però in carcere non fu mai esaminato, nè fu mai commessa la causa della sua cattura.»

La cattura era stata eseguita per ordine del Card. Pacheco, vicerè di Napoli, et detto signore Ascanio fu preso dal duca di Termoli governator in quel tempo della provincia di Abruzzo et fu menato per Alonzo Carriglio d'Avalos nel castel di Napoli dove si ammalò et lì morse de anno 1557 alli 24 de marzo che fu la vegilia dell'Annunciata…» (Cfr. Filonico Alicarnasseo, Vita di Giovanna d' Aragona; Colucci Giuseppe, Antichita Picene. Fermo, 1794, tomo XXI, pag. 81).

Presenti alla sua morte erano «la signora d. Giovanna de Aragona sua moglie insiemi con la signora marchese del Vasto, et con le sig.re Felice (Ursina) et altre signore figlie» (Vittoria, Hieronima e Agnesina).

Marcantonio «se ritrovava alli servitij de S. Maestà alla guerra de campagna de Roma.»

Nonostante che fosse scomunicato Ascanio aveva seco un cappellano «suo confessore che oggi (1576) è vescovo dell'Aquila.» (Giovanni de Acegna eletto da Pio IV il giorno 15 gennaio 1561 e morto nell'agosto 1579.—Ferd. Ughelli, Italia Sacra. Venetiis, Coleti, 1717, tom. I, pag. 394, col. I, n. 29).

Morto che fu, il suo cadavere «fuit associatus ad sepolturam in ecclesia Santi Joannis Maioris dove è la cappella loro de casa Colonna et tra li altri signori et baroni che lo accompagnarono fo accompagnato dal signore duca de Alba che era allhora Vicerre de Napoli», e non gli mancarono solenni esequie con sfarzo di panni de lueto, cere.. » —Apprendo da una cortese ed erudita lettera del parroco attuale di S. Giov. Maggiore, il Rev.do Canonico D. Giuseppe Pelella, che la cappella Colounese trovavasi allato dell'altar maggiore, cornu epistolae, ed era dedicata a Santa Lucia. Quella chiesa dopo la morte di Ascanio cadde ben tre volte a causa di terremoto nel 1678, nel 1732 e nel 1870, e fu per altrettante ricostruita. Nel 1805 non avendo la famiglia Colonna voluto concorrere alle spese di riparazione dell'avita cappella, cessò dal patronato di essa.

Non si creda che la detenzione di Ascanio in Castelnuovo assumesse forma rigorosa: nulla gli fu lasciato mancare e gli «remasero denari, gioie, argenti, tapezzerie, mobili et supellettili assai et di grosso valore» e il solo denaro faceva «la somma de docati tremilia in circa.» Egli abitava «in quadam camera castri preditti siti in loco detto la Torre del Oro.»

«Il signore don Diego de Mendoza» era «alla hora castellano del detto castello.»

Ascanio aveva in Napoli la casa presso «Santo Giovanni Maggiore» la quale fu venduta dopo la sua morte «per docati 5000 ad instantia delli creditori di detto signor Ascanio, li quali forno pagati al magnifico… Rota et allo eccellente signore conte de Anversa et al magnifico Giulio Vicedomini, creditori di esso signore Ascanio.»

A Roma la morte di Ascanio fu giudicata tutt'altro che un lutto—In data del dieci d'aprile 1557 così l'Atanagi ne scriveva al Vescovo d'Urbino:

«Il S.r Ascanio Colonna morì liberando la moglie, e 'l fig.lo di molti travagli, et sè di tutti.».—

Aggiunta VII.—Memorie delle defonte del Monastero di S. Anna di Roma.—Archivio dì Stato di Roma, carte del Mon. di Campo Marzio, filza n. 314.

Questo prezioso ms. in 8°ree; gr., coperto in pergamena, è composto di 3 carte d'indice—1 bianca—1 per la memoria delle esequie—10 di testo, numerate—4 s. n.—e 76 bianche in fine.—Fu principiato dopo il 3 marzo 1630, essendo questa la prima data di seppellimento in esso segnata. Vi figurano 124 monache velate, di cui 19 Badesse e 6 Priore, e 46 Converse; inoltre Ortensia Maidalchini di cui parlai nel Corriere di Roma il giorno 23 aprile 1887, ed una giovane che morì prima di prendere l'abito. Fu continuato anche a Campo Marzio per le monache provenienti da S. Anna fino al 1816.

Quivi si legge la notizia della morte di 5 monache nominate nel documento e, in qualche modo, si dà ragione della presenza della Compagnia della Morte alla seconda deposizione di Vittoria Colonna, notizia questa che l'archivio del pio sodalizio, per avarie sofferte, non mi ha saputo confermare.

Nella «Memoria di quanto si deve fare per ciascheduna Defonta nel nostro Mon.rio de S.ta Anna», è detto fra l'altro:

«Diece preti per accompagnarla in Chiesa. Quattro libre di candelette da distribuire alli preti et alli fratolli della Compagnia della Morte, cio è si da una al proveditore, et doi per uno alli fratelli.»

Ecco quanto leggo rispetto alle monache:

c. 1 verso—«Adi 26 di 9bre 1651 passò a meglior Vita D. Batista del Bufalo a Hore 17 esendo stata tre volte abatessa.»

c. 2 verso—«Adì 30 Gennaro 1662 passò à meglior vita la M.re Prjora. D. Scolastica Lanuvia a hora, 12 de lunedì.»

c. 3 verso—«Adì 4 di Xb.e 1675 passò a meglior vita D. M. Drusilla del Bufalo essendo Priora; d'anni 75, à hore nove e meza.»

c. 4 recto—«A di 23 giugno 1686 passò a miglior Vita D.a Clarice Boccapaduli d'anni 90, monacha professa de Domenica à hore 22, e 1/2.»

c. 3 verso—«Adì 26 Maggio 1687 passò a meglior vita D.a M.a Giulia Boncompagni, de lunedì a hore 14, d'anni 87. Era monica professa.»

È veramente da deplorare che non sia pervenuto fino a noi il Memoriale delle defunte anteriore a questo, dal quale avremmo certamente avuto notizia estta e completa della prima e seconda deposizione di Vittoria Colonna.

Coll'uso poi d'un Memoriale delle vestizioni delle monache di S. Anna, che si conserva nel Monastero di Campo Marzio insieme ad un'antica tela raffigurante la Beata Santuccia Terrabotti, mi trovo in grado di completare le notizie riguardo alle monache citate nel documento le quali sono tutte nominate nel detto Memoriale che porta la leggenda:

«Al nome sia de Idio—Qui sotto nel presente lib. si notarano tutte le vestitioni e professioni, insieme co le lor limosine o ver doti che haveran date, de le moniche di S.ta Anna di Roma—cominciato a notare d'ag.°ree; 1590 et perchè de le moniche antiche no se ne ha piena notilia, si notarà solo quel che sene trova.»—La prima notizia è del 14 agosto 1537 e l'ultima dell'11 settembre 1791.

I. «Adì 9 di febraro 1561 sor Potentiana Bartholaccia fece la sua profess.e sotto Placida Totona Abb.a con dote di sc. 200 spesi ne la fabrica del Mon.rio»

Suor Placida fu una delle 5 monache che accompagnarono in Casa Cesarini Vittoria e l'assistettero in morte.—Nella copia del documento essa vi è cognominata Fotona, ma secondo questo Memoriale pare che debba piuttosto chiamarsi Totona.—Dalla lettura delle varie memorie da me radunate mi avvedo che le Abbadesse di S. Anna erano sempre prescelte fra le monache appartenenti a cospicue famiglie; ora nessuna famiglia Fotona, che io sappia, si distinse mai in Roma, sibbene vi fu la famiglia dei Totoni o Tutone o de Tutonibus che fra gli anni 1465 e 1565 ebbe sepoltura in S. Andrea «de Columna» e le case in «regione Columnae» e in «regione Trivi» (Vedi il Repertorio delle Famiglie di Domenico Jacovacci— Cod. Vaticano (Ottoboni), n. 2553, da pag. 347 a 484).

Altra annotazione per Suor Placida è la seguente:

«Adì 25 d'ag.°ree; 1564 sor Margarita de Cafarelli fece profess.e in mano di sor «Placida Totona Abb.a con dote di sc. 100.»

Per le altre monache è però data notizia anche della professione:

II. «Adì 15 di 9. bre 1575 sor Chiara Folcha fece professione in mano di sor Vincentia Blonda» (Biondi) «abb.a con dote di sc. 400 spesi nela fabrica del mon.rio»

III. «Adì 18 di febraro 1582 sor Battista del Bufalo fece profess.e in mano di detta sor Vincentia abb.a, con dote di sc. 400 spesi per comprar la casa de li Piroti —1598, 31 ag. altri sc. duecento di da dote furno spesi nel forno del Monasterio il quale cascava per l' inondatione del Tevere.»

Osservo che un Piroti fu il notaio che rogò il testamento di Vittoria.

Trovo abbadessa D. Battista del Bufalo sotto le seguenti date:

12 maggio 1609—22 novembre 1612—14 novembre 1613—3 febbraio, 27 luglio e 25 novembre 1614; e 15 agosto 1615.

IV. «Nota come Orsola fig.la del quond. sig.re Belardino Crispiati et della «Sig.ra Elisabetta Capizucchi, et nella religione chiamata donna Paola Capizucha ha fatto la professione secondo la regola di S. Benedetto q.to di 31 de Genaro 1605 ha data per dote o elemosina sc. ottocento dico 800 et detti denari furno dati à censo con altra somma al duca di Sora.»

V. «Nota come Giulia et Flavia fig.le dell'ill. sig.re Matteo Lanuvij et della sig.ra Aurora Muti et nella religione chiamate donna Placida, et donna Scolastica hanno fatto la professione secondo la regola di S. Benedetto questo di 29: de Gen.ro 1607: hanno dato per dote o elemosina sc. milli e cinquecento— dico 1500.»

Trovo Abbadessa D. Scolastica Lanuvia sotto le seguenti date:

27 maggio 1633—8 gennaio 1634—25 novembre 1635—16 luglio 1642 —24 gennaio e 16 novembre 1649—15 gennaio e 26 aprile 1654.

VI. «Nota come questo dì 14 di 9bre 1613 Ersilia al secolo chiamata, figliola del sigor Fabritio Bochapaduli e della q.an sig.ra Clarice Dubli, nella religione chiamata D. Clarice Bochapaduli, ha fatto professione conforme alla regola del padre S. Benedotto per le mano di Donna Batista del Bufalo Abbadessa del nostro Mon.rio di Sta Anna presente il padre Stefano Massarini in logo del Illmo V. di N. S. et a dato per dote sc.di ottocento di moneta, li quali sono stati messi a censo nella compagnia delli fiorentini a cinque per cento sì come si vede la cedola al Monte della Pietà—sc. 800.»

D. Clarice era Abbadessa:

al 7 luglio 1659 e al 17 febbraio 1664.

VII. «Nota come questo dì 18 di aprile 1616 Catirina figliola del q.dam Sig.or Gregorio Boncompagni e della S.ra Lisa Buratti al secolo chiamata e nella religione chiamata D. Maria Giulia Boncompagni à fatto la professione sollenemente conforme alla nostra regola del padre S. Benedetto per le mano di D. Gianina Vestria Barbiana Abbadessa del nostro Monastero di S.ta Anna presente il R.do padre Horatio Griffi in logo del Ill.mo Cardinal Mellino V. di N. S. et à dato per dote scudi ottocerto, quali sono stati depositati nel sacro Monte della Pietà et sanno a spennere nella nostra fabricha di S. Anna—sc. 800.»

VIII. «Nota come questo dì 21 di 9bre 1616 Verginia figliuola del Ill.mo Sig.or Quintio del Bufalo e della qdam Ill.ma Sra Casandra Strozzi, al secolo chiamata e nella religione chiamata D. Maria Drosila ha fatto la professione sollenemente conforme alla nostra regola del padre. S. Benedetto per le mano di D. Gianina Vestria Barbiana Abbadessa del nostro Mon.rio di S. Anna, presente il R.do padre Horatio Griffi in logo del Ill.mo cardinal Mellino V. di N. S. et à dato per dote scudi ottocento quali sono stati depositati sul Monte della Pietà p. servitio della nova fabrica del nostro M.rio di S. Anna—sc. 800.»

Ai 23 giugno 1652 D. Maria Drusilla era Abbadessa di S. Anna.

Negli Acta Sanctorum di Giovanni Bollando (Antverpiae, Mersius, 1668, t. III, pag. 363, col. I, n. 3) leggo la notizia dell'esistenza nel monastero di S. Anna di una Vita ms. della b. Santuccia, la quale recava l'approvazione ed autenticazione di D. Clarice Boccapaduli Abbadessa, di D. Maria Drusilla del Bufalo Priora, di D. Porcia Pinelli, maestra delle novizie e di D. Maria Giulia Scarinci decana.

Sembra dunque che al tempo di queste monache si pensasse davvero a fermare in carta la memoria della fondatrice, forse allo scopo di promuoverne regolare culto.

Osservo pure che gli storici d'allora il Totti, il Giani ed altri citati nell'Aggiunta III, asseriscono che mentre le monache di S. Anna tenevano con gran venerazione le vesti di Santuccia (l'Armellini, op. cit., pag. 355, legge per equivoco nel Bruzio, ms. Vat. cit., t. XV, pag. 97, poca per gra, grande), non sapevano dove fosse il corpo, forse perchè esse in ossequio ai decreti di Urbano VIII del 13 marzo e 2 ottobre 1625 e 5 luglio 1534 (Decreta servanda in Canonizatione et Beatif. Sanctorum. Romae, typ. C. A. 1662) volevano vietare al pubblico ogni atto di culto abusivo censurato dai suddetti Decreti.

Il Bollando frattanto sulla scorta della Vita dice che era comune opinione che il sepolcro di Santuccia «sub ipsa maiori arâ paratum est» (pag. 352, n. 2).

Aggiunta VIII.—Spigolo dalle Giustificazioni delle spese del Monastero di Campo Marzio che si conservano nell'Archivio di Stato di Roma e nelle quali veggonsi registrate con femminile minuzia le spese incontrate per la venuta delle monache di S. Anna.—Filza dell'anno 1793, n. 84:

I. «Spese fatte da me Gianf.co Campanella Esatt. dei V. Mon. di C. Marzio dal «primo Gennaro a tutto Gingno 1793:

—«Al Tenente del Vicario dati p. mancia, acciò tenga lontano i giocatori di carte, ed altri vassalli dal Mon.ro di C. Marzio…. sc.—50»

—Pagati ad un cuoco e sottocuoco, che fecero la cena tanto alle monache di C. Marzo che andiedero a prendere le monache di S. Anna il 23 Gen.ro (Mercordì), 1793 quanto alle Monache di S. Anna che furono introdotte in n.°ree; di 21…………. sc. 1: 75

II. Ecco le menu della cena che tolgo dal conto della Celleraria D. M.a Luisa «Maculani:

—La sera che entrò tutta la Communità di Sant'Anna—

Una zuppa di piccioni, con parmeggiano Il. 3, e ova.

Mezzo piccione a testa N.°ree; 33.

Mezza beccaccia a testa, donate da Nostro Signore, il tutto fu cucinato da un coco.

Presciutto ll. 3 1/2 mondo.

Insalata indivia, alla Signora il corrente e 2 ova.»

La signora nominata era la Contessa di Marsciano, patrizia orvietana, in ritiro nel monastero di Campo Marzio (filza d.a n. 124).

Anche il giorno appresso ebbero a tavola i doni del papa, perchè aveva loro donato «41 beccaccia e 6 capponesse» (filza d.a n. 64, conto 6°ree;).

III. Qualora il trasporto delle defunte da S. Anna a Campo Marzio fosse avvenuto non sarebbe mancata un ragione di spesa, se non fosse altro una mancia, la quale non sarebbe certo sfuggita alla diligenza della camerlinga D. M.a Ermenegilda Grassi.

Serva per tanti altri quest'essempio (filza d.a n. 115).

—«Per il tempo di una giornata e mezza di Maestro e garzone impiegati in fare il taglio nel muro» (della Cappella di S. Gregorio)» per formare una nuova nicchia per porre la statua di S. Anna, e nel medesmo tempo levati di opera due lastre di marmo e due menzole che vi erano, e trasportato il calcinaccio al luogo solito della Legnara………. sc. 1—,

IV. Dalla filza d.a, n. 64:

«Tela p. coprire la Reliquia di S. Anna…… sc.—15»

Aggiunta IX.—È davvero indecente l'immagine colla quale si è voluto rappresentare Vittoria Colonna e che fu posta in fronte alle edizioni delle sue Rime pubblicate dal Bulifon a Napoli negli anni 1692 e 1693 Il Bulifon pare la togliesse dall'opera citata del Bullart, il quale non si peritò di attribuirla a Sebastiano del Piombo!

In questo secolo si è con qualche amore studiato la questione del vero ritratto di V. C. ed i risultati furono, se non decisivi, abbastanza soddisfacenti.

Il Bembo ed il Guidiccioni ebbero entrambi da Vittoria in dono il suo ritratto, lo dicono nelle loro Lettere (Bembo, Venezia, 1729, vol. III, pag. 334; Guidiccioni, Venezia, 1780, pag. 146). Ma pare che tali immagini siano andate perdute.

Nell'edizione delle Rime di V. C. (Venetia, Comino, 1540—42) vi è una xilografia rappresentante la nostra poetessa, a semplici contorni, inginocchiata dinanzi alla Croce in atto di preghiera.—Il Visconti crede che questa incisione provenga «da quella immagine che la Colonnese stessa mandò a donare al Bembo, che forse la diede per l'uso di questa stampa.»—Essa trova riscontro nel ritratto appartenuto al Campanari, di cui si dirà appresso (Visconti, Nuove ricerche sulla vita di V. C., nel Giornale arcadico di scienze, lett. ed arti, vol. CXXIII, anno 1851, pag. 156—158: Reumont, Op. cit., pag. 297); Ioanne Michele Silos, Bituntino, nella sua opera intitolata: Pinacotheca sive Romana pictura et sculptura, Romae, Mancini, 1673, lib. I, pag. 114—115, indirizza un epigramma, (n. CCVI) a «Victoriae Columnae eximiae Poetriae effigiesGaudentij a Verallo apud Principem Justinianum». —Nella galleria Giustiniani non esiste più l'opera del Verallo.—Filippo Baldinucci, fiorentino, nell'opera: Notizie dei professori del disegno, Firenze, Matini, 1688, parte II, dec. I del sec. IV, dal 1550 al 1560, a pag. 63, discorrendo di Bernardino Campi pittore cremonese (n. 1522, vivente ancora nel 1584) dice che questo celebre ritrattista «Per lo Marchese di Pescara fece i ritratti di Prospero Colonna, del Cardinale, di Vittoria Colonna, del marchese di Pescara suo zio, d'Andrea d'Oria il Vecchio, e d'altri di lui congiunti».

Quello di Vittoria fu visto dal Campanari a Torino, ed a suo dire, sarebbe una copia dell'altro, più in grande, da lui stesso posseduto e poi venduto alla galleria del Louvre di Parigi, riputato pennello del Buonarroti (Domenico Campanari, Ritratto di V. C. Marchesana di Pescara dipinto da Michel'Angelo Buonarroti, illistrato e posseduto da D. C., Londra, Bretteli, 1850, con fac. simile del ritratto in litografia,—e la Lettre à M. Adrien de Longpérier conservateur des antiques au musée impérial du Louvre, Paris, Maulde et Renou, 1853; Visconti, Giornale arcad. cit., pag. 158).

Il ritratto, già del Campanari, è su tavola, alto piedi 4 pol. 2 1/2, largo piedi 3 pol. 3.—Vittoria vi è rappresentata oltre i cinquant'anni, in abito severo, col velo bianco in testa. Sta seduta su scranna a spalliera, di legno, e tiene nella mano sinistra stesa, anzi abbandonata lungo le pieghe della veste, un libro aperto di laudi, la cui scrittura fu principale e sufficiente prova al Campanari per giudicare il dipinto come uscito dal divino pennello dell' innamorato Michelangelo.—Nella tav. A della prima opera citata, in cui il Campanari tesse la vita di V. C. con molti particolari iconografici, egli riproduce pure la figura di 5 medaglie antiche coll'effigie della Colonnese, le quali son poi tutte quelle rappresentate dal Mazzuchelli, medaglie tav. L, dal Litta e da altri qui appresso menzionati.

Anche Paolo Caliari Veronese (n. 1532, m. 1588) sembra che ritraesse la testa di V. C. sulla tela delle Nozze di Cana che si conserva parimente al Louvre.—La notizia viene dal suddetto Baldinucci, che la lesse in un ms. del convento di S. Giorgio Maggiore di Venezia (ed. Torino, 1817); ma vi è divergenza nella designazione della figura. Il Baldinucci vorrebbe vedere Vittoria in quella giovane che ha in mano uno stecchino da denti, mentre il Campanari, togliendo a scorta un altro ms. della biblioteca di Londra, crede di stabilirla nella Vergine (Lettre cit., pag. 15).

Il ritratto che precede le edizione delle Rime di V. C. fatte per cura del Visconti (Roma, 1840) e del Saltini (Firenze, 1860), è riprodotto da un quadro attribuito a Girolamo Muziano (Visconti, pag. XLI; Campanari, Ritratto, op. cit., pag. 16; Reumont, V. C., pag. 297), che io ho ammirato alla galleria Colonna a Santi Apostoli, e vi fu fatto trasportare dall'ex-feudo di Genazzano dal Cav. Don Vincenzo Colonna amantissimo dell'arte e delle glorie avite ed al cui sussidio tanto debbono pei loro studi il Visconti, il Gregorovius, il Guglielmotti ed altri storici illustri.

Una riproduzione in litografia di tale ritratto è collocata pure nel Fior di memoria della signora Luisa Amalia Paladini (Firenze, Melchiorri, 1855), coll'iscrizione: «Originale nella galleria Borghese a Roma».—La falsità di tale asserzione mi riuscì evidente dopo l'esame del catalogo della suddetta galleria e ripetute ed infruttuose visite alla medesima.—Si tratta sempre del ritratto della galleria Colonna.

Il Conte Pompeo Litta nelle Famiglie celebri italiane (fasc. XXXVII, parte II, tav. IX, Fam. Colonna di Roma), e Ferdinando Ranalli nelle Vite d'illustri Romani (fasc. XXI, Vittoria Colonna), riportano un rame, rappresentante la poetessa, cavato da un dipinto della collezione Giovio alla galleria di Firenze. Vittoria vi è raffigurata in abito vedovile, molto dimesso, quasi monastico.

L'effigie di V. C. si vede pure su alcune antiche medaglie esistenti nel museo di Milano ed altrove: furono disegnate dal Litta per la sua pregiata opera.—Anche l'edizione delle Rime di Vittoria Colonna curata dal Rota nel 1760, e la Vita di Leone X del Roscoe riproducono la figura di alcuna di quelle medaglie.

Il Principe Don Alessandro Torlonia, entusiasta della virtù di Vittoria, fece riprodure pel bulino del celebre Girometti una di tali medaglie e del fac-simile di essa e delle altre ne fregiò pure la splendida edizione delle Rime di lei.—Fece anche ritrarre in marmo dal distinto scultore Pietro Galli le sembianze della Colonnese, e ne decorò la Protomoteca capitolina. Il busto del Galli è stato suggerito da una medaglia, quello di Carlo Novella, testè collocato sul Pincio, dal quadro della galleria Colonna.

Io posseggo, con una vistosa collezione di edizioni delle Rime di Vittoria Colonna, diversi ritratti di lei tolti ora dalla pittura già del Campanari, ora dall'altra della collezione Giovio ed ora da alcuna delle medaglie summentovate.

È affatto scartata la supposizione che Vittoria sia raffigurata in quel ritratto di donna procace che nella galleria degli Ufizi a Firenze va più comunemente sotto il nome di Fornarina (Visconti, op. cit., pag. XLIV; Reumont, op. cit., pag. cit.); è pure abbandonata l'ipotesi per l'altro dipinto posseduto dal barone Camuccini (Visconti, op. cit.).

A vedere gli effetti della dimenticanza vien proprio voglia di ripetere a Casa Colonna: o felix culpa! Perocchè il dubbio genera la discussione e questa suscita gli affetti e riaccende e perpetua il culto del bello e del buono!

I. Arpino, 8 maggio 1523.—A Federico II Gonzaga marchese di Mantova….. pag. 1

II. Napoli, 21 novembre 1523.—A Giovan Matteo Giberti » 3

III. Napoli, 27 novembre 1523.—Allo stesso.. » 4

IV. Aquino, 16 dicembre 1523.—Allo stesso.. » 6

V. Aquino, 19 dicembre 1523.—Allo stesso.. » 7

VI. Aquino, 4 gennaio 1524.—Allo stesso.. » 8

VII. Aquino, 26 gennaio 1524.—Allo stesso.. » 9

VIII. Marino, 29 marzo 1524.—Allo stesso.. » 10

IX. Marino, 30 marzo 1524.—Allo stesso.. » 11

X. Marino, 20 aprile 1524.—Allo stesso.. » 12

XI. Marino, 3 maggio 1524.—Allo stesso.. » 13

XII. Marino, 26 maggio 1524.—Allo stesso.. » 15

XIII. Marino, 15 giugno 1524.—Allo stesso.. » 16

XIV. Marino, 2 luglio 1524.—Allo stesso.. » 18

XV. Marino, 25 luglio 1524.—Allo stesso.. » 19

XVI. Marino, 13 agosto 1524.—Allo stesso.. » 20

XVII. Marino, 20 settembre 1524.—Allo stesso.. » 22

XVIII. Marino, 20 settembre 1524.—A Baldassarre Castiglione …….. » 23

XIX. Madrid, 21 marzo 1525.—Dello stesso.. » 26

XX. Madrid, 26 marzo 1525.—Dell'imperatore Carlo V » 27

XXI. Ischia, 1°ree; maggio 1525.—All' imperatore Carlo V » 29

XXII. Roma, 14 ottobre 1525.—Del papa Clemente VII » 32

XXIII. Roma, 2 dicembre 1525.—Dello stesso.. » 33

XXIV. Roma, 10 dicembre 1525.—Dello stesso.. » 34

XXV. Roma, 21 dicembre (1825).—A Costanza d'Avalos del Balzo duchessa di Francavilla.. » 35

XXVI. Ischia, 9 gennaio (1526).—Della stessa.. » 37

XXVII. Roma, 5 maggio 1526.—Del papa Clemente VII » 38

XXVIII. Marino, 17 maggio (1526).—Al padre Feliciano pag. 40

XXIX. Marino, 27 maggio 1526.—Ad Alfonso d'Avalos marchese del Vasto….. » 41

XXX. Roma, (prima della fine d'agosto) 1526.—Di Giovan Matteo Giberti… » 42

XXXI. Granata, 9 novembre 1526.—Dell' imperatore Carlo V… » 44

XXXII. Roma, 9 dicembre 1526.—Di Giovan Matteo Giberti… » 46

XXXIII. Valladolid, 25 agosto 1527.—Di Baldassarre Castiglione … » 47

XXXIV. Burgos, 21 settembre 1527.—Dello stesso. » 48

XXXV. Roma, 26 novembre 1527.—Di Giovan Matteo Giberti… » 51

XXXVI. Viterbo, 3 giugno 1528.—Di Giovan Battista Sanga… » 53

XXXVII. Ischia, 30 giugno 1528.—All' imperatore Carlo V » 56

XXXVIII. Ischia, (luglio 1528).—A Filiberto di Chalon principe d'Orange.. » 57

XXXIX. arpino, 19 dicembre 1529.—A messer Vasches » 59

XL. Bologna, 20 gennaio 1530.—Di Pietro Bembo » 61

XLI. Ischia, 24 giugno (1530).—A Paolo Giovio. » 62

XLII. Mantova, 11 marzo 1531.—Di Federico II Gonzaga duca di Mantova… » 64

XLIII. Roma, 7 aprile 1531.—Di Claudio Tolomei » 67

XLIV. Padova, 12 aprile 1531.—Di Pietro Bembo » 69

XLV. Ischia, 25 maggio 1531.—A Federico II Gonzaga duca di Mantova… » 70

XLVI. Mantova, 28 luglio 1531.—Dello stesso. » 71

XLVII. Ischia, 7 novembre (1531).—Allo stesso. » 73

XLVIII. Mantova, 11 gennaio 1532.—Dello stesso. » 74

XLIX. Ischia, 16 febbraio (1532).—Ad Eleonora Gonzaga della Rovere duchessa d'Urbino. » 75

L. Ischia, 13 aprile (1532?).—Alla stessa. » 76

LI. Ischia, 5 maggio (1532).—Alla stessa.. » 77

LII. Padova, 25 luglio 1532.—Di Pietro Bembo » 79

LIII. Orvieto, 1°ree; agosto (1532).—Ad Eleonora Gonzaga della Rovere duchessa d' Urbino.. » 81

LIV. Ischia, 24 ottobre (1532).—Alla stessa. » 82

LV. Ischia, 31 ottobre (1532).—Alla stessa. » 83

LVI. Ischia, 10 novembre (1532).—Alla stessa. » 85

LVII. Roma, 7 maggio 1533.—Di Claudio Tolomei pag. 86

LVIII. Venezia, 2 luglio 1533.—Di Pietro Bembo. » 88

LIX….. 17 novembre 1533.—A Pietro Aretino » 89

LX. Ischia, 9 gennaio (1525—1533 circa).—A Berardino Rota… » 90

LXI. Ischia, 20 settembre (1525—1533 circa).—Ad Eleonora Gonzaga della Rovere duchessa d'Urbino » 92

LXII….. (agosto, 1535).—Al cardinale Gasparo Contarini (?)… » 93

LXIII. Civita Latina, 15 aprile 1535.—A Fabrizio Peregrino … » 96

LXIV. Civita Latina, 20 aprile 1535.—Allo stesso » 93

LXV. Genazzano, 1°ree; giugno 1535.—Allo stesso. » 99

LXVI. Genazzano, 29 dicembre (1535).—Al cardinale Ercole Gonzaga… » 100

LXVII. Roma, 26 marzo 1536.—A Federico II Gonzaga duca di Mantova… » 101

LXVIII. Roma, 6 aprile 1536.—Del papa Paolo III. » 102

LXIX. Roma, 10 giugno (1536).—A Costanza d'Avalos del Balzo principessa di Francavilla. » 104

LXX. Roma, 27 giugno (1536).—Ad Eleonora Gonzaga della Rovere duchessa d'Urbino. » 106

LXXI….. (verso la metà del 1536).—Al cardinale Gasparo Contarini… » 110

LXXII. Roma, 26 ottobre (1536).—Ad Alfonso d'Avalos marchese del Vasto… » 122

LXXIII. Roma, 8 novembre 1536.—A Iacopo Herculano » 124

LXXIV. Arpino, 15 dicembre 1536.—A Ludovico Dolce » ivi

LXXV. Roma, 20 dicembre 1536.—Del papa Paolo III » 126

LXXVI. Civita (Lavinia), 22 dicembre (1536).—Al cardinale Gasparo Contarini… » 127

LXXVII…… (verso 1536).—Al cardinale Ercole Gonzaga (?)… » 129

LXXVIII. Arpino, 13 febbraio (1537).—A Costanza d'Avalos del Balzo principessa di Francavilla. » 130

LXXIX. Roma, 13 marzo 1537.—Del papa Paolo III » 131

LXXX….. (febbraio 1537).—Al padre Benedetto da Castello priore di Monte Cassino… » 133

LXXXI. Arpino, 26 marzo 1537.—Allo stesso.. » 134

LXXXII. Arpino, 18 aprile (1537).—Ad Alfonso d'Avalos marchese del Vasto… » 136

LXXXIII. Monte San Giovanni. 22 aprile 1537.—Al cardinale Ercole Gonzaga… pag. 137

LXXXIV. Roma, 4 giugno 1537.—Di Carlo Gulteruzzi » 140

LXXXV. Ferrara, 12 giugno (1537).—Al cardinale Ercole Gonzaga… » 143

LXXXVI. Ferrara, 11 settembre 1537.—Ad Alfonso d'Avalos marchese del Vasto… » 147

LXXXVII. Venezia, 4 novembre 1537.—Di Pietro Aretino » 148

LXXXVIII. Ferrara, 6 novembre 1537.—Allo stesso. » 150

LXXXIX. Venezia, 9 gennaio 1538.—Dello stesso. » 151

XC. Ferrara, 10 gennaio (1538).—A Giovan Giorgio Trissino… » 153

XCI. Venezia,… gennaio 1538.—Di Pietro Aretino » 154

XCII. Pisa, 26 marzo (1538).—Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara… » 156

XCIII. Venezia, 6 aprile 1538.—Di Pietro Bembo » 158

XCIV. Lucca, 9 aprile (1538).—Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara… » 159

XCV. Lucca, 18 maggio 1538.—Allo stesso.. » 162

XCVI. (Lucca), 25 settembre 1538.—A Pietro Aretino » 163

XCVII. Lucca, 3 ottobre 1538.—Al cardinale Agostino Trivulzio… » 164

XCVIII. Venezia, 17 novembre 1538.—Di Pietro Aretino » 166

XCIX. Toledo, 30 dicembre 1538.—Dell' imperatore Carlo V… » 167

C. Venezia, 23 febbraio 1539.—Di Pietro Bembo » 169

CI. Roma, 5 marzo (1539).—Ad Ercole II d' Este duca di Ferrara… » 170

CII. Venezia, 15 marzo 1539.—Di Pietro Bembo » 171

CIII. Roma, 20 marzo (1539).—Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara… » 173

CIV. Venezia, 4 aprile 1539.—Del cardinale Pietro Bembo… » ivi

CV. Roma, 11 maggio (1539).—A Guidobaldo II della Rovere duca d'Urbino… » 175

CVI. Roma, 27 maggio (1539).—Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara… » 176

CVII. Roma, 24 luglio 1539.—Allo stesso. » 177

CVIII. Roma, 10 dicembre (1539).—Allo stesso. » 179

CIX….. (verso 1539).—Di Giovan Matteo Giberti » 181

CX. Roma, 16 gennaio (1540).—Al cardinale Ercole Gonzaga… » 182

CXI. Forlì, 4 febbraio 1540.—Di Giovanni Guidiccioni pag. 184

CXII. Roma, 15 febbraio 1540.—A Margherita d'Angoulême regina di Navarra… » 185

CXIII. Roma, 13 maggio (1540).—A don Ferrante Gonzaga… » 188

CXIV. Lione (fine di maggio 1540).—Di Luigi Alamanni… » 189

CXV….(giugno 1540).—Di Pier Paolo Vergerio » 191

CXVI….(verso la metà del 1540).—Dello stesso » 194

CXVII. Roma, 14 agosto 1540.—Ad Alfonso d'Avalos marchese del Vasto….. » 197

CXVIII…..(dopo la metà del 1540).—Di Pier Paolo Vergerio…. » 199

CXIX….(verso 1540).—A Margherita d'Angoulême regina di Navarra… » 200

CXX…(verso 1540).—Della stessa.. » 202

CXXI. Roma (1539—40).—Di Michelangelo Buonarroti » 206

CXXII…. (1539—40).—Allo stesso… » 207

CXXIII…(1539—40).—Allo stesso… » 208

CXXIV….(1539—40).—Allo stesso… » 209

CXXV….(1539—40).—Dello stesso… » 210

CXXVI….(prima del 1541).—Di Giovanni Guidiccioni… » 211

CXXVII. Castello del Vescovo, 7 marzo (prima del 1541) —Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara. » 213

CXXVIII….(primi di marzo 1541).—Ad Ascanio Colonna… » 214

CXXXIX….(primi di marzo 1541).—Allo stesso. » 217

CXXX….(6 marzo 1541).—Allo stesso.. » 218

CXXXI….(7 marzo 1541).—Dello stesso.. » 220

CXXXII….(7 od 8 marzo 1541).—Allo stesso. » ivi

CXXXIII….(8 marzo 1541).—Allo stesso.. » 221

CXXXIV…. 9 marzo 1541.—Dello stesso.. » 223

CXXXV…..(verso il 10 marzo 1541).—Allo stesso » 226

CXXXVI. Ratisbona, 17 marzo 1541.—Dell'imperatore Carlo V… » 227

CXXXVII. Ratisbona, 26 marzo 1541.—Dello stesso. » 228

CXXXVIII. Orvieto, 28 maggio (1541).—Ad Ercole II duca di Ferrara… » 229

CXXXIX….(verso la metà del 1541).—Del cardinale Reginaldo Polo… » 231

CXL. Roma, 1°ree; ottobre 1541.—Del cardinale Pietro Bembo… pag. 235

CXLI. Roma, 18 novembre 1541.—Dello stesso. » 236

CXLII. Viterbo, 8 dicembre (1541).—A Giulia Gonzaga Colonna duchessa di Traetto… » 238

CXLIII. Viterbo, 11 gennaio (1542).—Al cardinale Pietro Bembo… » 240

CXLIV….. (1535—1542).—A fra Bernardino Ochino (?) » 241

CXLV….. (1535—1542).—Allo stesso (?).. » 245

CXLVI. Firenze, 22 agosto 1542.—Dello stesso.. » 247

CXLVII. Viterbo (verso settembre 1542).—A suora Serafina Contarini… » 249

CXLVIII. Viterbo, 30 novembre (1542).—Al cardinale Giovanni Morone… » 253

CXLIX. Viterbo, 4 dicembre (1542).—Al cardinale Marcello Cervini… » 256

CL. Viterbo, 4 gennaio (1543).—Al cardinale Giovanni Morone… » 257

CLI. Viterbo, 20 marzo (1543).—Allo stesso.. » 259

CLII. Viterbo, 20 maggio (1543).—Allo stesso. » 260

CLIII. Viterbo, 7 luglio (1543).—Allo stesso.. » 262

CLIV. Viterbo, 15 luglio (1543).—Al cardinale Reginaldo Polo… » 263

CLV. (Viterbo, metà 1543?).—Ad Ercole II d'Fste duca di Ferrara… » 265

CLVI. (Viterbo, verso ottobre 1543).—Ad Andrea Cornaro » 266

CLVII. Viterbo, 20 luglio (1542—43).—A Michelangelo Buonarroti…. » 268

CLVIII. Viterbo, 24 agosto (1542—43).—A Carlo Gualteruzzi …. » 269

CLIX. Viterbo, 1°ree; settembre (1542—43).—Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara… » 270

CLX. Viterbo, 15 settembre (1542—43).—Al cardinale Pietro Bembo… » 271

CLXI. Viterbo, 22 dicembre (1542—43).—Al cardinale Giovanni Morone… » 272

CLXII. Viterbo, 15 marzo (1542—44).—Ad Ercole II d'Este duca di Ferrara… » 273

CLXIII (Viterbo, 1542—43).—Ad Alvise Priuli.. » 275

CLXIV. Roma, 22 giugno (1544).—Al cardinale Giovanni Morone… » 277

CLXV. Roma, 28 agosto (1544).—Ad Antonio Bernardi … pag. 280

CLXVI. Roma, 25 novembre (1544).—A Fabrizio Colonna … » 288

CLXVII….. (fine del 1544 o principio del 1545).—Di Margherita d'Angoulême regina di Navarra » 289

CLXVIII…… (prima del 1545).—A Costanza d'Avalos Piccolomini duchessa d'Amalfi.. » 292

CLXIX….. (prima del 1545).—Alla stessa. » 295

CLXX…… (» » »).—Alla stessa. » 299

CLXXI. Roma, 6 maggio (1545).—Al cardinale Giovanni Morone… » 302

CLXXII. Roma, 20 maggio 1545.—Allo stesso.. » 305

CLXXIII. Roma, 4 maggio (1546).—A don Ferrante Gonzaga… » 308

CLXXIV. Padova, 4 ottobre 1546.—Del cardinale Reginaldo Polo… » 309

CLXXV. Roma, 30 novembre (1546).—Al cardinale Giovanni Morone… » 312

CLXXVI. Roma, 5 dicembre (1544—46).—Ad Ascanio Colonna… » 314

CLXXVII….. (1542—47).—Al papa Paolo III. » 316

CLXXVIII. Napoli (dopo il 1531).—Di Bernardo Taso » 317

CLXXIX. Napoli.—Dello stesso. » 318

CLXXX., Salerno.—Dello stesso. » 319

CLXXXI. Salerno.—Dello stesso. » 320

CLXXXII….. A Michelangelo Buonarroti.. » 322

Aggiunta.

CLXXXIII….. (Verso la fine del 1521).—A Ferrante Francesco d'Avalos marchese di Pescara » 323

CLXXXIV. Arpino, 12 aprile 1530.—A Felice Maria della Rovere Orsini… » 325

CLXXXV…… All'imperatore Carlo v… » 326

ACCOLTI (Bernardo) cardinale, pag. 177.

Agabito (mastro), 182, 183.

AGUILAR, v. MANRIQUE DE LARA. ALAMANNI (Luigi), 199, 201.

AMALFI, v. PICCOLOMINI. ANDALO (signor), 188.

ANGOULÊME, v. MARGHERITA. AQUINO (Angelina DA), 34.

ARAGONA (Antonio D') duca di Montalto, 75, 76, 77, 78, 82, 84, 85.

ARAGONA (Giovanna D'), v. COLONNA.

ARAGONA (lpoolita DELLA ROVERE D') duchessa di Montalto, 75, 77, 82, 84, 85.

ARAGONA (Maria D'), v. AVALOS.

ARETINO (Pietro), 15.

ARMAGNAC (giorgio D') vescovo, poi cardinale, 190, 291.

AUSTRIA (Margherita D') v. MEDICI.

AVALOS (Alfonso D') marchese del Vasto, 36, 37, 45, 49, 52, 53, 54, 55, 59, 64, 70, 71, 78, 87, 88, 89, 90, 91, 105, 130, 132, 138, 151, 163, 221, 308.

AVALOS (capitano D'), 57.

AVALOS (Costanza D'), v. BALZO (DEL), e PICCOLOMINI.

AVALOS (Ferrante Francesco D') marchese di Pescara, 1, 2, 8, 9, 11, 19, 20, 21, 26, 28, 31, 32, 35, 38, 40, 41, 45, 48, 58, 61,. 64, 70, 97, 98, 99, 105, 136, 148, 149, 198, 199, 286, 327.

AVALOS (Francesco Ferrante II D') marchese di Pescara e del Vasto, 308.

AVALOS (Maria d'ARAGONA D') marchesa del Vasto, 78, 79, 83, 85, 90, 308.

BALZO (Costanza D'AVALOS DEL) duchessa, poi principessa di Francavilla, 40, 123, 133, 134, 136, 137, 197, 198.

BARTOLI (fra Bernardo DE) domenicano, 257, 261.

BECCADELLI (Ludovico), 269.

BELDANDI (Giacomo), 86, 87.

BEMBO (Pietro), 62, 63, 82, 187, 193, 212, 311.

Benedetto da Castello di Sangro (D.) monaco di Monte Cassino, 60.

Bernardino da Asti (fra) vicario dei cappuccini, 109.

Bernardino da Siena (fra) detto Ochino, cappuccino, 109, 138, 142, 143, 144, 157, 158, 169, 172, 174, 183, 188, 256.

BONORIO (Lorenzo), 284.

BRUCIOLI (Antonio), 152.

BUONARROTI (Michelangelo), 269, 276.

BUONAVENTURA (Sebastiano), 79, 151, 152.

BURGO (barone DEL), 308.

CALANDRA (Giovan Iacopo), 101.

CAMBIO (Tommaso), 90, 91.

CAPRIO (Francesco DE), 34.

CAPRIO (Laura DE), 34.

CAPUA (Isabella DI), v. GONZAGA.

CARACCIOLO (Bartolomeo), 69.

CARAFA (Giampietro) cardinale, 130, 247.

CARDI (Giorgio DI), 65, 70, 71.

CARLO v imperatore, 55, 100, 107, 147, 161, 188, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 221, 222, 2323, 224, 225, 226, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 315.

CARNESECCHI (Pietro), 239.

CAVALIERI (Tommaso), 207.

CLEMENTE VII papa, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 17, 18, 19, 35, 41, 43, 46, 52, 54, 55, 95, 113, 114, 117.

COLONNA (Antonio) principe di Salerno, 288.

COLONNA (Ascanio), 16, 18, 43, 53, 75, 78, 79, 106, 107, 167, 227, 228, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 326, 327.

COLONNA (Camillo) signore di Zagarolo, 219.

COLONNA (Fabrizio), 285, 286, 326.

COLONNA (Francesco) arcivescovo, 216, 219.

COLONNA (Giovanna D'ARAGONA), 78, 106, 283, 284, 315.

COLONNA (Isabella), v. LANNOY COLONNA (Marcantonio I), 283, 285.

COLONNA (Marcantonio II), 285.

COLONNA (Pompeo) cardinale, 52, 81.

COLONNA (Prospero), 283, 285, 286, 287.

COLONNA (Vespasiano), 285, 288.

COLONNA (Vittoria) figlia di Ascanio), 76, 79, 83, 85.

COLONNA, V. MARTINO V. CONCIANO, 216, 217, 226.

CONTARINI (Gasparo) cardinale, 193, 248, 250, 251.

CONTE (Giovan Battista)

CORNARO (Francesco) vescovo, 266.

CORSO (fra Giovanni), 129.

COVOS (Francisco DE LOS) gran commendatore di Leon, 167.

Crisostomo (Padre) abate di Monte Cassino, 60.

CUPIS di Montefalco (Giovanni Domenico) cardinale, 108, 112.

DALL'ARMI (Ludovico), 306.

Damiano (mastro), 262.

DELLA ROVERE, v. ROVERE (DELLA).

DIACOLET, 283.

DORIA (Andrea), 53.

DORIA (Filippino), 55.

ENRICO VIII re d'Inghilterra, 141.

EQUICOLA (Giulio), 101./

EQUICOLA (Mario), 1, 2, 101.

ESTE (Alfonso D'), 173, 176, 180.

ESTE (Anna D'), 176.

ESTE (Ercole II D') duca di Ferrara, 141, 153, 161.

ESTE (Ippolito D') arcivescovo, poi eardinale, 157, 170, 173, 180, 187, 190, 191, 192.

ESTE (Isablella D'), v. GONZAGA.

ESTE (Luigi D'), 170, 176.

ESTE (Renata DI FRANCIA D') duchessa di Ferrara, 157, 158, 161, 171, 180, 193, 230, 270.

FARNESE (Alessandro) cardinale, 129, 248.

FARNESE (Costanza), v. SFORZA.

FARNESE (Margherita d'AUSTRIA), v. MEDICI.

FARNESE (Pier Luigi) duca di Castro, 219, 222, 223.

FARNESE, v. PAOLO III.

FEDERICO D'ARAGONA re di Napoli, 56.

FERRARA, v. ESTE (D').

FIGUEROA (Juan DE), 283.

FLAMINIO (Marcantonio), 171, 235, 239, 276, 277, 303.

FRANCAVILLA, v. BALZO (DEL).

FRANCESCO i re di Francia, 141, 142, 152, 190, 192, 286.

FRANCIA (Renata DI), v. ESTE.

FREGOSO (Federico) cardinale, 183, 184, 189, 193.

Gabriele Romano, 34.

GELINO (Iacoma DA) (o GELLINA) (?), 158.

GHINUCCI (Girolamo) cardinale, 161, 164, 166.

GIBERTI (Giovan Matteo) vescovo, 26, 53, 54, 100, 141, 142, 143.

GIGLIOLI (Alfonso), 170.

GILIO, 309.

Giovan Iacopo Salernitano, 79.

GIOVIO (Paolo) vescovo 55, 74.

Girolamo da Monopoli (fra) domenicano, 34.

Girolamo da Montepulciano (fra) cappuccino, 132.

Gisberto (?), 276.

GONZAGA (Eleonora), v. ROVERE (DELLA).

GONZAGA (Elisabetta), v. MONTEFELTRO.

GONZAGA (Ercole) cardinale, 207, 315.

GONZAGA (Federico II) marchese, poi duca di Mantova, 78, 97, 98, 99, 145.

GONZAGA (D. Ferrrante), 138, 142.

GONZAGA (Isabella D'ESTE) marchesa di Mantova, 78.

GONZAGA (Isabella DI CAPUA), 189.

GONZAGA (Margherita PALEOLOGA) duchessa di Mantova, 73, 74, 145.

GRANVELLE, v. PERRENOT.

GRAZIANI (Pier Antonio), 274.

GUALTERUZZI (Carlo), 128, 271. Guido, 175.

GUTTIEREZ (Francesco), 28, 46, 48, 49, 50, 55.

Ieronimo (maestro), 21.

lova (Giuseppe), 212.

LANNOY (Filippo DI) principe di Sulmona, 286, 288.

LANNOY (Isabella COLONNA DI) principessa di Sulmona, 168, 284, 286, 287.

LAUDISIIS (Aurelio DE), 56, 57.

LAUDISIIS (Laudisio DE), 56, 57.

LAUDISIIS (Francesca PORCARA DE), 56, 57.

LEONE X papa, 8, 61.

Ludovico da Fossombrone (fra) cappuccino, 107, 110.

LUNA, v. QUIN~ONES.

LUNELLO (P. Vincenzo), ministro generale dei francescani, 100, 165.

MANRIQUE DE LARA marchese d'Aguilar, 142, 217, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 226, 227, 228.

MANTOVA, v. GONZAGA.

MARAMALDO (Fabrizio), 58, 65.

MARCHINA, 283, 287.

Marco, 173, 287.

MARGHERITA D'ANGOULÊME regina di Navarra, 190, 192, 195, 196, 200.

MARTELLI (Lodovico), 68.

MARTINO V papa, 283, 285, 286.

MASCARA signora), 157, cf. p. 161.

Matteo da Bascio (fra) cappuccino, 117.

MEDICI (Giovanni DE') cardinale, v. CLEMENTE VII.

MEDICI (Ippolito DE') Cardinale, 68.

MEDICI (Margherita D'AUSTRIA DE') duchessa di Firenze, 157, v. FARNESE.

MEDICI, v. LEONE x.

MONTALTO, v. ARAGONA.

MONTEFALCO, v. CUPIS.

MONTEFELTRO (Elisabetta GONZAGA DI) duchessa di Urbino, 24.

MONTEFELTRO (Giovanna DI), v. ROVERE (DELLA).

MORONE (Anna), v. STAMPA.

MORONE (Giovanni) cardinale, 275, 276.

MUSCETTOLA (Giovanni Antonio), 7, 54.

NAVARRA, v. MARGHERITA.

NEGRISUOLI (Margherita) (?), 158.

NOMECIZIA (o NEMECISIO) (Iacopo), 97, 99, 131, 134, 136.

OCHINO, v. Bernardino da Siena (fra).

Onorato (don), 134.

PALEOLOGA (Margherita), v. GONZAGA.

PAOLO III papa, 100, 107, 114, 116, 119, 121, 129, 138, 144, 160, 161, 163, 164, 165, 168, 172, 174, 214, 216, 217, 219, 220, 230, 284, 315.

Paolo (fra), 129.

PARIDE (Vincenzo DE), 34.

PARPAGLIA (Vincenzo) abate, 304.

PERRENOT DI GRANVELLE (Niccolò), 283.

PESCARA, v. AVALOS (D').

PETRUCCI (Giulio), 162.

PIATESE (cavaliere), 213.

PICCOLOMINI (Alfonso) duca di Amalfi, 33, 315.

PICCOLOMINI (Costanza D'AVALOS) duchessa d'Amalfi, 82.

Pietro, 189.

PIEPERARIO (Girolamo), 101.

POLO (Reginaldo) cardinale, 128, 141, 187, 193, 237, 238, 239, 249, 252, 254, 255,. 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 275, 276, 277, 278, 279, 303, 306, 307, 312.

PRIULI (Alvise), 238, 239, 258, 259, 264, 277, 279, 303, 313.

Prudenzia, 230.

PUCCI (Roberto) cardinale, 248.

QUAGLINO (messer), 158.

QUIN~ONES DE LUNA (Francesco) cardinale, 107, 108, 115, 117, 140, 182.

ROTA (Berardino), 91.

ROVERE (Eleonora GONZAGA DELLA) duchessa d'Urbino, 144, 155, 167, 196.

ROVERE (Francesco Maria I DELLA) duca d'Urbino, 78, 84, 155, 286.

ROVERE (Giovanna DI MONTEFELTRO DELLA), 84.

ROVERE (Guidobaldo DELLA) principe, poi duca di Urbino, 83, 86.

ROVERE (Ippolita DELLA), v. ARAGONA.

SALERNO, v. SANSEVERINO.

SALISBURY (Margherita contessa DI), 234.

SAN BONIFACIO (conte DI), 306.

SANSEVERINO (Antonio) cardinale, 138.

SANSEVERINO (Ferrante) principe di Salerno, 138.

SANTA FIORA, v. SFORZA.

SANTIAGO, 217.

SANTORIO (Pietro Paolo), 221.

SCHONBERG (Niccolò) archivescovo, 17.

SCUTERI (monsignor DI), 40.

SESSA (duca DI), 45.

SFORZA (Costanza FARNESE) contessa di Santa Fiora, 188.

SIMONETTA (Iacopo) cardinale, 161.

SORNANZO (Vettore), 235, 237, 240, 258.

SORBOLO (Ottaviano), 177, 178, 179.

SORRENTO (Chiara DA), 34.

STAMPA (Anna MORONE), 262.

STROZZI (Filippo), 98, 99, 147.

STROZZI (Leone) priore di Capua, 11, 21, 98, 99.

SULMONA (Cesare di), 226.

SULMONA, v. LANNOY.

TASSO (Bernardo), 271.

TOLOMEI (Lattanzio), 142.

TOMAROZZO (Flaminio), 61.

TRIVULZIO (Teodoro), 1, 98.

TROTTI (Alfonso) (?), 158.

TUCCA (Giovan Tommaso), 48, 49, 91, 92.

URBINO, 211, 269.

URBINO, v. MONTEFELTRO, ROVERE (DELLA).

URSINO (Costanza DE), 34.

VALENZUOLA, 218, 220, 223.

VANNUZIO (Cesare), 184.

VASTO (DEL), v. AVALOS (D').

VECELLI (Tiziano), 66, 72.

VEGA (Juan DE), 287, 314, 315.

VERMIGLI (Pietro Martire), 247.

VITTEZ, 90.

XIMENES, 287.

SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO
RACCOLTO ED ANNOTATO
da DOMENCIO TORDI
COLL'AGGIUNTA DELLA VITA
DI VITTORIA COLONNA
scritta da Filonico Alicarnasseo

Ho sempre pensato che il vostro volume del Carteggio di Vittoria Colonna non fosse destinato a rimaner solo e che la biografia di Vittoria non possa scriversi con maturità e durabilità di giudizio fino a che non sieno almen raddoppiati i documenti che la riguardano.

Colei che coll'integrità della vita, colla sublimità del pensiero, col fascino della bellezza e dell'eloquenza, coll'impero della nobiltà dei natali e del censo fu il centro del movimento riformatore morale italiano della prima metà del secolo decimosesto, deve avere avuto ben altre relazioni che non quelle ristrette, le quali appariscono dall'epistolario attualmente conosciuto, che pure segna un bel progresso sulle grame e sparse notizie del passato e tanta luce e feconda getta su quella figura mite, severa ed operosa di gentildonna antica.

Anche queste lettere, molte delle quali dedicatorie, che ora sottopongo alla vostra benevola considerazione, recano nuovo contributo alla vita della Marchesa di Pescara; la cerchia degli amici e degli adoratori di lei ne è allargata: Britonio, Minturno, Valeriano, Lucrezia Scaglione, Fumano, Florimonte e Niccolò Martelli sono nomi nuovi o sempre preziosi pei biografi della Colonna.

Dagli scritti che furono a Lei indirizzati si può meglio indagare la vastità della sua mente e la meritata stima ch'Ella godeva presso i contemporanei.

I documenti riguardanti Pesco Costanzo, messi a riscontro coll'altro, testè scoperto, sul governo di Vittoria a Benevento, ci attestano l'attitudine di lei alla pubblica amministrazione.

Non mi dilungherò qui in una minuta disamina delle singole lettere, le abbondanti note di cui le ho corredate, gioveranno, voglio sperarlo, alla loro sufficiente intelligenza.

Soltanto mi compiaccio di fare una doverosa memoria ed un augurio.

Ricordo come alcuni di questi documenti mi furono colla solita squisita generosità esibiti da quel mio carissimo amico che fu il Marchese Gaetano Ferrajoli, che morte ha tolto inopinatamente all'affetto de' suoi parenti ed alla riconoscente ammirazione di tanti studiosi a cui egli, come già a me, schiuse volonteroso i tesori della sua rara libreria e della sua interessante colletta di manoscritti.

Ed esprimo l'augurio che i patrizi romani, calcando quel nobile esempio, tolgano finalmente il veto, che pesa come un resto d'incivile prepotenza, sui loro inaccessi e polverosi quanto ricchissimi archivi, dei quali, con loro onore, si avvantaggeranno la storia e le lettere della patria nostra e allora, egregi amici, ho ragione di crederlo, il vostro volume del Carteggio della grande Colonnese non sarà che il primo. State sani ed amatemi.

Orvieto, 22 dicembre 1891. DOMENICO TORDI.

1515, agosto

Dedicatoria dell'edizione di: Dante col sito, et forma| dell'inferno tratta | dalla istessa de- | scrittione del | Poeta ||. Vinegia, nelle Case d'Aldo et d'Andrea di Asola suo suocero nell'anno M. D. XV. Del mese di agosto).

Havendo nuovamente, Illustrissima Madonna, il divino poeta Dante a niuno degli altri scrittori, o antichi, o moderni che essi si sieno inferiore; (se all'altezza, et grandezza del verso, et alle tali, et tante scienze, quali, et quante in esso si contengono; con occhio discernevole si risguardera) ristampato: Non m'ha parso sotto più chiaro nome, quanto quello di V. S. è; poterlo dar fuori: et a cio non solo la mia antica servitu, verso la Nobilissima casa di lei spronato m'ha; ma più anchora la viva fama delle immortali, et divine sue bellezze: le quali di giorno in giorno, così con la giovanetta età crescendo vanno, et se stesse avanzando, che veramente si crede; e 'l mondo ne ragiona; che ne in questa nostra, ne in qual altra si voglia eta donna piu bella, o piu compiuta si vide: Et quantunque questo infinitamente sia; le bellezze dell'animo percio di quelle del corpo niente minori sono; anzi di gran lunga le trapassano pure: perche quelle niuna cosa hanno, che naturale non sia: et queste, l'arte non meno chella natura seco unita tengono: le quali cose, si come le care gemme la vostra bionda testa ornano, et abbelliscono; così di tutte le belle, et pregiate virtuti, quasi celeste arco di mille colori dipinto, isplendida et vaghissima a' riguardanti vi dimostrano. Honestate, vergogna, senno, modestia, cortesia, puritate, gratia, castita, magnificenza, et eloquenza tanta, quanta in valorosa donna, desiderar si potrebbe; in voi sola tutte, et abondevolmente si vedono: percio da tali, et tante divine doti sospinto; questo mio dono a V. S. dedico, et consacro; Alla cui dolce merce inchinevolmente bascio le mani.

(1) Girolamo Britonio di Sicignano stette molti anni al seguito del marchese di Pescara e si portò valorosamente alla battaglia di Pavia.—Come Galeazzo di Tarsia subì il fascino della bellezza e dell'ingegno straordinario di Vittoria e la cantò in versi leggiadri riboccanti di casto affetto.—Noto che egli fu il primo che divulgò per le stampe il valore poetico di lei, come meglio d'ogni altro, ci apprende il seguente sonetto che vide la luce nel 1519, a pag. 114 del Canzoniere di detto poeta, intitolato La Gelosia del Sole:
Quando odo il vostro stil, di tanta istima
Tal meraviglia intorno l'alma infonde,
Ch'io dico, et con silentio meco, hor donde
Piove in cor feminil si dolce rima?
Ben da Parnaso, in l'una, et l'altra cima
Hebbe costei tal gratia, et non altronde,
Dove le muse placide et gioconde,
Nutrita l'hanno, da l'età sua prima,
Ma il cuor che nota il suon delle parole
Dentro arde, et tace: et per troppa dolcezza,
Si strugge quasi, come un ghiaccio al sole,
Poi s'empie d'amorosa, alta vaghezza
Et per vero Idol suo, v'adora, et cole
Per ingegno non men, che per bellezza.
Giovio nel Dialogus de Viris illustribus, edito dal Tiraboschi (St. lett. it., Mil., Bettoni 1833, vol. IV, pag. 355, col. II) ascrive il Britonio fra i buoni poeti:«ve ea saltem ratione, qua Davaliadem scripserit, et veteres vigilia Victoriae Columnae dedicarit».
Per altre notizie sul Britonio cfr. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia, Bonini, 1763, vol. II, parte, IV, pag. 2112.

1519.

Dedicatoria dell'Opera Volgare di Girolamo Britonio di Sicignano, intitolata Gelosia del Sole, Napoli, nella stamperia di Maestro Sigismondo Mair Alamanno, MDXIX).

Non poche sono, magnanima et generosa madonna, le vie: et gli modi: dalla maestra natura a noi concessi: per gli quali guidandoci con le fide scorte del'ingegno: a manifestare gli più nascosti effetti de l'animo voluntariamente ne induce: et se con tal mezzo il nostro desiderio accompagnare da noi non si potesse: o le mente de l'humane persone di biasimevole ocio si harebbeno appagate; o pur mai non inteso con le nobili et profondissime impressioni de l'animo ad altri farsi essempio, ma però che et l'uno et l'altro disutile cosa stata sarebbe: se ingegnata agli nostri diversi disii: vari camini cortesamente insegnare, per gli quali drizzandosi l'animo: et con le medesme sue fatiche di giorno in giorno industriandosi: viene a chiunque agevolmente comprendere nol poria a farsi palese: le quali vie: et quasi innumerabili modi con silentio varcare m'ha parso: percioche soverchio a voi narrargli sarebbe stato: et del vostro esser non poco dilungarvi harei stimato: conoscendo voi di tale ingegnoso discorso: che 'l tutto quasi solete igualmente penetrare: et questo ve avenuto per che le nobili et interne doti dal cortese cielo a voi sì largamente concesse: l'havete non poco sempre con le bellezze de l'animo accompagnate: et non alla apparenza solo: come molte fanno: voi a voi medema aggradare con ogni possibile maniera vi siete avezzata: ma facendovi di voi stessa specchio: col vostro proprio raggio ad ogni lodevole perfettione animosamente ancho pervenire: per tali cagioni sommamente commendabili: che di tante varie, et indicibili vie: elegerne una più che un'altra m'habbia parso: non è meraviglia: concio sia cosa che non tutti a varie operatione atti naturalmente ne troviamo: pur questa una: per la quale inviato m'have il debito che alle vostre rare parti i' tengo: in mandarvi questa mia giovenil fatica: la quale Gelosia del Sole è da me intitolata: ragionevolmente m'ha persuaso.

Priego dunque accetarla vi degnate: per cio che il perpetuo pegno del mio a voi divoto animo con lei vi mando: ne niego ch'io più in mandarlavi non havesse indugiato: ma gran parte di lei essendo contra mia volunta di fuori: et incorrettamente molte rime leggendonosi: in simil guisa a voi mi parve inviarla: che sotto la pregiata ombra del vostro sì chiaro nome: mi persuado che da malivolo giuditio non si vedrà immeritamente biasmare: però non vi sdegnate quando di maggiori pensieri scarca vi trovarete: legger qualche parte: et se non per merito d'essa incoltissima opra: almen per ricordanza della antica servitu che v'ho portata: et portarò finch'io mi viva: ad V. S. mi raccomando.

(1) Questa è la lettera accompagnatoria della quale è cenno nel Carteggio, nota a pag. 37.—Delle pratiche fatte dalla Colonna per la restituzione del Colle di San Magno al Monastero di Montecassino, oltre i citati Gattola ed Ughelli, ne dà conto D. Luigi Tosti nella Storia della Badia di Montecassino, Napoli, Cirelli, 1843, tomo III, libro IX, pag. 261.

1526, 9 gennaio.

(Autogr.—Archivio di Montecassino.—Copia del cav. Pietro Ercole Visconti nella biblioteca del marchese Ferrajoli.—Gattola Erasmi, Ad historiam Abbatiae Cassinensis accessiones, Venetiis, Coleti, 1734, par. II, pag. 601.—Ughelli, Italia Sacra, opera Iulii Ambrosii restricta, col. 972, lett. D).

Ill.mo S.r in Christo Col.mo. Vederà V. S. quel che la S.a Marchese nostra di Pescara per la inclusa scrive in lo negotio della restitutione del Colle di S. Manno al sacro Mon.rio di Montecasino, et la prego me rescriva la sua volontà circa questo. Questi boni Padri, secondo per un D. Severo Neapolitano me avisano, restano per contenti, che restituendosi il Civile del Castello con l'intrate, in lo Criminale non ne parlano, et ultra questo faranno la benedittione et quietanza de tutti frutti che fossero percepti per lo passato, al che potrà V. S. guardar al servizio di nostro Signore et a quello che li conviene: Io certo vedendo la disposizione di quello Signore, quale nostro S.re tra li suoi eletti lo ritengo, non saperia deviare da questo lungo suo buono pensier, et maggiormente de questo dove le cose Ecclesiastiche se trattano, et aspetto sua resoluzione circa il tutto. Ex Castello Ische viiij Ianuarij 1526

Infelice V.ra Madre la Duchessa di Francavilla.

(1526, luglio).

Copia nella Vita di Vittoria Colonna scritta da Filonico Alicarnasseo.—Roma, Biblioteca Barberini, Cod. ms. LV, 47, car. 89, e LIII, III, car. 215.—Biblioteca Ferrajoli, Cod. ms. s. n., fog. 116.—Volpicella, Museo di scienze e letteratura, nuova serie, anno I, vol. III, Napoli, 1844) (1) Se è probabile che Vittoria abbia scritto lettere del tenore della presente e dell'altra n°ree; XVI, non è possibile credere che ella adoperasse questa forma tutta propria del Filonico (Costantino Castriota), il quale deve perciò averle rabberciate a modo suo (Carteggio cit., nota a pag. 323).
Dell'insuccesso toccato al marchese del Vasto nell'assedio di Lodi ne parla Guicciardini nella Storia d'Italia, Napoli, 1862, t. IV, pag. 94.

Chilone lacedemonio solea dire ai goffi, balordi et ignoranti, i quali capaci non erano fatti, che poteva l'invidia partorir odio senza far male, che amico non poteva in modo alcuno tener persona che nemico occulto o manifesto non havesse, sendo con la buona fortuna ó con i meriti premiati quella maligna et velenosa fiera sempre congiunta. Uscisti come ben ti ramenti, figliuolo, fuori di casa tua essendo unico et solo herede di quanto han fatigato i tuoi progenitori, et contrastando et contendendo col mondo, coi pericoli, et coi travagli superasti arditamente te stesso gl'inimici del tuo Padrone, et il desio comune a tutti di godere et fruire, et poichè sì valorosamente ti apportasti in battaglia in questo neghittoso agone et in questa travagliosa lutta per inalzar trofei di vittoriosa corona, ti fie mestiero armarti di valore, d'industria, di accorgimento, di soffrimento et determinatione per abbagliar l'invidia, per uccider l'emulatione et per mandar al fondo la malignità che contrasta sempre, affligge et conturba ogn'animo generoso, ogni spirito glorioso et heroico, et ogni mente sublime et elevata, et che sia il vero procacciorno con Lodi scemar le vostre lodi, figliuolo, i nemici della quiete et gli avversarij delle buone et honorate inclinationi, ma oprorno in vano ogni malvaggio intento, ogni maligno artiglio, et ogni invidioso dardo et ogni spicolo velenoso ed esitiale, perciochè dipendendo l'impresa che cominciasti dal capo dell'Essercito Imperiale in lui ogni fallo ritorce la raggione conoscitrice del vero. Et così essendo, non ti sdegnar, figliuolo, nè ti ritrar per sdegno dal principiato viaggio, perciò che in scuola tanto difficoltosa assolutamente può un spirito tanto elevato conseguir il suo intento, nè son figliuolo, i sacri studij di theologia per tutti l'ingegni, nè gli alti secreti della natura per ogni mente, ma per quei soli che si può locar in loro il peso di tal conoscimento. Et così essendo, siegui e sta saldo, travaglia et acquista, tenta et conseguisci il tuo fine et così facendo, con gran confusion de'malvagi consolerai gli amici, i congiunti et color tutti che amano il dover tuo, il servigio del Padrone et la grandezza del tuo generoso lignaggio.

(Di Marino).

(1) Antonio Sebastiani di Traetto, detto Minturno, dall'antico nome della sua patria.—Agostino Nifo, suo maestro, dice ch'era «d'ingegno chiaro e leggiadro et ad ogni eloquentia nato».—Una lettera di S. Ignazio di Loyola, in data di Roma 16 agosto 1551, ci informa ch'egli adoperossi per introdurre la Compagnia di Gesù a Napoli. Fu creato vescovo d'Ugento ai 27 gennaio 1559; nel 1561 passò alla Chiesa di Cotrone ed ivi morì nel 1574.
Abbiamo di lui un Trattato sull'Arte poetica, versi latini e volgari ed un volume di lettere. Fra le sue Rime edite dal Ruscelli nel 1559, pei tipi del Rampazzetto di Venezia, leggonsi due canzoni in morte del marchese di Pescara, dalla prima delle quali riproduco una storfa riguardante la nostra Vittoria:
Volgi in qua gli occhi a questa nova schiera,
Che lagrimosa con oscure veste
Sotto l'insegna d'una gran Colonna
Alza le strida dolorose e meste,
Vedi colei, che con la voce altera
Piagne squarciando il petto e l'atra gonna;
Benche'ella sia gran donna;
E già mutata assai, ch'ell'era,
Chiama piangendo i fati, il ciel, le stelle,
Ver lei crudeli, dispietate, e felle.
Odi le mie parole
Mondo, spento è 'l tuo Sole.
Cfr. Tafuri, Istoria degli scritt. nati nel regno di Napoli, Napoli, Mosca, 1750, tomo III, parte II, pag. 400; Tiraboschi, St. lett. It., Milano, Bettoni, 1833, vol. IV, pag. 268.

1528, 19 febbraio.

(Lettere di Messer Antonio Minturno. In Vineggia, appresso Girolamo Scoto, 1549. libro settimo, p. 129).

Risospinto Illustrissima Signora dal meraviglioso e raro caso avvenuto, si come creder si dee, per l'auttorità di V. S. in maggior chiarezza de la vertù de la S. Lucretia (1) Trattasi qui di Lucrezia Scaglione di Aversa, figliuola di Giovan Luigi signor di Cricigliano e di Maria d'Alagno e moglie di Paolo Carafa figlio di Alberico primo duca di Ariano (Aldimari, Hist. geneal. della fam. Carafa, Napoli, Raillard, 1691, lib. II, pag. 417). A testimonianza di Gregorio Rosso ella nel principio del 1528 trovavasi ad Ischia insieme a Vittoria (Ist. delle cose di Napoli, ivi, Gravier, 1770, pag. 10). Notar Antonino Castaldo nella sua Istoria (Nap., Gravier, 1769, p. 58), laddove racconta le feste che ebbero luogo nel Castello di Capuana in occasione delle nozze di Margherita d'Austria, figlia di Carlo V, con Alessandro de' Medici duca di Fiorenza ai 6 di gennaio 1536, e di quelle di Filippo Lanoja principe di Sulmona, figlio del defunto vicerè Carlo con Isabella Colonna duchessa di Traetto ai 21 marzo seguente, dopo aver passato in rassegna le principali signore titolate intervenutevi che «a guisa di lucidi Pianeti fra l'altre Stelle risplendeano», soggiunge: «Nondimeno Lucrezia Scaglione, con tutto che non fusse Signora titolata, fra tutte queste Signore era famosa e celebre, e si trattava come titolata: donna audace, valorosa, e di gran conversazione e bella!».
Se, a conferma del mio assunto, posso riportare i due epigrammi del Minturno celebranti l'atto virtuoso di Lucrezia, togliendoli dal raro opuscolo intitolato: «Antonii Sebastiani Minturni Epigrammata et elegiae, Venetiis apud Jo. Andream Valvassorem MD.LXIIII, car. 5 v.», non mi è dato fare altrettanto della composizione volgare, da me finora cercata invano, che la Colonna diresse al marchese del Vasto. Noto pure che sebbene il Minturno chiami Vittoria inventrice della maniera di lodare per via d'epigrammi, di lei attualmente non se ne conosce alcuno.
AD LUCRETIAM SCALIONAM
Invidit Fortuna meae indelebile nomen
Parthenope, favit maxima Roma tibi;
Ne qua praeriperet, quae nunc tibi sola relicta est,
Virtute absumpta, fama pudicitiae;
Cum tam sancta iterum tecti penetralia Sextus
Scandere conatus concidit ante fores.
An non ipsa tuae Lucretia clarior esset
Haec nostra, infelix si penetrasset amans?
Scilicet haud ulla ex parte amisisse pudorem,
Hic honor, hoc summa laude perenne decus.
AD EANDEM
Hoc tibi deerat ad aeternum Lucretia nomen,
Quo tuus ille pudor clarius eniteat:
Ut castum nequicquam ausus temerare cubile,
A summo infelix culmine corruerit.
At vero nequaquam audacia tanta dolenda est:
Nam tibi penarum iam dedit inde satis:
Ille vel hoc uno felix, sperare quod ipse
Non prius, aut simul ac vivere desierit.
Dopo questo omaggio reso alla virtù della Scaglione, a suggerimento di Vittoria, dovrò io bruttare la fama di lei col ripetere il racconto del mordace Filonico Alicarnasseo intorno ai pretesi amori dell'Aversana col vicerè Carlo Lanoi, fomentati, secondo lui, dalla stesso marchese di Pescara? (Vita di Don Fernando Francisco d'Avolos marchese di Pescara; Cod. ms. Ferrajoli, car. 92, ed a car. 348 della Vita di donna Giovanna d'Aragona). Lo stesso Filonico dice che Lucrezia fu moglie di Gio. Luigi anzichè di Paolo Caraffa (Cod. cit., Vita del marchese del Vasto, car. 151).—Laura Terracina ha un sonetto in lode della Scaglione (Discorso sopra tutti i primi canti d'Orlando Furioso, Vinegia, G. G. de'Ferrari, 1550, pag. 83).
, io m'era altre sì deliberato col mio, qualunque egli si sia, ingegno d'operare, ch'a leggere si desse latinamente a gli altri, che venir debbono. Ma tosto ch'i hebbi in mano quello, che ella, divinamente in nostro Iddioma ne scrisse allo Illustrissimo S. Marchese del Guasto restai sì pieno di meraviglia, che parendomi non potersi trovare à pensieri, nè mostrare à parole cosa, che non gli andasse di lungi, stimai via meglio avvenirmi, s'io facessi ufficio d'interprete, che d'auttore: onde per le debboli mie forze non possendo dir tutto in uno epigramma, ch'io sua legge servassi, mi parve di partirlo in duo; i quali, benchè indegni, pur giudicai convenirmisi, ch'io mandassi à lei, come ad inventrice di sì nuova e leggiadra maniera di commendare. Iddio faccia la 'nterpretatione, se non appieno, al meno in parte risponda alla 'nventione si bene et acconciamente detta, e veramente degna d'un tanto e tale intelletto quanto e qual'è il suo. Baciole devotissimamente le caste e adorate mani.

Di Napoli à XIX di Febraro M. D. XXVIII.

1530, 15 febbraio.

(Autogr.—Archivio di Montecassino.—De Padova Liborio, Memorie intorno alla origine e progresso di Pesco Costanzo, Tip. di Montecassino, 1866, pag. 215, Doc. P).

Reverendissimo Abbate di Monte Cassino. Mi è stato riferito alcuni disordini che fanno li Preti di Peschio Costanzo, del che molto me ne so doluta, et ancorchè havessi potuto provedere quà in Roma, che avessono da mutar vita, nondimeno havendo confidentia nella Reverentia vostra et per honor commun, mè parso avisarla di ciò, con pregarla sia contenta castigarli, et quando ne haverrà richiesta da questi del Peschio contra essi con verità, li voglia dare meritevole castigo, che in vero me sarà piacere gratissimo et de obligo, però non voglia fare altrimente che secondo spero, et me li raccomando. Rome XV Febrajo 1530.

Oltra de questo sono tanti che è una confusione, pregola faccia un ordine che per finchè mutano vita, non se ne facciano più, che sono XII et non fanno per quattro, et mai questi pover' huomini ponno havere iustitia di cosa che pretendono contra loro.

Al comando di Vostra Reverentia
La Marchesa di Pescara

(Al Reverendissimo Abbate di Monte Cassino Amico honorandissimo).

1526&emdash;1532.

(Dedicatoria dell'Apologia pro Mulieribus (1) Questo scritto inedito del cardinal Colonna che io m'accingo a dare alle stampe è forse il più antico che tenti difendere il marchese di Pescara dalla imputazione di aver tramato, a suggestione del Morone, contro Carlo V. Il Giovio che scrisse alcuni anni dopo la vita del marchese, evidentemente attinse al racconto del cardinale, il quale colle seguenti parole allude alla lettera che Vittoria indirizzò al marito per raccomandargli di non lasciarsi sedurre dall'affascinante promessa della corona del regno di Napoli: «O divinam fidem, o singularem ducis sapientiam atque prudentiam, quae omnia cum ad castissimas aures tuas Victoria pervenissent, non regale sceptrum, non ulla regnandi libido, non dominandi potestas aliqua, nec (quod vulgo dici solet) regnandi causa violandum esse ius te unquam a recto atque ab honesto tramite dimovit. Quin immo te ipsam, magnanimitatisque tuae partes intuens (cuius proprium est ad honores atque dignitates solo virtutis ordine contendere) malle te dixisse ferunt». Cfr. Carteggio, pag. XXII.. Cod. Vaticano miscellaneo, n°ree; 5892, e Ambrosiano, Q. 123 sup.re).

Solent plerique scriptores, Magnanima Victoria, illis potissimum Dijs eorum lucubrationes, et scripta dedicare a quibus plurimum gratiae, plurimumque praesidij sperent. Jovem iccirco aliqui, nonnulli operum fautores, et directores imploravere. Mihi vero mulierum causam suscipienti (opus certe non solum arduum, ac difficile, verum etiam mei debilibus humeris impar) maiori numine, majorique defensione profecto opus est. Ad quem igitur confugiam? Cuius tutelam implorem? Quem Deorum invocem? Nescio. Sed quoniam memoria proditum est, gigantes cum Jovi bellum inferrent, regionemque illius cunctam igne ferroque vastarent, puellam quandam stygis filiam non minus forma, quam virtutibus ornatam Jovi suppetias tulisse, cuius opera, consilio, et autoritate brevi confectum bellum, Titanasque delectos esse. Huius tanti beneficij non immemor Juppiter sanxit, ut nullus Deorum per stygiam Paludem iurans deieraret, sacramentumque hoc inviolabile apud illos esse voluit, puellamque cuius fortitudine imperium servaverat, ad futuram praeclarissimorum suorum operum memoriam, Victoriam nominavit. O, magnanimam illam puellam, o, vere praeclarum ac divinum nomen, quod cum mecum ipse repeto, susceptamque provinciam intueor, ac quibus cum fortissimis agendum mihi sit ducibus, frustra Jovis auxilium in tam gravi tamquam ardua lucta implorandum duxi, cum longe leviora certamina absque Victoriae industria atque autoritate conficere nequiverit. Duce igitur et bellatore et nostri operis huius moderatore, et rectore nobis opus est validiore, qui si ex omnibus unus optandus esset, quem proculdubio Victoria tecum conferre possimus non videmus. Ad te igitur confugio, numenque tuum, sanctum ac fatale nomen imploro, cum praesertim consilio atque autoritate adductus tua, tantam tamque laboriosam provinciam susceperim, pro qua licet ago omnia mea studia, omnem operam, curam, industriam, mentem denique omnem fixerim, locaverimque, tamen ea omnia in manu porrigas et evanescent, et nos digitum attollere, herbamque dare foemineum sexum taxantibus cogemur. Haec omnia licet a me mature praeponderanda sint, gravitatemque provinciae cognoverim, tamen quia tuus apud me tanti est amor, tanti est autoritas, ut quae tibi grata sunt, quaeque et iubeas, et velis, ea omnia mihi et recta esse, et honesta censeantur. Iccirco iniuncti officij opprimi onere malui, quam id quod a te mihi semel impositum est, ob animi mei infirmitatem atque imbecillitatem deponere. Tecum erit igitur divina Victoria nostri huius operis, partes suscipere. Futurum profecto tali duce non dubito, quin levissimorum arguentium impetu fracto, detrahentiumque aculeis reiectis, Mulieres nostrae, quarum causam suscepimus, pristinam dignitatem, et gloriam sint reportaturae. Vale.

(1) Vittoria allude alla Vita del marito scritta dal «gran Giovio»
in quel sonetto che principia:
«Di quella cara tua serbata fronde»
(ediz. 1840, pag. 88),
il quale sonetto, per essere fra quelli in lode del Pescara, fu scritto prima che spirasse il «settimo anno» (son. CXV, pag. 115, e Capitolo, pag. 369) dalla morte di lui, cioè fra il 1526 e il 1533, non contando i pochi giorni del 1525, e quindi la Vita stessa deve essere stata composta innanzi al 1533. Una prova indiretta della mia induzione sta nel fatto che Bembo, il quale aveva bisogno di notizie sul padre del marchese di Pescara, ai 22 di febbraio 1533 scriveva da Padova a Flaminio Tomarozzo a Roma: «non v'increscerà domandarne a nome mio monsignor Giovio». Bembo doveva aver sentore della Vita del Pescara scritta dal Giovio (Lettere di M. Pietro Bembo. In Venetia, Alberti, 1587, libro VIII, pag. 295). In ogni modo osservo che il sonetto è stampato nella prima edizione delle Rime della Divina Vittoria Colonna, che è del 1538.
La traduzione volgare di detta Vita fu dal Domenichi fatta tra gli anni 1549 e 1550, e quindi dopo la morte di Vittoria (Giovio, Lettere volgari, Sessa, 1560, pag. 74 e 90).

1526—1532.

(Iovius, Vitae Illustrium Vitorum, Florentiae, Torrentini, MDLI, pag. 272 e seg.).

Si quid est, Victoria Columna, in praecipuis honestissimae vitae tuae votis, quod ad summam felicitatem vel Dij maxime propitij, vel mortales longe gratissimi cumulate tribuere possint, id unum esse arbitror, ut Piscarii viri tui memoria fidelibus nec ineptis literarum monumentis ad posteros transmittatur, ut quae tua est virilis atque eximia pietas non inanibus lacrymis, sed aeternis honoribus inusitatae admirabilique virtuti illius invictissimi ducis debita praemia persolvantur, habeatque interim posteritas tuo maxime munere, ad solidae veraeque laudis exemplum, quod domi militiaeque feliciter imitetur: et discat, ut nequaquam ambitioso rerum inanium titulo, verum factis illustribus, non adumbratae, sed certissimae gloriae fructus quaeratur. Nam sicuti sepulchra marmorea, et aeneas equestres statuas, Alfonsi Vastij patruelis imperatoris opitimi, laetissime floremus. Probavere nonnulli erudito iudicio insignes, ut haec dum aetate integra, ac in hac praeclara Romana luce praecellentium hominum censura frueremur, vel praecipiti iudicii libertate in publicum aederentur, scilicet ut cum aliqua pudoris labe existimationi servirem meae, cum integritatis et diligentiae famam cunctis eloquentiae laudibus anteponam, idque unum tanquam in historia praecipuum magnopere spectem, ut inconcussa scriptis fides adstruatur; haec enim fortasse me mortuo ab imperitis vel invidis, veluti certissimo teste sublato, improbe refelli posset. Itaque si haec eo animo quo scripta sunt accipies, iam tota ingenui laboris merces vel sperata impudenter, vel benigne debita cumulate referetur. Quum enim virili ingenio usque eo excellas, ut praeter solutae orationis laudem, poeticis etiam numeris cum praecellentibus vatibus contendes, gratiaque Regum et Fortunae amplitudine plurimum praestes, si de his recte vel potius indulgenter quae ad summum liberalitatis et pietatis nomen magnifice paras condidisse, nimis operosum videtur, et nequaquam pro merita laude diuturnum: quando ea ignavis etiam et imbellibus contigerunt; ita haec ad veram perpetuo victuri nominis effigiem scripta, et expressa diligenter, uti extra temporis vel hominum iniuriam posita omnem prorsus vel maxime sumptuosorum operum nobilitatem antecedent. Id nos si non felici (ut speramus) alacri certe fidelique labore praestare sumus adnixi, quum eorum hominum qui simul et egregie possent et vehementer vellent, in hoc difficili munere operam collocare, magna penuria esse censeretur. Scripsimus haec ea fide qua universam horum temporum historiam condidimus, admiratione ingenii et virtutis tuae ducti; cui sicuti in hoc funesto seculo, cum privato tum publico literatorum nomine plurimum debemus; ita Piscario ulla in re peculiari beneficio nos obligatos esse diffitemur: quanquam ille nos bello et pace non iniucunda saepe familiaritate coniunctos habuerit, uti nunc haereditario quodam iure, in amicitia (quod maxime cupio) iudicaveris; etiam sola vel mediocris laudis commendatione cuncta persolves. Vale.

1526—1532.

(Dedicatoria della Vita di Ferrando Davalo marchese di Pescara, tradotta per M. Lodovico Domenichi. In Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino, MDLI, pag. II).

S'alcuna cosa v'è, o Vittoria Colonna, ne'principali desideri dell' honestissima vita vostra, che a suprema felicità, o Iddio molto favorevole, o gli huomini gratissimi, pienamente vi possano dare; questo solo credo io che sia, che la memoria del Marchese di Pescara vostro marito et fedelmente et ornatamente scritta arrivi alle mani di coloro che dopo noi verranno; acciochè quello che è d'ufficio vostro et di pietà grande, non con lagrime vane, ma con honori eterni i debiti premi sian pagati alla inusitata et mirabil virtù di quello invittissimo capitano; e in questo mezzo habbia la posterità, et ciò per vostro dono, per essempio di salda et vera lode, quel che felicemente imiti et impari in casa et nella militia; si che non più con ambitioso titolo di cose vane, ma con fatti illustri, si procacci il frutto non d'adombrata ma di certissima gloria. Perciochè si come troppo faticoso pare, et non punto durevole, rispetto alla meritata lod, l'haver fabricato i sepolchri di marmo, et le statue a cavallo di bronzo, le quali con singolar nome di liberalità et d'amore magnificamente voi gli apparecchiate; da poi che questi honori anchora hanno havuto gli huomini timidi et vili; così queste cose diligentemente scritte et ritratte a vera sembianza di questo huomo, il quale è per vivere in eterno, si come quelle che non temono ingiuria de gli huomini nè del tempo avanzeranno ogni nobiltà d'opere anchor che molto sontuose. Questo mi sono io sforzato di fare, se non con felice (come io spero) certo con allegra et fedel fatica, parendomi che gran carestia fosse di quegli huomini, i quali in un medesimo tempo, et honoratamente potessero, et grandemente volessero in questa difficile impresa affaticarsi. Queste cose ho scritto io con quella fede, con la quale ho composto anchora tutta l'historia di questi tempi, mosso a far ciò dalla maraviglia dell'ingegno et della virtù vostra, alla quale si come in questo infelicissimo secolo e in nome privato et publico degli huomini litterati siamo molto tenuti così al Marchese di Pescara in cosa alcuna per peculiar beneficio confesso di non esser obligato; benchè egli e in guerra e in pace spesse volte m'havesse per congiunto di famigliarità non spiacevole, si come hora per certa ragione hereditaria, lietissimamente godo nell'amicitia d'Alfonso del Vasto suo cugino ottimo Capitano. È piaciuto ad alcuni huomini singolari et di dotto giudicio, che mentre anchora io sono d'età forte, et che in questa chiarissima luce Romana io mi godo la censura d'huomini eccellentissimi, io dovessi publicare questi scritti, anchora con precipitosa libertà di giudicio, et ciò affine che con qualche carico d'honore io facessi utile alla riputation mia: preponendo io la fama dell'integrità et della diligenza a tutte le lodi dell'eloquenza; et havendo io grandissima cura quel ch'è di maggiore importanza nell'historia, che gli scritti s'acquistino stabil fede; la quale forse quando io sarò morto, quasi levato un certissimo testimonio, potrebbe malignamente essere impugnata da huomini ignoranti o invidiosi. Se voi dunque accetterete queste cose con quello animo che sono state scritte; io mi riputerò d'haverne interamente riportato tutta la mercede d'una nobil fatica, o ch'ella sia sfacciatamente sperata, o benignamente devuta. Perciochè essendo voi donna tanto eccellente et di virile ingegno, che oltra la lode della prosa, gareggiate ancho con gli eccellentissimi poeti nel verso, et essendo voi di grandissimo grado per la gratia de' Principi, et per la grandezza della fortuna, se di queste mie cose farete dritto, o quel ch'io più desidero, amorevole giudicio; anchora con una sola commendatione di mediocre lode, perfettamente e in tutto mi terrò da voi sodisfatto. State sana.

1531, 25 aprile.

(Lettere di Messer Antonio Minturno. In Vineggia, Scoto, 1549, lib. VII, pag. 129).

Già è passato, Illustrissima Signora, più del terzo anno, che in Ischia; ov'io seguendo i miei Signori (1) Gregorio Rosso, nell'Ist. cit., pag. 10, dopo aver detto che l'esercito francese ai 29 d'aprile 1528 giunse alla vista di Napoli, soggiunge: «Tutti li Baroni del Regno ch'ebbero cervello, in quella occasione se retirorno con le loro case dentro di Napoli come fece fra gli altri Andrea Matteo Acquaviva Duca d'Atri: alcuni se ne andarono a Sorrento, altri ad Isca, dove se retirò la casa del Marchese de lo Vasto, la bellissima sua moglie Donna Maria d'Aragona, la dotta Marchesa di Pescara Vittoria Colonna, la Duchessa di Tagliacozzi, la Duchessa de Amalfi, la Principessa di Salerno, Lucrezia Scaglione, bellissima e galantissima, et altre dame, quali tutte stavano sotto il governo et cura della Duchessa di Francavilla Donna Costanza di Avalos, zia de lo Marchese del Vasto, donna di gran valore e bontà». In una lettera a Giovanni Guidiccioni il Minturno dice: «Con la casa de lo Ilustriss. Signor Conte di Borello» (Ettore Pignatello Duca di Monteleone) «mi ricondussi in Ischia, isola assai delettevole, ma quasi prigione a coloro, che sono usi a menar lor vita per luoghi aperti e liberi d'ogni intorno». Il Minturno allora era precettore dei tre figli di detto conte: Camillo, Costanza ed Isabella (Lettere cit., pag. 15, 101 e 102. Campanile, L'armi overo insegne de' Nobili, Napoli, Longo, 1610, pag. 188)., come in rifugio di coloro, i quali fuggivano la guerra; che all'hora in torno à Napoli fieramente ardea; mi ritrovava; havendo per mezzo di Monsignor Giovio huomo dotissimo e nobilissimo scrittore d'historie a V. Illustrissima Signoria mostrato il mio Poema de l'origine de signori colonnesi (1) Questo poema sconosciuto al Tafuri (Op. cit., t. III, par. II, pag. 400) ed al Crescimbeni (Coment. intorno alla sua St. della Volg. Poesia, vol. II, par. II, pag. 413) fu edito in prima da Domenico Pizimenti e poi dall'autore col titolo di Geneazanus, dal nome del feudo colonnese nel quale lo compose nel 1522 (Lett. cit., pag. 9), fra i suoi Poemata, Venetiis, apud Jo. Andream Valvassorem MD. LXIIII, car. 3 a 12, ed ambe le volte dedicato «Ad Illustriss. Principem M. Antonium Columnam». Da Palermo ai 25 d'aprile 1531 Minturno, per mezzo di messer Gio. Battista Bacchini modenese, ne inviò copia al card. Colonna insieme a quella dell'altro poema intitolato Virtus, che leggesi a car. 13 della suddetta edizione dei Poemata, colla dedica «Ad Illustriss. et Maxime Reverendum Cardinalem Pompeium Columnam». E in data 10 giugno seguente lo stesso Minturno, ricordando tale invio, si raccomanda alla generosità del cardinale cogli stessi argomenti adoperati nella presente lettera indiritta a Vittoria (Lett. cit., pag. 9 e 10). Nel Geneazanus si lodano principalmente i Colonnesi: Prospero, Fabrizio, Antonio, Vittoria e Girolama. Ecco i versi coi quali è celebrata Vittoria: «Tum vero ingenij praestans virtutibus, atque
Moribus egregijs castum venerata cubile
Cuncta pudicitiae prae se ornamenta ferebat
Aeternum Ausoniae fulgens Victoria lumen».
Giovio rammenta questo poema nel Dialogus de Viris litteris illustribus. Cfr. Tiraboschi, Storia della Lett. It., Milano, Bettoni, 1833, vol. IV, pag. 351, col. II).
; et ella udendo ch'io lo dedicava al Reverendissimo Colonna, se pur se ne ricorda, che può ricordarsene, per sua nativa cortesia humanamente si proferse di dover prestarmici il suo favore, quando a S. S. dedicato il mandassi. Del haver tardato in fin ad hora à mandargliele iscusimi oltre al non haverne havuto gia mai per adietro la commodità, il non haver voluto far contra il commandamento d'Horatio: perchè già non volgea ancho il nono anno, che fu egli composto. Ma hora, che essendone venuto il tempo, et offerendomisene l'occasione, gliele mando, mi fia gratia singulare che V. S. soddisfaccia et all'atto gentile de la sua humanità, et à lei stessa come colei in cui è dubbio, che sia maggiore la potentia, ò pur la volontà del far beneficio ad altrui. E nel vero in lei più che in altra valorosa e cortese persona si come per l'una la gloria del potere, così per l'altra il premio de la cortesia chiaro si mostra. Onde le porgo devoti preghi, che al signor Cardinale con lettere di lontano, ò con parole dappresso raccomandi l'opera talmente, che quanto per se indegna quella se ne stima, tanto per l'auttorità di lei, la quale è certo che per la chiarezza del suo animo e de lo 'ngegno; che ovunque risplenda qualche lume d'intelletto, riluce; può molto, sia degna de impetrarmi apo S. S. Reverendissima gratia, che togliendomi di questa servitù (1) Minturno trovavasi alla Corte del vicerè di Sicilia Don Ettore Pignatello duca di Monteleone, doglioso, non saprei se più, della lontananza dalla patria e dagli amici antichi, o della vita di cortigiano che non gli dava agio di attendere alle buone lettere sue predilette. Ma se non potè esperimentare l'invocata liberalità del card. Colonna che uscì di vita inopinatamente il 28 giugno 1532, non gli mancò però quella del duca suo padrone, poichè questi, in data 21 giugno 1542, gli assegnò una pensione annua vitalizia di duecento ducati «cento de le rendite di Rosarno e cento di quelle di Monteleone» (Lett. cit., pag. 123)., nella quale mi ridusse la 'nfelicità de nostri tempi, et anchora mi ci ritiene, la libertà mi dia, ch'el può fare, di potermi tutto hora mai tranquillamente dare alli studi de le Muse. Parrà forse ch'io chieggia gran cosa; e per fermo egli è oltre à miei meriti, et io ne riconosco la mia indegnità, perciò che à quel Signore non ho tanto servito, che guidardone sì raro, ne sono per aventura tale, che tanto beneficio aspettar ne dovessi. E s'io per me stesso il chiedessi, à temerario ardimento mi si potrebbe imputare. Ma si come quel dono è più, che alla mia conditione qualunque ella si sia, et al chieder mio si convenga, cosi mi par che allo stato et al potere di lui et al favore di lei sia pocho. E perchè benchè il soggetto non meriti altra forma, da quella che la dispositione di lui ne richiede; pur la potentia celeste è tanta, che nel limo tal volta suole dar forma di perfetto animale; così il suo valere può far la mia indegnità degna d'ottenere cotanta gratia, si come la cortesia fa presto me et ardito à chiederla col suo aiuto. Onde il beneficio mi sia doppio che oltre all'utilità conseguirei del Poema immortale honore. Conciosia cosa che alle lode de le scritture non sia miglior testimonio, che la liberalità del prencipe ò de la republica. E creder mi si fa che Virgilio et Horatio non più per la vertù de loro ingegno, che per lo favor di Cesare Augosto à tanto pregio sien giunti. Per che ragionevolmente parmi che Martiale dicesse; che, se ci saran Mecenati, non ci mancheran Maroni. Havrei à V. S. un'altra Copia mandato, essendo ella quivi descritta come nuovo ornamento del suo legnaggio; s'io ben fornito havessi quello, che di lei in disparte à scrivere ho cominciato. Ma non ho voluto che l'una opera senza l'altra ne venga; anchora che ambedue parer debbono apo lei quasi nottole in Athena. Ben prego di me si prometta quello, che attender può d'un obligatissimo servidore, siale il celeste Apollo, si come suole, mai sempre in favore. Di Palermo à XXV d'Aprile M. D. XXXI.

(1) Il Valeriano scrisse il libro XXII dei Jeroglifici «tanti anni» dopo la morte del Pescara, ma nel tempo in cui Vittoria «ogni giorno» alzavagli «un monumento» poetico, ciò che ella fece, come si è detto altrove, fino al 1533. In questo mezzo il Valeriano risiedeva a Firenze presso i già suoi discepoli Ippolito ed Alessandro de' Medici. Noto che nel libro LVII, dedicato a Ludovico Beccadelli, egli lamenta la recente morte del vescovo di Fano, Cosimo Gheri, avvenuta ai 24 settembre 1537 (Mon. di varia Letterat., Bologna, 1797, t. I, par. I, pag. 181). Dall'esame dei dati storici sparsi nelle dediche dei 58 libri mi pare che, avuto anche riguardo alla collocazione cronologica dei medesimi, si possa inferire essere questa, presso a poco, la più alta data sotto la quale il Bolzanese si affaticò intorno a questo immaginoso ed eru litissimo libro (Tiraboschi, St. della Lett. it., Milano, Bettoni, 1833, t. IV, pag. 34). Noto pure che Giovio nel cit. Dialogus de Viris litt. ill., scritto in Ischia poco dopo il sacco di Roma, parlando del Valeriano accenna già a quest'opera di lui: «Hierogliphicas notas, quibus AEgyptii Reges obeliscos pro literis inscribebant, erudite et diligenter interpretatus est» (Tirab., Op. cit., pag. 349, col. I).

(prima del 1533).

(Ex Hieroglyphica, Joannis Pierli Valeriani Bolzanij Bellunensis. Basileae, per Thomam Guarinum, M. D. LXVII, liber XXII, pagg. 156—157).

Magni omnino ponderis est Pindari Lyricorum principis dictum illud, alio quamvis numero, in hanc certè sententiam:

Carmine res vivunt, carmina rebus egent. Nam scriptor quantumlibet elegans et eximium, si vana et inania mandare literis aggrediatur, puta purpura simiam vestiat, nihil aliud assequatur, nisi ut omnibus sit derisui atque ludibrio. Si verò facta inclyta praeclaraque ab inepto imperitoque scriptore celebrentur, neglecta statim turpiter exolescent. Haec dum mecum reputo, honorandissima Victoria, tuamque erga desideratissimum coniugem pietatem considero, illiusque res praeclarè gestas Musarum tuarum elegantia decorari conspicio, fortunatissimum Principem appello, qui cùm tot ante annos é vita migrarit, per te quotidie reviviscat, clariorque et illustrior evadat. Te autem non minus beatam, quae materiam susceperaris tam insignem, tam celebrari dignam, quae immortalem gloriam tam illi sit quàm tibi sine dubio paritura: ideoque vestrae plurimum gratulor felicitati. An non ille egregie felix, qui virtutibus omnibus heroicis ornatissimus, rebus tot tantisque sapientissime procuratis, gloriosissimeque confectis, post opima illa spolia tam praeclara ad Ticinum partu, quasi splendidius nihil in posterum expectare posset, è vita migrans, uxorem et reliquerit tam piam, tam pudicam, tam doctam, tali praestantem ingenio, eaque facundia et arte scribendi praeditam? ut quantum ille rerum gestarum splendore illustris est, tantum tu scribendo, et unum illum celebrando, clarissima passim habearis: in ambiguoque posueris, utrum ille res illas prudentius feliciusve fecerit, an tu ea doctius et elegantius victurae memoriae commendaris. Magnificentius dicat fortè aliquis Artemisiam fecisse quae marito celebrationis tantae sepulchrum struxerit, ut inter septem orbis miracula nomen habere meruerit. At tu quotidie tuo Mausolea facis, quotidie novas statuas ponis, quotidie columnas erigis, non quas temporis iniuria demoliatur aut perdat, sed quae in animis hominum sitae, nulla unquam fortunae temeritate labefactari possint, nulla vetustatis edacitate consumi. Quem referent Musae vivet, meritò Poetae clamant: et è classe tua unus, isque summus, fabricas has eludens, exegisse se monumentum aere perennius, regalique situ pyramidum altius, gloriatur. Vincis igitur Victoria Artemisiam, quae marito nullo non die monumentum aliquod excitas, non ex marmoribus aut caementis, quae aliquando fatiscere putruscereque necesse sit, sed ex politissimis poematibus, quae donec erit hominum memoria, summa cum utriusque laude perdurabunt.

Evadnem opponet alius, in qua vulgus maiorem quendam affectum charitatemque decantat, quòd fiammis iniecta mariti arserit. Imò superstitio maior ea fuit, ac perinde execrabilior, utpote quae utrique acciderit perniciosa; sibi, quòd se ausu temerario tam atrociter dono vitae privaverit, ijsque affligi poenis voluerit, quas superi mortem sibi consciscentibus statuêre: marito autem, quòd manes eius non ea tantùm morte tam miserabili moestos reddiderit, sed ut de supplicijs etiam eiusdem, si quis apud manes sensus, aeternùm cruciaretur, effecerit. Altera huic non absimilis, P. Cornelia Annia, clara satis faemina, quae ne in desolata orbitate superviveret, vivam se ultrò in arcam cum viro defuncto damnavit. Sed enim furor hic, profectò furor, non amor fuit: cuius verecondiae testimonium ut transiret ad posteros, testamento etiam cavit, ut sacrificio super arcam Plutoni et Proserpinae peracto, ea rosis exornaretur. Sed facessant exempla haec à pietate istitutisque nostris alienissima. Longè gloriosius proferet se forsitan Alceste Admeti Regis coniux laudatissima, quae mori ipsa pro mariti vita, quem fata sub hac conditione damnaverant, elegit: cuius mutuae inter coniuges charitatis exempla, apud Romanos pleraque sunt memoriae commendata. Tu non minori in coniugem tuum affectu succensa, mortem ideo non affectasti, quòd vivendo, vivum nobis maritum ingenij tui clarissimi opera repraesentas, et quod admirabilius est, immortalem facis. Quinetiam dum vivis, eum, quamvis apud superos incomparabili fruatur beatitudine, tuae tamen pietatis officijs, sensu nescio quo, rerumque nostrarum, quaecunque illum tangit, cura, iucundiorem hilarioremque efficis, ac beatiorem. Cùm itaque insignioribus viduis, quae anteacta aetate claruerunt, anteferenda sis, cogitavi ego ex hieroglyphicis lucubrationibus meis Columbam et Turturem tibi dedicare, ut commentarium hoc sanctissimae viduitatis exemplar, non tibi, quae testimonijs his non eges, sed mihi iucunditatis illius, quam ex virtutum tuarum contemplatione percipio, monumentum sit, atque conservatio. Tu quid fusci coloris Columba apud Aegyptis, quid Turtur sacris eorum literis significaret, et quae veluti in comitatum accedunt, si adhibuerit, leges. Ego me satis animo fecisse videor, si quam antiquissimi sacerdotes illi viduitatem quibusdam rerum imaginibus occultabant, nostro tempore per te prodire in lucem, et omnibus innotescere contigerit.

(prima del 1533).

(Dai Jeroglifici composti dall'eccellente sig. G. P. Valeriano. Venetia, G. B. Combi, MDCXXV, dedica del libro XXII, tradotto dal Padre Figliucci Senesse che tratta: «Di quelle cose che per la Colomba, per la Tortora e per la Rondine sono significate, secondo le lettere degl'Egittiani», pag. 274).

È veramente quel detto di Pindaro Prencipe de' Poeti Lirici molto importante, e da farne gran stima: Il quale se ben' è detto in altra lingua e con altro numero, però hà in se questo concetto,

Vita le cose à i versi lunga danno, E i versi assai le cose viver fanno.

Imperoche per elegante, et eccellente, che sia uno scrittore, s'egli si metterà à comporre, e scrivere cose vane, e di niuna importanza, come se volesse vestire una scimia di porpora, non guadagnerà altro, se non che da tutti sarà schernito, e beffato. Ma se poi da uno scrittore inetto, et ignorante saranno celebrati fatt heroici, et illustri, saranno questi suoi scritti dispregiati, e presto dishonoratamente mancaranno. Queste cose meco stesso considerando (honoratissima Signora Vittoria) e pensando alla vostra pietà verso il vostro desideratissimo consorte, e quando io veggo, che i suoi valorosi fatti sono dall'eleganze delle vostre Poesie sì chiaramente ornati, io lo chiamo Prencipe fortunatissimo, il quale, se bene già tanti anni è di questa vita passato, nondimeno per vostro mezo ogni giorno ritorni in vita, e più chiaro, et illustre diventa: E voi non manco beata tengo, la quale havete preso à trattare una così nobil materia, e così degna d'essere celebrata, la quale sia per arrecare senz'alcun dubbio, così a quello, come a voi, gloria immortale. Laonde io pur'assai mi rallegro con voi di questa vostra felicità. Hor non può esser' egli detto sommamente felice, il quale essendo stato ornatissimo di tutte le heroiche virtù poi che tante nobili imprese con somma sapienza à fine hà condotte, doppo quelle così ricche spoglie, che a Pavia guadagnò, talche pareva, che per l'avvenire niuna cosa più honorata aspettar potesse, di questa vita passando, habbi lasciato voi sua consorte, così pia, così pudica, così dotta, di tale ingegno dotata, e di tal facondia, et arte di scriver' istrutta: Che quanto egli per la chiarezza dell'opere sue è illustre, tanto voi scrivendo, e quel solo celebrando, siate in ogni luogo famosissima tenuta; tal che havete posto in dubbio, se, ò egli quelle sue nobili fattioni più felicemente, e più prudentemente habbi operate, ò pur voi a quelle più dottamente, et elegantemente havete data perpetua memoria. Dirà qui forse alcuno, che Artemisia più magnificamente operò, la quale al suo marito fabricò un così celebre, e famoso sepolchro, che hà meritato tra i sette miracoli del Mondo essere nominato: Ma voi ogni giorno al vostro fate nuovi monumenti, ogni giorno nuove statue ponete, ogni giorno nuove colonne rizzate; non tali che l'ingiuria del tempo rovini, ò consumi, ma quelle ne gl'animi de gli huomini collocate, non possono mai da qual si voglia temerità di fortuna esser' offese, da niuna ingordigia di vecchiezza essere consumate. Quello, che dalle vostre Muse sarà ricordato, sempre viverà, e meritamente i Poeti à gran voce ne parlano; e tra gl'altri uno uscito della vostra schiera, e de i principali, burlandosi di queste fatiche, si gloria haver ritrovato un monumento assai più durabile, che se di bronzo fusse, e per il sito regale, ov'è collocato, assai più alto, che le Piramidi non sono. Vincete adunque, ò Signora Vittoria, Artemisia, poichè al vostro marito ogni giorno alzate un monumento; non fatto di marmi, ò di terra con calcina, i quali à qualche tempo conviene, che rovinino, e si guastino; ma di politissimi poemi, i quali finche la memoria de gl'huomini durerà, con somma lode d'ambedue voi si manterranno. Altri sarà, che contra di voi porrà Evadne, della quale il volgo loda un maggior' affetto, e carità peroche ella gettatasi volontariamente dentro alle fiamme, nelle quali il corpo del morto marito bruciava; volle seco insieme ardere. Anzi io dico, che questo non fù maggior' amore, ma sì bene maggior superstizione, e però più reprensibile, poiche questo fu ad ambedue dannoso; à lei percioche con temerario ardire così atrocemente si privò del dono della vita, e volle essere da quelle pene tormentata, le quali i dei a coloro, ch'à loro stessi danno la morte, hanno statuite, et ordinate al marito; percioche con quella morte sì miserabile; non solo diede dolor: e mestitia all'anima sua, ma ancora à quella del marito, perchè fù cagione, che per li supplicij della medesima, eternamente si dolesse, e si tormentasse (se però le anime de morti hanno senso alcuno). Un'altra non molto da questa dissomigliante fu P. Cornelia Annia, donna assai illustre, la quale per non haver' à sopravivere al marito, abbandonata, e desolata, volontariamente si condannò ad essere con il morto marito nella medesim' arca riposta e serrata: Ma questo fù furore, e non amore: fù per certo questo un furore, della qual viltà; accioche il testimonio à i posteri trapassasse, volle ancora per testamento ordinare, che poi che sopra l'arca fusse fatto il sacrificio a Plutone, et a Proserpina, fusse tutta ornata di rose. Ma lasciamo questi essempi, molto dalla nostra religione, e dell'ordinationi nostre lontani. Assai più gloriosamente forse si farà innanzi Alceste consorte d'Admeto Rè, donna lodatissima, la qual' elesse di morire, per campare la vita al marito, il quale era dal fato a morte dannato con questa conditione, se la moglie non moriva. E molti essempi dello scambievole amore tra due consorti appresso i Romani nell'historie si leggono. Voi da non minore affetto verso il consorte vostro accesa, non voleste morire, percioche vivendo, il vostro marito vivo con l'opera del vostro chiarissimo ingegno ci rappresentate. E quello, ch'è più mirabile, lo rendete immortale. E che più? mentre che voi vivete (quantunque egli in Cielo si goda una incomparabile beatitudine, nondimeno con gl'officij amorevoli della vostra pietà, con quel sentimento, ch'egli hà delle cose, che quà giù tra noi si operano, se hà qualche cura di noi) lo fate sempre più felice, e più beato diventare. Conciosia adunque, che voi deviate esser preposta a tutte le più famose vedove, che nelle passate età si sono ritrovate; hò pensato delle mie compositioni intorno a ieroglifici, a voi dedicare la colomba, e la tortora, accioche questo trattato essemplare d'una satissima vedova, sia una ricordanza, et una conservatione; non à voi, che di questi testimonij non havete mestieri, ma à me di quella giocondità, la quale io ricevo per la consideratione delle virtù vostre. Voi, se vi piacerà, sarete contenta leggere quello, ch'appresso gl'Egittiani significasse la colomba di negro colore, e quello, che per la tortora nelle lor lettere s'intendesse, e per gli altri uccelli, che a queste saranno come compagni. Io giudico haver' à bastanza all'animo mio satisfatto, se quella vedovanza, che quelli antichissimi Sacerdoti, con alcuni velami d'imagini di varie cose, occultavano, al tempo nostro per mezzo di voi, avverrà, che'à tutti si manifesti.

1533, 7 maggio.

(Letere di diversi eccellentissimi Signori a diversi huomini scritte, dedicate da Curtio Traiano a messer Angelo dei Motti (s. l. nè a., ma forse Venetia, 1542) car. 43 v.).

Io mi estenderei a far fede a V. Ecc. quanto io adori le sing. vertu sue se non che mi parrebbe porre in questione il conoscimento mio, et il merito loro nè vorrei però o per l'uno farmi stimar ignorante, o per l'altro maligno ma per hora non vo estendermi più se non basciar le mani a V. Ecc. etc. Di Roma a li VII di maggio MDXXXIII.

(1) NB. Questa, che nella suddetta rarissima raccolta è notata come lettera, non è che la chiusa, non più ristampata, di quella segnata n°ree; LVII a pag. 86 del Carteggio.—Per altri rapporti fra il Tolomei e la Colonna cfr.: Tolomei, Lettere, Vinegia, Giolito, 1547, pag. 54, 58, 59, e Firenzuola, Opere, Pisa, Capurro, 1816, t. I, pag. 147.

1534, settembre.

(Dedicatoria delle Egloghe ed Elegie nel libro secondo degli Amori di Bernardo Tasso. In Vinegia per Joan. Ant. da Sabio del XXXIIII. del mese di settembre, car. 106 v. e 107 r.).

Sendo commune instinto di Natura, illustrissima et Virtuosa Signora, che l'huomo di viversi in questo mondo eternamente desideri; et quelli maggiormente, che di più alto, et nobile intelletto sono, non possendosi per constitution di chi ne governa, in questa, che noi chiamiamo vita, gli prescritti termini de l'etate trappassare, chi per una via, chi per un'altra (come meglio puote) questa immortalita di procacciarsi si affatica; acciocchè se Morte, ch'ad alcuno non perdona, a questo lume ne toglie: il nome almeno nelle memorie delle genti si resti vivo. Per la qual cosa, send'io caduto nel medesimo desiderio, et conoscendo, che questi miei scritti da se stessi non possono all'ingiuriose forze del tempo contrastare sì, che pochi anni alla seconda vita non mi tolgano, ho deliberato valendomi del vostro favore, di procurar che con le candide ali del vostro nome, senza le quali di sollevarsi da terra non ardirebbeno, tanto s'inalzino, che rapace mano degli anni nelle ruine del mondo non gli nasconda: Sperando, che, si come sola quell'altissimo grado di perfettione, che in ciascun'arte, et in ogni scientia si ritrova occupato tenendo; Safo, et tutte l'altre nelle bone lettere più famose di gran lunga avanzando, et col volo delle vostre proprie penne sopra le stelle levandovi, havete co'raggi della vostra virtù illustrata questa nostra età, sarete etiamdio contenta, che queste mie egloghe et elegie (1) Oltre le egloghe e le elegie, di cui la presente dedicatoria, Bernardo Tasso indirizzò a Vittoria altre gentilissime rime piene di ammirazione e di lodi, la prima delle quali (se fu servato l'ordine cronologico nella raccolta del Giolito del 1560, pag. 82) fu scritta nel 1527 in Siena, dove Bernardo erasi recato presso il vicerè di Napoli Carlo Lanoja a trattare la liberazione del pontefice Clemente VII. Altre rime furono da lui dettate durante la permanenza di Vittoria nell'isola Enaria o d'Ischia (pag. 107).
Notevole peraltro è la canzone (pag. 101), nella quale si accenna al luogo della nascita e della prima educazione della Colonna:
Ben po il gran Tebro de suoi tanti honori
Por questo in cima; ch'a si nobil'alma
Sien le Ninfe sue state nutrici:
e appresso (pag. 105):
Quand'alma a questa egual mirasti, o Roma,
Fra tanti figli Imperatori e Regi,
Che fecero d'honor sì ricche prede?
O per lei lieta sede,
Sacra di gloria, e di virtute albergo.
Potrai ben dir: se non scendea costei
Dal ciel ne le mie sponde, già sarei
Di Lete al fondo, hor io mi specchio e tergo
Ne l'opre sue e ne' suoi lumi chiari,
Nè più pavento gli anni invidi avari.
Vittoria per esser nata nel 1492 nel castello romano di Marino e da Barone romano fu sempre considerata «Domicella romana».—Piccioni, Lettere ined. di V. C., Roma, Barbèra, 1875, pag. 2. Cfr. Giorn. St. della Lett. It., Torino, 1892, fasc. 55.
vivino nel seno della vostra gloria, et col lume de vostri honori sgombrando le tenebre della loro imperfettione, tanto più volentieri dal mondo lette sieno, quanto più gli ornamenti delle vostre virtù le renderanno belle. Nè perciò di minor obligo vi sarò tenuto, che di molti altri beneficij, de' quali (mercè del liberale animo vostro) m'havete fatto degno: anzi di maggiore; Conciosiacosa, che quelli a difendermi da i disagi di questa nostra vita m'haveranno aiutato, questi da l'eterna morte, et perpetue tenebre de l'oblivione mi difenderanno. (Di Salerno).

1535, 17 giugno.

(Frammento di lettera trascritta in un istromento pubblico del 3 agosto 1548, rogato da notar Marco Ant. Sincero di Palena, esistente nell'Arch. Comunale.—De Padova Liborio, Memorie intorno alla origine e progresso di Pesco Costanzo, Monte Cassino, 1866, pag. 72 e 73).

Vittoria ringrazia l'Università di Pesco Costanzo di un donativo da essa ricevuto di prosciutti, cacio, semola, castroni, ecc., ed in contraccambio le condona i pagamenti fiscali arretrati e dichiara di essere contenta di ricevere quello in corso, metà alla fiera della Maddalena e metà a quella di Lanciano del mese di Agosto, poscia ordina che sia nominata una commissione edilizia per sovraintendere e dirigere la costruzione del borgo che allora edificavasi fuori del Castello baronale. Le parole della lettera sopravissute alla quasi totale rovina della pergamena originale contenente il detto istromento sono le seguenti:

«In quanto al fatto de alcuni che cercano costruirse… case de novo, perchè ce sia alcuno ordine sì in edificarle convenientemente, como perchè se ne accomode chi… tene bisogno, volemo che sopra ciò omne anno, o como alla Università meglior parerà, per ipsa se faccia electione de tre o quattro homini da bene con lo Camerlingo che serrà, li quali habiano da haver notitia da quelli tali che haverrando bisogno de loco per farse casa, et quelli soli cel habbiano da consignare dove et como meglior li parerà, et nesuno presuma farlo nè pigliarlo senza expressa licentia et ordine delli predicti electi per la Università, li quali ex nunc noi confirmamo, et alli dicti in ciò si habia da obedire et qualsivoglia presumerà controvenire incontrerà la pena de venticinque once, et perderà…. de posser edificare, et ad memoria et observantia de questo ordine, se conserve la presente con le altre scripture de la Università…. ad tale effetto como qualsivoglia altra scriptura che in ciò fosse stata necessaria et oportuna così dicta Università et…. intendano essere nostra volontà. Datum Gennazzani XVII Iunii 1535.

Post scriptum. Volemo che havendose alcuno designato alcun loco per lo far de case, dicta Università et electi per essa possa et possano retractarlo, et provedere come li parerà.

(fine del 1535 o principio del 1536).

(Copia nella Vita di Vittoria Colonna scritta da Filonico Alicarnasseo. Roma.—Biblioteca Barberini, Cod. ms. LV, 47, car. 95, e LIII, 111.—Biblioteca Ferrajoli, Cod. ms.'s. n. fol. 122 r.—Volpicella, Museo di scienze e letteratura, nuova serie, anno 1, vol. III, Napoli, 1844) (1) La marchesa di Pescara eccita il fratello Ascanio a maritare la figliuola Vittoria col principe di Sulmona Filippo Lanoja, figlio del defunto vicerè di Napoli, cedendo ai prieghi dell'imperatore Carlo V, che dal 25 novembre 1535 trovavasi in Napoli reduce dall'impresa di Tunisi. L'imperatore riguardava il giovane principe come suo figliuolo e da molti era ritenuto per tale. Ascanio dapprima promise, poi, come scrive Filonico, pretestando «la mala sodisfattione de i suoi parenti» (Cod. Barberiniano, LV, 47, car. 8) negò la mano della figlia; «di qual cosa sdegnato Cesare benchè dissimulasse, riman quieto aspettando tempo più comodo et opportuno per pagarsi di lui». E noto l'abbandono in cui Carlo lasciò Ascanio nella lotta impari che questi sostenne contro Paolo III, il quale potè così privarlo di tutti i feudi in Campagna di Roma, ed è pure nota la lunga prigionia che Ascanio incontrò, per ordine dell'imperatore, nel Castelnuovo di Napoli, dove
morì ai 24 marzo 1557 (Bertolotti, La prigionia di Asc. Col., Modena, 1883, e Giornale araldico, Pisa, anno XVIII, f. 9—10, pag. 153. Tordi nel Carteggio di V. C. cit., pag. 373).
Carlo V partì di Napoli il 22 marzo 1536 «non senza lasciar prima concluso et effettuato il matrimonio del Principe di Sulmona con Isabella Colonna duchessa di Trajetto, figlia di Vespasiano Colonna e vedova di Luise Gonzaga» (Gregorio Rosso, Ist. delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, Nap., Gravier, 1770, pag. 70). Il qual matrimonio ebbe luogo con grandissima solennità nel castello di Capuana ai 21 marzo 1536 (Notar Antonino Castaldo, Historia, Nap., Gravier, 1769, p. 55; Broccoli, Di Vitt. Col. e dei due Galeazzi di Tarsia, Nap., Pansini, 1884, p. 56).
Vittoria Colonna giuniore era avvenente e colta giovane e si piccava anch'ella di poesia; Annibal Caro scrivendole di Roma il 15 febbraio 1551 le dice colla solita adulazione, paragonandola alla defunta sua zia la marchesa di Pescara: «poichè del medesimo sangue, col medesimo nome, ed ornata delle medesime doti, non pur succede a lei; ma così giovanetta, com'è già la pareggia di grido, e di gran lunga l'avanza d'espettazione» (Lettere familiari, Venezia, Remondini, 1751, vol. I, pag. 231). Splendide lodi le prodigavano pure Bernardo Tasso (Lettere, Padova, Comino, 1733, vol. I, pagg. 134, 589, 590); Giovio e Vincenzo Martelli (Lettere di XIII huomini illustri, Venetia, Comin, 1564, pagg. 2, 45); Lodovico Paterno (Le nuove fiammè, in Lione, Rovillio, 1568), e Gio. Ant. Serone (Turchi, Lettere facete, II, pag. 255).
Quello che Giovio scrive in data 22 novembre 1512 (leggi 1546) a Stefano Colonna: «Il maritaggio della signora Vittoria batte tra il duca di Bragantia, duchino di Savoia, et il marchese di Pescara; l'uno è troppo lontano, l'altro è troppo fuor uscito, et l'altro, è troppo tenerello. Dio inspirar à una Santità nel manco male»—non si riferisce mica a Vittoria Colonna seniore, come vorrebbe Giambattista Rota (Vita di V. C. innanzi le Rime, Bergamo, Lancellotti, 1760, pag. viii), nè a Vittoria Colonna giuniore come intende Pietro Ercole Visconti (Vita di V. C. premessa alle Rime, Roma, Salviucci, 1840, pag. LXV e seg.), ma sibbene a Vittoria figlia di Pierluigi Farnese e nepote di papa Paolo III. Ciò risulta evidente dalle trattative del Caro (Lettere inedite, Milano, Pogliani, 1827, t. I), e specialmente dalla sua lettera alla marchesa del Vasto in data 20 di marzo 1547 (ivi, pag. 169), nonchè dalle testimonianze dell' Affò (Vita di Pierluigi Farnese, Milano, Giusti, 1821, pag. 106) e del Litta (Famiglie illustri italiane—Farnesi duchi di Parma, tav. XII).—Ma il racconto più genuino delle trattative a favore del marchese di Pescara ce lo fa Hieronimo Tiranno con la lettera alle duchesse d'Urbino in data di Roma 11 dicembre 1546 (Arch. di Stato di Firenze, filza d'Urbino, n°ree; 266, lett. 589): «Per l'altra (pratica della parentela) della S.ra Victoria nipote di sua S. sono stati mandati ultimamente in Lombardia un Medico Papale, et il Gentil'huomo che sta al Governo della p.ta S.ra per far notomia della persona del Marchese del Vasto, et per chiarirsi se habbia difetto o no nel corpo suo. Ma a me vien detto che sono tutte parole che si danno alla povera giovane, non havendo sua S. intention di maritarla nè qui nè altrove per haver inteso dagli Astrologi che queste nozze della nipote sono come fatali et terminative della vita sua».
Vittoria Farnese, dopo queste ed altre molte proposte di matrimonio, da diventare la favola di Roma, fu dal papa data in moglie al vedovo Guidobaldo II della Rovere duca d'Urbino il 1°ree; giugno 1547, e il Caro si rallegra con lei il 5 luglio seguente del «suo felicissimo maritaggio» (Lettere famigliari cit., t. I, pag. 195). Cesare Gallo le indirizzò l'Epitalamio pubblicato dall'Atanagi.—Ho creduto trattenermi intorno a questa donna anche perchè Muratori lascia credere che il di lei sposalizio fosse avvenuto dopo la morte atrocissima del padre, mentre questa accadde il 10 settembre seguente (Affò, op. cit., pag. 179. Caro, Lett. inedite, l, pag. 187).
Vittoria Colonna giuniore, mercè i buoni uffici della madre Giovanna d'Aragona, sposò finalmente nel febbraio 1552 Don Garzia di Toledo marchese di Villafranca e poi vicerè di Sicilia, «ricco di stato, et de robba» e che teneva «una grossa intrata viva et de provisione che le da la sua Maestà (Carlo V) de più de sexanta milia docati in circa» (Cod. ms. Alteamps, pag. 19.—P. E. Visconti, Vita di V. C., pag. LXVI). Le sponsalie furono «senza far festa nè solennità veruna» celebrate in Castel dell'Ovo, e il 2 aprile 1552 il Caro si congratula anche con quest'altra Vittoria del felice maritaggio» (Cod. Barber. cit., car. 343; Lettere fam., II, pag. 14, n°ree; 11).
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Contener non posso, fratello, di non rammaricarmi della natura che in farmi donna mi togliesse l'arbitrio di perpetuar la casa mia, poichè creando in sesso differente l'essenza vostra con periglio di traboccarla trascuratamente vi guida. Et che sia il vero seguendo le vestigie malvagie di nostri antichi Progenitori per sodisfare a chi insin a quest'hora non conosceste, moveste l'arme contro la Chiesa, spogliaste con la fattione il Palaggio Pontificale, et introduceste l'essercito imperiale dentro della patria con profanatione di chiese, sacchi di facoltà, dispregio di Dio et violation di tante vergini sventurate che non havean peccato nè tenean colpa nelle pazzie che trapassavano ogn'hora per i vostri sciolti et vagabondi cervelli.

Navigaste su le galee senza sguainar la spada ne giorni vostri pur una volta in così fiera e sanguinosa baruffa, perdendo in Roma quel che era vostro, sicuro dell'altro che in Regno havevate. Cinto di moglie, carco di prole, e streto di obbligatione, giacchè indi a tante fortune, e penosi travagli, et tanti angosciosi risighi padron, la Dio mercè, vi trovate della hereditaria possessione in Roma, sicuro nel Regno di quanto conseguiro i nostri antepassati progenitori, non so con qual chimera mancar procacciate di adempir sul matrimonio di Sulmona quanto a Cesare prometteste di fare. È costui nobile, per quanto odo, sendo la progenie di Mongoval Lanoij in grande istima in Brabante; è costui figliuolo del Vicerè Don Ciarles e legitimo successore d'ogni suo havere, atto a passar più oltre col favor et gratia del Padrone, di qual espettatione vi dà pegno haverlo Cesare reputato suo figlio parlando a voi. Dall'altro lato Donna Vittoria è femina in età tenerella, ha sorelle in sua compagnia, ha tre fratelli in vita ben complessionati e disposti, et siete altresì obbligato per legge di generatione collocarla, farla padrona di casa sua, et ridurla nell'honor del mondo, et così essendo pensate, fratello, locar costei forse nel Cielo? È alto molto per vi arrivare. Pensate forse ridurla all'orco sendo sempre con i spiriti accompagnato? (1) Ascanio «fu in tanta opinione circa le scienze, che un tempo si disse ch' egli nella Magia naturale avanzasse ogni altro Dottore de' suoi tempi». Così Notar Castaldo, Ist. cit., pag. 135. Del resto la Magia, ossia scienza occulta, era allora uno studio assa comune e lo stesso papa Paolo III pare non ne sentisse orrore (Muratori, Annali, ed. cit., anno 1549, p. 398, col. II). la strada è chiusa. Pensate forse collocar lei con alcuno dei vostri famigliari e favoriti, ciò non farete se all' opra di Bisignano (1) Vedi Notar Castaldo, Ist. cit., pag. 114. riguarderete che da che dire al mondo. Ne more il conte di Policastro senza difesa et di veleno insidiata la contessa sorella, corre in vano il fratello più volte in Corte, lascia il collo nel talamo del Mercato il commendator Pignatello (2) Cfr. Gregorio Rosso, Ist. cit., pag. 49; Notar Castaldo, Ist. cit., pag. 60. che ciò presume.

Che sarà dunque, fratello, il pensier vostro? darla per avventura al Re nostro? Have egli l'Imperatrice nel cuore. La darete a Filippo suo successore? nè meno, è solo nè gli conviene, e poichè balestrarla in tanta altezza non stà in mano vostra, a chi pensate darla poichè ad un principe bello, ricco, nobile, giovane, et in conto e favore del suo padrone dar la niegate? Pensate per avventura collocarla in Ispagna, come accader potrebbe per quel che vedo, se ciò fuggite? Dunque discacciate, fratello, i spirti mal persuasori dal vostro capo, et invocate il divin soccorso, concorrete con l'opinione et volere del padrone vostro così per quiete della sua mente, come anco per haver avvocato appresso di lui; il congiungimento, fratello, è degno et uguale per tutti j lati, il laccio è uguale e d'un'istessa seta intessuto, in altra guisa vi profetizzo turbolenze, e travagli e questo nasce che sdegnato Cesare con esso voi lasciarà di aiutarvi sendo d'alcun pontefice travagliato et così essendo, voi fuggirete s'haverete il tempo et ingannato darete al laccio nel quale vi ha tenuto avvolto Satanasso lunga stagione.

(1) Il card. Contarini fu grande amico di Vittoria, come si apprende dal Carteggio, dall'Epistolarium Reginaldi Poli S. R. E. Cardinalis, Brixiae, 1748, Pars III, pagg. 17, 19, e dal Cod. Vaticano, n°ree; 5967, car. 245, 246, ecc.—Di questa lettera leggesi una versione latina a pag. 597 dell'Opera Gasparis Contereni Cardinalis, Parisiis, Nivellium, 1571; ho preferito la lezione italiana perchè sembra stampata anteriormente, ha l'indirizzo e la data e di essa soltanto fa menzione mons. Beccadelli nella Vita del Card. Contarini (Monum. di varia letterat., Bologna, 1799, t. I, par. II, pag. 59).—Il Bembo inviò a Vittoria, in Orvieto, l'Epistola de Justificatione scritta dal Contarini a Ratisbona ai 23 maggio 1541 (Mon., cit., pagg. 150 e 177).

1536, 13 novembre.

(Quattro lettere di Monsig. Gasparo Contarino, Cardinale. In Fiorenza, Torrentino, MDLVIII, pag. 57 a 76).

Eccellentissima, et Illustrissima Signora. Poi che Vostra Eccellentia, con sue lettere, et il nostro Messer Luigi (Priolo), per nome di quella, m'ha fatta molta instantia, ch'io le scriva, et esponga, qual sia l'openion mia, di questa materia, tanto al di d'hoggi volgata, et disputata, cioè, del Libero Arbitrio, ho voluto più tosto, etiandio errando, obedirla, che non sodisfare alla richiesta sua, anchora ch'io conosca, questa esser materia, molto difficile; et superar di gran lunga le mie poche forze, et difficilmente poter sodisfar alla sublimità dello ingegno di quella. Pure per sodisfarla (com'io ho detto) in quel, ch'io posso, discorrerò quanto m'occorre al presente, circa questo; et cominciarò dalle cose, che naturalmente, et per la Filosofia, sappiamo del Libero Arbitrio; et poi veniremo alla Dottrina Catholica, et Christiana di quello. Nè spaventi Vostra Ecc. questo nome di Filosofia. Perchè non sarà quella vana, la qual repudia San Paolo, ma sarà quella vera, per la quale il lume naturale, impresso da Dio nel nostro intelletto, ne dimostra la verità, in tutte le cose, che sono allui sottoposte. Il qual lume, è una derivatione, et partecipatione del lume divino, inserto nella nostra natura; et non estinto in tutto in noi, per il peccato.

Diciamo adunque, per dar principio a questo nostro discorso. Ch'a saper ben la Natura del Libero Arbitrio, neccessario è prima, che ben'intendiamo quello, che vuol dire, et quel, ch'importa questo nome Libero, et poi veniremo al Libero arbitrio.

Debbiamo sapere, che si come colui è servo, che non è a posta sua, ne si move nell' operationi, le quali fa, come servo, da se stesso, ma è mosso dal patrone; così per contrario, libero è colui, il qual è di se, et non d'altri, et si muove da se, et non da altri. Onde quanto una cosa, sia qual si voglia, è più rimossa, da esser mossa a posta d'altri, ma si move da se medesima, tanto è più rimota dalla servitù, et più s'accosta alla libertà. Hora fatto questo fondamento, notissimo a ciascuno, applichiamolo al particolar, cio è, alle cose particolari, et cominciamo dalle cose inannimate, come la Terra, i Sassi, et l'altre simili. Una Zolla di terra, un Sasso, possiamo movere, o vero all'ingiu, lasciandolo descendere al basso, o l'insu, gittandolo nell'aere. Di questi due modi, uno è naturale, cio è, il discenso, l'altro è violento, ch'è l'ascenso. Dico che nel moto dell'ascenso, è in tutto servo, nel moto del discenso, non dico, che sia libero, ma più s'accosta alla libertà, che nel moto violento dell'ascenso. Imperoche nel moto naturale, si move quella zolla, dall'inclinatione, et gravità intrinseca, nel violento, non si move d'alcuna cosa ad essa intrinseca, anzi contra l'inclinatione intrinseca, sforzata dalla violentia dell'impellente. Onde in questo moto, è in tutto serva. Nel moto naturale, perch'è, da principio intrinseco, si discosta dalla servitù, et accostasi alla condition del libero. Non è però Libera, perchè si move per quella impression di gravità. Della quale il sasso, o ver la terra non è stato autore, ne causa, ma l'ha havuta da quella causa, che l'ha generato, et però si move secondo la legge, che gli è stata data. Onde non solamente non diciamo, che sia libero, in questo moto naturale, anzi dicono i Filosofi, che non possiamo dir, che si mova da se, ma ch'è mossa dalla causa generante. Et è connumerata fra quelli mobili, che sono mossi da altri.

Da questi ascendiamo agli animali brutti. De quali dice Aristotile, che si movono da se, perchè si movono dalla cognition propria del senso loro, alla qual seguita l'inclination dell'appetito loro, a perseguir quello, che conoscono, ò vero, a fuggirlo. Adunque movendosi per l'inclination dell'appetito, la qual è causa dell'operation loro conoscitiva, s'approssimano più all'essere liberi, che non fanno le cose innanimate. Le quali hanno l' inclination ne moti lor naturali, non da se, ma dalla causa generante, onde si movono da se, et non da altri, come diciamo farsi nelle cose innanimate. Et qui incominciamo a vedere Arbitrio, ma non anchora, libero. Ne gli animali brutti, è arbitrio, perchè v'è cognitione, et certa esistimatione delle cose, che comprendono, ma non è libero, perchè non è da se, ma dalla natura, secondo l'impression dell'obbietto. Onde non conoscono il fin de lor moti (dico) come fine, et secondo la natura di fine. Nè conoscono la proportion, c'hanno li mezzi, per li quali procedono ne lor moti ad esso fine; ma sono guidati dalla natura. Si come dicessimo d' un fanciullo nella prima età, che incomincia a imparare l'alfabetto, il qual è condotto per mano dalla notrice, o dal pedagogo alla scuola; anchora che questo fanciullo si mova, da per se, caminando co' propri suoi piedi, et vada a la scuola, per la qual camina, et poi vede la scuola, dov' è condotto; non fa però che l'imparare in quella scuola, sia il fine, per il quale ha fatto quel camino, nella proportione, et convenientia, la qual ha la strada, che 'l fa pervenire alla scuola, ma è guidato dalla notrice. Il simile interviene agli animali. Per l'augustia della virtù conoscitiva, et per conseguente del'appetitiva in loro (si come di sotto diremo più ampiamente) non conoscono il fin, come fine; nella proportione, c'hanno i mezzi al fine: ma sono condotti dalla natura, con la lor cognition però, et appetiti, per i debiti, et determinati mezzi al fin loro. Et che la natura gli conduca, et non il proprio lor giuditio, Aristotile nel secondo libro della Fisica, testo et com. 80. lo dimostra per questo segno, cio è che tutti d'una istessa spetie, operano a un medesimo modo, nè varia l'un dall' altro. Onde seguita, che sono mossi non da proprio, et particolar giuditio loro, come da principio, il quale in diversi, non potrebbe sempre essere uno, ma da un superiore, il quale guida tutti essi. Diciamo adunque, che gli animali brutti, si movono da se, et però sono più liberi ne loro moti, che le cose innanimate. Si movono anchor con loro arbitrio, ma non libero, si come habbiamo discorso di sopra.

Et se Vostra Eccellentia, vuol intendere la causa di cio, io brevemente la esplicarò. Et questa parte, sia preambula a vedere, et intendere qual sia il Libero arbitrio dell'huomo, et onde sia, et l'angustia della Virtù conoscitiva, et della Virtù appetitiva, d'esso. Perche ad havere arbitrio, et giuditio libero, bisogna essere capace di comprendere tutte le cose, la Natura loro, la proportion, c'hanno insieme, la Bontà, lor maggiore, et minore. Il che non può essere in altra virtù conoscitiva, se non in quella, che conosce la Natura del Bene universale, et per conseguente, i beni particolari, contenuti sotto quella Natura universale. Bisogna anchor per conseguente, haver l' Appetito non angusto, determinato a un certo particolar bene, ma ampio, capace, d'ogni Bene, et del bene universale. Onde non essendo negli animali brutti, questa Potentia comprensiva, del bene universale, ma di certi particolari, convenienti a loro, et l'appetito anchora angusto, et determinato proportionato alla cognition loro, non hanno Arbitrio libero, si come uno, ch'è chiuso in una camera, ò ver sala, onde non possa uscire, non è libero, ma sta, a posta di colui, che l'ha rinchiuso, così gli animali brutti, non hanno arbitrio libero, ma determinato, et conchiuso, fra certi stretti termini.

Hora conoscendosi bene un opposito, per l'altro ascendiamo all'huomo, et vedremo chiaramente, c'ha l'Arbitrio libero, per sua natura. Imperoche essendo dell'huomo una potentia appetitiva, che seguita l'intelletto, a tanto si estende, a quanto s'estende lo intelletto. Onde essendo lo intelletto ampissimo, perchè intende tutte le cose, la volontà è anchora ampissima, et s'estende a ogni cosa, a ogni sorte di bene, et al bene universale. Onde precedente l'elettione, si move al fine, come fine, et elegge i mezzi, come proportionati al fine, secondo che le pare. Onde l'huomo si move da proprio arbitrio, et libero, et s'estende a tutti gli beni, et al bene universale. Ecco quello ch'è Libero Arbitrio, et perche causa, è solamente nell'huomo, et non ne gli animali brutti.

Hora procediamo più oltre in questa volontà humana, et vedremo

Come conservi questo Libero Arbitrio. Et come vegna alla perfettion d'esso. Et poi come lo diminoisca. Et finalmente lo ponga in servitù.

Ma prima aggiungiamo un' altra cosa, per poner fine a quel, c'habbiamo detto di sopra della volontà, et libero arbitrio. Noi habbiamo esposto, in universale, la natura della volontà, et del Libero Arbitrio, ma perchè la volontà, è principio di tutte l'attioni humane, le quali sono circa i particolari, bisogna anchora, c'applichiamo al particolar quello, c'habbiamo detto in universale.

Diciamo adunque, che questa inclination della Volontà nostra, al Bene universale, bisogna, ch'essa l'applichi al particolare. Et perchè l' Appetito del fine, è il primo, dal quale si regolano tutti gli altri appetiti, la Volontà nostra, ha per fin suo, quel Bene Universale, nel qual son tutti gli altri Beni, che chiamiamo anchora Beatitudine, et Felicità. Ma perchè lo intelletto, non vede chiaramente in questo stato, nel quale siamo, dove sia posta questa Felicità, et dove consiste la Beatitudine nostra, et la inclinatione è depravata, come diremo poco di sotto, però diversi huomini constituiscono, et pongono la Felicità, in cose diverse. Ma il vero fine, è quello, che contiene ogni bene, cio è, Dio Benedetto. Onde allhora l'huomo, ha veramente il Libero Arbitrio, quando ha, si come in universale, il Bene, così in particolare, il Bene, che contiene ogni bene, et la natura d' esso bene, et à quello, indrizza tutte le sue operationi.

Qualch' uno qui mi dimanderia. Dimmi. Non appartiene alla Potentia del Libero Arbitrio, di poter dechinar da questo fine, cio è, Dio, et poner qualche altra cosa, per ultimo fine?

Hor qui rispondo accioche non s'inganni. Che non è d'attribuire alla Potentia del Libero Arbitrio, nè alla sua libertà, il poter dechinar, da questo fine, a un altro, anzi, questo è Impotentia, et è recidere dalla libertà, et tendere alla servitù. Il che manifestamente si comprende, dal discorso fatto di sopra.

Habbiamo già detto, che la causa della Libertà, è l' Amplitudine della volontà, et la causa della Servitù, è l' Angustia. Non vedi tu, che tanto, s'estende il moto della Volontà, quanto, è l' ultimo fine; dal qual si regolano, tutte l'altre sue operationi? Se tu adunque ti partirai da Dio, ch'è il Bene Universalissimo, che contiene in se ogni essere, et collocarai il tuo ultimo fine, in altra cosa, tu ti partirai dall' Amplitudine, et ti porrai nell' Angustia, perchè ogni altra cosa, è in infinito, più angusta di Dio; et così dalla Libertà, andarai alla Servitù. Il potere adunque dechinar da Dio, non è potere, nè potentia; si come il poter zoppicare, il poter essere offeso, non è potentia, ma impotentia; come dicano ancho i Filosofi, nè appartiene alla libertà, essendo via di destruerla, et d'andare alla servitù.

Hor da quel, c'habbiamo fino a qui detto, appare quello c' habbiamo di sopra differito di dire. Cio è. Qual sia la Vera libertà, et il modo di conservarla, et la perfettione d'essa; et allo 'ncontro, qual sia la via di sminuirla, et farla serva; et il perficere questa sua virtù, et il conservar la libertà della volontà, et conservarla nell'Amplitudine del bene, nè dechinar da Dio, ad altro fine angusto. La perfettion di questa libertà, è il non poter dechinare da essa, rimovendo quella impotentia, benchè chiamiamo potentia, lo imminuire la libertà, et dechinare dal Bene universale, in qualche particolare, ponendolo per ultimo fine. L'essere in quello fiso, è il farla serva. Il perder la potentia di ritornare a dietro, et essere immutabile da quel fine, è perdere perfettamente la libertà vera, et far la volontà serva. Rimane nientidimeno il Libero Arbitrio, fatto però servo: perchè rimane quella potentia natural dell'anima, rimane la cognitione, et la inclinatione al Bene universale. Onde seguita. Che quel tale, quand' opera in quella servitù, operi non ispinto dalla Natura, come gli Animali brutti, ma mosso da se, et da suo giuditio. Fin'a qui habbiamo veduto la vera, et naturale libertà, della libertà, et la servitù sua, contra natura.

Et perchè fin hora habbiamo parlato come Filosofi voglio anchora, che procediamo un poco più oltre, pur come Filosofi, per dichiarar più che possiamo, questa difficillima materia.

L'esperientia dimostrò a i Filosofi, anchora, che non sappessono altra causa, che l' huomo dalla sua natività, era inclinato al male, non dico solamente per l'appetito sensitivo, et carnale; ma dico, per la inclination della volontà. Videro ch'era inclinato alla Superbia, all'Invidia, all'Avaritia, che sono malitie spirituali, et non corporali. Onde dice Aristotile nel 6. della Politica, cap. 2. et 4. Ch'è buono; ch'ognuno, quantunque sia nobile, grande, et in supremi magistrati in una Republica, sia obligato, a render ragione al popolo, ò vero, ad altri, delle sue operationi. Et soggiunge la ragione, dicendo quasi queste formali parole. Perchè il poter far quello, che l'huomo vuole, non può contenire, et comprimere il male, ò ver la malitia, ch'è, in ciascun'huomo. Vede V. E. quanto espressamente dica, il diffetto nostro naturale, cio è, ch'è derivato, con la Natura nostra, in noi. Platone, et i Platonici, come Porfirio, ritrovorono anchora certe espiationi, come recita Sant'Agostino. Sia fino a qui detto della volont, nella qual consiste il Libero Arbitrio, che da lei deriva nell'appetito sensitivo dell'uomo, il qual la Natura ha fatto a un certo modo, ragione. Perche l'ha fatto atto, a obedire alla ragione. Si deriva poi questa libertà, a moti de i membri del corpo, et a tutte l'altre operationi humane. Le quali in tanto sono humane, in quanto sono volontarie. Hora ci basla, fino a quì essere stati Filosofi.

Veniamo hora alla verità della Fede Catholica, dove vedremo, chiaramente esplicato, il rimedio chiaro, il quale essi hanno sognato. A noi per la Scrittura Sacra, è stato rivelato, che Dio, creò l'uomo retto; et esso, cooperante l'invidia del Diavolo; ci ha posti in diffetti inestricabili. Ne Dio fece la morte, ma hebbe adito nell'huomo, per il peccato. Questa Rettitudine, nella qual Dio creò l'huomo, fu la Giustitia Originale. Nella qual si contien la vera libertà dell'huomo: perchè la Volontà, non solamente era volta, et inclinata al Bene, in universale, ma in particolare, era inclinata a Dio, com'al'ultimo fine: per il qual regolava tutte le sue operationi. Onde non era angustata, nè ristretta, ma spaciava libera per ogni Bene, et per ogni essere. Onde non haveva in se ostacolo alcuno, ma somma pace, et tranquillità. Imperoche le Creature, et tutto il bene, et l'esser loro, è in Dio, unito in una semplice unità. Nè c'è li, fra l'essere, et il bene, delle Creature, alcuna repugnantia, alcuna contrarietà, ma ogni cosa, è una semplicissima unità. Et poi descendendo da Dio, nelle Creature, perchè si fa angusta, incomincia haver repugnantia fra se, et in alcuni, contrarietà. Perchè la Natura d'una Creatura è difinita dalla natura dell'altra; ne si possono accoppiare insieme: perchè non può essere un huomo, et cavallo insieme: ne Arcangelo, et Serafino insieme, et discorrendo poi a maggior angustia, incomincianno esser contrarie fra loro. Onde l'una corrompe l'altra, come veggiamo in queste cose inferiori, generabili, et corruttibili. Le quali però tutte, nell'Amplitudine Divina, sono una cosa medesima, senza alcuna repugnantia. Così la Volontà nostra, quando fu veramente libera, posta in Dio, non haveva alcuna repugnantia, come dice il Profeta, nel salmo 118. Pax multa dilingentibus leges tuam, et non est in illis scandalum. Fu adunque creata la Volontà nostra, in questa rettitudine, et in questa vera libertà. Ma perchè non fu creata immobile in questa rettitudine, et libertà, havendo quella impotentia, detta di sopra, di potersi applicare ad altro ben particolare, com'ad ultimo fine, dechinando da Dio, ch'è il Bene Universale, tentata dal Diavolo, et mossa dalla promessa fattale, che dovevano essere come Dii, dechinò dal bene universale, cio è, da Dio, et si voltò a se medesima, ponendo l'ultimo fin suo in se, nell'essaltation sua, ne commodi suoi, et non Dio. Onde pigliò una piega molto pernitiosa, dalla qual seguitò, che lo intelletto, massimamente operativo, s'annichilò, pigliando, quando viene all'operare, il principio di suoi discorsi, dalla inclination della Volontà. Imperoche, come dicano i Filosofi, nell'operare, l'inclination della parte appetitiva, constituisce 'l fine allo intelletto; come toccheremo poco di sotto. In questa Giustitia Originale, l'Appetito sensitivo era in tutto soggietto alla ragione. Onde era molto partecipe della libertà, innalzato dalle sue angustie. Et così discorrendo, il corpo era soggietto all'anima. Ma noi usciamo molto dal proposito nostro, di trattare del Libero Arbitrio; però lasciaremo l'altre conditioni della Giustitia originale.

Hor si come l'Appetito sensitivo era fatto quasi Rationale, così rivolta la Volontà da Dio, a sè stessa; l' Appetito sensitivo si rivoltò dalla Ragione, a se stesso: dove nacquero infinite cupidità, infiniti timori, et infirmità. Onde avvenne, ch'essendo lo intelletto nubilato, nel primo principio dell'attioni, constituendo per fine ultimo, il ben proprio; nè discernendo se medesimo, s'inviluppò insieme col senso, et con il corpo, et si fece carnale, constituendo il fin suo, nella Voluttà del corpo, et di fuggir l'incommodi, et le tristezze corporali. Et questa Corruttione è poi chiamata da Christiani, il Peccato Originale. Del quale, io non voglio, c'hora parliamo, ne perscrutiamo d'esso, in quanto è colpa, ma solamente in quanto, è egritudine dell'anima, et a proposito del Libero Arbitrio.

Hora essendo nella natura humana, questa Corruttione, et questa Egritudine, fu, come diciamo di sopra, conosciuta da Filosofi, per quel che dettava la Legge naturale, et per l'esperientia, che vedevano. Onde cercarono di ritrovare 'l rimedio, et la medicina. Et vedendo l'inclination prava, pensorono, che con l'assuetudine nell'operare virtuosamente, la si potesse mutare, et farla retta. Insudarono nella Filosofia Morale, nelle Virtù, che sono habiti, et inclinationi, al Bene. Ma essendo l'egritudine, nel principio primo dell'operationi humane, cio è, nell'ultimo fine d'esse; nel qual la Volontà era fatta obliqua, et lo intelletto, ogni fiata, che s'inchinava all'operare obnubilato, perchè seguiva l'inclination dell'Appetito, in l'ultimo fine di sua natura, quest'egritudine è incurabile, sì come nel corpo l'egritudini, che sono infisse, nel primo principio della vita, et dell'humido radicale, sono incurabili, per via della Natura. Et però i Filosofi qui inciampavano. Onde Aristotile vuole nel primo dell'Ethica, cap. 3. che quello Auditore della Scientia Morale, non sia idoneo, il qual non è prima ben consumato, et assuefatto per l'educatione, alle buone opere. Perchè vedeva, che dallo intrinseco naturale, questa egritudine, ch'era nel principio primo, non si poteva per quella via sanare, volse, che 'l principio fosse estrinseco, per la buona institutione. Poi (come si può credere) dubitando anchora, non parendogli quello, c'haveva detto sofficiente, dubita. Se la Felicità, avviene all'huomo da Fortuna, et caso, o ver d'assuefatione, o vero sia Don di Dio. Et dice, che se l'huomo, ha in ogni altra cosa, Dono alcuno da Dio, si dee stimar, che la Felicità, sia Don, di Dio: ma che noi potevamo far assai, con la buona assuetudine, et con il sapere, et ch'era meglio, et più divino, che noi, anchora fossimo Autori della nostra Felicità. Poi nel testo della Politica cap. 2. et 4. dice quel, che di sopra diciamo. Platone in molti luoghi dice, che l'esser Buono, è don, di Dio. I Platonici posteriori, come diciamo di Porfirio, andarono più oltre, ma cascorono in maggior errore perchè dissero, che gli huomini havevano bisogno d'espiatione, et purgatione. La quale egli attribuisce agli Angeli, ò ver buoni Demonii.

Vede Vostra Ecc. chiaramente, dove ne conduce la Natura, et la Filosofia Naturale, et Morale, non quella repudiata da San Paolo, superba, elevata sovra i suoi termini, ma quella, che considera l'opere di Dio, et sta ne termini suoi prefissi. Perchè quasi vi conduce a mostrarvi il vero, cio è, che dopo, che c'è dimostrato, per il lume della Fede, diciamo, hor questo, è quello che mi mancava, et in confuso, n'haveva una debol cognitione.

Ma ritorniamo alla Verità Catholica, la quale ne dimostra, c'habbiamo bisogno, per uscir di quest' egritudine, per se incurabile, d'aiuto esteriore, nè d'altro, che di Dio. Il qual solo penetra la mente nostra, et di dentro operando, muta l'inclination della Volontà, et l'indrizza verso Dio, per lo Spirito Santo, ch'infonde in essa. Habbiamo bisogno d'espiatione, in quanto, questo è peccato, et colpa. Il mezzo mo, di pervenire a questa espiatione, et a questa gratia, è Christo, et la Fede formata di Charità, nel Sangue suo. Et così incominciamo a liberarci di questa Egritudine, in questo mondo, con la Fede, et Sacramenti della Fede. Et così incominciamo ad haver per ultimo fine, Dio, et non noi medesimi. Incominciamo non cedere alla Concupiscentia, et infermità dell'Apetito; ma resisterli, et superarle. Pur ci rimangono le relique di questo, fin che viviamo in questa carne peccatrice.

Questa è la Sententia Catholica, alla quale quasi ne conduce il Lume Naturale. Questo basti per hora haver detto a Vostra Eccellentia, in questa difficillima materia: nella qual, forse, troppo le sono stato tedioso. Ma molte volte, l'obedientia suol far l'uomo trascorrere, et la colpa, più tosto, si dee dare, a chi commanda, ch'a chi obedisce.

Il tutto, che qui ho detto, e scritto, sempre sottometto al giuditio, di qualunque meglio sentisse. Et alle sue Sante orationi molto mi raccomando. Quae bene valeat in Domino semper.

In Roma a XIII di Novembre M. D. XXXVI.

1537, 6 di marzo.

(Autogr.—Archivio di Montecassino.—Copia del cav. Pietro Ercole Visconti presso il marchese Ferrajoli)

Ill.ma Sig.a e figlia

In questo medesimo dì ho avuta la lettera di V. S. che scrive di Colle; ed essendovi il servitio di N. S. Dio, la volontà del Marchese del Vasto mio figlio; a me è gratissimo, e tutto rimetto a V. S., e mi contento, e ne segua quello le pare e piace. Del tempo che si tenne, e come si ebbe, non è necessario in questa replicare.

Supplico nostro Signore Iddio vi guardi e contenti sempre.

Scritta in Ischia a 6 di marzo 1537 (1) Questa data scopre evidentemente un errore tipografico nell'altra apposta alla lettera LXXX, a pag. 133 del Carteggio, la quale deve essere posteriore di questa a cui allude..

Di V. S. Ill.ma S.

Obbligata a servirle Constantia Principessa
di Francavilla.

(1) Un po' di storia per Pesco Costanzo. Questa terra fu da re Ferdinando di Napoli, con diploma del 14 giugno 1507, donata insieme a vari altri feudi a Fabrizio Colonna. Fabrizio l'alienò e riscattò ben quattro volte e morendo, nel marzo del 1520, lasciolla alla figlia Vittoria con 500 ducati annui sui pagamenti fiscali di Lanciano e dodicimila ducati in moneta, colla condizione però che, morendo ella senza prole, il tutto dovesse andare al fratello Ascanio. Questa condizione di comune accordo delle parti e coll'assenso regio fu modificata. Vittoria lasciò prendere ad Ascanio i dodicimila ducati ed Ascanio sciolse dal vincolo di riversibilità tanto il castello di Pesco Costanzo che i fiscali di Lanciano, donò altresì alla sorella 600 ducati annui sui fiscali della contea di Celano che peraltro dichiarò riversibili. Nel 1521 Vittoria, per far fronte agl'impegni del marito, fece compromesso di vendita del castello di Pesco Costanzo con Roberto Ursini conte di Pacentro. Ma ella nudrì a lungo speranza di riparare altrimenti al bisogno e di rescindere tale convenzione. Il dì 8 maggio 1523 così ella scriveva a Federico Gonzaga marchese di Mantova eccitandolo al pagamento di 4000 ducati da lui dovuti al Pescara: «li scrivo et li supplico manda a pagarli, chè certo con grandissima difficultà ho fatto intertenere per vinti dì el vendere un Castello». Il Gonzaga in allora non si trovò comodo e soltanto nell'agosto del 1524 potè dare un acconto di mille ducati (Lettera del duca di Mantova a Baldassarre Castiglione. Mantue XXIX augusti MDXXIIII, Cod. Vaticano, n°ree; 9065, car. 207).
Frattanto ai 23 giugno 1523 il conte di Pacentro era entrato nel pieno possesso del feudo, come risulta dall'istromento rogato nello stesso giorno dal notaio Alessandro de Innocente di Sulmona. Ma il principe d'Oranges, creato vicerè di Napoli nel 1528, volle che ne fosse fatta la restituzione a Vittoria, al che contrastando il conte, ella per troncar liti gli cedette in cambio 450 ducati sopra i 500 che godeva sui fiscali di Lanciano. Vuole il Dr de Fabritiis di Ortona nel suo Abruzzo divoto della St.ma Concezione che Pesco Costanzo, essendo divenuto regio, fosse donato a Vittoria per un sonetto ch'ella fece; forse egli allude a quel sonetto scritto a Carlo V:
«Nel mio bel sol la vostr'Aquila altiera.»
Fermò già gli occhi…..;
ma la ragione vera è che il castello era stato alienato da Vittoria pei debiti di guerra del marito, i quali finalmente furono da Carlo stimati come fatti per lui.
Vittoria fu sollecita del bene morale e materiale della terra. Cominciò col pregare l'Abate di Montecassino, P. Crisostomo degli Alessandri, di togliere i gravi disordini che esistevano nei preti, «sono tanti» scriveva ella ai 15 febbraio 1530 «che è una confusione, prego la faccia un ordine che perfin che mutano vita, non se ne facciano più». L'Abate vi spedì in prima il P. Benedetto Canofilo da Castel di Sangro, cioè quel celebre giureconsulto e teologo di cui con somme lodi ragionano Ughelli, Ciarlante, Tafuri é l'ab. Tosti, e col quale Vittoria stessa avviò le trattative per la restituzione del Colle di S. Magno. Questi, addì 8 ottobre dello stesso anno, stipulò alcuni capitoli di convenzioni. Ma quattro anni dopo l' Abate vi dovette andare in persona a sedar nuove discordie, ed a riformare i costumi del clero per ogni verso censurabili.
Ai 17 giugno 1535 Vittoria ordinò che una commissione edilizia sopraintendesse alla distribuzione delle aree fabbricabili ed alla costruzione delle nuove case che si stavano facendo fuori del vecchio castello. Confermò ai 3 novembre 1537 gli statuti coi quali si comminavano pene pecuniarie ai danneggiatori delle cose pubbliche e private. Due anni dopo confermò i capitoli di concessioni, privilegi e prerogative dell'Università da tempo immemorabile alla medesima concessi. Ai 5 novembre dello stesso anno 1539 vendè all'Università l'esercizio delle funzioni fiscali e la colletta di Santa Maria per tremilaseicento ducati. Nel 1541 ai 18 giugno, da Orvieto, dove erasi rifugiata durante la guerra del sale, ratificò la donazione già fatta all'Università del diruto fortilizio detto il Pagliarello. Finalmente ai 10 gennaio 1547 ella donò il castello di Pesco Costanzo ad Ascanio suo fratello, fuoruscito ad Avezzano, con atto del notaio Girolamo Piroti, e l'assenso regio per la ratifica della cessione chiesto dalla stessa Colonna. fu sottoscritto da Carlo V in Augusta, dopo la di lei morte, il 1°ree; febbraio 1548. La terra di Pesco Costanzo alla morte di Ascanio, nel 1557, passò a Marco Antonio, suo figlio, e questi (dopo essergliene stato a lungo contrastato il possesso da Don Garzia di Toledo marchese di Villafranca, come vedovo di Vittoria Colonna giuniore figlia di Ascanio, la quale pretendeva all'universale eredità dei beni del padre), nel 1569 la cambiò con Gio. Carlo Silveri Piccolomini contro quelle di Luco e Trasacco valutate per 14 mila ducati. I Piccolomini spadroneggiarono quel feudo sino al 15 settembre 1774, fino al giorno cioè, in cui i Pescolani si sottrassero per sempre alla servitù ed alla dipendenza del barone col pagare al medesimo il prezzo del feudo convenuto in ducati 14300 (De Padova, op. cit., pagg. 53, 54, 67 a 77; Coppi, Memorie Colonnesi, p. 252, § 6; Cod. ms. Vaticano, n°ree; 9065, car. 207; Carteggio di V. C., pagg. 2, 60, 133, 134 e 326; Archivio notarile distrettuale di Roma, protocollo Piroti, anni 1542—1550; Cod. ms. Joannis Angeli Ducis ab Altaemps, N. VI, II, car. 5, 6 e 12; Ughelli, Casinnsis Episcopatus, col. 986; Ciarlante, Memorie istoriche del Sannio, pag. 487; Tafuri, Ist. degli scritt. nati nel regno di Napoli, Nap., Mosca, 1750, t. III, parte I, pag. 462; Tosti, Storia della Badia di Montecassino, Nap., Cirelli, 1843, t. III, pag. 281; De Nino, Briciole letterarie, Lanciano, Carabba, 1884, pag. 75 e seguenti).

1537, 3 aprile.

(Originale in pergamena nell'Archivio Comunale.—De Padova Liborio, Memorie intorno alla orig. e progr. di Pesco Costanzo, 1866, pag. 241, Doc. BB).

In Dei Nomine Amen. Capitula et Statuta acta et confecta per Universitatem et homines terre Pesculi Gonstantii, quomodo et qualiter puniendi sunt dapna dantes per Gabellotos ejusdem terre particulariter et distincte ut infra patebit.

Spectantia ad Officium Gabellotorum sunt videlicet.

Imprimis qualunque morra de pecore che intrasse in la defenza, sia tenuto lo patrone de esse pagare de pena carlini cinque de argento… 0. 2. 10

Item qualunque morra de pecore intrasse in le restopple sia tenuto lo patrone de esse pagare de pena carlini cinque de argento.. 0. 2. 10

Item qualunque morra de pecore facesse dapno in guadagne o prata, lo patrone de esse sia tenuto pagar de pena uno tarì de argento et emende lo dapno alo patrone del dapno. 0. 1. 0

Item qualunque bestia pasculasse in la defenza sia tenuto lo patrone de essa pagar de pena celle doi… 0. 0. 3 1/3

Item qualunque bestia facesse dapno in grano o in prata sia tenuto lo patrone de essa pagar de pena cella una et emende lo dapno allo patrone 0. 0. 1 2/3

Item qualunque homo facesse via nova per le prata, paga de pena celle dui… 0. 0. 3 1/3

Item qualunque homo guardasse robbe de Commune, et incappasse in defense, in guadagne et in prata, sia tenuto pagare de pena tarì doi et mezzo de argento et emende lo dapno 0. 2. 10

Item qualunque bestia facesse dapno in le flena paghe cella una et emende lo dapno. 0. 0. 1 2/3

Item qualunque porco facesse dapno in lo grano, in prata o vero in altri lochi, paghe cella una et emende lo dapno… 0. 0. 1 2/3

Item qualunque ocha fosse trovata in grano paghe dinari cinque…

Item qualunque persona non remondasse in li tempi dati per li homini deputati, paghi de argento tarì uno… 0. 1. 0

Item qualunque falciasse in lo patente sia tenuto pagare de argento carlini cinque et lasse l'erba… 0. 2. 10

Item qualunque forastero incappasse in simile dapno sia tenuto pagare pena doppla. 1. 0. 0

Item qualunque facesse dapno in orta o legume seminato, sia tenuto pagare celle quattro et emende lo dapno… 0. 0. 6 2/3

Item qualunque persona fosse trovata de notte ad fare simile dapno, sia tenuto pagare pena doppla… 0. 0. 13 1/2

Item qualunque femina fosse trovata ad lavare dentro li signi missi per li homini deputati, paghe de pena cella una… 0. 0. 1 2/3

Item qualunque persona gettasse letame dentro alli insigni missi per li homini deputati, sia tenuto pagare cella una excepto casu necessitatis… 0. 0. 1 2/3

Item qualunque persona comparasse o vendesse quà, sia tenuto pagare secundo in le instructioni del comune se contene, che è grana decedotte per oncia, et tanto manco quanto li guastiaturi li volesse fare gratia…

Item qualunque persona passasse per li terreni del Pesco con bestiame pecorino, sia tenuto pagare per migliaro carlini tre… 0. 1. 10

Item per centenaro de bestie grosse sia tenuto pagare carlini cinque… 0. 2. 10

Item per centenaro de porci sia tenuto pagare carlini cinque… 0. 2. 10

Item qualunque menasse mercantia possa stare dì dece et se più stesse sia tenuto pagare per centenaro de bestie minute per mese tarì uno… 0. 1. 0

Item per centenaro de bestie grosse sia tenuto pagare per mese ducati dui de argento, et debia andare per li lochi quieti… 2. 0. 0

Item qualunque persona fosse trovata ad toglier lo chiudimo de altri sia tenuto pagare celle doi et emende lo danno… 0. 0. 3 1/3

Item qualunque persona gettasse zuczura in la strada paghe celle quattro, et mondela. 0. 0. 6 2/3

Item qualunque morra de pecora stoccasse la forma de lo molino, tarì uno… 0. 1. 0

Item qualunque traglia o vero trasinara con bovi la stoccasse tarì uno… 0. 1. 0

Item qualunque bestia grossa la stoccasse dicta forma, paghe cella una… 0. 0. 1 2/3

Item qualunque asino la stoccasse dicta forma, paghe bolognino uno… 0. 0. 1

Item qualunque persona guastasse la dicta forma, sia tenuto racconciarla et paghe la dicta pena… 0. 0. 1

Item qualunque persona havesse forma vicino lo prato suo, sia tenuto ciascuno anno del mese de augusto quella remondare, et chi farrà lo contrario sia tenuto pagare de pena tarì uno… 0. 1. 0

Item qualunque persona fosse trovata de notte ad fare danno in le fiena paghe tarì dui et mezo… 0. 2. 10

Item qualunque persona se largasse più de quello è stato restritto per lo comune de la parte, et fuoro li termini, sia tenuto pagare tarì uno… 0. 1. 0

Item qualunque tagliasse arbori fruttiferi, sia tenuto pagare tarì uno… 0. 1. 0

Item che nisuna persona possa remondare se non ad traglia per la terra, et non ad acqua, et chi facesse lo contrario paghe de pena tarì uno 0. 1. 0

Item chi facesse nassaturo da pizo de coda in su paghe tari uno… 0. 1. 0

Item qualunque persona restregnesse le vie et le strade consuete che non potesse uscire le bestieme, paghe de pena tarì uno et lasse la via… 0. 1. 0

Item qualunque tabernaro, ostulado, o vero buccero che tenesse mesure, et pesi falsi et non iuste, paghe de pena carlini quindici.. 1. 2. 10

Item che nulla femina possa lavare se non in li lochi antiqui videlicet in le bricciara, et ad Sancto Angelo alla pena de celle doi.. 0. 0. 3 1/3

Item qualunque tabernaro ponesse acqua in lo vino… 1. 0. 0

Item quando li Gabelloti non castigassero li fallituri, et con diligentia et senza comandamento de li offitiali, pagheno et siano tenuti ipsi ad quella pena che sendo tenuti li fallituri.

Item qualunque citadino o forastiero che sia et vendesse con mesure et pesi falsi qualsevoglia cosa, paghe de pena carlini quindici.. 1. 2. 10

Item che tanto i convicini come altri se debiano trattare come da loro simo trattati.

Supradicta Capitula renovata fuerunt de suo proprio originali tempore Herami Jacobi Camerarii, Nicolai Meloni et Herami Bernardini Massariorum, Antonii Butii et Marini Cole Joannis Gabellotorum terre Pesculi Constantii per me Dominicum Antonium Mancinum Scribam Universitatis dicte terre ex mandato predictorum officialium sub anno Domini 1536 X Indictionis, in terra Pesculi Constantii.

Nos Victoria Columna, Marchionissa Piscarie, supradicta omnia capitula et singulas descriptiones accurate vidimus et pro quiete statuentium et observantia supradictorum omnium, libenter et omni meliori modo via et forma, quibus melius et validius possumus et valemus, confirmamus et pro confirmatis haberi volumus et mandamus. In quorum fidem manu nostra propria firmavimus et sigilli nostri soliti jussimus impressione muniri.

Arpini tertia Aprilis 1537.

La Marchesa de Pescara.
Illustrissima Domina mandavit mihi
Julio Prudentio Cancellario.

1540, 1°ree; maggio.

(Dedicatoria dell'Opera di Adamo Fumano intitolata: Divi | Basilii Magni | Archiepiscopi | Caesareen- | sis || Moralia. | Ascetica magna, | Ascetica parva. || Lugduni apud Sebastia- | num Gry. phium, | M. D. XL. || car * 2 et seq.).

VICTORIAE COLUMNAE PISCARIAE PRINCIPI Adamus Firmanus (1) Adamo Fumano, canonico di Verona, che il Panvinio per la traduzione delle opere di S. Basilio chiama vir utraque lingua «dissertissimus», fu compagno del card. Polo nella legazione di Fiandra, segretario del Concilio di Trento, poi passò al seguito del Giberti, vescovo della sua patria, in morte del quale recitò una commovente orazione funebre. Caro ai letterati, coltivò con successo la poesia greca, latina e volgare. Di lui parlano con lode gli scrittori del Giornale dei Letterati d'Italia (tomo IX, pag. 125) ed il Maffei nella Verona illustrata, par. II, e Tiraboschi, St. della Lett. It., Mil., 1833, IV, pag. 261. S. P. D.

Multi, ut scimus, fuere, Victoria, et Graeci et Latini scriptores, qui ab Apostolorum aetate usque ad haec tempora praecepta, ad Christianae vitae cultum pertinentia, literarum monimentis consignata posteris prodidere. Cumque in his alij alia suam quandam in scribendo rationem secuti sint, prout, opinor, cuiusque iudicium, aut facultas ferebat: sane~ non hic ego hoc mihi nunc sumpturus sum, ut quis cui vel anteponendus sit iudicem, vel posponendus: neque enim omnes mihi pervolutandi aut ocium, aut voluntas fuit: et si pervoluntassem, nescio an hoc rite facere vel possem, vel deberem. Illud quidem certe~ dicere non dubitabo, me ex plerisque, in quos hactenus inciderim, qui utraque lingua scriptitarint, neminem adhuc nactum esse, ex cuius lectione uberiorem ad me verae utilitatis venisse fructum senserim, quàm ex libro hoc, quem tibi nunc Latinum Basilij damus. Neque vero~ id uni modo~ mihi video contigisse: quando compluribus alioqui et doctrina, et sanctitatis laude claris viris hoc idem usu venisse animadverto, neque id profecto iniuria. Nam sive sententiarum in eo pondus, sive verborum (ut in huiusmodi dicendi genere) dignitatem, sive iudicij proestantiam, et rerum, de quibus loquitur, interiorem quandam consuetudinem quaeris, ita in hoc singula haec cumulata reperias, ut nihil neque gravius, neque dignius, limatiusve, aut prudentius desideres. Veru~m de huius doctissimi pariter ac sactissimi viri laudibus non est nunc narrandi locus: praesertim quae et ingenium maius, quam sit meum, et dicendi facultatem ampliorem desiderent; et qui de his ante opportunius ornatissimè et copiosissime~ scripserint, viri gravissimi non defuerint. Illud certe~ ad excusationem meam nullo modo mihi praetereundum videtur, quin dicam, me provinciam hanc operis huius Latine~ reddendi, non mea sponte aggressum: neque enim unquam tam amans fui meijpsius, quin probe~ semper intellexerim, quam huiusmodi ego scribendi palaestrae impar forem: in qua cum plurimos ante~ excellentis alioqui et ingenij, et eruditionis viros ingressos magnopere viderem desudasse: paucissimos tamen cum laude, multos cum magna, plurimos cum maxima dedecoris nota cernerem exivisse: quo~d ex his Graecae hi, Latinae illi, plerique u~triusque simul linguae inscitiam suam, quam eis liberum erat occultare, si voluissent, ultro ipsi professum venissent: atque unde ingenij, ac doctrinae commendationem quaerebant, inde tarditatis, ac stultitiae vituperationem invenissent. Quo~d si unquam alicui aliqua de causa dubitandum fuit, certe~ his temporibus multo~ maxime mihi quidem pertimescendum videbam, in tanta optimarum ingeniorum foecunditate, tam acribus iudicijs, politissimaque in omni genere doctrina. Accedebat praeterea, quo~d cum omnem huiuscemodi scriptionis laborem suapte natura et molestiarum, et periculosissimae aleae plenissimum semper iudicassem: ita in hoc opere haec mihi interdum sese summa offerebant, ut plane~ in eo tractando quicquam me, quod operae precium futurum esset, assecuturum diffiderem, usqueadeo praeter caeteras, quas cum reliquis quoque Latine~ Graeca exprimere volentibus, communes afferre difficultates videbatur, suis quibusdam locutionum formis, traslationibus que adeo (nequid gravius dicam) a~ Latinorum consuetudine alienis, ipsum interdum crebrum videbam, ut prorsus eum ego quidem Latine~ loqui docendi spem omnem abijcerem. Sed opinior eius viri, cui caeteris omnibus in rebus me, meaque omnia iampridem a~ puero subiecissem, et a~ quo maximis, ac divinis essem meritis cumulatus, atque honestatus, quem secundum Deum bonorum omnium meorum (si quae modo ulla in me, vel apud me sunt bona) autorem, ac largitorem libens et agnoscerem, et praedicarem, Giberti Pontificis Veronen. voluntati mos gerendus, vel imperio potius (quando nulla mea apud ipsum excusatio valuit) parendum fuit. Cum enim ille Graeca legens, mirabiliter operis huius lectione esset delectatus, arderetque cupiditate, ut cum Latinis quoque, quod apud ipsos diminutum, et parum (ut ipse putabat) commode~ versum, integrum, et aliqunto~ commodius expressum communicaretur: ex pluribus, quos vel domi, vel foris habere facilè potuisset, quos in hoc negocio, si ipsis demandaretur, aptius se multo~, quam me tractaturos confideret, me potissimum delegit, cui maximopere reformidanti onus imponeret: credo equidem ea de causa, quod cùm a~ studijs eos suis gravioribus nefas putaret abducere, qui ad communem utilitatem egregium per se ipsi concipere, et parere aliquid possent: hoc autem non tam difficile munus existimaret, quam revera esse, qui experiuntur, intelligunt, opera mea, a~ quo tale nihil speraret, qua in re minus ineptè uteretur, qua~m in hac ipsa non reperiebat: ut videlicet peregrinorum ingeniorum partus nostro habitu ipse vestirem: id quod ipse non omnino inconcinne~ me facturum iudicabat. Quàm igitur gravate~ provinciam susceperim, quam in ea gerenda assidue~ mihimetipsi displicuerim, et nunc etiam gesta displiceam, testis est mihi, si non is ipse, qui suscipiendae autor, atque adeo impulsor, vel compulsor potius fuit, qui cum egi saepe, ut si versionem hanc nostram omnino edere decrevisset, sub alterius cuiusvis nomine ederet potius, quàm meo: at certè conscientia ipsa mea. Neque vero~ id ea re tantu~m, quòd famam vel ingenij, vel lingnarum peritiae meam hac ratione in discrimen videbam adduci: Quid enim id se amissurum quis magnopere metuat, quod ne vel mediocre quidem se unquam senserit habuisse? aut quod etiam si summum haberet, non in eo tamen positas suas (ut ita dicam) omnes fortunas putaret? Sed quòd apud eos, qui rem uti acta esset, nescirent, sine dubio temeritatis me iri damnatum videbam: et quo~d perspicuè intelligem, fieri non posse, quin excellenti de Giberti iudicio famae macula per me ex male a~ me huiusmodi gesto negocio aliqua aspergeretur. Ita qua in re ille de me optime~ meritus esset, qui iudicij sui aestimationem committere mihi veritus non esset, in ea ipse imposito mihi munere male tractando, male mererer. Aggressus itaque sum provinciam magna cum trepidatione. Et quoniam opus mihi et spissum sciebam, et operosum futurum, eiusmodique, ex quo etiam vel summam laudem sperarem, si summam reprehensionem evasissem: dedi operam, ut quod ad perfectam mihi linguarum vel Graecae cognitionem, vel Latinae ornatum ac copiam defuturum sciebam, id si possem, diligentia saltem aliqua compensarem. Itaque biennium iam antequam difficillimae ac periculosissimae Britanicae illius legationis Pontifex summus Paulus III, fortissimo ac sanctissimo viro Reginaldo Polo Gibertum comitem ire iussisset: cu~m ego etiam (ut tute potes meminisse) Romae essem una~, exemplaribus ibi compluribus ex Vaticana Bibliotheca conquisitis, consultisque, tantum paucis diebus effeci, ut non usquequaque positae me ea in re industriae paeniteat. Nam loca multa, quae in hoc, qui modo~ Graece editus circunfertur, varie~ erant depravata, ita ex illis correximus, ut sancte~ affirmare possim, Latinum huncce si non tam elegantem, tamque commode~, ut oportuisset, expressum, at certe~ multis in locis illustriorem ad intelligendum fore, quam Graecum. Verùm cùm librum adeo praeclarum per me quoque alicui ut dicaretur idem Gibertus voluisset, neque id ego ullo modo etiam effugere potuissem, te is ex omnibus unam pracipue~, Victoria, delegit, cui illum desponderet: non quo quidem una tu praeter coeteras aetatis nostrae faeminas aut viros etiam istiusmodi iam praeceptionibus indigeres (de ijs loquor, quae, non monachos modo~, quorum causa potissimum opus hoc scribere vir sanctus instituit, sed omnes etiam verae pietatis studiosos attingunt: quae ex quo eximia illa, quibus ante~ omnium iudicio, non tuo, florebas, omnia cum preciosa, quam nacta es, margarita commutasti: et acutissimam ingenij tui aciem, dispulsis, si quae erant, quae adhuc officerent, humiliorum cogitationum nubibus, ad unum iustitiae solem penitus contuendum appulisti: haec omnia ita vita ac moribus praestas, ut caeteris non foeminis modo~, sed viris etiam, et quidem gravissimis, clarissimum velut e~ superiore loco ad salutarem vitae portum petendum lumen videaris praetulisse:) Sed ea gratia, quod neminem censebat fore, qui maiorem eo legendo voluptatis fructum esset capturus, qua~m te quum te id iam Dei munere tua sponte adeptam videres, quo~ ut pervenirent veteris disciplinae viri tam sapiente duce eguissent: simul que ut hoc ipso etiam testatiorem faceret suam erga te benevolentiam. Adde quòd cùm Romae caput, nescio quod, ex eo, modo~ a me versum, tibi recitari voluisset, ita eo visa es delectari, ut dixeris, non putare te ab autore ipso sua lingua elegantius esse conscriptum. Quod et si opinor aliter iudicabunt ij, qui in sententia de hisce scriptis ferenda, cùm nullas privatae benevolentiae causas habeant, rem sincerius aestimabunt ex veritate: tamen is, quòd similiter quoque universum tibi laborem nostrum placiturum existimavit, eo etiam magis impulsus est tibi ut per me eum dedicaret, quem eo libentius hoc facturum credidit, quòd me grati tibi animi mei declarandi cupidissimum cognoscebat, ut quem saepe narrantem audivisset, quomodo quadriennium ante cùm Neapoli ad te ego cum Galeatio nostro Florimontio (1) Galeazzo Florimonte fu da prima gentiluomo del marchese del Vasto. Paolo III lo creò vescovo di Aquino il 4 maggio 1543. Fu uno dei quattro giudici del Concilio di Trento. Giulio III lo trasferì alla chiesa di Sessa, sua patria, e lo fece segretario dei brevi. Nudrito di buoni studi raccolse lodi da Bernardo Tasso, dal Muzio, dal Flaminio, dal Domenichi, da mons. Della Casa, dal Berni. Fu amicissimo dei cardinali Cervini, Contarini e Polo e di Donato Rullo, come rilevo dalle sue opere. A sua suggestione mons. Della Casa dettò il Galateo e Girolamo Muzio scrisse contro l'Ochino le Mentite Ochiniane. Mori di 89 anni nel 1567 (Tafuri, op. cit., t. III, par. II, pag. 279, e par. III, pag. 367; Tiraboschi, Storia della lett. it., Mil., Bettoni, t. III, pag. 527). in insulam tuam Aenariam ipsius iussu salutandi causa divertissemus, comiter nos, humaniterque excepisses. Quanquam alia etiam accessit causa, cur hoc facere animum Gibertus libentius induxerit, quòd cùm assiduè te inter eas foeminas audiat versari, quae spretis vel vitae huius voluptatum illecebris, Deo se, totas penitus consecrarunt: neque dubitet omnino frequenter te illas, praeter exemplum sanctitatis morum tuorum, sermonibus etiam quottidie magis ac magis ad maiores in pietatis cultu faciendos progressus incitare, eo maiorem illas cohortationibus tuis fidem tributuras existimavit, si quae cohortandi gratia diceres, ea sanctissimi ac doctissimi viri autoritate, ac testimonijs confirmasses. Accipies igitur a~ Giberto Basilij opus, sua quidem lingua praeclarum: nostra autem, quale quale nos reddere potuimus, non autem quale voluissemus, aut alios nobis eruditiores facturos sciebamus. Quòd si quid in eo (quod ad industriam nostram attinet, id quod prorsus necesse erit) teretes aut tuas, aut aliorum aures offendet, id totum nimis magno Giberti publicae utilitatis studio attribuito, et necessitati parendi meae ignoscito, et verborum inconditam structuram meam, sententiarum viri sancti apta collatione, et fructu voluptatis tuo, et aliorum utilitatis uberi, compensato. Vale.

Verona, Calend. Maij. s
M. D. XXXX.

1541, 18 giugno.

(Registro autentico Comunale di Pesco Costanzo.—De Padova Liborio, Memorie intorno alla origine e progresso di Pesco Costanzo, tip. di Montecassino, 1866, pag. 229, Doc. X).

Victoria Columna Marchionissa Piscariae et Domina terrae Pesculi Constantii etc. fidelium subditorum animis crescit ceterique animosius impelluntur Principum munifica remuneratione. Igitur omnibus et singulis tam presentibus quam futuris literas patentales has visuris, audituris pariterque et lecturis notum esse volumus et significamus qualiter annis retrodecursis, Universitati nostrae et hominibus terrae Pesculi Constantii sponte, motu proprio et ex nostra certa scientia tam per nos quam per nostros heredes et successores concessimus et donationis titulo irrevocabiliter inter vivos donavimus quoddam territorium Casalenum vel fortilitium dirutum ad nostram curiam spectans et pertinens vulgariter dictum et nuncupatum el pagliarello situm intus castrum dictae terrae juxta bona Hieronimi Dominici Pitassi, Ciardi Cacchioni, viam publicam et alias fines ad habendum, tenendum, possidendum, alienandum et faciendum quidquid dictae Universitati et hominibus ipsius placuerit quomodolibet in futurum faciendum et disponendum tamquam veri domini et patroni dictae rei donatae, inpresentiarum vero dictam donationem et concessionem ratificamus, approbamus et confirmamus et quatenus opus est de novo concedimus, tradimus et dicto titulo donationis irrevocabilis per nos et nostros heredes et successores, donamus et concedimus dictae Universitati et hominibus dictae nostrae terrae Pesculi Constantij dictum territorium, Casalenum, fortilitium dirutum vulgariter dictum lo pagliarello sive quocunque alio vocabulo nomine vocaretur et nuncuparetur et quomodocunque et qualitercunque ad Nos et nostram curiam pertinens et spectans, ad habendum, tenendum, alienandum et disponendum ac quidquid dictae Universitati et hominibus dictae nostrae terrae Pesculi Constantii placuerit faciendum, disponendum et alienandum ut domina et patrona dictae rei donatae ut alij domini et patroni faciunt de rebus suis propriis ac si ipsum territorium Casalenum castrum dirutum vulgariter nuncupatum lo pagliarello esset res propria dictae Universitatis et hominum ipsius Universitatis tamquam veri domini et patroni dictae rei donatae quod possit et valeat Universitas ipsa ac homines ipsius Universitatis possint et valeant edificare, fabricare, dividere ac facere et disponere ad libitum et voluntatem ipsius Universitatis, absolventes et liberantes dictam Universitatem et homines ipsius particulares a quibuscunque penis, multis et censuris in quas forsan dicta Universitas et homines ipsius ob edificationem alienationem forte factam sive faciendam in dicto Casaleno et territorio vulgariter dicto lo pagliarello ut supra concesso et donato incurrerit, incurrisset ac incurreret, incurrerent quomodolibet in futurum, unde ad futuram rei memoriam, cautelam dictae Universitatis et hominum ipsius et certitudinem et testimonium veritatis, has nostras licteras patentales in Privilegij vim firmitatem et robur, nostra propria manu subscriptas et sigillo nostro munitas et roboratas omni futuro tempore valituras tam per nos et heredes nostros. Datum Orveti die 18 Junij 1541.

Victoria Colonna Marchesa
(sigillum) de Pescara

seguono le conferme posteriori, cioè:

Ascanio Colonna (sigillum)
Fabritio Colonna (sigillum)

Confirmamus suprascriptam donationem et quatenus opus est de novo concedimus et ita placet servari— Datum Pesculi Constantij die XX Augusti 1570.

Io Carolo Silverij Piccolomini
(sigillum) manu propria.

(1) Il Giberti, vescovo di Verona, «qui Gallis favere putabatur», sospetto di fellonia contro la Repubblica Veneta, fu citato dai triumviri della medesima a dar ragione di sè. Ei fidente nella sua buona coscienza non riluttò di presentarsi al terribile tribunale e luminosamente provò la sua innocenza (Giberti, opera cit., Vita, pag. XLII; Adami Fumani, Oratio in funere I. M. Giberti, ivi, pag. 315; Paruta Paolo, Historia Vinetiana, Vinetia, Nicolini, 1605, lib. X, pag. 728; Mauroceni Andreae, Historia Veneta, Venetiis, Pinellum, 1623, pag. 227; Muratori, Annali, an. 1540).

1542, 22 novembre.

(Autogr.—Biblioteca Corsini di Roma.—Miscellanea ms. di Lettere, fasc. 8.— Lettere di XIII huomini illustri. In Venetia, Lorenzini da Turino, 1560, pag. 146. —Giberti, Opera. Veronae, Berni, 1733, pag. 247—e Hortillia, Carattonium, 1740, p. 247).

Ill.ma et Ex.ma sig.ra osserv.ma

La sua lettera mandata per la compagnia del Ill.mo et R.mo S. Legato (2) Il cardinal d'Inghilterra Reginaldo Polo, legato al Concilio di Trento, il quale era successo all'Ochino nella direzione spirituale di Vittoria., con speranza che mi dovessi trovare ad accettarla in sua compagnia, non mi trovando mai disiuncto del spirito mi è stata data in tempo qui in Venetia, che spero in N. S. Dio che non tardara molto a farsi il medesimo con la presentia poichè è piaciuto a su: M.ta inspirar neli animi di questi signori a far quella dechiaration di me che merito non io ma quella grazia che lei mi ha data de non haver mai havuto un minimo pensamento, che possesse con ragione esser altramente. Et così havendo nel Consiglio loro ali xvij proposto la cosa, et passata larghissimamente la mattina seguente, mi mandorno a chiamar, et mela significorno con tanta efficacia de amore, et impression bona che mostravan haver di me, dicendo de havermi nel grado che mi han sempre havuto, et ch'io facessi quanto mi tornava ben, et che mi era in piacer etc. che se non fosse el peccato di chi ne stato causa quasi che diria dovermene grandemente rallegrare. Et forse che con tucto questo lo devo far perchè N. S. Dio mi da campo de molti belli exercitij spirituali, et primo di exercitar la charita pregando per questi tali, et desiderandoli ogni bene vero, et tante altre belle cose che mi occorreno et prima et poi per la quale resto in modo consolato per la experientia che su: M. mene ha fatto fare, che posso dire quello che el S.mo Joseph disse ali fratelli: Vos cogitabitis facere malum, et Deus convertit illud in Bonum. Onde supplico V. S. che mi aiuti non tanto a render gratie al Nostro Signore di quello che lha supplicato et è stata exaudita sin qui, ma di quello che importa molto più, che io non sia ingrato per l'avvenire, et sappi meglio spendere di quello che ho fatto sinqui li Talenti che mi ha dato, et mi ha fatto scoprire in questo caso essere molto più di quelli che pensava. Penso fra dui dì partirmi per Verona, et non porrò mancare di dar una corsa a Mantua, per dare et ricevere consolatione, et poi assettato che harò un poco le cose a Verona, che questo Terremoto ha dato al edifitio un bon squasso, ma spero ch'el fondamento stia saldissimo (1) Il Giberti, nonostante l'apparente tranquillità, soffrì assai per questo tiro de' suoi avversari e non andò guari che fu colto da tal malattia, la quale, dopo averlo obbligato in letto per sei mesi e mezzo, lo trasse al sepolcro l'ultima domenica del 1543 (Giberti, op. cit., pag. LXVI; Lettere di XIII huomini illustri. In Venetia per Comin da Trino, 1564, lib. V, pag. 172)., andrò a Trento, con guadagnio certissimo del godimento che harò del S. Cardinale et dela Compagnia. Del resto sarà poi quello ch'el padron scoprera a la giornata che li piacci che si facci a suo servitio, et ut sia così conosciuto et abbrazato, come son certo che ne sarà proposta commodità amplissima, et mentre che si sarà in questa Battaglia, ch'el spiritu proporrà una cosa et el senso li verrà allicontro, prego Su: M. che ne proveda de molti Moise il quali come fara V. S. impetrino la Vittoria da la bona parte, et lei dela sua propria gratia tradutta dal nome ali fatti Cantet Domino gloriose et mentre sarà in questi santi Desiderij so che la sarà più accompagniata che mai et ale sue sante orationi quanto più posso sempre mi raccomando. Da Venetia XXII Novembre 1542.

Di V. Ill.ma et Ex.ma Signoria insieme con tutti,

Affettionat.mo Servitor
El Vescovo di Verona
fuori: Ala Ill.ma et ex.ma, la Sig.ra Marchesa
di pescara etc. Dig.ma
In Viterbo.

(1) Tommaso Cambi Importuni cavaliere e banchiere fiorentino, fuoruscito a Napoli per cagione d'omicidio, era agente di Vittoria Colonna. Dalla corrispondenza del Gelli e di Vincenzo Martelli rilevasi che fosse dedito allo studio delle buone lettere, nel quale avviò così bene il figlio Alfonso, natogli nell'anno 1535, che questi potè adoperarsi poi con plauso a ristorare la lezione del Canzoniere del Petrarca. Nel 1529 Tommaso ricettò in sua casa il Commissario fiorentino Gio. Battista Soderini, ferito nella guerra di Napoli. Giovio, ai 16 giugno 1548, dice di avergli dedicato «un bravo elogio» per la restaurazione della Rocca di Mondragone. Da una lettera che ai 3 ottobre 1562 il figlio Alfonso diresse da Napoli a Paolo Manuzio a Roma si apprende che Tommaso carteggiò spesso con Vittoria e si hanno notizie di alcuni ritratti della medesima:
«Manderovvi certe lettere scrittemi dal Caro, ma vi piacerà di esse non disporre senza fargliele intendere; et se vorrete ch'io le accompagni con qualcuna di quelle della Marchesa di Pescara havendone io molte di sua propria mano scritte a mio padre, lo farò volentieri».
«Non ho infino ad hora trovato in Napoli altro ritratto della Marchesa di Pescara che uno che ne ha la sig.ra Giulia Gonzaga, il quale oltre che non la rappresenta di quella età che desiderate, non val nulla. Coloro dei quali io pensava d'alcuno di essi poter haver nuova, mi han detto che quello che haveva mio padre il quale fu fatto poco di poi ch'ella rimase vedova siccome lo vorreste voi, era il migliore et il più bello di tutti gli altri, questo io non l'ho perchè lo donai alla sig.ra D. Vittoria Colonna sua nipote; saprò se è qua fra le robe che detta sig.ra ci lasciò andandosene in Ispagna, e non ci essendo le scriverò quando vi sia molto necessario l'haverne copia pregandola a mandarmela».
Morì Tommaso Cambi nel 1549 di anni 57 e la salma di lui fu dal figlio composta nella cappella di sua famiglia nella chiesa di S. Giovanni Maggiore, che era presso quella dei signori Colonnesi, col seguente epitaffio:
Thomae Cambi Patritio Florentino
Qui fideli ingenio
Officiosa industria
Honestoque obsequio
Insignum Procerum amicitiam promeritus
Cunctos sui ordinis Hospidalitatis,
Et elegantiae studio
Superavit
Objecta Christo nato MDXLIX Idib. Ianuar.
Vix. An. LVII
Alphonsus filius posuit.
(Tafuri, op. cit., t. III, par. II, pag. 322; Lettere di diversi nobilis. Huomini et eccell. Ingegni, Venetia, Manutio, 1564, pag. 196; Alvisi, La battaglia di Gavinana', Bologna, Zanichelli, 1881, pag. 86 e 304; Atanagi, Lettere facete, lib. IV, pag. 330; Lettere di scrittori italiani del sec. XVI, stampate per la prima volta per cura di Giuseppe Campori, Bologna, Romagnoli, 1877, pag. 72 e 73: Carteggio di V. C. cit., pag. 90, 91 e 374).

1544, 30 maggio.

(Copie due nell'Archivio di Montecassino.—Copia del cav. P. E. Visconti nella biblioteca del march. Ferrajoli).

Mag.co M. Prospero (2) Forse Io. Prospero di S. Stefano che fu anche auditore di Ascanio Colonna (Carteggio, pag. 391, nota). come fratello: da parte delli monaci del Monasterio di Montecassino, me è stata fatta instantia vogli fargli pagar ducati 50 come se li devono (1) Il vicemarchese Giovanni Vasquez di Avila (già agente del card. Pompeo Colonna e poi vescovo di Acerra) ricevette ordine da Vittoria, in data 19 dicembre 1529, di pagare annualmente al Monastero di Montecassino 50 ducati. L'ordine fu osservato ed in testimonio riporto una lettera che il p. Cellerario scrisse al nuovo abate D. Geronimo Scrocchetti di Piacenza sul principio del 1542:
«Venerabile Padre. Mando la copia de la commission che fa la S.a Marchese de li Ducati 50 et vederà il tenore de essa et la data et quando incominciò a pagar, et che millesimo correva. Io trovo che incominciò a S. Benedetto de l'anno 1530.
«1530 d. 50 1537 d. 50
31 50 38 50
32 50 39 50
33 50 40 50
34—41 33 al r. p. d. Ignazio ed il resto intendo da D. Honorio che lebbe o Vostra paternità o Padre Procuratore di Roma».
35 50 42
36 50
Il p. Ignazio Squarcialupi fiorentino qui nominato era l'abate cessante e Don Honorio è probabilmente lo stesso p. Don Honorato Fascitelli d'Isernia celebre poeta latino, tanto lodato da Bembo, Casa, Flaminio, Giovio ed altri contemporanei, quello stesso che nel 1537 si era recato ad Ischia a trattare con Vittoria della restituzione del Colle (Carteggio, pag. 134). Di lui abbiamo un poema latino, che il Mari e l'Ughelli chiamano insigne, in lode d'Alfonso d'Avalos marchese del Vasto e dedicato alla Colonna col titolo: Alfonsus Poema ad Heroinam Piscariae.
Ecco le due strofe nelle quali inneggia alla nostra poetessa:
«Victori imprimis medio Victoria templo
Adsistit, iactatque suo se nomine laeta,
Quondam saepe viro, nunc facta nepotibus omen.
Utque olim invicti fata immatura mariti
Flebilibus numeris, doctisque sacrasse querelis
Iuvit, et aeternis manes intexere chartis;
Iam canit Alfonsi victricia signa nepotis,
Lesboas Tusco percurrens pectine chardas.
«Sed locus haud patitur me longius ire per altum,
Nec. mihi tam gelido praecordia frigore torpent,
Huius ego ut brevibus laudes perstringere verbis
Posse rear, speremque omnes aequare canendo.
O decus, o patriae spes, Heroina, deorum
Salve perpetuo nostris data munere terris:
Te canimus laeti, te caelo tollimus omnes.
Tu mihi te facilem da, vates optima, vati:
Et potuisse aliquid tecum fortasse feremur.
Haec meditor, tacitusque animo mecum ipse voluto.
Atque utinam tantis par sim modo conditor actis,
Ne me deficiant sub iniquo pondere vires.
Sed tamen experiar: nec me tentasse pigebit».
Dopo la morte di Vittoria il Fascitelli si diede a raccogliere ciò che fu scritto in lode di lei (Honorati Fascitelli, Opera, Neapoli, Raymundii fratres, 1776; Tafuri, op. cit., t. III, par. II, p. 217; Mari, Note al libro De Viris Illustribus Cassinensibus; Notaio Girol. Piroti di Roma, protocollo ann. 1521—31, car. 66; Ughelli, Italia Sacra, t. VI, col. 221, n°ree; 30, e t. IX, col. 509; Turchi, Lettere facete, Vinegia, Il pag. 112).
per una annata finita alli XXI di Marzo proximo del presente Anno secundae Indictionis 1544, per quelli selli pagano annuali sopra le Intrate de questo Stato come voi sapete, et perchè io tengo certificatione del rationale del Signore Illustrissimo quale me dice che in lo conto che ha visto de Gio: Tomaso de Arpino have ammessa et fatta bona una partita de ducati 50 per lui pagati al detto Monasterio per l'anno che cominciò alli XXI di Marzo 1542 et finito per tutto li 21 di Marzo 1543 et me averte che de detta annata, non competeva pagare ad sua Signoria Illustrissima salvo ducati 4 gr. 16 1/2 perchè li restanti ducati 45: carl. 4: gr. 3 1/2 li deve pagar la Signora Marchese de Pescara, atteso hebbe la rata delle intrate de questo Stato per tutti li 20 di Febbraro 1543, et al Signor corseno dal detto dì avanti, pertanto serite contento delli denari che se hanno da pagare alla detta Signora Marchesa per le sue terze e retenerne li superiori ducati 45: carl. 4: gr. 3 1/2 per lei debiti per la sudetta causa, et retenuti che li harrite porrete pagar al d.to Mon~rio et monaci li detti ducati cinquanta che loro domandano per la detta annata finita alli 21 de marzo passato ut supra 1544 et recuperarne la debita contesa de recevere, la quale insieme con la presente ve sarà fatta bona a'vostri cunti.

Datum Neapoli Die 30 Maij secundae Indictionis 1544.

Come fratello della S.ria V. Th.i Cambi.

Mag.co M. Prospero, porrà V. S. o lli affittaturi seguitar detto pagamento fino a tanto che non fosse ordinato el contrario. Datum Neapoli XI Septembris 1544.

Come fratello delle S.rie V. Th.i Cambi.

Mag.ci Affittaturi delle intrate del Stato d'Arpino et Roccasecca vuj potrite vedere il retro scritto ordine et seguitar voi quanto in esso si contiene. Datum Neapoli Die 29 Aprilis 1545.

Come fratello delle V. S. Th.i Cambi.

1544, 22 giugno.

(Nicolò Martelli, Il primo libro delle lettere, in Fiorenza, MDXLVI, pag. 46 v.).

Alla Marchesa di Pescara.

L'affettione et la servitù (a gran ragione) che portava quel poverin di Lodovico Martelli (1) Claudio Tolomei in una lettera a Vittoria dice che ella fu da Lodovico di Lorenzo Martelli «con meravigliosi e divini concetti celebrata e consolata» nella morte del marito (Carteggio cit., pag. 68). Egli allude alle Stanze di Lodovico Martelli a la Illustriss. Sig. la S. Vittoria Marchesa di Pescara in morte de lo Illustriss. Marchese suo Consorte, le quali leggonsi da car. 96 a 116 delle Rime volgari dello stesso Martelli stampate in Venetia in casa di misser Marchio Sessa ne l'anno M. CCCCC. XXXIII Le dette Stanze furono da Lodovico scritte dopo il sacco di Roma, del quale in esse descrive gli orrori, in quell'anno stesso cioè, 1527, che fu l'ultimo del viver suo, come attesta Giovio nel Dialogus cit. (pag. 356, col. l), da lui scritto in Ischia appunto poco dopo il sacco: «Sicuti etiam per hos dies apud Caesarem Feramosca in Campania Martellium Florentinum in ipso aetatis fiore occidisse audivimus, quo nemo in amatoriis lusibus blandius atque subtilius lascivivit, nemo heroica attigit gratius atque limpidius». L'errore di quelli che, come Crescimbeni, asserirono che Lodovico morisse nel 1533, ebbe origine dal fatto che nella dedica delle cit. Rime volgari, impressa in quell'anno, ma preparata per lo innanzi, è detto: «in questi ultimi giorni del viver suo», e forse contribuì all'equivoco anche l'essistenza nella stessa famiglia patrizia fiorentina d'un altro, e coetaneo, Lodovico Martelli figlio di Giovan Francesco, amico di Dante da Castiglione, il quale peraltro morì il 5 aprile 1530 in seguito a quel duello contro Giovanni Bandini di cui ragionano gli storici Nardi e Varchi e che il Vasari dipinse in fresco nelle stanze di Leone X al Palazzo della Signoria di Firenze (Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, in Ferrara, Pomatelli, 1727, pag. 363; Milanesi, Archivio storico italiano, Firenze, 1857, nuova serie, t. IV, parte II, pag. 3 e segg.; Filonico, Vita del marchese del Vasto, Cod. cit.). mio cugino, alla singular bontà et unica virtù vostra, humanissima Signora, insieme con l'havermi dato grata udienza, nel visitare quella nel tempo che il raro et più c'huomo fra Bernardino da Siena predicava in questa Terra (1) Margherita d'Austria, alla quale era stato assassinato il marito Alessandro de'Medici il dì 7 gennaio 1538, nella quaresima di quell'anno «faceva predicare el padre (Belardino Ochino) a Pisa (dove ella trovavasi) e non in Firenze; ma è stata tanta la instantia de Firenze», scriveva Vittoria da Pisa al duca di Ferrara in data 26 marzo detto anno «che contro la volontà de madamma ha bisognato remandarlo a quella cità, et io ho concorso per lo honore de Dio et magior frutto». L'Ochino partì per Firenze il 25 marzo e Vittoria se ne stette alquanti giorni senza le sue prediche, ma «consolata» in un monasterio con animo di rimanervi «sin che serrà tempo ir a Lucca a bagni». Peraltro Niccolò Martelli c'insegna che ella non mantenne il suo proposito e al fine si ridusse a Firenze per udire il suo fra Belardino. La notizia ci vien confermata dal Carnesecchi, il quale nel processo afferma: «la reviddi a Fiorenza essendo lei capitata in quelle bande per andare alli bagni di Lucca nell'anno 1538». Trovo strano però che lo stesso Martelli nel 1544 continui a chiamare l'Ochino «raro et più c'huomo», mentre già dall'agosto 1542 era passato alla Riforma calvinista e Vittoria aveva con lettera al card. Cervini disapprovata la defezione del suo antico confessore, dicendo ch'egli oramai era «fuor de l'arca che salva et assicura» (Carteggio cit., alle pagg. 143, 157, 257 e 331).—È qui pure il caso di notare che per l'assenza dell'Ochino non cessò Vittoria di proteggere la riforma dei Cappuccini ed in prova produco un documento, il quale è anche una chiosa all'estratto di lettera (n°ree; LXXIII) a pag. 124 del Carteggio.—Cod. ms. autogr. nella Bibliot. Nazionale di Roma, fondo Gesuiti, n°ree; 2299—170, del Memoriale di Jacovo Herculani beneficiato, altarista e custode della S. Basilica e parrocchia di S. Pietro in Vaticano dal 1495 al 1567, a cart 26 r.:
« + 1547 faccio recordo Io Iac.°ree; herculano come del anno 1547 comparai dalli frati cappuccini per le mani della Ill.ma Sig.ra Vittoria Colonna Marchesa de peschara una casetta o vero casarino congionto con la mia casa in lo rione de treio nella parrochia de S.to Nicola de porci al presente posseduta dalla congregatione de frati capp.ni et detto S.to Nicola della Croce, alla quale chiesia apparteneva detto cassareno il quale fu extimato da periti posti da detta Sig.ra et frati per prezo de scudi LXXa de Iuli X per scudo. Quali sc. 70 ho pagati per ordine del R.°ree; fra bernardino de asti al presente vicario generale de detta congregatione in più partite et a diverse persone per spese della fabbrica facevano fare in la chiesia et convento de detto S.to nicola, et per mia cautela il detto r.°ree; patre fra bernardino me fece una polisa sotto scritta de sua mano et sigillata del sigillo del suo officio in la quale faceva fede del pagamento de detti sc. 70 et la detta Sig.ra me ne fece un altra parimente per questa causa io non havessi da patire».—Osservo in fine che questo prete Hercolano fu quegli che portò il viatico al moribondo M. A. Flaminio (Beccadelli, Vita del card. Reginaldo Polo - Mon. di varia lett. cit., t. I, par, II, pag. 328 nota).
, mi danno ardire, poi che l'hà della servitù mia anchor conoscenza, di scriverle queste XXV parole et pregarla, che li presenti Sonetti in lode di Christo, scemati à un numero di forse cinquanta, gli accetti, per ragionar di quel soggetto, di che la gratia della bontà sua, vi ha sparso et difuso tutto il bello dell'anima vostra, et non pei meriti del loro rozzo fabbro, et se lode alcuna nel cospetto dell'humanità vostra me n'averrà, serà solo per mercè di quella, che presentandole un saggio de l'uno stile et de l'altro, mi confortaste a seguitar questo, et non quello, che Dio il volesse che io l'avesse fatto, ch'io non viveria hora si inquieto, et in stato si confuso, et inchinandomi reverentemente à quella virtù che Dio vi spira vi bacio la pietosa mano. Di Fiorenza à di xxij di Giugno MDXLIIII.

Nicolo Martelli.

8 maggio 1529.

(Arch. di Stato di Firenze.—Alvisi Edoardo, La battaglia di Gavinana, Bologna, Zanichelli, 1881, pag. 312).

«Fu intercepta una lettera della Marchesana di Pescara che scriveva al Marchese del Guasto dolendosi con S. Ex. di questa Impresa (1) L'assedio di Monopoli, Alvisi, Op. cit., pag. 96., biasimando chi n'era suto cagione che la pigliassi, dicendo che non ha maj sentito che si possa combattere una terra forte dj sito con 4m o 5m fantj dove ne sieno drento 3m et molto mostra diffidarsene per le relationj et advisi di moltj.»

(Tratta dai Codici mss. del marchese Ferrajoli, da car. 103 a 126.—Barberiniani, sègnati LV. 47, da car. 76 a 99 e LIII, III da car. 192 a 233.—Corsiniano, segnato n°ree; 829, 84. E. 23).

"AVVERTIMENTO

Scipione Volpicella che primo pubblicò questa Vita di Vittoria Colonna nel Museo di Scienze e Letteratura (Napoli, Nobile, 1844, Nuova serie, Anno I, fascicolo X del 30 giugno, da pag. 116 a 189), con valide ragioni ne induce a credere che sotto il pseudonimo di Filocolo o Filetimo o Filesio o più veramente di Filonico Alicarnasseo amò celarsi Costantino di Alessandro Castriota Scanderbech dei marchesi d' Atripalta, quello stesso che fu in corrispondenza epistolare con Niccolò Franco di Benevento, e che dopo di essere stato molti anni paggio e famigliare del marchese del Vasto, ascrittosi al Sacro Ordine militare di S. Giovanni Gerosolimitano, si portò valorosamente alla difesa di Malta contro i Turchi nel 1565.

Per le giuste osservazioni del Volpicella intorno alle Vite di undici personaggi illustri del secolo XVI, delle quali questa di Vittoria è la quinta, scritte dal Filonico, vanno posti nel dimenticatoio i giudizi troppo severi od erronei espressi sovra di esse da Don Ferrante della Marra duca della Guardia, dal dottor Niccolò Caputo e dal padre Ireneo Affò.

È ben vero che il Filonico nel racconto non serba sempre l' ordine cronologico, che usa uno stile soverchiamente manierato, tortuoso, digressivo e parabolico onde non è sempre facile afferrarne il concetto; che, partigiano di Spagna, quasi sempre si fa vincere da spirito fazioso, che talora riesce mordace ed aggressivo, ma con tutto ciò questa Vita, per essere stata dettata pochi anni dopo la morte della Colonna da tal che ebbe tutto l' agio di conoscerla di persona e per fama, e che notò fatti e particolari da altri taciuti, si rende affatto indispensabile a chi con precisione ed ampiezza di criterî voglia trattare di lei.

La pubblicazione del Volpicella è divenuta oltremodo rara e più d' un biografo di Vittoria ha dovuto rassegnarsi di citarla sulla fede altrui; in essa, insieme al rimodernamento della grafia, c' eran da lamentare parecchie lacune che, se trovano una scusa nella censura d' allora, a' giorni nostri non potrebbero senza rimprovero essere rinnovate.

Ho stimato inopportuno ripetere nel contesto di questa Vita le tre lettere di Vittoria che estrassi pel Carteggio e suo Supplemento.

Per maggiori notizie riguardanti il Filonico e i suoi scritti, rimando il cortese lettore a quanto con copia di erudizione ne ragiona lo stesso Volpicella nel Museo citato, fasc. IX del 27 maggio 1844, da pag. 42 a 51.

VITA DI VITTORIA COLONNA

L'arte poetica è arte di ragione, disse il Maestro di color che sanno, et non senza cagione, conciosiachè per mezzo di tal conoscimento s'accorgono et ammaestrano le persone che ci son care, et si riducono a miglior vila i scelerati et rei, che per la loro cattiva et neghittosa vita tenemo come a punto le putride membra e corrotte allontanati da noi. Dunque ragionevolmente fu detto da lui che si trovò l'arte del versificare per lodar et commendare le cose honorevoii et buone, et per riprendere al roverscio et correggere la vita profana et vitiosa; et perciochè (i poeti) ardivano ragionare degli Dei et delle cose divine, sublimi et sempiterne et alte, Theologi furo più d'una volta nominati dal divino Platone, et Profeti et vaticinanti dai professori di Poesia, come si scorge in Statio napolitano, in Flacco, in Marone, et in Ovidio solmonese (per lasciar gli altri infiniti che poetaro), il quale scrivendo al suo compagno Severo et assoldato nella poetica legione, scrive in tal testimonianza queste parole:

Profeta dei profeti, ciò che vedi Scritto dalla man mia con queste note Dogliose et lamentevoli potrai Creder che vengan elle dai nevosi, Caro Severo, et da agghiacciati Daci.

(Epist. dal Ponto. 1. IV, II).

Detto è simil genere di persone ugual a' Principi dei secoli antepassati, reverendi, non potendo più altamente honorar le persone che con agnome et litolo così fatto, sendo riveriti da' principi, honorati dagli huomini, premiati dalle persone, essaltali dalle Muse, favoriti dall'eloquenza, et accarezzati dalle Grazie, le quali giamai da poeti vivono discompagnate; nomati cigni per cacciar dall'acque torbide dell'oblio, con il canto della gloria, le persone degne di merito, veneration et di preggio.

Nè alcuno si scandalizzi et inganni se Aristofane se ne beffa nelle sue Nubbi, Augosto li biasima ne' suoi detti et Platone li bandisce dalla Repubblica, perciochè, se ben la legge è per mille abusioni et fraudolenti operationi profanata da' glosatori et professori del tempo nostro, non perciò resta che santa ordinatione non sia meritevolmente nomata, ordinando il dover nostro con la prohibitione delle cose contrarie et neghittose. Qual cosa ridotta al proposito del scriver nostro, se ben vi furo dei versificanti che la Poesia casta ridussero in sporche et disdicevoli cantilene per abominevoli et fraudolenti adulationi et morsi velenosi et amarolenti, non perciò resta che Homero non fosse letto, imitato, disiato, ammirato et invidiato dalle persone, et parimente Teocrito, Marone, Euripide et altri di diverse poetiche professioni. Ma se egli è caro assai alla bocca, nuntia et conoscitrice de' 'gusti, haver complimento di grati et desiati cibi, qualhor si trovassero ministrati da real mano non sarebbe cagione a lei di più dilettatione et piacere? Dunque si potrebbe arguire che se la poesia in ogni mente et in ogni ingegno et in ogni stato risplende, chiarissima et luminosa sarebbe da riputarsi, qualhor da petto di generosa donna venisse a sorgere et scaturire. Et che sia questo il vero non a Giove, Mercurio et altro qualsivoglia Divo di ventiquattro carate tale assunto si attribuisce, nè a Fauno, nè a Saturno, nè a Termino nè a Gippani et rustiche Deità questo peso vien collocato, ma alle Muse et Ninfe divinissime di Parnasso, sendo conveniente, che, sciolto questo sesso dell'obbligation dell'armi per la benignità della natura, habbian pensiero di raccontar con voce armonica, musicale et sonora i gesti delle persone generose et heroiche, come fatto ha Vittoria Colonna, che non a similitudine d'Ipermestra, che lo sposo salva di perigli et fortune giacchè in quelli volontariamente si traboccava, nè ugual ad Azma che lo divora, ma il sposo converte et non in larve, fantasmi et vane apparenze di segni et di comete, ma il suo Pescara riduce in Cielo più luminoso che il biondo et innamorato Apollo, et con ragione, per ciò che se l'uno ardito et fiero si mostra contro Pitone che gli huomini avvelenava col fiato, da tutta Italia scaccia l' altro più d'una volta Francesi, dà terror in Provenza et fa con molti suoi, con quiete del paese che governava, il Re Francesco, temuto et venerato per il valor suo, star a segno, lasciando nel ritratto del Vasto l'imagin sua gloriosa con l'accrescimento di lode di famosissimi gesti et di trofei. I cui freggi preconizzati da lei, vive immortale con invidia del mondo, congiunti i meriti con la voce di tal sirena nobilissimamente nata, sendo figliuola di Fabrizio Colonna più su toccato (1) Cfr. Filonico, Vita di Prospero Colonna, Cod. ms. Ferrajoli, car. 28, 30 e 45, e Codd. Barb., LIII, 111, e LV, 47. di nation Romana et conosciuto fra tutti i Cavalieri del nostro tempo per il più arrisicato et ardito che nato fosse, il quale lasciando di servir Francesi, superbi naturalmente et mal atti a tolerarsi da chi se stima, et ridotto nella Cattolica Fattione, colma la Casa sua di grandezza et orna le sue tempie vittoriose di allori, il Reame Napolitano di sicurtadi, et casa d' Aragona, sotto il cui imperio militava, di tranquillità et quiete. Hor costui dunque, creato Duca di Tagliacozzo, Capitan di Gente d'Armi, et Contestabile del nostro Napolitano Reame, genera Ascanio tanto facondo quanto mal inclinato et sì acuto et accorto quanto cinto dalla sua fantasia et opinione, et nasce dal suo seme Vittoria, di chi parlato habbiamo, maritata con Don Ferrando Francesco Marchese di Pescara, di chi lungamente altrove parlato habbiamo (1) Cfr. Filonico, Vita di Don Ferrando Francesco d' Avalos, Marchese di Pescara, Cod. Ferr., car. 76, Cod. Barberiniano L III, 111, car. 140., la quale veggendosi in nodo matrimonial legata con un tanto huomo, attese ad accrescer le doti dell' animo suo gia chè per non essere di gran beltà posseditrice (2) Nell' unanime coro di lodi alla bellezza della Colonna è questa la sola stonatura che ascolto, è quindi il caso di concludere col noto aforismo che: è bello soltanto quel che piace. l' ammaestrava alla letteratura et conoscimento, a provedersi di beltà immarcescibile et non atta a mancare, come fan l'altre, et a sfiorire con l'intervallo del tempo che ogni cosa divora et strugge. Hor costei sorta sotto conditione di procacciar d'intendere et di sapere, scorto che agli animi giovenili si disconvengono per l'indisposizione della mente i studij sacri et conoscimenti speculativi, scuoprendo chiaro, che il lume dell'uno et l'altro studio si consegue per merto della profetica poesia, sendo a' filosofanti rivelata per utilità degli ingegni rozzi et incolti et non disposti alla consecution di tal bene, seco notte et dì si trastulla, seco dorme, seco veggia et seco fatica nelli anni più tenerelli et verdi; nella quale fe' sì gran frutto, che fra poeti odorano l'opre sue come il muschio fra le cose aromatiche, tra i fiori la rosa, il melo arancio tra frutti, et la perla tra le cose lucide et pretiose, sendo di lei stato maestro in tal disciplina il Molza (3) Britonio, che nella sua giovinezza ebbe per Musa ispiratrice la nostra Vittoria, ci fa noto chi fu il primo maestro di lei nella poesia col sonetto che leggesi a car. 193 della Gelosia del Sole cit.:
Sel dotto almo Chirone hebbe diletto
D'haver nel mondo ammaestrato Achille
Scorgendol poi con lodi et mille et mille
Della dottrina sua tanto perfetto:
Quanto de l'opre tue con lieto affetto
Convien di gioia che 'l tuo cor sfaville:
Poi che 'n mia Donna il largo ciel sortille
In cui rispira Apollo alto intelletto:
Hor noti in sue parole ornate et conte
Tuo lavor stesso: e 'l suo saver ben degno
Di senil vera: et non giovenil fronte:
Fonteio mio: non è più nobil pegno
Che l'huom specchiarsi a un suo medesmo fonte
Et veder quanta luce ha del suo ingegno.
A me sembra non improbabile che questo Fonteio possa esser lo stesso «Iosias Fonteius prior Aquaspartanus et Clericus Tudertinae Diocesis puplicus Imperiali auctoritate notarius et Iudeoe ordinarius» il quale a dì 6 giugno 1507, in Marino, rogò i Capitoli e patti nuziali fra Vittoria Colonna ed il Marchese di Pescara (Piccioni, Lettere inedite di V. C., ecc., Roma, Barbèra, 1875, pag. 5). Le mie indagini in Acquasparta sul conto di questo Giosia sono fin qui riuscite infruttuose: i rogiti esistenti in quell'archivio notarile non rimontano oltre l'anno 1556. Pare che il notariato fosse tradizionale nella famiglia de' Fontei.—Trovo che Antonio Fontei lo esercitò dal 1556 al 1592 e Cosimo Fontei dal 1592 al 1622.—Giovanni Battista Fontei scrisse l'opera De Prisca Caesiorum Gente, Bononiae, Rossium MDCXXII-III, e di lui il suo commentatore, Giulio Giacoboni di Terni, dettò quest'elogio: «preclaram eruditionem, summumque ingenii acumen habebat Fonteius».—Osservo che anche il maestro del Marchese di Pescara, Giovanni Musefilo da Gubbio si firmò testimonio alla esibizione dello stesso contratto matrimoniale fatta in Ischia da Ascanio Colonna. (Visconti, Vita di V. C., Roma, Salviucci, 1840, pag. LXIII e CXLII).—In quanto al Molza, se egli potè fornire a Vittoria esempi di buona poesia da influire sulla cultura letteraria di lei alla guisa del Bembo, del Giudiccioni e di altri, non pare verosimile che fosse chiamato ad esserne il peculiare maestro, vuoi per la sua giovane età, avendo solo tre anni più della Colonna, e vuoi meglio ancora per la vita dissoluta che egli menò dalla sua prima gioventù. Peraltro la benevolenza di Vittoria verso il poeta doveva essere ben grande, dappoichè ella non disdegnò di cantare la morte della Beatrice Paregia, cortigiana da lui amata, con quel sonetto che comincia:
«Molza, ch'al ciel quest'altra tua Beatrice».
Egli poi ci induce a credere che accompagnasse Vittoria nella visita delle antichità di Roma, e l'impressione ch'ella ne riportò ci è conservata dal sonetto dello stesso Molza:
«Gli alti sepolcri et le mirabil spoglie».
(Cfr. Visconti, op. cit., pag. LVIII e 114; Reumont, Vittoria Colonna, Torino, Loescher, 1883, pag. 39; Atanagi, Rime di diversi nobili poeti toscani. Venetia, Avanzo, 1565, lib. II, pag. 49 e la tavola).
, correttore il Bembo et trombetta et banditore di loro Luigi Alemanni, imitator Marco Cavallo et essecutor delle sue inventioni chiunque ai tempi nostri ingegnato si havesse di scrivere et parlar bene. Con li cui studij convertendo il tutto in utilità della vita accorta dei lacciuoli et intrighi della dannatione, era sempre col cuore et colla mente elevata a Dio et col pensiero ridotta al sesto del conoscimento della sua obligatione, la quale consistendo assolutamente nell'honorate et virtuose operationi, giachè sendo habito degno di elettione per il rispetto che dee tenersi a quello dalla creatura rationale capace di conoscimento et discorso, posta su tal pensiero et sequestrandosi a poco a poco dalle pazzie del mondo fuggiva le visitationi et inchini, gli honori et rispetti, che dan le genti soventemente per ingannar le persone, dicendo sempre la sentenza d'Ovidio a coloro che di simil cosa la venivano a biasimare qual suona: Qui bene canit bene vixit, pensando più come a pianta sterile generar frutti eterni dall'intelletto suo, c'haverne in terra con la conseguenza dei travagli et disdette che recano ove stanno appoggiati.

Fu dunque, per quel che si raccoglie, più donna retirata che vana, più devota che sensuale, et più contemplativa che boriosa et altiera, la cui dimora fu in Isca presso la Duchessa di Francavilla qualhora il sposo nelle guerre et turbolenze de Italia si trovava occupato, et era in Napoli qualhor il sposo, et non rare volte il Vasto, vi si trovava. Hor sendo il sposo ridotto nella giovinezza in Ravenna, là dove per il sbarattamento del nostro campo fu egli con altri molti personaggi priggione, diceva alludendo alla voce in buona parte interpetrata da lei:

Preggio e splendor sei tu del secol nostro, Almo sol, che oscurando i lumi intenti Nella tua luce, ovunque alberghi e stai L' oscura notte fai chiara et serena.

Et ragguagliata ch' era egli in fattion così fiera nel volto stato impiagato diceva: Quei freggi convenevoli son veramente all'opre heroicamente trattale, acciochè conosciute dal mondo porgano frutti d'imitatione et ammiratione alle persone di honorevole et degna qualità vestite (1) Anche Isabella d' Aragona Duchessa di Milano ebbe a dirgli in proposito le seguenti belle parole: «Vorrei esser maschio, S.r Marchese, non solamente per altri affari, ma per ricevere le ferite nel volto come v' avvenne, per vedere se apparissero così vaghe nel volto mio, come a voi stanno»—(Filonico, Vita del Pescara cit., Cod. Ferr., car. 81, e Barb., LIII, 111, car. 150).. Hor ridotto in Napoli, et mostrando a lui la collana che rapita occultamente a lei, porgè alla viceregina Cardona sua innamorata (2) Di altri illeciti e furtivi amori del Pescara ne parla il Marchese Campori nella Vita di V. C. Modena, Vincenzi 1878—Il Filonico, nella Vita del Pescara, Cod. Ferr., car. 81, ci dà i seguenti particolari intorno all' avventura colla Cardona: «Trovandosi in Napoli in quel tempo Donna Isabella Rechesentes di nation spagnola, et d' altra generosa gesta, moglie del Vicerè Cardona, che fu di volto la più bella donna che nacque mai, centa di honesti et generosi pensieri superata, dopo di morto il sposo, da i continui servigi di un huomo solo, benchè costantissima fosse stata per dinanzi, servendo lei Pescara maritato di fresco con Vittoria Colonna senza far frutto alcuno, persuasosi alfine, non havendo rimasto di tentar ogni strada, che in secol d'oro l' oro abbagliasse i lumi a ciascuno, tra corteggiamenti et amorosi raggionamenti lassa caderli nel petto, in tempo che veduto non era da circostanti, una centura di perle et d'altre pretiose gemme; qual cosa dissimulata da lei senza dar segno a lui d'haversene accorto, apena da lei partito, indi a non molto, l'invia ella a donar alla Marchesa di Pescara sua sposa, pregandola caramente che dovesse guardarla di sorte nell'avvenire che d'alcun ladro domestico rapita non gli avenisse tal cosa, del cui zeloso affetto rammaricata la moglie, fe' dirli dal consorte ridendo seco: Mi persuasi, sposa mia cara, che il studio amaestrato t'havesse nel fuggir cose vili et interessate» (Cod. Barb., LIII, 111. car. 151)., dopo di haverla rihavuta dalla casta mano, insin a quell'hora, di lei, gli dice: Sopportar ben polrei che l' haver nostro spargi per sodisfattion del tuo cuore, purchè l' esser tuo non mi furi; et ragguagliata indi a non molto che gli scrivè una canzone nella lingua spagnuola la qual principiava:

Si tu me cierras Amor Nel mejor tiempo la puerla La de la muerte sta abierla:

disse ella: La maggior libertà che possiede è la più travagliosa carcere che gusla. Et ragguagliata poco dopo che la Duchessa boriosissima di Milano haveva rotto quell'istrumento di musica danzatrice nel quale trovò scritta quella stanza o barzelletta in spagnuolo (1) Il Pescara avendo altra volta «ingannevolmente baciata» la Cardona e trovandosi poi con lei in un ballo in casa la Duchessa di Milano, nel vederla seco sdegnosa scrisse «sovra la carta del tamburino di Paulone maestro della Vice Regina et musico della Duchessa» questa copla:
«Mas fé y menor ventura
La memoria es mi enemiga
Ma solo en la memoria
Quedarà cada mi gloria».
La Duchessa, accortasene, ruppe rabbiosamente il tamburino e scacciò da caso sua Paulone sebbene fosse «il miglior musico di flauto di quel tempo». (Fil., Vita del Pescara, Cod. Ferr., car. 82, Barb., LIII, 111, car. 153, e Vita d' Isabella d' Aragona, Ferr., car. 71).
, diss'ella: Da tal radice nascer potrebbe la preservation dell'animo di costui, atto a corrompersi da leggiero dalle carezze fraudolenti et vane di Circe maga, di Medea stregoniera et di Ecale incantalrice; et ragguagliata nel fine che per una Dama da lui ingravidata in sua casa erano discordi et in maligno odio avilupati fra loro, diceva quel di Temistocle bandito: Perieramus nisi perissemus, come a dire, che per poterlo preservare da concupiscibile corruttione, non vi bisognava purga più lieve nè cavar sangue a lui per altra, che per tal vena. In qual spatio fe' ella un sonetto miracoloso che cominciava:

Padre del Ciel che nostra mente guidi,

et ciò che può seguire. Nè dopo molto partito il Marchese per la Corte del Re Cattolico Imbasciator della Città nostra, gode ella vederlo travagliar et essercitarsi in negotij di grande affare più che in vanità et leggierezze amorose, scrivendo un sonetto su tal affare che principiava:

Vanne lieto, mio sol, vanne sicuro Con lieto augurio ovunque il ciel ti guida.

Havendo egli sceltamente negotiato et venuto bene et votivamente ispedito dovunque, trova il Marchese del Vasto in Apruzzo (1) Quest' avventura che ebbe luogo a Castel di Sangro, feudo del Pescara, è raccontata ne' suoi particolari da Filonico nella Vita del March. del Vasto, Cod. Ferr., cit., car. 131, Vaticano n°ree; 8874, car. 65 e 66, e Barb., LIII, 111, car. 243., il quale poc' anzi che li sovragiugnesse Pescara addosso havendosi honoratamente apportato una notte nella quale con periglio di sua persona fu con una bella giovane colto in peccato, disse ella ragguagliala del fatto in veder lui: Iste puer locis esset flectendus ne vanitate fretus insolescat, volendo misticamente dinotare che beato veramente sarebbe il mondo se a gli alti et sublimi di senno et accorgimento, et a gli humili et bassi di grande et desiato ardire havesse la natura provisto; di qual publica riprensione si compunse sì fieramente il Vasto che indi innanzi, cominciò a mutar vita et esser più temperato et circospetto, più considerato et più grave. A chi havendo ansiosamente colei rivolto, degno di ammiratione, il conoscimento di studij et lettere humane, ridusse senz'altra ammonitione et ricordanza colui a ricovrar quel che per a dietro haveva lasciato di fare, benchè in ciò frettolosamente lo stimolasse il sprone del suo Maestro. In qual punto veggendo esser ridotto, et conoscendo poter la poesia assolutamente in un animo generoso et ben ordinato far quella impressione di dottrina, che far non possono l'altre discipline, scienze et arti, et tanto più non repugnando a quella il genio suo, applica tanto con continue piacevoli assuefattioni il suo animo, che non era cosa scritta in le prose che nel verso piacevolmente non traducesse, nè pensiero alcuno, per alto et elevato che fosse, passava pel capo suo, che da lui espresso in versi facilmente et politamente non fosse (1) Il Marchese del Vasto fu «habilissimo e pronto in far versi così latini come volgari dotti, pronti e sententiosi, de' quali fe' sì gran numero, che le muse in Parnasso havrebbeno di mestieri gran spatio per gli cantare»—Così il Filonico nella Vita del Vasto, Cod. Ferrajoli, car. 135, ed a car. 199: «Era piacevole il Marchese in conversatione et accorto, acuto, arguto et habilissimo così nel latino come nell'italiano idioma, formando in pronto versi latini et volgari con mischianza di diversi authori, i quali posti da lui con buona gratia, l'orecchie tenea ingannate et balorde di coloro che di tal sorte l'odivan ragionare, nè per questo rimase di scriver sceltamente in lingua latina, et far belle elegie et arguti et accorti epitaffi et epigrammi, sonetti sententiosi et heroici nella lingua volgare, canzone miracolose, stanze et satire degne di essempio et ammiratione».
Nelle raccolte di Rime del sec. XVI e nel Cod. ms. della Riccardiana: O. IV, n. 4 si leggono molte composizioni poetiche del Marchese del Vasto—Il Cav. Visconti nell'edizione romana delle Rime di V. C. ha ommesso il sonetto del Vasto che comincia:
«Prima ne i chiari, lor ne gli oscuri panni»
il quale è in risposta all' altro di Vittoria che ha lo stesso principio (pag. 34)—Cfr. Rime diverse di molti eccellentiss. Auttori, Vinegia, Giolito, MDLII, pag. * 3, e le varianti del Cod. Ambrosiano: Y, 124, p. sup., car. 46. Mazzuchelli, Gli scrittori d' Italia, Brescia 1753, vol. 1, parte Il, pag. 1222. Tiraboschi, op. cit., vol. III, pag. 338.
, per dilettation della quale s'indusse nell'età più considerata nelli conoscimenti dell'historia et cosmografia, et passando più oltre nelli discorsi delle morali operationi, odorando i fiori delle contemplationi specolative quanto all' età sua giovenile et verde et all'armigera sua professione si conveniva. Per il mezzo et roffianesmo di quali discipline et arti, et per la dote naturale di bellezza che possedeva, alle dame veramente belle in quella stagione era sì caro, che il dì di conversatione ove egli non si trovava non parea Corte; per qual cagione l'hebbe in sì gran rispetto che più de semplici raccordi della Marchesa che di minacce et altre riprensioni di Pescara haveva timore, et ella l'hebbe sì caro, che per sì degno et spettabile successore sopportava senza sdegnarsi rimaner sterile et senza frutto, dicendo a chi di tal patienza la tribolava: Non son sterile veramente come credete sendo nato dal mio intelletto costui, volendo tacitamente inferire il Vasto, alludendo al nascimento di Pallade che figurata dalla poetica Theologia figlia di Giove, opra mistica et scrittura di gran consideratione per l'utilità comune può dinotare, come venisse a dire per tal figura doversi in lui con essaltatione et perpetua raccordanza, come avvenne, perpetuar la grandezza et memoria dei suoi passati con sodisfattione del suo animo, per haver essa amorosamente irrigata la pianta che questi odoriferi et vaghi fiori doveva germogliare, seguendo lui nella guisa che seguiva Minerva il figliolo di Laerte, rimovendo da suoi pensieri così le false imaginationi et pensieri come la nebbia condensata da gli occhi di Diomede ostinato et crudele, per il cui beneficio calpeggia il mondo, supera le calunnie et fu egli con danno irrimediabile dei Patroni conosciuto dopo la morte, come odirete nel suo luogo determinato.

Et ridotto il ragionamento al luogo donde s'era partito, ridotto Pescara per ordine dell'Imperatore suo Patrone in Milano (l'Imperatore eletto nell'età giovenile per sdegnoso movimento di Brandemburgo elettore contra Francesco Re de Francesi, il quale a guisa di Bartolomeo la Valle volle ridursi al corso pria d'haversi i sproni collocati nei piedi), et seco il Vasto giovenissimo et bello più che la bellezza ne mena con tacita riprensione di ciascuno, dalla Marchesa sua consorte di chi parliamo in fuori, trascorrendo seco in cotal guisa: Filippo Re di Macedonia fa cavalcar Bucefalo destriero indomito et furioso ad Alessandro suo unico et assoluto successore nel Regno di Macedonia et altri luoghi, considerando esser via miglior rimaner il cognome estinto, distrutta la sostanza, et orba la successione, che trovarsi quella al fine posseduta et ereditata da gente vile et indegna di tanto bene, et così essendo, poichè così in questi come in altri luoghi si more et è la morte un necessario decreto et ordinatione della natura, et si può in termine così fatto per violenza, per voglia et altre infinite maniere et strade la persona ridurre, gia che resister et superar non potete la forza della natura et dei determinati ponti dei fati, aspetti dei Cieli, et influssi necessilosi dei geni rei, venga il Marchese del Vasto con esso voi, percioche mancando un huomo solo se mancasse egli, el un legnaggio solo se manca il vostro non è cosa da abbominar e temere. Sono mancali gli Heraclidi, Consorle caro, gli Annoni, gli Asdrubali et, se egli è vero, non sarà molto che manchi il Vasto, et per contrario verso riuscendo egli sotto della disciplina di Prospero, tanto meritevolmente islimato, in guerre tanto notabili el gloriose et sotto la vostra paterna correttione, sarà col tempo, come ragionevolmente spero io, non huomo ma un Dio fra gli huomini esso stimato. Con qual opinione concorrendo la Duchessa di Francavilla, di pari donna di grande ardire et di animo generoso et regale et zia carnale del Vasto, si risolve menarlo seco come fe' poi, benchè molte considerationi, difficoltà et inconvenienti gli piccassero acremente et ansiosamente il cervello. Di qual resolutione divenuto da timoroso del contrario il Vasto gioioso molto, che faceva voti per ogni Chiesa per consecutione di un fine tanto da lui desiderato, si provede di varij et diversi arnesi, padiglioni, sopravesti et girelli, divise et vestimenti uguali al nascimento et età che tenea, et, principiando a farsi conoscer per soldato trattando et pratticando con genti di simil qualità et affare, salva Giovanni Battista Castaldo, assalito fuor di Napoli da molti in compagnia di Brancacciello gentilhuomo napolitano (1) Gian Francesco Brancaccio che fu poi ucciso per ordine del Vasto a Mantova—Filonico, Vita della Principessa di Francavilla, Cod. Ferr. car. 9, e Vita del Vasto, ivi, car. 132.. Di qual coraggiosa dimostratione et prova la Marchesa ragguagliata indi a non molto dice in presenza di molti che si trovaron nel fatto: Fa bene a procacciarsi regni gloriosi et alli coslui, poiche stati obbligati ai Re son bassi intertenimenti pel merto suo. Da qual profetica parola impressa nell' animo del Vasto idea di regnare, non potendo arrivarvi per colpa dei ministri invidiosi del suo Padrone, che Tunisi, Algieri et altri luoghi da potersi acquistar da lui l'hanno tolto di mano, finisce la vita sua dogliosamente con aborrimento di vita. Ne dopo molto partendo col Marchese di Pescara il giovine et di grande aspettativa del Vasto, colei gli porge un padiglione ricchissimo et grande con un camerino ricamato di seta carmosina et oro et dattoli delle palme in augurio di accrescimento, là dove ritirar si doveva per ricrearsi, nella porta del quale era scritto quel che fu attribuito a Vespasiano Imperatore, il quale per virtù oprata da basso et humile huomo s'innalzò nel grado imperiale et sublime, che diceva: Nunquam minus oliosus, nisi quando oliosus erat ille, come havesse voluto lui per questo motto tacitamente avvertire che sendo l'otio la radice di tutti i mali, che fuggir et abbominar lo dovesse come al più crudel nemico che havesse in terra. Nè indi a molto ragguagliata che in la Piccoca s'apportò egli con gran accorgimento et ardire, dice ella, in confusione di coloro che disturbavano con parole otiose et vili la gloria sua la qual nei perigli si fa chiara et riluce, la sentenza di Boetio qual suona:

Heu heu quam miseros tramite devio abducit ignorantia!

Ragguagliata costei che il Marchese suo sposo dopo di havere l'Infanteria ridotta in vita non conosciuta, non era luogo alcuno che al poter suo resister potesse, diceva: Veramente può dirsi meritar via più molto il sposo mio dei suoi antepassati progenitori, poichè non, come molti fero, dissipa il patrimonio che per heredità conseguisce, ma l'accresce et aumenta oltre modo col suo travaglio, volendo perciò inferire che se i primi d'Avali che in Italia furon ridotti in servigio d'Aragonesi, gli conservarono et acquistarono il Reame occupato da rubelli et mal consigliati Baroni Napolitani, egli i Regni et Paesi altrui acquista et occupa in benefitio et servigio del Principe nella cui militia è dedicato et ascritto; et disse il vero, per cio chè conosciuta l' attitudine del luogo ove si guerreggiava, più per fanti che per cavalli disposto, seguendo stile contrario de' nemici, fu sempre vittorioso, talmente che, fatta non manco celebre che boriosa la fama sua, entra in competenza con Prospero Colonnese, parendo a lui che la sua disciplina desse di rancio per l'antiquità del costume; per la qual strada entraro in discordie, dispute et dispareri tanto che Pompeo Colonna fratello naturale di Prospero che fu poi Cardinale et Governatore del nostro Napolitano Reame, et era per la Sede Apostolica legato nel nostro Campo, conoscendo il danno che potea partorire, come ad àncora et rimedio estremo scrive alla Marchesa che rimedij con le sue persuasioni et accorgimenti, la quale non sdegnosa di seguir tal impresa scrive al marito queste parole: (leggasi la lettera CLXXXIII, a pag. 323 del Carteggio di V. C.).

Qual lettera hebbe tanto potere che gli animi serenati fra loro, benchè la competenza accrescesse nell'essecution delle cose, la conformità dell'essecutione superava la boria et superbia loro. Nè dopo molto essendo ragguagliata ella che il marito oltre modo favoriva et anteponeva il Vasto, disse ella: Novit Dominus qui sunt sui, volendo misticamente inferire essere a Dio assolutamente aperto il volere et intriaseca intention delle genti, essendo questo conoscimento così chiaro alla creatura rationale interdetto, con farci occultamente avvertiti s' haver egli molto al vero fatto vicino, nascendo bassamente colui et perciò consequentemente disposto ad insuperbirsi per favore et disperarsi per bassezza, servendosi dell'autorità d'Aristotile tacitamente che dice: che ben oprar assolutamente può colui che nobilmente nasce et non di altra maniera senza lunga et continua essercitation nel ben fare. Hor morto Prospero Colonnese et rivolto in Spagna il Vicerè Don Ciarles, ragguagliata ella che il Marchese suo sposo, creato generale, in Francia ne giva insieme con Borbone, in Provenza, per l'essecution di tal affare, piange et ride in un tempo drizzando allo sposo un sonetto che comincia:

La dura pietra che percossa riede Scintillando le fiamme desiate,

et ciò che viene appresso, volendo occultamente inferire per quello, trovarsi lieta oltre modo ella del grado sì honorevole et desiato conseguito in tal luogo, benchè simil chiarezza offuscar la possa la nebbia et ombra vituperosa che l'accompagna et guida, presaggendo opre infelici et disventurate per la neghittosa meschianza, come avenne in effetto, ridotti al ritirarsi pericolosamente et senza assalir la battuta Marseglia, sdegnati i popoli di vedere infestarsi un Regno hereditario et quieto dalla rubellione di un Barone poco accorto et considerato. Di qual temerità commosso un Re giovine, ardito, impatiente et Francese, s'avvicina Francesco per darle aiuto con grossa banda di gente et di signori, et insuperbito di vedere il campo imperiale ritirato, siegue lor orme, tanto che, rotto a lui il corno della superbia, riman sconfitto et priggione senza haverselo imaginato in Pavia. In qual travagliosa baruffa ragguagliata ella che il Vasto salvo et con buon odore, il marito ferito a morte (1) «Fu Pescara impiagato di più ferite trovato tra i morti». Vita di lui, Cod. Ferr., car. 99; Cod. Vat., 8874, car. 67., et era stato il Marchese di Civita sì caro al sposo di man del Re Francesco ucciso, disse ella per Civita sventurato: Dovea merilamente per real mano perire quell'huomo che reali opere commesse in ogni occasione et tempo col valor suo, braccio destro del Signor mio, difesa di Carlo et della Christiana Religione et fedele huomo realmente nato, realmente allevato, per real mano et in real fattione et opra ridotto al fine: benedetto sia il tuo nascimento, così come è invidioso a ciascun buono il fine generoso del viver tuo! scrivendo al sposo un Capitolo con persuader a lui che, congionto per perdita così fatta col Vasto, ristasse di procacciar novello amico, sendo uccel di tal qualità difficoltoso a trovare nelle case dell'interessi e malignità mondane, qual cominciava:

Poiche il fato, Signor, ti discompagna Da nodo così caro, di qual privo, Sempre l' animo tuo s'affligge et lagna,

et quel che siegue.

Fu costei donna sensibilissima di natura nelle cose irragionevolmente commesse; che sia il vero, ragguagliata costei che si trovasse il sposo in querela con il Conte di Potenza suo parente (1) Don Giovanni di Guevara conte di Potenza sfidò il Pescara perchè lasciò sposare la Marchesa della Padula al Conte Golisano, anzichè al figlio suo Antonio come il Pescara gli aveva promesso. L'odio sopito da Carlo V coll' allontanamento in Ispagna del Guevara, scoppiò poi più violento. Antonio fu ucciso dal Vasto e il conte di Potenza ferito gravemente. Il delitto fu «dai ministri di Cesare dissimulato»—Filonico, Cod. Ferr., Vita del Pescara, car. 87—Vita della Principessa di Francavilla, ivi, car. 10—Cod. Barb., LIII, 111, car. 165., scrive contro ciascuno crucciosamente, et si duole oltre modo di simil cosa, veggendo il sangue perturbato et commosso, l'amicitia alterata, et il serviggio del Padrone con lor biasmo in bilancia, scrivendo finalmente al marito queste parole: Se il scandalo di necessità dee seguire è degno nulladimeno di pietà chi n'è cagione, dopoichè l'ira è perturbatione naturale della creatura di sentimento, et così essendo, l'acqua della correttione è di maggior lode, et se humanamente in questa fragilità si cade, è degno veramente di grand'imitatione chi poi risorge: parole piene tutte di sentimento et di concetti alti et misteriosi, atti a smorzar la face che fatta viva potea bruggiar et incendere et le prossime et lontane stipole et herbe secche et sterili del terreno, come successe, sendo stato il Conte imprigionato in Ispagna senza ritrovarsi in Pavia, il Marchese di Pescara punto di vana et impertinente propulsa, et finalmente dal Vasto indi a molti anni impiagato il Conte et ucciso Don Antonio suo figliuolo et legitimo successore, nascendo misteriosamente et in tempo di maggior travaglio, di maggior periglio et bisogno, con servigio del Padrone, quella pace et tranquillità fra loro, che il mondo non, ma Dio glorioso assolutamente può dare. Insino a qual termine compreso il splendore et la luce del sposo per la virtù dei raggi che dimostrava d'opre gloriose et heroiche, attese sempre insin al morir suo a collocarlo in Cielo, degna di lode et freggi più che ogn'altro che poetasse, poiche non solamente procaccia di tor dall'onde torbide dell'obblio la memoria degna di celebrarsi di lui, ma oscurar il sole con la chiarezza dei raggi che l'incorona per il mezo et beneficio de' versi suoi. Nè dopo molto udita la giustificatione del marito col suo Signore, et veder tolta totalmente l'ombra della suspitione della nota che il mondo attribuir gli poteva, scrive su quella fine un sonetto sententioso o centone che cominciava:

Cara la vita et doppo lei mi pare,
(Petrarca, I, 204)

et ciò che viene appresso. Ma perciochè una materia sì scabrosa gli donava suspitione, gli scrive che stia sul saldo, sul sicuro et sovra l'aviso, conoscendo dover questo esseguire un huomo che tutta Italia et Francia have uccellato per sicurtà del Patrone.

In qual stagione venendo il misero Pescara a fine, fosse per asma o altra infermità che contrasse assediando il Duca di Milano, o che Don Ciarles l'avvelenasse per ordine, come s'ode, del suo Patrone per instigatione di Clemente Settimo, non saprei dirvi. So ben certo io che di sua morte si lagnò Cesare nei bisogni più d'una volta, et ne gioiro i Francesi soventemente. Qual morte lagrimò ella, senza allegrarsi mai, dirottamente, scrivendo quel sententioso et fiebil sonetto che cominciava:

Se mai misero visse in doglia e pena Avvolto in nero duol, in nero manto Quella son io che vivo sol di pianto,

et ciò che deve seguire; sacrificando a Dio, già che la virginità non può ella, il stato in che si trova, rivolta totalmente a lui senza lasciar il mondo nelle cose bisognose per sue fatiche, dopo di haver fatto ridur il corpo del sposo suo in Napoli da Milano, et haver dato a lui honorevoli essequie e sepoltura nella Cappella di San Domenico. In tal gesta scorgendo che il corpo del Marchese di Civita col busto del marito parimente in Napoli venia, dice ella: Felice, anzi beatissima si può reputar l'età nostra, el con scorno et confusion di Damone et Pitia et de gli altri amici celebrati da Greci, poichè non solamente in vita come lor fecero, ma in vita et in morte sono sempre congionti; et rimosso il pianto dai lumi suoi lagrimosi et le querele dalla bocca immortalatrice, sposata da quel giorno innanzi al nostro Salvatore et volta in tutto serva della Vergine gloriosa, dileguando le genti dal peccare, il viver suo dispensa in aiuto et suffragio di bisognosi et famigliari, cantando sempre i misteri del Figliuolo et i merti di sua santa et benedetta Madre.

In qual stagione sendo a lei raportato che il Vasto, già conosciuto per degno, inalzato in honore, arrichito di autorità et aumentato di credito, dogliosi della sua gloria, presupponendo ombrar i suoi meriti e porre in confusione la sua grandezza, i suoi emulatori et invidiosi, era inviato sopra Lodi con poca gente a contrastar coi muij bien guerniti con buona et grossa gente, gli scrive con gran proposito et consideratione: (Lettera IV, Supplemento al Carteggio di V. C.).

Già era l'animo del Vasto perturbato et commosso et in pensiero di lasciar il principiato camino, veggendosi dopo lunghi stenti sottoposto all'ordinatione et commandamento di persone punto nel mestier del soldo esercitate, pervenute in grandezza con poco risigo et in credito con favore, dicendo spesso la sentenza di Aristofane nel principio del suo Plutone, ovunque alcuno effetto strabocchevole et pernitioso, per non dirittamente considerarsi, si effettuasse. In quel punto giungendo alui medicina tanto opportuna et estratta et cavata dalla cascia del cuore per mano tanto amorosa, l'animo cento d'infinite perturbationi et passioni si va di giorno in giorno rasserenando.

Nè dopo molto procacciando il Re Francesco, dopo deliberato, per violenza più che per gentilezza rihaver i figliuoli, legato con Venetiani et Clemente Settimo et altre potenze Italiane, invia con poderoso essercito Odetto de Fois titolato Duca et signor di Lautrech, nel piano di Lombardia con ordine di favorire il Papa et tentar di nuovo, giachè Vadamonte gito era invano, l'impresa del nostro Regno Napolitano. Per qual rispetto, lasciando il stato di Milano sotto il governo di Antonio di Leva, con grossa mano di gente da cavallo et da piedi marciorno a gran giornate per ridursi al Tronto et ai confini di quello i nostri Imperiali. In qual giornata ingannato il Vicerè Don Ciarles da' Fiorentini, et ridotto il Marchese, come fu detto, et altri condottieri imperiali, per ordine dell'Imperatore mostrato da Cesare Ferramosca Imbasciatore al Reame Napolitano, morto Borbone in Roma et ferito d'archibugiata al naso il principe d'Oranges, il quale presideva per mancamento di capi et volontà de' soldati nel campo imperiale, et saccheggiata finalmente et profanata Roma, preso Clemente ed usate ivi tutte le sporchezze et scellerate operationi che si possano nell'inferno trattare, et finalmente Clemente liberato per nuova ordination del Patrone con grossa taglia, benchè si ricovrisse quel fallo con rimedio di sodisfar la gente ammutinata, et tolto per mezo delle dovute paghe le genti da tumultuosi et disordinati governi, si riduce nel Regno il nostro Imperiale Essercito dopo lungo travaglio, havendo il Francese et quello dell'inimica lega sempre alle spalle, là dove gionti, presa Melfi, posto l'assedio alla Città nostra et eseguita la vittoria nel naval contrasto in favore et beneficio de' Francesi con la cattura d'Ascanio Colonese et del Vasto, consola la Marchesa, più su toccata, la moglie di lui, la sorella e ciascuno, benchè ella pianga dentro dell'animo suo afflitto per dolor non conosciuto dall'altri et più periglioso et grave, rammentandosi la profetia di Francesco per adempimento della quale o il Vasto eternamente priggione con perdita dell' havere et legnaggio, sendo unico in Casa sua et senza herede, o sciolto et mancator l'havrebbe ella conosciuto ben tosto, tremava ella dell'età giovenile del Marchese, benchè ardito et determinato lo conoscesse, et delle tante lusinghe et promissioni del Re Francesco, del cervello d'Andrea Doria interessato et della poca speme che si teneva di resistere a tal fortuna; era altresì in maggior sospetto ragguagliata ella della morte et maniera di quella di Don Ciarles, vigilia essistente et vera della festa c'haverebbe possuto necessariamente seguire. Ma confidando nell'altezza dell'animo del Marchese inchinato nel dover suo naturalmente, et nella miracolosa potenza del Signore, che le cose inordinate corregge, l'ordinate distrugge, et cava quando egli vuole i santi et desiati espedienti dalle cieche et tenebrose confusioni; non potendo far altro insieme coi presenti et rinfrescamenti inviati a lui (1) Filonico, Vita del Vasto, Cod. Ferr., car. 157; Vita del Principe Andrea d'Oria, ivi, car. 358; Vita della Principessa di Francavilla, ivi, car. 12.—Giovio che trovavasi a Ischia fu da Vittoria inviato a certificarsi dello stato dei prigioni, e recò loro medicine e consigli. (Giovio, Lettere volgari, Venetia, Sessa, 1560 pag. 4)—Il Doria mantenne la promessa fatta a Vittoria di non consegnare Ascanio ed il Vasto al Re Francesco, che li richiedeva (Vita del Vasto, cit., car. 160).—Cfr. Carteggio, pag. 53, e Cod. Vaticano, 3924, II, car. 259. gli scrive perchè resista, stia saldo, non si sgomenti, nè offoschi da passioni et promesse, un sonetto che comincia:

Contra i più erti et più superbi colli,

et ciò che viene appresso. Et riuscendo il pensiero a punto come immaginato l'havea, indi a non molto armato di tal arnese il Marchese del Vasto perviene in Genova, et ridotto nella presenza del Capitano Andrea Doria Ammiraglio et Generale de' Francesi, di chi divenne egli, o per colpa de' nostri o per malignità d'influssi o per misterio divino, come indi a non molto si discoverse, priggione d'armi. In qual tempo, promettendo la taglia, chiede al suo prigioniero in gratia che seco lo ritenga senza inviarlo altronde insin che del riscatto sodisfatto non sia; qual cosa impetrata da lui, che contezza insin a quel tempo non havea egli del voler del Re suo, acheta tanto l'animo del Marchese quanto perturba il suo, per non pensarvi, per tal promissione dicendo spesso la risposta del Sole verso di Fetonte doglioso di haverla fatta et risoluto di haver giurato l'onde d'Acheronte pria che privarsi per mancamento della divinità hereditata da suoi et sostenuta et accresciuta col suo valore et travaglio, si risolve esser osservator fin al morire. Di qual cosa la Marchesa di Pescara certificata gioisce, et spera per questi mezi ogni fine desiderato, qual apparisce indi a non molto con perdita et distruttion di Francesi, sodisfattion del Marchese, et grandezza del Doria Capitano ridotto per tale strada nel maggiore grado dei titoli et alti affari che fortuna colloca a chi vuol favorire, havendo per cotal strada liberata la Patria sua et trattato l'opre più gloriose e le più degne imprese che siano da mille lustri addietro essercitate da Imperatori, non chè da conduttieri et ministri dei Principi generosi, come fu egli. Nè dopo molto liberato egli, ridotto in Napoli, sconfitto l'Essercito della lega, ridotto in Puglia con grado principale et supremo, et pervenuto in Toscana, come odirassi altrove (1) Filonico, Vita del Vasto, Codd. Ferrajoli, Barberini e Vaticano, n.°ree; 8874., ragguagliata ella che per le gare et competenze d'Oranges fu creato egli Generale Capitano in Ungaria, s'acqueta scrivendo a lui laconicamente queste poche parole nella lingua latina: Qui se novit omnia novit et qui se vicit omnia superare audebit; vale. Come venisse a dire: non insuperbir, Marchese, hor che sei lungi di competenza et contrasto et perverrai nel grado et luogo che arrivar et pervenir procacci; effetto che la necessità del mondo disturba, invidiosa del merito di tanto huomo, balestrando il Marchese, per haversi col Duca di Mantova disdegnato l'Imperatore, come odirete altrove, in Toscana nel governo del campo, moderato insin a quel tempo da don Ferrando suo fratello per morte del Principe d'Oranges nella fattion di Ferruccio, et indi a non lunga stagione in Vienna con favor, grandezza e sodisfattion non creduta.

In qual spatio scovrendo per segni così evidenti costei esser la nave della felicità di costui ridotta in porto desiderato sì lungamente, per giovar gli altri, giachè il suo sole haveva per mezo suo volto l'astro caliginoso, va in Roma, là dove visitata da Cardinali, favorita dal Papa et venerata da Principi forestieri et Italiani, et riverita da persone colme di santa vita et dottrina, attende a sollevare l'ingegni che avviliti et ammarciti sarebbono per non potersi sostenere et nodrire, et a dar gran doni al Molza, a Luigi Alemanni, al Caval miracoloso et a molti ingegni di grande aspettativa et da conto sparge gran parte dell' haver suo (1) Cfr. Claudio Tolomei, Lettere, Vinegia, Giolito 1547, pag. 54 e 58; Carteggio, pag. 357., et così pure per dimostrarsi pia in dare il vitto a Giudei et Infedeli conversi nella via del vero per sua instigatione et raccordi. In qual luogo et altri molti fa elemosine di gran conto per fondatione di spedali, seminarij, tempij et altre opere degne d'imitatione et raccordo (2) Armellini, Chiese di Roma, 1887, pag. 284., attendendo con ogni sforzo a tor di vita lussuriosa, vituperosa et profana molte cortigiane famose con lucro dei spedali, benchè l'interlasciata procession del mantello al vomito l'instigasse de nuovo; in qual opra fu senza pietà alcuna del sesso, della fragilità et della vita, havendo Cleopatra bellissima et Isabella Greca fatte perir prigioni dopo pentite, senza tener riguardo al martirio che per Satanasso prendean le meschine inconsiderate per truffar altri, meritando perciò più freggio che imputatione se alla viltà dei soggetti et habiti vituperosi et profani si riguardasse; et in tal guisa ad imitatione di ladroni, usurari, truffadori et predoni rendendo al tempio quel che rubbaro a molti, discarche di peso tanto vituperoso tiran la via del Cielo, se starà aperto, portando a piè sproni, per quanto scorgo, più di penosa disperatione et angoscia che di pentimento et compuntione: comunque fusse cava costei coloro dai postriboli, lupanari et bordelli togliendo per quel mezo parimente l'occasione che Cavalieri, Presidi, Prencipi, Imbasciatori et Prelati fussero tanto sfacciatamente avolti in visite tanto vili, benchè per chiaro conoscimento della robba che si comprava Diogene Cinico vi dispensi. In qual tempo ridutta in Roma una Spagnuola che da vanissima Cortegiana era nella vita contemplativa ridotta, dotta nelle scienze et arti, et lungamente essercitata nella divina scrittura la fe' conoscere a Paolo Terzo, il quale desiando che la predicatione le fusse tolta nascendo scandali et scismi infiniti da esercitation così fatta, permette, benchè Paolo Apostolo il prohibisca, che predicar potesse nei pergami delle Chiese, et che potesse pure le Corteggiane convertite nel bene seco menar vestite del habito Francescano, come ella parimente vestiva, senza aiuto et consentimento del Generale d'Ordine di tal sorte, là dove havendo con sodisfattione di molti diverse volte devotissimamente predicato, l'invia in Napoli, la qual dopo haver più femine de tal sorte dal postribolo rivocate nella conversione, predica il dì di San Francesco in tal luogo, malgrado del Vicario che il prohibiva, fomentata da Giulia Gonzaga, et altre Dame de grand' affare, che per essere lei donna et inviata dalla Marchesa la fomentavano et diffensavano a più potere, la qual tenuta più giorni in divotione, fu ella finalmente colta in peccato, et impreggionata nel Monasterio di Convertite, di qual cosa ragguagliata questa Signora, disse a colui che di ciò le raggiona:

L'età, l'habiludine, l'origine et l'habitatione m'hanno ingannata, volendo misticamente inferire che temperatura accesa, corpo asciutto, età matura et stanza delitiosa sogliono stracolli somiglianti partorire, sendo Napoli prona ai libidinosi congiungimenti, sì per la cattiva et comune usanza. come ancora per la comodità di peccare.

Fu costei donna libera nelle cose convenevoli et honorate et quasi di filosofica risolutione et prontezza, et che sia il vero sendo a lei detto che Ascanio Colonna suo fratello era in continui raggionamenti et commertij con Satanasso (1) Fil., Vita di D. Giovanna d'Aragona, Cod. Ferr., e Barb., LV, 47., dice ella: Fa bene a conversar con i demonij colui che non è degno di contemplare et vedere Dio che lo può salvare; alludendo al mal nome che tenea egli abbandonandosi oltre al convenevole nella vita sporca et licentiosa. Nè dopo molto sendo in un raggionamento a lei detto che Ascanio suo fratello era prudente et saggio: Facondo et eloquente potreste dirmi, ella risponde. Et ragguagliata che in Mantova disputò egli in Chiesa con il Frate che predicava molto consideratamente et con ammiratione dei riguardanti, disse: Fa bene a vender la sua dottrina nel pubblico poichè in secreto tanto sfacciatamente la dona, tassandolo tacitamente d'impudico per cotal suono. Biasimò costei acremente il fratello, havendosi, come udirete, su il matrimonio di Donna Vittoria sua figliuola sì vaframente apportato col suo Signore dicendoli: (Suppl. lett. XVI). Quel che intieramente viene adempito, conciosiache componto di occolto tarlo l'Imperatore, in odir che vien egli infestato da Paolo Terzo, sta saldo per la parentela et pel sdegno talmente, che spogliato del stato di terra di Roma fugge in Vinegia la dove con mal nome dimora finchè vuol egli.

Fu donna inimica di dissimulationi e bugie, et che sia il vero, dimandata che gli parea d'Ascanio suo fratello, il quale, richiesto, rimasto havea d'esser capo dell'armi Imperiali in Italia, dopo morto il Leva, et Governatore nel stato di Milano, risponde: S' Ascanio è saggio fe' gran pazzia et al roverscio havuto ha in quello gran consideratione et discorso; come havesse ella misticamente voluto significare, che conoscendosi colui atto et disposto per tale affare, fe' fallo grande a ricusar tal peso non potendo il Padrone conferir grado più degno, ma conoscendosi per contrario verso indegno di quel peso, a ricusarlo fe' cosa accorta et considerata. Hor dimandata un giorno se fosse il vero tenesse Ascanio suo fratello il Demonio rinchiuso nell'ampolletta, risponde con ambiguo senso: Così non fusse; alludendo al Demonio del Boccaccio per dirli più cortese di Rustico Agricoltore.

Fu costei Donna di gran discorso e libera nella riprensione degli amici nelle cose honorevoli, considerate et giuste, et che sia il vero, scorgendo ella che il Vasto per attendere a sensualità e lussuriose concupiscenze trattava men che devutamente la Marchesa sua moglie (1) Il Vasto s'innamorò di «Laure di Monforte donzella (della Principessa di Francavilla) sua zia et moglie di Luigi San Lorenzo siciliano, reconosciuta per scaramuccia di basci et raggionamenti negli anni a dietro e sì storditamente nel suo amore si abandona che, odiando la Marchesa sua moglie, haveva tutto il suo oggetto nel gusto della sua delettatione collocato. (Vita del Vasto cit., car. 152)—«Fu suo amoroso priggione et cattivo tre anni senza mirar nè accarezzar la Marchesa sua moglie, quantunque di bellezza Laura li rimanesse non poco adietro, se val il vero, et indi nacque che rivolto in se stesso il Marchese, et conosciuto col tempo il fallo che haveva commesso, solea dire che tre anni fu inimico alla moglie senza saperne la caggione, tre altri ne fu innamorato, havendo il resto del tempo trattato seco come a marito per non dir soggetto, cattivo, preggione e schiavo»—Filonico (Vita di Maria d' Aragona Marchesa del Vasto, Cod. Ferr. cit., car. 235; Vita del Marchese del Vasto, Cod. Barb., LIII, 111, car. 287, e Vat., car. 77).—In memoria della pace fatta colla moglie il Vasto lasciò quel sonetto che comincia:
«In mezzo a l'onde salse in fragil legno»

Cfr. Rime di diversi et eccellenti Autori, Vinegia, Giolito, MDLVI, pag. 489, e nel Primo Volume delle Rime scelte, ivi, MDLXV, pag. 488.
, gli dice un giorno queste considerate parole: Poiche Figliuolo, per mia instigatione nell'opre ardite et honorevoli ti avviasti, non mi par bisognoso tacere il vero. Sai ben, per quel che udisti, leggesti et travagliasti nel mondo, che fra gli atti malvaggi e vituperosi di quello, l'adulterio ottener il primier gràdo, et questo avviene per molte colpe che si commettono in oprar quello et ne è cagione che si offende primieramente Dio, la moglie che per compagna nel generar si prende, il prossimo per occupargli et contaminargli il suo, et finalmente la propria fama tentando cosa indegna, biasimevole, neghittosa e profana, dannando l'anima dei fanciulli non veri heredi con spogliar i legittimi successori del proprio et sperato bene; fate più grande errore togliendo la consorte e la fama insieme ad un huomo che vi è creato et vi ha seguilo et servito nelle turbolenti fortune e necessità del mondo, come sapete, con scandalo e mal essempio di moglie, di sorella, e della stanza nella quale questa vostra indegna amorosa vien' allevata, offendete la legge matrimoniale e così degno et honorevole sacramento, trattate men che devulamente vostra consorte e togliete a voi stesso per cotal fallo il mezo di perpetuare vostro lingnaggio, assonto che assolutamente a voi lasciato ha la fortuna et Dio, per quanto scuopro. Et così essendo, muta, muta vita, figliuolo, se veramente procacci di pervenir nel posto di grandezza che prender hai travagliato et fatichi. Per quale ammonitione e materna riprensione principiò il Marchese a mutar vita et lasciar la fiamma antepassata et a pensar maturamente, con honorar la moglie spreggiata et odiata per dinanzi, alla perpetuatione di Casa sua, con quale fe' egli molti figliuoli nell'uno et l'altro sesso di conditione e istima, sostenendo et inalzando un lignaggio sì antico et cento di generosità et ardire.

Et certo si può dire che così fu costei fida madre e compagna al Vasto come Minerva al figliuol di Laerte, senza della cui scorta sarebbe egli traboccato più d'una volta, et che sia il vero, ridotto in Roma con Carlo V, doppo di Tunigi conquistato, per reprimere et raffrenare la furia de' Francesi, i quali per impadronirsi del stato di Milano haveano il Duca di Savoia spogliato del stato suo, si sdegna seco perchè non lui ma Don Ferrando invia, sendo il Leva presso al morire, nel governo del campo di Lombardia, e quantunque congedo havesse il Vasto più volte antiosamente dimandato al Padrone, quella distanza e mal suono in concordia la Marchesa riduce, raccordando al Marchese ingannato, che non volesse sì facilmente l'animo et intentione di Cesare interpretare, sendo i pensieri de' Principi supremi inscrutabili et occulti per trovarsi i lor cuori dentro la potente et considerata mano di Dio, non restando dire al Padrone che i serviggi di tanti anni non pagasse egli con procacciar d'haver mezo di ragione sofistica et apparente di querelarsi et pagare d'ingrate dimostrationi i soggetti. Perciò che se bene i Principi han libertà per la potenza che possiedono di far male, han le lingue spatio otioso di bandire senza rispetto l'opre scelerate et ingrate, et essendo il buon nome la perla più pretiosa che l'oriente ci mostri, contaminare non voglia con opre sì malvaggie gli effetti gloriosi mostrati per la man sua. Di qual amoroso sprone percosso il fianco di Principe così altiero, scoprendo assolutamente a lei far quello per non discompagnarsi dal Marchese, il quale per eccellenza indi innanzi sarà sempre da noi nomato, l'essorta et la scongiura che estor procacci lui da imaginatione e pensiero essentialmente lungi del voler suo; qual secreto confidato a Donna lungi del precetto proverbiale et ordine di Catone severissimo censore, se Donna pur costei si può nomare, riduce con sodisfattion del servo et auttorità del Padrone l'effetto in ponto, che non solamente si acheta col voler suo, ma di più accetta, per non discompiacerli, per suo superiore et Capitano un huomo inhabile et manco della persona et da lui commandato nell'età verde.

Et parendo finalmente a costei haver ridotto questo suo nuovo et naufragante Ulisse a porto di Salute con vederlo doppo sì lunghi stenti Generale in Italia, Governatore in Milano, con la recuperation di Piemonte e rubbamento honorevole et arditissimo di Casale, honorato da' Principi Italiani et essaltato in Vinegia e temuto da' Francesi che l'infestaro, informata che Cesare gli battezza un figliuolo e l'ha visitato in casa et gl'invia il Pontefice in remission de' peccati et in augurio di grandezza la Rosa Pontificale, consacrando il rimanente del suo vivere a Dio, vive ella ritirata in orationi, digiuni et opre misericordiose e pie, lungi da' pensieri familiari et lontana da tutte ambitioni perniciose. In qual stagione scrive per l'utilità de' mondani così in latino come nell'italica favella molte compositioni et opre di gran consideratione e memoria, et rivocando nel conoscimento del vero gl'ingannati da Satanasso, et covertendo e riducendo nel buono e salutifero camino i traviati dal conoscimento del vero, venendo meno di giorno in giorno la vita sua, e per corso degli anni e continue vigilie, discipline et astinenze che faceva, rende la beata anima a Dio, senza mirar, per divina misericordia, le turbolenze del mondo et gl'imbarazzi e discordie di Casa sua.

I. Venezia, agosto 1515.—Di Andrea di Asola pag. 399

II. Napoli, aprile 1519.—Di Girolamo Britonio. » 400

III. Castello d'Ischia, 9 gennaio 1526.—costanza di Avalos al marchese del Vasto… » 403

IV. (Marino, luglio 1526).—Ad Alfonso d'Avalos marchese del Vasto… » 404

V. Napoli, 19 febbraio 1528.—Di Antonio Minturno » 406

VI. Roma, 15 febbraio 1530.—All'abate di Montecassino Crisostomo degli Alessandri di Napoli. » 409

VII…., (1526—1532).—Del cardinal Pompeo Colonna … » 411

VIII. (Roma, 1526—1532).—Di Paolo Giovio… » 413

Ix. (id.).—La stessa tradotta in volgare da M. Lodovico Domenichi… » 416

X. Palermo, 25 aprile 1531.—Di Antonio Minturno » 418

XI. (Firenze, prima del 1533).—Di Giovan Pierio Valeriano … » 423

XII. (id.).—La stessa tradotta dal padre Alessio (Felice) Figliucci domenicano di Siena… » 427

XIII. Roma, 7 maggio 1533.—Di Claudio Tolomei.. » 431

XIV. (Salerno), settembre 1534.—Di Bernardo Tasso. » 432

XV. Genazzano, 17 giugno 1535.—All' Università di Pesco Costanzo… » 434

XVI…. (fine del 1535 o principio del 1536).—Ad Ascanio Colonna suo fratello… » 436

XVII. Roma, 13 novembre 1536.—Di monsignor Gasparo Contarino, cardinale… » 441

XVIII. Ischia, 6 marzo 1537.—Di Costanza d'Avalos del Balzo principessa di Francavilla… » 455

XIX. Arpino, 3 aprile 1537.—Confermazione degli Statuti dell'Università di Pesco Costanzo fatta da Vittoria Colonna… pag. 456

XX. Verona, 1°ree; maggio 1540.—Di Adamo Fumano. » 464

XXI. Orvieto, 18 giugno 1541.—All'Università di Pesco Costanzo… » 471

XXII. Venezia, 22 novembre 1542.—Di Giovan Matteo Giberti vescovo di Verona… » 474

XXIII. Napoli, 30 maggio 1544.—Tommaso Cambi al Vicemarchese dello Stato di Arpino e Roccasecca. » 477

XXIV. Fiorenza, 22 giugno 1544.—Di Niccolò Martelli » 481

XXV. 1529.—Notizia di una lettera di Vittoria Colonna al marchese del Vasto… » 485

AGGIUNTA

Vita di Vittoria Colonna scritta da Filonico Alicarnasseo (Costantino Castriota)… » 487

ALAMANNI (Luigi), pag. 492, 511.

ALESSANDRI (P. Crisostomo DEGLI), Abbate di Montecassino, 409, 457.

ARAGONA (Isabella D'), duchessa di Milano, 495, 496, 497.

ARPINO (Gian Tomaso D'), 480.

ASOLA (andrea DI), 399.

AVALOS (Alfonso D'), marchese del Vasto, 403, 404, 417, 119, 455, 485, 491, 495, 497, 498, 499, 507, 508.

AVALOS (Costanza D') DEL BALZO, duchessa, poi principessa di Francavilla, 403, 419, 455, 495., 501.

AVALOS (Ferrante Francesco I D'), marchese di Pescara, 411, 416, 417, 423, 427, 479, 491, 500, 502, 504, 506.

AVALOS (Maria D'), D'ARAGONA. marchesa del Vasto, 509, 515, 516.

BEMBO (Pietro), 414, 441, 492.

BISIGNANO (Principe DI), 440.

BRANCACCIO (Gian Francesco), detto Brancacello, 501.

BRITONIO (Girolamo), 400, 492.

CAMBI (Alfonso) IMPORTUNI, 477.

CAMBI (Tommaso), 477, 478.

CANOFILO (P. Benedetto), monaco di Monte Cassiono, 457.

Cappuccini (Ordine dei), 483.

CARDONA (Isabella), vice regina di Napoli, 495, 496.

CASTALDO (Gio. Battista), 501.

CASTRIOTA (Ferrando), marchese di Civita S. Angelo, 504, 505, 506.

CAVALLO (Marco), 492, 511.

Celano (contea di), 456.

CIATI (Giuliano), 485.

COLONNA (Ascanio), 436, 439, 456, 458, 491, 509, 513, 514.

COLONNA (Fabrizio 1), 420, 456, 491.

COLONNA (Giulia) GONZAGA, duchessa di Traetto, 477, 513.

COLONNA (Isabella), principessa di Sulmona, 407, 436.

COLONNA (Pompeo), cardinale, 411, 419, 420, 421, 478, 503.

COLONNA (Prospero), 420, 501, 503.

COLONNA (Vittoria) giuniore, 436, 437, 438, 458, 478.

CONTARINI (Gaspare), cardinale, 441, 470.

DORIA (Andrea), 509, 510.

FARNESE (Vittoria), 437, 438.

FASCITELLI (Onorato), 479.

FLORIMONTE (Galeazzo), 470.

FONTEIO (Giosia), 493.

FUMANO (Adamo), 464.

GIBERTI (Giovan Matteo). vescovo di Verona, 464, 466, 468, 474, 475.

GIOVIO (Paolo), 411, 413, 416, 419, 437, 477.

GONZAGA (Federico), marchese e poi duca di Mantova, 456, 457.

GUEVARA (Giovanni), conte di Potenza, 505, 506.

GUEVARA (Antonio), figlio, 505, 506.

HERCOLANI (Jacovo), 483, 484.

Lanciano (città di), 456, 457.

LANNOY (Carlo), vicerè di Napoli. 407, 503, 506, 508, 509.

LANNOY (Filippo), principe di Sulmona, 407, 436.

MARTELLI (lodovico), 481, 482.

MARTELLI (Nicolò 481

MEDICI (Mrgherita D'AUSTRIA DE'), duchessa di Frirenze, 407, 482.

MINTUTUNO (Anbtonio,) 406. 418.

MOLZA (Francesco Maria), 492, 404, 511.

OCHINO (fra Bernardino da Siena), 474, 482, 483.

Orvieto (città di), 441, 458, 473.

Pesco Costanzo (Università di). 409, 434, 456 e segg., 471

PIGNATELLI (commendator), 440,

PIGNATELLI (Ettore), conte di Borello, 419, 421.

POLICASTRO (conte DI), 440.

POLO (Reginaldo), cardinal d'Inghilterra, 464, 468, 470, 474.

PRIULI (Luigi,) 411.

Prospero…, vicemarchese, 477, 481.

SCAGLIONE (Lucrezia), 407, 408, 419.

SEVERO (don), napolitano, 403.

TASSO (Bernardo), 432, 433.

TOLOMEI (Claudio), 431, 481, 512.

URSINI (Roberto), conte di Pacentro, 456, 457.

VALERIANO (Pierio), 423, 427.

VASQUEZ (Giovanni) DI AVILA, vicemarchese, 478.

Invece di leggi

Pag. 7, nota (2) XXXV XXXVI

» 10, linea 11 28 marzo 29 marzo

» 90, notea (2) 1525

» 100, » (4) Lumello Lunello

» 128 » (1) Richmond; pocia a re Richmond, poscia re

» 221, » (1) cameriere camerlegno

» 230,. » (2) 1531 1532

» 231,. » linea 5 Brixiae, p. 77 Brixiae, 1748,. p. 77

» 254, nota (1) Il 5 di maggio Il 5 di maggio 1543

» 303, » (2) p. 407 p. 417

» 323, » (1) Prospero Pompeo

» 285, nota da cambiare: Marcantonio l morì nel 1522.

» 401, nota, 1. 2, invece di pag. 114 leggi car. cxix.

» 402, linea 27 » leggendonosi » leggendosi.

» 438, nota, l. 24, si legga: sposò finalmente nel marzo, ecc., ed in fine della medesima, 1. 33, si aggiunga: Arch. Stor. It., Firenze, 1846, t. IX, disp. XVII, pag. 81.

» 439, l. 5, corr. stretto, e nota, 1. 5, invece di pare non leggi fu accusato che non.

» 493, nota, l. 1, invece di car. 193 leggi car. cciiii.