GRAZIA DELEDDA

ELIAS PORTOLU

ROMANZO

1° Tutte le volte che l'uomo alcuna cosa appetisce disordinatamente, tosto si trova nell'inquietudine. Quindi è che prova sovente tristezza, allorchè se ne astiene, e di leggieri si adira se alcun gli resiste.

2° Se poi tien dietro a ciò che brama, tosto il reato della coscienza l'opprime perchè si abbandonò alla passione che nulla giova alla pace che ricercava.

Imitazione di Cristo, cap. VI.

TORINO-ROMA
CASA EDITRICE NAZIONALE
ROUX E VIARENGO
1903

Diritti di riproduzione e di traduzione riservati per tutti i paesi, comprese la Svezia, la Norvegia e la Danimarca

Giorni lieti s'avvicinavano per la famiglia Portolu, di Nuoro. Agli ultimi di aprile doveva ritornare il figlio Elias, che scontava una condanna in un penitenziario di terraferma; poi doveva sposarsi Pietro, il maggiore dei tre giovani Portolu.

Si preparava una specie di festa: la casa era intonacata di fresco, il vino ed il pane preparati ((1) Si sa che in molti paesi sardi s'usa una specie di pane che dura più settimane senza guastarsi. Per le feste, poi, s'usa una qualità di pane che dura fresco più giorni.); pareva che Elias dovesse ritornare dagli studi, ed era con un certo orgoglio che i parenti, finita la sua disgrazia, lo aspettavano.

Finalmente arrivò il giorno tanto atteso, specialmente da zia Annedda, la madre, una donnina placida, bianca, un po' sorda, che amava Elias sopra tutti i suoi figliuoli. Pietro, che faceva il contadino, Mattia e zio Berte, il padre, che erano pastori di pecore, ritornarono di campagna.

I due giovanotti si rassomigliavano assai; bassotti, robusti, barbuti, col volto bronzino e con lunghi capelli neri. Anche zio Berte Portolu, la vecchia volpe, come lo chiamavano, era di piccola statura, con una famosa capigliatura nera e intricata, che gli calava fin sugli occhi rossi e malati, e sulle orecchie andava a confondersi con la lunga barba nera non meno intricata. Egli vestiva un costume abbastanza sporco, con una lunga sopragiacca senza maniche, di pelle di montone nera, con la lana in dentro; e fra tutto quel pelame nero si scorgevano solo due enormi mani d'un rosso bronzino, e nel viso un grosso naso non meno rosso–bronzino.

Per la solenne occasione, però, zio ((1) In Sardegna il titolo di zio si dà a tutte le persone del popolo un po' avanzate in età.) Portolu si lavò le mani ed il volto; chiese un po' d'olio d'oliva a zia Annedda, e si unse bene i capelli, poi li districò con un pettine di legno, dando in esclamazioni per il dolore che quest'operazione gli causava.

— Che il diavolo vi pettini — diceva ai suoi capelli, torcendo il capo. — Neanche la lana delle pecore è così intricata!

Alla fine la questione fu risolta: allora zio Portolu cominciò a farsi una trecciolina sulla tempia destra, un'altra sulla sinistra, una terza sotto l'orecchio destro, una quarta sotto l'orecchio sinistro. Poi unse e pettinò la barba.

— Fatevene altre due, ora! - disse Pietro, ridendo.

— Non vedi che sembro uno sposo? — gridò zio Portolu. E rise anch'egli. Aveva un riso caratteristico, forzato, che non gli smoveva un pelo della barba.

Zia Annedda borbottò qualche cosa, perchè non le piaceva che i suoi figliuoli mancassero di rispetto al padre; ma questi la guardò con rimprovero e disse:

— Ebbene, cosa dici tu? Lascia ridere i ragazzi: è tempo che si divertano, loro; noi ci siamo già divertiti.

Intanto giunse l'ora dello scarceramento di Elias, il quale era giunto la sera prima, ma era stato trattenuto nelle carceri di Nuoro. Vennero alcuni parenti e un fratello della fidanzata di Pietro, e tutti mossero verso le carceri. Zia Annedda rimase sola in casa, col gattino e le galline.

La casetta, con un cortile interno, dava su un viottolo scosceso, non lastricato, che scendeva allo stradale: subito dopo un muro assiepato, che da una parte chiudeva il viottolo, c'era qualche orto che guardava sullo stradale e sulla valle. Pareva d'essere in campagna: un albero stendeva i suoi rami eleganti al disopra della siepe, dando al viottolo un'aria pittoresca: tutto l'Orthobene granitico e le cerule montagne d'Oliena chiudevano l'orizzonte.

Zia Annedda era nata ed invecchiata là, in quel cantuccio pieno d'aria pura, e forse per ciò era rimasta sempre semplice e pura come una creatura di sette anni. Del resto, tutto il vicinato era abitato da gente onesta, da ragazze che frequentavano la chiesa, da famiglie di costumi semplici.

Zia Annedda usciva ogni tanto sul portone aperto, guardava di qua e di là, poi rientrava. Anche le vicine attendevano il ritorno del prigioniero, ritte sulle porticine o sedute sui rozzi sedili di pietra addossati al muro: il gatto di zia Annedda contemplava dalla finestra.

Ed ecco un suono di voci e di passi in lontananza. Una vicina attraversò di corsa il viottolo e mise la testa entro il portone di zia Annedda.

— Eccoli, son qui! — gridò.

La donnina uscì fuori, più bianca del solito e tremante; e di lì a un momento un gruppo di paesani irruppe nel viottolo, ed Elias, assai commosso, corse da sua madre, si curvò e l'abbracciò.

— Fra cento anni un'altra, fra cento anni un'altra… — mormorava zia Annedda piangendo.

Elias era alto e snello, col volto bianchissimo, delicato, sbarbato; aveva i capelli neri rasati, gli occhi azzurri verdognoli. La lunga prigionia aveva reso candide le sue mani e la sua faccia.

Quasi tutte le vicine si affollarono intorno a lui, respingendo gli altri paesani, e gli strinsero la mano, augurandogli:

— Un'altra disgrazia simile fra cento anni.

— Dio voglia! — egli rispondeva.

Dopo di che entrarono in casa. Il gatto, che all'avvicinarsi dei paesani s'era ritirato dalla finestra, venuto alla scaletta esterna saltò giù spaventato, corse di quà e di là e andò a nascondersi.

Muscì, muscì — cominciò a gridare zio Portolu — che diavolo hai, non hai veduto mai cristiani? Oh che siamo assassini che fuggono anche i gatti? Siamo gente onesta, siamo galantuomini.

La vecchia volpe aveva una gran voglia di gridare, di chiacchierare, e diceva cose inconsistenti.

Seduti che tutti furono in cucina, mentre zia Annedda versava da bere, zio Portolu s'impadroni di Jacu Farre, un suo parente, un bell'uomo rosso e grasso che respirava lentamente, e non lo lasciò più in pace.

— Vedi — gli gridava, tirandogli la falda del cappotto, e accennandogli i suoi figli — li vedi ora i figli miei? Tre colombi! E forti, eh, e sani, e belli! Li vedi in fila, li vedi? Ora che è tornato Elias, saremo come quattro leoni; non ci toccherà neanche una mosca. Anche io, sai, anche io sono forte; non guardarmi così, Jacu Farre, io di te me ne infischio, capisci? Mio figlio Mattia è la mia mano destra; ora Elias sarà la mia sinistra. E Pietro, poi, il piccolo Pietro, Prededdu mio? Non lo vedi? è un fiore! Ha seminato dieci quarti d'orzo e otto di frumento e due quarti di fave: eh, se vuol sposarsi, può tenerla bene la moglie! Non gli mancherà la raccolta. È un fiore Prededdu mio. Ah, i miei figli! come i miei figli non ce ne sono altri a Nuoro.

— Eh! eh! — disse l'altro quasi gemendo.

— E! eh! Cosa vuoi dire col tuo eh! eh!, Giacomo Farre? Dico bugie forse? Mostrami altri tre giovani come i miei figli, onesti, laboriosi, forti. Uomini sono essi, uomini sono!

— E chi ti dice che siano donne?

— Donne, donne! Donna sarai tu, pancia di cassetta, — e zio Portolu mise le sue grosse mani sulla pancia del parente — tu, non loro, i miei figli! Non li vedi? — prosegui, rivolgendosi con adorazione verso i tre giovanotti.

— Non li vedi, sei cieco? Tre colombi…

Zia Annedda passò, col bicchiere in una mano e la caraffa nell'altra. Colmò il bicchiere e lo porse al Farre, e il Farre lo diede cortesemente al zio Portolu.

— Beviamo! — egli esclamò. — Alla salute di tutti! E tu, moglie mia, femminuccia, non aver più paura di nulla: saremo come leoni, ora, non ci toccherà più neanche una mosca.

— Va! va! — ella rispose.

Versò da bere al Farre e passò oltre. Zio Portolu la seguì con gli occhi, poi disse, toccandosi l'orecchia destra con un dito:

— È un po'… qui; non sente bene, infine, ma una donna! Una donna buona! Fa il fatto suo, mia moglie, altro che fa il fatto suo! E donna di coscienza, poi! Ah, come essa…

— Non ce n'è altra in Nuoro, vero?

— Pare! — gridò zio Portolu. — Forse che la sentono a far dei pettegolezzi? Non temere che se Pietro porta qui la sua sposa, ci stia male, qui, la ragazza!

E tosto cominciò ad elogiare anche la ragazza. Una rosa, addirittura una rosa! Essa cuciva e filava, essa buona massaia, essa onesta, bella, buona, benestante.

— Infine — disse il Farre ironico, — non ce n'è altra in Nuoro!

Intanto il gruppo dei giovani parlava animatamente con Elias, bevendo, ridendo, sputando. Il più che rideva era egli, il reduce, ma il suo riso era stanco e spezzato, la voce debole; il suo volto e le sue mani spiccavano fra quelle faccie e quelle mani bronzine; sembrava una donna vestita da uomo. Inoltre il suo linguaggio aveva acquistato qualche cosa di particolare, di esotico; egli parlava con una certa affettazione, metà italiano e metà dialetto, con imprecazioni affatto continentali.

— Senti tuo padre che vi vanta — disse il futuro cognato di Pietro. — Egli dice che siete dei colombi, e in verità che sei bianco come un colombo, Elias Portolu.

— Ma ridiventerai nero — disse Mattia. — Da domani cominciamo a trottare verso l'ovile, non è vero, fratello mio?

— Ch'egli sia bianco o nero poco importa, — disse Pietro. — Lasciate queste sciocchezze, lasciategli raccontare quello che raccontava.

— Dicevo dunque — riprese Elias con la sua voce fiacca — che quel gran signore mio compagno di cella, era il capo dei ladri di quella gran città, come si chiama… non ricordo più, via. Era con me, mi confidava tutto. Quello si, che si dice rubare: cosa contano i nostri furti? Noi, per esempio, un giorno abbiamo bisogno d'una cosa, andiamo e rubiamo un bue e lo vendiamo; ci prendono, ci condannano, e quel bue non basta a pagare l'avvocato. Ma quelli là, quei grandi ladri, altro che! Pigliano dei milioni, li nascondono, e poi quando escono di prigione diventano ricchissimi, vanno in carrozza e si divertono. Cosa siamo noi, Sardi asini, al loro confronto?

I giovanotti ascoltavano intenti, pieni d'ammirazione per quei grandi ladri d'oltremare.

— Poi c'era un monsignore anche — riprese Elias — un riccone che aveva nel libretto tante migliaia di lire.

— Anche un monsignore!… — esclamò Mattia meravigliato.

Pietro lo guardò ridendo e volle fare il disinvolto, sebbene si meravigliasse anch'egli.

— Ebbene, un monsignore? Oh che i monsignori non sono uomini come gli altri? La prigione è fatta per gli uomini.

— Perchè c'era quello li?

— Ma… pare perchè voleva che si mandasse via il Re e si mettesse per Re il Papa. Altri però dicevano che anche egli era in carcere per affari di danaro. Era un uomo alto coi capelli bianchi come la neve; leggeva sempre. Un altro venne a morire, e lasciò ai detenuti tutto il danaro che aveva nel libretto. Volevano darmi cinque lire; io però le respinsi. Un Sardo non vuole elemosine.

— Stupido! io le avrei prese! — gridò Mattia. — Mi sarei preso una sbornia solenne alla salute del morto.

— È proibito — rispose Elias; e stette un po' in silenzio, assorto in vaghi ricordi, poi esclamò: — Gesù! Gesù! Gesù! Quanta gente c'era, d'ogni qualità! C'era con me un altro Sardo, un maresciallo; lo presero da Cagliari la stessa notte che presero me: egli credeva lo lasciassero, invece lo presero ch'egli neanche se ne accorse.

— Oh, io dico che se ne sarà accorto!

— Oh, anch'io!

— Egli si vantava che l'avrebbero presto graziato, che era parente del ministro, e che aveva un altro parente alla Corte del Re: invece io l'ho lasciato laggiù; nessuno gli scriveva, nessuno gli mandava un centesimo. E in quei luoghi se non si hanno dei soldi, si crepa di fame, che Dio mi assista! E i carcerieri! — esclamò poi facendo una smorfia — tanti aguzzini! Sono quasi tutti Napoletani, canaglie, che se ti vedono morire ti sputano addosso. Ma prima d'andar via io dissi ad uno di loro:

— Prova a passare dalle nostre parti, marrano, che ti accomodo io l'osso del collo.

— Si — disse Mattia — provi un po' a passare vicino al nostro ovile, chè gli diamo un po' di siero!

— Oh, egli non passerà!

— Chi non passerà? — domandò zio Portolu, avvicinandosi.

— No, un guardiano che sputava addosso ad Elias — disse Mattia.

— No, diavolo, non mi sputava affatto: cosa stai dicendo?

Tutti si misero a ridere: zio Portolu gridò:

— E poi Elias non l'avrebbe permesso; gli avrebbe rotto i denti con un pugno. Elias è un uomo: siamo uomini, noi, non siamo bambocci di formaggio fresco come i continentali, anche se essi sono guardiani di uomini…

— Macchè guardiani! — disse Elias alzando le spalle. — I guardiani sono canaglie; ma ci sono poi i signori; avreste visto voi! Grandi signori che vanno in carrozza, che quando entrano in carcere hanno migliaia e migliaia di lire nel libretto.

Zio Portolu si stizzi, sputò, e disse:

— Cosa sono essi? Uomini di formaggio fresco! Va e mettili un po' a gettar il laccio ad un puledro indomito, o a chiappar un toro, od a sparare un archibugio! Muoiono prima di spavento. Cosa sono i signori? Le mie pecore sono più coraggiose, così Dio mi assista.

— Eppure, eppure… — insisteva Elias — se voi vedeste…

— Cosa hai veduto tu? — ribatteva zio Portolu, sprezzante. — Tu non hai veduto nulla. Alla tua età io non avevo veduto nulla; ma ho veduto dopo e so cosa sono i signori, e cosa sono i continentali e cosa sono i Sardi. Tu sei un pulcino appena uscito dall'uovo…

— Altro che pulcino! mormorò Elias, sorridendo amaramente.

— Un gallo, piuttosto! — disse Mattia.

E il Farre, con finezza:

— No, un uccellino…

— Uscito dalla gabbia! — esclamarono gli altri, ridendo.

La conversazione si fece generale. Elias proseguì a narrare i suoi ricordi, più o meno esatti, sul luogo e le persone che aveva lasciate: gli altri commentavano e ridevano. Zia Annedda ascoltava anch'essa, con un placido sorriso sul viso calmo, e non riusciva ad afferrar bene tutte le parole di Elias; ma il Farre, sedutole accanto, le avvicinava il viso al collo e le ripeteva a voce alta i racconti del reduce.

Intanto veniva altra gente, amici, vicini, parenti. I nuovi venuti si avvicinavano ad Elias, molti lo baciavano, tutti gli auguravano:

— Fra cent'anni un'altra.

— Dio lo voglia! — egli rispondeva, tirandosi la berretta in avanti.

E zia Annedda versava da bere. In breve la cucina fu piena di gente; zio Portolu gridava maledettamente, facendo sapere a tutti che i suoi figli erano tre colombi, e avrebbe voluto trattenere a lungo tutta quella gente; ma Pietro smaniava di far conoscere ad Elias la sua fidanzata, e insisteva per uscire e condurlo con sè.

— Andiamo a pigliar aria — diceva. — Questo povero diavolo è stato ben rinchiuso perchè lo vogliate tener qui tutta la sera.

— Ne vedrà bene dell'aria! — rispose un parente. — Quel suo volto di ragazza diventerà nero come la polvere da sparo.

— Lo credo bene! — gridò Elias, passandosi le mani sul volto, vergognoso della sua bianchezza.

Ma finalmente Pietro riusciva a farsi intendere, e stavano per uscire, quando sopraggiunse la futura suocera, una vedova magra, alta e rigida, col viso terreo avvolto in una benda nera: la accompagnavano i suoi due più giovani figli, una fanciulla ed un giovanotto già pieno di boria.

— Figlio mio! — declamò con enfasi la vedova slanciandosi a braccia aperte verso Elias.

— Il Signore ti mandi fra cento anni un'altra di queste disgrazie.

— Dio lo voglia! — rispose invariabilmente il giovine.

Zia Annedda andava premurosamente dietro la vedova, desiderosa di complimentarla; ma zio Portolu s'impadroni della donna, le prese le mani, la scosse tutta.

— Lo vedi? — le gridò sul viso — lo vedi, Arrita Scada? Il colombo è tornato al nido. Chi ci tocca, ora? Chi ci tocca? Dillo tu, Arrita Scada…

Ella non seppe dirlo.

— Lasciatelo dire — esclamò Pietro, rivolto alla vedova. — E allegro oggi.

— Perchè deve essere allegro!

— Sicuro che sono allegro. Cosa ne dici tu? Non devo essere allegro? Non lo vedi il colombo? È ritornato al nido. È bianco come un giglio. E belle storie ne sa raccontare, ora. Arrita Scada, sentito hai? Siamo una famiglia, una casa di uomini, noi: e diglielo a tua figlia, che essa sposerà un fiore, non una immondezza.

— Lo credo bene.

— Lo credi? O che credi tu che tua figlia venga qui a far la serva? Verrà a far la signora: e troverà pane, e troverà vino, e troverà grano, orzo, fave, olio; ogni ben di Dio. Lo vedi tu quell'uscio? — gridò poi, facendo volger zia Arrita verso un usciolino in fondo alla cucina. — Lo vedi? Si? Ebbene, sai cosa c'è dietro quell'uscio? Ci sono cento scudi in formaggio. Ed altre cose ancora.

— Finitela, finitela — disse Pietro, un po' mortificato. — Ella non sa che farsene del vostro ben di Dio.

— Del resto — osservò Elias — Maria Maddalena Scada non sposerà Pietro per il nostro formaggio.

— Figlio del mio cuore! tutto è buono nel mondo! — declamò zia Arrita, sedendosi fra i suoi figliuoli.

— Andiamo, andiamo, finitela! — ripeteva Pietro.

Intanto zia Annedda, visto che non le lasciavano dire una parola, s'era messa a preparare il caffè per la socronza ((1) Suocera del figlio o della figlia.).

— Mio marito — le disse, appena potè averla tutta a sè — è troppo attaccato alle cose del mondo: non pensa affatto che il Signore ci ha dato i suoi beni, senza che noi li meritassimo, e che il Signore ce li può togliere da un momento all'altro.

— Annedda mia, gli uomini son tutti cosi — disse l'altra per confortarla. — Non pensano ad altro che alle cose del mondo. Lasciamo andare. Ma cosa stai facendo? Non pigliarti alcun disturbo. Sono venuta per un momentino, e me ne vado subito. Vedo che Elias sta bene, è bianco come una ragazza, Dio lo benedica.

— Si, sembra che stia bene, grazie al Signore: ha tanto sofferto, povero uccello!

— Ah, speriamo che tutto sia finito: egli non tornerà ai cattivi compagni, certamente; perchè sono stati i cattivi compagni a procurargli la disgrazia.

— Che tu sii benedetta, le tue parole son d'oro, Arrita Scada mia. Ma cosa stavamo dicendo? Gli uomini non pensano che alle cose del mondo: se pensassero appena appena al mondo di là, andrebbero più dritti in questo. Essi pensano che questa vita terrena non debba finir mai; invece è una novena, questa vita, una novena ed anche corta. Soffriamo in questo mondo; facciamo sì che questa pulcina qui — si toccò il petto — sia tranquilla e non ci rimproveri nulla; il resto vada come vuole andare. Metti dunque lo zucchero, Arrita; bada che il tuo caffè non sia amaro.

— Va bene così; dolce non mi piace.

— Bene, stavamo dicendo che basta aver la coscienza tranquilla. Invece gli uomini non ci badano, a questo. Basta loro che l'annata sia buona, che facciano molto formaggio, molto frumento, molte olive. Ah, essi non sanno che la vita è così breve, che tutte le cose del mondo passano così presto. Dàlla a me la tua chicchera, non disturbarti. Ah, non è nulla, è il cucchiaino che è caduto. Le cose del mondo Va tu, Arrita Scada, mettiti sull'orlo del mare, e conta e conta tutti i granelli dell'arena: quando li avrai contati saprai che essi sono un nulla in confronto degli anni dell'eternità. Invece i nostri anni, gli anni da passare nel mondo, stanno dentro il pugno di un bambino. Io dico sempre queste cose a Berte Portolu e a tutti i figli miei; ma essi son troppo attaccati al mondo.

— Essi sono giovani, Annedda mia, bisogna considerare questo, che essi sono giovani. Del resto vedrai che Elias ha messo testa; ((1) Espressione locale: è diventato bravo, serio, savio.) è serio, molto serio: la lezione non è stata piccola, e gli servirà per tutta la vita.

— Maria di Valverde lo voglia! Ah, Elias è un giovine di cuore; quando era ragazzo sembrava una femminuccia non diceva una imprecazione, non una cattiva parola. Chi l'avrebbe creduto che appunto egli mi avrebbe fatto versar tante lagrime?

— Basta, ora è tutto passato: ora i tuoi figli sembrano davvero dei colombi, come dice Berte tuo marito. Basta che fra loro regni sempre la concordia, l'amore…

— Ah, per questo non c'è pericolo, che tu sia benedetta! — disse zia Annedda sorridendo.

***

Dopo cena zia Annedda potè finalmente trovarsi sola con Elias, seduti entrambi al fresco nel cortile. Il portone era aperto, il viottolo deserto: sembrava una notte d'estate, silenziosa, col cielo diafano fiorito di stelle purissime. Dietro gli orti, dietro lo stradale, in lontananza, s'udiva un tremolìo argentino di pecore pascenti; veniva nell'aria un aspro profumo d'erba fresca. Elias respirava quel profumo, quell'aria pura, con le narici dilatate, con un vago istinto di voluttà selvaggia: sentiva il sangue scorrer caldo nelle vene, e il capo oppresso da un piacevole peso. Egli aveva bevuto e si sentiva felice.

— Siamo stati dalla fidanzata di Pietro — disse a sua madre — è una ragazza assai graziosa.

— Si, è bruna, ma è graziosa: inoltre è assai savia.

— Sua madre mi pare un po' boriosa: se ha un soldo fa vedere d'avere uno scudo; ma la ragazza sembra buona.

— Che vuoi? Arrita Scada è di razza buona e ne va superba: del resto — disse zia Annedda, entrando nel suo argomento favorito — io non so cosa si ricavi dalla boria e dalla superbia. Dio disse: tre cose solamente deve aver l'uomo, amore, carità, umiltà. Cosa si ricava dalle altre passioni? Tu ora hai sperimentato la vita, figlio mio; cosa ne dici tu?

Elias sospirò forte; sollevò il viso al cielo.

— Voi avete ragione; io ho sperimentato la vita; non che meritassi la disgrazia che ho avuto, perchè, voi lo sapete, io ero innocente, ma perchè il Signore non paga il sabato. Sono stato cattivo figliuolo, e Dio mi ha punito, mi ha fatto invecchiare innanzi tempo. I cattivi compagni mi avevano traviato, ed è perchè praticavo con male compagnie che sono stato travolto in quella disgrazia.

— E quei compagni, mentre tu soffrivi, non chiedevano neppure tue notizie. Prima, quando eri libero, non lasciavano in pace quel portone là: Elias dov'è? dov'è Elias? Elias andava ed Elias veniva. E dopo? Dopo si allontanarono, o se dovevano passar per la via, calavano la berretta sulla fronte perchè noi non li riconoscessimo.

— Basta, mamma mia! Ora è tutto finito; comincio una vita nuova — diss'egli, sospirando ancora. — Ora per me non esiste altro che la mia famiglia; voi, mio padre, i miei fratelli: ah, credete, vi farò dimenticare tutto il passato. Starò come un servo, all'obbedienza vostra, e mi parrà di esser rinato.

Zia Annedda senti lagrime di dolcezza salirle agli occhi, e perchè le sembrava che anche Elias si commovesse troppo, sviò il discorso.

— Sei stato sempre sano? — domandò. — Sei molto dimagrito.

— Che volete? In quei luoghi si dimagra anche senza essere ammalati: il non lavorare ammazza più di qualunque fatica.

— Non lavoravate mai?

— Mai. Lì pare che il tempo non passi mai: un minuto sembra un anno: è una cosa orribile, mamma mia.

Tacquero. La voce di Elias si era fatta profonda nel pronunciare quelle ultime parole. Durante il pomeriggio, nella prima ebbrezza della libertà, egli aveva parlato facilmente della sua prigionia e dei suoi compagni di sventura, sembrandogli una cosa già lontana, quasi piacevole a ricordarsi. Ma ora, in quell'oscurità silenziosa, sentendo l'odore fresco della campagna che gli ricordava i giorni felici della sua prima giovinezza trascorsa nell'ovile, nella sconfinata libertà della tanca paterna; davanti a sua madre, a quella vecchierella buona e pura, il reduce risentì improvvisamente, dopo qualche ora d'oblìo, tutto l'orrore degli anni perduti invano nell'angoscia del penitenziario, e si fece triste.

— Io sono assai debole — disse dopo qualche momento — non ho forza per nulla: è come se mi avessero troncato la schiena. Eppure non sono stato mai ammalato; solo una volta ho avuto una colica tremenda, e mi pareva di morire. Santu Franziscu ((1) San Francesco.) mio — dissi allora — fatemi uscire da quest'orrore, e la prima cosa che farò, tornando in libertà, sarà di venire alla vostra chiesa e portarvi un cero.

— Santu Franziscu bellu! ((2) San Francesco bello!) — esclamò zia Annedda, giungendo le mani. — Noi ci andremo, noi ci andremo, figlio mio! Che tu sii benedetto, tu ripiglierai le tue forze, non dubitarne. Noi andremo a far la novena a San Francesco: e Pietro verrà alla festa e porterà in groppa al suo cavallo la fidanzata.

— Quando si sposa Pietro?

— Egli si sposerà dopo la raccolta, figlio mio.

— La porterà qui la sposa?

— Si, la porterà qui, almeno per i primi tempi; io comincio ad esser vecchia, figlio mio, e ho bisogno d'aiuto. Finchè vivo io, voglio che restiamo tutti uniti: dopo, quando io tornerò nel seno del Signore, ognuno di voi piglierà la sua via. Anche tu ti ammoglierai…

— Oh, e chi mi vuole? — diss'egli con amarezza.

— Perchè parli cosi, Elias? Chi ti vuole? Una figlia di Dio. Se tu ti emenderai, se farai vita onesta, nel timor di Dio, lavorando, la fortuna non ti mancherà. Io non dico che tu debba cercare una donna ricca; ma una donna onesta non ti mancherà. Il Signore ha istituito il matrimonio perchè si uniscano santamente un uomo e una donna, non già un ricco e una ricca, o un povero e una povera.

— Ecco! — diss'egli ridendo. — Non parliamo di questo! Io ritorno appena oggi, e parliamo già di matrimonio. Ne parleremo un altro giorno: ho ventitre anni soltanto, e c'è tempo. Ma voi siete stanca, mamma mia. Andate, andate a riposare. Andate.

— Vado; ma ritirati anche tu, Elias, l'aria ti potrebbe far male.

— Male? — diss'egli, spalancando la bocca e respirando forte. — Come mai può far male? Non vedete che mi ridona la vita? Andate. Rientrerò subito.

Dopo un momento egli si trovò solo, semisdraiato per terra, col gomito appoggiato sul gradino della porta. Sentì sua madre salire la scaletta di legno, chiuder la finestruola e levarsi le scarpe. Poi tutto fu silenzio. L'aria si faceva fresca, quasi umida, aromatica. Elias ripensò alle cose che sua madre gli aveva detto: poi disse fra sè:

— Mio padre e i miei fratelli dormono tranquilli sulle loro stuoie: li sento di qui. Mio padre russa, Mattia dice di tratto in tratto qualche parola; egli sogna, di certo, e anche nel sogno egli è un po' semplice. Ma come dormono bene, essi! Si sono ubbriacati, ma domani non sentiranno più nulla. Anch'io mi sono un po' ubbriacato, ma ne sentirò la traccia. Come sono debole! Non sono più un uomo, io: non sarò più buono a nulla. Ah, e mia madre vuole ammogliarmi! Ma qual donna mi vuole? Nessuna. Basta, l'aria si fa umida; ritiriamoci.

Ma non si mosse. Giungeva sempre il tintinnio delle greggie pascenti, che pareva or vicino, or lontano, trasportato dalla brezza umida e fragrante. Elias si sentiva stanco, col capo pesante, e non poteva muoversi, o gli pareva di non potersi muovere. Confuse visioni cominciarono a ondeggiargli davanti alla fantasia: ricordava sempre l'ovile, la tanca coperta di fieno altissimo, e vedeva le pecore, ingrossate dal lungo vello, sparpagliate qua e là tra il verde della pastura; ma queste pecore avevano visi umani, i visi cioè dei suoi compagni di sventura. E provava un'angoscia indefinibile Forse era il vino che fermentandogli nel sangue gli causava un po' di febbre. Ricordava tutti gli avvenimenti della giornata, ma gli pareva di aver sognato, di trovarsi ancora in quel luogo e di provarne un cupo dolore.

Le immagini fantastiche del suo sogno ondeggiavano, s'allontanavano, svanivano. Ecco, ora gli pareva che quelle strane pecore dal volto umano saltassero sul muro che chiudeva la tanca; ed egli andava lor dietro, affannosamente, saltando anch'egli il muro e inoltrandosi nella tanca attigua, folta di soveri alti, verdissimi. Un uomo alto, rigido, grosso, con una barba grigio rossastra, una specie di gigante, camminava lentamente, quasi maestosamente, sotto il bosco. Elias lo riconobbe tosto; era un uomo d'Orune, un selvaggio sapiente, che vigilava l'immensa tanca d'un possidente nuorese, perchè non estraessero di frodo il sughero dei soveri. Elias conosceva sin da bambino quell'uomo gigantesco, che godeva una certa fama di saggio. Si chiamava Martino Monne, ma tutti lo chiamavano il padre della selva (su babbu 'e ssu padente), perchè egli si vantava che, dopo la sua infanzia, non aveva dormito una sola notte in paese.

— Dove vai? — chiese ad Elias.

— Vado dietro queste pecore matte. Ma sono cosi stanco, padre della selva mio! Non ne posso più; sono debole e sfatto; non valgo più a nulla.

— Eh, se tu non vuoi aver fastidi va a farti prete! — disse zio Martinu con la sua voce possente.

— Eh, eh, quest'idea mi è venuta qualche volta in quel luogo! — gridò Elia.

Si scosse, si svegliò e provò un brivido di freddo.

— Mi sono addormentato qui — pensò sollevandosi — coglierò qualche malanno.

Entrò in cucina un po' barcollando: il padre e i fratelli dormivano pesantemente sulle loro stuoie; un lume ardeva posato sulla pietra del focolare. Per Elia, poveretto, cosi deboluccio, era stato preparato un letto in una cameretta terrena, vicina alla cucina. Egli prese il lume, attraversò una stanzetta nella quale, sopra larghe tavole, stava una gran quantità di formaggio giallo e oleoso che esalava un maledetto odore, ed entrò nella cameretta.

Si spogliò, si coricò, spense il lume. Si sentiva la schiena rotta, il capo pesante: e dopo poco fu di nuovo oppresso da quel dormiveglia quasi affannoso, pieno di sogni confusi. Vedeva ancora la tanca, il fieno, le pecore grosse di lana gialla intricata, la linea verde del bosco vicino. Zio Martinu era ancora là; ma ora stava vicino al muro, alto, rigido, sporco, maestoso. Non rideva mai.

Ritto anch'egli vicino al muro, dalla parte della loro tanca, Elias gli raccontava molte cose di quel luogo. Tra l'altro gli diceva:

— Ci portavano sempre a messa, ci facevano confessare e comunicare spesso. Ah, laggiù si è buoni cristiani. Il cappellano era un santo uomo. Io gli dissi una volta, in confessione, che avevo studiato fino alla seconda ginnasiale, che poi mi ero fatto pastore, ma che molte volte mi ero pentito di non aver continuato a studiare. Allora egli mi regalò un libro, scritto da una parte in latino e dall'altra in italiano, il libro della settimana santa. Io l'ho letto più di cento, che dico?, più di mille volte: e l'ho portato qui, anche. Lo so leggere tanto in latino che in italiano.

— Allora tu sei un sapientone!

— Non quanto voi! Però ho il timore di Dio.

— Ebbene, quando si teme Dio si è più sapienti dei re — diceva zio Martinu.

Qui il sogno di Elias si confondeva, s'intrecciava con altri sogni più o meno stravaganti.

Sebbene Mattia insistesse perchè Elias si recasse tosto con lui all'ovile, il reduce per qualche giorno restò a casa, ricevendo visite di amici e parenti, e riposandosi.

Zio Berte e Mattia ritornarono all'ovile, Pietro ai suoi lavori; ma or l'uno or l'altro rientravano in paese, di sera, per rivedere Elias e tenergli compagnia. Allora erano grandi chiacchiere e racconti strepitosi, intorno al focolare o nel cortiletto nelle sere limpide primaverili. Elias non scontava la sorveglianza speciale che ora segue e rincrudisce la pena, ma, almeno per i primi tempi, era tenuto d'occhio dalla questura: e spesso, di sera, due carabinieri percorrevano con passo pesante il viottolo, si fermavano, tendevano l'orecchio e mettevano la testa entro il portone dei Portolu.

Se zio Berte era in casa e i suoi occhietti di volpe malata distinguevano i carabinieri, tosto si alzava tra il rispettoso e il beffardo, veniva sul portone e li invitava ad entrare.

— Ben venuto il re ((1) Per il Sardo il re non è veramente Sua Maestà ma tutto ciò che lo rappresenta, cioè le autorità, la forza, la giustizia, l'esercito, la pubblica sicurezza, ecc), benvenuta la forza! — gridava. — Entrate dentro, qui, giovani, venite a bere un bicchiere di vino. Oh che non volete entrare? Oh che credete d'essere in una casa di assassini o di ladri? Galantuomini siamo noi, e voi non avete da porre il naso nelle nostre faccende.

Quelli, due giovanotti rossi e grossi, si degnavano sorridere.

— Entrate o non entrate? — proseguiva zio Portolu. — Vi tiro? Volete che vi tiri? Ma badate che io resto col pezzo in mano. Se non volete entrare andate al diavolo. Vino buono ha zio Portolu!

Quelli finivano per entrare: ed ecco tosto zia Annedda con la famosa caraffa.

— Viva il re, viva la forza, viva il vino! Bevete, che la giustizia vi percuota…

— Oh, oh — osservava Mattia, se c'era — cosa dite, babbo mio! Allora si percuotono essi stessi.

— Ah, ah, ah!

— Non c'è che ridere. Bevete, figliuoli miei. E bevi anche tu, Mattia, chè ti fa bene alla testa, e bevi anche tu, Elias, che hai in viso il color della cenere. Rossi bisogna essere per esser uomini. Li vedi tu questi giovanotti? Così rossi bisogna essere. Ebbene, voi diventate anche più rossi, che diavolo! Vi vergognate per le parole di zio Portolu forse? Eh, egli ne ha fatto arrossire altro che voi. Ha fatto arrossire dei dragoni, zio Portolu. Voi non sapete chi è zio Portolu? Ebbene, ve lo dico io: sono io.

— Con piacere! — dicevano i due giovanotti, inchinandosi e ridendo. Essi si divertivano, e il vino di zio Portolu era davvero buono, frizzante e aromatico.

Zio Berte si pigliava la libertà di mettere le mani addosso ai carabinieri.

— Cosa vi credete voi? La forza! Un corno di capra! Aspettate che vi tolgo questo coltello lungo, questa pistola, questi bottoni: che resta di voi? Un corno, ve l'ho detto. Proviamo a mettere queste cose a Elias, a Mattia, a Pietro mio: eccoli, sono migliori di voi. Tre fiori, tre colombi. I figli miei! Ai figli miei voi non avete da dir nulla. Essi non hanno bisogno di andar a rubare, perchè noi ne abbiamo della roba, anche da gettarne ai cani ed ai corvi.

— Bumh!… — diceva Elias, seduto silenzioso in un cantuccio. — Questo poi è troppo, babbo mio.

— Lascialo dire… — mormorava Mattia, tutto contento per le spacconate del padre.

— Tu sta zitto, figlio mio, tu di queste cose non ne sai, tu sei nato ieri. Ma che state facendo, giovanotti? Bevete, bevete, che diavolo L'uomo è nato per bere, e noi siamo uomini

— Siamo tutti uomini — concludeva filosoficamente, con accento persuasivo — uomini voi e noi, e bisogna compatirci a vicenda. Oggi voi avete le spade e rappresentate il re, che diavolo lo fugga, ma domani? Ebbene, doma può darsi che rappresentiate un corno, e p darsi che zio Portolu allora vi sia utile. Perchè io sono di buon cuore, ah, questo può dirvelo tutto il paese; come zio Berte ce ne son poc Ma anche i figli miei son di buon cuore; han il cuore come colombi. Ebbene, se voi passa nel nostro ovile, nella Serra, noi vi daremo latte, formaggio, ed anche miele. Eh, abbiam anche miele, noi! Ma voi, giovanotti, chiudete un occhio, o magari tutti e due, non spiate re tutte le cose che vedete, perchè infine tutti siamo uomini, tutti siamo soggetti all'errore.

I due giovanotti ridevano, bevevano, e s occorreva chiudevano davvero un occhio sull debolezze dei Portolu e dei loro amici.

A proposito di amici, vennero a trovar Elia anche quelli dalla cui mala compagnia egli la famiglia facevano dipender la disgrazia: nonostante i suoi propositi, di non riceverli anzi di chiuder loro il portone sul muso se s azzardavano di venirlo a trovare, egli li accolse cristianamente, e zia Annedda diede loro da bere.

— Che cosa si vuol fare? — disse ella, quando se ne furono andati. — Bisogna esser cristiani, bisogna compatire. Che Dio li perdoni!

— Eppoi è meglio star in pace con tutti. Il Signore comanda la pace — rispose Elias.

— Che tu sii benedetto, Elia, tu hai detto una grande verità.

Ah, come si sentiva contenta zia Annedda quando udiva il figliuolo parlare di Dio! E quando lo vedeva tornar dalla messa; e quando egli leggeva in quel grosso libro nero, portato da quel luogo!

— Che Dio sia lodato! — pensava ella tutta commossa — egli torna ad esser buono come lo era da bimbo.

Intanto madre e figlio si preparavano a sciogliere il voto a San Francesco.

La chiesa di San Francesco è situata sulle montagne di Lula; la leggenda la dice edificata da un bandito che, stanco della sua vita errabonda, promise sottomettersi alla giustizia e far sorgere la chiesa se veniva assolto. Ad ogni modo, vera o no la leggenda, i priori, cioè quelli che dirigono la festa, vengono ogni anno sorteggiati fra i discendenti del fondatore o dei fondatori della chiesa. Tutti questi discendenti formano, al tempo della festa e della novena, una specie di comunità, e godono certi privilegi. I Portolu erano nel numero. Pochi giorni prima della partenza, Pietro si recò a San Francesco col giogo e col carro, e prestò gratis l'opera sua, assieme ad altri contadini e muratori, alcuni dei quali lavoravano per voto; accomodarono la chiesa e le stanzette costrutte intorno, e trasportarono la legna che dovevano ardere durante il tempo della novena. Zia Annedda, per parte sua, mandò una certa quantità di frumento dalla prioressa, e assieme alle altre donne della tribù dei discendenti dei fondatori della chiesa, aiutò a pulir la farina ed a fare il pane da portarsi alla novena. Una parte di questo pane fu, da un messo del priore, recato in dono agli ovili della campagna nuorese. Ad ogni ovile un pane. I pastori lo ricevevano con devozione, e in ricambio davano quanto più potevano dei loro prodotti: alcuni anche denaro e agnelli; altri promettevano donare intere vacche che andrebbero ad aumentare gli armenti del Santo, già ricco di terre, denari e gregge. Quando il messo arrivò nell'ovile dei Portolu, zio Berte si scopri il capo, si segnò, baciò il pane.

— Ora non ti dò nulla — disse al messo — ma il giorno della festa io sarò là, presso la mia piccola moglie, e porterò al Santo una pecora non tosata e tutta l'entrata (il prodotto) di un giorno delle mie greggie. Zio Portolu non è avaro e crede in San Francesco, e San Francesco lo ha sempre aiutato. Ora va con Dio.

Zia Annedda intanto continuava i suoi preparativi: fece del pane speciale, biscotti, dolci di mandorle e miele; comprò caffè, rosolio, altre provviste. Elias seguiva con occhio affettuoso l'affaccendarsi calmo di sua madre: talvolta l'aiutava. Egli non usciva quasi mai di casa; si sentiva sempre fiacco, debole, e spesso i suoi occhi azzurri-verdognoli, un po' infossati, prendevano una fissazione vitrea, e si smarrivano nel vuoto, nel nulla: parevano gli occhi d'un morto.

Finalmente giunse il giorno della partenza. Era una domenica, ai primi di maggio. Tutto era pronto entro le bisaccie di lana; e qua e là per le vie si vedeva qualche carro carico di attrezzi e provviste, a cui s'aggiogavano i buoi per la partenza

Zia Annedda ed Elias, prima di partire, andarono ad ascoltar la messa nella chiesetta del Rosario: poco prima che la messa cominciasse venne un uomo, un paesano, andò verso un altare e prese una piccola nicchia di legno e vetro; dentro c'era un piccolo San Francesco: mentre stava per uscire, alcune donne gli fecero cenno perchè si accostasse e porgesse da baciare la nicchia: anche Elias lo chiamò con un cenno del capo e baciò il vetro ai piedi del Santo.

Poco dopo tutti erano in viaggio. Il priore, un paesano ancor giovine, con la barba quasi bionda, montava un bel cavallo grigio, e portava lo stendardo e la nicchia: seguivano altri paesani, con donne in groppa ai cavalli; donne che cavalcavano da sole, donne a piedi, fanciulli, carri, cani. Ciascuno però viaggiava per conto suo, chi più in là, chi più in quà della via.

Elias, con zia Annedda in groppa d'una mansueta cavalla balzana, era fra gli ultimi: un puledrino, figlio della cavalla, poco più grande d'un cane, li seguiva da vicino.

Era un mattino bellissimo. Le forti montagne verso cui si viaggiava, s'ergevano azzurre sul cielo ancora acceso dalle rose violacee dell'aurora. La valle selvaggia dell'Isalle era coperta di erbe e fiori; sul sentiero spiovevano come enormi lampade accese, le ginestre d'oro giallo. Il fresco Orthobene, colorato dal verde dei boschi, dall'oro delle ginestre, dal rosse fiore del musco, s'allontanava alle spalle de viandanti, sullo sfondo perlato dell'orizzonte Ad un tratto la valle s'apri: apparvero solitarie pianure coperte di messi ancor tenere brillantate dalla rugiada, che ai raggi del sol non troppo alto, avevano un lento fluttuar di argento. Praterie coperte di papaveri, di timo, di margherite, esalavano irritanti profumi.

Ma i viandanti dovevano salir le montagne, e lasciarono di fianco le feconde pianure conducenti al mare. Il sole cominciava a batter forte; e i rozzi cavalieri nuoresi cominciavano a bere, per “ rinfrescare la gola ”, fermando di tratto in tratto i cavalli e arrovesciando il volto sotto i fiaschi incisi. Una grande allegria era in tutti. Alcuni spronavano ogni tanto i cavalli, slanciandosi ad un agile galoppo, poi ad una corsa sfrenata, arrovesciandosi un po' indietro, emettendo grida selvaggie di forte voluttà.

Elias li seguiva con occhio fisso, e il suo volto s'illuminava; anch'egli sentiva voglia di gridare, sentiva un brivido per le reni, un istintivo ricordo di corse lontane, un bisogno di slanciarsi ancora all'agile galoppo, alla corsa inebbriante e libera; ma il braccino sottile di zia Annedda gli legava la vita, ed egli non solo frenava il suo istinto d'uomo primitivo, ma rimaneva assai indietro a tutti i cavalieri, perchè la polvere da essi sollevata non offendesse la vecchietta.

Finalmente cominciarono a salir la montagna. Fitte brughiere di lentischi salivano e scendevano tra il fosco brillar dello schisto, costellate di rose canine in piena fioritura. L'orizzonte stendevasi ampio e puro, il vento odoroso passava ondulando le verdissime brughiere. Era un sogno di pace, di solitudine selvaggia ineffabile, di silenzio immenso, appena interrotto da qualche richiamo lontano di cuculo, e dalle voci sfumate dei viandanti. Ed ecco, ad un tratto, il sublime paesaggio profanato e desolato dalle bocche nere e dagli scarichi delle miniere: poi di nuovo pace, sogno, splendore di cielo, di pietre fosche, di lontananze marine; di nuovo il regno ininterrotto del lentischio, della rosa canina, del vento, della solitudine.

A un certo punto, in un'alta spianata, fra i lentischi, tutti si fermarono, alcune donne smontarono, gli uomini bevettero. La tradizione dice che là volle fermarsi la statua del Santo mentre la trasportavano alla chiesuola, e che volle da bere… Si scorgeva la. chiesa, coi suoi muri bianchi e i tetti rossi, adagiata a mezza china tra il verdeggiar delle brughiere.

Dopo breve sosta si riprese il viaggio. Ed Elias Portolu con zia Annedda restarono gli ultimi. La meta s'avvicinava; il sole s'avviava allo zenit, ma il vento gradevole, odoroso di rose canine, ne temprava l'ardore.

Ecco il fondo d'una piccola valle, ecco di nuovo la salita: i bianchi muri, i rossi tetti s'avvicinavano. Coraggio, la salita si fa aspra ed arida, attaccatevi bene alla vita di Elias, zia Annedda! La cavalla è stanca, tutta lucente di sudore; il puledrino non ne può più. Coraggio. L'accampamento è vicino; ecco la bella chiesa, con le casette in giro, col cortile, col muro di cinta, col portone spalancato. Sembra un castelletto, tutto bianco e rosso sull'azzurro intenso del cielo, sul verde selvaggio delle brughiere ondulate.

Dal basso Elias e zia Annedda vedevano i cavalli e i cavalieri spingersi, aggrupparsi, entrar compatti per il portone spalancato, tra un nugolo di polvere. Gli uomini perdevano le berrette, le donne i fazzoletti; alcune tenevano i capelli sparsi, scioltisi nel moto affannoso del cavalcare. Una campanella stridula suonava dall'alto, e i suoi piccoli rintocchi di gioia si spezzavano, si smarrivano in quell'immensità di cielo azzurro e di paesaggio verde.

Elias e zia Annedda entrarono ultimi. Nel cortile invaso d'erbe selvaggie, pieno di sole cocente, era un affannarsi d'uomini e di donne, una confusione di bestie stanche e sudate. Qualche bimbo strillava, qualche cane abbaiava. Alcune rondini passavano stridendo, sull'alto del cortile, quasi spaurite nel vedere quella grande solitudine di montagna così improvvisamente animata. E invero pareva che una tribù errante fosse venuta di lontano per dare assalto a quel piccolo villaggio disabitato. Le porticine s'aprivano, le loggie risuonavano di grida e di risate.

Elias aiutò tranquillamente sua madre a smontare, poi smontò egli stesso, legò la cavalla e si caricò sulle spalle, una dopo l'altra, le colme bisaccie che contenevano provviste e coperte. E i Portolu, come tutti gli altri della tribù dei fondatori della chiesa, presero posto nella cumbissia maggiore. È questa cumbissia una lunghissima stanza, semibuia, rozzamente selciata, col tetto di canne. Di tratto in tratto, infisso al suolo, c'è un focolare di pietra, e sulle rozze pareti un grosso chiodo di legno. Ognuno di questi chiodi indica il posto ereditario delle famiglie discendenti dai fondatori.

I Portolu presero possesso del loro chiodo e del loro focolare in fondo alla cumbissia, che in vero quell'anno non era molto animata. Sole sei famiglie l'abitavano, il resto dei novenanti era gente non appartenente alla tribù, e quindi abitava le altre numerose stanzette.

Il priore con la sua famiglia, il cui posto d'onore era distinto da un armadietto praticato sul muro e chiuso, prese però posto per due o tre famiglie. Era una famiglia numerosa quella del priore, con una prioressa magnifica, grassa e bianca come una vacca, con due belle figliuole e una nidiata di bimbi già vestiti in costume. Il più piccolo, ancora fasciato, aveva appena un anno: meno male che fra le masserizie appartenenti alla chiesa c'era anche una piccola culla di legno bianco, ove il bimbo fu subito deposto.

L'installamento dei Portolu fu in breve fatto. Zia Annedda depose in un buco del muro il suo canestro di dolci, il suo pane, il suo caffè: sul focolare mise la caffettiera e la pentola; lungo la parete distese il sacco, la coperta, il guanciale di stoffa rossa, vicino a cui collocò il cestino di canne con le chicchere e i piatti. E fu tutto. Per prossimi vicini i Portolu avevano una piccola vedova curva, con due nipotini; fecero subito amorevole relazione, scambiandosi un mondo di complimenti. Subito dopo Elias tolse la sella alla cavalla, e questa col puledrino sfrenò al pascolo nella vicina brughiera.

Mentre nel cortile e nelle stanzette continuava il via vai, le grida, la confusione, zia Annedda se n'andò a pregare in chiesa, una chiesetta fresca, pulita, con pavimento di marmo, e un gran Santo barbuto che in verità inspirava più paura che affetto. Poco dopo entrò in chiesa anche Elias, s'inginocchiò sui gradini dell'altare, con la berretta gettata sull'omero, e pregò.

Zia Annedda lo guardò intensamente, pregando con fervore; pareva foss'egli il Santo a cui le sue materne preghiere venivan dirette: ah, quel profilo delicato e stanco, quel viso bianco e patito, quanta tenerezza le destarono! E ora vederlo lì, il diletto figliuolo, inginocchiato ai piedi del Santo, compiendo il voto fatto in terre lontane, in luoghi ingrati, ah, era una cosa che struggeva il cuore di zia Annedda.

— Ah, Santu Franziscu bellu, piccolo San Francesco mio, io non ho parole per ringraziarti. Pigliati la vita mia, se ti piace, tutto quello che vuoi, ma che i miei figli sieno felici, che vadano per le rette vie del Signore, che non sieno troppo attaccati alle cose del mondo, Santu Franzischeddu mio!

A poco a poco il via vai, il chiasso, la confusione cessarono: ciascuno aveva preso il suo posto, anche l'illustrissimo signor cappellano, un prete alto appena un metro e trenta, molto rosso in viso, molto allegro, che fischiava ariette di moda e canterellava canzonette quasi quasi di caffè-concerto.

I cavalli furono portati al pascolo; s'accesero i focolari, e la magnifica prioressa e le donne della tribù cominciarono a cuocere certe spaventose caldaie di minestra condita col cacio fresco. Che vita gaia cominciò allora per quella specie di clan pacifico e patriarcale! Si sgozzavano pecore e agnelli, si cuocevano molti maccheroni, si beveva molto caffè, molto vino, molta acquavite. Il cappellano diceva messa e novena, e fischiava e canterellava.

Il divertimento maggiore era però nella grande cumbissia, di notte, attorno agli alti e crepitanti fuochi di lentischio. Fuori la notte era fresca, talvolta quasi fredda: la luna calava sul vasto occidente, dando alla brughiera un incanto selvaggio. O pallide notti delle solitudini sarde! Il richiamo vibrato dell'assiuolo, la selvatica fragranza del timo, l'aspro odore del lentischio, il lontano romorio dei boschi solitari, si fondono in un'armonia monotona e melanconica, che dà all'anima un senso di tristezza solenne, una nostalgia di cose antiche e pure.

Raccolti attorno al fuoco, i paesani della cumbissia maggiore, narravano storie argute, bevevano e cantavano. L'eco delle loro voci sonore si perdeva al di fuori, in quella grande solitudine, in quel silenzio lunare, fra le macchie sotto cui dormivano i cavalli.

Elias Portolu prendeva parte al divertimento con piacere intenso, quasi infantile. Gli pareva d'esser in un mondo nuovo: raccontava le sue memorie, e ascoltava i racconti degli altri quasi commosso.

Inoltre aveva stretto relazione col signor cappellano, e questo nuovo amico gli parlava un linguaggio divertente, incitandolo a goder la vita, a dimenticare, a spassarsi.

— Servi Dio in letizia — gli diceva. — Balliamo, cantiamo, fischiamo, godiamo. Dio ci ha dato la vita per godercela un poco. Non dico peccare, veh! ah, questo no! Eppoi il peccato lascia il rimorso, un tormento, caro mio… basta, tu lo avrai provato. Ma divertirsi onestamente, sì, sì, sì! lo mi chiamo Jacu ((1) Giacomo.) Maria Porcu, ovvero prete Porcheddu ((2) Porcheddu, porchetto, diminutivo di Porcu.) perchè son piccolo. Ebbene, Jacu Maria Porcu s'è divertito assai in vita sua. Ben fatto! Una notte torno a casa dopo la mezzanotte. Mia sorella dice che ero ubbriaco; ma a me mi pare di no, caro mio. “Cosa mi dai da cena, Anna?” “Nulla ti dò, nulla, Jacu Maria Porcu, svergognato; mezzanotte è passata, nulla ti dò”. “Dammi da cena, Annesa; ad un prete si deve dar da cena”. “Ebbene, ti dò pane e formaggio, svergognato, Jacu Maria Porcu, svergognato, mezzanotte è passata”. “Pane e formaggio ad un prete, a Jacu Maria Porcu?” “Sì, pane e formaggio, eccolo se lo vuoi, prete Porcheddu”. “Pane e formaggio a Jacu Maria Porcu? a prete Porcheddu? Tè, tè, ziriu, ziriu ((3) Voce per chiamare i cani.), prendete”; e getta tutto ai cani prete Porcheddu! Così si deve fare, giovinotto dalla faccia pallida! — concluse prete Porcheddu: poi si mise a canterellare:

L'amore si fa per ridere,
L'amore si fa per ridere,
Solo per ridere.
Oggi te, domani un'altra!

— Costui è matto! — pensava Elias, ridendo, ma si divertiva, e le parole di prete Porcheddu lo colpivano, gli portavano un soffio di vita, un desiderio di cantare, di godere, di spassarsi. Qualche volta, di giorno, specialmente il dopopranzo, Elias, prete Porcheddu, il priore e qualche altro amico se n'andavano lontano, nell'ombra delle alte macchie, nella metallica quiete del pomeriggio. Davanti a loro i monti pittoreschi di Lula si profilavano nitidi e turchini sul cielo puro, tutto taceva e in lontananza, tra il verde della brughiera, i cavalli correvano agilmente, inseguendosi in rapidi giri. Pareva un quadro. In quella solitudine, quel gruppo d'uomini ragionava seriamente; essi raccontavano il loro passato più o meno avventuroso, le leggende della chiesa, storielle di donne, vicende epiche accadute ai Sardi antichi. Spesso la conversazione veniva interrotta da un gorgheggio, da una fischiatina di prete Porcheddu: qualche volta anzi il signor cappellano balzava improvvisamente in piedi e dava in isgambetti, oppure cantava accompagnando con mimica grottesca le sue libere canzonette.

Un giorno, l'antivigilia della festa, stavano appunto così, all'ombra d'un gruppo d'enormi lentischi, ed Elias finiva di raccontare come una volta un detenuto suo compagno aveva bastonato un aguzzino, perchè costui aveva sdegnosamente rifiutato l'invito di bere con certi reclusi; quando s'udi un fischio tremolante, acuto, che veniva come una freccia dalla parte della chiesa.

Elias balzò in piedi, gridò:

— Questo è il fischio di Pietro mio fratello.

Ebbè — disse prete Porcheddu — se è tuo fratello vi vedrete bene! Per ciò ti commuovi?

— Deve esser giunto anche mio padre, e la fidanzata di Pietro. Andiamo, andiamo… — disse Elias, e pareva davvero commosso.

— Quando è così, andiamo — disse il priore. — Bisogna far loro onore. Berte Portolu è un buon parente di San Francesco ((1) I discendenti del fondatore della chiesa si dicono parenti di San Francesco.). Eppoi Maria Maddalena Scada è una bella ragazza.

— Una bella ragazza? — esclamò prete Porcheddu. — Quando è così, andiamo.

Elias rivolse sul prete i suoi profondi occhi, che in quella quiete verde di brughiera parevano più verdognoli del solito; ma prete Porcheddu affrontò quello sguardo, e poi rise, e poi canterellò la sua canzonetta favorita:

L'amore si fa per ridere,
Solo per ridere,
Solo per ridere…

Intanto s'avviavano verso la chiesa per un sentieruolo appena tracciato fra le macchie e i cespugli, tra il verde dell'erba fragrante. Il fischio si ripeteva, sempre più vicino e insistente. Elias non s'era ingannato. Vicini al pozzo, incontrò Pietro e zio Portolu; e fra loro vi le la luminosa figura di Maria Maddalena. Elias sentì un colpo al cuore. Prete Porcheddu schioccò la lingua sul palato, e stette zitto, non avendo termini per esprimere la sua ammirazione. E si che lui diceva d'intendersene!

Maddalena non era molto alta, nè veramente bella, ma era piacentissima, svelta, con una finissima carnagione bruno-rosea, gli occhi lucenti sotto folte sopracciglia, e una bocca stupenda. Il corsetto rosso-fiammeggiante, aperto sulla candida camicia, e il fazzoletto fiorito d'orchidee e di rose, la rendevano abbagliante. Tra le rozze figure di Pietro e di zio Portolu ella sembrava la grazia tra la forza selvaggia. Da vicino i suoi occhi lucenti, dalle grandi palpebre, dalle lunghe ciglia, un po' obliqui, un po' voluttuosi, un po' socchiusi, affascinavano nel vero significato della parola.

— Bene arrivati — disse Elias avanzandosi e stringendo la mano di Maddalena. — Siete giunti da molto? Non vi si aspettava fino a domani.

— Domani od oggi fa lo stesso — rispose zio Portolu. — Salute a tutti, salute al priore, salute a quel piccolo prete rosso. Dio lo guardi, si vede che è un prete, sebbene sia in pantaloni.

— Prete Porcheddu, eh, che ne dite?

— Con pantaloni o senza, siamo tutti uomini — egli rispose, un po' piccato. Poi si volse a Maddalena e le fece dei complimenti.

— Bada a te — le disse Elias sorridendo

— prete Porcheddu è terribile.

— Non più di te — rispose pronto il piccolo prete.

— Ah, ah! — rise soavemente Maddalena. — Io non temo nessuno.

E zio Portolu:

— Non temer nessuno tu, figlia mia, colomba mia, non aver paura di nessuno: c'è zio Portolu qui, e se non basta zio Portolu, c'è anche la sua leppa.

E sfoderata dalla guaina la leppa, coltello discretamente grande che portava infilato alla cintura, la brandi in aria. Prete Porcheddu rinculò, parando innanzi le mani con un finto comico gesto di terrore.

— Questo è Maometto! — gridò. — Questa è una scimitarra! Allargaribus.

— Cosa vuole? — disse zio Portolu, rimettendo la leppa. — Questa ragazza, questa colomba mi è stata consegnata da sua madre, una colomba vedova. “Arrita Scada”, le dissi io, “sta' tranquilla, la colomba non avrà danno alcuno in mani mie. Io la difenderò anche contro il figlio mio, Pietro d'oro, nonchè contro gli altri nibbi ed avoltoi”.

Zio Portolu parlava sul serio; e ogni tanto volgeva sguardi di selvaggio affetto alla fanciulla.

— Quando è così stiamo attenti — avvertì prete Porcheddu. — Ed ora andiamo a bere.

— A bere, sì, bravo prete Porcheddu. Chi non beve non è uomo, e neppure sacerdote.

Intanto camminavano. Nella cumbissia attendeva zia Annedda con le sue caffettiere e le sue caraffe e i suoi panieri di dolci: Maddalena e il suo corteggio irruppero nella cumbissia ridendo e chiacchierando; in breve fu una confusione di voci, di grida, di risate: un tintinnio di bicchieri e chicchere. S'udiva zio Portolu raccontare che aveva fatto tutto il viaggio con la pecora, già promessa a San Francesco, legata sulla groppa del cavallo.

— Era la mia più bella pecora! — diceva al priore. — Così di lana lunga. Eh, zio Portolu non è avaro.

— Va al diavolo! — gli rispondeva il priore.

— Non vedi che è una pecora canuta, vecchia come te?

— Canuto sei tu, Antoni Carta! Se m'insulti ancora, t'infilo nella mia leppa.

E prete Porcheddu teneva alto il bicchiere, la testa un po' reclinata sull'omero, gli occhi lusinghieri rivolti a Maddalena e alle graziose figlie del priore.

Sulla poppa del mio brik,
Buoni sigari fumando,
Col bicchiere facendo trik,
Bevo rum di contrabbando.

— Ah! ah! ah! — ridevano le donne. Elias solo taceva. Seduto sopra una delle molte selle sparse per la cumbissia, egli centellinava il suo vino, abbassando e sollevando di tanto in tanto la testa. E ogni volta che sollevava gli occhi incontrava gli occhi ridenti di Maddalena, sedutagli di fronte, a poca distanza, e quegli occhi obliqui ardenti gli penetravano l'anima. Egli provava una specie d'ebbrezza, un rilassamento di tutti i suoi nervi, un piacere quasi fisico, ogni volta che la guardava.

Le voci, le chiacchiere, le risate, le canzonette di prete Porcheddu, le esclamazioni delle donne, gli giungevano come di lontano: gli sembrava che ascoltasse da un luogo remoto, senza prender parte al divertimento. Ma ad un tratto qualcuno gli rivolse il discorso, lo richiamò a sè; egli si svegliò come da un sogno, si rabbuiò in viso, s'alzò ed uscì rapidamente.

— Dove vai, Elias! — gridò Pietro raggiungendolo.

— Vado a guardare i cavalli: lasciami andare! — egli rispose, quasi rudemente.

— I cavalli sono accomodati. Perchè sei di malumore, Elias? Ti dispiace che sia venuta Maddalena?

— Macchè! Perchè mi dici questo? — chiese Elias, guardandolo.

— No, mi pareva che tu le tenessi il broncio: mi pare che essa non ti piaccia. Cosa ne dici, fratello mio?

— Tu sei matto! Siete tanti matti! anche ella, con tutta la sua decantata saviezza, ride troppo.

Pietro non s'offese. D'altronde egli e tutti in casa sua trattavano Elias come un bimbo, anzi come un malato: temevano di recargli dispiacere, e lo contentavano in ogni cosa. Anche in quel momento, vedendo che egli desiderava esser lasciato tranquillo, Pietro ritornò presso la fidanzata.

— Son tanti matti — pensava intanto Elias, vagando di qua e di là. — Ma anch'io? Ah, ella è la sposa di mio fratello: perchè son cosi matto da guardarla?

Rimase fuori tutta la sera.

— Dov'è mai Elias? — chiedeva ogni tanto zia Annedda, guardando intorno inquieta. — Dove sarà andato quel benedetto giovine? Va a cercarlo, Pietro.

Ma Pietro badava a Maddalena — che a dire il vero non pareva molto innamorata di lui, o almeno nol dimostrava, forse per tenersi nel decoro consigliatole da sua madre, — e rispondeva: — Vado, vado — ma non si muoveva.

— Dove sarà mai Elias? — ripetè zia Annedda, verso l'ora della cena. — Portolu, va un po' a vedere dov'è tuo figlio.

Zio Berte arrostiva un agnello intero infilato in un lungo spiedo di legno. Egli si vantava che nessuno al mondo arrostiva meglio di lui un agnello o un porchetto.

— Andrò, andrò — rispose a sua moglie — lasciami prima aggiustar i conti con quest'animaletto.

— L'agnello è arrostito, Berte; va in cerca di tuo figlio.

— L'agnello non è arrostito, mogliettina mia: cosa te ne intendi tu? Oh che hai da dar consigli anche su ciò a Berte Portolu? Lascia divertire i ragazzi, del resto; essi devono divertirsi.

Ma ella insisteva, e zio Berte stava per muoversi quando Elias rientrò. Aveva gli occhi brillanti, il volto acceso: era bellissimo. Tutti lo guardarono, e zia Annedda sospirò, e zio Berte si mise a ridere dal piacere, riconoscendo ch'Elias era un po' ubbriaco.

Ma Elias non vide che gli occhi obliqui e ardenti di Maddalena, e sentì voglia di piangere come un bimbo.

— È matta! — pensò. — Perchè mi guarda così? Perchè non mi lascia in pace? Io lo dirò a Pietro, lo dirò a tutti. Ebbene, se non lo ama, perchè lo inganna? Essa è matta, è matta, ma anch'io sono matto, io non devo guardarla, io mi devo strappare il cuore. Ora vado laggiù, dove è Paska, la figlia del priore, e le faccio la corte… Paska — disse infatti, avvicinandosi al focolare del priore — tu sei la più bella parente di San Francesco.

— E tu il più bello — rispose pronta la ragazza, che stava tutta affaccendata attorno ad una caldaia.

Elias si sedette vicino a lei, guardandola con intensità strana: elle rideva tutta contenta ma egli dentro il cuore si sentiva morire.

In fondo alla cumbissia Maddalena guardava, e ogni tanto chinava le larghe palpebre, le lunghe ciglia, e sembrava allora una madonna d'antico stile, melanconica e rassegnata. Quando la cena fu apparecchiata, zio Berte chiamò Elias.

— Io resto qui — gridò il giovine — la più bella parente di San Francesco mi ha invitato al suo focolare.

— Tu vieni qui! — gridò zio Portolu. — Nessuno ti ha invitato, ma anche ti avessero invitato, io non ti permetterei… Se non vieni con le buone, zio Portolu tuo padre ti fa venire con le cattive.

Elias s'alzò tosto e venne: ma non volle mangiare nè bere, e rispondeva male se gli rivolgevano il discorso.

— Perchè sei di malumore? — gli chiese Maddalena con buona maniera, mentre finivano di cenare. — Perchè ti abbiamo tolto dal focolare del priore? Va, va e ritorna, stai allegro.

— Ebbene, e se ritorno? — egli rispose ruvidamente — e cosa te ne importa?

— Ah nulla! — ella disse, irrigidendosi. Poi si volse a Pietro, gli sorrise, badò a lui solo.

Elias balzò in piedi, s'allontanò; ma invece di fermarsi vicino al focolare del priore uscì ancora fuori e si sedette nel cortile. Sentiva un'angoscia confusa, febbrile, un desiderio di mordersi i pugni, di gridare, di gettarsi per terra e piangere. Eppure, nell'ebbrezza del vino e della passione, serbava ancora coscienza di sè, e pensava:

— Io mi sono innamorato di lei; perchè me ne sono innamorato, San Francesco mio? Aiutatemi, aiutatemi voi! Io sono un matto, San Francesco mio, ma sono così infelice!

Dalle cumbissias venivan fuori, vibrati nella notte tiepida e pura, confusi rumori di voci e di canti, di grida e di risate. Elias distingueva la voce di suo padre, il fischiettare di prete Porcheddu, il riso di Maddalena, e fra tanta festa si sentiva triste, disperato, come un bimbo lasciato solo nella selvaggia solitudine notturna della brughiera.

Lentamente i rumori si spensero, e tutto fu silenzio su quella specie di clan addormentato. Elias rientrò e coricossi a fianco di Pietro, sullo stesso fascio di erba ch'esalava un acre profumo selvatico. Tutta la cumbissia era sparsa di giacigli erbosi; qualche fuoco brillava ancora, spruzzando mobili chiaroscuri rossastri su quel vasto quadro silenzioso: si vedeva or sì or no una lunga barba, un costume lanoso, un volto di donna, una sella, un cane accovacciato accanto ai focolari, un fucile appeso alle pareti. Elias non poteva dormire; gli pareva di sentir l'alito di Maddalena coricata fra zia Annedda e zio Portolu, e continuava a provare disperati desiderio; e pensieri strani.

“No, non temere, fratello mio”, diceva mentalmente rivolgendosi a Pietro “anche se essa venisse a gettarmisi fra le braccia, io la respingerei. Non la voglio: è tua. Se fosse di un altro, anche a costo di tornare in quei luoghi, gliela toglierei; ma è tua: dormi contento, fratello mio. Anch'io prenderò moglie, presto, subito. Chiederò Paska, la figlia del priore”.

“Ebbene”, pensava poi, “sono un matto. Che bisogno c'è di prender moglie, che bisogno c'è di pensare alle donne? Si può vivere anche senza le donne. Oh che non sono vissuto tre anni senza neanche vederne? Forse è per questo che, appena tornato, la prima che ho veduto mi ha fatto innamorare? Ma io sono un matto: lasciamo star le donne, che fanno diventar matti. Dormiamo”.

Ma si voltava e rivoltava, e non poteva dormire. Così passò quasi tutta la notte, e fu anche fra i primi a svegliarsi. Dalla finestrina aperta su uno sfondo argenteo penetrava la freschezza rorida dell'alba; zia Annedda e Maddalena, ancora assonnate, preparavano già il caffè. Elias si sollevò, pallido come un cadavere, coi capelli arruffati e la gola chiusa.

— Buon giorno — disse Maddalena, sorridendogli. — Guardate, zia Annedda, vostro figlio ha in volto il color della cera. Dategli subito subito il caffè.

— Stai male, figlio mio?

— Credo di essere raffreddato — diss'egli con voce rauca, raschiando. — Datemi da bere. Dov'è la nostra brocca?

Cercò, prese la brocca e bevette molto, avidamente. Maddalena lo guardava e rideva.

— Perchè ridi? — diss'egli deponendo la brocca. — Perchè bevo appena alzato? Vuol dire che ieri sera mi sono ubbriacato. Ebbene, il vino è fatto per gli uomini.

— Tu non sei uomo — intervenne zio Portolu, che aveva già bevuto dell'acquavite — tu sei un bamboccio di formaggio fresco; basta che una donnicciuola ti soffi addosso, puf…, perchè tu sii atterrato, morto, disfatto.

— Ebbene, sia pure — disse Elias, indispettito — basta che una donnicciuola mi soffi addosso perchè io caschi morto, ma lasciatemi tutti in pace.

— Ah, che terribile malumore ti opprime! — esclamò Maddalena. — Forse perchè ci sono io?

— Sì, precisamente, perchè ci sei tu.

— La colomba! — gridò zio Portolu, aprendo le braccia. — La colomba che rallegra i luoghi dove passa! E mio figlio, questo bamboccio dagli occhi di gatto, dice che lo mette di malumore? Va, va, va, fammi il piacere, va via, figlio del diavolo! Se sei di malumore, va e appiccati; ma certo è che tu a zio Portolu non porterai mai un'altra rosa come questa, da rallegrargli la casa.

Udendo queste parole Elias sentì un colpo al cuore, perchè improvvisamente ricordò che Maddalena doveva andar ad abitare nella loro casa, sposa di Pietro, fra poche settimane. Ah, quale martirio doveva essere! No, egli non avrebbe potuto sottoporvisi.

— Bevi il caffè, figlio mio — disse zia Annedda. — Prendi questo biscotto, sta allegro chè siamo alla festa, e San Francesco si offende se ci rattristiamo.

— Ma io sono allegro, mamma mia, sono allegro come un uccello. Ohi! — gridò poi, volgendosi verso il focolare del priore — buon dì, Pasqua fiorita.

Dopo ciò nulla d'interessante avvenne quel giorno e l'indomani nel focolare dei Portolu. Sin dalla vigilia della festa arrivò molta gente da Nuoro e dai paesi vicini; da Lula specialmente, per il sentiero erto, incassato nella montagna fra luminose macchie di ginestra fiorita, scendevano lunghe file di donne baroccamente vestite, con la testa esageratamente allungata da una cuffia sottoposta al gran fazzoletto frangiato, con le pesanti gonne d'orbace cortissime, con lunghi rosari; incatenati da strani ornamenti d'argento.

Anche i Portolu ebbero molti ospiti, ed Elias e Pietro furono tutto il giorno trascinati quà e là dai giovanotti nuoresi venuti per la festa. Tutti si ubbriacarono fino a perder la ragione, cantarono, ballarono, urlarono. A momenti Elias pareva impazzito; rideva fino a diventar paonazzo, con gli occhi verdi, ed emetteva strani gridi di gioia, degli uaih lunghi, gutturali, trillanti, che parevano richiami di battaglia di qualche guerriero selvaggio.

Maddalena, che aiutava zia Annedda a preparare i pasti, a servire vino e caffè agli ospiti, ogni tanto guardava Elias di traverso e mormorava:

— È molto allegro vostro figlio, zia Annè, guardate come è rosso. Come ride!

Zia Annedda guardava Elias, sospirava e si sentiva una spina al cuore; e un momentino che ebbe tempo, entrò in chiesa e pregò.

— Ah, Santu Franziscu meu, San Francesco bello bello, toglietemi questa spina dal cuore. Elias, il figliuolo mio, sta ritornando nella mala via: ecco che egli si ubbriaca, che si strapazza, che non è più quello. E pareva così buono al suo ritorno, e prometteva tante cose! Abbiate pietà di noi, San Francesco mio, piccolo San Francesco mio, fatelo rientrare nella buona via convertitelo voi, distaccatelo dai vizi, dai cattivi compagni, dalle cose del mondo. San Francesco, fratellino mio, fatemi questa grazia!

Il gran Santo severo, quasi truce, ascoltava dall'alto del suo altare rozzamente adorno d fiammanti fiori d'ogni mese. E parve strana mente esaudire la preghiera di zia Annedda perchè quella sera stessa, a cena, Elias manifestò una sua idea. Si parlava di prete Porcheddu: alcuni lo criticavano, altri lo deridevano.

Elias, ancora ubbriaco è vero, ma non molte prese a difendere il suo amico, poi disse:

— Ebbene, abbaiate pure, cani rognosi, sparlate pure, egli s'infischia di voi, egli sta meglio del papa. E anch'io mi farò prete.

Tutti risero. Egli disse:

— Perchè ridete voi, pezzenti morti di fame cani rognosi, animali, che altro non siete? E bene, sì, mi farò prete: e cosa ci vuole? il latino lo so leggere. E spero di portare a voi tutti il viatico e di sotterrarvi, morti di fame.

— Anche a me, fratello mio? — gridò Pietro.

— Si, anche a te.

E Maddalena:

— Anche a me?

— Anche a te! — gridò Elias, inferocito.

— E a te perchè no? Perchè sei una donna? Per me donne e uomini sono la stessa cosa, anzi le donne sono più spregevoli degli uomini.

— Tutto questo non importa — disse zio Portolu, che ascoltava con somma attenzione le parole d'Elias. — Torniamo all'argomento. Dunque tu ti faresti prete?

— Pare così! — gridò Elias versandosi da bere. — Bevete, bevete, versate, trinchiamo.

Vennero colmati i bicchieri.

— Piano, piano — gridò zio Portolu, fra l'allegria generale — ragioniamo, prima di bere…

— Chi non beve non è uomo, babbo mio — disse Pietro, ripetendo l'assioma tante volte udito da suo padre. Questi s'adirò sul serio, e più che gridando disse:

— Ma anche le bestie ragionano, figlio del diavolo! E tu rispetta tuo padre, e ringrazia la presenza di questi amici e di questa colomba, altrimenti ti darei tanti schiaffi quanti capelli porti sul capo.

— Bumh! Bumh! zio Portolu! Questo poi è troppo! Ad uno sposo parlare così!

— Maddalena mia, io sono morto se non mi aiuti — gridò Pietro, ridendo.

— Colomba, aiutalo! — disse zio Portolu con ironia; poi si volse di nuovo ad Elias e lo interrogò se davvero aveva parlato sul serio. Ma Elias beveva, rideva, gridava, e non rispose a tono, e l'annunzio del suo bizzarro disegno era già svanito fra la rumorosa allegria dei convitati.

Ma qualcuno l'aveva accolto con trepidanza: zia Annedda. Essa taceva, un po' per decoro, un po' perchè non riusciva ad intender bene quello che si diceva, ma guardava intorno con occhi attenti. Maddalena le avvicinava ogni tanto il volto al collo, ripetendole questa o quell'altra cosa: zia Annedda assentiva col capo e sorrideva. Ah, se Elias avesse parlato sul serio! Ma era mai possibile? Un miracolo così grande! Ah, ma San Francesco poteva fare quello ed altri miracoli. Elias era ancor giovine, poteva studiare, poteva riuscire. Ed era quella la sua via, la via del Signore, perchè se egli restava nel mondo era un giovine perduto. Zia Annedda pensava così, perchè ella conosceva il suo figliuolo.

Un momento ch'ebbe tempo, ella entrò in chiesa per ringraziare il Santo dell'idea balenata ad Elias. Era notte; le lampade oscillavano dinanzi all'altare, spandendo ombre e luci tremule sulla chiesa deserta. Il gran Santo, cupo, pareva assopito tra i suoi fiori d'ogni mese. Zia Annedda s'inginocchiò, poi sedette in fondo alla chiesa, pregando. Il suo pensiero era sempre rivolto ad Elias: le pareva già di vedere il figliuolo sacerdote, le sembrava già di ricevere i doni di frumento, le anforette di vino turate con fiori, le torte e i gattòs ((1) Dolce nuorese, di mandorle, zucchero e miele.) che gli amici avrebbero regalato al prete novello.

Mentre così sognava e pregava, vide entrar Maddalena. La giovinetta veniva a cercarla, le si accostò e le si sedette vicina.

— Ah, siete qui! — le mormorò. — Vi cercavamo, ma io ho pensato subito ch'eravate qui.

— Verrò fra poco.

— Resto qui anch'io un poco.

Tacquero. Dal cortile arrivavano confusi rumori, canti e melodie melanconiche, vibranti nella notte pura. Una voce armoniosa di tenore cantava un po' in lontananza, forse nella brughiera, tra il coro triste e cadenzato dell'accompagnamento vocale dei canti nuoresi. E quel coro melanconico e quella voce sonora che sfumava in lontananza, quasi impregnata dalla solenne tristezza della brughiera, della notte, della solitudine, salivano, si spandevano, attraverso i rumori della folla, riempiendo l'aria sogni melanconici.

Maddalena ascoltava, presa da un senso profondo di tristezza. Or sì, or no, le pareva conoscere quella voce. Era Pietro? Era Elias Non sapeva, non sapeva, ma quella voce e quel canto corale, sfumati nella notte, le davano un'ebbrezza strana di tristezza morbosa. E zia Annedda continuava nel suo sogno, nella su preghiera, senza accorgersi che Maddalena l fremeva e palpitava accanto come un uccellino preso da passione.

Ma ecco, improvvisamente, i pensieri delle due donne sospesero il loro corso; un uomo entrava e si avanzava con passo incerto verso l'altare. Era la figura che occupava tutta l'anima delle due donne: Elias. Egli s'inginocchi sui gradini dell'altare, con la berretta gettata sull'omero destro, e cominciò a picchiarsi il petto, la testa, e a gemere sordamente. La luce rossastra oscillante della lampada lo illuminava dall'alto, dando un lucido riflesso ai suoi capelli: ma egli non pensava che potessero vederlo e continuava nel suo fervore doloroso a gemere e picchiarsi il petto e la fronte.

Le due donne guardavano, trattenendo il respiro, e zia Annedda si sentiva quasi felice del dolore di suo figlio.

— Egli si pente d'essersi ubbriacato — pensava — egli fa buoni propositi: che voi siate benedetto, San Francesco mio, piccolo San Francesco mio. — Vieni, usciamo, egli potrebbe vederci e vergognarsi — disse sommessamente a Maddalena, attirandola fuori della chiesa.

— Cosa ha egli? — chiese Maddalena assai turbata.

— Egli si pente dello stravizio fatto; egli è molto devoto, figliuola mia.

— Ah!

— Qualche volta è impetuoso, ma è un giovine di coscienza, figliuola mia. Ah, molto di coscienza.

— Ah!

— Si, molto di coscienza, figliuola mia. Egli può essere indotto alla tentazione, perchè tu sai che il diavolo è sempre all'erta intorno a noi, ma Elias sa combatterlo e morrebbe prima di commettere un peccato mortale. Talvolta la tentazione lo vince in piccole cose, come oggi; tu hai veduto come si è ubbriacato e come ha parlato male; ma poi si pente amaramente.

— Ah! — disse Maddalena per la terza volta; e non sapeva perchè, ma si sentiva gli occhi arsi dalle lagrime.

Attraversarono il cortile e rientrarono nella cumbissia, dove zio Portolu, Pietro e gli amici, seduti per terra attorno al focolare cantavano e giuocavano. Maddalena si sedette un po' all'ombra, vicino alla finestrino, seria e composta più del solito; dopo un momento Pietro le venne vicino e la guardò intensamente.

— Sei seria, Maddalena — le disse. — Perchè? Hai visto Elias? Ti ha detto qualche cosa?

— No, non l'ho veduto.

— Egli è di malumore. Lascialo dire, sai, non badargli; egli tratta tutti così.

— Ma non m'importa nulla! — diss'ella con vivacità. — Eppoi egli non mi disse nulla di scortese.

— Eppoi tu sei prudente! Non è vero che sei prudente? — disse Pietro tutto carezzevole, passandole una mano sulle spalle.

— Lasciami! — diss'ella di cattiva maniera.

— Va e gioca.

— No, io resto qui, Maddalena.

— Va!

— No!

— Zio Portolu, dite a vostro figlio che ritorni a giuocare.

— Pietro, figlio mio, lascia in pace la colomba. Vieni qui, subito! O vuoi che mi alzi e mi faccia obbedire?

Pietro riprese il suo posto.

— Eh, eh, la vecchia volpe si fa obbedire! — disse qualcuno.

Maddalena si volse tutta verso la finestra, e guardò al di fuori, col pensiero ben lontano dalla scena rumorosa che le si svolgeva alle spalle, i begli occhi smarriti in un triste sogno. Era una notte tiepida, velata; la luna navigava verso il sud, in un lago di argentei vapori immobili: dai cespugli neri della brughiera, sfumati su sfondi cinerei, venivano selvaggi profumi.

Maddalena pensava ad Elias; ed ecco, per la seconda volta, quasi evocata dalla inconscia suggestione del suo pensiero, ella vide la figura di lui sorgerle davanti all'improvviso. Egli passò sotto la finestra, e s'allontanò in quel chiarore vaporoso di luna. Dove andava? Dove andava egli? Maddalena sentì un fiotto di lagrime salirle agli occhi e un fremito percorrerle le viscere e gonfiarle la gola.

Avrebbe voluto gettarsi dalla finestra, correr dietro a Elias, e avvolgerlo e soffocarlo nella sua passione. Ma egli sparve, lontano, ed ella ingoiò segretamente le sue lagrime. Elias aveva fatto il suo voto, aveva detto mentalmente a suo fratello:

« Dormi contento, Pietro, fratello mio; ella è tua, e se anche venisse a gettarmisi fra le braccia, io la respingerei ».

Sfumati i vapori del vino, egli si sentiva forte, e dopo la crisi che lo aveva trascinato ai piedi del Santo, quasi allegro. Tutti i disparati progetti che fermentati dai liquori e dagli sguardi di Maddalena, gli avevano turbinato quel giorno nel cervello — l'idea di farsi prete, l'idea di chieder in isposa la figlia del priore — tutto era svaporato con l'ebbrezza. Ora si sentiva calmo, non solo, ma anche un po' vergognoso di quanto aveva pensato e detto durante quel giorno.

Andò a guardare i cavalli, che pascolavano tranquilli alla luna, li fece abbeverare, poi ritornò verso la chiesa.

“Domani si ritorna”, pensava. “Posdomani via all'ovile. Resterò dei mesi interi fuori di città, con mio padre, con quel semplice di Mattia, con gli amici pastori. Che bella vita! Quando sarò solo, laggiù, tutti questi giorni, tutte queste sciocchezze mi parranno un sogno. Eh, le feste son belle e i Santi son buoni, ma il vino, la gente, lo spasso accendono il sangue, e se uno non è savio molto, ma molto, può commettere grandi errori ed essere indotto in tentazione. Ah, bene, ora vado e mi corico e dormo, perchè la notte scorsa non ho riposato nulla, poi domani… via… e posdomani si va lontano, lontano. Eh, Elias Portolu, avresti paura di te?… Ma cosa vedo lì? un uomo che dorme sotto quel cespuglio; no, non è un uomo; cosa è dunque? Si, è un uomo… oh, prete Porcheddu!…”.

Si curvò, pieno di meraviglia, e scosse il dormiente.

— Ehi, ehi, prete Porcheddu! E cosa è questo? Perchè è qui? non sa che quest'aria le potrebbe far male, e che ci sono delle biscie e degli insetti fra l'erba?

Dopo molte scosse vigorose prete Porcheddu si svegliò tutto sgomento, stentò a riconoscere Elias, spalancò più volte gli occhi, ma finalmente si riebbe e si alzò.

— Eh, eh, sono uscito dopo cena, volevo passeggiare, ma pare mi sia addormentato.

— Pare anche a me! Se non l'avessi vista per caso, sarebbe rimasta chissà fino a quando, e chissà quanto spavento ne avremmo provato, non vedendola tornare.

— Non credere che abbia bevuto molto, caro mio, no. Sono uscito così, vedendo la luna, mi sono seduto qui. Eh, tu non sai che io sono stato una volta poeta?

— Oh! oh!

— Vogliamo sederci un po' qui? Guarda che bella notte. Si, sono stato poeta, ed ho stampato una poesia, ma siccome questa poesia era d'amore, ebbene cosa mi fa monsignore? Mi manda a dire che la finisca, che queste non son cose da farsi da un sacerdote.

— E lei, prete Porcheddu?…

— E io ho smesso. Figliuolo mio, io so che tu mi hai giudicato un matto…

— Prete Porcheddu!

— … un matto, ma sono un matto che non fa male a nessuno, e tanto meno a sè stesso. Ho saputo sempre vivere, sono stato allegro, ma prudente. Così, quella volta, ho smesso, ma mi è rimasta l'abitudine, talvolta, di fantasticare. Guarda che bella notte, figliuolo mio. È una di quelle notti che invitano a pensare, a riandare nella propria vita, a pentirsi del mal fatto, far buoni propositi per l'avvenire. Tu sei intelligente, Elias Portolu, non sei un pastoraccio qualunque, ed hai studiato e sofferto, e puoi capire queste cose.

— È vero — disse Elias con voce profonda.

Prete Porcheddu, col viso rivolto al cielo, guardava la luna: anche Elias sollevò il volto e guardò lassù: si sentiva stranamente intenerito.

— Ecco, figliuolo mio — continuò l'altro — tu comprendi tutte queste cose. Io ho capito che sei intelligente, e tu guardi la luna non per indovinare le ore, come tutti i pastori, ma con un sentimento alto, solenne. — (Elias nonostante, non capì bene queste ultime parole). — Anche tu, forse, sei un po' poeta, e potresti fare poesie d'amore…

— Questo no, prete Porcheddu.

Prete Porcheddu tacque un poco, pensoso, grave. Elias guardava sempre la luna, chiedendosi se sarebbe stato buono a comporre una poesia per… Maddalena. Ah, ecco che egli si obliava, e che il demonio riprendeva il suo dominio! Ma la voce di prete Porcheddu risuonò, un po' grave, un po' tremula, sommessa eppur vibrata in quel gran silenzio di luna velata, di brughiera deserta odorante.

— Tu guardi la luna, Elias Portolu, tu pensi di fare una poesia… Ecco che ho indovinato, io. Tu sei innamorato.

— Prete Porcheddu!… — disse Elias spaventato, chinando gli occhi.

Presentì rapidamente che quell'uomo che gli stava accanto possedeva il suo doloroso segreto, e arrossì di vergogna e di collera. Avrebbe voluto gettarsi sopra prete Porcheddu e strozzarlo.

— Tu sei innamorato di Maddalena. Eh, non farti rosso, non adirarti, figliuolo mio. Io l'ho indovinato, ma non spaventarti, non credere che tutti capiscano le cose come le capisce prete Porcheddu. Ebbene, che vergogna c'è? Essa è una donna, e tu sei un uomo, ed essendo un uomo sei soggetto alle passioni umane, alle tentazioni, direbbe zia Annedda tua madre. La vergogna non sta in ciò, figlio mio; sta nel non sapersi vincere. Ma tu ti vincerai. Maddalena…

— Parli piano… — disse Elias.

— Maddalena è per te una cosa sacra. Guardandola è come se tu guardassi una Santa: tu l'hai capito, non è vero?

— Io… io l'ho capito… — mormorò Elias.

— Benissimo, tu l'hai capito: l'ho detto io che sei intelligente! Vedi, perchè Dio ha creato il giorno e la notte? Il giorno per dar agio al demonio di combattere contro di noi; la notte perchè noi possiamo raccoglierci in noi stessi e vincer le tentazioni. Le notti come questa son fatte per ciò, perchè in queste notti così calme, nel silenzio, dobbiamo specialmente pensare che la vita nostra è breve, che la morte viene quando meno si pensa, e che di tutta le nostra vita non portiamo davanti al Signore che le nostre buone opere, il dovere compiuto, le tentazioni vinte.

— E la poesia, allora? — chiese Elias, sorridendo a fior di labbro. E pareva lieto di coglier prete Porcheddu in contraddizione, ma la sua voce era commossa.

— La poesia bella è la voce della coscienza quando ci dice che abbiamo fatto il nostro dovere. Eh, cosa ne dici, Elias Portolu?

— Io dico che è vero.

— Benissimo. Allora possiamo andare. Comincia a far umido, eppoi tu mi hai detto che ci sono le biscie. Eh, eh, dammi la mano, aiutami ad alzarmi… Eh, io non ho vent'anni per saltare come te. Bravo, grazie; ora lasciami afferrare a te. — Cosa ne dici di prete Porcheddu? — chiese poi, prendendo il braccio di Elias e avvicinandosi verso la chiesa. Esso è un matto, può ritirarsi tardi, bevere, cantare, gettare il pane ai cani, ma non è cattivo. La coscienza, sopratutto la coscienza, Elias Portolu, ricordati della coscienza! Ah, cosa vedo lì? una cosa nera, guarda, sarà una biscia?

— No, è uno sterpo.

— Vedendoci ritornare così, crederanno ch'io sia ubbriaco. Ma non m'importa nulla perchè non lo sono. Credi tu ch'io lo sia?

— Oh no! — gridò Elias con islancio.

— Bene, allora ricorderai sempre quanto io ti dissi?

— Lo ricorderò.

— Io amo la tua famiglia — cominciò prete Porcheddu, ma tosto si pentì di quelle parole, cambiò abilmente discorso e per tutta l'ora che rimase con Elias non toccò più alcun intimo argomento.

Il nome di Maddalena non fu più pronunziato; ma oramai Elias si sentiva un altro, forte, calmo, quasi freddo, deciso a lottare fieramente contro sè stesso. L'indomani mattina, partenza. Il priore vecchio aveva consegnato lo stendardo, la nicchia e le chiavi al priore nuovo, sorteggiato il giorno prima; la prioressa aveva diviso il pane e le provviste avanzate e l'ultima caldaia di filindeu (minestra densa che si può mangiare fredda) tra le famiglie della gran cumbissia. Sin dall'alba cominciarono i preparativi per la partenza: furono caricati i carri, sellati i cavalli, colmate le bisaccie. Si partì dopo la messa; e il nuovo priore richiuse il portone. Le stanzette, la chiesa, la brughiera ritornarono deserte, profilate sul cielo azzurro, sullo sfondo delle solitarie e pittoresce montagne.

Addio. L'assiuolo riprende il suo grido prolungato, cadenzato, vibrato nel silenzio infinito delle macchie. Nelle notti fragranti di lentischio, nei lunghi giorni luminosi, esso è il re della solitudine, esso solo impera, e il suo grido melanconico pare la vibrazione d'un sogno selvaggio. Addio. I cavalli trottano, galoppano, scendono e salgono per i verdi avvallamenti della montagna; la buona e fiera tribù dei parenti e dei devoti di San Francesco torna alla sua piccola città, lassù, dietro le fresche chine dell'Orthobene, torna al suo lavoro, ai suoi ovili, alle sue messi ondulanti argentee come laghi fra gli alberi. La festa è finita.

Zio Portolu recava zia Annedda in groppa al suo cavallo, e Pietro la sua fidanzata. Elias questa volta galoppava fra i primi della carovana; anch'egli spesso si slanciava alla corsa, con le narici frementi e gli occhi accesi, come inebbriato dal vento tiepido, pregno d'odori selvatici, che agitava le macchie fiorite e battevagli il volto con forti carezze. Del resto però Elias era serio; non cantava, non gridava, come gli altri, e non volgeva neppure lo sguardo a Paska, la figlia dell'ex priore, alla quale spesso si trovava vicino. Ella non mancava di dargli qualche tenero benchè timido sguardo, ma egli pensava:

— Perchè devo ingannar qualcuno, e tanto più una fanciulla innocente? No, non devo ingannar nessuno, e tanto meno me stesso.

Ricordava le parole di prete Porcheddu, e i buoni propositi fatti la notte prima: quindi non badava a Paska, s'allontanava da Maddalena e, senza averne coscienza, cercava fuggire sè stesso, inebbriandosi innocentemente nel galoppo e nelle corse del suo agile cavallo.

La cavalla seguita dal puledrino era montata da zio Portolu e da zia Annedda: Pietro e Maddalena avevano un cavallo molto mansueto, magruccio e deboluccio. Venivano quindi gli ultimi, e zio Portolu non cessava di badare a loro. Verso mezzogiorno si arrivò all'Isalle, sotto un gruppo d'alberi alti, in un sito vaghissimo; e secondo l'uso si smontò laggiù, per desinare, fra alcune roccie coperte di musco fiorito, vicino all'acqua corrente. L'accampamento fu presto fatto; sorsero i fuochi, giraron gli spiedi, furono imbandite le mense. Il meriggio era stupendo; grandi, alte macchie di oleandri, sorgevano lungo l'acqua corrente, immobili all'aria calda, sparpagliate su uno sfondo di cielo metallico; in lontananza, tra il verde intenso della valle, negli sfondi sereni, le messi splendevano al sole. La nicchia col piccolo San Francesco fu messa per terra, sopra un gran fazzoletto disteso; e dopo il pranzo, uomini e donne vi si affollarono intorno, inginocchiandosi, baciando la nicchia e deponendovi dentro un'offerta. Pietro venne con Maddalena, e più per esser veduto da lei che per devozione, mise una grossa offerta entro la nicchia; poi venne zia Annedda, poi Elias, che si trattenne alquanto, rivolgendo al piccolo Santo gli occhi pieni di preghiera. Ah, egli si sentiva di nuovo smarrire; il caldo, il torpore di quel meriggio sereno, il vino, la presenza di Maddalena lo tormentavano aspramente. Ma il piccolo Santo ascoltò la sua preghiera e gli diede il coraggio di allontanarsi e di coricarsi vicino all'acqua, sotto gli oleandri, solo, solo e forte contro la tentazione.

Nell'accampamento le donne chiacchieravano, prendendo il caffè e rimettendosi in ordine per la partenza: gli uomini cantavano o tiravano al bersaglio. Elias sentiva gli spari tuonare, percorrer la valle, tornar rimbalzati dall'eco, dopo essersi ripercossi più volte nelle verdi lontananze: udiva voci lontane, sfumate nella quiete meridiana; il gorgheggio flautato di qualche fringuello, il mormorio dell'acqua corrente; e i suoi sensi si calmavano nella prima dolcezza del sonno, quando una visione gli apparve. Era Maddalena, scesa a lavarsi. Nel vederlo ella non si turbò, anzi gli si avvicinò, gli si curvò sopra… Ah, troppo! troppo! I suoi occhi lo incantavano, ardenti, fatali. Egli ricordava il suo voto: “Pietro, fratello mio, anche se ella venisse a gettarmisi fra le braccia, io la respingerei…”. Ma provava un affanno, un delirio che lo soffocava e lo accecava: avrebbe voluto fuggire e non poteva muoversi, ed ella gli stava vicina, e i suoi occhi socchiusi, ardenti sotto le larghe palpebre, e le sue labbra sorridenti, gli facevano per lere il senno.

— Maddalena, amore mio… — mormorò, ma tosto si pentì e si mise a gemere di passione e di dolore. — Pietro, fratello mio! Pietro fratello mio…

Si svegliò fremendo: era solo e l'acqua mormorava, e gli uccelli gorgheggiavano, ma non si udivano più nè spari, nè voci. Si alzò: quanto tempo aveva dormito? Guardò il sole e il sole declinava. La carovana era partita, ma a guardia del cavallo di Elias restavano due pastori ai qualieran stati lasciati tutti gli avanzi del pranzo, in cambio dei latticini da essi regalati. Elias s'indugiò un momento con loro, poi parti. Il suo cavallo volava, e il moto e il pensiero di raggiunger presto i compagni dispersero l'impressione calda ma quasi affannosa che il sogno aveva lasciato nel giovine. Dopo circa mezz'ora di corsa egli vide zio Portolu e la zia Annedda, Pietro e Maddalena, fermi sui loro cavalli, nell'alto di una china. Lo aspettavano forse? Gli altri eran già lontani.

— Ebbene? — gridò dal basso.

— Che il diavolo ti percuota — gridò zio Portolu — dove ti sei indugiato? Dà il cavallo a tuo fratello, perchè il suo s'è arenato.

— No, non glielo do.

— Elias, figlio mio, obbedisci a tuo padre — disse zia Annedda.

— No — rispose Elias indispettito. — Mi avete lasciato laggiù come un asino; non lo do.

— Bene, prendi tu allora per un tratto Maddalena: così non si può andare — disse Pietro.

— Ah, Pietro, cosa tu dici! gridò fra sè Elias; e si pentì di aver negato il cavallo, ma non potè ora rifiutare, e neppure potè reprimere in fondo a sè un istinto di gioia.

Ma quando sentì, nella discesa, il morbido busto di Maddalena abbandonato un po'troppo, come nel sogno, sulle sue spalle, e il braccio di lei un po' troppo stretto alla sua cintura, egli, che credeva ai sogni, ricordò la visione avuta, e stette all'erta.

Portati dal forte cavallo, a momenti, fra le giravolte e le alture o fra i sentieri incavati e coperti di cespugli fioriti, Elias e Maddalena si trovavano soli, silenziosi, stretti, avvolti nel loro triste amore. Fuvvi un momento nel quale Maddalena, natura appassionata e debole, non potè vincersi.

— Elias — disse con voce un po' tremante — scusami se ti do seccatura…

— Oh! — diss' egli scrollando il capo.

— L'anno venturo condurrai in groppa al tuo cavallo la tua sposa…

— La mia sposa?

— Sì, Paska. Allora sarai contento.

— E tu non sarai contenta?

— Oh, io sarò morta…

— Morta!… Maddalena!

— Morta… alla vita… all'amore, voglio dire…

Non solo la sua voce tremava, ma tremava anche la sua mano, posata sulla cintura di lui, e tutta la sua persona abbandonata sulle sue spalle. Anch'egli vibrò tutto come una corda spezzata, e un'ombra gli velò gli occhi: era la stessa angoscia, la stessa ebbrezza provata nel sogno.

— Maddalena… — mormorò, stringendole la mano; ma tosto s'irrigidi, e disse a voce alta:

— Mi pareva che tu cadessi: sta ritta, sta in equilibrio.

Nell'anima gli risuonavano forti, insistenti le parole di prete Porcheddu, e gli vibrava il suo voto:

“Sta tranquillo, Pietro, fratello mio; anche se ella venisse a gettarmisi fra le braccia, io la respingerei”.

Nuoro era vicina, lassù, dietro l'orlo della valle illuminato dal sole calante. La carovana ferma là in alto, sui cavalli stanchi e sudati, attendeva che tutti giungessero, per rientrar uniti in paese e girar tre volte a cavallo attorno alla chiesetta del Rosario, la cui campana squillava già, lontana, argentina, salutando il ritorno del piccolo Santo.

Ecco, ora Elias è finalmente nella sconfinata solitudine della tanca ((1) Vastissimo terreno chiuso.), animata solo da qualche grido, da qualche fischio di pastore, e dal tintinnio delle greggie o dal muggito degli armenti. Folti boschi di soveri si profilavano sull'orizzonte, chiudendo lo sfondo sereno del cielo; la tanca dei Portolu era stata molti anni prima diboscata, ed ora stendevasi aperta, vasta, battuta dal sole. Solo qualche sovero qua e là sorgeva fra il verde delle erbe, delle macchie, dei rovi; nelle distese umide la vegetazione era morbida e delicata, profumata di menta e di timo. I pascoli lussureggianti, al cader della primavera, prendevano un verde dorato luminoso: i cardi aprivano i loro fiori d'oro e di viola, i rovi sbattevano le loro rose selvatiche. Solo sotto gli alberi e nelle distese umide l'erba restava verde e fresca. La tanca, sebbene piana e senza bosco, aveva recessi secreti, roccie e macchie; il corso d'acqua in certi punti scorreva fra boschetti di sambuchi, dove il sole appena penetrava, formando laghetti verdi e misteriosi, circondati e tramezzati di roccie, sulle quali l'acqua infrangevasi o precipitava mormorando. Lungo le rive, per largo tratto, la vegetazione conservavasi fresca e morbida: di notte l'odore dei giunchi e delle mente era quasi irritante. La greggia discretamente numerosa dei Portolu pascolava la tanca; le pecore erano grosse per il lungo vello intricato, gli agnelli s'erano fatti grandi e grossi. Fra due o tre giorni dovevasi tosare la greggia. Elias si sentiva fisicamente bene in quel luogo solitario e selvaggiamente bello, dove era cresciuto, dove era scorsa la sua prima giovinezza: giorno per giorno egli rivedeva e riconosceva ogni angolo, ogni recesso della tanca. I cani, uno grosso e nero, con occhi selvaggi, olimpicamente posato sotto l'albero al quale era incatenato, e l'altro piccolo, col pelo irto rossigno, che pareva un porchetto, avevano riconosciuto Elias; ed egli aveva quasi pianto accarezzandoli. Oltre i cani c'erano nell'ovile un porchetto mansueto e malizioso, coi piccoli occhi vispi e carezzevoli che parevano occhi umani, un gattone nero ed un bel capretto bianco, che serviva di guida alle pecore, aprendo allegramente la strada allorchè dovevasi varcare un passo difficile o guadare l'acqua. Quando non pascolava il bel capretto stava sempre vicino a Mattia, seguendolo passo passo, rincorrendolo, saltandogli sopra, facendogli mille moine. Era un animaletto adorabile; andava nella capanna, molestava il gatto, giuocava col porchetto o col piccolo cane, e dormiva ai piedi di Mattia.

La vita scorreva semplice e primitiva nell'ovile dei Portolu, frequentato solo dai pastori vicini e da qualche viandante. Gente equivoca, latitanti od altro, non vi bazzicava: zio Portolu era uomo onesto ed energico, Mattia un po' semplice, Elias non sentiva alcuna volontà di riattaccare le antiche relazioni o di farsene delle nuove.

Ora egli amava la solitudine, e spesso, in quei primi giorni passati nell'ovile, sfuggiva persino la compagnia dei suoi, quando l'opera sua non faceva bisogno. Vagava di qua e di là, riscontrando i luoghi che gli ricordavano la sua fanciullezza, spesso commuovendosi. Egli si commuoveva facilmente per ogni cosa, ma dopo il primo istintivo moto d'animo si irritava di questa ch'egli credeva debolezza, tanto più che suo fratello e specialmente zio Portolu se se ne accorgevano, lo deridevano.

— Ohi, ohi, cosa sei tu? — gli diceva zio Portolu. — Un uomo di cacio fresco sei diventato tu, Elias figlio mio. Eccolo che diventa pallido come una femminuccia per ogni piccola cosa. Uomini bisogna essere, uomini, leoni; non commuoversi, non cambiar viso, non piangere. Cosa è un uomo che piange? È un corno. Vedi tuo fratello Mattia? Egli non è un'aquila, e si meraviglia per molte cose: ma non cambia certo di colore, e delle volte la meraviglia è anche un'astuzia; eh, non guardatelo così Mattia, egli è più furbo di te.

Dopo queste piccole prediche, ripetute spesso, Elias proponevasi di esser anch'egli furbo e forte, ma che volete? certi pensieri, certi ricordi, certe sensazioni lo assalivano così all'improvviso che egli allora non era più padrone di sè, e tornava a intenerirsi, ad arrabbiarsi, a vergognarsi. Aveva recato con sè tutti i libri che possedeva, ma non crediate che questi volumi formassero una biblioteca: erano: il libro della Settimana santa, alcuni volumetti religiosi portati da quel luogo, la Battaglia di Benevento, opuscoli di poesie sarde e un vecchio erbario illustrato. Li nascose in un luogo ben sicuro e riparato, sotto una roccia, vicino ad un boschetto di sambuchi, suo favorito posto di riposo. Ma zio Portolu e Mattia (questi sapeva leggere) avevano anch'essi i loro libri: I Reali di Francia e Guerino detto il Meschino, ed anche i Fioretti di San Francesco. Quante volte Mattia li aveva letti, per sè, per suo padre, per gli amici pastori! E che impressione infantile quegli uomini forti, che non volevano commuoversi per altre cose, provavano ogni volta nel leggere o nell'ascoltare le avventure di Guerino o la parola dei Fioretti!

A tutti i libri Elias preferiva sempre quello della Settimana santa: sapeva già a memoria i Vangeli e li leggeva quasi speditamente anche in latino. Egli se n'andava nel boschetto dei sambuchi, nella frescura, nell'ombra olezzante di giunchi, vicino all'acqua mormorante, e leggeva la divina parola. In quell'ora i lavori dell'ovile erano compiuti: Mattia trottava verso Nuoro, sulla cavalla seguìta dal puledrino, colla bisaccia colma di cacio fresco e ricotta: zio Portolu, seduto sul limitare della capanna, intagliava e incideva pazientemente una zucca, disegnandovi appunto un episodio del Guerino, borbottando, parlando alla zucca, al temperino, alle dita, all'inchiostro che adoperava; e le greggie meriggiavano all'ombra delle macchie, e il porchetto, il capretto, il gatto e i cani dormivano. La tanca tutta riposava nell'ardore del sole, sotto il cielo di metallo chiaro che precipitava cinereo negli orizzonti; non piegavasi uno stelo.

Elias rileggeva il suo libro, cullato dal mormorio dell'acqua; ma in quella pace infinita il suo cuore non era tranquillo. Spesso, a metà d'un versetto, un ricordo gli brillava nella mente, richiamando tutta la sua attenzione: e quel ricordo non era buono, ah! non era buono, non era buono!

Qualche volta egli si addormentava così, nella quiete profonda del meriggio, e immancabilmente Maddalena gli veniva in sogno. Ed erano sogni che lo turbavano e lo eccitavano dolorosamente, lasciandogli una cattiva impressione per tutto il resto della giornata. Egli aveva sperato calmarsi e dimenticare nella solitudine della tanca, lontano da lei; ma i ricordi dei giorni trascorsi a San Francesco, quel sogno in riva all'Isalle, quel ritorno fatale, erano troppo recenti. Il suo sangue ne era ancora acceso, e la volontà non bastava per vincer l'incendio: la solitudine, le forze fisiche rinascenti, aumentavano la passione.

Ma sopratutto l'aumentava il ricordo fisso, insistente, indistruttibile del ritorno dalla festa: i sogni di Elias rinnovavano quasi sempre quella scena, giacchè le sue spalle, la sua vita, la sua mano serbavano intatta l'impressione fisica del corpo e della mano di Maddalena: e la mente, ricordando le parole di lei, si smarriva ancora in una vertigine di piacere e d'angoscia. Egli ne fremeva, ma non poteva vincersi; talvolta le sue labbra pronunziavano il voto e nello stesso tempo il pensiero perdevasi là, nel ricordo: allora egli s'irritava contro se stesso, si copriva d'improperi, e avrebbe voluto bastonarsi, castigarsi, ma gli riusciva impossibile vincersi.

— Mio padre ha ragione — pensava — io sono un ometto di cacio fresco, una bestia, uno sciocco. Che bisogno c'è di pensare alle donne, e specialmente alla donna che non si deve guardare? Non si può vivere altrimenti? Uomini bisogna essere, uomini, leoni; ed io sono un agnello, una pecora matta. Ma cosa posso far io? Non mi sono fatto io così; se mi fossi fatto io, mi sarei fatto col cuore di pietra. Ma, chissà, col tempo mi passerà questa pazzia.

Egli pensava così, ma non si confortava, perchè sentiva che quella pazzia gli sarebbe durata lungo tempo.

Intanto un desiderio acuto, quello di riveder Maddalena, gli cresceva di giorno in giorno in cuore; ma almeno su ciò il suo proposito era fermo. Non solo, ma aveva paura del giorno in cui Maddalena, Pietro e zia Annedda sarebbero venuti per la tosatura della greggia; eppure contava le ore che lo avvicinavano a quel giorno, e provava, misto alla paura, un piacere fremente nel sentirlo avvicinare.

La vigilia di quel giorno egli stava, verso sera, chiudendo un varco del muro della tanca: al di là stendevasi il bosco vigilato da zio Martinu Monne, il “padre della selva”. Dove si trovava zio Martinu? Elias non lo aveva riveduto ancora, sebbene l'avesse cercato due o tre volte.

Improvvisamente, quella sera, zio Martinu uscì dal bosco e vedendo Elias s'avvicinò al muro. Era un vecchio gigantesco, ancora forte e dritto, con lunghi capelli giallastri e una folta barba grigia; il suo volto sembrava di bronzo rugato. Era maestoso, nel suo costume scuro, sul quale indossava una sopragiacca senza maniche, di cuoio unto; pareva un uomo preistorico. Elias diede in esclamazioni di gioia, saltò il muro, tese la mano al vecchio.

— Beato chi vi vede, zio Martinu! Vi ho cercato due volte; come state?

— Ben trovato! E fra cento anni un'altra disgrazia come quella passata. Come stai? Io sto bene; ho dovuto assentarmi vari giorni — rispose zio Martinu, calmo, con voce forte e pronunzia lenta.

Si sedettero sul muro e conversarono a lungo, narrandosi tante cose.

— Il primo giorno che son tornato — disse Elias ad un tratto — ho sognato di voi. Ero nel cortile, in casa, ero stanco, avevo un po' bevuto e mi addormentai. E ho sognato di voi: stavamo così, come siamo ora, vicino a questo muro. Come i sogni si avverano!

— Oh! oh! — disse l'altro, ma senza alcuna meraviglia.

Elias non gli raccontò precisamente il sogno, ma gli chiese:

— Credete ai sogni, voi?

— Cosa vuoi che ti dica? I sogni veramente non si avverano, ma capita spesso che noi prevediamo una cosa, ci pensiamo assai, e così la sogniamo: dopo accade; a noi sembra che sia il sogno ad avverarsi, mentre è una cosa che semplicemente doveva succedere.

Elias ammirò ancora una volta la sapienza di zio Martinu, ma scosse il capo. Ripensava al sogno in riva all'Isalle: aveva egli preveduto e desiderato forse il colloquio avuto poi con Maddalena? No, gli pareva di no.

— Domani — disse dopo un momento — domani tosiamo le pecore, zio Martinu. Verrete da noi, non è vero? Verrà mia madre, Pietro mio fratello e la sua fidanzata.

— Ah sì, ho sentito che tuo fratello è fidanzato. È buona la sposa?

— Sì, pare buona. È bella.

— Eh, questo non basta. I quadri, che son belli, si appendono al muro e servono solo di ornamento. Bisogna che la donna sia buona, sia affezionata al marito, e non ami altro uomo della terra.

Elias si fece pensieroso e non rispose. D'altronde si faceva tardi, il cielo impallidiva, il bosco taceva nella quiete solenne della sera: bisognava tornare alla capanna.

— Verrete, zio Martinu? Vi aspettiamo, non mancate.

— Verrò.

— Bè, non mancate! — avvertì Elias, scavalcando il muro.

— Non ho mai mancato alla mia parola, Elias Portolu. Saluta tuo padre a nome mio.

— Bene, buona sera.

— Buona sera.

Zio Martinu non mancò, anzi venne prestissimo, e aiutò i pastori nei preparativi per quella specie di festa campestre. L'aurora aranciata incendiava l'oriente, versando splendori d'oro roseo sull'erba e sulle pietre della tanca; ad ovest il bosco taceva sugli sfondi del cielo di lavagna chiara.

Zio Portolu preparava la giuncata, arroventando una pietra e rivolgendole, secondo la sua abitudine speciale, parole di lode o di biasimo. Elias e zio Martinu ammazzarono un agnello grosso quanto una pecora, lo scuoiarono, lo squartarono e gli estrassero i visceri fumanti.

Poco dopo il sorgere del sole giunsero Pietro e le donne. Venivano lentamente, sopra un carro guidato da Pietro; nessuno mosse loro incontro, ma Elias si sentì battere violentemente il cuore. Maddalena scese la prima, agile e svelta, si scosse le vesti, aiutò sua madre e zia Annedda a scendere.

Mentre Pietro scaricava il carro (zia Annedda aveva portato pane fresco e vino in abbondanza), le donne s'avviarono verso la capanna; Maddalena era più fresca e graziosa che mai; la camicia bianchissima, ricamata e inamidata, e la sottana di indiana scura orlata di celeste le disegnavano la ben formata persona. Appena se la vide vicina e fu sotto l'impero di quegli occhi ardenti, Elias si sentì perduto. Ma in quello smarrimento di piacere angoscioso ebbe la forza di pensare:

“Bisogna che io non mi trovi solo con lei, altrimenti sono un uomo perduto. Bisogna che mi confidi a qualcuno, perchè mi segua sempre e non mi lasci mai solo con lei, se il caso si presenta. Ah, ho paura di me. Ma a chi dirlo? A mia madre, a mio padre? No, non è possibile. A Mattia? Non capirebbe. Ah, zio Martinu!”

Respirò. Zio Martinu intanto guardava solenne, dall'alto, la fidanzata, mentre zio Portolu faceva le presentazioni, ridendo col suo riso forzato e caustico.

— Eh, eh, cinghiale canuto, la vedi la sposa di Pietro? Si chiama Maddalena, e sa filare e cucire, e nessuno mai ha detto nulla sul conto suo. Guardala, la colomba bianca; non senti che emana profumo di rose? E questa è Arrita Scada, la vecchia colomba, la vedi, Martinu Monne?

— La vedo.

— Buon giorno — disse zia Arrita, rivolgendosi con curiosità al vecchio. — Voi siete d'Orune, non è vero? State nella tanca del tale?

— Sono d'Orune, sto nella tanca del tale.

— Parlerete poi! — gridò zio Portolu. — Ora andiamo a mangiare la giuncata, a mangiare il latte cagliato. Andiamo, andiamo, presto, presto.

— Il sole è appena sorto; non è ora di mangiare giuncata — disse Maddalena, ridendo.

— Figlia mia — sentenziò zia Arrita — bisogna mangiare quando ci si invita, sia il sole alto o sia il sole basso.

— Eh, eh, Martinu Monne, la senti la vecchia colomba? Ti ho ben detto ch'era savia come l'acqua? ((1) Espressione locale: Savio come l'acqua: molto savo.)

Entrarono nella capanna ove c'era Mattia col capretto e col gatto; poi ropraggiunse Pietro e il quadro fu completo. Le donne sedettero su sgabelli di sughero, Elias, silenzioso ma non triste, distribui i corcarjos (cucchiai) d'unghia di pecora, e zio Portolu sturò i recipienti della giuncata e del latte; zio Martinu dominava la scena, e guardava ostinatamente Maddalena. Mangiarono e bevettero in abbondanza; la giuncata era squisitamente confezionata, e zio Portolu si sarebbe offeso se gl'invitati non avessero dato fondo ai malunes ((2) Recipienti.) di sughero.

Subito dopo colazione si cominciò la tosatura; le pecore venivano prese, legate, stese sull'erba, senza che esse opponessero la minima resistenza; e Mattia ed Elias le tosavano destramente con grosse forbici a molla. La lana intricata e sporca si ammucchiava qua e là per terra, e le pecore, liberate dal laccio, tornavano al pascolo rimpicciolite, tranquille.

Le donne, al solito, preparavano il pranzo, riservando a zio Portolu la cottura dell'agnello: Maddalena però seguiva ostinatamente Elias, come attirata da un magico filo, e ogni volta che egli sollevava gli occhi incontrava quelli di lei, che pareva volessero affascinarlo. Ad un certo punto si trovarono soli: Pietro era andato un momento nella capanna, Mattia rincorreva una pecora più restìa delle altre e zio Martinu s'allontanò per aiutarlo.

Elias ebbe un minuto di smarrimento, di paura, di piacere indicibile, nel trovarsi solo vicino a Maddalena, fra l'erba e gli alti cardi fioriti. Ii cuore gli battè forte, e una vertigine d'amore gli turbinò per tutto l'essere, quando i suoi occhi incontrarono per un secondo lo sguardo appassionato e supplichevole di Maddalena.

“Salvami! Salvaci!” diceva quello sguardo. “Tu mi ami, io ti amo, son venuta per chiederti di salvarmi e di salvarci, Elias, Elias”.

Ma egli credeva di perdersi e di perderla dando ascolto allo sguardo di lei e alla voce angosciosa che gli prorompeva dal cuore, e fece violenza a sè stesso per salvarsi. Guardò lontano. La pecora correva tra l'erba, inseguita da Zio Martinu e da Mattia che cercavano ridurla verso una macchia.

— Che stupidi! — disse Elias. — Se fossi andato io, a quest'ora sarebbe tosata.

E si slanciò lontano, lasciando Maddalena sola, nel sole, tra l'erba e gli alti cardi fioriti, sola, con le palpebre di Madonna abbassate con rassegnato dolore.

— Zio Martinu — disse Elias al vecchio, mentre Mattia li precedeva tirandosi dietro la pecora riluttante — fatemi un piacere, zio Martinu mio, non lasciatemi solo un momento con quella ragazza.

Egli parlava piano, un po' ansioso, un po' vergognoso, ad occhi bassi. Zio Martinu lo guardò dall'alto, lungamente, intentamente: capì, non rispose parola.

— Vi dirò… stassera… Non pensate male, zio Martinu mio — disse Elias, sollevando gli occhi. — Mi fido in voi più che in mio padre.

Zio Martinu non rispose, non si commosse, non sorrise; solo gli battè una mano sulla spalla, e per tutto il giorno lo seguì passo per passo come un'ombra.

Il pranzo fu oltre ogni dire lieto e chiassoso. Zio Portolu annunziò a zio Martinu che Maddalena e Prededdu si sarebbero sposati fra poco, dopo la raccolta del frumento; ma il vecchio non parve gran fatto rallegrarsi di questa notizia.

Le donne e Pietro partirono verso il tramonto; Maddalena sembrava allegra, rideva, scherzava, si rivolgeva a Pietro con continui sorrisi e non badava più ad Elias. Ma Elias, spinto anche un po' dal suo amor proprio, non s'illudeva su quella falsa allegria.

— Ella mi crederà uno stupido — pensava. — Ebbene, tanto meglio; ma se sapesse… se sapesse…

A momenti gli sembrava che il cuore gli si schiantasse, e un folle desiderio di singhiozzare forte, di gridare, di portarsi i pugni alla fronte, lo tormentava. Intanto il carro s'allontanava, e le macchie sanguinanti dei corsetti delle donne, e la macchietta bianca e nera di Pietro svanivano laggiù, nel verde sfondo della tanca, nelle rosee lontananze del tramonto. Addio, addio. Egli non l'avrebbe riveduta più così, libera e innamorata, nella solitudine della tanca, palpitante d'amore vicino a lui, come in quella mattina di primavera. Tutto era finito. Il carro sparve lontano, e tutto fu silenzio, tutto fu vuoto intorno ad Elias. Ma volgendosi per ritornare alla capanna, egli vide zio Martinu che l'aspettava.

— Io me ne vado — disse il vecchio, quando furono vicini. — Vuoi accompagnarmi?

— Andiamo.

Andarono. Il sole era tramontato, e i boschi e le lontananze tacevano sul cielo tutto roseo, ma d'un roseo denso quasi violaceo; tutta la tanca, le macchie lucenti, l'erba immobile, le roccie e l'acqua riflettevano quella calda luminosità di rosa peonia; era una pace, una solitudine arcana. Zio Martinu ed Elias attraversarono silenziosi tutta la tanca, ed andarono a sedersi sul muro, seri e gravi.

Elias si sentiva triste, imbarazzato, non sapeva come cominciare, e si guardava ostinatamente le mani; zio Martinu capì in quale stato d'animo si trovava il suo giovane amico, e cercò trarlo d'imbarazzo.

— Elias Portolu, — disse gravemente — io so quello che vuoi dirmi. Maddalena è innamorata di te.

— Zitto! — disse l'altro con spavento, mettendo la mano sul braccio del vecchio.

— Ogni piccola macchia porta piccole orecchie! ((1) Proverbio sardo: cada mettichedda juchet oricredda.) — aggiunse tosto, per scusare il suo spavento.

— Sì — rispose con voce grave il “padre della selva” — ogni piccola macchia, ogni albero, ogni pietra porta orecchie. E che perciò? Ciò che io ho detto e che dirò lo può ascoltare chiunque, cominciando da Dio che è lassù, e terminando nel più misero servo. Maria Maddalena ti ama, tu l'ami; unitevi in Dio, perchè egli vi ha creato l'uno per l'altra.

Elias lo guardava trasognato; ricordava il colloquio avuto con prete Porcheddu, i consigli, gli avvertimenti avuti in quella indimenticabile notte di San Francesco. A chi dare ascolto?

— Ma ella è la sposa di mio fratello, zio Martinu!

— E se è la sposa di tuo fratello? Lo ama ella forse? No. Dunque non è sua e non sarà mai sua secondo le leggi del Signore. Il matrimonio d'amore è il matrimonio di Dio, quello di convenienza è il matrimonio del diavolo. Salvati, Elias Portolu, e salva la colomba, come la chiama tuo padre. Ella accettò Pietro perchè glielo imposero, perchè egli aveva grano, perchè aveva orzo, fave, casa, buoi, terre. Il diavolo operava. Ma Dio aveva destinato altrimenti. Egli ti fece tornare, ti fece incontrare con la fanciulla: vi siete visti, vi siete amati, pur sapendo che secondo i pregiudizi degli uomini non potevate neppure guardarvi. Non senti tu in ciò una forza superiore all'uomo, che gli addita la sua via? Non è la mano di Dio? Pensaci bene, Elias Portolu; ci pensi, ci hai pensato?

— È vero — rispose Elias. — Ma egli è mio fratello, egli è mio fratello!

— Siamo tutti fratelli, Elias Portolu. Pietro non è uno stupido, egli comprende la ragione. Va, digli: « Fratello mio, io amo la tua sposa ed ella mi ama; che pensi di fare? Render infelice il tuo fratello e un'altra creatura innocente?”

Elias sentì freddo al solo pensiero di parlar così a suo fratello, e scosse la testa con dolore e con terrore.

— Mai! Mai! Egli mi ammazzerebbe, zio Martinu!

— Tu hai paura?

— Sì, perchè nascondervelo? Ho paura, ma non della morte. È che anche ella sarebbe perduta, e anch'egli, e tutta la mia famiglia. Ma non è solo questa spina che io ho rel cuore, zio Martinu. È che io amo mio fratello e non voglio, anche ammesso che egli si rassegni, che sia infelice.

— Egli potrebbe rassegnarsi più facilmente di te; è un carattere diverso dal tuo. Io comprendo i tuoi buoni sentimenti, Elias Portolu, ma non li approvo. Pensa alle conseguenze; ci hai tu pensato mai? Maddalena ti ama perdutamente, io gliel'ho letto negli occhi. Se tu taci, ella sposerà Pietro, verrà a stare a casa tua, e finirete col perdervi, poichè la natura umana è fragile. Lo senti tu, Elias Portolu? Ci hai tu pensato? La tentazione si vince oggi, si vince domani, ma posdomani finisce col vincerci essa, perchè noi non siamo di pietra. Ci hai pensato?

— È vero, è vero! — disse Elias, con gli occhi pieni di terrore.

Tacquero un momento; intorno a loro il silenzio era intenso, infinito; l'ombra calava sui boschi, il cielo di peonia impallidiva in tenere sfumature di viola. Improvvisamente Elias sentì come un riflesso di quella gran pace arcana che regnava intorno spanderglisi sul cuore.

— Ma io — disse con voce mutata — me n'andrò da casa mia.

— Prenderai moglie? Bada che ciò sarà forse peggio.

— No, io non prenderò mai moglie.

— Cosa farai dunque?

— Mi farò prete. Voi non vi meravigliate, zio Martinu?

— Io non mi meraviglio di nulla.

— Che cosa dunque mi consigliate? Nel sogno che vi raccontai, fatto la prima sera del mio ritorno, voi mi consigliavate di farmi prete.

— Una cosa è il sogno, altra cosa è la realtà, Elias Portolu. Io non ti sconsiglio se tu hai la vocazione, ma ti dico che neppure ciò ti salverà. Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne; pensaci bene.

— Cosa dunque mi consigliate?

— Il consiglio te l'ho già dato. Va, ritorna in paese, parla con tuo fratello.

— Mai… mai… con lui!

— Ebbene, parla con tua madre. Ella è una santa, ella porrà il balsamo su ogni ferita.

— Ebbene, sì, andrò! — disse Elias con improvviso slancio.

S'era deciso, e un lampo di gioia gli brillò negli occhi. S'alzò, fece qualche passo; avrebbe voluto partir subito, liberarsi subito da quella specie d'incubo che lo schiacciava: gli pareva tutto facile, tutto accomodato; e per qualche momento provò una felicità così intensa come non ne aveva mai provato in vita sua.

— Bene, non perder tempo — gli disse zio Martinu. — Va domani stesso, parla, non aver scrupoli, nè pregiudizi. Ti aspetto qui domani a quest'ora; mi dirai cosa avrai fatto.

— Andrò, verrò, zio Martinu. Buona notte, e grazie, zio Martinu.

— Buona notte, Elias Portolu.

E ognuno andò per la sua via.

L'indomani, alla stessa ora. i due uomini si ritrovarono nello stesso posto, vicino al muro della tanca. Intorno era lo stesso silenzio, puro, infinito; il tramonto accendeva d'un roseo bagliore le estreme cime del bosco, una gazza cantava in lontananza; ma Elias era triste, sfatto, col volto soffuso di stanchezza e di sofferenza come nei primi giorni del suo ritorno.

— Zio Martinu mio, — disse — se sapeste come sono andate le cose! È inutile, non posso, non posso parlare, nè con mia madre, nè con nessuno. Ieri sera mi sentivo deciso, mi sembrava di aver un cuor di leone, o per meglio dire una faccia tosta di cuoio. Ebbene, mi corico, dormo, nel sogno mi pare di esser a casa, di parlar con mia madre… Tutto mi sembrava facile. Mi sveglio, parto, arrivo a casa: e mi sentivo sempre lieto, pieno di speranza e di coraggio. Chiamo mia madre in disparte, e sento salirmi alle labbra le parole che già avevo preparate. Ella mi guarda, ed ecco, improvvisamente, sento battermi forte il cuore, e un nodo mi chiude la gola. Ah, no, zio Martinu mio, è impossibile, io non posso parlare, anche volendolo. Potrei commettere un delitto, ma rivelare quella cosa ai miei parenti, no. Non è possibile.

— Ritenta — provò a dire il vecchio. Ma Elias ebbe un gesto di ripulsione, quasi di rivolta.

— Ah, no! — disse a voce alta. — Non mi tentate, zio Martinu mio; è una cosa superiore alle mie forze: potrei andare mille volte, senza mai riuscirvi.

— È vero — disse il vecchio, e parve colpito da un ricordo. — Mi rammento un fatto — aggiunse poco dopo. — Veramente era cosa più grave assai, ma l'uomo era anche assai più forte di te, coraggioso, spregiudicato, violento. Doveva commettere un delitto (e ne aveva già commessi altri); doveva ammazzare un uomo onesto. Gli sembrava una cosa naturale, facilissima, ed in cuor suo era più che deciso. Arriva il giorno, l'ora designata: egli va in casa dell'uomo onesto, lo trova a cena, può ucciderlo senza alcun pericolo. Ma l'uomo onesto lo guarda, e basta ciò perchè l'altro non possa sollevare il braccio. E questo avviene due, tre, dieci volte.

Mentre il vecchio parlava, Elias lo divorava cogli occhi, dimenticando il suo affanno nell'ascoltare quella storia: ah, egli la conosceva già, non solo, ma sapeva che l'uomo violento era lo stesso zio Martinu. Tutti conoscevano da molti anni quella storia, e aggiungevano che l'uomo onesto, venuto anch'egli a conoscerla, chiamò a sè zio Martinu e gli diede da lavorare, lo fece suo pastore e poi custode delle sue tanche. D'allora in poi zio Martinu era diventato il braccio destro, il servo più fedele dell'uomo che voleva uccidere.

Nell'ascoltare dalla bocca del vecchio quello strano fatto, Elias provò un sentimento di sollievo; in fondo egli si vergognava della sua debolezza e delle sue indecisioni continue; ma se un uomo di ferro come zio Martinu Monne nella sua fiera giovinezza non era riuscito a vincer la potenza d'uno sguardo onesto, come poteva egli, povero debole fanciullo, vincer l'orrore della confessione ai suoi di ciò che gli sembrava un delitto?

— Il fatto che ti ho raccontato — aggiunse il vecchio — non ha, certo, paragone con la tua storia; ma dimostra egualmente come al di sopra di noi ci sia una forza che noi talvolta non possiamo vincere. Tuttavia se tu puoi, Elias Portolu, cerca di fare qualche cosa!

— Io non posso far nulla, zio Martinu! — disse Elias scoraggiato.

— Tu forse desideri che mi intrometta io…

— cominciò il vecchio, pensoso, dopo breve silenzio; ma Elias gli strinse il braccio e protestò fieramente:

— Mai, zio Martinu! Mai, mai! Ah, non mi fate il torto di credere che io ci abbia neppur pensato. Non solo, zio Martinu, ma se voi rivelate il mio segreto, io non vi guarderò più in viso.

— Tu hai ragione; non è conveniente. Vero!

— Cosa dunque mi consigliate?

— Io ti ho già consigliato, Elias Portolu. Fa qualche cosa, muoviti, sii previdente.

— Io prevedo, zio Martinu. Lascerò compier gli eventi. Poi, se non potrò resistere, farò quanto ieri sera vi dissi.

— E tu farai male — disse il vecchio alzandosi. — Tenta da ogni lato, Elias, figlio mio; il fatto che ti raccontai è finito in bene, per l'indecisione d'un uomo; ma il tuo potrà finir male. Tu sai scrivere; ebbene, scrivi, poichè tuo fratello sa leggere. Intendetevi, prevedete il futuro. Io non ti dico altro.

Una luce di speranza balenò ancora agli occhi di Elias.

— Si. Scriverò.

Si separarono, senza darsi altro convegno, ed Elias s'avviò alla capanna col cuore un po' sollevato. — Sì, sì — ripeteva fra sè — scriverò a Pietro come fanno i signori; gli dirò ogni cosa, ed egli è ragionevole e ascolterà: ho penna e carta; darò la lettera a Mattia… no, la porterò io stesso, la darò a mia madre perchè gliela consegni in proprie mani. Si, va bene.

Per lunga ora della notte egli pensò e ripensò come scrivere la lettera; sapeva già come cominciarla e come finirla; il resto era facile. Anche il mattino seguente si svegliò ostinatamente fermo nel suo proposito; appena potè si recò nel suo posto favorito, dove aveva nascosti i suoi libri e la penna e un tubolo pieno d'inchiostro, e preparò ogni cosa. Si sedette accanto ad una pietra elevata, cercò la miglior posizione — e la posizione era ottima per poter scrivere comodamente — poi stette un po' pensieroso.

Il ruscello passava vicino, mormorando fra i giunchi; una brezza piacevole serpeggiava fra i sambuchi, destando lunghi fruscii fra l'erbe alte e gli alberi. Cento rumori, sfumati, vicini, lontani, animavano la tanca, sotto la cerula luminosità del puro mattino.

Elias pensava, con le mani non più bianche ferme sul rozzo foglio di carta scinpata steso sulla pietra. Improvvisamente sollevò il capo e stette come ad ascoltare una voce lontana; poi prese il foglio, la penna, il tubolo, rimise tutto nel nascondiglio, e ritornò verso la capanna. Non poteva vincer la forza superiore di cui gli aveva parlato zio Martinu.

Venne l'estate. Tutta la tanca diventò d'un bel giallo pallido, tranne nelle macchie e lungo la riva del ruscello dove la vegetazione prese un rigoglio tropicale. Che profonde dolcezze di sfondi erano ora laggiù, nei mattini splendenti, nei crepuscoli d'oro-roseo, nelle notti brillanti di stelle, purissime, quando il novilunio calava misteriosamente sui boschi taciti!

Elias si struggeva d'amore e di tristezza, ma non faceva un proposito, non un passo che arrestasse gli avvenimenti. Intanto il tempo passava; Pietro aveva avuto una magnifica raccolta, e le nozze dovevano farsi tra pochi giorni. Elias non aveva più riveduto zio Martinu, e non cercava rivederlo; ne aveva quasi paura, perchè invece di conforto il vecchio, che pure passava per un sapientone, gli aveva messo l'inferno nell'anima.

— E s'egli avesse ragione? — si chiedeva talvolta; ma tosto si ribellava a questo pensiero, anche perchè sentiva di non aver la forza di agire, di muoversi, di rivelare il suo segreto, e sopratutto di attraversare la felicità di Pietro.

Ma il ricordo e il desiderio di Maddalena e il pensiero che fra poco ella sarebbe inesorabilmente perduta per lui, lo struggevano. Cercava combattere contro il cuore e contro i sensi, ridersi della sua passione, esser forte come zio Portolu voleva; che diavolo! ce ne son tante donne; eppoi si può vivere anche senza di esse, anche senza amore; anzi un uomo veramente uomo deve ridere di queste cose!

Ma la battaglia era vana; e senza la figura di Maddalena tutto l'orizzonte di Elias si vuotava e si oscurava. Intanto, come a San Francesco egli aveva ardentemente desiderato la lontananza, la solitudine, il silenzio della tanca, ora anelava il giorno delle nozze di Pietro. Così almeno tutto sarebbe finito, per sempre. Gli pareva che dopo guarirebbe, ritrovando pace e salute. Perchè si sentiva deperire anche fisicamente. L'ardore di quei lunghi giorni luminosi e la frescura insidiosa delle chiare notti odorose lo annientavano e gli davano la febbre.

Nella sua tristezza egli aveva posto odio agli uomini; anche suo padre e Mattia lo disgustavano, e quindi li fuggiva, vagava tutto il giorno attraverso la gialla e ardente solitudine della tanca, e passava le notti all'aperto.

Se dormiva al meriggio, dopo aver letto e riletto i suoi libri santi, si svegliava con la testa cerchiata da grave dolore, e poi di notte non poteva dormire. Allora restava a lungo nei suoi nascondigli, accoccolato sulle pietre, guardando il tramonto della luna sui boschi, o immerso in un'atonia di sogno doloroso. Zio Portolu, la vecchia volpe, vedeva benissimo lo stato d'animo e di corpo del figliuolo, senza riuscire a indovinarne la causa, e se ne accorava, e sgridava acerbamente Elias nei pochi momenti che restavano assieme.

— Perchè ti nascondi? — gli urlava. — Che vita è questa? Se mediti un delitto, còmpilo e sia finita; se sei innamorato, appiccati. Uomo sei tu? Un fuscello sei, una statuetta di cacio di vacca! Non vedi che non puoi stare in gambe, e che il tuo viso è verde come una rana?

— Sto male — diceva Elias, non per scusarsi, ma perchè aveva una folle paura che zio Portolu venisse ad indovinare il suo segreto.

— Se stai male, cùrati o muori; io non voglio vedere gente debole attorno a me, voglio veder dei leoni, voglio veder delle aquile, e tu sei una lucertola.

— Lasciatemi in pace, babbo mio — supplicava Elias, allontanandosi infastidito.

— Va al diavolo! Va al diavolo! — gli urlava dietro zio Portolu; ma quando si trovava solo il vecchio si rattristava, si sentiva anche egli il cuore piccolo come quello d'un uccellino.

— Sta a vedere che Elias s'ammala. Ah, no, San Francesco mio, pigliatevi me, ma lasciate vivi e forti i miei figliuoli! I miei figliuolini! I miei colombi! Gli uccellini miei! Ah, che essi sieno felici, e che zio Portolu muoia pure disperato. Elias, Elias, perchè non ti curi? Che farò io senza di te? Farò venire tua madre, ti farò tornare con essa in paese; ed essa ti farà coricare sul letto e ti farà le medicine con le erbe, col sale, con le sante medaglie, come essa le sa fare.

Intanto Elias errava qua e là, triste, disperato, irritato contro sè stesso e contro gli altri. Una notte zio Portolu, attraversando la tanca, lo vide appollaiato su una roccia, in contemplazione della luna.

— Che egli faccia delle magie? Che mediti un delitto? Che voglia farsi frate? — si chiese il vecchio, fissando il figliuolo con gli occhi arrossati più che mai dal calore di quelle abbaglianti giornate. — San Francesco mio, santu Franzischeddu meu, guaritemi questo figliuolino.

Ritornò verso la capanna molto angosciato: ah, invero, lo strano procedere di Elias gli avvelenava la gioia delle nozze di Pietro, che dovevano compiersi fra tre giorni. Intanto Elias, dall'alto della roccia, con gli occhi vitrei fissi e come affascinati dal puro splendore della luna, restava immobile, immerso in confuse visioni. Era lo stordimento, il ronzio, la vaga vertigine provata la prima sera del ritorno, nel cortiletto di casa sua. Il vento leggero che stormiva nei boschi, lontano, gli sembrava una voce confusa, ora dolce, ora paurosa. Che diceva? che diceva il vento? Che mormorava la selva? Egli avrebbe voluto sentir distinta quella voce, e si angosciava, s'inteneriva, s'irritava, non potendola udire chiaramente. Gli pareva la voce di prete Porcheddu, di Maddalena, di sua madre, di zio Martinu; ricordava il sogno fatto la prima sera del ritorno e quello sognato in riva all'Isalle e altri sogni, altre visioni lontane. E sentiva in fondo all'anima un'angoscia confusa, per quella voce che non poteva udire, per quei sogni, per altre cose che non riusciva a ricordare.

La luna gli batteva sul volto, sugli occhi, dandogli un incantesimo di sogno. Intorno, sulla linea dei boschi, sui lontani orizzonti, il cielo svaniva in uno splendore di perla: le greggie pascolavano ancora in lontananza, gettando alla solitudine notturna il melanconico tintinnìo delle loro campanelle. Mai Elias si era sentito triste come in quella notte. Gli avveniva anche una cosa insolita; ricordava cioè i giorni, i mesi, gli anni passati in quel luogo; li ricordava con dolore umiliante, come non li aveva mai ricordati; e confusamente pensava:

— Io non ho commesso il delitto per cui mi condannarono, ma del resto mi meritavo la pena per altre cose, per i peccati che commisi. Ah, se non avessi peccato nè frequentato i mali compagni, non sarei stato in quel luogo, avrei conosciuto Maddalena prima di Pietro, ed ora non sarei così infelice. Mi hanno domato, è vero, ma mi hanno reso debole come una femminuccia. E dire che io racconto sempre le memorie di quel luogo e me ne vanto! Svergognato, Elias Portolu, svergognato!

E gli pareva d'arrossire, e di nuovo i suoi pensieri si confondevano: tornavano le visioni, le voci confuse, la figura di prete Porcheddu, quella di Maddalena, quella di zio Martinu, ed altre figure viste in quel luogo ed in altri posti ancora. E l'angoscia confusa che gli gravava il cuore diventava ognor più pesante, schiacciante come un macigno. Finalmente gli parve afferrare il ricordo e udire la voce: un brivido gli passò per le spalle, il suo viso diventò livido, i denti batterono.

— Fra tre giorni ella si sposa: tutto è finito! — gridò fra sè. — È questo che mi uccide, ed io non faccio nulla, non mi muovo, non oso…

Lo prese un impeto di disperazione, una follia di propositi arditi.

— Io vado, io mi muovo — pensò — io non voglio morire: io l'amo, ed essa mi ama, me lo disse laggiù, in riva all'Isalle… no, mentre tornavamo… infine me lo disse, ed io l'ho baciata, ed essa è mia, è mia, è mia… Io vado… Ah, fratello mio, ammazzami se tu vuoi, ma essa è mia. Ora scendo, corro, vado a Nuoro, accomodo le cose. Si può tutto accomodare; zio Martinu ha ragione: ma bisogna che faccia presto.

Si mosse; tosto freddi brividi lo assalirono, salendogli dalla punta dei piedi e serpeggiandogli per tutto il corpo; ed egli si risedette in faccia alla luna, col volto cinereo, battendo i denti. Ricordava anche il suo voto, la sera che aveva pianto come un bimbo ai piedi di San Francesco; ma oramai quei propositi erano lontani: gli pareva di esser vinto dalla passione e di non poter più resistere. Pensava:

— Allora mi sembrava che il giorno delle nozze non arriverebbe mai: ora invece è vicino, è doman l'altro: bisogna che mi muova.

— Ma perchè non posso muovermi? — chiese poi a sè stesso, in un momento di lucidità.

— Cerco muovermi e non posso: mi sento le membra pesanti come pietre. E questi brividi? Ho la febbre, devo ammalarmi.

— Ah — pensò poi con terrore — e se mi ammalo? Se non posso muovermi? E se intanto… Ah, no, no, io vado, io vado.

S'alzò pesantemente, scese la roccia e s'incamminò barcollando, attraverso le stoppie e il fieno scintillanti e odoranti alla luna. S'udiva sempre il melanconico tintinnìo delle greggie, la lontana voce del vento nel bosco. Egli andava: avrebbe voluto correre, ma non poteva, e ogni tanto si fermava, intento alla voce del vento, volendo ascoltare e non udendo che un cupo ronzìo e acuti fischi entro le orecchie.

A un tratto si lasciò cadere per terra, vicino ad un albero, tra il cui più alto ramo la luna guardava con un occhio luminoso quasi abbagliante. Elias guardò lassù con lo sguardo spento e chiuse tosto gli occhi: quell'occhio di luna fu la sua ultima percezione: dopo non sentì che un acuto dolore al ciglio sinistro, a intervalli, dolore che gli pareva colpo di scure, e il ronzìo entro le orecchie. Ma nel suo sogno malefico continuava a camminare, dicendo le più strane cose. Gli pareva di attraversare un luogo bizzarro, pieno di roccie mostruose, di cespugli spinosi, di cardi secchi, e illuminato da una luce azzurrognola di luna.

Nel suo delirio egli ricordava perfettamente ove era diretto e che voleva; ma benchè corresse, arrampicandosi sulle roccie, saltando i cespugli, sudando, affaticato, angosciato, non riusciva ad allontanarsi da quel luogo misterioso. E ne provava un'ira, un dolore da non dirsi. Tutte le giunture gli dolevano, sentiva la schiena rotta, i piedi, le mani, le tempia pulsanti, e tutta la persona inondata di sudore; e andava, andava sempre, su per le roccie che gli davano un senso di spavento, di raccapriccio, in quel chiarore livido di luna invisibile che lo circondava d'una luce strana, più triste e spaventosa d'ogni tenebrìa. Quanto tempo durò quella sua lotta immane contro le roccie, i cespugli, i cardi, quella sua ira indistinta, quel suo spasimo opprimente, quella sua paura per invisibili mostri, per quella luce orrenda, non seppe precisarlo mai. Altre visioni non meno mostruose, ma confuse, incalzanti, che s'intrecciavano, si dissolvevano, ritornavano, come nuvole spinte dal vento, lo avvolsero, lo stritolarono.

Giunse alfine un momento nel quale l'anima, stanca e vinta, affondò in uno scuro abisso d'incoscienza, mentre il corpo continuava a soffrire; poi come una triste luce di alba scese nell'abisso, e crebbe e crebbe, e l'anima percepì la sofferenza del corpo, ma nitidamente, e il febbricitante riaprì gli occhi alla realtà. Si trovò in casa sua, nel suo letto dalla rozza coperta di lana, nell'umile cameretta bianca. Una luce melanconica di crepuscolo scendeva dalla finestruola semichiusa: dal viottolo giungevano vibrate grida di bimbi, e dal cortiletto, dalla cucina, dalle stanzette attigue veniva un sommesso susurrìo di voci. Doveva esserci molta gente: che dicevano? che facevano? C'era Maddalena? E Pietro? S'erano sposati?

Elias si sentì gelare; ma oramai il delirio era passato, e anche se Maddalena non ancora sposa gli fosse venuta davanti, egli non le avrebbe detto nulla. Desiderò anzi che le nozze fossero compiute; ma con questo desiderio lo assalì una violenta tristezza, e anelò la morte. Ma invece della morte tornava la vita, il ricordo, la percezione. Aveva parlato nel suo delirio? Che era accaduto? Come lo avevano trovato? Come lo avevano trasportato? Lo aveva visto Maddalena? Lo aveva compassionato? A quest'idea della pietà di lei, egli si sentì intenerire, desiderò ancora la morte, ed ebbe voglia di piangere.

In quel punto entrò zia Annedda: vide tosto il miglioramento di Elias e si chinò sul guanciale del malato sorridendo di gioia e di pietà.

— Saprà? — si domandò Elias abbassando le palpebre livide.

— Figlio mio! Come ti senti? — chiese zia Annedda, posandogli una mano sulla fronte.

— Così.

— Dio sia benedetto. Hai avuto una gran febbre, Elias. Quasi quasi sospendevano gli sponsali…

— Ella sa! — pensò egli con dolore.

— Ma stamattina stavi già un po' meglio. Tuo fratello s'è sposato alle dieci.

— Essi non sanno nulla! — disse Elias fra sè, ma questo non bastò per sollevarlo dall'indicibile dolore che le parole di sua madre gli davano. Perchè in fondo egli sperava ancora: che cosa sperava? non sapeva neppur egli; sperava l'ignoto, l'impossibile, ma sperava.

Ora tutto era finito. Chiuse gli occhi e non aprì più bocca, e non sentì oltre le parole di sua madre. Si sentiva tutto il corpo indolenzito e pesante, immobile come una pietra, e gli pareva che se anche avesse voluto muoversi non avrebbe potuto.

Tutto era finito.

Zia Annedda lo lasciò ancora solo; nell'aprire ch'ella fece l'uscio, dalla cucina e dal cortiletto giunsero ad Elias più distinte le voci degli invitati, e qualche sommessa risata. Egli riaprì gli occhi, guardò le pareti ove moriva le melanconica luminosità del crepuscolo, percepì la gioia degli altri, che forse non pensavano a lui, e sentì più grave il suo grave dolore, la sua solitudine, la sua fine. E pianse silenziosamente, perdendosi in un dolore più grande della morte.

Intanto la notizia del suo miglioramento, portata in giro da zia Annedda, tolse dall'anima della famiglia e dei pochi invitati (tutti parenti degli sposi) quella specie d'incubo che il malore di Elias gettava sulla letizia comune. Il più lieto. fu naturalmente zio Portolu.

— San Francesco sia lodato — disse, balzando in piedi. — Se il mio figliuolino moriva io non gli sarei sopravvissuto. Andiamo a vederlo, a tenergli compagnia, andiamo.

Per la tristezza egli non aveva neanche bevuto, e neppure aveva rifatto le quattro treccioline dei suoi capelli; ma era pulito, con gli scarponi unti di sego, il costume nuovo fiammante. Solo Maddalena parve restar indifferente, con le larghe palpebre di Madonna abbassate con rassegnazione: ella sedeva accanto allo sposo, nel cortiletto, e parlava poco, guardandosi gli anelli e spesso cambiandoli da un dito all'altro. Pietro era felice; aveva il volto raso, gli occhi lucenti, le labbra rosse; e nella sua veste da sposo, col candido colletto della camicia trapuntato e dalle punte rivoltate sul corpetto di velluto turchino, sembrava quasi bello.

— Andiamo, andiamo — diceva zio Portolu, smanioso di riveder Elias. E appena aperto l'uscio della cameretta cominciò a dir barzellette, ridendo col suo riso forzato, senza accorgersi del dolore mortalè che paralizzava il figliuolo.

— Lo vedete su bellu mannu ((1) Il bello grande, il molto bello, il bellissimo.), il fiorellino di casa nostra, che voleva morire nel giorno in cui suo fratello si sposava? Son cose da farsi queste? Eh, ma io ti ho visto sulle pietre, l'altra sera, e dissi fra me: il colombo vuole ammalarsi. Poi andiamo, lo troviamo lì sotto quell'albero, come morto, e lo dobbiamo portar qui sopra un carro. Se son cose da farsi! Ah, tu hai il volto bianco come la cenere, Elias, eh, eh, vuoi da bere? Eh, eh, il vino guarisce tutti i mali. Tuo fratello s'è sposato, lo sai? Ti leverai, poi, e berremo alla salute degli sposi.

— Lascialo in pace — gli disse zia Annedda con voce sommessa, tirandogli la falda del cappotto. Ed egli tacque, fissando con tristezza gli occhi chiusi di Elias.

Gli sposi erano rimasti nel cortile, circondati da cinque o sei parenti che ragionavano piano, guardandosi chi le mani, chi la punta dei piedi; in verità la conversazione non era molto animata; si sentiva ancora intorno una pesantezza, una noia, quasi un imbarazzo opprimente, che il contegno timido e freddo della sposa non riusciva certo a dissipare.

Qualche monello impertinente si affacciava al portone, gridando, chiedendo dolci, lanciando pietre al muro. In cucina la madre della sposa e un'altra parente preparavano la cena: zia Annedda andava e veniva, dal cortile alla cucina, dalla cucina alla camera di Elias, in punta di piedi, bianca e calma in volto. Che Elias doveva migliorare ella lo sapeva: credendo ch'egli avesse “preso qualche spavento” ella gli aveva preparato e fatto bere s'abba e s'assustru ((1) L'acqua dello spavento, nella quale si getta del carbone e si bagnano sante medaglie, mentre si recitano speciali preghiere.), poi gli aveva appeso al collo una medaglia santa, aveva acceso la lampada a San Francesco, e infine aveva pronunziato le parole verdi, scongiuro non sacrilego, per sapere se il malato doveva vivere o morire. Le parole verdi avevan risposto ch'egli doveva vivere; San Francesco sia lodato e Dio sia benedetto in tutte le sue sante volontà.

A poco a poco la gente se ne andò; rimasero solo due fratelli e la madre della sposa, e una vicina amica di zia Annedda. La cena fu più melanconica del pranzo; s'udiva Elias gemere di tanto in tanto, con un lamento straziante: e un velo di tristezza gravava su tutti.

— Sembra d'assistere ad una cena funebre — disse zio Portolu, sforzandosi a ridere, ma si sentiva triste, e gli pareva di malaugurio per gli sposi la melanconia che aveva velato quel giorno di nozze. Quando si assicurò che niente mancava nella mensa, zia Annedda entrò da Elias portandogli una scodella di brodo.

— Sollevati un po' e bevi, figlio mio — disse amorevolmente, raffreddando il brodo col cucchiaio.

Ma egli fece una smorfia di raccapriccio e allontanò con la sua la mano di sua madre.

— Elias, figlio mio, bevi, fa il savio ((1) Espressione locale: fa il savio; fa da bravo. Il lettore s'accorgerà facilmente, senza ch'io stia ogni volta ad avvertirlo, delle espressioni locali e dei dialettismi, inevitabili in un romanzo come questo.); bevi, chè ti farà bene.

— No, no, no… — ripeteva egli infantilmente lamentoso.

— Suvvia, fa il savio: se resti così ti ammalerai davvero, e farai peccato mortale, perchè il Signore vuole che conserviamo la salute.

Egli aprì due grandi occhi pieni d'angoscia e di sofferenza fisica.

— Lasciatemi in pace, lasciatemi morire in pace — disse.

Zia Annedda uscì e rientrò seguìta da Maddalena: appena vide la sposa, Elias cominciò a tremare visibilmente, e non ebbe nè il desiderio nè la forza di nascondere il suo turbamento. Solo cercò mormorare un augurio:

— Buona fortuna… — ma le parole gli morirono in gola.

— Elias, cosa vuol dire questo? Perchè non prendi qualche cosa? — disse Maddalena, abbastanza fredda e ferma. — Non sei più un ragazzino. Perchè addolori tua madre? Su, fa il savio.

Egli si sollevò immediatamente, prese la scodella e bevette, ansando e tremando tutto come un bimbo. Dopo gli fecero bere del vino, ed egli cadde tosto in un sopore leggero gradevole che in breve si cambiò in sonno tranquillo.

Ma a notte alta si svegliò, e appena sveglio, nonostante il benessere fisico che il sonno gli aveva procurato, sentì un impeto d'angoscia indicibile, una disperazione profonda. Maddalena era là, sotto lo stesso tetto, e Pietro era felice. Elias sentì che per lui, se era finita la gioia della vita, cominciava lo spasimo della lotta contro la gelosia, il peccato, il dolore. Intorno e dentro di lui incombeva una nerissima oscurità: ed egli sentì ancora un bisogno pazzo di levarsi, muoversi, camminare, andare lontano. Era il suo destino.

— Io vado — pensò — bisogna che vada, che mi muova, che me ne vada lontano, che non ritorni più qui: altrimenti sono un uomo perduto. Ahi, ahi…

Si volse, contorcendosi; strinse i pugni e battè la fronte sul guanciale, morsicandosi le labbra per soffocare i singulti e i gemiti, col desiderio rabbioso di strapparsi il cuore, prenderlo dentro il pugno e sbatterlo al muro.

Avanzava l'autunno, portando una dolce melanconia nella tanca. Nei giorni vaporosi il paesaggio pareva più vasto, con misteriosi confini oltre il velato limite dell orizzonte; e una solitudine immensa gravava sulle tanche; gli alberi, le pietre, i cespugli assumevano qualche cosa di grave, come se tristemente pensassero. Grandi corvi lenti e melanconici solcavano il cielo pallido; l'erba di autunno rinasceva sulle stoppie annerite dalle abbondanti pioggie cadute.

In uno di questi giorni velati, ancora tiepidi ma tristi, Elias si trovava solo seduto sul limitare della capanna. Leggeva uno dei soliti libricciuoli di preghiere e di meditazioni. La greggia pascolava in lontananza; qualche agnellino d'autunno, graziosissimo, bianco qual neve, belava con lamenti di bimbo malato. Elias leggeva e aspettava zio Martinu Monne, che aveva mandato a chiamare per chiedergli un consiglio.

— Questa volta — pensava — questa volta voglio seguire il consiglio del vecchio: egli ha esperienza della vita, e forse avrei fatto bene a seguire sin dal principio i suoi consigli. — Basta — aggiunse poi fra sè, sospirando. — Ora tutto è finito.

Finalmente la grande figura del vecchio apparve nello sfondo vaporoso del sentieruolo, avanzandosi dritta e rigida verso la capanna.

Elias balzò in piedi, rimise il libricciuolo e andò incontro a zio Martinu. Sebbene sapesse la tanca deserta, egli ricordando sempre il proverbio sardo diffidente che ogni piccola macchia può nascondere piccole orecchie, e volendo parlare con sicurezza, condusse il vecchio in un luogo aperto, per gran tratto privo di macchie e di roccie. Solo qualche pietra giaceva fra le stoppie, e su due pietre appunto Elias e il vecchio sedettero.

Cominciarono col parlare di cose indifferenti; di ciò che aveva fatto zio Martinu in tutto il tempo che non s'era lasciato vedere, delle pecore, degli agnelli, d'un toro che era stato rubato in una tanca vicina. Ma d'un tratto il vecchio fissò Elias in volto, cambiò accento e chiese:

— Perchè m'hai fatto chiamare, Elias Portolu? Cosa c'è di nuovo?

Elias vibrò tutto, arrossì e si guardò intorno: non vide nessuno; il bosco, le roccie e le macchie tacevano negli sfondi vaporosi, sotto il torpore del cielo velato.

— Voglio chiedervi un consiglio, zio Martinu… — cominciò.

— Altre volte mi hai chiesto consiglio, e non l'hai seguìto.

— Ora è diverso, zio Martinu. E forse avrei fatto bene a seguire allora il vostro consiglio: basta, ora tutto è finito. Io desidero farmi prete, zio Martinu. Cosa mi dite voi?

Il vecchio guardò in lontananza, pensieroso.

— Tu sei ancora innamorato?

— Più che mai! — proruppe Elias: e a poco a poco la sua voce si fece esile, lamentosa, quasi voce di pianto. — A volte mi sembra d'impazzire. Essa è bella; ah, se vedeste come è bella, ora! Io mi propongo sempre di non tornare a casa, di non vederla, di non guardarla; ma il demonio mi spinge, zio Martinu mio; e anch'essa mi guarda, ed io ho paura. Bisogna cercare un rimedio; altrimenti accadrà quello che voi avete detto.

— Perchè non prendi moglie?

— Ah, non me ne parlate! — disse Elias, atteggiando il volto a raccapriccio.—La maltratterei, lo sento, forse diventerei cattivo, e il demonio mi vincerebbe ancor più.

— Maria Maddalena dunque ti guarda?

— Ah, non fate nomi, zio Martinu! Sì, ella mi guarda.

— Ma dunque non è una donna onesta?

— Io credo che sia onesta, ma essa non ama suo marito, non lo ha mai amato e suo marito non la tratta bene: si è stancato presto, zio Martinu; e poi egli si ubbriaca spesso e allora diventa cattivo. Si bisticciano spesso.

— Così presto?

— Eh, in queste cose si comincia presto. Io ho paura che Pietro finirà col bastonarla. Egli non vuole che ella esca di casa, che vada da sua madre, che chiacchieri con le vicine.

— È geloso?

— No, non è geloso, non lo è mai stato, ma è collerico, beve troppo, abusa del suo benestare.

— Ah, Elias, Elias! Cosa ti avevo detto io? Se tu avessi seguìto il mio consiglio! — esclamò il vecchio; ma tosto scrollò la testa e aggiunse: — Del resto, chi sa? forse anche con te sarebbe stata la stessa cosa.

— Ah no! Cosa dite voi? — disse Elias con fervore, mentre un doloroso sogno gli splendeva negli occhi. — Io avrei adorato i suoi pensieri, i suoi desiderii…

— Oh, lascia correre! Si dice così, ma viene un giorno nel quale ci si stanca di tutto, e specialmente della donna. Credi tu, Elias Portolu, che questo tuo capriccio duri anch'esso a lungo? Verrà un tempo in cui ne riderai. Ella avrà dei figli, si sciuperà, non ti guarderà più, diventerà come tante altre paesane madri di famiglia, sporca di vesti, vecchia, sciatta, brutta.

— Voi v'ingannate, zio Martinu. Questo è il guaio: ella non avrà mai dei figli, si conserverà a lungo bella e fresca.

— Cosa ne sai tu, Elias Portolu?

— Lo ha detto mia madre, che s'intende di queste cose. Nel malumore di Pietro credo ci entri sopratutto ciò. Ah, zio Martinu, non mi tradite se vi confido tante cose, che non direi neppure al confessore.

— Se tu credevi ch'io potessi tradirti, non dovevi chiamarmi — osservò con calma il vecchio. — Ne ho sentito altre che così! — Del resto — disse poi — non importa che ella non abbia figli, si sciuperà lo stesso.

— Non credetelo, zio Martinu! È uno di quei tipi che coll'andare degli anni, anche se non sono felici, diventano sempre più belli. In casa non c'è lavoro; se il marito la tratta male, gli altri, specialmente mia madre, l'adorano; ella starà bene materialmente, sarà sempre bella. Del resto io non l'amo per la sua bellezza! La amo perchè… è lei!…

— Invecchierà. Invecchierete!

— Ah, da qui ad allora c'è del tempo! Che dite mai voi! voi che siete un sapientone? Non sapete dunque cosa è la gioventù? Finiremo col cadere in peccato mortale, e allora?

— Ma credi tu, Elias Portolu, che facendoti prete tutto finisca? L'uomo, il giovane, non morrà in te, potrai cadere lo stesso, e allora non sarà più un peccato ma un sacrilegio.

— Ah no! cosa dite mai? — disse Elias con orrore. Allora sarà diversa cosa. Essa non mi guarderà più; eppoi io mi farò mandare in un villaggio.

— Bene, tutto questo va bene, figlio mio. Ma lasciate da parte tutte le altre cose, dimmi, tu non sei più un ragazzo: ti vorranno poi? A farsi prete ci vuol tempo, ci vogliono studi, ci vuol danaro; chi sa se tutto si potrà superare, chi sa se nel frattempo tu potrai vincer la tentazione!

— Una volta ch'io abbia annunziato il mio proposito, non temo più: ella non mi guarderà più, io mi vincerò. Non sono più un ragazzo, è vero, ma non ho poi trent'anni come quel pastore che vendette la sua greggia e che si fece prete in meno di tre anni.

— Tutto questo va bene; io però ti dico un'altra cosa: che i preti che si fanno tali per dispiaceri, e specialmente per dispiaceri amorosi, non mi piacciono punto. Bisogna cominciar da ragazzi, bisogna farsi per vocazione.

— La vocazione ce l'ho e ce l'avevo. Mi è venuta da ragazzo e poi mi è ritornata quando ero in quel luogo. E non pensate, zio Martinu, che se mi faccio prete, ciò sia per poltroneria, per guadagnare, per viver bene, come tanti altri. È perchè credo in Dio e voglio vincer le tentazioni del mondo.

— Non basta, Elias Portolu. L'uomo che si fa sacerdote non deve respingere solo il male, ma fare il bene. Deve vivere tutto per gli altri, deve, in una parola, farsi prete per gli altri e non per sè. Mentre tu ti fai prete per te solo, per salvar l'anima tua, non quella degli altri. Pensaci bene, Elias Portolu: ho io o non ho ragione?

Elias si fece pensieroso: sentiva che il vecchio sapiente aveva ragione, ma non voleva, non poteva darsi per vinto.

— Infine — chiese — voi mi sconsigliate, zio Martinu? Ma pensate anche voi se fate bene o male: interrogate la vostra coscienza.

Zio Martinu, che non si scomponeva mai, parve colpito dall'ultima osservazione di Elias: gli occhi acuti guardarono lontano, verso l'orizzonte vaporoso, ma per un momento non videro nulla; mentre la rude anima assorta, in quel gran silenzio di deserto velato, udì voci arcane vibrare d'intorno.

— La mia coscienza mi direbbe di salire in collera contro di te, Elias Portolu — disse dopo un momento di silenzio. — Come dice tuo padre, tu non sei un uomo, sei un fuscello, una canna che si piega al primo urto di vento. Ecco che perchè sei innamorato di una donna che non puoi possedere, che non hai voluto possedere, ecco che vuoi diventare un cattivo sacerdote, mentre potresti essere un uomo abile al bene. Aquile, bisogna essere, non tordi, Elias: ha ragione tuo padre.

E mentre Elias restava oppresso sotto le rudi osservazioni del vecchio, questo proseguì:

— Sai tu che cosa sia il dolore, Elias Portolu? Ah tu credi di aver bevuto tutto il fiele della vita perchè sei stato in carcere e perchè ti sei innamorato della sposa di tuo fratello? Che cosa è ciò? È nulla: un uomo deve sputare su queste piccole cose. Il dolore è ben altro, Elias, è ben altro. Hai tu provato l'angoscia di dover commettere un delitto? E poi il rimorso? E la miseria, sai tu cosa sia la miseria? E l'odio sai cosa sia? E veder il nemico, il rivale trionfare, impossessarsi del tuo e poi perseguitarti? E sei stato tradito? tradito dalla donna, dall'amico, dal parente? E hai accarezzato per anni ed anni un sogno, e poi te lo sei veduto sparire davanti come una nuvola? Ed hai provato cosa sia l'arrivare poi a non creder più a nulla, a non sperare più in nulla, a veder tutto vuoto intorno a te? Il non creder in Dio, o il crederlo ingiusto e odiarlo perchè ti ha aperto tutte le vie e poi te le ha chiuse tutte ad una ad una, lo sai che cosa voglia dire, Elias Portolu, lo sai tu?

— Zio Martinu, voi mi fate spavento — mormorò Elias.

— Vedi che uomo sei tu? Ti spaventi al solo udire una pallida descrizione del dolore dell'uomo. Via, alzati e va, Elias Portolu, va! va! va! Sei giovine, sei sano, va e guarda in faccia la vita: sii aquila, non tordo. Del resto il Signore è grande, e spesso ci riserba delle gioie che noi neanche immaginiamo. L'uomo non deve mai disperare. Chissà che fra un anno tu non sia felice e non rida del tuo passato! Va.

Come suggestionato, Elias si alzò e si dispose ad allontanarsi; ma il vecchio disse:

— Eh, solo mi lasci? Non mi conduci dunque alla capanna, non mi dai del latte?

— Andiamo, zio Martinu: sono stordito come una pecora matta.

Si avviarono silenziosi; nella capanna Elias servì al vecchio del latte, del vino, pane ed uva, e parlarono ancora di cose indifferenti. Prima di lasciarsi zio Martinu tornò improvvisamente sull'argomento:

— Del resto c'è sempre tempo: quando avrai veramente saputo cosa sia la vita, se vuoi ritirarti, ritirati pure. Ma ricordati quello che ti ho detto: meglio esser uomo del mondo abile al bene, che uomo del Signore portato al male. Addio, abbiti cura.

Elias rimase triste, ma alquanto calmo; gli pareva anzi di sentirsi forte, e di vergognarsi della sua passata debolezza.

— Il vecchio cinghiale ha ragione: bisogna esser uomini — pensava — bisogna esser aquile e non tordi. Voglio esser forte: buon cristiano, sì, ma forte. — E per parecchi giorni si sentì triste, ma non disperato, e fece di tutto per levarsi di testa le idee melanconiche.

L'autunno era straordinariamente mite e dolce nella tanca. Il cielo s'era rasserenato, assumendo quella dolcezza tenera, inesprimibile, del cielo dell'autunno sardo. Negli orizzonti lontani, negli sfondi un po' lattiginosi, pareva ci fosse il mare; in certe sere l'orizzonte diventava tutto d'un roseo latteo madreperlaceo su cui qualche nuvola d'un azzurro pallido sembrava una vela navigante. Sulle chiarità del cielo il bosco prendeva una tinta cupa e umida: le foglie non cadevano che dai cespugli, ma qualche quercia, smarrita nella vastità della tanca, cominciava a indorarsi. E l'erba tenera e fitta cresceva ricoprendo le stoppie brune; qualche fiore selvatico, specialmente vicino all'acqua, apriva i melanconici petali violetti.

E il sole spandeva tepori grati in ogni cantuccio, sulle macchie, sui muri, sulle roccie; e in quella dolcezza di sole, sotto il tenero cielo, nella frescura dell'erba breve e fina, la tanca sembrava sempre più vasta, sconfinata, coi limiti perduti in riva ai placidi mari dell'orizzonte.

La vita nell'ovile proseguiva calma e, in quella stagione, poco faticosa.

Zio Portolu si assentava spesso e Mattia menava vita un po' selvatica e taciturna. Egli amava assai la greggia, i cani, il cavallo: il gatto e il capretto, che diventava capro, gli andavano sempre dietro ed egli parlava con loro come con amici. Da qualche tempo si trovava occupatissimo a fabbricare arnie di sughero, volendo nella seguente primavera formarsi un alveare. Era di gusti semplici e non aveva alcun vizio, ma era superstizioso e un po' vile. Credeva ai morti e agli spiriti erranti; e nelle lunghe notti della tanca, seguendo il gregge aveva più volte impallidito sembrandogli vedere guizzi misteriosi nell'aria, animali strani che passavano di corsa senza destare alcun rumore, e nella voce lontana del bosco, in quella immensa solitudine di macchie e di roccie, aveva spesso udito lamenti arcani, sospiri e susurri venienti da un mondo pauroso.

Elias invidiava un po' il carattere e la semplicità del fratello.

— Eccolo — pensava — egli è sempre calmo come un bimbo di sette anni. A che pensa? che desidera? Egli non ha mai sofferto e forse non soffrirà mai: egli non è un forte, ma è sempre più forte di me.

In quello scorcio d'autunno, però, dopo il colloquio con zio Martinu, gli parve d'avere finalmente acquistata una certa energia; se non altro riusciva a dominarsi ed a far buoni propositi per l'avvenire. Ma un giorno, rientrando in paese, trovò burrasca fra Pietro e Maddalena. In quel tempo Pietro seminava il frumento, la cui semente era stata serbata in un'arca sarda antica di legno nero posta nella camera degli sposi. Ora a Pietro sembrava che una certa quantità di questa semente fosse venuta meno, ed aveva cominciato a mormorare contro la moglie.

— Cosa vuoi che ne abbia fatto? — diceva Maddalena, assai offesa. — Focacce o dolci? Tu sai che in casa tua non ci son segreti, ed è qui tua madre che vede ogni mio atto.

— Essa ha ragione, figlio mio — confermava zia Annedda. — Il frumento non può esser venuto meno: che potevamo farcene?

— Voi lo sapete, donne! Voi fate e disfate, avete bisogni segreti, sciocchezze, e ricorrete alle provviste e decimate il vostro e ingannate il povero marito, che lavora tutto l'anno, per levarvi i vostri capricci.

Pietro parlava al plurale; ma Maddalena capiva che ogni parola era rivolta a lei.

— Parla con me — disse inviperita — non cercar tua madre. Il frumento era in camera nostra.

— E di lì è mancato.

— Vuoi dire che son stata io?

— Sì — urlò Pietro.

— Immondezza!

— Immondezza chi? Io? La vedete, la figlia di Arrita Scada! Maledetta l'ora che ti ho presa!

Questo ed altri vituperi;. In quel punto rientrò Elias, e zia Annedda uscì nel cortile per aiutarlo a scaricare il cavallo. Elias udì il diverbio e provò una stretta al cuore.

— Cosa hanno? — domandò a denti stretti. — Da che cosa se l'hanno presa? Ah! — disse a voce alta, dopo aver ascoltato qualche sommessa parola di sua madre — è un'infamia. Pietro sta diventando matto? E la nostra casa sta diventando la casa dello scandalo! E tempo di finirla!

— Siamo anzi al principio! — disse Pietro, fattosi alla porta, con occhi scintillanti d'ira. — E tu ficcati nei fatti tuoi, se non vuoi prender tu pure la tua parte.

— Uomo! — gridò Elias — da' attenzione a quel che dici.

— Da' attenzione tu. Io sono un uomo; ma tu sei un corno, e bada di non mischiarti nei fatti miei.

— Finitela, figli miei, finitela. Cosa è questo? Questo non era mai accaduto in casa mia! — disse zia Annedda, lamentosa e pallidissima.

— Io sono il padrone — diceva Pietro con burbanza — bisogna che lo sentiate; il padrone sono io, e se c'è gente che vuol comandare, io sono pronto a schiacciarla come si fa con le cavallette.

Entrarono in cucina, e Maddalena, vedendo Elias, udendo le parole di Pietro e di zia Annedda, si mise a piangere. Ciò finì di irritare Elias contro Pietro e questi contro Maddalena.

— Sì, lagrimuccie voglio. Donne, donne! Buone azioni voglio, altrimenti d'ora in avanti c'è gente che farà amicizia col bastone.

— Prova un po', vigliacco! — gridò Maddalena, offesa, ergendosi minacciosa. — Miserabile, calunniatore, vigliacco…

Pietro si fece rosso d'ira e le si slanciò contro gridando:

— E ripeti, ripeti, se puoi…

— Tu sei ubbriaco…

— Finiscila, figlio mio! — gridarono a una voce Elias e zia Annedda, trattenendolo. E Maddalena singhiozzava e ripeteva:

— Calunniatore, vile, vile, vile…

— Ora vi faccio vedere se sono ubbriaco o se son vile! — urlò Pietro divincolandosi; e le andò sopra e le diede uno schiaffo.

Elias si fece livido, si sentì tremare e non ci vide più; per fortuna zia Annedda lo rattenne e Pietro ebbe ancora la prudenza di andarsene, altrimenti sarebbe accaduto un disastro.

— Questo è per cominciare — gridò Pietro dal cortile, con voce rabbiosa ma ironica. — Potevi sposartelo tu, fratello mio, quel gioiello! Ora vado e mi ubbriaco, e se quando ritorno c'è qualcuno che vuol sollevare il dito, vedremo chi è il leone e chi la lucertola.

E uscì. Maddalena aveva cessato di piangere appena ricevuto lo schiaffo; s'era fatta bianca come un cadavere e tremava tutta d'ira e di dolore, ma aveva istantaneamente compreso che se non mutava metodo veniva a causare gravi disgrazie in famiglia, e cercò tosto di rimediare.

— La colpa è mia — disse con voce tremante. — Scusatemi, ma non accadrà più; giacchè mi son presa la croce saprò sopportarla. Perdonatemi, perdonate lo scandalo, perdonate alla mia lingua. — Ah! — disse poi, mentre Elias pallido e silenzioso la divorava con gli occhi e zia Annedda chiudeva il portone — che non ne sappiano nulla mia madre e i miei fratelli! Non allarghiamo la cosa…

— Essa è una santa! — pensava Elias. — Ah, egli non se la meritava; egli è una bestia feroce!

“Avresti dovuto sposartela tu!”. Queste parole di Pietro gli risuonavano nella mente, nel cuore, nel fremito di tutto il sangue commosso.

— Che ho fatto io! che ho fatto io! Che errore irrimediabile! Ora essi sono infelici, perchè essa non lo ama, ed egli deve essere irritato per ciò, ed io… cosa sono io? Io sono più infelice di loro, ed io l'amo più di prima, ed io…

Sentiva un impetuoso desiderio di prendersi Maddalena fra le braccia e di portarsela via. Era tempo, era tempo! Chi li divideva? Che cosa li divideva?

Ma zia Annedda rientrò, ed egli tornò alla realtà.

Durante il resto della sera egli ebbe però occasione di trovarsi solo con Maddalena; ella lavorava silenziosa, seduta vicino alla porta spalancata: gravi sospiri di tanto in tanto le salivano dal petto, ed aveva le palpebre violette. Elias usciva, tornava, non si decideva a partire; un fascino fatale lo attirava vicino a quella porta spalancata, lo costringeva ad aggirarsi intorno alla giovine donna come farfalla intorno alla fiamma. Egli credeva Maddalena affannata forse più di quanto ella lo era, e si struggeva del dolore di lei più che del suo. Rimpianti vani, inutili rimorsi, ira contro Pietro, desideri fatali lo stordivano; avrebbe dato la vita, in certi momenti di passione, per confortar Maddalena, ma intanto non riusciva a dirle una parola e si adirava segretamente contro la sua timidezza.

— Non te ne vai? — gli chiedeva zia Annedda supplichevole. — Parti, figlio mio, va, che è ora. Va, che ti aspettano; va.

— Sempre andrò! — egli rispose alfine, seccato.

— Ah, figlio mio, tu vuoi fare uno scandalo! Va, va. Tuo fratello ritornerà ubbriaco; farete di nuovo scandalo. Ah, figliuoli miei, voi siete senza timor di Dio, e la tentazione vi raggira!

Maddalena sospirò quasi gemendo, ed Elias fu colpito dalle parole di sua madre. Era vero: il demonio lo raggirava, ed egli aspettava con acre desiderio il ritorno del fratello per insultarlo, per fargli scontare il dolore e l'umiliazione di Maddalena. E non bastava; egli guardava già Maddalena con occhi diversi dal come l'aveva fin allora guardata. Ebbe l'intuizione di tutto ciò e ne provò un impeto di terrore.

— Io sto per perdermi, per perderci! — pensò. — A che è valso il mio sacrifizio? Ho ceduto a mio fratello la sposa per non vederlo infelice, ed ora sono io, io medesimo, che voglio renderlo disgraziato. Che ho detto io? Ed io sono capace di ciò? Io? Io? — si interrogava poi meravigliato. Gli sembrava di esser un ladro, e si stupiva e si spaventava del suo improvviso mutamento. — Bisogna che me ne vada, e che non ritorni più — pensò finalmente.

Si decise e partì, con sollievo di sua madre, che aspettava quel momento con trepidanza. Maddalena rimase al suo posto, e non sollevò neppure quelle sue larghe palpebre violacee di Madonna addoloratissima; ma egli nel partire l'avvolse in uno sguardo disperato, e s'avviò con la morte nel cuore.

Un dolore grave, tragico, lo prese da quel giorno: cominciò a disperare di sè stesso e di tutto, e ad odiare i suoi simili. Fino ad allora la sua disperazione e il suo bisogno di solitudine avevano avuto qualche cosa di mite e di buono; ora diventavano cattivi, acri, accompagnati come erano da un istintivo desiderio di vendetta. Elias Portolu sentiva che la sorte, la malvagia sfinge che tormenta gli umani, era stata ingiusta con lui: egli aveva cercato far bene, sacrificando sè stesso, e invece il bene si era convertito in male. Perchè? Qual fatalità aveva il diritto di giuocarsi così degli uomini? Nella immensa solitudine della tanca, sotto il pallido cielo d'autunno, nel misterioso dolore del paesaggio deserto, dei fumosi orizzonti, l'anima del paesano si proponeva i terribili quesiti degli uomini raffinati, ma non riusciva a darsi spiegazione. Gli restava solo il dolore, e nel dolore non solo si smarriva la fede, ma cominciava ad agitarsi il mostro della ribellione.

Più d'una volta Elias, errando presso i confini della tanca, aveva scorto zio Martinu, quel vecchio pagano, la cui rigida figura pareva una emanazione del forte triste e fatale paesaggio: ma sempre lo aveva sfuggito irosamente.

— È una vecchia bestia — pensava. — Cosa è il dolore? Cosa è il dolore? Egli, il vecchio di pietra, si è riso di me, ma con tutti i suoi delitti e le sue disgrazie e la sua sapienza non sa ch'io soffro più in un giorno che egli in tutta la sua vita. Che non mi venga davanti con le sue prediche perchè lo ammazzo con la scure.

Eppure sentiva che il vecchio non gli aveva fatto del male; anzi, se avesse seguìto i suoi consigli!… Ma egli era irritato contro tutti, e sopratutto contro sè stesso, e sentiva un crudele bisogno di far male a qualcuno, fosse pure ad un bimbo, per provarne non piacere, ma dolore.

Infatti frequentava l'ovile un bambino, figlio d'un pastore vicino, assai povero. Era un bambino un po' scemo, ma buono, lacero, magro, nero, che sembrava una statuina di bronzo. Veniva quasi ogni giorno alla capanna dei Portolu, e si trastullava quieto col gatto, col porchetto, coi cani: Elias gli dava spesso pane, frutta e latte, ed anche vino; ed il ragazzino gli si era affezionato. Ma un giorno scontò tutto. Elias si trovava solo nella capanna ed era d'umore terribile perchè la sera prima Mattia aveva recato brutte notizie da casa: Pietro s'ubbriacava ogni volta che rientrava dal lavoro, e insultava e bastonava la sposa. Il bambino venne coi passettini silenziosi dei suoi piedini scalzi, abbracciò il cane, poi entrò nella capanna.

— Cosa vuoi? — chiese Elias rudemente.

— Dammi latte!

— Non ne abbiamo.

— Dammi latte, dammi latte, dammi latte — cominciò a dire il ragazzino, e non la finiva mai.

Elias provò un'irritazione fisica invincibile: prese il piccino per il braccio e lo cacciò fuori, lontano, insultandolo come un adulto e ingiungendogli di non ritornar più. Il bambino se ne andò via quasi con dignità, senza far parola; ma dopo qualche momento Elias lo sentì piangere in lontananza; un pianto desolato, disperato, che vibrava tristemente nella solitudine, e provò una voluttà d'ira contro sè stesso, un impeto violento di mordersi i pugni fino a sangue. Questo fatto, piccolo per sè stesso, fatale per la sua significazione, gli diede una disperazione infinita. Pensò:

— Io sono un animale, io sono perduto. Ma che gli altri sono diversi da me? Siamo tutti malvagi; con la differenza che gli altri non hanno scrupoli e godono, ed io soffro perchè sono stato uno sciocco, perchè ho fatto bene a chi non lo meritava.

Gli risorgevano anche, con insistenza, dal profondo dell'anima le memorie di quel luogo; e gli pareva che il dolore sofferto per la condanna fosse stato nulla in paragone del dolore che provava ora. Intanto, però, il ricordo del dolore passato aumentava il presente; particolari dimenticati gli ritornavano in mente con acredine; il ricordo delle umiliazioni, le angherie, le persecuzioni degli aguzzini, com' egli chiamava le guardie del penitenziario, lo facevano arros sire d'ira. Ah, se ne avesse avuto in mano qualcuno, in quei momenti, nella tanca solitaria!…

— Lo farei a pezzi — pensava, digrignando i denti — e poi mi leccherei il sangue dal coltello.

Infine pareva che una bestia feroce s'agitasse entro quel giovine pallido, dall'apparenza mite, che spesso si vedeva seduto sul limitare della capanna, a gambe aperte, coi gomiti sulle ginocchia, immerso nella lettura di libricciuoli sacri.

Intanto veniva il freddo, l'immensa tristezza del verno nella solitudine; e la costituzione malandata di Elias se ne risentiva profondamente. I lunghi giorni di pioggia, di neve e di strapazzi — giacchè è nell'inverno che il pastore sardo, i cui greggi e lui stesso vivono senza riparo, lavora e soffre di più — il disagio della capanna sempre piena di fumo e di vento, la lotta contro gli elementi, finirono con l'esaurire le forze fisiche e morali di Elias.

In quel tempo, durante certe nevicate che fecero morire assiderate molte pecore, ritornò al giovine l'idea di farsi prete. Ma come diversa da prima! Certe volte egli, nell'aspra lotta contro gli elementi e contro sè stesso, si disperava più che mai, sentiva un ribelle desiderio di vita comoda, un bisogno di tregua, e vedeva il suo unico scampo nel cambiare stato.

E intanto un malefico fascino lo attirava spesso in paese, nella casetta tiepida ove Maddalena lavorava accanto al fuoco. Una pace relativa regnava ora fra gli sposi: Maddalena almeno era diventata prudente, e qualche volta s'udiva solo la voce avvinazzata di Pietro. Ma fosse ella felice o no, Elias non era più in grado di badare a ciò. Il mal seme aveva germogliato; giorno per giorno il vaso s'era colmato d'una goccia di più e stava per traboccare: il giovine s'abbandonava segretamente e interamente alla sua passione. Pensava:

— Non lo saprà mai nessuno, e tanto meno lei; ma vederla, ma guardarla, chi me lo impedisce? Che male faccio? Non ho altra gioia. E non ho il diritto d'un po' di gioia?

E la vedeva spesso, e la guardava, e instintivamente desiderava che ella lo notasse; ed ella lo notava sin troppo, e forse involontariamente corrispondeva ai suoi sguardi. E quando i loro sguardi s'incontravano, un brivido, una sospensione di vita, un impeto di triste piacere li elettrizzava.

Erano vicini a perdersi: mancava loro solo l'occasione. Sul finire dell'inverno Elias fu preso da un vero delirio d'amore; non ragionava più; e fra le atroci sofferenze provava una triste felicità nel sentirsi riamato da Maddalena. Tutto ciò che prima gli sembrava peccato e dolore ora gli pareva diritto, gioia; tutto ciò che prima gli destava orrore ora lo attirava vertiginosamente.

L'ultimo giorno di carnevale egli, Pietro, Maddalena e altre due giovani donne si mascherarono. Gli sposi eran di buon accordo, anzi Pietro era allegro oltre ogni dire. Zia Annedda si oppose debolmente al progetto di quella mascherata, ma non le badarono. Nel suo semplice buon senso la piccola vecchia intuiva l'immoralità della mascherata, dei balli, dei traviamenti carnevaleschi, e si fece promettere da Maddalena, che era una discreta ballerina, di non ballare, specialmente con altre maschere, i balli civili, cioè le danze italiane.

Maddalena e le amiche vestivano da gatte, indossavano cioè due gonnelle scure, una allacciata alla vita, l'altra al collo, e avevano la testa imbacuccata in iscialli: gli uomini erano mascherati da turchi, con larghe sottane bianche strette ai ginocchi, e corsetti femminili, di broccato a vivi colori, vestiti all'inverso, cioè allacciati dietro e con la parte del dorso sul petto.

Uscirono in un momento che la straducola era deserta e scesero nelle vie dove Nuoro assume aspetto di piccola città: le donne procedevano un po' timidamente, tentando cambiar passo, paurose d'esser riconosciute, soffocando sotto la maschera di cera certe risate di gioia puerile.

E gli uomini andavano rozzamente avanti, quasi ad aprir la strada alle compagne: di tanto in tanto Pietro emetteva un grido selvaggio, gutturale, allungando il collo come un galletto; grido che ad Elias ricordava gli urli di gioia dei cavalieri procedenti verso San Francesco in un puro mattino di maggio. Fin dal primo momento egli, che sapeva un po' di danze civili per averle imparate in quel luogo, aveva detto a sè stesso:

— Ballerò con Maddalena. — Non importava il divieto di zia Annedda, la promessa di Maddalena: egli era arso dal desiderio di ballare con lei, e sarebbe passato su qualunque ostacolo per riuscire nel suo intento.

Una forza selvaggia e ribelle si svegliava in lui: come un tempo riusciva a dominarsi ed a voler il bene altrui, ora sentiva tutta l'audacia del male per appagare i suoi peggiori istinti. Sentiva il volto ardergli sotto la maschera, e il costume stretto e fastidioso gli dava calore a tutte le membra. Inoltre la giornata era tiepida, velata, e nell'immobilità soave dell'aria si sentiva già la promessa della primavera.

Le vie erano discretamente affollate; mascherate barocche e triviali andavano su e giù, tra un nugolo rumoroso di monelli sporchi che urlavano improperi e parole indecenti. Altre maschere vestite a vivi colori passavano, seguìte dallo sguardo indagatore e beffardo degli operai e dei signori: passavano signore, bimbe, serve dai corsetti sanguinanti: fanciulle e ragazzine vestite in costume, paesani ubbriachi, si pigiavano in certi tratti del Corso; e musiche melanconiche d'organetto salivano e vibravano in quell'aria tiepida e velata che rendeva i suoni più distinti come in un crepuscolo di autunno.

Tutto ciò bastava per stordire l'anima di Elias, avvezzo alle grandi solitudini della tanca; invano egli credeva di aver conosciuto il mondo e di esser pronto ad ogni cosa perchè aveva varcato il mare e visto la triste moltitudine di quel luogo. Ah, ora bastava quel piccolo carnevale nuorese, quella discreta folla variopinta, quella melanconica quadriglia pianta da un organetto errante, perchè la sua anima si smarrisse in quel mondo non suo, e le cose gli apparissero diverse dal come prima le considerava, e la ribellione finisse di fermentare nel suo cuore, svegliandosi i peggiori istinti dell'uomo primitivo. Gli pareva che tutta quella gente che camminava parlava e rideva fosse felice, anzi ebbra di felicità, ed anch'egli s'abbandonava senza scrupoli alla ebbrezza dei suoi desiderî, ad un irresistibile bisogno di gioia e di piacere.

Ora egli e Pietro camminavano tenendosi in mezzo le compagne, proteggendole contro gli urti e le villanie dei monelli: Maddalena procedeva in mezzo, ma ogni tanto si sporgeva in avanti e guardava ora il marito, ora Elias, che corrispondeva sempre allo sguardo di quegli occhi ardenti e obbliqui sotto la maschera.

— Facciamo qualche cosa, fermiamoci; andare su e giù così è una stupidaggine — disse Elias alla sua compagna.

— Come volete — rispose questa; e comunicò a Maddalena il desiderio del giovine. Tutti si fermarono.

— Cosa vorresti fare? — chiese Maddalena venendogli davanti.

— Ballare. Ecco, là ballano, andiamo — diss'egli sporgendo la mano.

— Tuo fratello vuol ballare — disse Maddalena a Pietro.

— No.

— Si — dissero le donne.

— Mia madre non vuole.

— Balliamo il ballo sardo.

E le tre maschere si slanciarono avanti con gioia, correndo verso il punto ove si ballava al suono dell'organetto. Un circolo di gente, composto di paesani, monelli, operai, quasi tutte faccie pallide e brutte, intente, insolenti, circondava varie coppie di maschere che ballavano urtandosi e ridendo.

Un uomo, vestito da donna, col volto rosso barbuto, con la maschera rigettata all'indietro del capo, suonava dandosi una grave importanza, con gli occhi chini, fissi sui tasti dell'organetto. Era una polka suonata con abbastanza maestria, ma triste, melanconica, come tutte le musiche d'organetto.

Le nostre maschere ruppero il circolo dei curiosi e penetrarono nello spazio ove si ballava, mentre alcune coppie si fermavano ansanti, stanche, disponendosi davanti ai curiosi. Nessuno protestò contro i nuovi venuti; anzi subito un uomo vestito da frate, col volto tinto di giallo, invitò al ballo una delle nostre mascherine che accettò senza tanti scrupoli. Elias si trovò a fianco di Maddalena; fremeva per il desiderio di ballare, ma ora, al giusto momento, non osava per paura di Pietro.

— Suona il ballo sardo — gridò questi al suonatore.

E il suonatore sollevò gli occhi, fissò un momento la maschera turca, ma non smise.

— Silenzio! — gridarono vari ballerini, che passavano ballando davanti a Pietro.

— Ebbene, silenzio! — diss'egli come a sè stesso, tutto mortificato.

— Ballate anche voi! — disse la mascherina che ballava col frate, passando davanti alle compagne.

— Balliamo, si, balliamo; cosa facciamo cosi?

— supplicò leziosamente l'altra mascherina, rivolta a Pietro.

Egli la guardò sfacciatamente negli occhi, apri le braccia e disse:

— Bene, balliamo, altrimenti tu muori dalla voglia; ma bada che io non so ballare, e se ti pesterò i piedi sarà a conto tuo.

La prese fra le braccia e cominciò a saltare e girare comicamente; per fortuna un mascherone, con un lungo cappotto d'orbace stretto ai fianchi da una corda, venne a liberare la mascherina, pregando Pietro di cedergliela. Allora egli indietreggiò, si fermò, e vide che Elias e Maddalena ballavano assieme.

— Eh, essi sanno ballare! — disse egli fra sè, scherzosamente. — Se li vedesse zia Annedda, in verità mia che li bastonerebbe! — E rimase fermo a guardare, pensando: — Eh, quella là se la intende bene col frate, e quell'altra fraschetta con quel cappottone: indiavolate le donne, eh! — Ma in fondo era contento che gli altri si divertissero.

Elias e Maddalena ballavano discretamente bene; ma non badavano molto al ballo, dopo essersi quasi senza avvedersene trovati l'una nelle braccia dell'altro, storditi da un'ebbrezza senza nome. Elias si sentiva battere quasi angosciosamente il cuore, e Maddalena vedeva roteare vertiginosamente intorno a sè quel circolo di visi pallidi, brutti, insolenti.

— Io vorrei parlare, ma cosa devo dirle?

— pensava Elias cingendole con una stretta disperata il busto, sotto la gonnella scura che le scendeva dal collo. Ma invano cercava con angoscia una parola, una sola parola da dirle. In questa impotenza lo assalì un impeto pazzo di sollevarla fra le sue braccia, di rompere quel circolo di sciocchi curiosi, di fuggir via, lontano, nella solitudine, urlando in un solo grido tutto il suo dolore e la sua passione. Ma Pietro era là, fermo, terribile come una sfinge sotto la sua maschera che rideva un riso grottesco, ed Elias, da qualche tempo, aveva una strana paura di suo fratello.

Sapeva egli? Indovinava? Possibile fosse così stupido da non leggere negli occhi del fratello la crudele passione che lo divorava?

— Cosa me ne importa? — pensava Elias, dopo essersi fatto con terrore quelle domande.

— Che egli veda e che mi ammazzi pure; mi farà un piacere.

E non sentiva alcun rancore per Pietro; solo aveva paura, e spesso anche una strana, puerile compassione del fratello.

— Egli è più disgraziato di me perchè ama sua moglie ed essa non lo ama — pensava. — Pietro, fratello mio, che errore abbiamo commesso!

Mentre ballava, travolto dall'impeto dei suoi desiderî folli, ripensava confusamente tutti questi pensieri; e provava passione, pietà, paura, dolore e piacere nello stesso tempo. Il suono dell'organetto, i rumori della folla, quella fantasmagoria di visi e di colori, il moto, la maschera, il contatto di Maddalena lo stordivano e gli ardevano il sangue. Ci fu un momento in cui egli non vide più: si chinò ansando e disse a Maddalena qualche cosa che ella non intese, ma che le fece sollevare gli occhi verso quelli di lui. Egli la guardò a lungo, disperatamente; e da quel momento non ebbe più che un solo pensiero fisso, divorante.

Il ballo cessò; il circolo dei curiosi si disfece, e le nostre maschere ripresero ad errare per le vie, tra la folla. Poi la sera calò, pallida e velata: e seguendo come in un sogno i compagni, Elias si trovò nel viottolo, davanti alla casetta silenziosa, in faccia alla siepe immobile nel crepuscolo.

Zia Annedda aspettava seduta nel cortiletto, con le mani intrecciate sotto il grembiale; forse pregava scongiurando la tentazione che poteva travolgere i suoi figliuoli mascherati (per lei la maschera era un simbolo del demonio); e all'irrompere della compagnia trasalì lievemente. Forse un maligno spirito interno le susurrava che la sua preghiera era vana; che il demonio vinceva, che col rientrare dei suoi figliuoli mascherati, il peccato mortale entrava nella casetta sin allora pura. Si vedeva il fuoco ardere nel focolare; e il gatto fermo sulla finestruola, con gli occhi fissi lontano, pareva immerso nella solenne visione di quel crepuscolo velato e delle montagne grigio-violacee tacite all'orizzonte.

— Vi siete divertiti? Era ora! — disse zia Annedda, tutta lamentosa.

— Abbiamo tardato — confermò Maddalena, ma senza rimpianto. — Venite, venite, io muoio dal caldo.

E precedè le compagne per la scaletta esterna: intanto Elias si toglieva la maschera, e Pietro, che se l'era già tolta sin dal primo entrare, correva alla brocca dell'acqua e sollevandola beveva avidamente.

— Che sete hai! — disse zia Annedda.

— Sete e fame, mamma mia; datemi da mangiare, chè poi me ne vado al seranu((1) Veglione popolare.).

E andò verso una tavola fissata al muro, su cui stava il canestro del pane e gli avanzi delle vivande. (Quel giorno i Portolu avevano avuto un lauto desinare; fave bollite col lardo, e cattas, specie di frittelle di pasta lievitata, con uova, latte e acquavite, che i Nuoresi usano di carnevale).

— Tu sei matto — disse zia Annedda. — San Francesco ti consoli, cosa pensi di fare? Tu cenerai con noi, poi andrai a dormire: non son notti da uscire, queste. Va e spogliati.

— Macchè, macchè, mamma mia! Il carnevale viene una sola volta all'anno! Io andrò al ballo, e ci verrà anche il mio fratello Elias. Eh, non è già l'anno scorso che eravamo assieme!

Il volto di Elias, roseo e bello, emergente dal costume femminile, s'oscurò. Le parole del fratello gli causavano dolore? O si vergognava per il primo assalto di gioia provato nell'udire che Pietro voleva passare fuori la notte?

— Tu t'inganni, se credi ch'io venga al ballo — disse; poi fece forza a sè stesso e aggiunse: — sarebbe meglio non ci andassi neppure tu.

— Lo senti, Pietro?

— No, io ci vado. Ecco, ora io ceno, poi dopo vado. E ci verrai tu pure, Elias; vedrai che divertimento. Vieni e cena.

— No, no, anzi vado e mi spoglio.

— Datemi del vino, mamma mia. Ah, se sapeste quanto ci siamo divertiti! Abbiamo… no, non abbiamo ballato, non ci credete, magari ve lo dicano! — esclamava Pietro, mangiando a grossi bocconi. — Eh, bisogna godere la gioventù: eppoi che male c'è? eppoi io non so ballare, ma mi diverto lo stesso. Eh, quelle donne, poi, come si divertono. Oh, quel frate! E quel cappottone? Eh! eh! — diceva ridendo come fra sè.

— Ebbene, da' attenzione di non macchiare il corsetto, almeno, che San Francesco ti consoli! Vuoi del formaggio? Ah, la tentazione vi trasporta, ragazzi miei; ma poi viene la quaresima. Andrete voi almeno a confessarvi?

Elias trasali. Da qualche secondo egli stava ritto sulla porta, indeciso, come intento ad una voce lontana.

— Se tu cenassi con Pietro, e dopo uscissi con lui? — gli diceva questa voce. — Senti tua madre? Andrai tu a confessarti?

Ma egli non potè dar retta a questa voce: ah, la tentazione lo vinceva, lo stringeva, lo stritolava, era mille volte più forte di lui. Era inutile combattere, perchè essa aveva già vinto, e da molto tempo. Egli andò e si spogliò; poi si sedette nel cortile, al posto ove prima stava sua madre, e fu preso da un solo desiderio: che Pietro se n'andasse; e da una sola paura: che Pietro restasse a casa. Ma Pietro, poco dopo che le amiche di Maddalena se ne furono andate, uscì nel cortile e disse al fratello:

— Non vieni dunque?

— No.

— Sei uno stupido. Io vado e mi diverto: mi aprirai il portone?

Elias non rispose: tutto ripiegato su sè stesso, coi gomiti sui ginocchi e la testa fra le mani, fremeva internamente di dolore e di piacere, e già non osava più guardare il fratello. E Pietro se ne andò.

— Vieni a cena — disse zia Annedda due volte, facendosi sulla porta.

— Non ne ho voglia; mi sento male — rispose Elias; e rimase lunga ora immobile, sempre cosi, ripiegato e col capo fra le mani.

Dentro udiva Maddalena ciarlare allegramente, come non l'aveva mai intesa, con voce mutata, raccontando a zia Annedda tutti i particolari della mascherata. Ella rideva, e doveva aver gli occhi lucenti, il volto acceso, l'anima ubbriaca. Poi le due donne si ritirarono, e tutto fu silenzio intorno ad Elias. Il fuoco ardeva sempre nel focolare; una quiete paurosa era nell'aria, nel cortiletto tranquillo, nella notte velata.

Elias si sollevò; aveva la schiena rotta, il cuore pulsante; il sangue gli passava a ondate sul dorso, sulla nuca, saltandogli alla testa, ottenèbrandogli i pensieri. In questo stato di belva incosciente salì senza far rumore la scaletta e battè un lievissimo colpo alla porta di Maddalena. Ella doveva vegliare perchè rispose subito:

— Chi è?

— Apri — diss'egli con voce sommessa, commossa — sono io; devo dirti una cosa.

— Aspetta — rispose essa senza inquietarsi.

E poco dopo apri, chiedendo:

— Cosa vuoi? Ti senti molto male, Elias, cos'hai? — Dicendo cosi lo guardò e impallidi: aveva aperto innocentemente, ma ora vedendolo, sbiancato in volto e con gli occhi da pazzo, capi ogni cosa e si smarri.

Egli entrò e chiuse la porta; ed ella, che avrebbe potuto gridare e salvarsi, tacque e non si mosse.

Pietro ritornò verso le due, ubbriaco fracido. Elias gli apri il portone, poi si ritirò, ma prima che fosse giorno egli era già di nuovo nel cortile, e albeggiava appena quando parti per l'ovile.

Era un'alba triste, cinerea, ma non fredda: il cielo s'era coperto d'una sola nuvola caliginosa, immobile, che pesava come una volta di pietra grigia sui paesaggi morti. Elias cavalcava solo, smarrito in quell'immenso silenzio di morte. Non s'udiva una voce, non si moveva una fronda: anche i rigagnoli, lungo l'orlo dei sentieri, passavano verdi, freddi, silenziosi. Elias aveva in volto il colore di quel cielo lividognolo, e gli occhi cerchiati, verdi, freddi e tristi come l'acqua dei rigagnoli.

Gli sembrava destarsi appena da un sogno divino e mostruoso nello stesso tempo; e un mostro di felicità e di angoscia gli frugava il cuore. La felicità però, se felicità poteva dirsi, non andava mai separata da un senso d'angoscia, mentre nei momenti, ed erano i più, nei quali il dolore del delitto commesso vinceva, era un martirio.

La parte buona e credente dell'anima di Elias si ridestava ad un tratto, in quell'alba quaresimale arcana e minacciosa, e rifuggiva e si smarriva e si atterriva davanti all'orrenda realtà del fatto compiuto.

“Non è vero, è stato un sogno”, pensava egli, stringendo alla briglia le dita aggranchiate di terrore. Un sogno. Oh che non ho sognato in riva all'Isalle, e nella tanca, quante volte? Ma no, no, no! Che dici a te stesso, Elias Portolu? Tu sei un miserabile, un pazzo, il più vile, il più abbietto degli uomini”.

E mentre così si rimproverava ricadeva insensibilmente nel ricordo, e tutte le sue membra trasalivano di piacere e il volto si rischiarava; ma improvvisamente il volto ridiventava più fosco di prima, un'onda di vergogna e di rimorso pervadeva Elias per ogni vena, e di nuovo il terrore e un impeto folle di percuotersi, di schiaffeggiarsi, di mordersi i pugni lo assaltava come un cane arrabbiato.

Allora ricominciavano gl'improperi.

“Sei un vile, un miserabile, un pazzo. Elias Portolu, avanzo di galera, cosa potevano aspettarsi da te tua madre, tuo padre, i tuoi fratelli? Hai insucidato la tua casa stessa, hai tradito tuo fratello, tua madre, te stesso. Caino, Giuda, vile, pezzente, immondezza. Che cosa farai tu, ora; cosa ti resta a fare se non darti un colpo di scure?”.

E ricadeva nel ricordo, e sentiva che oramai amava Maddalena fino allo spasimo, e che alla prima occasione sarebbe ricaduto, ed a questo pensiero gli si rizzavano i capelli per orrore. Così fece il viaggio. Oltrepassando il varco della tanca sollevò lentamente gli occhi e guardò come trasognato il paesaggio che gli si stendeva davanti, silenzioso e verde, di un triste verde invernale; le roccie, la linea del bosco, grave ed immobile sul cielo grigio, e gli parve tutto mutato, tutto corrucciato contro di lui.

“Che ho fatto io? Che ho fatto io?” gridò fra sè. “Come sopporterò lo sguardo di mio padre?”.

Eppure lo sopportò non solo, ma dovette ascoltare i discorsi di zio Portolu, che lo ferivano crudelmente.

— Ti sei divertito, agnello? Eh, ti si vede dal viso: tu hai il viso in color del lievito; devi esserti mascherato, ed hai ballato, ed hai vegliato e ti sei divertito; te lo leggo negli occhi, figliuolino mio. E tuo padre era qui, a lavorare, a tender l'orecchio contro i malfattori, mentre tu ti divertivi. Ma va; eh, non credere che io sia invidioso; è il tuo tempo, e il mio è passato, ed ora è la quaresima. E zia Annedda cosa fa? — chiese poco dopo. — Ah, essa mi ha mandato le focaccie e le frittelle: ah essa non dimentica il vecchio pastore. E Madalenedda mia cosa fa? Si diverte? Si, lasciamola divertire, la piccola colomba; essa è una santa, come zia Annedda; eh, le rassomiglia più che i suoi figliuoli.

“Ah, s'egli sapesse!” pensava Elias fremendo; ogni parola di suo padre lo colpiva al cuore. Intanto gli pareva di non potersi abbandonare ai suoi pensieri alla presenza di zio Portolu, e appena potè andò in cerca di solitudine; e, senza confessarselo, desiderò incontrar zio Martinu. Ma il vecchio non c'era. Attraverso la tanca Elias incontrò solo il fratello Mattia, che errava tranquillo e taciturno, armato d'una lunga pertica. Nessun altro. Sotto quel gran cielo morto, nell'immobilità d'ogni cosa, le tanche sembravano ancor più deserte e sconfinate.

Elias ripensava alla mascherata, ai rumori, ai colori della folla, al ballo con Maddalena; e ogni più piccolo ricordo lo faceva fremere. Ah, tutti quelli ch'egli aveva veduti erano felici, e lui solo era condannato ad errare nella solitudine, e la felicità si cangiava per lui in tormento. Ricominciò a ribellarsi: eppoi giacchè il primo passo era fatto, giacchè l'anima sua era inesorabilmente perduta, perchè non continuare a godere?

“Sono un matto”, pensava. “Maddalena non può più vivere senza di me, me lo ha detto, ed io le ho giurato che sarò sempre suo. Perchè devo renderla infelice? Non faremo altro male sulla terra; vivremo sempre come marito e moglie, e Pietro non soffrirà mai nulla per colpa nostra”. E il suo viso si rischiarava al sogno di tanta felicità; ma subito, improvvisamente, egli concepiva tutto l'orrore del suo sogno, e ne smaniava e avrebbe voluto rotolarsi per terra, smuover le roccie, urlare al cielo il suo peccato, sbatter la testa contro le pietre, per dimenticare, per svellersi dalla mente i desideri e i ricordi.

Al cader della sera fu vinto da una tristezza e da un languore invincibili. Cominciò a guardar l'orizzonte, verso Nuoro, col desiderio di tornare, di veder Maddalena; vederla almeno da lontano, o stringerle almeno la mano, o chinarle almeno la testa in grembo e pianger come un bimbo.

— Io vado, io vado — mormorava, come la notte in cui la febbre lo aveva stramazzato sotto un albero. — Io vado, io vado.

E fuvvi un momento nel quale s'avviò; ma fatto il primo passo s'accorse tosto che lo spingeva, non il solo desiderio di veder da lontano Maddalena, ma il peccato mortale, il demonio, il mostro della ricaduta, e ancora ne provò terrore.

“Dove vai, Elias Portolu?” si domandò. “Possibile che tu non sia un uomo?”. E non andò; ma ebbe paura di sè stesso e della sua debolezza, e gli venne il pensiero di gettarsi ai piedi di suo padre, di confessargli tutto e di implorare:

— Legatemi, padre mio, chiudetemi fra due roccie; non mi lasciate partire, non mi lasciate solo, aiutatemi contro il demonio.

“Ahimè, egli mi ammazza se gli dico questo!” pensò poi; “e avrebbe ragione di schiacciarmi come una rana”.

Per vari giorni combattè cosi; vintosi la prima sera gli fu meno terribile vincersi gli altri giorni in seguito, e non fece ritorno a Nuoro. Ma le forze lo abbandonavano, una tristezza mortale non gli concedeva riposo nè di giorno nè notte: e sentiva che ritornando per forza in paese e rivedendo Maddalena non avrebbe più resistito contro la tentazione. Allora andò nuovamente in cerca di zio Martinu, traversò la tanca, saltò il muro e s'inoltrò nel bosco. Era una notte limpidissima di luna; il vento passava sull'alto degli alberi, suscitando un fremito sonoro e continuo; ma dentro il bosco, sotto i soveri, non si muoveva una foglia. La luna passava tra i rami, limpida, tranquilla, spesso attraversata da qualche fronda sottile che disegnavasi nera sulla fredda luminosità dell'aria. Pareva un mirabile quadro dei racconti delle fate, un bosco incantato sotto la luna. Sfondi d'argento dilagavano in lontananza, e su questi sfondi altre linee di bosco si profilavano come montagne nere.

Elias camminava; i suoi occhi acuti distinguevano gli scoscendimenti del terreno, i tronchi eretti nell'ombra, e ogni piccola macchia; da lontano vide che la capannuccia di zio Martinu era illuminate, e improvvisamente, nella tristezza che lo sospingeva, si sentì sollevato.

Ah! finalmente poteva dire a qualcuno l'orribile segreto che gli schiacciava il cuore, e chieder aiuto e consiglio; ma arrivato alla capanna salutò zio Martinu e ripiombò nella disperazione. Che poteva fargli quel vecchio? Che dirgli? Che chiedergli? Il fatto era fatto, e cascasse il mondo non c'era rimedio. E quello che avrebbe dovuto succedere sarebbe accaduto lo stesso, qualunque fosse il consiglio del vecchio.

Ricordò tutte le volte che zio Martinu gli aveva dato consigli; egli se n'era sentito sempre sollevato, ma giammai aveva potuto seguire quei consigli. Pensando a ciò, si lasciò cader seduto presso il fuoco, con tal visibile dolore impresso sul viso che zio Martinu indovinò subito ogni cosa.

— Dove eravate? — chiese Elias. — Vi ho cercato tante volte.

— Perchè mi hai cercato, Elias Portolu?

— Era tanto tempo che non vi vedevo.

— E ora dove vai, così di notte?

— Vengo qui, zio Martinu.

— Sei stato in paese?

— No, dopo l'ultimo giorno di carnevale.

— Mi hai cercato dopo?

— Si — disse Elias; senti lo sguardo del vecchio fisso sul suo volto, capi che zio Martinu indovinava ogni cosa, e arrossì.

— Tu sei sparuto — disse zio Martinu, sempre fissandolo; — tu porti in faccia il segno del peccato mortale. Perchè cercarmi, se non avevi più bisogno di consigli?

Come altre volte Elias sollevò gli occhi spalancati, spauriti e smarriti come quelli di un bimbo, incontro agli occhi di cinghiale del vecchio, selvaggi eppur dolci ad un tempo: e zio Martinu sentì scuotersi quel suo cuore di pietra. Gli parve che Elias Portolu, quel ragazzo bello e debole come una donna, nell'ora della bufera si rifugiasse in lui come l'agnellino sotto il sovero.

“Perchè rimproverarlo?” pensò; “egli soffre, si vede, egli diventa rosso: batter su lui è come batter la scure contro una canna”. Tuttavia gli chiese con voce rude.

— Perchè sei venuto, ora, Elias Portolu? Cosa vuoi che ti dica? Avessi tu seguìto i miei primi consigli!

— Parole! parole! — proruppe Elias, con vera disperazione. — Cosa ne sappiamo noi se, seguendo io i vostri primi consigli, mio fratello non mi avrebbe ammazzato? Eppure non l'avrei offeso come l'ho offeso ora; ed ora egli non mi torcerà un capello. Così vanno le cose del mondo, zio Martinu! ed è la sorte, è il demonio che ci perseguita.

— Perchè sei dunque venuto?

— Ebbene, sì — proseguì Elias, sempre più disperato e irritato — sì, sono venuto per chiedervi ancora consiglio, e sono certo che il vostro consiglio sarà buono; e sono venuto per chiedervi aiuto e sono certo che voi, per impedirmi di tornare a Nuoro finchè la tentazione non avrà cessato di tormentarmi, sarete capace di legarmi, di nascondermi; ma cosa ne so io se potrò seguire il vostro consiglio, se mentre mi legate non cercherò di mordervi le mani e scappare e andare a fare quello che vuole il demonio?

— Il demonio! Il demonio! — disse il vecchio alzando le spalle con disprezzo. — Tu ce l'hai col demonio! Sono stufo di sentirti dire così. Chi è il demonio? Il demonio siamo noi stessi.

— Voi non credete al demonio? E in Dio?

— Io non credo a nulla, Elias Portolu! Ma quando ho chiesto un consiglio l'ho seguìto, e quando ho chiesto un aiuto ho baciato la mano che me lo ha dato, non l'ho morsicata; che la vipera ti morsichi, Elias Portolu!

Elias sorrise tristemente.

— Era un modo di dire, zio Martinu.

— Bene: per modo di dire allora io ti dico che, giacchè vieni a chieder consigli per non eseguirli, ed a chiedermi di legarti per poi mordermi la mano, era inutile che ti movessi, Elias Portolu. Tu credi al demonio: ebbene, afferralo per le corna e legalo, ma bada che non ti morda.

Il vecchio era beffardo, e più che dalle sue parole dal suo accento sprizzava quell'acuto sarcasmo che solo gli Orunesi sanno talvolta dare alle loro parole. Un'angoscia infantile si diffuse sul volto di Elias.

— Zio Martinu — disse supplichevole — è tutta questa la vostra sapienza? di ammazzare un disperato?

— Ah, Elias Portolu, io non sono un sapiente; ma so che a ciascuno va messa la scarpa secondo il suo piede. Tu, che credi in Dio e nel demonio, sei venuto a chieder consiglio a me che credo solo nella forza dell'uomo; hai errato, ed ho errato anch'io dandoti dei consigli che non erano conformi alla tua indole: ecco fin dove arriva la mia sapienza, Elias! Ah, l'asino è più savio di me! Chissà, ti dirò anch'io, che invece di giovarti io non ti abbia recato danno? Tu devi and are presso un uomo di Dio e chiedergli consiglio. Ma sei sempre in tempo. Ecco cosa ti dico.

Elias sentì che il vecchio aveva ragione, e subito si ricordò di prete Porcheddu e del colloquio avuto una notte di luna come quella, sulle alture di San Francesco.

— Io conosco un uomo di Dio, infatti — disse — che una volta mi diede buoni consigli e che mi rese forte contro la tentazione: è un uomo allegro, che si diverte, ma in fondo è un uomo di coscienza. E furbo! Anch'egli, come voi, zio Martinu, ha indovinato subito il mio segreto, mentre non lo ha indovinato nessuno di quelli con cui vivo ogni giorno. Io andrò da prete Porcheddu.

— E Nuorese?

— Non è Nuorese, ma vive in Nuoro.

— Ebbene, vacci, vacci subito.

— Ho paura, zio Martinu.

— Di che hai paura, piccola lepre? — gridò il vecchio.

— Ho paura di trovarmi solo con Maddalena

— rispose Elias, con gli occhi smarriti.

— Ah, Elias Portolu, tu mi fai adirare! Che animale sei tu? Sei una lepre? un gatto? una gallina? una lucertola?

— Sono un uomo mortale.

— Ebbene — gridò zio Martinu — io verrò con te, non ti lascierò solo: oramai tu sei diventato seccante e, pur di non vederti più, se vuoi, ti porto all'inferno.

Questa graziosa promessa fece sorridere Elias e lo calmò: vedeva finalmente uno spiraglio di luce davanti a sè. Pensava:

“Si, mi confesserò, mi comunicherò, mi salverò l'anima”.

Il dolore e la passione non lo abbandonavano un solo istante, e il pensiero di dover rinunziare per sempre a Maddalena, ora ch'ella era tutta sua, gli dava un accoramento ineffabile; ma il primo passo fuor della via del peccato oramai era fatto, e gli altri apparivano men difficili.

L'indomani mattina zio Martinu venne a prenderlo, ed entrambi s'avviarono a piedi verso Nuoro. Lungo il viaggio non scambiarono venti parole: durante la notte Elias aveva fatto il suo esame di coscienza, ed ora, strada facendo, ripeteva a sè stesso i suoi peccati e i suoi buoni propositi; ma a misura che s'avvicinavano al paese si sentiva oppresso da un'angoscia mortale.

— Sentite — disse ad un tratto — se date retta a me, zio Martinu, non andiamo a casa.

— Ah, che uomo è costui! — rispose il vecchio, come parlando fra sè. — Egli va a confessarsi per paura di sè, non per timor di Dio, e non saprà vincersi mai.

— Ebbene, no, andiamo pure a casa! — esclamò Elias, quasi indispettito.

Per fortuna Maddalena era fuori; ma egli sentì quanto era debole perchè si rattristò nel non vederla, e non osò chiedere ove fosse. Riposati alquanto, egli ed il vecchio si recarono da prete Porcheddu, e lo attesero finchè ritornò dal coro. Prete Porcheddu era beneficiato cantore e non sperava certo di diventar canonico; ciò non ostante viveva comodamente, in una casetta il cui arredamento ricordava gli usi e costumi del natio villaggio, con certi letti di legno a baldacchino, e arche di legno nero e divani col. fondo di paglia; veniva servito amorosamente dalla vecchia sorella Anna. Dal villaggio gli mandavano grosse provviste di vino, di noci, di cipolle e fagiuoli e frutta secche; e la vecchia Anna sapeva preparare ogni sorta di conserve, di dolci di miele e di sapa, e il caffè più squisito di Nuoro.

Quando venne a sapere che quel giovine dallo sguardo inquieto, che cercava prete Porcheddu, era figliuolo di zia Annedda Portolu, gli fece assai buona accoglienza: ah, essa conosceva quella santa vecchietta perchè una volta le aveva curato una mano ammalata, e senza voler ricompensa.

— Per le anime, per le piccole anime del purgatorio! — diceva zia Annedda ai suoi infermi.

Finalmente prete Porcheddu rientrò; era sempre lo stesso, rosso ed allegro, ed accolse Elias con esclamazioni di piacere, ma guardandolo fisso e maliziosamente.

“Anch'egli indovina!” pensò il giovine, e si sentì freddo in volto perchè impallidiva di vergogna e d'angoscia.

— Devo parlarle… — mormorò.

— E questa vecchia quercia? — chiese prete Porcheddu, volgendosi verso zio Martinu. — Andiamo, andiamo sopra. Annesa, porta il caffè, ed anche altro, se ne hai.

— Ora io me ne vado — disse zio Martinu.

— Ti aspetterò a casa tua, Elias Portolu. Buon giorno, signor prete; le raccomando questo giovanotto. — Ma prete Porcheddu non lo lasciò andare finchè zia Annesa non gli ebbe versato un piccolo calice di acquavite; poi il vecchio se ne andò, ma rimase un bel po' fermo sull'angolo della via, guardando la porticina donde era uscito.

Passò un quarto d'ora ed Elias non venne fuori: allora il vecchio ritornò dai Portolu, e attese seduto accanto al focolare. Quando Elias rientrò Maddalena era ancora assente, ed egli ne fu contrariato, ma non più come un'ora prima. No. Ora avrebbe voluto rivederla per dimostrare a sè stesso, ed un po' anche a zio Martinu, quanto oramai era forte; l'avrebbe guardata senza passione nè desiderio, con occhi puri e pentiti.

Ed invero qualche cosa di nuovo, una fiamma pura e ardita, gli brillava ora nello sguardo; ma il suo volto era di un pallore mortale e le mani gli tremavano. Zio Martinu lo guardò a lungo, in silenzio, poi gli chiese se dovevano ripartire subito. Elias vinse il desiderio di sperimentar la sua forza rivedendo Maddalena e ripartì.

— Mi son confessato — disse al vecchio, appena furono soli — ritornerò fra due settimane per comunicarmi, e perchè prete Porcheddu deve darmi una risposta.

— Che risposta?

— Mi faccio prete — disse Elias, abbassando la voce. — Ah, è tempo! Quella è la mia strada.

Il vecchio non rispose: pareva che la sua anima fosse nuovamente lontana dall'anima di Elias, e che nulla più gli premesse dei fatti del giovine. Costui però non se ne risentì; anche l'anima sua oramai era così lontana dal vecchio, e dalle cose tutte del passato! Una pura ebbrezza lo avvolgeva, tutte le angoscie, le inquietudini, le vergogne, le indecisioni erano cessate; davanti a sè vedeva una via bianca e piana come lo stradale che percorrevano, e uno sfondo nitido, sereno, simile all'orizzonte turchino di quella pura mattina.

— Prete Porcheddu ora se ne interessa, ora fa tutto, e fra due o tre settimane m'informa — diceva con voce commossa, parlando più a sè stesso che a zio Martinu. — E tutto andrà bene, vedrete. Ci vorranno spese; ma mio padre ha denari e non gli parrà neppur vero quello che farò.

— E va bene, e va bene; se quella è la tua via, prendila una buona volta — disse zio Martinu.

Giunti all'ovile si separarono, ed Elias neppure ringraziò quell'uomo che lo aveva condotto a salvamento; solo gli disse:

— Lasciatevi vedere, zio Martinu.

Il vecchio non promise nulla, e non si lasciò vedere; e un mese dopo Elias lo scorse da lontano, ma lo scansò.

— Oh, oh! — pensò zio Martinu, con un sorriso strano negli occhietti da cinghiale — se egli sta per farsi uomo di Dio, in verità che comincia male.

Che accadeva ad Elias? Un mese era trascorso, la quaresima finiva, e prete Porcheddu l'attendeva ancora invano. Nei primi giorni dopo la confessione il giovine era vissuto fra cielo e terra; tutto il passato veniva posto in oblio; tutto l'avvenire si presentava dolce. Egli si sentiva rinascere con la purezza e la dolcezza con cui intorno a lui rinasceva la natura in quel principio di primavera: pregava continuamente, e aspettava con ansia soave che quelle due settimane passassero. Il viso gli si era rischiarato; gli occhi avevano una espressione e una trasparenza infantile.

Ma quindici giorni di attesa erano troppi: ah, prete Porcheddu non doveva conoscere bene il cuore umano, com'egli si vantava, se poteva credere che la gioia della confessione durasse due settimane in un cuore stravolto dalle passioni. Il tempo passava, gettando un velo sulla gioia di Elias: arrivò un giorno, nella seconda settimana, in cui egli si senti ripiombare nella tristezza; era come la mano d'un invisibile mostro che lo afferrava per la nuca e lo sospingeva verso un ignoto abisso.

Il giorno dopo Elias ebbe paura e pensò di ritornare in paese e gettarsi ai piedi di prete Porcheddu; ma se prima rivedeva Maddalena? Un fremito lo percorse a questa domanda. Ah, era inutile, era inutile. Egli amava sempre Maddalena, e non poteva dimenticarla. Nel momento in cui credeva d'aver vinto, di aver sepolto il suo cuore, i sensi, il passato; la passione lo afferrava più tenacemente e lo stravolgeva come foglia nel turbine. Era la mano di quel mostro invisibile, che lo premeva alla nuca e lo sospingeva verso il peccato. Il volto gli si rifece livido, gli occhi foschi.

Un giorno egli stava per caso vicino al varco della tanca, pensoso e triste, quando un fatto straordinario lo atterrò. Quella mattina, al solito, Mattia era andato a Nuoro; doveva ritornare verso il meriggio, ed ora il tiepido meriggio di marzo regnava sulla tanca Era una dolce ora di sole, di sogni; non si udiva voce umana, non si scorgeva nessuno per la vastità della pianura; il vento tiepido passava curvando l'erba calda di sole.

Ed ecco che invece di Mattia, ad un tratto, sulla cavalla balzana seguìta ancora dal puledro oramai grande, Elias vide arrivare Maddalena. Era un'allucinazione? Un sogno della sua mente inferma? Maddalena non era mai venuta sola all'ovile. Elias guardò pallido, stravolto. Era dessa, era dessa: erano quegli occhi ardenti, fissi nei suoi, anche da lontano, con potenza magnetica.

Neanche per un secondo Elias ebbe il desiderio, nè la forza di andarsene; solo si lasciò cader seduto sul muro. Ed cella arrivò, senza affrettarsi; ma oltrepassato appena il varco smontò agilmente e s'avvicinò ad Elias: tremava tutta e lo guardava con passione folle. Ah, che espressione avevano i suoi occhi scurì, ardenti, socchiusi, veduti dal basso come li vedeva Elias! egli non la dimenticò mai, e in quel momento sentì che quello sguardo gli dava una gioia di cui un solo minuto valeva per un'eternità della gioia provata la settimana scorsa.

— E Mattia? — domandò.

— È rimasto in paese; l'ho persuaso a lasciarmi venire: Pietro non c'è, tua madre pure è scesa al chiuso per coglier olive e ritornerà stasera.

— Maddalena, tu ci perdi! Perchè sei venuta?

Ella gli si curvò sopra delirante.

— E tu perchè non ritorni? Perchè non ritorni, Elias? Elias! Elias! Elias! — continuò a gemergli sul viso, prendendoglielo fra le mani, con crescente delirio — non vedi che muoio? Giacchè non vieni tu, son venuta io! — E gli coprì il volto di baci: egli non vide più e scattò su, delirando dello stesso delirio di lei: e furono di nuovo perduti.

Per tutta la quaresima prete Porcheddu attese invano Elias; ne domandò notizie e seppe che il giovine ritornava in paese, ed allora cadde in sospetto.

— Deve esser ricaduto! — pensò. — Ed io faccio una bella figura con monsignore, ora che le pratiche, perchè quel giovine entrasse in seminario, mi eran riuscite bene. Prete! prete! altro che prete vuol farsi! Eppure bisogna metter riparo, perchè altrimenti, oltre il resto, può succedere una tragedia in quella casa! — Allora egli stesso andò in cerca del giovine finchè riuscì a trovarlo.

— Ti ho atteso — gli disse, guardandolo fisso negli occhi. Ma gli occhi di Elias, freddi e malvagi, sfuggirono lo sguarde dell'uome di Dio: il suo volto era sparuto, arso dalla passione e dal peccato.

— Non ho potuto.

— Perchè non hai potuto?

— Ho pensato bene; sono indegno di comunicarmi, e la mia decisione, per il resto, non è ancora ben presa. C'è tempo, prete Porcheddu!

— C'è tempo, Elias? Cosa dici tu, Elias! Guai a chi aspetta l'indomani! Tu sei ricaduto in peccato, il demonio ti trascina.

— No, io non sono in peccato! Cosa viene a dirmi? — disse Elias con perfetta indifferenza.

Prete Porcheddu ne fu sgomento; avrebbe preferito che Elias confessasse il suo peccato, anche ribellandosi, anche bestemmiando; ma quella freddezza, quella dissimulazione erano il colmo della perdizione.

— Elias, Elias! — disse con voce commossa. — Bada dove tu vai, ritorna in te… Guai a chi semina nella carne perchè mieterà corruzione, e beato chi semina nello spirito perchè mieterà vita eterna…

Elias scosse la testa più volte.

— Io non comprendo queste cose: le comprendono solo i sacerdoti; del resto io non sono in peccato, io non faccio male a nessuno; se lo. levi dalla testa, prete Porcheddu.

— Tu non comprendi queste cose Elias, ma puoi comprendere le conseguenze umane… Pensa, pensa, se un giorno si verrà a sapere: che orrore, che tragedia! Pensa a tua madre, a tuo padre! Pensa che il peccato non può stare a lungo celato, perchè ove c'è fuoco c'è fumo.

— Io non sono in peccato — ripeteva l'altro con ostinata freddezza. — Non può accader nulla quando non c'è nulla.

Di qui non si moveva. Prete Porcheddu lo lasciò, disperato di salvarlo; tuttavia Elias fu profondamente colpito da questo colloquio. La sua era una così orribile felicità, amareggiata dal rimorso, dalla paura, dall'orrore del peccato! Tutte le cose che prete Porcheddu gli aveva detto egli le pensava e se le ripeteva continuamente; ma non poteva o non cercava di vincere. Dopo il piacere provava tutto lo strazio del dolore, del rimorso e del disgusto; ma tornava a cercare la sua colpevole felicità per sfuggire a quel dolore che essa lanciava prima e dopo di sè. Inoltre egli, nei momenti più tristi della disperazione, cominciava a sentir disgusto e disprezzo per Maddalena.

— È essa la tentazione — disse fra sè, dopo il colloquio con prete Porcheddu. — È essa che mi ha perduto: perchè è venuta? Perchè mi ha tentato? Non pensa a Dio, alla vita eterna, quella donna?

Poi si rimproverava quel disprezzo, ricordava come Maddalena lo amava, e si sentiva trascinato verso di lei da una tenerezza ancor più profonda, da un amore ancor più ardente. Ma la parola di prete Porcheddu aveva gettato buon seme; il rimorso e il dolore si fecero più intensi nel cuore di Elias, ed egli ricominciò a pensare che doveva cercar pace altrove che non vicino a Maddalena.

— Un giorno saremo vecchi — le disse una volta — che faremo allora? Ci perdonerà Iddio?

— Non parliamo di queste cose! — diss'ella indispettita. — Oh che forse vuoi farti prete, come dicevi nella festa di san Francesco? — E rise.

Egli trasalì e non rispose, ma la sua irritazione e il suo disgusto verso Maddalena crebbero. Se ella gli avesse risposto a tono, dimostrando speranza nella misericordia del Signore, egli si sarebbe commosso e l'avrebbe amata di più, ma le beffe e il dispetto di lei gliela resero per un momento odiosa. Da quella sera cominciarono ad aver delle piccole liti, ora per questo, ora per quello; dopo essersi separati, Elias si pentiva delle sue parole, ma rivedendo Maddalena ricominciava.

— Senti, Elias — ella gli disse alla fine — tu sei irritato e mi maltratti ingiustamente; ed anche io, sotto il ferro rovente delle tue parole, spesso non so quel che mi dico. Finiamo con non intenderci più, mentre non possiamo vivere una senza l'altro. È meglio che per qualche tempo non ci vediamo: ti pare? Tanto più che dobbiamo per un po' lasciarci…

— No, è meglio anzi vederci più spesso, e litigare e finire con l'odiarci e separarci per sempre.

— Elias! — diss'ella impallidendo. — Perchè parli così? Perchè dobbiamo odiarci e separarci per sempre?

— Perchè siamo in peccato mortale.

Ella si fece mortalmente triste.

— E non lo sapevi prima, Elias Portolu? Ora è troppo tardi!

— Perchè è troppo tardi?

— Perchè io sono madre di un tuo figlio…

Anch'egli cambiò di colore, e un turbine di affetti diversi lo invase: coprì Maddalena di baci, di pazze parole, le chiese perdono, le promise tutto ciò che essa volle.

Si separarono, decisi di non rivedersi intimamente sino alla nascita del bimbo; ed Elias, perdutamente innamorato, si sentiva finalmente felice, come non lo era stato da molto tempo.

Si era allora d'autunno; il cielo diventava sempre più fresco e profondo, l'aria trasparente; grandi pioggie aveano reso la terra e l'atmosfera purissime. Parve che anche Elias s'immergesse in un lavacro; anch'egli ridiventò puro, i pensieri gli si snebbiarono e per parecchio tempo passò giorni felici.

In quei giorni sereni egli se ne stava lunghe ore sotto un albero, coricato supino, guardando il cielo azzurro attraverso i rami, ascoltando la voce lontana del bosco, il roteare del torrente, il richiamo degli uccelli.

E pensava sempre a Maddalena, ma diversamente dal come ci pensava prima; ora l'amava castamente, come nei primi giorni in cui l'aveva veduta, o meglio come uno sposo che pensa alla sposa madre del figliuol suo. E pensava anche a questo figliuolo.

— Sarà maschio — diceva fra sè. Appena grandicello verrà qui con noi, con me; lo terrò sempre con me, mi farò amare da lui assai, assai.

E si sentiva tutto felice; ma spesso un'ombra lo turbava:

— E se Pietro lo vorrà con sè? Egli lo crederà suo figlio, lo prenderà seco, ne farà un contadino, si farà amare come padre.

— No, no! — pensava poi. — Io gli dirò: lasciami il bambino, io non prenderò mai moglie e gli lascerò tutto il mio avere; lo farò studiare, lo farò mio. Pietro cederà e il mio bambino mi amerà. — A poco a poco l'idea di questo bimbo lo prese tutto; formava già dei pazzi progetti, e cominciò a pensar più a lui che a Maddalena.

Un giorno Mattia giunse a spron battuto, portando all'ovile la lieta novella.

— Babbo mio, fratello mio, Maddalena avrà un figliuolo: mia madre ha detto la preghiera a sant'Anna, e il figliuolo sarà maschio.

E sorrideva tutto felice; pareva egli il padre. E zio Portolu per poco non pianse di gioia, e cominciò a laudare san Francesco, Nostra Signora di Valverde, Nostra Signora del Rimedio e non so quanti altri Santi.

— Ah, la colomba! Lo dicevo io che non poteva farci il torto di rimaner sterile. Ah, il piccolo Portolu, il nuovo colombo, quando dunque lo vedremo? — diceva ogni tanto.

— Eh! disse Mattia, ridendo. — Voi vorreste che nascesse subito subito, e che fosse già qui a guidar le pecore!

Elias si sentiva batter forte il cuore, e pensava non senza dolore: “Se essi sapessero!”, ma in fondo era lieto e, strana cosa, quasi contento di aver dato quella felicità ai suoi. E come suo padre non vedeva l'ora che il bimbo nascesse.

Intanto i giorni passarono, ritornò il freddo, la nebbia, la neve; venne un inverno rigidissimo, ed Elias, ch'era assai freddoloso, ricominciò a sentirsi a disagio nell'ovile. Come nell'anno passato, desiderava la dolcezza del focolare, di una vita chiusa e comoda. “Oh, che dolcezza”, — pensava, — “passare le lunghe sere accanto al fuoco, vicino a Maddalena!”. Ma ora egli non la sognava come l'anno scorso, con passione fremente; no, la vedeva attraverso mite visione, accanto ad una culla, e udiva una ninna-nanna nostalgica che gli ricordava le melodie della sua infanzia. Così, senza ch'egli se ne sapesse dire il perchè, il ritmo del suo cuore si rallentava di giorno in giorno: qualche cosa di arcano, che non era più nè rimorso, nè terrore, nè disgusto, nè paura, operava lentamente entro di lui: da lontano, nei freddi giorni dell'ovile, desiderava ancora trovarsi vicino a Maddalena, ma quando la rivedeva e le stava accanto non provava più la terribile felicità dell'anno passato. E pensava:

— Forse perchè è in questo stato; ma, dopo nato il bimbo, io tornerò ad amarla come prima.

Un giorno, però, zia Annedda disse ad Arrita Scada, in presenza di Elias:

— Elias dice che non prenderà mai moglie; Mattia non lo vogliono perchè è semplice; bisognerà dunque che Maddalena ci dia molti figliuoli, non è vero, Arrita Scada? altrimenti chi popolerà il focolare quando noi saremo morti?

Ed Elias provò un intenso disgusto, un colpo al cuore, pensando che quei figliuoli potevano essere suoi; oh, no, bastava uno!

— Mai! mai! — gridò fra sè.

Ai primi di quaresima andò dal prete Porcheddu e si confessò: non dimostrava più il pentimento, il dolore e il fervore dell'anno scorso, ma si diceva fermamente deciso di non cader più in peccato mortale.

Sembrava un altro; prete Porcheddu vide bene che l'incendio della passione era smorzato in lui, ma lo guardò a lungo, pensieroso, e scosse più volte la testa.

— Ora ti sembra così — disse — ma, vedrai, se non ti salvi ora, ti perderai di nuovo. Profitta di questo momento di grazia.

— Cosa vuol dire, prete Porcheddu?

— Non ricordi ciò che volevi fare l'anno scorso? Io feci le pratiche necessarie, e pareva che tutto dovesse riuscir bene…

— Ah, so ciò che vuol dire — mormorò Elias, chinando gli occhi come un fanciullo. — Ma ora!…

— Ebbene, e ora?… Cosa vuol dire ciò? Non ci hai pensato più?

— Sì, ci ho pensato spesso; ma credo che ora sia troppo tardi, e che io non sia più degno…

— Non è mai tardi per la misericordia di Dio, Elias Portolu: pensaci bene, se vuoi salvarti.

Elias, pensoso, a capo chino, fu colpito da un ricordo; si rivide nella tanca, in una sera grigia e silenziosa, e rivide la rigida figura di zio Martinu e ne sentì ancora le parole.

— Prete Porcheddu — disse — e se dopo, quando io fossi prete, la tentazione mi tormentasse ancora? Non sarebbe peggio?

— No, Elias Portolu, oramai io ti conosco: tu vincerai la tentazione, o meglio la tentazione non ti molesterà più. Perchè per te la tentazione è quella donna, ed essa, vedendoti sacerdote, non ti tenterà più.

— Chissà! — disse Elias con tristezza.

— D'altronde ti si potrà mandare in un paese lontano e, se tu vorrai, non la rivedrai mai più.

— Sì, dopo. Ma intanto!

— Intanto? Non temere; tu andrai in seminario, ed io ti farò studiare; non potrai andar in casa tua che a certe ore, di giorno, e, se tu lo vorrai, non cadrai mai più in tentazione. Deciditi, Elias Portulu, non perder tempo; pensa che dobbiamo morire, che la nostra vita è tanto breve, che abbiamo un'anima sola e che dobbiamo salvarla. — Dicendo queste parole prete Porcheddu fissava Elias, quasi volendolo suggestionare; e infatti ad un tratto lo vide impallidire e quasi mancare; ma tosto Elias sollevò il volto e gli occhi gli si accesero.

— Ebbene — disse commosso — faccia lei quello che crede; m'affido a lei, prete Porcheddu; in casa non dirò nulla finchè tutto non sia deciso.

— Bene, va. Ti prometto che fra otto giorni tutto sarà concluso; intanto ti consiglio di frequentare assai la chiesa. Va, figliuolo mio, e sta allegro. Vedrai che ti parrà di rinascere ad un'altra vita.

Elias se ne andò, ma non potè stare allegro: ah, no, gli pareva di sognare, non sentiva più la gioia infantile, senza causa, che aveva provato l'anno scorso dopo la confessione; anzi ora si rattristava e lagrime amare gli offuscavano gli occhi. Eppure era fermamente deciso; ma la sua tristezza veniva appunto dalla sua ferma decisione. Non era più il sogno, ora; era la realtà che veniva, ed egli, nel primo momento della sua risoluzione, non potea staccarsi dal passato senza sentir sanguinare il cuore. Era l'addio a tutte le cose che formavano la sua vita; era quindi un brano della sua vita stessa che se ne andava, con le sue abitudini, le gioie, i dolori, le passioni, gli errori, i piaceri.

Per parecchi giorni egli visse nell'amaritudine di questo addio; specialmente nella tanca, la tristezza lo schiacciava fino a renderlo freddo insensibile ad ogni altra cosa, che non fosse il suo addio ai luoghi ed alle cose fra cui aveva tanto amato e sofferto.

'Io non vedrò più questo, io non farò più questo”, pensava, e un nodo gli serrava la gola. Ma la sua decisione era ferma, e più i giorni passavano, più egli s'abituava all'idea di lasciar tutto e di cominciare una nuova vita. A poco a poco, quando ebbe segretamente detto addio ad ogni più piccola cosa, ad ogni albero, ad ogni pietra, alle bestie ed agli uomini, le idee gli si rischiararono e cominciò a vedere nell'avvenire.

Ritornando in paese se ne andava in chiesa e vi restava lunghe ore, e assistiva con intensità alle funzioni religiose. Il suono dell'organo, la solenne lamentazione dei canti liturgici, le vesti dei sacerdoti, tutto lo incantava: e pensando che un giorno anch'egli canterebbe quelle preghiere che gli davano uno struggimento di dolcezza, e che indosserebbe quegli abiti luminosi e santi, dimenticava tutto il passato e si sentiva felice. Ma rientrando a casa si turbava ancora, specialmente davanti a Maddalena.

“Che dirà essa quando saprà?” pensava continuamente. Gli pareva di non amarla più, tanto più che essa era diventata quasi deforme, gialla e gonfia in viso; ma si sentiva legato a lei da un nodo indissolubile e aveva paura di rompere questo legame.

“Che penserà? Che dirà? Si dispererà? Ah, forse le farà male, forse sarebbe meglio attendere”. E pensava ancora, e sempre con tenerezza, al bimbo che doveva venire, ma da questo lato si sentiva contento della sua decisione; il nuovo stato non gli impediva di amare il fanciullo, anzi poteva più che mai prenderlo con sè, educarlo, farne un uomo dabbene e creargli un avvenire. Ma un giorno ne parlò con prete Porcheddu, e questi scosse la testa:

— Non pensarci — gli disse — perchè fai male a pensarci. Anzitutto il bimbo è ancora nella mente del Signore, ma quando anche nascesse e crescesse, tu devi tenerlo lontano, perchè potrebbe essere sempre un legame pericoloso fra te e lei. Il sacerdote non deve aver nè figliuoli, nè moglie, nè famiglia; non deve pensare alle ricchezze e alle cose terrene; egli è sposo della Chiesa e i suoi figliuoli sono la povertà, il dovere, le buone opere. Pensaci bene, Elias Portolu; se tu ti senti attaccato ancora alle cose del mondo, non fare il passo che devi fare: devi pensare solo a salvar l'anima tua e non altro.

— Lei vuol farmi diventar santo — disse Elias sorridendo, ma in fondo sentiva che prete Porcheddu aveva ragione e si rattristava di dover dire addio al suo povero sogno di padre. Ma neppure ciò lo smuoveva oramai dalla decisione presa.

Gli otto giorni passarono; le pratiche di prete Porcheddu erano riuscite a buon porto; monsignor vescovo s'era interessato assai di questo giovine pastore che voleva dedicarsi a Dio per vocazione, e lo ammetteva subito in seminario a mezza piazza gratuita. Dietro consiglio di prete Porcheddu, Elias scrisse al vescovo una garbata letterina di ringraziamento, e ciò finì d'entusiasmare monsignore.

— Egli vuol conoscerti, Elias Portolu; ora non ti resta che dar la notizia ai tuoi.

— Ah! — disse Elias, sospirando. — Io ho una paura…

— Quale?

— Che la cosa faccia male a quella donna. Se si potesse aspettare!

Prete Porcheddu scosse la testa.

— Tu vuoi aspettare? Tu sei ancora attaccato alle cose del mondo? Ah, ah, questo mi dispiace!

— Ebbene — disse Elias con fermezza — voglio dimostrarle che non sono più attaccato a nulla. Oggi stesso do in casa la notizia.

— Tuo padre è in paese?

— Sì.

— E tuo fratello Pietro?

— Pure lui.

— Bene, dopo che avrete pranzato di' loro che restino in casa; verrò io e parleremo tutti assieme.

— Io non so come ringraziarla! — esclamò Elias con riconoscenza. — Dio solo la pagherà.

— Bene, bene; di questo ne parleremo un altro giorno; ora va con Dio.

Elias se ne andò, ma non potè rientrare a casa fino all'ora del pranzo; si sentiva il cuore grosso, la gola stretta. Ah, la realtà del suo sogno s'avvicinava, lo circondava già, lo premeva, lo staccava violentemente dal mondo, dalla giovinezza, dal piacere, dalla famiglia, dalla vita sino allora vissuta. Ed egli ne provava un dolore immenso; ma neppure per un secondo gli venne in mente di indietreggiare.

Rientrò, pranzò distratto con gli occhi sempre rivolti alla porta; e ogni tanto, udendo rumore di passi nel viottolo, trasaliva. Maddalena lo osservava e ad un tratto non potè trattenersi dal chiedergli che cosa aveva e chi aspettava.

— Una persona — egli rispose. — Anzi, vi prego tutti di aspettare qui, giacchè questa persona deve parlare con voi.

— Anche con me? — domandò Maddalena.

— Chi è? chi è?

— Con tutti. Vedrete chi è.

Lo incalzarono di domande, ma egli non rispose ed uscì nel cortile. Maddalena fu presa da una inquietudine che non cercò di nascondere neppure davanti a Pietro, e cominciò anch'essa a guardar verso la porta, ascoltando se mai qualcuno veniva pel viottolo.

'Chi sarà mai questa persona?” diceva ogni tanto, come fra sè. Da qualche tempo ella s'era accorta del mutamento di Elias, e il timore ch'egli fosse innamorato di altra donna e pensasse d'ammogliarsi la rendeva gelosa e sofferente.

“Egli vuole ammogliarsi', pensava quel giorno, “e la persona che aspetta deve essere il paraninfo che viene a domandarci il permesso di lasciargli chieder la sposa di Elias. Ah, doveva giungere questo giorno! Ah, così presto! Egli non aspetta neppure la sua creatura. Dio, Dio mio, aiutatemi, datemi forza voi che siete misericordioso. Non fatemi morire, non castigatemi prima dell'ora”.

Una grave sofferenza le si disegnò sul volto pallido, e le sue palpebre, quelle larghe palpebre che si abbassavano con rassegnato dolore, diventarono violette.

Quando Elias entrò la guardò intensamente ed ebbe paura; anch'egli si fece pallido e sentì un freddo di morte per il sangue. Prete Porcheddu entrò cantarellando, guardandosi attorno, salutando con barzellette e goffi inchini; e volle restare in cucina, sebbene zia Annedda tutta premurosa insistesse per salir nella camera di Maddalena.

— Dunque, come si va, zio Portolu?

— A due gambe come le galline, prete Porcheddu mio!

— E i figliuoli, i figliuoli, fanno da bravi? Son sempre colombi?

— Ah, sì! — esclamò zio Portolu, spalancando gli occhietti rossi. — Come i miei figliuoli ce ne son pochi, grazie a san Francesco.

Elias sforzavasi a sorridere, ma prete Porcheddu gli scorgeva un angoscioso smarrimento in volto e cercò affrettarsi. Dopo un po' di chiacchiere guardò Maddalena, strizzò un occhio e disse:

— E fra poco avremo un altro colombo, non è vero? Eh, eh, san Francesco vi vuol bene, zio Portolu: tutte le grazie di Dio sono con voi. Ed ora ascoltatemi: cosa direste voi se vostro figlio Elias si facesse prete?

Tutti rimasero storditi, perchè compresero che se prete Porcheddu parlava così la cosa era già decisa. Chi poteva aspettarselo? Maddalena sollevò gli occhi, e un fugace rossore le rischiarò il volto: dopo quanto aveva temuto, le parole di prete Porcheddu le sembravano una lieta novella: Elias era perduto per lei, ma ella poteva ancora rassegnarsi poichè altra donna non l'avrebbe avuto.

Egli s'accorse della gioia di lei; anch'egli si calmò e guardò meglio l'impressione che la domanda del sacerdote destava nei suoi. Pareva si trattasse di uno scherzo: Pietro sorrideva; zia Annedda, seduta vicina a prete Porcheddu, col volto intento e le orecchie tese, sorrideva; il selvatico volto di zio Portolu sorrideva. Elias capì che la cosa, detta de prete Porcheddu, destava tanta gioia nei suoi parenti da sembrar loro un sogno; e ad un tratto sentì anch'egli un impeto di gioia e si mise a ridere come un bambino.

Due anni sono trascorsi. La gente ha cessato di mormorare, di ridere, di meravigliarsi nel vedere Elias Portolu, l'ex-pastore, vestito da seminarista. D'altronde egli non sembra affatto un giovine di ventisei anni, e tanto meno un ex-pastore; la clausura ha rifatte candide le sue mani e la sua faccia; il suo viso sbarbato, d'un pallore perlaceo, sembra quello d'un adolescente.

Nelle grandi funzioni religiose, quando egli indossava il camice di merletto annodato da un gran nastro azzurro, pareva un angelo melanconico, con una piega di suprema ma dolce tristezza nella bocca di rosa pallida; molte fanciulle paesane, ed anche qualche signorina, lo guardavano un po' troppo a lungo, con molto interesse. Ma egli non se ne accorgeva; i suoi occhi verdognoli si smarrivano in lontane visioni. Che cosa egli vedeva allora, quando l'organo gemeva sonoro e i canti liturgici salivano con lamentazione nostalgica di beni perduti e con l'invocazione accorata di beni ignoti? Vedeva il passato, la tanca, la solitudine; ricordava la sua passione? Sì, egli vedeva e ricordava tutto, e si accorava di non potersi distaccare dal passato, come aveva creduto e sperato, e ciò che l'attaccava ancora al dolore e alla gioia delle passioni umane era la visione continua di quella giovine donna inginocchiata in fondo alla chiesa, fra la porpora dilagante della folla paesana. Era Maddalena, bella e splendida nel suo costume da sposa; fra le braccia teneva il bimbo coperto dalla mantiglia di scarlatto orlata di seta azzurra; e il bimbo, quando la madre gli faceva danzar davanti al visetto gli amuleti di argento e corallo appesi al suo piccolo collo, alzava le manine di rosa e sorrideva aprendo la boccuccia e socchiudendo gli occhi verdognoli luminosi. Era un incanto. Elias vedeva continuamente davanti a sè il suo bimbo sorridente, e lo amava con tenerezza accorata, e amando il bimbo amava la madre, e soffriva spesso atrocemente nella lotta vana contro quei suoi amori terreni.

La sua intelligenza naturale, intanto, s'andava svegliando: due anni di studio indefesso, di letture continue, di buona volontà, lo avevano messo al livello dei chierici che studiavano da tanti anni prima di lui. A poco a poco s'era abituato alla vita chiusa, all'obbedienza cieca, alla disciplina, che sulle prime l'avevano quasi soffocato: il passato gli pareva un sogno, ma un sogno al quale era tenacemente attaccato. Si sentiva triste, specialmente nei giorni in cui si recava a casa sua, dove zia Annedda lo accoglieva con tenera soggezione; sfuggiva con cura gli occhi di Maddalena, e aveva paura di toccare il bambino, o se lo costringevano ad accarezzarlo, lo faceva timidamente; ma trasaliva nel vederlo, e il desiderio di prenderlo fra le braccia, di baciarlo, di farlo sorridere, di guardargli i primi dentini, di stringergli ambe le manine, ambi i piedini entro una delle sue mani, lo struggeva.

— No, no, — ripeteva fra sè — bisogna vincere.

Anche la vista di Maddalena, che non gli aveva mai rivolto un rimprovero, ma che spesso lo guardava con tenerezza dolente, gli rimescolava il sangue: essa era più piacente che mai, tutta intenta al figliuoletto, della cui vita sola pareva vivere; ed Elias non poteva distaccare la figura di lei da quella del bimbo. Sentiva che, se fosse rimasto libero — giacchè si riteneva già legato a Dio, sebbene non avesse ricevuto ancora i primi ordini — sarebbe ricaduto immancabilmente. Così come era, riusciva a vincer persino il suo pensiero, ma la lotta spesso era straziante e lo lasciava mezzo morto d'angoscia. In quei giorni si sentiva dunque assai triste, e disperava della vita e di sè stesso; ma giammai aveva un momento di ribellione o di pentimento per la decisione presa.

Qualche volta, però, le forze gli venivano meno; sogni struggenti, nel sonno e nella veglia, lo assalivano, peggiori d'ogni tentazione. Quasi ogni notte egli sognava il passato, la tanca, l'ovile, la casetta, Maddalena, e spesso anche il bambino; e sempre gli sembrava di essere ancora pastore e libero; però un'oppressione cupa e un ricordo che non riusciva ad afferrare, ma assai doloroso, gli rendevano quei sogni simili ad un incubo. Però non era di questi sogni ch'egli s'angosciava, ma dei sogni fatti ad occhi aperti, delle visioni dolci e funeste che lo serravano in cerchi insidiosi. — No! no! no! — egli ripeteva sempre, e scacciava i desideri vani, le immagini fatali, e si metteva a pregare ed a studiare; ma quasi sempre, anche scacciati via cento volte, cento volte i tristi sogni tornavano.

Una notte egli studiava l' epistola di san Paolo ai Romani; era una notte d'aprile, limpida, lunare. Per la finestra aperta entrava l'aria soffusa d'ineffabile dolcezza, e si scorgeva una vivissima stella oscillare sul cielo di cristallo. Elias si sentiva più triste del solito; la vita lo tentava e gli parlava e lo assaltava col soffio puro di quella notte d'aprile; ricordanze ineffabili gli tornavano al pensiero, e nel suo sangue, col rinascere della primavera, pareva germogliasse qualche cosa di nuovo e di irrequieto.

— No, no, no… — ripetè fra sè, scuotendo il capo come per scacciarne i molesti pensieri.

— Bisogna dimenticare ogni cosa; studiare, andare avanti, Elias Portolu. — Si strinse il capo fra le mani e s'immerse nella lettura: intorno era profondo silenzio, e solo in lontananza, ma molto lontano, quasi veniente dalla remota campagna, ondeggiava un melanconico canto nuorese. Elias leggeva, rileggeva, meditava, ripeteva a memoria ogni versetto:

“… La carità sia senza simulazione; aborrite il male e attenetevi fermamente la bene.

“… Non siate pigri nello studio; siate ferventi nello spirito, serventi al Signore.

“… Allegri nella speranza, pazienti nell'afflizione, perseveranti nell'orazione.

“… Benedite quelli che vi perseguitano; benediteli, e non li maledite.

“… Non rendete ad alcuno male per male; procurate cose oneste nel cospetto di tutti gli uomini.

“… A me la vendetta, io renderò la retribuzione, dice il Signore.

“… Non esser vinto dal male, anzi vinci il male per lo bene”.

Come era fiera e dolce la voce dell'Apostolo! Era come rombo di tuono e come voce pura di fontana gorgogliante nella quiete notturna: ma veniva troppo di lontano, troppo dall'alto, come rombo di tuono, come fontana udita in sogno. Elias l'ascoltava, l'udiva; e se ne sentiva tutto avvolto e rinfrescato come da un fragrante sudario; ma, ahimè, era un sudario di velo vaporoso, che il soffio di quella molle notte d'aprile poteva squarciare.

Ecco, il lontano canto sardo si fece un po' meno lontano; tra il coro melaconico saliva una voce armoniosa di tenore, nella quale tremolava tutta la volontà e la dolcezza di quella notte lunare. Il giovine sollevò il capo, colto da un improvviso incantesimo. Dove mai aveva udito quella voce? Una ricordanza quasi fisica lo fece trasalire; egli ricordava di aver vissuto un'altra notte come quella, di aver inteso quel canto, di esser stato triste come oggi lo era. Dove? Quando? Come? S'alzò, s'appoggiò alla finestra, sotto il purissimo raggio della luna allo zenit. La brezza gli avvolse il capo e il collo, portandogli lontane e indistinte fragranze: egli rabbrividì e ricordò la notte in cui aveva pianto di passione ai piedi di san Francesco. La voce dell'Apostolo non parlava più; il velo era caduto: che erano mai l'eternità, la morte, la vanità d'ogni umana passione, il bene, il male, la perfezione, la vita eterna, davanti all'attimo fuggente di quella notte d'aprile, di quel soffio di brezza, di quel canto d'amore? Ed Elias fu vinto; la vita lo afferrò tutto, coi suoi ricordi, il dolore, il desiderio, la disperazione: e cadde inginocchiato davanti alla finestra, sotto la luna, e pianse come un bambino colto da un supremo delirio di disperazione.

Una folle preghiera saliva nel suo pianto.

— Signore, tu lo vedi, io sono debole e vile; abbi pietà di me, mio Dio, perdonami, dammi requie, strappami il cuore dal seno. Io sono uomo, non mi posso vincere; perchè tu mi hai fatto così debole, o Signore? Ho sempre sofferto nella mia vita, e quando ho dovuto, vinto dalla mia debole natura, cercar la felicità, ho peccato, ho calpestato i tuoi precetti, sono stato più pagano e malvagio dei Gentili; ma ho tanto sofferto, Dio mio; e soffro ancora tanto che la misura è colma. Dio mio, Dio mio, Dio mio! — proseguiva, singhiozzando, col viso stravolto inondato di lagrime salate — abbi misericordia di me, perdonami, aiutami, dammi la pace del cuore… dammi un po' di bene… un po' di dolcezza: non ne ho io il diritto, Dio mio? Non sono una creatura umana? Se ho peccato, perdonami, se tu sei misericordioso: se tu sei grande, Signore, perdonami e dammi un po' di bene, un po' di gioia…

A poco a poco le lagrime gli si esaurirono, e quello sfogo gli fece bene, lo calmò. Egli stesso se ne avvide, perchè quando il suo eccesso di disperazione fu cessato, si vergognò un po' di aver pianto, ma pensò: — Mio padre dice che sono i vili a piangere; e che un Sardo, un Nuorese, non deve piangere; ma fa così bene! Altrimenti ci si schianta, in certe ore!

Ebbe anche vergogna e paura della sua preghiera, che era quasi una sfida a Dio; e chiese perdono, e si rassegnò; ma l'indomani mattina egli provò un'impressione fortissima di spavento, di sorpresa, di dolore ed anche di gioia — impressione che non dimenticò giammai — quando gli vennero a dire che Pietro suo fratello era ritornato di campagna con una forte infiammazione ai reni, e che il suo stato era piuttosto grave.

— Egli morrà, ed io potrò sposar Maddalena! — pensò tosto.

Aveva Iddio esaudito la sua preghiera? Ah no! Egli retrocesse spaventato della sua bestemmia, davanti all'immagine di un Dio tanto mostruoso, quale lo creava in quel momento la sua fantasia. Non era possibile.

— Come io sono vile! — pensava, recandosi frettoloso a casa sua. — No, non mi salverò mai più: io sono composto di male.

E si angosciava, più per i suoi mali pensieri che per la malattia di Pietro; e si pentiva e si insultava; eppure, giunto a casa e saputo che il fratello era rientrato malato dal giorno prima, provò una specie di delusione, tanto in fondo lo lusingava l'idea strana che Dio avesse udito la sua orrenda preghiera. Del resto lo stato di Pietro era davvero grave; egli era livido in volto, con le fattezze scomposte da una intensa sofferenza, e gemeva continuamente. Tre giorni prima egli aveva dovuto percorrere grandi distanze a piedi, per raggiungere un suo bue smarritosi in fondo ad una valle selvaggia; l'ansia, la fatica, il riscaldamento, una predisposizione al male, lo avevano atterrato. Aveva i piedi gonfi e sanguinanti, le mani graffiate dai rovi e dalle pietre.

Una grave costernazione regnava in casa Portolu; Maddalena piangeva sinceramente; zia Annedda aveva acceso due lampade e detto le parole verdi; e le parole verdi avevano risposto che Pietro doveva morire.

Giorni terribili seguirono per Elias. Andava dal fratello, lo guardava, si aggirava per la camera torcendosi silenziosamente le mani, costernato di non poter far nulla per la salute di Pietro; non volgeva mai lo sguardo a Maddalena nè al bimbo, e se ne andava via disperato, e pregava ore ed ore fervorosamente perchè Pietro guarisse. Ma spesso, nel bel mezzo delle sue preghiere, egli trasaliva e un gelo mortale gli fermava il sangue: ah, qual mostro orrendo lo assaliva? Perchè, appena egli si dimenticava un istante, quel mostro gli susurrava parole di gioia, gli dava desiderii incomprensibili, mostrandogli di continuo l'immagine del fratello morto, sepolto? — È il demonio — pensò egli una sera — ma non vincerà, no, non vincerà mai più! Ebbene, che Pietro muoia, se egli deve morire; sì, per quanto sia orribile, Satana, io ora desidero la morte di mio fratello per dimostrarti che tu non vincerai su di me. Mai più! mai più! Sono più forte di te, Satana; il mio corpo è debole e tu potrai spezzarlo, ma l'anima mia non la vincerai mai più.

S'alzò, calmato da questo terribile conforto. Quella notte Pietro morì. Elias gli chiuse gli occhi, lo segnò, aiutò zia Annedda a lavare e rivestire il cadavere.

Poi vegliò tutta la notte presso il fratello morto. Ogni tanto s'alzava, si chinava sul volto del cadavere e lo guardava a lungo, con la folle speranza che Pietro non fosse morto, o avesse da un momento all'altro a muoversi e risorgere.

Ma il volto barbuto e livido, immobile, con le palpebre abbassate, restava immoto come una paurosa maschera di bronzo. Elias sentiva, forse per la prima volta in vita sua — giacchè non aveva mai veduto così da vicino e così a lungo un cadavere — tutta l'inesorabile grandezza della morte. Ricordava Pietro vivo, ridente, parlante: ah, era bastato un soffio per gettarlo lì, immobile, muto per sempre! Per sempre! — Domani a quest' ora anche questa spoglia sarà sparita dal mondo! — pensava; e non sapeva persuadersi che tutto finisse così, che anch'egli, e i genitori, e il fratello, e Maddalena, e il bimbo, sarebbero anch'essi un giorno scomparsi; e ne provava un dolore ineffabile. Poi ricadeva inginocchiato ai piedi del letto, e il suo dolore si cambiava in conforto:

— Sì, tutto finisce — pensava. — E non soffriremo più. Perchè agitarsi tanto? Tutto finisce: l'anima sola resta; salviamola.

E più che mai si sentiva forte contro la tentazione ed il male; poi ritornava a ricordare il fratello quando era vivo; alla loro infanzia, alla giovinezza, all'offesa mortale che gli aveva recato, e si accorava e i singulti gli serravano la gola.

— Ora che egli è morto — si chiedeva — saprà ora egli l'offesa che gli recai? E mi perdonerà?

Ma queste domande lo riconducevano ai ricordi; rivedeva Maddalena in quella stessa camera dove ora riposava il morto, e insidiosamente lo vinceva un'improvvisa dolcezza al pensiero che ora egli poteva amarla senza peccato; ma tosto ricacciava questa tentazione, si spaventava, s'irritava, balzava in piedi, e chinandosi ancora sul volto del cadavere tornava ad immergersi nella visione della morte. Così passò la notte.

All'alba Elias prese un po' di sonno; e sognò Pietro, vivo, che veniva nella tanca (come sempre gli pareva d'esser ancora pastore): Pietro veniva a cavallo, e aveva il volto livido e gli occhi chiusi come li aveva il cadavere.

— Che hai? — gli chiese Elias, preso da terrore nel vederlo così.

— Il bimbo è morto; vengo a dirtelo — rispose Pietro. — Ritorna in paese perchè devi seppellirlo tu.

Elias provò tanto spavento e tanta angoscia che fece uno sforzo per svegliarsi; ma svegliandosi si sentì ancora angosciato come nel sogno. Era giorno fatto. Sentì il bimbo piangere, e tosto pensò con dolore:

— Che anch'egli debba morire? Che il sogno sia un avviso? Le disgrazie non vengono mai sole; ed io credo ai sogni.

Gli pareva oramai che molte disgrazie fossero possibili, vicine, inevitabili; e vinto da una pazza tristezza andò a vedere il bimbo. Questo piangeva sempre. Maddalena, già vestita da vedova (e la veste nera la rendeva assai graziosa, così giovane e fresca com'ella era) cercava calmare il bimbo, parlandogli a voce bassa. Molti parenti erano già venuti; la casa era tutta immersa nel buio.

Elias s'avanzò silenziosamente nella penombra della camera e si fermò davanti a Maddalena.

— Cos'hai? — chiese al bimbo, chinandosi un po'. — Perchè piange? — domandò poi a Maddalena.

Il bimbo lo guardò coi grandi occhi lagrimosi, e stette un po' zitto, con la boccuccia aperta e tremante; poi ricominciò a piangere; anche Maddalena sollevò gli occhi verso gli occhi di Elias, ed anche la sua bocca ebbe un tremito.

— Zitto, zitto, bellino mio — disse con voce tremante, cullando il bimbo fra le sue braccia — fa da buono, ecco zio Elias che non vuole che tu pianga… — Ma d'un tratto anch'ella chinò il viso sulle spalle del bimbo e si mise a piangere sconsolatamente.

— Ebbene, Maddalena, che è questo? — disse Elias fuori di sè.

Poi si allontanò come spinto da una mano invisibile: quella scena gli rimescolava il sangue; sentiva che il pianto di Maddalena non era soltanto per la morte del marito, e lo sguardo di lei, sempre tenero e ardente, gli penetrava il cuore.

— Ah — pensava, seduto in un cantuccio, all'ombra, nel circolo dei parenti — prete Porcheddu ha ragione: il bimbo ci legherà sempre, sempre: bisogna che io non lo veda, non lo avvicini, altrimenti mi perdo ancora, ed ora più che mai.

E si sentiva oppresso da tutta quella gente che entrava ed usciva dicendo cose banali; e desiderava ardentemente che tutto fosse finito, i funerali compiuti, i tre giorni delle condoglianze passati, per trovarsi solo col suo dolore e le sue tentazioni.

— Ahimè — pensava — se la tentazione è già così forte mentre il cadavere di mio fratello è ancora lì, quasi ancora caldo, che sarà poi? No, no, no! — diceva poi, quasi con rabbia. — Vincerò io; devo vincere e vincerò.

Ma la lotta era cominciata, e ben terribile. Il primo, il secondo, il terzo giorno, coi funerali, le condoglianze, le barbare cerimonie del lutto sardo, passarono come un brutto sogno. Alfine Elias si ritrovò nella sua cella, sul suo lettuccio, stanco, prostrato, solo. Aveva sempre nella memoria la notte in cui leggeva l'epistola di san Paolo; e il ricordo della sua di sperata preghiera gli ritornava fisso come un rimorso.

— Ne sono stato duramente castigato! — pensava. — Eppure chi conosce le vie del Signore? Se egli avesse voluto esaudirmi? Se fosse quella la mia via? Perchè non posso aver io il diritto alla felicità terrestre? Non sono uomo come gli altri?

E il sogno insidioso lo vinceva: l'aria di primavera, pura e fragrante, saliva alla sua cella; e dalla finestra appariva uno sfondo di cielo così profondo, così azzurro! Non era egli uomo come gli altri? Aveva peccato! Ebbene, e quale degli uomini non peccava? E chi per ciò si condannava ad un eterno castigo?

— Ecco, ecco, io lascio il seminario; c'è la scusa che mio fratello è morto, che in casa ora si ha bisogno di me: la gente ciarlerà un po'; ma di che cosa la gente non ciarla? Fra un anno nessuno dirà più nulla, e allora!… — Ah, che dolcezza! Era mai possibile tanta dolcezza? Ma sì, che finalmente era possibile!

— Perchè io sono così stupido da esitare un solo istante? — si chiedeva egli meravigliato di sè stesso e dei vani tormenti che si dava. E si sentiva il cuore pieno di gioia; ma d'un tratto il cuore gli si vuotava, ed egli ripiombava tutto nella disperazione.

— No! no! no! Che ho detto io, che sto pensando? È così che vinci la tentazione, Elias Portolu? Son questi i tuoi voti? No, no, no; vincerò io; va dietro, Satana, ti vincerò, ti vinco!

E stringeva i pugni, come per una lotta reale. E così passavano le ore, i giorni, le notti e i mesi.

Un giorno gli annunziarono che fra poco gli verrebbero impartiti i primi ordini: egli non se ne rallegrò, nè se ne rattristò. Oramai gli pareva d'aver acquistato esperienza e di non doversi più illudere. Ricordava i primi tempi del suo amore, quando s'illudeva credendo che il matrimonio di Pietro con Maddalena sarebbe bastato per guarirlo dalla passione. Invece!…

— No, non voglio illudermi — pensava. — Resterò uomo e soggetto alle passioni: no, la salvezza non è negli ostacoli fra noi ed il peccato, ma nella forza nostra e nella nostra volontà.

Recossi a casa sua per partecipare la notizia, e per fortuna trovò tutta la famiglia riunita; c'era anche Mattia (ora i Portolu aveva o un servo, non potendo zio Berte e il figliuolo accudire da soli a tutti i lavori dell'ovile e della campagna) e il parente Jacu Farre, che dopo la morte di Pietro frequentava assai la casa.

Jacu Farre era un principale, possedeva armenti, terre, cavalli e alveari, ed era scapolo; aveva posto un grande affetto all'orfano di Pietro, e i Portolu ora lo trattavano coi guanti, colla speranza ch' egli lasciasse i suoi beni al bambino. Elias lo trovò dunque fra i suoi; teneva il bimbo seduto su un suo ginocchio e lo divertiva dicendogli:

— Ecco che trottiamo a cavallo; andiamo alla festa, eh, Berteddu?

E il bimbo rideva. Elias ne fu contrariato; guardò il Farre, che nonostante la sua pinguedine era un bell'uomo, guardò il bimbo, guardò Maddalena ed ebbe un impeto di gelosia; ma si dominò tosto, e diede la notizia. Per i Portolu, e specialmente per zia Annedda, che il dolore per la morte di Pietro aveva invecchiata di dieci anni, rendendola sorda del tutto, la buona novella portata da Elias fu come un raggio di sole.

— San Francesco sia lodato — disse zio Portolu. — Io aspettavo questo giorno; se non avessi avuto questa speranza mi sarei ammazzato. Ah, voi sorridete! tu sorridi, Jacu Farre! ah, tu non sai com'è fatto il cuore di zio Portolu! — E sospirò più volte. Elias diventò cupo, e pensò:

— Mio padre parla sul serio; se io mi ritirassi non sopravviverebbe al dolore.

Solo Maddalena non parve rallegrarsi della notizia: le larghe palpebre abbassate con toccante espressione di rassegnato dolore, ella non guardò una sola volta Elias, ma egli non s'illuse un momento sui sentimenti di lei.

— Ella mi ama sempre — pensava, andandosene. — Jacu Farre le farà invano la corte: ella è mia, è mia soltanto: vorrà cercarmi, farà di tutto per parlarmi, per distogliermi, ne sono certo. Che farò io? — Non sapeva cosa avrebbe fatto; come del resto non sapeva come e quando Maddalena avrebbe potuto avere un convegno con lui; ma intanto attendeva, e questa attesa lo preparava alla lotta, o almeno lo premuniva contro la debolezza della sorpresa. Se gli dicevano che qualche persona lo cercava, egli si sentiva battere il cuore e pensava: — È dessa! — e poi, vedendo che non era essa, respirava e si rattristava nello stesso tempo: se andava a casa sua, aveva paura d'incontrar Maddalena sola, entrava guardingo, e poi sentivasi contrariato vedendo che Maddalena non era sola.

— Perchè bisogna finirla! — diceva a sè stesso, per scusarsi. — Bisogna parlare e finirla una buona volta.

Ma passò parecchio tempo e Maddalena non lo molestò.

— Ella si è rassegnata: tanto meglio! Chi sa? forse mi sono ingannato, forse ella pensa più a Jacu Farre che a me! — egli si diceva; e gli pareva di esserne contento, ma in fondo provava uno strano e infondato dolore.

Un pomeriggio d'ottobre, però, due o tre giorni prima di quello fissato per la cerimonia degli ordini, mentre egli stava studiando nella sua cella, vennero a dirgli che lo cercavano.

— È dessa! — pensò egli, scosso.

Non era essa; ma era un ragazzetto del vicinato, mandato da lei: — Che prete Elias (lo chiamavano già così) andasse subito subito a casa sua perchè c'era bisogno di lui.

— E mamma? — chiese Elias.

— Non lo so.

— È forse malato il bimbo?

— Non lo so.

— Va, che vengo subito.

E andò, col cuore turbato da un presentimento. Maddalena infatti stava sola in casa: zia Annedda era andata in campagna, il bimbo dormiva. Il viottolo era deserto e intorno alla casetta regnava la dolcezza, la pace infinita del pomeriggio autunnale, velato, tiepido e silenzioso.

Appena Maddalena vide Elias si turbò vivamente, e sentì che invano aveva preparato un lungo discorso, pieno di logica persuasiva: il tempo nel quale ella era andata alla tanca e con un bacio aveva vinto Elias, oramai era lontano: ora ella aveva soggezione e forse anche paura dell'abito del suo antico amante, e forse in lei ora parlava più forte il calcolo che la passione. Ad ogni modo si turbò e si confuse: fece sedere Elias, gli servì, come sempre, il caffè pronto per lui, poi gli chiese, senza guardarlo:

— Domenica dunque è la cerimonia?

— E non lo sapevi?

— Sì, lo sapevo.

Silenzio.

— Perchè mi hai fatto venire? — chiese egli alla fine.

— Perchè? — ella disse, come interrogando sè stessa. — Ah, aspetta, il bimbo si sveglia. Ah. Berteddu mio, sta quieto; vengo, vengo: ecco che c'è zio Elias. — S'alzò, andò, prese il piccino e lo portò vicino a loro. Elias ebbe paura.

— Elias — ella disse — tu forse t'immagini ciò che io voglio dirti. — Egli scosse la testa. — Non ti dice nulla questa creatura innocente? E la tua coscienza non ti dice nulla? Interrogala; sei ancora in tempo. Iddio, che vede tutto, non sarà più contento che tu, invece di fare quello che stai per fare, renda il padre a questo bambino innocente?

Tacque, guardandolo e aspettando la risposta. Elias pose la mano, e questa mano tremava un po', sulla testina del bimbo, accarezzandolo incoscientemente, e rispose:

— Che vuoi che ti dica? Oramai è troppo tardi.

— No, non è tardi, non è tardi!

— E tardi, ti dico: lo scandalo sarebbe enorme; mi direbbero pazzo.

— Ah — diss'ella con amarezza — e per le lingue maligne del mondo tu non segui la tua coscienza?

— Ma la mia coscienza mi dice di seguire la via che sto per seguire, Maddalena! — diss'egli, grave, senza mai sollevar gli occhi, e sempre accarezzando il piccolo Berte. — Tanto, dimmi, ammesso che io mi spogli di quest'abito e ti sposi, potremo mai dire che questo bambino è figlio mio?

— Davanti al mondo, Elias! Davanti al mondo egli non sarà mai tuo figliuolo, ma tu potrai egualmente procedere verso di lui come verso il tuo figliuolo!

— Gli vorrò bene lo stesso, ne avrò cura lo stesso: nessuno, nel nuovo stato, m'impedirà di fare il mio dovere a suo riguardo.

— No, no — diss'ella, cominciando a disperarsi, e chinando e scuotendo la testa — no, no, non è lo stesso, non è la stessa cosa!

— È la stessa cosa, te lo dico io, Maddalena…

— Lo dici tu, ma non è la stessa cosa. Eppoi!

— proruppe ella, sollevando con fierezza la testa. — E per me, Elias! E per me? Non pensì a me?

— Non posso… — egli mormorò.

— Non puoi? E perchè non puoi, Elias? Sei sempre in tempo! Possibile che tu non ricordi nulla?

— Non posso ricordare. Eppoi ti ripeto, è troppo tardi.

— Non è tardi, non è tardi… — ella ripeteva, torcendosi le mani, disperata di non saper dire le parole che aveva preparato.

Ed era abbastanza accorta per non avvedersi che Elias era commosso, che aveva cambiato colore, che la sua mano tremava sul capo del bimbo, che sarebbe bastata un po' di audacia per vincerlo; e sentiva un sincero desiderio di levarsi, di cingergli il collo con le braccia e di parlargli come gli aveva parlato nella tanca, ma una forza superiore la teneva ferma e quasi non le permetteva di guardarlo. Si sentiva timida e impacciata come una bimba al primo colloquio d'amore. E il colloquio continuò a procedere miseramente, e miseramente finì. Ella ripetè in cento modi le cose già dette; ricordò il passato, gli disse che lo amava sempre, che sarebbe vissuta e morta pensando a lui; ma oramai ella non aveva più l'accento toccante della passione, e tutte le sue parole e le sue ragioni non valevano lo sguardo col quale aveva vinto Elias nella tanca: ed egli sentì tutto questo e potè vincere facilmente.

Anch'egli ripetè in cento modi le cose dette sin dal principio; promise di curarsi sempre del bimbo, e si tenne in apparenza cortese e freddo. Si separarono senza aversi neppure sfiorato la mano; ma quando Elias fu solo sentì che la sua era stata una vittoria ben facile e misera.

— S'ella mi avesse tentato io forse sarei caduto — pensava. — Ah, perch'ella restò fredda rimasi freddo anch'io. Ma forse, ora che ha cominciato, tornerà sempre all'assalto, perchè mi ama, e non è solo per dare un padre al bimbo, ma per riavere il mio amore che ella mi tenta.

E si sentiva triste, turbato, debole; eppure non disperava della grazia di Dio e, con la voluttà amara con cui certi asceti si percuotono il corpo, egli desiderava che Maddalena lo perseguitasse e lo tentasse ancora, fortemente, per spasimarne e per esperimentare la sua forza di resistenza.

Ma ella non lo tentò oltre. Egli ricevette i primi ordini, continuò a studiare e in breve fu consacrato sacerdote e potè dire la prima messa. In casa sua fecero festa come per nozze: parenti ed amici gli portarono doni come ad uno sposo; si sgozzarono pecore e agnelli, si fece banchetto, si cantò improvvisando versi per il giovine sacerdote. Zio Portolu vestiva tutto di nuovo, aveva i capelli unti, le treccioline rifatte; mentre ascoltava intensamente i poeti estemporanei, teneva fra le ginocchia il piccolo Berte che gli chinava melanconicamente la testolina sul petto.

— Che hai, agnellino mio? — chiese zia Annedda, chinandosi sul piccino. — Sonno hai?

Il bambino scosse la testa; i suoi occhioni glauchi erano tristi. Zia Annedda s'allontanò, ritornò tenendo con due dita un dolce di pasta e di miele in forma d'uccellino, e chinandosi di nuovo lo diede al bimbo.

— Prendi; ecco l'uccellino; non addormentarti, sai. — Il bimbo prese il dolce svogliatamente, senza sollevar la testa dal petto del nonno, e accostò alle labbra il becco dell'uccellino, ma non lo mangiò.

— Hai sonno? — chiese zio Portolu, guardandolo. — Non hai dormito stanotte, uccellino mio? Suvvia, scuotiti, ascolta che belle canzoni! Quando sarai grande anche tu canterai. Ti porterò a cavallo alla tanca e canteremo assieme.

Ma il piccino, che sempre s'entusiasmava all'idea di andare alla tanca, non si scosse. A pranzo non volle da mangiare, e non si distaccò dal nonno, sul cui petto teneva sempre appoggiata la testa.

— Mi pare che tuo figlio sia malato — gridò il Farre a Maddalena.

Prete Elias sussultò, guardò il bambino e immediatamente ricordò il sogno avuto la notte in cui vegliava il cadavere di Pietro. Maddalena andò verso il bimbo, lo accarezzò, lo interrogò, lo prese fra le braccia e lo portò sul lettuccio dove una volta dormiva Elias.

— Il bimbo ha sonno, e ora dorme — disse, rientrando. Ma prete Elias non s' acquietò: avrebbe voluto alzarsi, andar dal bimbo, esaminarlo; e invece non potè muoversi e dovette celare la sua inquietudine. Egli non era nè triste nè allegro: la cerimonia del mattino lo aveva commosso assai, ma ora era caduto in una specie d'atonia che rasentava l'indifferenza. Ascoltava i cantori, sorrideva leggermente per certi versi ben riusciti, ma non parlava, non rideva. Vedeva il Farre, quel ricco e grosso parente che parlava ansando, andare e venire per la casa, dando ordini, immischiandosi in ogni cosa come padrone, parlando spesso con Maddalena; e ne provava gelosia, e accorgendosi di questa gelosia s'irritava contro sè stesso, ma taceva.

Dopo il pranzo entrò quasi furtivamente presso il bimbo, si chinò e lo guardò a lungo, e vedendolo dormire soavemente, con la boccuccia semiaperta, con l'uccellino dolce fra le manine, provò un impeto di tenerezza, e lo baciò religiosamente. Sollevandosi ricordò il giorno e la notte delle nozze di Maddalena, e la malattia e il dolore ch'egli aveva sofferto su quel lettuccio.

— Le cose del mondo! — pensò. — Chi avrebbe mai creduto che dovevano accader queste cose?

Rientrando in cucina udì il Farre che ragionava del bimbo con Maddalena, intenta a preparare del caffè.

— Tu non hai cura del bimbo — le diceva. — Non vedi che sta poco bene? È viso di bimbo sano, quello là? No. Io farò venire il dottore e vedrai che ho ragione.

— Che gliene importa? — disse Elias fra sè, con amarezza e con gelosia. — Spetta a me curarmene, non a lui.

Uscì nel cortile, dove ricominciavano a cantare, e si sedette accanto al padre e parve ascoltare la gara contemporanea, ma pensava sempre al Farre, a Maddalena, al bimbo, e si rattristava e s'irritava. Ah, egli avrebbe voluto che Maddalena restasse vedova: non aveva mai pensato che, ella rimaritandosi, egli non avrebbe più autorità sul bimbo.

— Ella sposerà il Farre — pensava — ed io non potrò più amare il figliuol mio; mi saranno contati i baci e le carezze che potrò fargli. — E il suo pensiero si smarriva nell'avvenire, pensando a cose del tutto estranee al ministero nel quale era quel giorno entrato.

Finita la festa, rientrato Elias in seminario, dove sarebbe rimasto ancora per alcun tempo, egli s'accorse di tutti i pensieri vani, delle gelosie, delle tristezze provate durante la giornata e un forte scontento di sè lo prese.

— È inutile, è inutile — pensava, voltandosi e rivoltandosi nel letto. — La carne è attaccata all'osso, ed io non mi distaccherò mai dalle cose del mondo: sarò un cattivo sacerdote, come sono stato un cattivo secolare, perchè non posso essere un buon cristiano. Ecco tutto.

Intanto avvenne ciò che egli prevedeva. Il Farre domandò la mano di Maddalena, e subito cominciò ad occuparsi del bimbo come di cosa sua. Fece venire il medico, e il medico avendo dichiarato che il bimbo era anemico, il grosso uomo comprò le medicine, ed ogni giorno s'occupava della salute del piccolo Berte: prete Elias vedeva e taceva, ma dentro di sè si rodeva di gelosia; molte volte, quando era solo, ed anche stando in chiesa, si sorprendeva a pensare con odio a quella grossa figura d'uomo sano e rosso, dalla pronunzia lenta, dalla parola ansante, e soffriva assai.

Un giorno il Farre lo invitò al suo ovile.

— Verrà anche zio Portolu — disse — e prenderemo il bimbo, chè gli farà bene, e ci spasseremo.

Sulle prime Elias fu per rifiutare impetuosamente; ma tosto si dominò e accettò. Ma soffrì assai durante quella gita: il Farre portava il bimbo sul suo cavallo, sul davanti della sella, e Berteddu gli appoggiava la testolina sul petto e gli rivolgeva cento domande appena vedeva un corvo volare gracchiando, un passero levarsi da una macchia, un cespuglio carico di bacche scarlatte, una quercia verdeggiante di ghiande. Il Farre gli spiegava ogni cosa con somma pazienza, e ogni tanto gli dava un bacio.

— Vedi, quello là è un pero selvatico; guarda, guarda, ha più frutti che foglie; ti piacciono eh, le pere selvatiche, piccolo porcellino, eh, eh? E quelle cose grigie lunghe, che sembrano candelabri? E quelle lì sai cosa sono? Sono fusti di canna gurpina (canna volpina), buoni a far cannelli da pipa. I pastori si fanno le pipe così. Eh, i pastori non sono come i signori, sai, che vanno dal mercante e comprano le cose belle e fatte: i pastori s'arrangiano: e tu ti farai pastore, eh?

— Io mi farò pastore, sì — disse il bimbo, indolentemente — e farò le pipe con quelle canne là.

— Eh, no, eh, no! Lo sentite, babbo Portolu, il bimbo vuol farsi pastore! Non è vero che invece lo faremo dottore?

Erano inezie; eppure Elias, che veniva cavalcando rasente al Farre, ne soffriva fanciullescamente. Che aveva da vederci quell'uomo estraneo nell'avvenire del suo bambino? No, no, egli non avrebbe mai permesso che colui s'immischiasse nella vita e nel destino del suo figliuolo. Ma questo era un sogno; la realtà lo incalzava già con le parole di zio Portolu, che diceva al piccolo Berte:

— Ah, tu vuoi farti pastore, piccolo colombo? E perchè vuoi farti pastore? Non sai che i pastori dormono spesso all'aperto e soffrono il freddo? Vedi zio Elias? S'è fatto prete, perchè se fosse rimasto pastore sarebbe morto di freddo. No, ti faremo dottore, non pastore. Eh, non comanderai tu! C'è zio Farre che ti farà filar dritto, e se farai da cattivo zio Farre non scherzerà.

— E cosa è quello? — chiese il bimbo addittando un albero e non badando alle parole del nonno.

Ma ci aveva badato Elias a quelle energiche parole, e s'era sentito colpito nell'anima. Da quel giorno la sua gelosia crebbe smisuratamente: invano egli cercava dominarsi, invano pensava:

— Egli avrà dei figli, ed allora dimenticherà e forse disamerà il mio: allora Berte sarà tutto mio: lo prenderò in casa, gli farò seguire una buona via, lo renderò felice.

No. No. Eran tutti sogni. Il presente incalzava, la realtà era dura. Elias soffriva intensamente; ed era un dolore diverso da tutti gli altri sino ad allora provati, ma non meno profondo, ed il giovane prete tornava a disperarsi ed a ripetere la solita lamentazione:

— Io non troverò mai pace; sono dannato. Qualunque cosa io faccia è errore. E forse ho errato a non dar ascolto a Maddalena; forse Dio voleva ch'io riparassi al peccato, invece di dedicarmi indegnamente a Lui. Ah, prete Porcheddu aveva ragione: il peccato è una pietra che non ci leveremo mai di dosso; ed io sono dannato al peso eterno del dolore perchè ho peccato gravemente.

Così i suoi giorni continuavano a scorrere melanconici e tormentosi. Ah, non era questa la vita quieta e santa che egli aveva sognato! Intanto si aspettava da un giorno all'altro che si rendesse vacante qualche parrocchia nei villaggi vicini, per mandarvelo; ed egli lo sapeva, e soffriva già pensando alla lontananza. Lui lontano, il Farre avrebbe sposato Maddalena, e si sarebbe impossessato completamente del bimbo. Era finito, era tutto finito! Ma no, no, non era tutto finito. No, egli sentiva che da lontano avrebbe continuamente pensato al figliuolo, rodendosi di tenerezza, di desiderio, di gelosia, e che forse andava a cominciare una nuova vita di passione e di dolore, ben diversa da quella che era suo dovere di condurre.

Ogni giorno andava a casa sua, e, cosa che prima non faceva, cercava amicarsi il bambino, portandogli dolci, trastullandolo e viziandolo: si accorgeva che ciò era una debolezza, anzi una piccolezza, giacchè operava così, più che per affetto, per impedire che Berte si affezionasse al Farre; ma non poteva far altrimenti.

Però vedeva con dolore che Berte restava per lo più indifferente, indolente e taciturno: non mangiava quasi mai i dolci, si stancava subito dei giuochi e dei trastulli, e s'impermaliva per ogni più piccola cosa. Del resto era così con tutti; ed Elias s'accorgeva che il piccino era malato, deperente, e si struggeva di vederlo così e di non poterlo far guarire. Fece venire un medico, non quello consultato dal Farre, e provò una soddisfazione bambinesca, cattivella anzichenò, quando il nuovo venuto dichiarò il bimbo affetto da un malore latente, che non era anemia, e ordinò diverso medicamento.

— Lo vedi? — disse a Maddalena, con un cattivo trionfo negli occhi.

— Lo vedo! — ella rispose tristemente, preoccupata soltanto dello stato del bimbo.

Il nuovo medico e il nuovo medicamento non impedirono però che l'infiammazione latente nei delicati visceri del bimbo si manifestasse presto. Un giorno prete Elias trovò Berte coricato sul lettuccio della cameretta terrena; il bambino aveva una febbre altissima e delirava, con gli occhioni smarriti e il volto ardente. Maddalena lo vegliava, costernata e disperata, e zia Annedda aveva già ricorso ai suoi medicamenti, santi finchè si vuole, ma perfettamente inutili.

Ella aveva una reliquia speciale per guarire la febbre: la passò sul corpo ardente del bimbo e recitò con fervore diverse preghiere, a Dio, allo Spirito Santo, a Nostra Signora della Misericordia, a Nostra Signora del Rimedio, a Maria di Valverde, a Maria del Monte, a Maria del Miracolo, alle Anime Sante, a san Basilio, a santa Lucia, al Sangue santo, ai Santi Innocenti; ma la febbre non fece che aumentare.

Allora fu richiamato il giovine medico; egli dichiarò che lo stato del bimbo era gravissimo, ma non disperato se non sopravveniva il tifo. Elias ascoltava, pallido, ritto presso il finestrino: in quel punto vide il Farre venir su dal viottolo e strinse istintivamente i pugni.

— Egli viene, eccolo! — pensò. — Egli viene per accrescere il mio dolore! Forse il bimbo morrà, ed io non posso avvicinarmi al suo lettuccio, non posso dargli le ultime carezze, le cure estreme, mentre tutto ciò sarà permesso a colui. Eccolo, eccolo che viene! Ebbene, io me ne vado, altrimenti se colui entra qui e si avvicina al bimbo, al bambino mio che muore, non rispondo più dei miei atti.

Se n'andò infatti assieme al medico; nel cortile s'incontrarono col Farre che si mostrò dispiacentissimo e che s'informò dello stato del bimbo.

— Il bambino sta male; lascialo in pace assieme a sua madre! — disse Elias con ruvidezza. Il Farre lo guardò un po' stupito, ma non rispose.

Il medico invitò prete Elias ad una passeggiata giù per lo stradale, ed il giovine lo seguì volentieri; ma mentre l'altro parlava, egli guardava lontano, verso lo sfondo della valle, con gli occhi smarriti in un sogno doloroso. Vedeva il Farre seduto presso il letto del bimbo, e Maddalena triste e pallida, che si curvava sul piccolo malato per spiarne la crescente sofferenza. Il grosso fidanzato la confortava, poi stendeva la mano ad accarezzare il piccino e gli parlava e lo vezzeggiava amorosamente. Il medico intanto parlava d'una ragazza grassa e rosea che avevano incontrato presso la fontana.

— Dicono sia l'amante del tale, quella ragazza. Che fianchi! Però non è ben fatta, precisamente. Ma sarà vero che è l'amante del tale? Ne ha sentito parlare, prete Elias?

Elias lo guardò con rabbia. Come mai il medico poteva fargli quelle domande, quando il suo bimbo moriva e il Farre gli faceva da padre?

— Cosa mi dice! — esclamò. — Perchè mi fa queste domande?

— Ma non son domande che si fanno agli uomini del mondo? Oh che non è un uomo del mondo anche lei?

Ah sì! anch'egli era un uomo del mondo! Pur troppo era ancora un uomo del mondo, e come tale lo attanagliava il dolore, il dispetto, la gelosia.

Verso sera tornò da Maddalena e la trovò disperata perchè lo stato del bimbo si rendeva sa presso il focolare.

— La mamma è di là? — chiese Elias, avviandosi verso la cameretta ove giaceva il bimbo.

— Sì.

Egli avrebbe voluto chiedere se c'era anche il Farre, ma non potè fare quella domanda. Sentiva che egli era là, seduto presso il letticciuolo; ne vedeva distintamente la grossa persona, ne udiva il respiro ansante, e provava un'angoscia quasi morbosa. Eppure quando aprì l'uscio e vide il Farre seduto presso il letticciuolo, con la grossa persona un po' ripiegata in avanti, silenzioso, ansante, provò un sussulto interno, come spaventato da un'improvvisa apparizione.

“Il bimbo muore, ed egli è là e non mi lascia avvicinare, non mi lascia vederlo nè accarezzarlo!” pensò amaramente. Infatti s'avvicinò appena ai piedi del letto e guardò quasi timidamente il malatino.

— Sta male, sta male — disse il Farre con dolore, come parlando fra sè.

Elias stette un momento, poi se ne andò senza aver detto un parola. Passò una notte orribile, e l'indomani mattina per tempo fu di nuovo là: attraversando il viottolo si lusingava di trovare il bimbo migliorato, e il suo volto s'illuminava di speranza. Entrò, con passo agile attraversò il cortile, la cucina, spinse l'uscio. E tosto il suo volto diventò livido. Il Farre era di nuovo là, seduto presso il letticciuolo del bimbo, con la grossa persona ripiegata in avanti, silenzioso, ansante.

Maddalena piangeva. Appena vide Elias gli venne avanti, tergendosi le lagrime col grembiale, e singhiozzando gli disse che il bimbo moriva. Elias la guardò dall'alto in basso, livido, cupo; non avanzò un passo, non parlò, e uscì poco dopo. Zia Annedda lo seguì in cucina, poi nel cortile e gli chiese esitando:

— Elias, figlio mio, che hai? Sei tu pure malato?

Egli si fermò presso il portone, si volse, e parole amare contro il Farre e contro Maddalena, che permetteva al fidanzato di star sempre là presso il malatino, gli vennero alle labbra; ma vide il piccolo volto di sua madre così pallido, così angosciato, che mormorò:

— No, non mi sento male. — E se ne andò.

— Cosa ha egli detto? Non l'ho sentito — disse fra sè zia Annedda. — Si sente male anche lui? Che cosa ha? Aiutateci voi, san Francesco di Paola!

Da quel momento cominciò per Elias una specie di ossessione. Appena si trovava libero recavasi invariabilmente, quasi senza accorgersene, a casa sua. Anche prima d'arrivare al viottolo sentiva che il Farre era là al suo posto; tuttavia s'ostinava a sperar il contrario ed entrava. E l'odiosa figura era là, sempre là.

Poco per volta egli fu preso quasi dal delirio. Veniva col desiderio di chinarsi sul bimbo, di baciarlo, di curarlo con le sue mani, di dirgli parole affettuose: gli pareva che la forza del suo amore sarebbe bastata per guarirlo; e invece veniva, e bastava appena che vedesse il Farre per sentirsi paralizzato, e non osava neppure posar la mano sulla fronte del piccolo moribondo, mentre entro di sè urlava di dolore e di rabbia.

La sera del quarto giorno della malattia di Berte, zia Annedda gli venne incontro piangendo e gli disse:

— Non passerà la notte.

— Il Farre è ancora là, mamma?

— Non c'è.

Egli si slanciò nella cameretta, scostò Maddalena che piangeva silenziosamente presso il lettuccio, e si curvò ansioso sul bimbo. E il bimbo moriva; il piccolo volto, già sì grazioso e pieno, era livido, scarno, improntato di una straziante sofferenza. Pareva il viso d'un vecchietto moribondo.

Elias non osò toccare nè baciare il bimbo, e fu preso tutto da un improvviso stupore. Come davanti al cadavere di suo fratello Pietro ebbe la visione, anzi la percezione acuta della morte, e s'accorse che sino a quel momento gli era parso impossibile che Berte morisse. Invece moriva. Perchè moriva? Come moriva? Cosa era la morte? La fine di ogni cosa, di ogni passione? E allora perchè egli odiava il Farre? Perchè soffriva?

“Figlio mio, piccolo figlio mio” gemette fra sè « tu muori ed io non ti ho amato, ed io, invece di amarti, di curarti, di strapparti alla morte, mi sono perduto in un vano rancore, in una vana gelosia… Ed ora tutto finisce, e non c'è più tempo, non c'è più tempo a nulla…

Lo assalì un impeto di prender fra le braccia il piccino, di portarselo via, di salvarlo. Salvarlo? Come? Non sapeva come, ma gli pareva bastasse stender le braccia, protender la sua persona sul corpicciuolo del bimbo, per tener lontana la morte. In quel punto entrò il Farre e s'avvicinò lentamente al letto: Elias sentì il grave passo, l'alito ansante di quel grosso corpo, e instintivamente s'allontanò.

Il Farre prese il suo posto; e ancora una volta Elias sentì fra sè e l'animuccia del bimbo che se n'andava un ostacolo insormontabile. Si mise in fondo alla camera, vicino al finestrino, e i suoi occhi lampeggiarono d'un fosco bagliore verde. Pensava delirando:

— Perchè egli è là? Perchè mi ha tolto di là? Mi ha cacciato, mi ha spinto. Con qual diritto? E suo o mio il bimbo? E mio, è mio, non suo! Ora vado, lo prendo a schiaffi, quel grosso otre, lo caccio di là, perchè devo starci io, non lui. Vado, vado, lo schiaffeggio, lo ammazzo: voglio bere il suo sangue, perchè lo odio, perchè mi ha tolto tutto, tutto, tutto, perchè quando c'è lui, io arrivo a desiderar la morte del mio bimbo…

Ma per qualche minuto non si mosse dal suo posto; poi uscì in cucina, disse a sua madre:

— Ritornerò fra poco — e se ne andò via rapidamente.

Rientrando nella sua cella gli parve svegliarsi da un sogno; e la realtà della sua vita, del suo stato e del suo dovere gli riapparve limpida alla mente. Si inginocchiò e si mise a pregare ed a chieder perdono a Dio del suo delirio.

— Perdonatemi, Signore, perdonatemi per la vita eterna, giacchè in questa non sono degno di perdono. Io non riposerò mai; sono dannato a soffrire, ma ogni castigo è piccolo per il fallo che ho commesso. Sì, sì, fatemi pure soffrire conforme merito, ma datemi la forza di compiere i miei doveri, toglietemi dal cuore ogni vana passione. Dal canto mio prometto che farò di tutto per vincermi: viva o no il piccino, andrò a vederlo il meno possibile. È egli forse mio? No. Io non devo aver nulla su questa terra; nè figli, nè parenti, nè beni, nè passioni. Devo esser solo, solo, davanti a voi, Dio mio, Dio mio…

Ma un'ora dopo lo avvisarono in fretta che andasse a casa sua, ed egli andò, corse, pallido e col cuore in sussulto. Era notte; una notte d'autunno, velata, silenziosa: la luna nuotava lentamente fra tenui vapori, circondata da una immensa aureola d'oro sbiadito; un silenzio profondo, una pace arcana e triste, qualche cosa di misterioso era nell'aria.

Elias capì che il bambino era morto, ed entrato nella cucina vide, infatti, seduta presso il focolare, Maddalena che piangeva tragicamente, stringendosi ogni tanto il capo fra le mani. Pareva una schiava a cui avessero tolto tutto, libertà, patria, idoli, famiglia. Elias percepì l'immenso dolore della donna, e pensò:

— In questo momento forse ella crede che la perdita del bambino sia il castigo del suo fallo, e non sente che da questo dolore, invece, ella uscirà purificata e che troverà la via del bene. Le vie del Signore sono grandi, sono infinite! — Ma mentre così pensava, si guardava attorno per la cucina semioscura e tra le poche persone ivi accolte non vedendo il Farre, pensava con dolore che egli forse era ancora là, accanto al bambino morto.

Entrò. Il Farre non c'era. C'era solo zia Annedda, pallidissima, ma calma, che senza piangere, senza far rumore alcuno lavava e vestiva il morticino. Elias le diede qualche aiuto: dalla cassa prese le calzettine e le scarpette del bambino e aiutò a calzarlo; e i piedini esangui, assottigliati dalla malattia, erano ancora morbidi e tiepidi.

Finchè il morticino non fu vestito e accomodato fra i guanciali, e finchè zia Annedda rimase là, Elias non sentì nulla; ma appena fu solo provò un brivido per tutta la persona, sentì il volto e le mani raffreddarglisi e s'inginocchiò e nascose il volto sulla coltre del letticciuolo.

Finalmente, finalmente era solo col suo bambino; nessuno più poteva toglierglielo, nessuno più poteva mettersi fra loro. E sul suo infinito accoramento sentiva calare un tenue velo di pace, e quasi di gioia — simile alla vaporosità di quella misteriosa notte autunnale — perchè l'anima sua trovavasi finalmente sola, sola e purificata dal dolore, sola e libera da ogni umana passione, davanti al Signore grande e misericordioso.

Roma, 1900.

FINE.