IL
NOSTRO PADRONE

ROMANZO
DI
GRAZIA DELEDDA

MILANO
Fratelli Treves, Editori

Sesto migliaio.

PROPRIETÀ LETTERARIA.

I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati
per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.

Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera,
dal 4.°ree; migliaio in avanti, che non porti il timbro a secco
della Società Italiana degli Autori.

In quel tempo, circa trent'anni or sono, da Macomer a Nuoro si viaggiava ancora in diligenza, e quasi sempre di notte. La strada era ben tenuta, ma poco frequentata e non sempre sicura; il vetturino, quindi, che era allora un vecchietto energico e dispettoso, aveva cura di frustare i cavalli, e se per caso si addormentava, dopo un attimo si svegliava di soprassalto, bestemmiando.

Unico viaggiatore, in quella notte di aprile, era un capo-macchia, cioè uno di quei carbonai per lo più toscani, che in Sardegna dirigono il taglio dei boschi. Era un bel giovane, alto e svelto e dal viso pallido i cui lineamenti regolari ave vano però alcunchè di duro; e i suoi capelli dritti e i baffi spioventi sul mento forte e sporgente erano dello stesso colore biondo-scuro del suo vestito di fustagno.

Egli veniva di lontano, sebbene il suo bagaglio si componesse appena di un ombrellone turchino e di un sacchetto pieno di castagne e di biancheria; ma doveva conoscere i luoghi che attraversava, perchè i suoi occhi azzurri, melanconici, velati da lunghe ciglia dorate, guardavano senza curiosità il paesaggio fuggente.

La notte era tiepida e chiara, nonostante le nuvole che oscuravano qua e là il cielo biancastro. All'orizzonte, sopra una linea azzurra di colline, apparivano le montagne di Barbagia dai profili argentei, e pareva che là lontano si stendesse una terra di sogno; ma al di qua, la luna, quando si liberava dalle nuvole, illuminava un paesaggio livido e rugginoso, una distesa di roccie che parevano blocchi di ferro, sparse fra macchie di fichi d'India simili anch'esse, sotto il chiarore lunare, a mucchi di pietre grigie.

Tutto il paesaggio era morto, e per la campagna deserta pareva non dovesse più incontrarsi anima viva; quando a un tratto, fra Bortigali e Silanus, apparve un uomo fermo sul ciglio della strada, e una voce forte gridò:

—Oh, cristiano, ferma! Carrozziere, dico a te!

Il vetturino neppure rispose. Allora la voce diventò supplichevole:

—Figlio di Dio, ferma; pago il viaggio da Bortigali. Mi sono storto un piede.

Questa notizia aumentò la diffidenza del vecchietto.

—Va alla cantoniera!

—Come posso camminare?

—E allora va al diavolo. Qui non posso fermarmi.

Il capo-macchia mise la testa fuori del finestrino e disse:

—Ma fermate, perdio! Non sentite che non può muoversi?

—Ed io non posso fermarmi!

—Voi fermerete, invece; altrimenti scendo io.

Su diaulu chi tin ch'at battiu!1 Al diavolo chi ti ha condotto qui.

Ma il forestiere capiva benissimo il dialetto, e cominciò anche lui ad imprecare, finchè non riuscì a far fermare la vettura.

L'uomo s'avanzò lentamente, zoppicando, con una scarpa in mano: salutò, e aiutato dal capo-macchia salì sulla diligenza.

Era un borghese, di media statura, grosso, vestito modestamente, con un cappello a cencio e una vecchia cravatta attortigliata attorno al colletto molle di una camicia di colore.

Sulle prime il capo-macchia lo credette un vecchio, ma esaminandolo meglio si accorse che nonostante la sua figura molle e i suoi capelli grigi l'uomo era giovane ancora e d'aspetto non volgare. La sua pelle era bianca, gli occhi neri e vivi: e i denti bianchissimi apparivano fra due labbra fresche, giovanili. Ma una barba grigiastra e ispida copriva le sue guancie giù fino al collo grosso; e un'espressione di stanchezza, di debolezza, come nei vecchi grassi, faceva apparire ancor più molli i suoi lineamenti.

Appena fu seduto parve rianimarsi alquanto; allungò il piede fasciato con un fazzoletto, e sentì subito il bisogno di far sapere che non era un vagabondo, nè un pezzente, ma un proprietario.

—Ho qui un pezzo di terra! Ho un cavallo indiavolato, che pascolava là intorno (accennò la campagna che si lasciavano addietro). Ero venuto per cercarlo, perchè dovevo recarmi a Nuoro, ma non l'ho trovato. Ma lo avran preso i benefattori, che non mancano da queste parti.

Buon prò a loro! Oltre al resto, nel cercare quella bestia indiavolata ho saltato un muro e mi sono storto il piede. Meno male che a Nuoro ho un buon amico che mi farà curare….

Il forestiere ascoltava e non trovava nulla da ridire; solo, di tanto in tanto, guardava al di fuori, quasi cercando con gli occhi il cavallino smarrito; e ad un tratto si appoggiò all'angolo della vettura e parve addormentarsi.

Le ruote della pesante diligenza scricchiolavano sulla ghiaia, come rompendo del ghiaccio; tutto era silenzio, al di là della strada solitaria. Anche il viaggiatore dal piede slogato tacque, e solo verso l'alba tanto lui che il suo compagno parvero svegliarsi e ripresero a chiacchierare.

La vettura correva attraverso una campagna ondulata, dal terreno scuro, ove qualche distesa d'orzo già alto metteva come delle sfumature verdi; torme di corvi s'alzavano gracchiando dalle macchie umide, e solo due pini solitari sorgevano nel mezzo delle vigne ancora spoglie.

In lontananza si scorgeva Nuoro. L'aurora illuminava l'orizzonte, e i monti di Oliena apparivano azzurri sul cielo d'oro, ma dai fianchi dell'Orthobene spuntavano bianche nuvole simili a colonne di fumo.

Siccome il forestiere guardava con insistenza i boschi dell'Orthobene, il suo compagno di viaggio gli domandò se doveva andare a lavorare lassù.

—Sì. Sono capo-macchia nella « lavorazione » Perrò.

L'uomo si volse, con sorpresa e quasi con gioia.

—Io volevo appunto domandare lavoro al Perrò. È vero che cerca lavoranti sardi perchè i toscani non vogliono più venire? Li paga troppo male, mi han detto.

—È il contrario, invece,—disse con calma il capo-macchia.—I toscani si contentano di poco. Ma essi vengono solo per la lavorazione del carbone, dall'ottobre in poi. I sardi fanno il resto, ma per loro è quasi vergogna lavorare nelle foreste, cioè estrarre e pulire la scorza delle piante. Si capisce che ci vanno solo gl'individui che non trovano altro lavoro, cioè i più miseri.

—Eh, sicuro, lo scorzino non è un conte, —disse il viaggiatore, e si mise a ridere goffamente.

Il capo-macchia cercò di attenuare il significato aspro delle sue parole.

—Il lavoro è duro: bisogna farlo con pazienza…. per questo, secondo me….

—Io non ho vergogna di lavorare,—dichiarò il presunto proprietario,—per conto mio credo non sia vergogna adattarsi a tutto, pur di vivere onestamente! Oramai non basta possedere qualche cosa per poter vivere; bisogna lavorare. Il proprietario che dice: voglio sedermi accanto al fuoco, con le gambe accavalcate, sputar sulla cenere e passar i giorni senza far niente, è un poltrone e null'altro! Il fisco gli succhierà il midollo e un giorno o l'altro lo caccerà di casa…. Allora egli farà lo scorzino e sarà un pezzente davvero, mentre se lo fa prima che il bisogno lo costringa…. Potrebbe fare qualche altro mestiere più lucroso, anche, non dico, ma per esempio, se non trova altro…. per esempio se non può fare il contabile…. dico, può fare anche lo scorzino! Credo di spiegarmi!

Egli declamava alquanto, parlando l'italiano con quell'accento lievemente cadenzato che prendono i paesani sardi dopo un lungo soggiorno nel continente. Il capomacchia conosceva bene quest'accento, sopratutto speciale a certi condannati che hanno scontato la pena nei reclusori di Nisida e di Civitavecchia; e quindi guardava con freddezza, se non con diffidenza, il suo compagno; ma più lo osservava più si convinceva di aver a che fare con un uomo di condizione civile. Il vestito del viaggiatore, stretto e quasi logoro, accusava miseria; ma la scarpa abbandonata sul sedile della vettura, una scarpa nuova, fina, quasi elegante, svelava i gusti signorili del suo possessore.

—Chi dice che il mestiere dello scorzino sia disonorevole? Voi, sardi, lo dite, —ribattè calmo e freddo il capo-macchia. —Certi scorzini sono diventati ricchi.

—Il Perrò, dicono!… È molto ricco, vero?

—Chi? il Perrò? Sì.

—È vecchio? Avrà sessant'anni.

—Ma non li dimostra.

—Ha famiglia? Dicono abbia moglie e figli, ma in Continente. Vive solo, qui? Ha la famiglia, qui?

—No!

Dopo qualche momento di silenzio le domande divennero più intime.

—Ha l'amante in casa?

—Chi sarebbe?

—La serva! La conosco, è del mio paese. La conosce, lei?

—Ne ha più d'una, di serve!

—Quella di cui parlo si chiama…. Marielène Azzèna….

—Ah, Elena! La conosco….

L'uomo abbassò un momento la testa sul petto, e parve ricordarsi di cose lontane.

—Sì, l'ho conosciuta ragazzetta…. Adesso avrà ventisei…. no, ventisette anni! Era graziosa, molto seria, quasi bella.

—Elena? È brutta!—dichiarò francamente il capo-macchia, guardando al di fuori impensierito.

Le nuvole incoronavano tutto l'Orthobene coi loro cirri fumosi; i cavalli nitrivano come eccitati dalla paura del temporale imminente; e per qualche istante anche l'altro viaggiatore guardò dal finestrino, corrugando le sopracciglia.

Anche lui era altra volta passato per quella strada solitaria e polverosa; e riconosceva i luoghi, i campi qua e là coltivati, le vigne, la piccola città di cui si distingueva, sullo sfondo verde e grigio della montagna, la mole rotonda e bianca delle carceri e la facciata rosea della cattedrale, che coi suoi due campanili ai lati dava l'idea d'una mano che facesse le corna al cielo.

I monti d'Oliena e d'Orgosolo eran diventati grigi, d'un colore di perla morta; le nuvole coprivano il cielo.

Vedendo che il viaggio stava per finire, il presunto proprietario parve prendere una decisione; sollevò il capo con una certa fierezza e disse, battendosi le mani sulle ginocchia:

—Io mi chiamo Pietro Maria Dejana. Sono di buona famiglia, e Marielène Azzèna può dirlo. Ho avuto molte disgrazie, ma sono un galantuomo. Vorrei stabilirmi a Nuoro…. vorrei lasciare definitivamente il mio paese perchè ho molti nemici…. Infine, per farla corta, sono un uomo che desidera lavorare. Qualsiasi lavoro, non importa. Lei, dunque…. dicevo, dovrebbe raccomandarmi a Mossiù Perrò…. che fa lavorare tanta gente. Egli troverà lovoro anche per me….

—Va bene,—interruppe il capo-macchia, traendo subito il suo taccuino e scrivendovi qualche parola.

—Farò quanto potrò. Qualsiasi lavoro?— aggiunse, chiudendo il taccuino, dopo aver consegnato al Dejana una carta di visita, giallognola, che non mancava d'una certa eleganza.

Aldo Bruno Papi
Capo-Macchia forestale.

Predu Maria guardò per qualche momento il cartoncino, come studiandovi attentamente quel nome stampato a caratteri gotici; poi sollevò la testa e disse esitando:

—Io andrò ad ospitare presso un mio amico…. Antonio Maria Moro…. So che sta vicino al Perrò. Quando potrei avere la risposta?…

—Passerò io stesso; conosco di vista il Moro, so dove sta.

Questa notizia parve aumentare la timidezza del Dejana, ma come spinto dal bisogno di far capire al suo compagno di viaggio che malgrado le disgrazie sofferte egli si conservava un galantuomo, prima d'arrivare a Nuoro egli cominciò a raccontare la sua storia.

—Mio padre era un uomo benestante, —raccontò Predu Maria Dejana,—un proprietario quasi ricco, un galantuomo che tutti onoravano: morì giovane, lasciando noi figli in tenera età. Era questo il suo destino! Egli non aveva altro pensiero che la sua famiglia, e morì quando la sua famiglia aveva maggior bisogno di lui! Quelli che non credono in Dio ci dicono: ecco che cosa fa il vostro Dio! Io però credo a quello che diceva mio zio prete, che cioè ogni cosa sia prestabilita, nella mente di Dio. I suoi fini? Egli solo lo sa: noi non possiamo saperlo. Altrimenti, se noi non ci spieghiamo così le cose, diventiamo pazzi. Egli è il nostro padrone, e il padrone non è obbligato a dar schiarimenti ai suoi servi.

Il capo-macchia fece segno di sì; anche lui credeva in Dio. Ma non approvò quest'altra ipotesi del Dejana:

—Ed è appunto quando noi ci dimentichiamo di Dio, quando noi vogliamo far giustizia da noi stessi, è appunto allora che diventiamo pazzi. Quando noi, per esempio, commettiamo una cattiva azione, o un delitto….

—Ebbene, bisogna appunto frenarsi,— disse con calma alquanto sprezzante il capomacchia, —bisogna esser sempre padroni di noi stessi. Dio è il nostro padrone, sì, ma un pochino dobbiamo esserlo anche noi….

—Impossibile!

—Basta calcolare le conseguenze, esser prudenti, pazienti, compatire…. tollerare….

Ma il Dejana rise, col suo riso goffo pieno di amarezza e riprese a raccontare la sua storia. Sua madre, rimasta vedova, s'era lasciata ingannare e truffare da molte persone.

—L'ultimo inganno di cui fu vittima fu il suo matrimonio con un mercante di Luras, di quelli che viaggiano con tre o quattro pezze di tela e panno sull'omero, e il metro in mano!

Egli pronunziò queste parole con disprezzo e rabbia; e al ricordo del patrigno il suo viso si rannuvolò.

—Mia madre era una donna saggia, buona, religiosa; amava i figli come può amarli una santa, eppure fu la loro rovina. Il Lurisincu, il nostro patrigno, era un mostro di malvagità, e fu il mio tormento, la mia sventura. Era destino anche questo! Egli si stabilì nel paese e dilapidò le nostre sostanze. In ultimo mia madre fu costretta a vendere tela e berrette in una botteguccia di panno1 Negozio di stoffe. ultimo avanzo della nostra fortuna. Egli bastonava a sangue noi figliastri, ed anche i bambini nati da lui e da mia madre. Era una bestia; da un uomo simile io non potevo certo ricever buoni esempi.

Il capo-macchia ascoltava e taceva, e solo dopo che il suo compagno ebbe finito di raccontare tutti i guai della sua disgraziata famiglia, domandò se il patrigno era vivo ancora.

Predu Maria sospirò:

—È morto!

Attraverso il velo mobile della pioggia che cominciava a cadere, si scorgevano le prime case di Nuoro; allo svolto della strada apparvero tre alberi, curvi sul paracarri, quasi intenti a guardare lo sfondo roccioso del paese e le lontananze della valle grigia di vapori; poi la vettura si avanzò nel silenzio della Via Majore, fra due file di casette addormentate. Solo una donna col busto avvolto nella tunica e un'anfora di latte sul capo, si scansò mentre la diligenza si fermava davanti a un portone spalancato.

Il capo-macchia saltò svelto a terra, coi suoi sacchetti infilati al braccio, aprì l'ombrellone e aiutò Predu Maria a scendere.

—Se vuole posso accompagnarla. Si appoggi a me,—gli disse bonariamente prendendogli il braccio.—Venga, venga, non perdiamo tempo, se no ci inzuppiamo per bene.

—Ebbene, Dio glielo paghi!—esclamò Predu Maria commosso da tanta gentilezza.

Impiegarono un buon quarto d'ora per arrivare alla casa del Moro.

Predu Maria sentiva acutissimi dolori al piede, ma si trascinava stoicamente senza lamentarsi; arrivati sotto l'arco del Seminario, allagato da un rigagnolo di fango che scendeva dal rialzo ove sorge la Cattedrale, il Papi dovette però sostenerlo con più forza per aiutarlo a passare; e quando furono più su gli domandò:

—Il Moro Antonio Maria è quello che è stato condannato per firme false?

La domanda era fatta con accento calmo e senza intenzioni offensive; tuttavia il Dejana rispose vivacemente:

—Ma che firme false! È stata tutta una calunnia, una trama di nemici…. di testimoni pagati…. Una disgrazia….

—Sempre così…. per voi! Tutti i reati son disgrazie!

—Son dunque fortune? Del resto, Antonio Maria Moro non ha bisogno di rubare! È ricco; la sua nonna è una delle donne più benestanti di Nuoro….

—Ma lo ha cacciato fuori di casa, dopo quell'affare! Aveva falsificato anche la firma di lei…. che non sa scrivere!

Questo particolare fece ridere il Dejana. Ah, quell'Antonio Maria! Egli lo ammirava! Generoso, senza vizi, commetteva il male per aiutare gli altri, mentre per conto suo menava una vita quasi di stenti.

Che quest'uomo generoso vivesse mode stamente, i due nuovi amici se ne convinsero nel vederne l'abitazione.

Un cortiletto recinto da un muro in rovina precedeva una specie di portico primitivo composto di tre archi in muratura coperti da un tetto nella stessa condizione del muro di cinta. In fondo al cortile un sambuco già coperto di foglie ombreggiava un pozzo; e sulle pietre di questo, come sul tetto e sui muri, cresceva il musco umido e verde. Il luogo pareva disabitato, ma appena i due visitatori furono nel portico un uomo s'affacciò alla porticina d'ingresso, guardò il Dejana e scoppiò a ridere.

—Predu Maria Dejana! Chi si vede! Quando sei arrivato, buona lana?

—Proprio adesso!

—Che hai fatto a quel piede?

—Me l'ho storto.

—Come l'anima tua, allora!

Il capo-macchia lasciò che il Dejana entrasse, e salutò per andarsene; ma Antonio Maria con un gesto energico gli accennò di avanzarsi.

—Avanti! E tanto so chi sei!

Attraversarono una stanzetta d'ingresso che pareva una cantina, umida, ingombra di tini, di botti, di pojuoli di rame, di decalitri e d'imbuti, ed entrarono in una seconda stanza vasta e bassa che serviva da camera da letto e da cucina. Il fuoco ardeva nel camino, e da una piccola finestra si scorgeva una roccia di granito, sola in un paesaggio umido e verde; alcune goccie di pioggia cadevano dal tetto di canne sostenuto da fusti di pioppo.

—So chi sei!—ripetè Antonio Maria, sostenendo il Dejana, ma rivolto al capomacchia, e minacciandolo scherzosamente con un dito.—E diglielo pure, al tuo padrone, che jaja1 Nonna. mia la sua tanca2 Vasta estensione di terreno per lo più destinata a pascolo, non gliela vende. Per sotterrarcelo, se la vuole! E dunque, che abbiamo fatto a questo piede, Pedru Maria Dejà? Io non ti aspettavo fino a domani; ma si vede che quando zoppichi vai più svelto di quando sei sano!

—Correvo con otto gambe! Ma senza questo bravo ragazzo a quest'ora sarei sepolto nel fango come una cipolla!

I due risero ancora, e il capo-macchia osservò che il loro modo di ridere, di parlare, di muoversi, era quasi identico. Parevano due fratelli, tanto si rassomigliavano persino nel modo di vestire. I loro visi eran segnati dalle impronte della medesima razza; profilo irregolare, fronte mobile, mascelle forti e sporgenti; però Antonio Maria, calvo e coi capelli rasi, la nuca forte e grassa, sembrava il più vecchio dei due; le sue mani rossastre parevano tinte di mosto ed esalavano un odore non sgradevole di acquavite all'anice.

Egli fece sedere il Dejana accanto al fuoco, gli battè una mano sulla spalla e si curvò ad esaminargli il piede slogato.

—Adesso viene ma nipote; la manderò subito a chiamare la maestra Saju…. Tu la conosci?—domandò al capo-macchia. —Quella è brava ad accomodar le ossa!

Il forestiere accennò di sì; conosceva quasi tutti, a Nuoro.

Intanto il Dejana raccontava le sue disgrazie di viaggio, la vana ricerca del fantastico cavallino, lo slogamento del piede, i modi da turco del vetturino, l'ajuto insperato del signor Bruno Papi, signor Bruno, vero?

—Bruno, solo Bruno,—rispose il capo macchia, respingendo il bicchierino di acquavite che Antoni Maria gli offriva.

—Tu devi bere, com'è vero Cristo. Altrimenti mi offendo!

—Mi dispiace, non posso. Sono astemio.

—Che uomo sei tu, allora? Scommetto che ti piace il caffè come alle donne.

—Mi piace, sì!

—Non ne ho! Se tu però ritorni, più tardi, faremo i maccheroni. Quelli almeno ti piacciono!

Bruno capì che doveva andarsene; si alzò quindi, strinse la mano al Dejana e gli disse:

—Non portrò forse ritornare fino a stasera; così le darò una risposta.

—Che risposta?—domandò Antoni Maria al suo ospite appena furono soli.

—Te lo dirò poi. Adesso, raccontami….

—Non fidarti del forestiere!…—ammonì Antoni Maria.—Che cosa gli hai raccontato? Quella è gente che non sa tenere segreti; e tu lo sai.

—Io non ho segreti.

—Gli hai detto che te l'ho scritto io, di venire? Questo era un segreto.

—E questo appunto gliel' ho nascosto!

—Coraggio, allora! Coraggio, Gerusalemme! Qui si tratta di far fortuna.

Ma il Dejana fece un segno di addio con la mano.

—Fortuna? Chi l'ha vista l'ha vista!

Antoni Maria gli si accostò di più, tirandosi fra le gambe lo sgabello su cui stava seduto.

—Ascoltami! Per tre anni siamo vissuti come fratelli, e come a fratello ti parlo. Tu dicevi che, appena libero, saresti andato a Gerusalemme; poi dicevi che volevi farti frate, che volevi morire prima di ricadere in peccato mortale. Io ti dicevo: aspetta, diavolo, c'è tempo per disperarsi.—Ti dicevo sì o no, così? Ora, ecco di che si tratta: Mossiù Perrò vuole dar marito alla sua serva.

—A Marielène?

—A Marielène.

Il Dejana ascoltava attentamente, ma i suoi occhi e il suo viso esprimevano più diffidenza che curiosità; e Antoni Maria se ne accorgeva e parlava fra l'irritato e il sarcastico.

—Tu credevi che io ti chiamassi per aiutarmi in qualche mala impresa? Rassicurati, Gerusalè! Se tu andrai all' inferno, come temi, non sarà per colpa mia. Dicevo dunque: Mossiù Perrò vuol dar marito alla sua serva. Il perchè preciso io non lo so; forse è stanco di lei, forse ha intenzione di tornarsene in Continente e non vuol tirarsela addietro. Tu fingi di non capire? Allora griderò e mi spiegherò meglio. Ohè, uomo, sei tu che devi sposare Marielène Azzèna. Lì correranno soldi.

Predu Maria arrossì, e dopo un momento di silenzio disse con disprezzo:

—Antoni Maria Mò! Perchè ti è venuto in mente l'idea che io voglia vendermi?

—Tu parli come uno scemo che sei! Scusami allora, scusami! Sai cosa devi fare? Devi impiccarti.

—E perchè no?—rispose Predu Maria a bassa voce; e guardò il soffitto, come cercando la trave alla quale appiccarsi davvero.

Allora l'altro ricordò che una volta, in carcere, il Dejana aveva tentato di strangolarsi, e diventò serio, quasi triste.

—Ascoltami, Predu, ragioniamo. Quando eravamo là tu mi raccontavi che prima della tua disgrazia avevi conosciuto Marielène ed eri stato più che suo fidanzato. È vero sì o no, questo?

—È vero.

—Ricordati bene! Tu mi raccontavi che la tua intenzione, da fanciullo, era di farti prete; ma a diciotto anni dovesti interrompere gli studi per restare in casa a proteggere tua madre contro i maltrattamenti del tuo patrigno…. Di fronte a casa tua c'era una locanda: la servetta era Marielène….

—Basta, basta! A chi racconti questa storia? Io la so più di te!

—Aspetta, cristiano! Tu non ricordi tutto! Tu dicevi, quando eravamo là: se torno al mondo sposo la ragazza.

—Se ella si fosse conservata una buona ragazza! Ma io non voglio l'avanzo di un francese, e neppure d'un italiano!

—Stupido! Sai cosa devo dirti? Che ci sarebbero dei nobili, degli avvocati, pronti ad accettare l'affare!

—Senti un po', tu! Perchè allora non te la sposi tu?

—Lo vuoi sapere il perchè? Sì? perchè essa non mi vuole! Ella ha rifiutato persone più degne di me. Ella certo si ricorda di te, mammalucco!

Ma questa notizia, più che rallegrare parve mortificare il Dejana.

L'altro proseguì:

—Predu, non è disonorevole sposare una donna che ha vissuto con un altro uomo. Che noi uomini forse sposiamo la prima donna che tocchiamo? Disonore è lasciarsi tradire durante il matrimonio; allora sì, l' uomo passa per un imbecille, ed è questo il suo disonore. Ma credimi pure, fratello mio, l'uomo non sarà mai tradito, se non vorrà esserlo. Del resto tu dovresti sposarla per obbligo di coscienza, perchè sei stato tu il primo a metterla nella mala via. Ricordati! Dicevi che ne provavi rimorso; dicevi che Dio ti aveva castigato forse per questo tuo peccato.

Il Dejana arrossì di nuovo, ma d'una fiamma cupa, e i suoi occhi si riempirono di lagrime; si battè le mani sulle ginocchia e disse:

—Non tormentarmi! non ricordarmi quei tempi! La colpa è stata tutta del mostro! Se io non andavo in reclusione per colpa sua sposavo la ragazza, sebbene essa fosse già una creatura leggera, altrimenti non avrebbe badato a me! Perchè, poi, essa non ha atteso il mio ritorno? Perchè s'è data a correre il mondo? Ora non posso più!

—Ad ogni modo io ti ho avvertito, e adesso tu fa quello che tu credi; un uomo come te non deve aver scrupoli.

—Io sono un galantuomo!

—Ed io sono un ladro, forse?—gridò Antoni Maria, offeso.—Forse ti consiglio di rubare? Di deporre il falso? Gerusalè, —aggiunse, abbassando la voce e riprendendo il suo accento di filosofo ironico, —sai cosa devo dirti? Che noi siamo quasi sempre disgraziati perchè non sappiamo afferrar la fortuna quando ci si presenta.

—Quello che tu mi proponi non è una fortuna; anzi per me, sarebbe un castigo.

—E prendilo come castigo, allora! Non volevi andare a Gerusalemme? Non volevi ammazzarti? Ebbene, sposa Maria Elène! I soldi della sua dote li darai a me. Ah, no? Vuoi anche i soldi, perchè il castigo sia più duro? Sì, vero? I soldi a te, magari, e le corna a me?…

Il Dejana si mise a ridere, ma subito cercò di cambiar discorso.

—Non mi hai dato ancora tue notizie, —disse, guardandosi attorno.—Che fai, adesso? Mi hai scritto che i tuoi affari andavano bene.

Antoni Maria cominciò a raccontare ciò che gli era accaduto dopo il suo ritorno da « quel luogo ». La sua nonna era una donna del popolo, ma assai benestante, ed essendole morti i figliuoli teneva presso di sè alcuni nepoti, ed anche Antoni Maria era vissuto con lei sino al giorno della sua disgrazia, cioè del suo arresto. Al ritorno dalla casa di pena egli era andato nuovamente a star con lei, ma dopo otto giorni le sue cugine, oramai giovanette energiche come e più della nonna, lo avevano cacciato via. Egli faceva le fiche e sputava, parlando di queste sue cugine; ma si guardò bene dal raccontare a Predu Maria ciò che egli aveva fatto durante quei primi otto giorni dopo il suo ritorno.

—Allora jaja mi ha regalato questo palazzo!—disse, beffandosi della sua casetta. —Per evitare questioni e perchè la gente non mormori, ha permesso a quelle diavole di cacciarmi via; essa però mi vuol bene e pensa a me.

—Beato te, che hai un appoggio! Io sono solo come un cane randagio. Del resto i miei parenti son poveri; che potrebbero fare per me?

—Ma che cosa credi, Gerusalemme? Che io viva alle spalle di una vecchia? Io lavoro, giorno e notte,—disse fieramente Antonio Maria.

—Anche di notte?

—Tu ti burli di me? Tu credi che io non lavori? Di notte, sì, ti dico, e non andando a rubare, intendiamoci!

Egli prese in mano la bottiglia dell'acquavite e la scosse; allora il Dejana capì.

—Tu fabbrichi l'alcool di nascosto? Guadagni molto?

—Eh, non c'è male. Guadagnerei di più se non avessi tanti amici che vengono qui a bere come ad un pozzo!

—Gli amici!—disse il Dejana, pensieroso. —Tu hai degli amici?

—E tu non ne hai? Io chi sono? Un tuo nemico?

Nonostante questa protesta, Predu Maria non si rasserenò.

—Perchè al capo-macchia dicesti che la tua nonna non venderà mai la sua tanca allo speculatore?

—Perchè jaja è caparbia, e le sembra vergognoso vendere una sola piccola unghia di terra. Ella possiede un bosco proprio in mezzo a quelli del Perrò, sul monte Orthobene. Egli vuol comprarlo a peso d'oro, perchè gli è necessario per il passaggio; ma essa piange quando le propongono quest'affare magnifico.

—Ma se lo speculatore vuole ancora comprare altri boschi e altre tanche vuol dire che non ha intenzione di andarsene!

—Pensavi a questo?—disse Antonio Maria, e si rimise a ridere, e riprese a parlare del suo progetto, mentre il suo ospite corrugava le sopracciglia come faceva ogni volta che idee o ricordi tristi gli passavano in mente.

—Io so da fonte sicura che il Perrò vuole a tutti i costi sbarazzarsi di Marielène, e se tu fai presto a presentarti sarai certo il preferito. Che egli se ne voglia andare da Nuoro non son certo; in tutti i modi so che non la vuol lasciare senza appoggio….

—E allora le fabbrichi un muro, al quale ella possa appoggiarsi!

In quel momento una voce lenta e velata chiamò Antonio Maria dal cortiletto, e mentre egli balzava in piedi e diceva: « provvidenza! » una ragazza scalza, di piccola statura, ma ben fatta e quasi procace, vestita in costume e col viso a metà nascosto da un fazzoletto nero, apparve sull'uscio. Vedendo un estraneo si fermò, non stupita, ma come in attesa d'un ordine per avanzarsi, e si levò dal capo e tenne fra le mani un cestino d'asfodelo coperto da una salvietta.

—Ho un ospite, Predichedda1 Piccola pernice., lo vedi? —le disse Antonio Maria.

Ella lo aveva già veduto e le era bastato il primo sguardo per capire di che « razza » egli fosse: e il suo piccolo viso mobilissimo, olivastro e sarcastico, dal naso triangolare, e la sua bocca stretta e gli occhi verdognoli scintillanti come due pezzetti di cristallo, esprimevano nel medesimo tempo rispetto, curiosità, insolenza e pietà verso l'ospite.

—L'hai veduto, adesso?—riprese Antonio Maria, mentre ella, agile e rapida, coi lembi del fazzoletto ripiegati sulla sommità del capo, cominciava a rifare il letto ed a pulire la camera.—Bisogna che tu lo dica alla nonna. Le dirai: Antoni Maria ha un ospite, un bell'uomo, che fa onore a chi l'ospita.

—Ho capito.

—E allora sbrigati: devi subito andare dalla maestra Saju e pregarla di venire qui.

—Intanto potete mangiare quello che c'è,—ella disse.—Un ospite non è poi un lupo!

—Hai una serva spiritosa!—disse il Dejana, mentre Antonio Maria estraeva dal cestino la colazione che ogni mattina la nonna gli mandava.

—Serva mia? No, è mia nipote, e conosce anche il sapore del mio bastone.

—Io sono una parente povera e sono serva di tutti! Però, convenitene, zio mio, senza di me voi morreste di fame e di sete!

—Parla piano, ragazza! Sai che con uno zio come me non si scherza!

—Ah, è vero! perciò tutti hanno paura di voi: persino i gatti!

Continuarono a ingiuriarsi, e pareva scherzassero, pronto però lo zio a prendere il bastone se la nipote eccedeva. Ma Predichedda parlava con calma, con lentezza, quasi per misurare le sue parole, o renderle mordenti, ma non troppo; e quando ella se ne fu andata, Antonio Maria cominciò a lodarne la prudenza, la devozione, la fermezza di carattere, la generosità.

—Se tu le dici: Predichedda, aiutami, ella si butta sul fuoco per te. Adesso, certo, corre dalla maestra Saju.

Mentre l'aspettavano, parlarono di questa maestra, chiamata così non perchè fosse patentata, ma perchè si dava aria di donna colta.

—Per non sposare un contadino, essa sposò un forestiere, un capo-macchia come il tuo amico. Egli era venuto assieme col Perrò, e morì al suo servizio, in seguito alla caduta da un albero. Ora questa vedova ha una figlia, una bellissima ragazzina che sta appunto al servizio dello speculatore, ed è amica di mia nipote.

Predu Maria pensò: « ecco la fonte delle notizie riguardanti Marielène »; ma non espresse il suo pensiero per non ripigliare il discorso che gli dispiaceva.

La maestra non tardò ad arrivare, ed egli trovò che ella aveva davvero un aspetto di donna non comune; alta, colossale, col viso grande e pallido dal profilo aquilino e le labbra e il mento sporgenti, sembrava un imperatore romano travestito da vedova nuorese.

—Dunque, che abbiamo di nuovo?— ella domandò con voce dolce e affettata. —Ti sei storto il piede, Antonio Maria? Bada che un giorno o l'altro ti romperai anche il collo.

—Voi me lo riattaccherete,—egli disse, galante e beffardo.—È questo bravo ragazzo che ha bisogno di voi.

Ella rialzò sui polsi grassi e bianchi i polsini ricamati della camicia, e da buona medichessa si lavò le mani e si spazzolò le unghie; indi pregò il Dejana di stendersi sul lettuccio, ed a lungo, silenziosa e impassibile, gli esaminò e palpò il piede slogato; poi volle un po' d'olio tiepido e una fascia, e per qualche minuto praticò una specie di massaggio intorno all'osso spostato. All'improvviso sollevò le dita unte d'olio, respinse ancora i polsini della camicia e afferrato il collo del piede malato lo tirò come volesse allungarlo.

Predu Maria diede un grido di dolore, e gli parve che ella gli avesse staccato il piede dal malleolo.

—Stia fermo,—ella disse con calma, —perchè grida così? E poi dite di esser uomini! Voi non siete forti che davanti al piacere.

Ma questa sentenza non convinse il paziente, che continuò a smaniare finchè la donna non gli ebbe fasciato il piede e non se ne fu andata.

—Ne avrà per molti giorni?—domandò Antonio Maria, accompagnando la medichessa fino alla strada.

—Se non sta in riposo, sì.

—Allora tornate spesso, e fateci anche un po' di compagnia. O mandateci la vostra piccola Sebastiana.

—Avanzo di forca, Sebastiana non è pane per i tuoi denti,—ella gli disse guardandolo negli occhi.—Chi è quel disgraziato?

—Disgraziato? Quello, se vince una lite che ha coi suoi parenti, sarà un riccone!

Più tardi Predichedda tornò con un cestino di provviste e una brocca d'acqua, e rise vedendo l'ospite a letto.

—Come, per una storta al piede? Io me li sono slogati tutti e due, una volta, ed ho continuato a camminare.

—Perchè tu hai anche le ali,—le disse Antonio Maria, ed ella replicò, ed entrambi ripresero a sbeffeggiarsi a vicenda; poi confabularono a lungo, nella stanzetta d'ingresso, e Predu Maria sentì che spesso pronunziavano il nome di Sebastiana, la figlia della maestra Saju.

Nel pomeriggio Antonio Maria uscì, e l'ospite rimase solo fino al cader della sera. Il fuoco si spense; la pioggia scrosciava sul tetto con un rumore monotono di cascata, e il vento che penetrava dalle fessure faceva cadere dalle travi le ragnatele e la polvere.

Dalla finestruola, nel crepuscolo torbido, si scorgeva la roccia solitaria che sembrava una sfinge di pietra.

Il mal tempo e il luogo triste non impressionavano il Dejana, che era stato in luoghi ben più desolati ed oscuri; ma recandosi a Nuoro egli s'era immaginato che la casa del suo amico fosse più allegra, e sopratutto aveva sperato di trovar subito lavoro e cominciare una nuova esistenza. Invece si ritrovava nel solito mondo equivoco, dove viveva da tanti e tanti anni; e il timore di continuare quella vita lo irritava. Egli si credeva un galantuo mo, e il suo maggior dolore era il vedere che gli nomini lo trattavano in vece come un delinquente; e credeva in Dio, con la semplice fede dell'uomo primitivo, e rispetava i divini voleri, ma aveva paura che anche Lui si sbagliasse nel giudicarlo, tenendo conto solo delle sue azioni e trascurandone le intenzioni.

Nonostante gli ordini della medichessa, verso sera egli si alzò, cercò la bottiglia dell'acquavite, ne bevette alcuni sorsi e sedette accanto al camino spento. Gli parve di star subito meglio; bevette ancora e sentì un improvviso benessere, e si sarebbe addormentato se ad un tratto la voce del capo-macchia non avesse chiesto il permesso di entrare. Quella voce un po'dolce e lenta, che pareva la voce di un buon uomo stanco, finì di confortare il Dejana.

—Avanti! Avanti!

Bruno entrò, sedette accanto al focolare e disse:

—Non ho ancora veduto il Perrò, che è fuori di paese; e neppure so se rientrerà stasera; ma non dubiti, appena lo vedrò gli parlerò di lei.

—Lei è un vero amico!—disse Predu Maria, eccitato dall'acquavite.—Sì, appena l'ho veduto, del resto, pensai: ecco una faccia da galantuomo.

Il capo-macchia non ringraziò neppure.

—Sì! M'è sembrato di trovare un fratello; sì, perchè sono un galantuomo anch'io. Le apparenze ingannano. Io, per esempio…. Ma lei non apprezza i sardi!

Egli stava per fare una confidenza al forestiere; ma s'interruppe e abbassò la testa, mentre Bruno protestava:

—Chi le dice che io non apprezzo i sardi? Tutt'altro! Ma voi potreste fare più di quel che fate; voi siete indolenti: vi lasciate togliere il pane dalle mani, senza protestare. Chi, per esempio, si porta via i tesori delle vostre miniere, dei vostri mari, dei vostri boschi? Basta che uno straniero venga in Sardegna per diventar ricco. Si direbbe che la vostra è una terra di conquista.

Egli parlava con calma, non discutendo nè rimproverando: constatava un fatto, ma pareva lo facesse con una certa soddisfazione, quasi sperasse di prender anche lui parte alla conquista dell'isola.

Ma Predu Maria, che pensava ai casi suoi, preoccupato dalla sua idea fissa riprese:

—Senta, se le dicessero: il Dejana è talmente onesto che ha rifiutato una vera fortuna solo perchè non gli sembrava lecita, lo crederebbe lei? Son certo, non lo crederebbe! Eppure è vero…. e non più tardi d'oggi!

Egli sollevò bruscamente la testa e fissò Bruno: e gli sembrò che un sorriso ironico sfiorasse quel viso pallido che al chiarore del crepuscolo sembrava il viso d'un malato. Quante volte su altri visi, mentre vantava la sua onestà, egli aveva veduto lo stesso sorriso! Senza alzarsi riprese la bottiglia dell'acquavite e bevette ancora.

—Lei non beve! Le piace il caffè!— disse, cercando di imitare i modi sarcastici di Antonio Maria; ma subito si pentì, e tenendo fra le mani la bottiglia che pareva si scaldasse alle carezze di lui, riprese a bassa voce:

—Lei è intelligente, ma anch'io non sono uno stupido. Ho studiato; sapevo leggere il latino. Stamattina lei ha riso, quando io affermai che spesso quelli che sembrano cattivi sono disgraziati. Sì, a quest'ora lei lo saprà: io sono stato dieci anni in un luogo di pena, perchè ho cercato di uccidere il mio patrigno.

Il capo-macchia non diede segno di sorpresa nè di terrore. Per scacciare l'orribile ricordo il Dejana si versò ancora da bere. Egli era già quasi ubbriaco, e capiva ciò che diceva, ma provava uno strano senso di disprezzo verso sè stesso, e pareva che le sua labbra parlassero contro la sua volontà.

—Così è!—disse, dopo un momento di silenzio, battendosi la bottiglia sul ginocchio. —Mossiù Perrò, sì, lui, vuol dar marito a Maria Elena. E quel disgraziato sarò forse io. Lì correranno soldi!

Appena ripetuta questa frase di Antonio Maria, egli trasalì visibilmente, e ricominciò a parlare a bassa voce, quasi rivolgendo il discorso a sè stesso e non alla figura immobile e sempre più incerta nella penombra, che gli sedeva accanto.

—Io i denari non li voglio però, come è giusto Dio. Li rifiuterò, vedrà. Ho pensato e ripensato; e se sposerò la donna lo farò per riparare al passato. Essa è stata la mia amante, prima della disgrazia; e dopo…. essa diceva che avrebbe aspettato il mio ritorno…. ma dieci anni son lunghi, per una donna giovane.

Queste notizie impressionavano il capomacchia più che la storia del delitto di Predu Maria. Egli avrebbe voluto sapere di più, ma frenava la sua curiosità per abitudine e sopratutto per nascondere i suoi pensieri.

D'altronde Predu Maria chiacchierava senza essere sollecitato, raccontando che lo speculatore voleva dar marito a Marielène perchè stanco di lei.

—Ma un marito scelto da lei, di suo gradimento…. Io, forse….

Nel cortiletto risuonò un passo, ed egli s'interruppe e arrossì, come sorpreso a fare una brutta azione.

—Come ad un amico!—mormorò, stringendo la mano a Bruno, e questi si alzò e uscì in fretta, quasi per evitare d'esser trovato lì da Antonio Maria.

Il Dejana li sentì che si salutavano nel portico; Antonio Maria non aveva più voglia di scherzare, come alla mattina, ed entrò imprecando contro Predichedda che non era più tornata e non aveva acceso il lume ed il fuoco. Vedendo l'ospite alzato il suo malumore aumentò. Lo costrinse a rimettersi a letto, e non smise di brontolare finchè non arrivò la maestra, che trovò il malato alquanto febbricitante e irrequieto e per calmarlo gli compose una bibita d'acqua bollita, miele e cipolle. Egli bevette con ripugnanza la strana miscela, e poco dopo cadde in un dormiveglia febbrile.

Le ore passarono. Fuori continuava la pioggia e aumentava il fragore del vento; ma nel camino di Antonio Maria crepitava un buon fuoco, e il sofferente vedeva, o credeva di vedere, attorno al focolare, un gruppo d'uomini dalla figura equivoca. Di tanto in tanto qualcuno di essi balzava in piedi, nero sullo sfondo rossastro della stanza, e gesticolava e si avvicinava al lettuccio. Un altro raccontava con voce triste e monotona la storia del Dejana.

—Egli voleva farsi prete, ma dovette smettere per proteggere la sua famiglia contro il patrigno. Un giorno accadde quello che era inevitabile: Predu Maria Dejana cercò di liberare la sua famiglia dal tiranno, e fu condannato. Il patrigno morì in seguito alle ferite. Una volta in « quel luogo » Predu Maria Dejana tentò di appiccarsi perchè vedeva continuamente in sogno la sua vittima…. Egli è un buon uomo, ti dico: egli si farebbe ancora prete… se lo volessero!…

Gli altri ascoltavano, curvi davanti alla fiamma, o facendo qualche disegno sulla cenere con la punta del bastone; di tratto in tratto scoppiava una risata generale, e il narratore melanconico taceva, non sapendo a che attribuire quella improvvisa ilarità.

Più tardi molti se ne andarono, e in ultimo rimase, con Antonio Maria, solo un paesano alto e svelto, il cui viso pallido dava l'idea di una maschera di cera circondata da una folta capigliatura crespa e da una lunga barba nera.

I due uomini chiusero il portone e la porta, e rimasero a lungo nella stanzetta d'ingresso, dove lavoravano procurando di non far rumore. Dovevano comporre l'acquavite perchè una piccola caldaia bolliva sul treppiede nel camino, e l'odore dell'alcool inondava l'aria.

Finalmente anche il paesano se ne andò; e Antonio Maria, con le maniche rimboccate sulle braccia pelose che odoravano d'acquavite, s'avvicinò al lettuccio e vedendo che il suo ospite teneva gli occhi aperti gli domandò scusa se non lo aveva lasciato dormire, e gli fece sorbire un altro bicchiere di calmante. Predu Maria si addormentò, ma per tutto il resto della notte non fece che sognare affannosamente.

Gli pareva d'essere ancora giovinetto; sua madre viveva ancora, l'agiatezza regnava nella casa. Nella stanza di sopra la tavola era apparecchiata e dalla finestra si vedeva, bianco sullo sfondo grigiastro della montagna, il paese dominato dalla torre scura della chiesetta.

Giù, nella bottega di tele e di panno scarlatto, la madre, donna di antica razza, si indugiava a vendere una berretta sarda ad una vedova ricca e boriosa; ed entrambe si squadravano da capo a piedi, serie e composte.

—Sette pezzas,1 Una pezza vale mezza lira.—diceva la vedova, palpando la berretta.

—Otto pezzas, non un centesimo di meno,—rispondeva Iuanna Dejana, stringendo le labbra sfiorite; e pareva dicesse con gli occhi:—io vendo, ma non ho bisogno di guadagnare perchè sono abbastanza ricca.

E la vedova cedeva, stringendo anch'essa le labbra per significare che le sue ricchezze le permettevano di pagare quattro lire una berretta da regalare ad un servo.

Sulla porta del negozio Narcisa, una bella ragazza quindicenne, guardava se passava qualche studente in vacanza: mentre Predu Maria, sofferente e agitato, andava su e giù, dalla bottega alla stanza di sopra, da questa in un lungo e traballante ballatoio di legno, in fondo al quale s'apriva una camera disabitata, una specie di ripostiglio ove si ammucchiavano mobili rotti, casse, scaffali, libri polverosi, fra cui parecchi messali e Bibbie rosicchiate dai topi, e salteri e breviari già appartenuti ad un suo zio sacerdote.

Predu Maria, che fino a quel tempo aveva sognato di farsi prete, guardava e toccava tutti quei libri con un certo rispetto, indi ritornava sul ballatoio: guardava in un cortile desolato, dove giocavano i suoi fratellini, e rientrava nella stanza da pranzo. Aveva fame; le gambe gli tremavano per la debolezza. Sulla tavola fumava già un gran piatto di ravìoli di cacio fresco e farina, e sul ripiano della credenza stava un cestino di fichi verdi la cui buccia spaccata lasciava vedere la polpa rosea; ma nonostante l'apparenza di benessere che si notava in tutta la casa, egli sentiva una profonda angoscia, come se una malìa gl'impedisse di toccare i cibi e di godere le gioie domestiche. A un tratto s'affacciò alla finestra e vide un cavallo bianco, senza sella, passar di corsa nella strada deserta. Udì il grido di Marielène, la servetta della locanda di fronte, e una voce rauca risuonò nell' interno della bottega.

Egli trasalì. Quella voce di uomo barbaro, che per lunghi anni aveva echeggiato nelle straducole dei villaggi sardi imponendo alle donnicciuole la merce del negoziante girovago—tela, tela cotone e berritas!—risuonava ancora nettissima nel sogno del febbricitante. Egli scendeva nella bottega, e vedeva il terribile Lurisincu, olivastro e scarno come un mauritano, schiaffeggiare le donne e trascinarle per i capelli, urlando spaventevoli improperi contro le sue vittime. Vedendo il figliastro, che tremava come una foglia, il barbaro gli si slanciava addosso…. Già Predu Maria sentiva il terrore della lotta, quando si svegliò tremando. Un sudore ardente lo bagnava tutto; senza aprire gli occhi si sollevò a sedere sul lettuccio, sentì il dolore del piede e riebbe il senso della realtà; ma rimase a lungo immobile, oppresso dai ricordi angosciosi: un popolo di larve lo circondava, e i ricordi lontani si confondevano coi più recenti, e la figura del patrigno, che da morto continuava a perseguitarlo, sedeva accanto al focolare di Antonio Maria e ascoltava pensieroso la storia raccontata da uno della compagnia. E all'improvviso diceva con la sua voce rauca e triste:

—Ero un pazzo, fratelli cari. Dovevano chiudermi nel manicomio, e invece mi hanno chiuso nell'inferno!

Ad un tratto un passo leggiero e un fruscìo di scopa richiamarono l'attenzione di Predu Maria. Egli riconosceva quel fruscìo, quei passetti leggeri simili ai passi delle caprette saltellanti nei boschi. Scivolò dal letto e uscì nel portico: Marielène, ancora piccola come quando era servetta nella locanda, spazzava con un fascio di scope il cortile di Antonio Maria; e i grossi bottoni di metallo, penzolanti dalle maniche spaccate del suo giubboncello, dondolavano e tintinnavano come campanelli.

Vedendo il suo antico amante, ella si sollevò, ma invece di arrossire, come un tempo, si mise a ridere sguaiatamente e gli buttò in faccia un pugno di polvere e di ragnatele. Egli trasalì di nuovo e ritornò ancora alla realtà. Un ragno, caduto dal tetto, gli passava davvero sui capelli e sul viso, tessendovi il suo filo, ed egli lo lasciò fare, tanto era immerso nei suoi pensieri.

Sì, dopo il ritorno da « quel luogo », egli aveva fatto domanda di entrare nel convento di Fonni, dichiarando che prima della disgrazia la sua intenzione era di farsi prete. La domanda era stata respinta, e adesso non gli restava che di sposare Marielène, se voleva far penitenza! Un suo compagno di pena gli aveva detto, una volta, che se non si castigava da sè, anche dopo terminata l'espiazione inflittagli dagli uomini, o si sarebbe ucciso o lo avrebbero ucciso. « Chi di ferro ferisce di ferro perisce ».

Il fato implacabile, al quale egli confusamente credeva, aveva bisogno del suo sangue come di quello d'una vittima.

—La sposerò,—disse a voce alta rimettendosi supino sul lettuccio.

Il ragno rimase schiacciato sul cuscino.

Sebbene non avesse come Predu Maria Dejana ricordi e rimorsi che, simili a punti rossi in lontananza, richiamassero la sua attenzione e lo costringessero a voltarsi indietro, anche Bruno Papi trascorse una notte agitata.

Appena uscito dalla casupola del Moro picchiò alla porta dello speculatore, e disse a voce alta, mentre una testa di donna appariva alla finestra della scala:

—Apri, Sebastiana, sono io.

Una voce fresca e melodiosa rispose:

—Il padrone non è tornato.

—Desidero parlare con la signora Elena.

Sebastiana si mise a ridere, e fra il rumor della pioggia il suo riso trillante ancora infantile ricordò a Bruno i gorgheggi degli usignoli nei boschi umidi della montagna.

—Ora scendo, signorino!

Quando ella aprì, col lume in mano, egli, che dopo la sua partenza da Nuoro non l'aveva più riveduta, spalancò gli occhi meravigliato.

—Sebastiana! Sei tu?

—Bruno, sei tu?—ella disse, rifacendo il gesto e la voce di lui.

In tre mesi ella s'era trasformata: s'era fatta alta come lui, con le forme già sbocciate; e il suo collo nudo, lungo, d'un candore azzurrognolo, e il viso ovale, tutto roseo, le labbra, i denti, i folti capelli neri divisi in due bande uguali, gli occhi turchini a mandorla, pareva mandassero al riflesso del lume raggi e scintille.

Egli la seguì su per la scala umida e stretta guardandola con curiosità e con desiderio.

—Venni anche stamane, ma tu non c'eri. Vidi però Elena, e poco fa la tua mamma. Ma dimmi un po', Sebastiana, come hai fatto a diventar così bella?

—È primavera! I fiori sbocciano!— ella rispose con ironia.

Egli la prese per la vita, ed ella non cercò di svincolarsi, ma arrivata al pianerottolo del primo piano cominciò a gridare:

—Signora Elena! Signora Elena!—ed egli la lasciò, per timore di esser veduto, mentre ella correva su ridendo e tutta la casa echeggiava della sua gioja un po'insolente.

La cucina era all'ultimo piano; e giù per la scala si sentiva l'odore delle vivande misto al profumo del legno di ginepro che ardeva nel camino e ad una puzza di pelli di pecora non conciate, e di sacchi nuovi ammucchiati nell'ingresso e sui pianerottoli della casa.

Per arrivare fino alla « signora Elena » Bruno e Sebastiana attraversarono un andito ingombro di cestini, di bisacce, di bardature di cavallo. Gabbie con uccelli vivi, armi, pelli di faina, teste di cervo e pipistrelli morti stavano appesi alle pareti; in un angolo un fenicottero imbalsamato pareva dormisse, alto e argenteo sulle sue lunghe zampe di bronzo, e tutta la casa, piena di oggetti strani, di recipienti di sughero, di tazze e cucchiaj di corno, ricordava, anche per la puzza di cuojo e di guano che la inondava, le grotte ove si rifugiano i pastori nuoresi.

Quando Bruno entrò in cucina, Marielène, che stava davanti ai fornelli, disse con voce aspra:

—Il signor Perrò non è tornato.

Col cappello in mano e in attitudine rispettosa il capo-macchia mormorò:

—Domani mattina mi devo trovare nella foresta. Bisogna che gli parli stasera appena viene.

—Siediti, allora.

Egli sedette, e Sebastiana gli si avvicinò con l'evidente intenzione di chiacchierare.

—Io non credo che il padrone tardi, tanto più che è raffreddato, e con questo tempo….

—Va e apparecchia,—interruppe Marielène con asprezza; e Sebastiana riprese il lume ed uscì.

Per alcuni momenti il capo macchia e la serva tacquero. Egli avrebbe voluto esprimere la sua meraviglia per il rapido e magnifico sviluppo di Sebastiana; ma ricordava perchè era venuto, e sentiva che quelli non eran momenti da perdersi in vane chiacchiere. Sebastiana era bellissima, ed a lui piaceva anche perchè ella gli sembrava una donna della sua razza; ma un uomo che nella vita ha uno scopo preciso da raggiungere non deve fermarsi a guardare tutte le donne belle che incontra. Egli quindi si scosse dal lieve turbamento destatogli dalla ragazza e guardò Marielène. Piccola e scarna, infa gottata in una specie di vestaglia rossastra, ella andava e veniva con una tazza in mano; ed egli, guardandola, ricordava certe figurine di donne giapponesi vedute sugli affissi delle stazioni ferroviarie: lo stesso viso corto e giallastro, dagli zigomi sporgenti, gli stessi occhietti obliqui, gli stessi capelli neri e duri annodati alla sommità del capo. A giudicarne dai preparativi il pranzo doveva essere per molte persone; non mancava il dolce, di crema al rum, il cui odore vinceva tutti gli altri, e Marielène si dava molto da fare. Bruno, immobile al suo posto, con le gambe accavalcate, il cappello sul ginocchio più alto e le mani sul cappello, pareva avesse paura di r'volgerle la parola; ma a un tratto ella uscì e ritornò con un pajo di pantofole che mise a scaldare accanto al fuoco, ed egli le disse sottovoce:

—Elena, desidero parlarle di una cosa…. Ma mi prometta di non offendersi.

Ella si volse e lo guardò con diffidenza.

—Parla pure!

—Sa con chi viaggiai, la notte scorsa? Con un suo compaesano, che mi domandò di lei…. che mi disse di conoscerla….

—Tutti i miei compaesani mi conoscono!

—Ma quello…. forse….

—Chi è? Chi è?—ella domandò agitandosi.

—Si chiama…. Pietro Maria Dejana.

Ella arrossì, ma disse a voce alla:

—Non lo conosco!

In quel momento rientrò Sebastiana

che andò a riempire una bottiglia d'acqua: passando davanti a Bruno gli sorrise, ma egli non se ne accorse, e uscita lei tornò a fissare Marielène che era diventata nervosa e cupa.

—Che ti ha detto dunque, quell'uomo? Che è venuto a fare?

—Cerca lavoro, e vuole appunto che io lo raccomandi al Perrò…. Devo farlo, Elena?

—Che importa a me? Ripeto, non lo conosco!

—Eppure mi disse….

Egli s'interruppe. Sebastiana correva nell'andito, ed entrò gridando:

—Eccolo!—e senz'altro riprese il lume e si precipitò giù per le scale, mentre Marielène si affrettava a sventolare il fuoco.

Tra il monotono rumore della pioggia, Bruno sentì il passo di un cavallo, e alzandosi come per aspettare in atto rispettoso il padrone terminò la sua frase:

—…. mi disse che doveva sposarsi con lei!

—Con me? Sarà stato ubbriaco!

—Forse! Aveva bevuto quasi mezzo litro d'acquavite.

—Ah, ah, vedi?

Marielène rise nervosamente, ma quando egli aggiunse:—il Dejana verrà a trovarla, —ella gettò la ventola per terra e gli si avvicinò con uno slancio felino, quasi volesse graffiarlo.

—Chi verrà a trovarmi? Chi è, lui, che possa permettersi tanta libertà? Io non lo conosco, ripeto. Lo conosci, tu? Ti ha mandato lui?

—Si calmi!—egli le disse, prendendole una mano.—Non gridi così; neppur io lo conosco!

—E allora, che t'importa?

—Elena, non si offenda…. Sono geloso di lui!

Allora un sorriso di scherno sollevò il labbro sottile di lei e i suoi occhi si oscu rarono.

—Ho capito, adesso!—gridò, mentre Bruno si passava una mano sulla fronte, turbato come se ciò che stava per dire fosse la verità.

—Elena! Lo sapevo che si sarebbe offesa! Ma le giuro che non avrei parlato mai se non avessi incontrato quell'uomo. Da molto io pensavo a lei: eppure…. non le ho mai recato molestia. È vero, sì? le ho mai mancato di rispetto? no. Adesso, però, i discorsi del Dejana mi han fatto perdere la testa…. Egli si mostrava così sicuro del fatto suo! Mi scusi, Elena! Tenga le mie parole come non dette.

Ella ascoltava incerta e diffidente, ma dal suo viso la solita maschera di scherno e di perfidia era caduta, per lasciar posto a una espressione di odio e di curiosità.

—Io non lo conosco,—ripetè, ma con voce quasi dolce.—Anzi, peggio ancora, egli per me non esiste; è un morto; e se lo vedi diglielo pure.

—Se lei vuole, glielo dirò. Ma lei, a sua volta, mi permetta di non dir nulla al signor Perrò. Mi rovinerebbe, giusto adesso che egli ha più bisogno di fiducia in me. Lo sa, m'ha richiamato lui, come capo-macchia. Questo anche, l'idea che la mia posizione è migliorata, mi spinse stasera…. Ma basta…. Adesso non parliamone più. Non mi rovini, Elena. Eccolo!

S'udiva per le scale il passo rozzo e la tosse rauca dello speculatore.

—No, non aver paura!—ella disse, pensierosa ed ironica; e svincolando la mano che egli le aveva ripreso corse incontro al padrone.

—Buona sera, Papi, come va?—gridò lo speculatore, mentre Marielène gli toglieva dalle spalle il fucile e il cappotto bagnato; e battè famigliarmente la mano sulle spalle di Bruno.—Bravo! bravo! Pensavo a te.

Egli era così alto e corpulento che accanto a lui Bruno sembrava un fanciullo: il suo viso rosso, dal profilo duro, ricordava quello di Napoleone III; e nonostante il pizzo e i capelli bianchi egli aveva un'aria giovanile, e lo sguardo dei suoi piccoli occhi azzurri, fissi e quasi immobili, esprimeva la forza, la volontà ferma e palese del dominatore.

—Dunque siamo qui,—disse, sollevando una gamba perchè Marielène gli levasse gli stivaloni infangati, e fece un gesto per scansare Bruno che si offriva ad aiutarla. Erano faccende da donna, quelle!

Curva, col grembiale fra le gambe, ella si morsicava le labbra, e quando gli stivaloni caddero, ripiegandosi come stanchi, accostò le pantofole calde e disse con voce ostile:

—Se vuol mangiare è pronto.

Lo speculatore mise i piedi nelle pantofole e accennò al capo-macchia di seguirlo; ma invece di avviarsi alla sala da pranzo scese al primo piano ed entrò in una vasta camera ingombra di scansie e dal pavimento coperto di pelli di cinghiale. Sedette davanti allo scrittoio e sfogliò alcuni registri.

—Se domani mattina sarà bello tu andrai subito lassù, spero. Adesso ti scriverò un bigliettino per De-Giovanni.

Quando Bruno ebbe fra le mani il biglietto per il capo-macchia che doveva sostituire, il suo viso s'animò di gioia; lo speculatore invece sembrava preoccupato, e aggrottò le sopracciglia, come ricordandosi una cosa sgradevole.

—Domani o al più tardi posdomani io verrò lassù. Vedremo dove sarà meglio quest'anno scavare i forni per il carbone. Tu sai che non siamo riusciti ad avere la tanca della vedova Moro; è un vero guaio, perchè ci toccherà di girare attorno a quel terreno come attorno ad una fortezza.

—Ha tentato ogni mezzo?—domandò Bruno.

E lo speculatore lo fissò, quasi offeso per la supposizione che un uomo come lui potesse non tentare ogni mezzo per arrivare al suo scopo.

—La vecchia è una maniaca; e del resto lo sono tutte, queste paesane benestanti che nascondono i denari e se li lasciano anche rubare piuttosto che tentare una speculazione.

—Ma glieli scoverà bene suo nipote!… —disse Bruno ridendo.—Lo vidi, poco fa, e mi parve di molto in miseria….

—Come, tu l'hai veduto?

Egli parlò vagamente del suo compagno di viaggio, senza dirne il nome, e come lo aveva accompagnato presso Antonio Maria, e riferì il desiderio del Dejana di ottenere lavoro dallo speculatore.

—Bene, bene,—disse questi alzandosi. —Adesso andiamo a tavola,—e siccome Buno si schermiva, lo prese famigliarmente per il braccio e lo condusse nella sala da pranzo.

Confuso e felice, il capo-macchia sedette alla tavola del suo padrone, e Sebastiana, che serviva come una perfetta cameriera, si curvò al suo fianco e gli offrì il piatto e gli versò da bere.

Egli credeva di sognare: il pranzo era succulento e abbondante, il vino era forte; il padrone mangiava e rideva, rivolgendo parole scherzose alla giovane serva, e nei momenti in cui questa era assente, parlava dei suoi affari e dei suoi progetti come se alla sua tavola sedesse, non un povero carbonaio, ma uno speculatore fortunato come lui.

Marielène non apparve mai nella sala da pranzo, e quando Sebastiana sparecchiò, il vecchio riprese a parlare della tanca Moro e della nonna di Antonio Maria.

—Sono stato da lei non più tardi d'avant'ieri; ella sta accoccolata davanti a un focolare fumoso, in mezzo alla cenere, e sembra una préfica mummificata, ricoperta da una crosta di fuliggine. Intorno girano le nipoti, ardite, belle, ma ignoranti come giovanette barbare; esse mi guardavano tutte, nonna e nipoti, come un nemico che fosse andato là per un armistizio. Quando dissi alla vecchia: la tanca vi rende, ma poco, mentre con la somma che io vi darei potreste farvi una bella casa o coltivare meglio un vostro podere; essa mi fissò con uno sguardo ironico, e una delle nipoti disse solennemente: ma soldi ne abbiamo, grazie a Dio!

—Forse il nipote….—insistè Bruno.

Ma il padrone non rispose, e gli offrì un sigaro, che egli accettò ma non osò accendere; e per alcuni momenti entrambi tacquero, mentre la stanza si riempiva di fumo odoroso. Finalmente lo speculatore si tolse il lungo sigaro di bocca, ne scosse la cenere e disse:

—Non ci sarebbe che un mezzo molto spiccio, per far capire la ragione a quella gente: dar fuoco alla tanca! Ah, ah!

Egli rideva sonoramente del suo scherzo; e Bruno sorrise, ma a sua volta non rispose, poi cambiarono discorso parlando di tutti gli altri affari che urgevano.

Prima di andarsene, Bruno entrò in cucina per salutare le donne, e Sebastiana lo seguì fino alla scala facendogli lume e scherzando con lui.

—Hai sentito come mi sgridava, la tua signora Elena; però non l'ha con me, no! Essa batte la sella perchè non può battere il cavallo,—gli disse sottovoce, quando furono giù davanti alla porta.

—Che? Non va più d'accordo col padrone?

—Essa non va d'accordo neanche col diavolo! È cattiva, gelosa come un cane….

—Ha ragione d'esser gelosa di te!— egli disse, stringendole a lungo la mano e tentando ancora di abbracciarla, ma questa volta ella gli sfuggì, ed egli se ne andò felice ed inquieto.

Pioveva ancora a dirotto, ed egli si ritirò subito e rimase qualche tempo a chiacchierare con la vecchia paesana che gli affittava una cameretta pei giorni in cui egli stava in paese. Mentre filava e il suo piccolo fuso girava e strideva come fosse animato, ella raccontava per la millesima volta un fatto straordinario accadutole qualche anno prima.

—Tu sai che io ho un figlio impiegato, che vive in Continente. In verità, non dico il falso; ci vollero anni perchè Luisi, mio figlio, mi convincesse ad andar a stare con lui. Sua moglie è ricca. È una brava donna! Non ti dico altro: sa parlare anche il tedesco. A dir la verità, la loro casa era piena come un uovo; i pavimenti sembravano specchi, e Luisi e sua moglie mi trattavano come l'oro: io la mattina dovevo stare a letto fino alle nove, e la serva, che aveva il grembiale bianco, mi portava il caffè e i biscotti. Che cosa mi mancava, figlio mio? Dimmelo, se lo sai: non mi mancava nulla. Quando mi alzavo ero costretta a mettermi le scarpe alte. Mio figlio non voleva che io filassi perchè la serva avrebbe riso. Non pensavo a nulla, fiore mio, non facevo niente. Cominciai a bere caffè e caffè: persino trenta tazze al giorno, e forse anche più. Chiamarono il medico, un bell'uomo alto, con gli oc chiali: si chiamava il dottor Cantoni. Egli disse: « Riportatela subito in Sardegna, questa donnina; altrimenti vi muore di nostalgia, o vi scappa di casa come un uccello ». In verità mia, disse proprio così. Era un bravo uomo; ed io gli mandai un pacco d'aranciata; egli mi ringraziò e mi scrisse che avrebbe gradito anche la vernaccia. Gliela mandai; benedetta gli sia ogni goccia. E così ti dico, figlio mio; io ritornai qui. Vuoi che ti dica la verità? I denari, i beni, gli onori servono a niente quando non si ha modo di lavorare, di muoversi, di vivere come si vuole, di andar magari scalzi come i poveretti.

Bruno ascoltava e approvava. Egli voleva bene alla vecchietta, e tutti gli anni le portava un sacchetto di marroni, e spesso le rendeva qualche servigio, visitando un piccolo bosco ch'ella possedeva sul Monte e facendoglielo rispettare dai legnaiuoli e dai ladri di ghiande. Qualche volta le aveva confidato i suoi progetti e raccontato il suo monotono e scialbo passato. Ella aveva conosciuto il nonno, il padre e gli zii di lui, tutti carbonai, anzi i primi carbonai toscani arrivati nel cuore della Sardegna con le loro scuri e i loro badili, come esploratori d'una terra ignota guidati da abili condottieri.

—In quel tempo,—ella raccontava, —i boschi dell'Orthobene arrivavano sino alle falde della montagna, sin quasi alla città. Tuo nonno gli ha fatto la barba, al Monte! Luisi, mio figlio, dice che era meglio lasciarli, i boschi, per l'aria buona, ma allora i denari chi li prendeva?

Mentre la vecchia parlava, Bruno rivedeva la figura secca e forte del suo nonno paterno. Seduto sulla soglia del casolare, all'ombra umida dei boschi del Casentino, il vecchio lavoratore, col gran viso pallido reclinato sul petto, pareva si riposasse dopo i suoi continui viaggi; ma con lo sguardo dei suoi occhietti azzurri ancora vivaci fissava l'orizzonte accennando ai figli ed ai nipoti la via verso l'isola delle foreste. Egli raccontava storie che sembravano fole. Laggiù v'erano uomini quasi selvaggi, che non sapevano lavorar la terra e non ne conoscevano il valore. Bastava che un continentale si stabilisse laggiù per diventar ricco, come se scavando la terra in apparenza così desolata si ritrovassero tesori.

Egli però, che amava andare e venire e non pensava a stabilirsi laggiù, portava molte fole e pochi quattrini. Anche i suoi figli andavano e venivano; Bruno soltanto ascoltava i racconti del nonno con paura e con desiderio. Fin da quel tempo egli amava o meglio sognava i denari come una cosa sacra; ma se gli avessero domandato che intendeva di farne non avrebbe saputo dirlo, perchè la ricchezza era per lui un ideale, come è nella mente dei bambini.

Un giorno anche lui era partito, ma anni ed anni erano passati ed egli non aveva ancora scovato il tesoro. Egli trascinava di foresta in foresta, sotto l'umido cielo invernale, e riportava con sè sull'Apennino, e da questo riconduceva con sè nell'isola, il suo sogno diventato un'idea fissa, innocua e melanconica. La sua vita di lavoro scorreva senza dolori e senza gioie, come la vita di milioni d'altri lavoratori; ma l'idea fissa non lo abbandonava, calma e triste come una fiammella in un luogo funebre.

Ed ecco, ad un tratto, questa fiammella divampava, alimentata da un soffio animatore. Dapprima era stata la lettera dello speculatore, che lo richiamava offrendogli un posto di fiducia; adesso era la speranza di un matrimonio d'interesse.

Quando si mise a letto, nella sua camera decorata da file d'innumerevoli quadretti di lamiera d'oro e d'argento che un frate randagio regalava di tanto in tanto alla vecchietta, sebbene stanchissimo non si addormentò. Ciò che gli succedeva era così nuovo per lui! In fondo sentiva un vago rimorso, o piuttosto un senso di vergogna, per aver approfittato delle confidenze del Dejana, ma il « disgraziato » gli sembrava pazzo più che malvagio, animato verso Marielène da sentimenti poco benevoli. Ella a sua volta lo odiava. Impedire a quei due di avvicinarsi, nonchè di unirsi, era forse un atto di carità. Tuttavia egli non poteva dormire; l'inquietudine, il timore, la speranza lo turbavano.

All'alba era pronto per partire, col suo fagotto in mano e una coperta piegata gettata sulla spalla. Zia Chillina, la vecchia padrona di casa, gli diede una tazza di caffè, sebbene anche lei ritenesse che agli uomini forti debba piacere solo il vino e l'acquavite, e lo accompagnò fino alla porta raccomandandogli di recitare un'avemaria per conto suo quando sarebbe passato davanti alla chiesetta del Monte.

Il tempo s'era rasserenato. Solo sopra Oliena le ultime nuvole cadevano come nascondendosi fra i crepacci dei monti bianchi e rosei al chiaror dell'aurora.

Nel silenzio delle straducole gli scarponi di Bruno risuonavano come ferri di cavallo. Passando davanti alla casupola del sambuco egli vide Antonio Maria intento ad abbeverare un cavallo e si fermò e lo salutò.

—Buon giorno! Come va il Dejana?

Antonio Maria, che fischiava per incitare il cavallo a bere, sollevò gli occhi e disse con aria beffarda:

—Quello dorme. Cosa credi, che una storta possa avvilire un uomo?

Bruno s'accomodò la coperta sulle spalle, indifferente, e riprese:

—Si può parlargli?

—Ti dico che dorme.

—Allora…. diteglielo voi: ho fatto la sua raccomandazione al Perrò; fra giorni avrà la risposta.

—A chi l'hai fatta? Al Perrò o alla serva?

Bruno gli volse le spalle e se ne andò senza rispondere; nello stradale di Orosei vide Sebastiana con un'anfora di creta sul capo e la tunica avvolta intorno alla persona snella ed elegante. Ella scendeva a passi lenti verso la fontana, e pareva aspettasse qualcuno o si attardasse a contemplare la grande vallata tutta rorida e odorosa come un immenso fiore appena dischiuso.

—Ti sei alzata presto, stamattina!— egli disse raggiungendola.—Andiamo, vieni lassù con me?

—Come sei stupido!—ella rispose sorridendogli, mentre i suoi occhi si riempirono di luce come riflettendo lo splendore dell'orizzonte.

—Dimmi, Sebastiana, che hai fatto in tutto questo tempo?

—Ho cresciuto!

—Questo lo vedo bene! Ma che altro, che altro? Che è il tuo damo?

—E chi mi vuole? Son povera.

—Ma sei bella.

—Malanno ti colga, non dir bugie, tu! Sono brutta e povera, lo so. Ah, se fossi ricca!

—Che faresti?

—Ah, certo, non mi alzerei all'alba e non andrei scalza alla fontana! Starei a letto fino a mezzogiorno, e mi farei servire la cioccolatta e l'uovo sbattuto.

—E poi?

—Poi mi alzerei e starei alla finestra, e nel pomeriggio andrei in chiesa, ben vestita, con le scarpette lucide e il moccichino chino profumato; o farei qualche visita alle mie amiche invidiose.

—Senti,—egli disse, guardandola con malizia,—e la notte, che faresti?

—Dormirei, bello!

—Con chi?

—Sola!

—Che vita grulla!—egli disse, prendendo quasi sul serio le parole di lei.— Elena, certo, non la pensa così!

—Quella è una serva!—ella rispose con disprezzo.—Brutta e avara!

—Anche avara? Allora avrà molti denari.

—Io non glieli ho contati!

Egli non insistè, per paura che Sebastiana riferisse a Marielène le sue parole; ma quasi indovinasse i pensieri di lui, ella a sua volta lo guardò in viso e gli domandò:

—Se Marielène fosse ricca tu la sposeresti?

—Se ne fossi innamorato, sì!

—Anche dopo tutto quello che ha fatto?

—E che ha fatto? Ha vissuto con un uomo come fosse sua moglie: egli non poteva sposarla.

—Tu la sposeresti anche se ella continuasse ad aver relazioni con lui?

—Come puoi pensare questo?—egli disse, fermandosi e accomodandosi la coperta sulla spalla.

Erano giunti al punto ov'egli doveva cominciar la salita. Ella sembrava contrariata: di che? delle risposte di lui, o perchè dovevano interrompere il discorso?

—Addio, Sebastiana, abbiamo scherzato: non ripetere le nostre parole, eh?

—Mi prendi per una stupida?

Egli cominciò la salita, fermandosi e volgendosi ogni tanto; ma Sebastiana continuava la sua strada senza voltarsi.

—Sembra impermalita, perchè?—egli si domandò:—è gelosa di Marielène, o è d'intesa con lei? Un anno fa, sei mesi fa, a nessuno passava in mente l'idea che il Perrò potesse permettere ad Elena di maritarsi; se Sebastiana parla come parla, qualcosa di nuovo succede.

Eccitato dall'aria del mattino e dalle sue speranze, mentre di tanto in tanto dai cespugli umidi qualche capra lo salutava con un belato melanconico e il rumore lontano del torrente accompagnava la sua marcia, egli lasciava prender forma ai suoi sogni, domandandosi che cosa avrebbe fatto dopo, se il suo progetto riusciva. Gli sarebbe piaciuto metter su un albergo, o intraprendere una speculazione facile, un'impresa senza rischi, per esempio la fornitura della ghiaia per le strade provinciali. In tutti i casi il suo sogno era di lavorare.

Arrivato sotto il bosco si guardò attorno con occhio esperto, calcolando il valore delle piante, e sembrandogli che se ne potesse ricavare un guadagno maggiore del solito. Egli valutava già il bosco con un istinto da padrone!

In quel tempo l'Orthobene era quasi ancora a metà coperto di boschi; ma il versante orientale, le cui piante appartenevano al Perrò, veniva già diboscato. Grandi estensioni boscose dei versanti nord e ovest aspettavano la medesima sorte; ma lo speculatore non si decideva a cominciare il taglio da quelle parti in attesa che la nonna di Antonio Maria gli vendesse la sua tanca, il cui passaggio era permesso ai pedoni e non ai carri per il trasporto della scorza e del carbone.

Bruno attraversò un angolo di questa grande estensione di bosco, che divideva quasi in due parti le proprietà del Perrò col suo mare di roccie e di verde. Gli alberi, lecci millenari dai tronchi alti e grossi come maestose colonne di ferro, sorgevano così fitti che una specie di crepuscolo regnava sotto le loro chiome compatte; e il suolo era coperto da uno strato di foglie secche annerite dall'umido e qua e là ammucchiate come alghe in riva al mare.

Il globo rosso del sole sorgente sfiorava la linea d'oro del mare lontano, quando egli giunse sopra una muraglia di macigni che in quel punto segnava il confine fra la tanca Moro e la lavorazione Perrò. Si vedeva di lassù tutta la grande vallata chiusa dai monti di Dorgali e di Oliena e la striscia metallica del Cedrino, gli stradali bianchi, i muricciuoli, le linee delle macchie disegnate vagamente sulle distese verdognole e rugginose coperte da un velo azzurro di vapori mattutini.

Egli scese una specie di scalinata di roccie e attraversò un altro bosco ed una estensione di terreno ove il taglio era già terminato.

Quel tratto di montagna dava l'idea di un cimitero; gli avanzi dei tronchi sembravano tombe e croci, e le roccie monumenti funebri; e famiglie di umili vegetali, cespugli di tasso e di rose canine già in fiore, si raccoglievano intorno ai giganti morti, come superstiti sfuggiti alla distruzione e ancora tremanti di terrore.

In lontananza, sopra gli alberi dorati dal sole, serpeggiava qualche filo di fumo e su una specie di terrazza circondata da blocchi di granito sorgevano capanne e tettoie di rami e di frasche. S'udiva l'abbaiar dei cani, il nitrito di un cavallo e il grido delle gazze che lo imitavano.

Uomini dal viso melanconico e dallo sguardo mite, non ostante la scure e il coltello di cui erano armati, popolavano il luogo selvaggio: vestiti con costumi su cui la polvere, il fango e la sporcizia stendevano come una crosta scura, con la faccia e le mani terree, essi sembravano sbucati dal suolo umido del bosco, e alcuni avevano la barba e i capelli rossicci, quasi del colore dei tronchi scorticati che circondavano la radura.

Molti erano già al lavoro e nel silenzio del mattino si sentiva il picchiar delle accette ripetuto dall'eco.

Bruno attraversò la radura, salutando alcuni paesani nuoresi che attaccavano i buoi ai carri già carichi, e s'avvicinò ad una tettoia più solida e riparata delle altre, dove in mezzo ad una gran quantità di sacchi vuoti e di sacchi pieni, un uomo anziano, piccolo e secco ma dall'aspetto ardito, verificava sulla basculla il peso di un mucchio di scorza rossastra e ancora fresca.

—Eccoci qui!—disse Bruno battendogli una mano sulla spalla e consegnandogli il biglietto del Perrò.

—Va benone,—rispose l'ometto, senza scomporsi,—stamattina stessa ti darò la consegna. Ora finisco la verifica dei sacchi.

—Sei contento di cambiare destinazione?

L'ometto fece scherzosamente il saluto militare.

—Contento o no poco importa: bisogna ubbidire ai superiori.

E mentre egli si disponeva a partire per il posto ove il Perrò l'aveva destinato, Bruno cercò la sua antica capanna e vi gettò dentro il suo fagotto; indi ritornò verso la tettoia ed esaminò i registri e i bollettari, contò i sacchi, e infine visitò la dispensa dove i « lavoranti » erano obbligati ad acquistare le loro provviste.

Il dispensiere, arrivato anche lui da poco, salutò famigliarmente il nuovo capomacchia, dandogli del tu e facendogli subito capire che le loro funzioni erano ben diverse e ben distinte. Un capo-macchia è sempre un capo-macchia, un dispensiere di lavorazione può essere anche un nobile decaduto.

—Se non è un nobile spiantato è qualche cosa di simile,—disse il vecchio al nuovo capo-macchia, mentre facevano assieme il giro del bosco.—Dice che suo padre possiede molte miniere, niente meno!

—Perchè allora fa il dispensiere qui? Potrebbe farlo per conto suo!

—Ho sentito raccontare che egli doveva sposarsi: il giorno prima delle nozze sorprese suo fratello e la promessa sposa abbracciati. Ha tentato di uccidersi, ma poi la madre è riuscita a convincerlo di allontanarsi dal loro paese e gli ha procurato questo posto. Ma non sembra contento.

—Ha un viso da disperato, infatti,— disse Bruno, pensando al Dejana e ad Antonio Maria. Sempre le solite storie di uomini deboli e miserabili! Tanto per cambiare, egli domandò al vecchio se sapeva nulla degli affari di cuore del Perrò.

—È vero che egli vuol dar marito a Marielène?

Ma il capo-macchia lo guardò sorpreso.

—È la prima parola che sento! Son quasi dieci anni che stanno assieme, e credevo che non si lasciassero mai….

—Però!—disse a un tratto, ricordandosi, —un giorno…. cioè pochi giorni or sono egli smarrì una busta con una fotografia di donna e la cercava con molta inquietudine. La trovò Lorenzo, il dispensiere, e non gliela restituì. È maligno, quello! E sai chi era la donna?—(egli si volse e un sorriso malizioso increspò il suo viso rossastro e come arrugginito).— Tu la conosci! Se…. bas…. tiana! Taci, però!

Bruno seguì il consiglio e tacque; ma l'intrigo nel quale anche lui s'era cacciato come in una impresa arrischiata, gli apparve chiaro: Sebastiana voleva prendere il posto di Marielène. Egli ne provò un dolore vago, confuso: Sebastiana, così giovane, così bella, perdersi così! Sapeva ciò che si faceva? E sua madre, la maestra, si fidava del Perrò come di un protettore della ragazza!

Per scacciare questi molesti pensieri, partito il vecchio capo-macchia egli rifece da solo il giro del bosco pensando a tutta la responsabilità della sua nuova posizione.

Molti uomini incidevano la scorza e la strappavano dai lecci secolari; e così attaccati ai tronchi ed ai rami essi davano l'idea di vampiri che succhiassero il sangue e la vita ai giganti vegetali. La scorza cadeva a striscie, a brani, ruvida e scura da un lato, giallognola e umida dall'altro. I tronchi, dove si scorgeva il legno rossastro, sembravano solcati da ferite profonde; e l'albero a misura che veniva spogliato e scorticato appariva nudo e triste come un cadavere.

Ragazzi laceri e scalzi, qualche vecchio paesano e qualche donna coperta di cenci raccoglievano la scorza a misura che cadeva dalla pianta, la raschiavano, la spezzavano, riducendola in pezzi che sembravano croste di pane bruciato, e l'ammucchiavano sotto le tettoie. E quasi tutti e quasi sempre tacevano. Anche i ragazzi erano melanconici; e pareva che tutti sentissero per istinto la desolazione che la loro opera lenta e tranquilla produceva.

Verso sera una specie di bivacco si formò intorno alle capanne e alle tettoie, e vennero accesi grandi fuochi il cui chiarore vinse quello del crepuscolo. La notte era fresca come una notte al principio dell'autunno; la luna pallida e triste saliva dal mare, e brividi di vento scuotevano le cime degli alberi scorzati. Nuvole scure attraversavano il cielo e le loro ombre correvano sulla valle rischiarata dalla luna e salivano rapidamente le montagne.

Una voce nasale cantò in lontananza:

Assa bessida 'e s'istella….1 Quando appare la stella….

un'altra voce, dolciastra, imitò il canto dei carbonai toscani:

Addio, mia bella, addio….

e ombre d'uomini passavano nello sfondo rossastro della radura, dove i tronchi e i rami scorzati, al chiaror del fuoco avevano parvenze di membra umane.

Bruno preparò la polenta e mangiò in compagnia del dispensiere, sul rozzo tavolo sotto la grande tettoia rischiarata da un lume ad olio.

—Fa già freddo!—diceva il dispensiere, sebbene fosse vestito di panno e avesse uno scialle intorno al collo.

—Io non lo sento!—rispose Bruno, ma l'altro replicò con disprezzo:

—Tu e la scorza avete la stessa sensibilità!

Egli era un giovinotto magro e malaticcio, cieco di un occhio; e il suo viso pallido e sbarbato, dal profilo sottile, guardato dalla parte dell'occhio sano sembrava il viso di un fanciullo, mentre dall'altro lato appariva triste e bieco come il viso d'un vecchio malvagio.

—Tu, però, farai fortuna, tu,—riprese, vedendo che Bruno non si offendeva. —Ieri carbonaio, oggi capo-macchia, domani sarai anche tu speculatore!

—E perchè no? Gli altri, come hanno cominciato?—rispose Bruno con calma.

—Rubando, si sa!

—Signor Lorenzo!

—Fammi il piacere, chiamami Lorenzo; sei mio superiore! Ma che freddo, stasera! Ha molto piovuto a Nuoro?

—Oh sì!

—Vorrei con me una donna! Ma bella e grassa, che potesse scaldarmi! Potevi portarne su una!

Egli socchiudeva l'occhio sano, quasi per nascondere il difetto dell'altro; e non rideva, e non sorrideva, e Bruno non sapeva se egli scherzasse o parlasse sul serio.

—Eh, sì, ce n'era una, di molto bella, che io volevo portar su, stamane. Ma non volle venire!

—Ma era bella davvero?

—Forse lei la conosce; è la serva del Perrò, Sebastiana.

—Altro che la conosco! Quella sarebbe una bella compagnia…. un po'pericolosa, però….

—Oh, perchè? Perchè?

Bruno desiderava notizie della fotografia smarrita dallo speculatore, ma si accorse che il dispensiere diffidava di lui.

—Perchè? Ma perchè è molto bella e c'è pericolo d'innamorarsene sul serio.

—Che male ci sarebbe?

—Nessuno. Se tu la vuoi, prenditela. Per me non ho difficoltà ad accordartela! Ho sentito dire, però, che sua madre, la conosci? un bastimento, ha minacciato di dar querela per corruzione di minorenne a chiunque osa avvicinare troppo sua figlia! D'altra parte c'è il Perrò che pensa a tutelare la ragazza….

—Dove la vedi, tu?—domandò Bruno pensieroso.

—Dove, figlio mio? A nuoro.

—Tu vai spesso a Nuoro?

—Più spesso che a Parigi.

—Conosci anche l'altra serva del Perrò?

—L'amica, vuoi dire? L'ho veduta due volte; sembra un sorcio morto, puh! C'è una raschiatrice di scorza che le rassomiglia.

Si volse e sputò dietro la sedia, tanto le raschiatrici di scorza gli destavano nausea; e Bruno non ebbe il coraggio di continuare a parlare di Marielène, ma continuò a pensarci. Gli pareva di vederla, con la sua veste rossa e il viso giallognolo; e come suggestionato dalle parole di Lorenzo provava un senso di ripugnanza.

Dopo il pasto i due uomini giocarono alle carte.

—Quanto di posta?—domandò Lorenzo.

—Tre soldi.

—Usano così al tuo paese?

—Usano così.

—Non conoscono la lira, al tuo paese?

—Non la conoscono, ma vengono qui, per conoscerla!

—È vero!—ammise il dispensiere, traendo di tra le pietre del muro a secco un mazzo di carte così sucide che sembravano nere.

Bruno riaccese la sua pipa, accavalcò le gambe e prese le carte ad una ad una, esaminandole attentamente da ambe le parti per accertarsi che non avevano segni particolari; e per qualche tempo i due giocatori tacquero, pensierosi e attenti come se la posta fosse di migliaja di lire. Si sentiva il vento fremere a intervalli, poi il suo rumore cresceva, si avvicinava, diventava cupo e fragoroso come un rombo di tuono, e di nuovo diminuiva e s'allontanava ridiventando un lieve fruscìo. Pareva che un treno attraversasse la solitudine della montagna.

L'indomani arrivò lo speculatore. Gentile e affabile anche con i più umili lavoranti, egli battè la mano sulla testa ai ragazzi e interrogò a lungo i vecchi e le donne che lo guardavano come affascinate; ma ad un tratto vide un sacco che qualcuno aveva smarrito in mezzo al sentiero e cominciò ad urlare come un cane bastonato. La sua voce echeggiava nella foresta e pareva che anche gli alberi ne tremassero. Vestito da cacciatore, con stivaloni muniti di sproni, armato e carico di borse, egli sembrava, sul suo cavallo bajo, un vero conquistatore di terre, mezzo brigante e mezzo cavaliere; e i suoi piccoli occhi metallici guardavano lontano come occhi di falco, ma avevano spesso una fissità di sogno.

Bruno gli andava appresso, guardandolo con ammirazione: ricordava che più di una volta lo aveva invidiato, non per la sua ricchezza, ma per la sua resistenza e la sua attività, e che aveva pensato: « alla sua età, io non sarò che un vecchio invalido, seduto come il mi' nonno sulla soglia d'un casolare », ma quella mattina, seguendolo attraverso la foresta, sentiva come un soffio di vita nuova, e quella figura equestre, sullo sfondo dei boschi, di quei boschi secolari che a un cenno di quell'uomo cadevano, gli destava un senso di meraviglia e di gioja. Quello era un uomo di cui bisognava seguir l'esempio!

V'erano giorni in cui Bruno sentiva un vero odio di razza contro tutta la genterella che invadeva la foresta; e i gridi dei carriolantes1 Carrettieri. che incitavano i buoi, le cantilene delle donne, e persino le risate dei ragazzi gli dispiacevano. Egli s'aggirava continuamente intorno ai lavoratori, pesava la scorza, riempiva le bollette: taceva, ma il suo pensiero lavorava come la sua mano. I suoi progetti si facevano sempre più distinti, e propositi dimenticati gli risalivano dal profondo della memoria; l'idea dell'albergo lo tentava, perchè Marielène era una buona cuoca e anche lei non avrebbe certo smesso di lavorare, ma un albergo non può come una speculazione arrischiata formare la fortuna d'una famiglia. La speculazione è la chiave che apre le porte della fortuna, il badile che può strappare alle viscere della terra, a furia di rischi e di sforzi, il tesoro nascosto.

La sera, sotto la tettoja, egli non riusciva a tener completamente segreti i suoi pensieri a Lorenzo, e spesso gli diceva:

—Se io fossi un impresario o uno speculatore mi agiterei, lavorerei e farei lavorare, ma più che il risultato dell'impresa mi piacerebbero gli sforzi e i rischi necessari per condurla a buon termine.

—E finita quella?

—Ne tenterei subito un'altra, più arrischiata, e poi un'altra ancora.

—Vorresti conquistare il mondo, allora! Io, invece, figlio mio, vorrei coricarmi al fresco d'estate, e in un buon letto caldo d'inverno.

—E in primavera?

—In primavera? Andrei a Parigi!

Una sera, dopo che si fu coricato sul suo letto alto, fatto di rami e di un pagliericcio di felci, Bruno sentì una smania, una irrequietudine come se avesse la febbre. Era stanco e non poteva dormire, sentiva il profumo dei ciclamini e l'odore dei funghi, e gli sembrava d'essere ancora lassù, nei suoi boschi, « caporale » in una « piantonaia »; e per scacciare questo vago senso di nostalgia pensava a Marielène, allo speculatore, al suo avvenire. Invano, pensando a Marielène cercava di sfuggire al ricordo di Sebastiana; la figura della fanciulla lo perseguitava, fresca, ridente, voluttuosa. Finalmente si addormentò, ma ella gli apparve anche nel sogno: era venuta nella capanna per cercare la fotografia smarrita dallo speculatore, e frugava fra le felci del paglieric cio, mentre Bruno, sollevato sul gomito, le diceva:—Non ti vergogni? Una bambina quale ancora tu sei dovrebbe essere meno sfacciata. Vattene.

Ella si mise un dito sulle labbra, gli sorrise e sussurrò:

—Tu non capisci niente!

Allora egli tese le braccia, nel sogno, e l'attirò a sè, flessibile, fresca e ridente di amore. E dopo quella sera l'immagine di lei andò a tenergli spesso compagnia, nel silenzio della notte sui monti, ed egli l'accoglieva, ma con melanconia, dicendole che mille e mille ostacoli si frapponevano fra loro.

Ma di giorno, quando ripensava ai sogni della notte, se ne stizziva. Fra lui e Sebastiana, anche se ella fosse stata per lui tenera nella realtà come lo era nel sogno, si frapponeva davvero un ostacolo insuperabile: la volontà di lui. Egli non voleva innamorarsi di lei; e si accorgeva che era la primavera che riscaldava il suo sangue come riscaldava le roccie ed i tronchi!

Gli elci cominciavano a lasciar cadere le foglie vecchie ed a coprirsi di germogli: e tutto il bosco prendeva un colore giallognolo e delicato, come se il sole già ardente lo indorasse coi suoi raggi.

Un giorno il Perrò fece leggere al capomacchia una lettera nella quale Predu Maria Dejaua domandava lavoro e assicurava che il signor Papi poteva dare di lui le migliori informazioni. Bruno protestò.

—Io non lo conosco! Abbiamo viaggiato assieme, ed egli mi raccontò una lunga storia, pregandomi di ottenergli un posto. Se lei ricorda, io gliene parlai, ma in quanto a informazioni io non oso darne…. So che è stato in una casa di pena….

—Va benone!—gridò il vecchio.— Di canaglia ne abbiamo abbastanza!

Ma per scrupolo di coscienza Bruno aggiunse altri particolari.

—Il Dejana è compaesano della signora Elena….

Questo particolare non commosse lo speculatore; c'erano tanti compaesani della « signora Elena » che si raccomandavano a lui! Tuttavia prima di ripartire domandò:

—Quel Dejana, mi dicesti, abita col Moro? È ancora sotto sorveglianza della questura?

—No, deve aver scontato anche la sorveglianza; altrimenti non avrebbe lasciato il sue paese.

—Allora, lo terrai tu, sotto la tua sorveglianza! Mandagli a dire che venga.

Sebbene contrariato, Bruno scrisse un biglietto a Predu Maria dicendogli che finalmente poteva mandargli una buona notizia: « Il signor Perrò, dopo le buone informazioni che io gli diedi sul suo conto, decise di darle lavoro: venga subito ».

Predu Maria arrivò il giorno dopo. Non zoppicava più, ma era alquanto dimagrito, e i suoi occhi parvero al capo-macchia più chiari del solito, come gli occhi di un uomo malato.

—Sono quasi scappato di nascosto,— egli raccontò.—Non voleva che io cercassi lavoro, quel diavolo! Quando seppe che venivo quassù mi ha coperto d'ingiurie: pareva volesse mangiarmi vivo! Ma guarda, se ci vuol pazienza! Adesso dice che non mi guarderà più in faccia.

Egli scuoteva la testa, ma pareva impensierito per il dispiacere dato al suo ospite ed amico.

—Eh, capisco,—disse Bruno con calma, —le relazioni sue col Perrò non sono ottime.

—Ma non è per questo, diavolo! Egli s'infischia dei pregiudizi della sua nonna. È che voleva che io non facessi lo « scorzino ». Ma se non lavoro che cosa devo fare? Devo impiccarmi? Il muratore non lo so fare, e neppure il calzolaio. Il proprietario non è cosa facile farlo! Ah, ah, non è vero?

Egli rideva, col suo riso goffo; ma quando pronunziò le parole « devo impiccarmi » guardò in modo strano i rami dell'albero sotto cui stavano seduti.

Bruno prese un lieve tono di scherzo, sorrise, abbassò la voce:

—E…. quel matrimonio?…

—Ma niente! Quella donna non ha neanche voluto vedermi; ed è proprio diventata una signora. Vado, picchio alla porta: vien fuori una bellissima creatura, l'altra serva, lei la conosce, la figlia della maestra Saju….

—Conosco! Conosco!

—Va bene.—C'è Marielène?—Ora vado a vedere. Chi è lei?—Un suo compaesano. —La ragazza va, ritorna:—non è in casa.—E c'era, così Dio mi assista. —Torno ancora. La ragazza si mette a ridere, io le dico:—Va, e di' a quella signora che c'è un suo compaesano, Predu Maria Dejana.—Ma la ragazza doveva aver già ordine di non ricevermi perchè mi rispose pronta: la mia compagna non è in casa. Mi dispiace, non c'è.—Allora mi sono arrabbiato. Avevo sì o no ragione? Aspetta, te la faccio io, dico fra me. Esco, aspetto che Sebastiana vada fuori, picchio di nuovo; vedo una testa alla finestra, ma nessuno apre. Allora dissi fra me: andate al diavolo tutti; forse è meglio così. Tuttavia, per contentare chi mi aveva messo in mente l'idea di riavicinarmi a Marielène, cercai ancora di vederla e le scrissi. Nessuna risposta. Aspettai che ella uscisse, ma mi dissero che non va mai fuor di casa. Adesso non voglio più sentirne a parlare, voglio vivere tranquillo, onestamente, guadagnarmi un pezzo di pane e mangiarmelo. Tanto, quel che ha da accadere accadrà! È inutile combattere, il nostro destino non è dentro il nostro pugno!

Egli guardò entro il suo pugno, quasi per accertarsi che era vuoto davvero; e per distrarlo Bruno lo condusse nella dispensa, consigliandolo di fornirsi del necessario per la giornata. Predu Maria prese un pane nero, un po' di formaggio e un'aringa, e domandò se c'era acquavite. Ce n'era, ma i lavoranti non potevano prenderne che una piccola quantità per giorno.

Egli dovette contentarsi di questa piccola quantità, e quando seppe che gli veniva segnata a conto, per un valore triplo dell'usuale, sebbene conoscesse la feroce speculazione delle dispense, guardò fisso Lorenzo e disse con disprezzo:

—Il boia si accosti! Vuol dire che l'acquavite è più salata dell'aringa. Neanche a Parigi è così cara la roba!

Invece di offendersi, Lorenzo sollevò le palpebre e fissò il suo grande occhio dolce in viso al nuovo « lavorante ».

—A Parigi si sta meglio che qui, figlio mio!—disse, avvolgendo un pezzo di lardo in una carta unta.—Bisogna che ci decidiamo a viver là! Cosa ne pensi?

—Te lo dirò posdomani!

Bruno aspettava, per condurre il Dejana al lavoro, e nell'attraversare la radura gli fece notare che le raschiatrici sollevavano la testa per osservarli. Predu Maria disse con sarcasmo:

—Forse si accorgono che sono un proprietario caduto in miseria!

Infatti, benchè poveramente vestito egli conservava un aspetto diverso da quello dei soliti scorzini.

—Belle ragazze, eh!—riprese dopo aver guardato le povere donne coperte di stracci. —Non rassomigliano certo a Sebastiana!

—Mi pare che Sebastiana le piaccia di molto!—esclamò Bruno con insolita vivacità.

Allora Predu Maria, che aveva già la scure in mano ma esitava e pareva si vergognasse a cominciare l'umiliante lavoro, gli fece una confidenza.

—Un tempo le donne mi piacevano molto. Ma adesso, psss!—soffiò, e sollevò in alto l'indice roteandolo come per indicare un cirro di fumo che sale e svanisce. —Nè esse mi guardano, nè io le guardo!

—All'amico Antonio Maria piacciono ancora!

—A lui sì! Sarebbero la sua rovina, se egli non fosse già rovinato!…

Parlando del suo amico, il Dejana guardava la scure e corrugava la fronte; e rimasto solo fissò l'albero con uno sguardo pieno di tristezza e di umiliazione. Sì, forse Antonio Maria non aveva torto; quel lavoro, il più umile dei lavori, non era per gli uomini della loro razza. Veramente Predu Maria Dejana aveva un tempo considerato degradante, per un uomo abile e non stupido, qualsiasi lavoro manuale; e adesso, trovandosi davanti al tronco che pareva aspettasse con impassibilità stoica i colpi della scure, egli sentiva tutta la sua degradazione. Per un momento parve che l'albero e l'uomo, discendente di una razza che forse un giorno aveva considerato la pianta quasi come un essere amico e protettore, stessero l'uno di fronte all'altro come due amici diventati nemici.

Ma dopo un attimo di esitazione l'uomo sollevò la scure e pensò:

—Forse anche questo è un castigo.

La pianta fremette e le sue foglie caddero come lagrime. E il picchio dell'accetta di Predu Maria si fuse col rumore delle altre scuri, e a poco a poco egli si abituò, non al suo lavoro, ma alla sua umiliazione.

Cadde la sera; egli sedette davanti a una delle capanne e svolse il fazzoletto ove teneva le sue scarse provviste; ma non aveva fame e sentiva una grande stanchezza, un amaro senso di abbandono: e nessuno degli altri poveri « lavoranti » le cui figure si movevano nel crepuscolo come ombre melanconiche, gli sembrava più misero e più solo di lui. Ma a un tratto una voce lo chiamò: egli balzò in piedi e vide Bruno che passava dietro la capanna e lo invitava a seguirlo. Andarono sotto la tettoia e sedettero intorno al rozzo tavolo su cui Lorenzo aveva già preparato le carte e una bottiglia di vino.

—Lei gioca, Dejana?—domandò Bruno. Lorenzo li guardò e si mise a ridere.

—E datevi del tu, immondezze!

Nonostante le sue ingiurie, i suoi sarcasmi e il suo tono aggressivo, egli riuscì a farsi ascoltare benevolmente da Predu Maria; e come tutte le persone il cui avvenire è oscuro, entrambi parlarono del loro passato. Una volta, da ragazzo, il Dejana era stato con suo padre ad una festa campestre nei dintorni del paese di Lorenzo.

—C'era un vecchio, mi ricordo. Egli aveva una paralisi alla faccia e quando parlava, l'angolo della bocca gli toccava l'orecchio. Ed ecco, la notte prima della festa sognò il Santo, che gli ordinava di calarsi nel pozzo accanto alla chiesa. L'indomani egli vi si fece calare, entro una coffa1 Cesta di virgulti.. La gente si ammucchiava intorno al pozzo come gli acini d'un grappolo attorno al raspo. A un tratto un urlo salì dalla folla: il vecchio, tirato su, appariva livido e gelato e come morto entro la coffa grondante acqua; ma all'improvviso si alzò e si mise a ridere; e la sua bocca non era più storta. Egli era guarito.

Lorenzo ascoltava con attenzione, e il suo occhio brillava di gioia. Tuttavia disse:

—Forse avrai sognato! Io non ricordo questo fatto.

—Tu eri piccolo, allora; ti giuro che il fatto è vero. È stato certo un miracolo, come quelli che accadono a Lourdes.

Al nome di Lourdes Lorenzo si fece pensieroso, e a un tratto, come seguendo un pensiero segreto, disse:

—Se avrò denari, un giorno o l'altro ci andrò.

E gli altri due capirono che egli sperava di riaver miracolosamente l'occhio. Ma dopo un momento egli riprese il suo accento beffardo, e raccontò che una volta, da ragazzetto, aveva pregato e digiunato per ottenere una grazia.

—Anche mia madre andava in pellegrinaggio, coi capelli sciolti, e faceva elemosine per ottenere questa grazia. Niente! Dio non esiste, o è sordo come un badile!

Predu Maria lo fissava coi suoi occhi scintillanti, e sebbene ricordasse che anche lui aveva pregato invano il cielo perchè la sua famiglia venisse liberata dal mostro che la tormentava, disse con fede:

—Egli solo lo sa quello che fa! Altrimenti non sarebbe Dio. Se egli dovesse fare tutto quello che gli domandiamo, sarebbe come un padre che accondiscende a tutti i capricci dei suoi figli.

—Sembri un prete, figlio caro; scommetto che giocare a carete ti sembra peccato mortale!

Infatti era così, ma per non passare per troppo stupido Predu Maria giocò e vinse. La posta dopo la prima sera era aumentata; e Bruno aveva preso gusto a giocare perchè vinceva spesso.

Durante la partita il discorso cadde ancora su Sebastiana, e siccome Bruno ripeteva ciò che aveva sentito raccontare dal capo-macchia anziano, che cioè la maestra Saju minacciava di querela chiunque osasse tentare di sedurre sua figlia, Lorenzo ricominciò a ridere con sarcasmo.

—Oh perchè ridi? Anche tu sapevi questo fatto: o sai forse qualche altra cosa? —insisteva Bruno.

—Io? Niente. Rido perchè ne ho voglia.

Ma il capo-macchia insolitamente irritato cominciò a difendere la maestra Saju e Sebastiana e Marielène.

—Voi fate presto a disprezzare, a sospettare. Elena, per esempio, Elena, per voi è una donna perduta. Secondo me invece, è più onesta di molte mogli legittime. Vive con un uomo onesto, lavora, non fa del male a nessuno. Sappiamo noi quali circostanze l'hanno condotta ad unirsi al Perrò? Secondo me, poi, essa non è una donna felice. Forse la sua esistenza è tutta di sacrificio….

Predu Maria non rispose, ma quando andò a coricarsi, in una delle capanne abbandonate dai toscani, ringraziò il Signore di avergli fatto trovare compagni amabili e onesti come Bruno e Lorenzo. Per qualche momento egli si sentì quasi felice. Dunque c'era della gente onesta che aveva pietà dei caduti, dei vinti; gente che cominciava a volergli bene, a trattarlo come un proprio simile. Egli non disperava di farsi perdonare anche da Dio; gli sembrava che Egli vedesse entro il suo cuore, Egli che guarda attraverso le tenebre degli errori umani come le stelle guardavano attraverso i rami della capanna: e si addormentò facendo buoni proponimenti e dicendo a sè stesso come ad un amico ravveduto:

—Lavorerai, Predu Marì, andrai di bosco in bosco, finchè le forze ti reggeranno. Vivrai sempre così, in una capanna, come gli eremiti. Quando sarai vecchio il Signore penserà a te: non ha pensato anche ad Elia nel deserto?

Ma l'indomani mattina egli s'era appena rimesso al lavoro quando vide passare Antoni Maria a cavallo; e il suo primo movimento fu di abbassare la scure e di cercare di nasconderla quasi avesse vergogna di esser visto a lavorare; ma poi gridò:

—Oh, Antoni Maria, e che non mi vedi? —e siccome l'altro fingeva di non sentirlo gli corse appresso e battè le mani per invitarlo a fermarsi.

Antonio Maria fermò il cavallo e si curvò alquanto sulla sella.

—Ebbene, Gerusalè, ti giova quest'aria fresca?

—Molto. Ho dormito tutta la notte.

—Si vede che il tuo destino era quello di raschiare scorza!

Predu Maria sospirò e imitò il tono sarcastico del suo amico:

—Pazienza! Non tutti possiamo vivere di rendita, come te.

—Immondezza! Sta zitto almeno, se non hai moneta da pagarmi. Lasciami passare!

—Ma dove vai, a quest'ora?

—Sono stato nella mia tanca, e adesso vado dove mi pare e piace.

Predu Maria sorrise perchè sapeva che la tanca Moro non sarebbe mai appartenuta al suo ex compagno di pena; tuttavia seguì con uno sguardo quasi d'invidia quella figura un po'cascante, abandonata con indolenza sulla sella del cavallino energico e risoluto che pareva s'incaricasse di portare il suo cavaliere ove questi voleva arrivare.

—Egli no, non s'abbasserebbe mai a questo! Prima s'impiccherebbe!—pensò tornando al suo lavoro; e gli parve che la scure gli pesasse in mano, e il suo viso riprese la solita maschera di tristezza e di scontento.

Poco dopo passarono di là lo speculatore e il capo-macchia, e il primo domandò a Predu Maria notizie sul suo paese, sui boschi di alcuni proprietari suoi compaesani, e se conosceva la nonna di Antonio Maria Moro.

—Conosco il nipote, che poco fa è passato di qui, dopo essere stato nella sua tanca.

—Come, la tanca è sua?

—Egli così dice!

—Non credo,—disse il Perrò.—Egli non la lascerebbe nello stato in cui adesso si trova. Non è un giovane ignorante.

—Sì,—confermò Bruno.—Quel bosco è in mani di gente stupida; le piante sono troppo fitte e non producono e si guastano inutilmente.

Allora Predu Maria disse con malizia:

—Bisognerebbe diboscare.

—Bravo! Ma la vecchia non permette che si tocchi neppure la ramaglia secca. Un giorno o l'altro scoppierà qualche incendio, —riprese Bruno.

—Il pericolo è più nostro che loro! —gridò lo speculatore allarmandosi.

Ma Predu Maria ebbe l'impressione che quei due recitassero una scena combinata. D'altronde il capo-macchia non tardò a spiegargli francamente che il Perrò gli sarebbe stato grato se lui, Predu Maria, riusciva a convincere i Moro a vendergli il bosco.

—Ma se io non conosco la vecchia! Antonio Maria non mi può vedere, adesso….

Bruno insisteva.

—Noi abbiamo assoluto bisogno della tanca, non tanto per le piante come per il passaggio. Il Perrò s'allarma all'idea di un possibile e probabile incendio; ma secondo me un incendio sarebbe utile per noi; la vecchia si deciderebbe a vendere il terreno….

Una sera Lorenzo, mentre gli altri due discutevano sulla possibilità di questo desiderato incendio, disse tranquillamente:

—Se il Perrò sborsa trecento scudi io trovo l'uomo disposto a dar fuoco alla tanca. Perchè mi guardi così, figlio caro? —domandò a Bruno.—Tu fingi di stupirti, ma sai meglio di me che esistono uomini i quali, non per trecento, ma per trenta scudi, sarebbero disposti a incendiare il mondo. Che ne dici, Predu Maria Dejana?

—Trenta scudi son pochi per un crimine tale.

—Mettiamo cinquanta. Mettiamo cento. Eppoi non si tratterebbe di crimine, perchè il Perrò è disposto a pagare egualmente il valore della tanca. La vecchia Moro non perderebbe un centesimo. Coraggio, Predu Maria Dejà, guadagnati questi cento scudi.

—Puoi guadagnarteli tu,—egli disse con rabbia.

—Io sarei subito sospettato.

—Bruno, allora.

—Egli ha paura!

Bruno non protestò. E pensieri foschi attraversarono la mente di Predu Maria; gli sembrò che quei due fossero d'intesa per indurlo all'atto doloso, perchè egli aveva commesso ben altro crimine, ed a loro doveva sembrare naturale che egli potesse diventare anche incendiario. Perchè allora lo volevano in loro compagnia? Ah, per questo appunto! Egli adesso riusciva a spiegarsi il perchè della loro benevolenza, delle gentilezze che gli usavano. E la sua diffidenza e i suoi sospetti aumentarono, perchè nelle sere seguenti Lorenzo insistè tanto nel suo progetto che persino Bruno lo invitò a finirla.

—Il Perrò è un uomo onesto e tu non devi permetterti di scherzare così.

—E allora digli così: Lorenzo s'impegna di fargli vendere la tanca, ma vuole trecento scudi per la senseria. Non un centesimo di più.

Il Dejana pensava talvolta di avvertire Antonio Maria del fosco progetto del dispensiere; ma un senso di orgoglio e di rancore glielo impediva.

Il suo ex compagno pareva lo avesse davvero rinnegato, e se qualche volta passava di là volgeva la testa dall'altra parte e neppure lo salutava. Egli dunque si sentiva solo, più che non lo fosse stato in « quel luogo ». Scambiava qualche parola con gli altri lavoranti; ma essi erano così miserabili, affamati e pieni di guaj, che la loro amicizia riusciva fastidiosa.

Una notte—le sere si facevano tiepide e i crepuscoli lunghi—egli sentì la sua storia raccontata da un « lavorante » a un gruppo di compagni sdrajati per terra.

—Egli era il più ricco del suo paese…. aveva uno zio prete che calzava sempre calze di seta e scarpe con fibbie d'oro…. Egli era un discolo…. Quando uccise suo padre aveva sedici anni…. E un servo, suo complice, fu condannato all'ergastolo….

La voce pareva uscir di sotterra, quasi flebile, ma lenta e dolce: l'uomo raccontava evidentemente con piacere la fosca storia, travisandola, e Predu Maria si morsicò i pugni, e fu per slanciarsi in mezzo a quegli uomini che dopo la giornata faticosa si assopivano pensando male di lui con voluttà crudele, come i bimbi quando ascoltano una fiaba paurosa; ma poi si ritrasse, quasi spinto dall'onda delle sue solite considerazioni: castigo, penitenza, volontà di Dio e simili cose.

Nelle sere seguenti egli non andò più da Lorenzo.

A quell'ora i lavoranti, buttati qua e là per terra, dormivano e sembravano morti. Anche lui si sdrajava fuor della capanna e ricordava il passato e provava un senso di tristezza come se si trovasse ancora in « quel luogo »: la prigione era grande, per dire il vero, ma era egualmente coperta da una volta grigiastra, circondata da visioni incerte e da muraglie cupe, e popolata di uomini condannati ai lavori forzati a vita.

Egli si addormentava pregando, ma anche in sogno aveva un bel ripetere le solite cose: castigo, penitenza, volontà di Dio…. si sentiva già stanco di quella vita miserabile e pensava che le sue vesti cadevano a brandelli, che la sua biancheria puzzava, e che quasi tutto il suo lavoro veniva scontato dalle note del dispensiere.

Una sera confessò a sè stesso il suo desiderio d'andarsene. Ma dove andare? Gli pareva che il suo destino fosse come la sua camicia: più egli s'ingegnava a rattopparla più quella si strappava. Così, giorno per giorno, finì col convincersi che forse la sua ultima risorsa era il matrimonio con Marielène.

Una domenica ai primi di giugno scese dunque a Nuoro e andò alla messa cantata: nell'uscire di chiesa vide Sebastiana che se ne tornava lentamente a casa, e notò che tutti, uomini e donne, si voltavano a guardarla. Ella aveva qualche cosa che la distingueva dalle altre paesane; camminava dondolandosi, a testa alta, e guardava innanzi a sè con aria sprezzante; e il suo fazzoletto messo con arte civettuola lasciava scorgere alquanto i bei capelli lucenti, e le sue scarpe scricchiolavano. Gli uomini, pure ammirandola, mormoravano al suo passaggio.

Predu Maria fu colpito da quella bellezza un po' insolente, da quella eleganza alquanto affettata, e ricordò i discorsi di Lorenzo e di Bruno; sì, era una bellezza pericolosa, quella di Sebastiana; ma più che dalla bellezza di lei, egli in quel momento fu turbato da un altro pensiero.

—Se io fossi andato da Marielène l'avrei trovata sola!

Affrettò il passo, raggiunse la ragazza davanti al cortiletto di Antonio Maria; e senza sapere precisamente che cosa volesse da lei la chiamò per nome, e quando ella si fermò le strinse la mano, tenendogliela con ostinazione fra le sue.

—Bruno ti saluta,—le disse con malizia, —e tu, non hai nulla da dirmi per lui?

Ella lo guardava con curiosità, e pareva alquanto offesa per la libertà che egli si prendeva: ma quando sentì il nome di Bruno sorrise e con la mano libera afferrò le dita di lui, torcendogliele alquanto per liberarsi dalla sua stretta.

Una donna che passava in fondo alla strada si volse a guardarli.

—Gli dirai, al tuo amico Bruno, che se ha caldo si prenda un bagno d'acqua gelata.

—Vieni qua dentro, chiacchieriamo un po'. Dicono che sei la più bella del mondo, —egli disse, attirandola dentro il cortiletto deserto,—e so che un giovinotto ha il tuo ritratto e che lo tiene sul cuore.

Ella si dibatteva, ma lo seguì fin dietro il portone, domandando a voce alta:

—Chi? Chi?

—Te lo dico se anche tu mi dici una cosa.

—Sì, ma lasciami!

—È vero che Marielène si sposa? Cioè, che il padrone la sposa?

—Questo poi no!—gridò Sebastiana, battendo le mani. Subito però si pentì e aggiunse:—io non so nulla dei fatti loro. Dimmi piuttosto chi è che si vanta d'avere il mio ritratto.

—L'ho detto per scherzo!

—E allora va e corri!

Ella si volse indispettita, ed egli non la trattenne oltre. Senza guardare se Antonio Maria era in casa anche lui uscì e ritornò sul Monte.

La domenica seguente scese ancora, ma andò alla messa bassa e si indugiò in chiesa finchè vide entrare Sebastiana. Il cuore gli batteva come se stesse per compiere una cattiva azione.

Uscì di chiesa e si fermò ancora davanti alla casupola di Antonio Maria, guardando il cavallino baio che sonnecchiava sotto il sambuco fiorito e si sbatteva lentamente la coda sui fianchi. La porta della casina Perrò era socchiusa, ed egli vi passò due volte davanti pensando che il caso favoriva il suo progetto.

Bastava entrare, chiamare; Marielène, sola in casa, sarebbe stata costretta a riceverlo…. e poi? Egli non sapeva che cosa sarebbe accaduto poi, ma si sentiva battere sempre più forte il cuore.

In quel momento una ragazza con un cestino sul capo uscì dal cortiletto di Antoni Maria. Gli occhietti maligni videro subito l'uomo che andava su e giù per la strada, distinsero lo stato indecente delle sue vesti, la malinconia del viso invecchiato.

—E come andiamo, signor Predu Marì? È vivo, o morto?

—Mezzo morto, Predichedda mia! E tu, come vai? E Antonio Maria?

—Lui? Lui sta bene: più s'arrabbia e più ingrassa. Poco fa è uscito, con tutti i diavoli in corpo, dicendo che andava a bastonare le sue cugine; ma credo che per via abbia riflettuto bene. È lui che scappa, quando le vede. Ma lei non entra? Venga.

Egli la fissava senza ascoltarla, con uno sguardo vago e inquieto.

—Che dice di me Antonio Maria?

—Ne parla sempre come di un fratello. Ma venga avanti, le darò un bicchierino di acquavite.

Antonio Maria parlava di lui come di un fratello? Forse era una caritatevole bugia di Predichedda; ad ogni modo egli sentiva che un uomo come lui non aveva alcuna ragione per esser fiero. Entrò dunque, rivide la stanzetta d'ingresso, con le botti, la panca, la brocca; rivide il lettuccio che per tante notti Antonio Maria gli aveva fraternamente ceduto, e sopra il letto un vestito nuovo piegato e lucido. Egli si curvò a guardarlo, appoggiandosi con una mano al ferro del letto e con l'altra palpando la stoffa, mentre la ragazza, senza levarsi il cestino dal capo, gli versava un bicchierino di acquavite. Egli prese il bicchierino e domandò:

—Glielo ha regalato la nonna questo vestito?

—E dunque vuole che glielo abbia regalato io?

—Perchè non lo ha messo, oggi?

—Perchè dice che andava a bastonar le cugine e non voleva sciuparselo. Ci sono grandi questioni in famiglia, appunto per questo vestito. Il bello è che ne vado di mezzo io, sempre, sia tutto per l'amor di Dio! Bene, un altro bicchierino?

Egli bevette un altro bicchierino, e subito sentì il coraggio di dire quello che pensava.

—Senti, per piacere….

—Parli….

—Predichedda, tu devi farmi un piacere; tu me lo farai, lo so. Tu devi lasciarmi indossare questo vestito: fra mezz'ora sarà di nuovo qui al suo posto. Quando saprà il perchè, Antonio Maria non ti sgriderà.

Ella non si stupì: era abituata a vederne e sentirne d'ogni colore. Pensò che Predu Maria poteva indossare il vestito e partire per un lungo viaggio, e l'idea della conseguente rabbia di Antonio Maria, delle cugine, della nonna, la riempì di gioia. A lei non poteva capitarle di peggio di quel che le capitava tutti i giorni.

—Presto, lo indossi. Dove va? A visitare il vescovo?

—No, il sotto-prefetto.

—E la camicia? Vuole una camicia, anche?

Sempre col cestino sul capo ella aprì il piccolo armadio e trasse una camicia di colore, mentre Predu Maria già si levava la giacca.

—Vattene,—egli disse, cercando di scherzare.—Non vorrai vedere un uomo nudo.

—Cristo in croce è nudo,—ella disse, e uscì nel cortiletto, poi nella strada, ove si nascose dietro un angolo di muro, pronta a ricevere i pugni di Antonio Maria pur di assistere alla fine dell'avventura.

Sperava che il Dejana prendesse anche il cavallino, lo inforcasse e partisse per ignota destinazione; ma dopo un momento vide che egli usciva a piedi dal cortiletto e si dirigeva, impacciato e barcollante, alla casa di mossiù Perrò.

Là giunto egli entrò senza picchiare e salì le scale tenendosi alla balaustrata. Nonostante l'aria profumata e calda che penetrava dalle finestre socchiuse, la scala era umida, inondata da un odore di cuoio e di vivande. A un tratto, mentr'egli attraversava il pianerottolo del primo piano, una donna vestita di rosso apparve sull'uscio socchiuso dell'uffico, e una voce aspra domandò:

—Che vuole?

Egli la guardava senza riconoscerla, sebbene gli sembrasse vagamente di aver altra volta veduto quel visetto giallognolo illuminato dagli occhi neri obliqui. Siccome egli s'avanzava senza rispondere, ella alzò la voce:

—Il signor Perrò è fuori di paese…. e non…. Ah!

Diede un grido e si ritrasse: lo aveva riconosciuto.

—Marielè! Ebbene, e come stai? Hai paura di me? Andiamo, stringimi la mano, —egli disse turbato, porgendole la mano attraverso l'uscio socchiuso; ed ella porse la sua, ma le loro dita si sfiorarono senza stringersi, come dita di fantasmi.

—Entra,—ella disse, aprendo l'uscio. —Siediti. Come ti sei invecchiato, Predu Maria Dejà!

Egli sedette impacciato, cercando di nascondere il suo cappello.

—Eh, non avevo ragione, d'invecchiare? Ma anche tu non hai l'aria d'una ragazza acerba. Perchè sei vestita in quel modo? Chi te l'ha fatto quel vestito?

Ella si mise a ridere e guardò il suo grembiale.

—Sono vestita da signora! E tu, non sei vestito da signore?

Sebbene ella parlasse con ironia, egli si accorse che il vestito nuovo di Antoni Maria le imponeva un certo rispetto e la rassicurava.

—Ma io son sempre stato così!—disse, toccandosi la giacca. Si fissarono un momento in silenzio, ed egli ricordò perchè era venuto.—Senti, adesso, Marielène; io ti domando scusa se son venuto così, all'improvviso. Ma desideravo domandarti una cosa: perchè non hai voluto ricevermi, qualche tempo fa, e perchè non hai risposto alla mia lettera? Non venivo a domandarti da mangiare, nè a chiederti denari in prestito; venivo solamente per salutarti; ma tu, non solo mi hai respinto, ma hai persino sparlato di me!

—Questo non è vero! Io non ho nulla da dire contro di te. Son dieci anni che non ci vediamo, e quasi può dirsi che non ci conosciamo più!

—Tu hai detto che ero sempre ubbriaco! M'hai veduto, tu, ubbriaco?

—Ebbene, me lo riferirono!

—Ah, dunque vedi, qualcuno ti ha parlato di me! Dunque vuol dire che un pochino ancora ci conosciamo! Perchè dunque non volevi vedermi? Che male ti ho fatto io? È stata colpa mia se un turbine ci ha travolto come due festuche di paglia?

Ella si nascose gli occhi con una mano: le sue labbra tremavano, ed egli ricordò le parole di Bruno e gli parve che anche lei fosse infelice.

—Non volevo vederti appunto per non ricordare queste cose,—ella disse con dolore;—quando tu me le hai dette ed io le ho ascoltate, che profitto ne ricaviamo?

—Nessuno! Però io te le dico adesso per sfogarmi. Se mi avessi ricevuto subito io non ti avrei parlato così. Che credi che io sia diventato un animale? Povero sì, disgraziato sì, ma beneducato ancora; questo posso dirlo altamente; e tu pure puoi dirlo perchè anche tu sei beneducata.

Ella tornò a guardarlo e accennò di sì: e poichè egli era venuto a farle semplicemente una visita, come da uomo beneducato a donna beneducata, ella credette bene di prender una sedia e sedersi. E come fra persone beneducate in visita cominciarono a far pettegolezzi.

—Io vorrei sapere chi ti ha detto che ero sempre ubbriaco.

—Chi ti ha veduto. Molta gente va in casa del tuo Antonio Maria, mala fata lo guidi, e in un momento tutto Nuoro sapeva che tu eri là, che bevevi acquavite da mattina a sera, che parlavi di me raccontando ciò che è vero e ciò che non è vero.

—Marielè! Ti giuro che io non ho parlato di te che con Antonio Maria e con un'altra persona. Ma questa non può averti detto niente; e sarà Antonio Maria che avrà chiacchierato: io non ci ho colpa.

—Può darsi. Egli è un intrigante, un uomo che vive per dar noia al prossimo.

Dopo essersi sfogata ben bene contro Antonio Maria, ella domandò:

—Tu lavori lassù? Starai molto tempo a Nuoro?

—Questo dipenderà da te.

—Perchè da me?

—Ascoltami…. non adirarti. Io vorrei riparare…. vorrei cancellare il passato. Sono venuto per questo.

—Non ti capisco.

—Vorrei sposarti…. Non ridere….

—Non rido, non rido! Ho voglia di piangere, non di ridere!

Ella non rideva e non piangeva; il suo viso però s'era come coperto d'ombra.

—Tu sei un uomo che capisce la ragione, —disse guardando Predu Maria negli occhi.—Io ti conosco; e tu, a quel che mi sembra, non sei cambiato. Tu non pensavi più a me; dimmi la verità, ma qualcuno ti ha messo in mente di venire a cercarmi. Qualcuno ti deve aver detto: Marielène ha fatto un passo falso, come lo hai fatto tu; non badare a quello che ha fatto lei, e va dritto per il tuo scopo: farai un buon affare.

Egli arrossì, e scuotendosi tutto gridò:

—Tu credi così?

—Io credo che ti abbiano detto così: non altro. Non sei un uomo interessato, lo so; altrimenti, quando eri ricco, non avresti amato me che ero povera. Oh, me lo ricordo bene; ero povera e maltrattata; ero anche brutta, ero peggio d' una povera serva. Lo ricordo, Predu Maria, non ho dimenticato nulla, io; e sempre ti ho benedetto dal profondo dell'anima, perchè mi hai voluto bene, allora! Adesso, se qualche volta mi arrabbio, è perchè tu parli male di me, non sapendo se quello che dice la gente sia vero o no. Cosa ne sanno loro di me? Tu puoi credermi ricca e invece posso essere miserabile, tu puoi credermi felice e invece posso essere disgraziata. Che ne sai tu, di me?

—Io non so nulla, Marielène; ma so questo solo; che se tu credi che io possa riparare son pronto a farlo. Io non voglio denari, sorella cara, io voglio solo liberarmi dal rimorso di averti fatto deviare dalla retta via. Senza di me….

—Senza di te…. la mia sorte sarebbe stata eguale! E del resto è inutile ritornare a guardare indietro! Scoperchia una tomba, tu, e guardaci dentro! Gli avanzi che contiene appartenevano un tempo a persona viva: adesso sono ossa insensibili!

Suo malgrado egli sorrise del macabro paragone; ma benchè sentisse che ella non aveva torto rispose:

—Noi siamo ancora vivi, Marielène! Che dici? Io sono entrato e uscito vivo dalla tomba; tu poi sei tanto viva che ti sei persino vestita di rosso come una maschera.

—Anche al nostro paese, raccontava mia nonna, negli antichi tempi i morti li vestivano di rosso. Basta, senti, Predu, non parliamo più di queste cose. E tu dicevi ch'eri venuto a visitarmi solamente! Ora ti verserò da bere; e tu mi darai notizie del nostro paese.

—No, no, non voglio niente: ho già bevuto!

Ella si alzò, tuttavia, e andò a prendere una bottiglia; allora egli si affacciò alla finestra, inquieto per il vestito; vide Predichedda ferma accanto al muro, col cestino sul capo, e rassicurato si ritrasse e si guardò attorno. La stanza era vasta, piena di scaffali, con due scrittoi ingombri di carte; libri e registri s'ammucchiavano sulle sedie e sulle pelli di muflone che coprivano il pavimento. Ma ciò che attrasse maggiormente l'attenzione di Predu Maria fu una cassaforte foderata di lamine di ferro e cerchiata di liste di acciaio. Egli fece un passo per esaminarla bene; ma a un tratto si fermò pensando:

—Ella mi ha lasciato solo, qui!—e quest'atto di fiducia, per parte di lei, lo colmò di gioia. Era la seconda prova di bontà e di generosità che in quella mattina gli davano le donne.

Marielène rientrò e gli versò un bicch ierino di acquavite.

—Un altro?—disse, con la bottiglia sollevata.

Ed egli ne accettò un altro, ed i suoi occhi diventarono lucidi, e il mondo gli parve ancora popolato di gente buona, di donne generose, di persone disposte a ricever confidenze. Tuttavia sospirò e disse, come riprendendo un racconto già incominciato:

—Così ti dico! Quando ritornai, un anno fa, mia sorella m'accolse con affetto, ma mi fece capire che ben poco poteva aiutarmi. Ben presto me ne convinsi anch'io. Tutto il nostro avere è andato in fumo, tu lo sai; la Giustizia s'è mangiato tutto, ci ha rosicchiato persino le ossa, come un cane affamato. Allora pensai di cercar lavoro, ma là non c'era niente da fare. Ho passato un brutto anno, te lo giuro in mia coscienza. Ah, tu lo sai, sorella cara, io non sono di quelli che vanno di focolare in focolare, cercando storie e bicchieri di vino. Meglio morire…. Morire, sì; forse Dio perdona quelli che muoiono disperati….

—E tu vuoi prender moglie, Predu Maria! Che cosa le daresti da mangiare?

Egli arrossì di nuovo e aggrottò le sopracciglia e scosse la testa con fierezza.

—Oh, perdio, non credermi così disperato, poi! Sono sano; le braccia le ho. Eppoi se mi sposassi con te….

—Ti prego, non parliamone più!

—Eppure pensaci, Marielè! Io so di certo che tu devi maritarti, Marielè! Non credere che io pensi a te per interesse: no, no, cara mia, ti sbagli! Se tu dovessi maritarti pensa a me, se hai cuore. Io ti sposerei anche se tu non avessi neppure camicia. Pensaci!

Ella era diventata pensierosa.

—Tu sei certo che io devo maritarmi! Chi ti ha detto questo? Voglio saperlo.

—E tu, forse, mi dici i tuoi segreti? Dimmi i tuoi e ti dirò i miei!

—Chi non conosce i miei segreti? Vedo che persino tu li conosci! Su, dimmi quello che sai; ti giuro che se c'è qualche cosa di vero te lo confesserò!

—Sentimi,—egli disse, mentre ella si morsicava le labbra per vincerne il tremito, —ti parlerò come in confessione. Però non domandarmi il nome di chi mi ha date queste informazioni. Io so dunque di certo, che il…. tuo padrone vuole andarsene da Nuoro e vuol disfarsi di te; ma prima vuol darti marito.

—Non è vero niente!—ella gridò, e si nascose il viso fra le mani, come per mascherare la sua rabbia e il suo dolore. Egli pensò:

—Adesso l'ho fatta bella!

—Però, intendiamoci, Marielène! ti ripeto ancora che non son ventuo con idee interessate. Io sarei contento se egli ti cacciasse via: ti aspetterei davanti alla porta e ti direi: vieni con me, cara mia; ho un pane? Dividiamolo!

Ella si strinse la testa fra le mani, cacciandosi le dita fra i capelli, e guardò per terra digrignando i denti, mentre egli, pauroso d'essere andato troppo oltre, si alzava dicendo:

—Scusami, se ti ho fatto dispiacere. Ma tu hai voluto che dicessi la verità.

—Tu ora mi dirai da chi l'hai saputo? —ella gridò, sollevando gli occhi minacciosi.

—Oh, questo poi, no, non posso!

Tu l'hai saputo da Antonio Maria! È lui che ti ha fatto venire, è lui che si è preso gioco di te e di me; è lui che ordisce tutta la trama, lui, miserabile sfaccendato! Oh, me la pagherà!

—Marielène, ti giuro, non è lui! Se egli sa qualche cosa gliel'ho confidata io: non molestarlo!

—Allora è una donna!

—Sì, una donna,—egli disse, e sperò che ella si calmasse. Marielène invece gli saltò davanti come una furia e gli strinse le braccia con le sue mani nervose.

—Tu devi dirmi chi è!

—Ma che t'importa? Tu stessa hai detto che tutti sanno i tuoi segreti.

—Tu non uscirai di qui se non mi dirai quel nome. Io lo conosco; ma voglio sentirlo da te.

—Ma, figlia di Dio, io non voglio far pettegolezzi. Non farmi pentire di aver parlato…. di esser venuto….

—Te ne pentirai davvero…. se non dirai quel nome! Parla, dillo! Sono risoluta a tutto.

—Lasciami andare. Ora sei troppo agitata: ne riparleremo un altro momento.

Egli cercava di andarsene, ma aveva paura; ella sembrava fuori di sè, e gridava e lo seguiva, risoluta ad aggrapparglisi addosso come un gatto arrabbiato, e a non lasciarlo finchè egli non pronunziava « quel nome ».

—Marielène! Tu diventi pazza? Lasciami. Fai accorrer gente.

—Sia pure! Vengano! Griderò: dirò:… ecco…. dirò: anche costui sa che mi si vuol cacciare via come una serva…. dopo che ho lavorato…. che ho sofferto!… Tutti lo sanno, tutti! Che cosa ho goduto, io? Sono stata una schiava…. e adesso!… Parla! Di' quel nome.

Ella gridava con voce rauca, incoraggiata dal contegno timido di lui: ed egli sentiva un pazzo desiderio di prenderla a schiaffi, ma la paura di compromettersi lo frenava. Fece un tentativo energico per liberarsi, la spinse verso la scala, supplicò, minacciò:

—Lasciami, figlia del demonio, fammi il piacere, lasciami.

—No, se non dici quel nome. È stata Sebastiana?

—Lasciami! Va al diavolo!

—È stata Sebastiana?

—Ma sì! È stata lei!—egli disse alfine infastidito, e Marielène lo lasciò e cadde rantolando sugli scalini del pianerottolo. Egli scese di corsa, ma quando fu al primo rampante della scala, preso da rimorso sollevò il capo e gridò:

—Non è lei, sai: non è lei!

Nella strada vide Predichedda e Sebastiana che ridevano e confabulavano assieme, forse parlando di lui, e si affrettò alla loro volta.

—Devo dirti una parola, vieni,—disse afferrando Sebastiana per un braccio e attirandola entro la casupola di Antoni Maria.

La gente che ritornava dalla messa li vide entrare nel cortiletto, mentre Predichedda rimasta fuori, al sole, non sorrideva più e guardava alquanto spaurita la sua ombra che aveva una testa enorme.

—Senti. Ho lasciato adesso adesso Marielène. Essa è infuriata contro di te,— disse Predu Maria a Sebastiana.

—Si potrebbe sapere perchè?

—Ma…. non so…. per pettegolezzi. Io le ho riferito ciò che ho sentito dire da molti…. che cioè il Perrò desidera darle marito…. Ella si è messa in mente che sei stata tu a dirmelo…. Sta attenta, quando rientri, perchè ho paura che ti salti addosso….

Sebastiana si mise a ridere, ma impallidì e tese le braccia, coi pugni stretti, come per provare la sua forza; e le sue narici fremevano ed i suoi occhi scintillavano quasi feroci.

—Non mi ammazzerà, certo! Provi solo a toccarmi, provi! È questo che voglio!

Ritornò nel cortile e uscì di corsa battendo i piedi e dondolandosi come una puledra selvaggia quando si prepara a saltare un muro.

Predichedda la chiamò e non ottenendo risposta corse dentro la casupola.

—Che è stato?—domandò al Dejana che sembrava istupidito.—Che è accaduto?

Egli le raccontò confusamente d'essere andato a visitar Marielène, e d'averle riferito scherzando le voci che correvano sul suo conto, e le furie di lei contro Sebastiana.

—Non si preoccupi,—disse la ragazza, —Sebastiana si difenderà e se occorre caverà anche gli occhi alla sua compagna.

Ma egli non si calmò. Disse che avrebbe atteso il ritorno di Antonio Maria, e invece di spogliarsi, come Predichedda desiderava, sedette sul lettuccio e curvò la testa sul petto. Intorno alla sua bocca s'era scavato un solco, e tutto il suo viso esprimeva disgusto e tristezza. Predichedda uscì nella strada, ma ritornò indietro inquieta.

—Signor Dejana, non mi dia un dispiacere; si spogli e ripieghi il vestito.

—Va bene; non dubitare, va pure tranquilla.

In quel breve intervallo Marielène, buttata sulla scala e come atterrata da un male violento, pensava ai casi suoi, ricordando tutto il suo passato come uno che sta per morire e fa un rapido esame di coscienza.

Credente, ma con fede diversa da quella di Predu Maria, ella si riteneva in diritto di disputare anche con Dio, e gli domandava rabbiosamente:

—Ma che ho fatto, io? Che ho fatto perchè debba morire di umiliazione e di rabbia?

Ella sapeva di aver peccato; ma metteva sulla bilancia della giustizia divina i suoi peccati e i suoi patimenti, e trovava che questi superavano il peso dei primi. Le sembrava di non aver mai fatto male a nessuno. Si rivedeva bambina, in una stamberga nera popolata di altri bambini affamati; in un canto stava sdrajato su una stuoja lurida un uomo ancora giovane ischeletrito da una implacabile malattia di nervi; e tutto il suo passato le appariva come una macchia nera, sulla quale ella distingueva solo i visini sporchi dei suoi fratellini e delle sue sorelline, e quel viso d' uomo, giallo, con le palpebre chiuse, livide e tremule, e le labbra grigie che si aprivano e si chiudevano lentamente e continuamente come quelle di un ruminante.

Ella aveva dieci anni allora, e doveva alzarsi all'alba e accendere il fuoco e dar da mangiare ai bambini, e chetarli se piangevano o litigavano, e inginocchiarsi davanti a quell'uomo che le ricordava Gesù Cristo deposto nel sepolcro, come si vedeva sul muro della chiesa, e fargli sorbire qualche cucchiajo di semolino o di caffè.

Sua madre era morta, ed ella la ricordava appena. Era una donna oriunda di Oliena; una lavoratrice che andava sulle montagne per raccogliere scorza di ontano, con la quale faceva una tinta e tingeva l'orbace dopo averlo ammorbidito pigiandolo per ore ed ore come si pigia l'uva.

Una volta, tornata appena da un giro per i villaggi, la povera iscarchiadora1 Pigiatrice. si era buttata sulla stuoja battendo i denti e delirando. Diceva d'aver trovato una brocca piena di monete d'oro, e stringeva le bracca al petto e urlava se qualcuno le si avvicinava. Ella morì così, fulminata dalla febbre perniciosa: dopo una vita di miseria se n'era andata almeno con l'illusione di stringere fra le braccia un tesoro.

A dieci anni Marielène era già seria e pensosa come una donna anziana. Il suo sogno era di proseguire il mestiere di sua madre; ma qualche anno dopo le offrirono un posto di servetta in una piccola locanda, ed ella accettò. L'alberguccio era di fronte alla casa Dejana; ella sentiva gli urli del patrigno di Predu Maria, e quando il terribile uomo entrava nella piccola sala da pranzo dell'albergo e parlava di sua moglie e dei suoi figli come di nemici mortali, la servetta giallognola dai folti capelli neri lo guardava con curiosità e con spavento. Un giorno anche Predu Maria entrò nell'alberguccio, chiamò l'ostessa e si mise a piangere come un bambino. Marielène pianse anche lei, dietro l'uscio. L'ostessa se ne accorse e si mise a ridere e raccontò la cosa al giovine Dejana; ed egli guardò la servetta, le domandò di chi era figlia, poi si recò dal padre di lei e gli portò vino, una coperta, una moneta. Marielène pianse una seconda volta e cominciò ad arrossire quando, mentre spazzava la strada davanti all'alberguccio, vedeva Predu Maria affacciato alla finestra. Una mattina egli la pregò scherzando di spazzare anche davanti alla sua bottega. Ella non rispose, ma lo accontentò; e l'indomani mattina spazzò senza che egli ripetesse lo scherzo. Allora egli scese nella strada solitaria e le disse che per ringraziarla voleva darle un bacio. Così si amarono. Ella aveva sedici anni, egli diciannove; entrambi erano quasi brutti e non erano ardenti, non erano calcolatori; ma si amavano perchè sentivano scambievolmente pietà l'uno dell'altro.

Dopo la catastrofe, Marielène, che non aveva mai pensato di farsi sposare da Predu Maria, a poco a poco si dimenticò di lui. Un forestiere alto e forte, che parlava con voce da padrone e con un linguaggio d'altre terre, smontava di tanto in tanto all'al berguccio, mettendolo ogni volta in subbuglio. Egli era già vecchio, ma la sua fama d' uomo ricco lo circondava come d'un'aureola d'oro, e d'altronde era ancora più forte e vigoroso di tanti giovani che Marielène conosceva; tanti giovani magrolini e di statura così bassa che neppure il re li accettava per suoi fantaccini. Un giorno ella gli servì una pietanza così squisita che egli sollevò gli occhi azzurri distratti e domandò:

—L'hai fatta tu, di', ragazza?

—Missignorìa1 Mia signoria. sì!

—Brava, ti voglio regalare un libro.

Il libro che le regalò era Il Cuoco moderno, e l'ostessa lo sfogliò a lungo e diventò gelosa della servetta.

Ogni volta che Mossiù Perrò scendeva alla locanda, Marielène studiava il libro e preparava una pietanza nuova: e un giorno anche lui domandò di chi essa era figlia, e quanti anni aveva. L'ostessa disse con malignità: « non ha ancora compiuto il ventun anno, » ma egli rispose che voleva domandare ai genitori di lei il permesso di prenderla con sè per cuoca.

L'ostessa predisse a Marielène:

—Tu la finirai male se vai con quel gallo lì!

Ma nonostante i pettegolezzi della sua padrona, Marielène seguì lo speculatore a Nuoro e le parve di cominciare una vita nuova. Il Perrò stava quasi sempre fuori di città e non le dava alcuna molestia, ma una sera d'inverno, dopo che ebbe assaporato con voluttà un buon pranzo preparato dalla giovane cuoca, egli sedette davanti al camino e la chiamò, e quando ella si avvicinò la costrinse a sederglisi sulle ginocchia e le disse:

—Non spaventarti: se tu non vuoi non ti tocco, e domani puoi andartene. So che hai già avuto un amante. Ora sei sola, e anch'io son solo, carina, e non ho figli: mia moglie non ha mai voluto seguirmi; ci siamo quindi separati legalmente, e forse riuscirò a far annullare il nostro matrimonio. Io sono più libero di uno scapolo e lascerò tutti i miei averi a te. Tu hai ventun anni compiuti, adesso, e puoi fare quello che vuoi. Vuoi darmi un bacio?

Ella non rispose; che poteva fare, dove poteva andare? Lasciò che il padrone la baciasse, ma quando egli la condusse nella sua camera e le mise al collo un monile di zecchini, ella, accorgendosi che la collana era fatta di monete, gliela restituì. Non voleva esser pagata.

Passarono gli anni. Lo speculatore non riparlò più di far annullare il suo matrimonio; ma ella viveva nella certezza di passar tutta la sua vita con lui, di raccoglierne l'eredità, e di piangerlo dopo morto come si piange un buon marito. Egli amava le donne, ma ella non era gelosa perchè non era innamorata di lui: d'altronde egli invecchiava, diventava sempre più goloso e casalingo, ed ella s'accorgeva d'essergli sempre più necessaria. Ed ecco, ad un tratto, come il tizzo che sembra spento e dà all'improvviso un'ultima fiamma, egli s'era incapricciato di Sebastiana. Diffidente e astuta, Marielène nascose a lungo la sua gelosia; ma un giorno, fingendo uno scrupoloso interesse per la ragazza che ella aveva quasi allevato, chiamò la maestra Saju e la pregò di ritirare presso di sè la figliuola.

—Io non rispondo più di lei. È troppo bella, e tutti la tentano.

Ma la maestra Saju rispose che non poteva attaccarsi la figliuola alla cintola, e che preferiva lasciarla in casa del padrone, poichè ella era costretta ad assentarsi spesso di casa sua, e avrebbe dovuto quindi lasciar sola Sebastiana.

Ma per salvaguardare in qualche modo sua figlia, ella cominciò a dire a tutti che avrebbe querelato come corruttore di minorenne chiunque avrebbe tentato di sedurre Sebastiana; e Marielène si sentì alquanto tranquilla, ricordando che il Perrò aveva atteso che ella compisse i ventun anni per innalzarla dal grado di cuoca a quello di favorita. Ma fra lei e Sebastiana cominciarono le scene di gelosia, le liti, i pettegolezzi, le perfidie; e un giorno lo speculatore disse che se continuavano a seccarlo le cacciava via di casa tutte e due. Marielène gli domandò perchè non mandava via Sebastiana; egli le diede uno schiaffo.

—Tutte e due! Andatevene!—urlò. Ma nè l'una nè l'altra se ne andarono.

Quando si fu calmato, egli disse a Marielène, che piangeva piegata ai piedi di lui come una schiava:

—Tu non mi vuoi più bene ed hai ragione; tu sei giovane ancora ed io sono vecchio. Se tu mi volessi ancora bene non mi faresti queste scene. Per la tranquillità di entrambi occorre che tu prenda marito; e se conosci qualcuno che ti piace, dimmelo; assicurerò il tuo avvenire.

Ella piangeva e urlava, strappandosi i capelli come aveva visto fare alle prefiche nelle cerimonie funebri del suo paese; ma egli la pregò seccamente di alzarsi e di uscire, ed ella uscì e vide Sebastiana che s'allontanava dopo aver origliato dietro l'uscio.

Dopo quel giorno ella mise in opera tutte le sue arti di amante e di cuoca per tenersi buono il padrone; ed egli mangiava e beveva, ma non si commoveva. Per quanto spiasse, ella non riusciva ad accertarsi se fra lui e Sebastiana esistevano già relazioni intime; ma sentiva che oramai tutto era finito, per lei. La dichiarazione del capo-macchia, l'arrivo di Predu Maria, le voci vaghe che le venivano riferite, tutto la indispettiva: le sembrava che tutti raggirassero contro di lei; e andò da una fattucchiera che sapeva consultare le carte e le carte risposero che tra poco il padrone l'avrebbe abbandonata.

Vedeva la sua rivale entrare spesso nel cortile di Antonio Maria e capiva che là dentro si tramava qualche cosa contro di lei, e per vendicarsi mandò a dire alla maestra Saju che Sebastiana aveva dei convegni amorosi nella casa del Moro.

Il colloquio con Predu Maria finì di esasperarla. Buttata sui gradini della scala ella aspettava il ritorno della rivale, decisa a non lasciarla rientrare. Le sembrava di aver finalmente la prova della perfidia che si tramava contro di lei; e l'odio, la certezza che oramai tutto era perduto, le pungevano il cuore. Si sentiva sola, abbandonata, più misera di quando, bambina, doveva provvedere alla sua di sgraziata famiglia; ma appunto questo senso di solitudine e di abbandono le dava un selvaggio desiderio di lotta, la forza feroce della tigre ferita.

Quando il passo provocante di Sebastiana risuonò su per le scale, ella balzò in piedi, ma subito tornò ad accovacciarsi, mettendosi come in agguato, mentre un brivido di rabbia le faceva battere i denti e il suo volto diventava verdognolo.

—Vattene, senti! Vattene subito,— disse sottovoce, quando Sebastiana le fu davanti.

—Perchè?

—Vattene, ti dico, se non vuoi pentirti. È meglio per te e per me. In questi pochi momenti ho saputo molte cose: ho saputo quello che hai detto e quello che hai intenzione di fare. Ma tu, bella mia, hai fatto male i conti. Può darsi che ti riesca, il tuo progetto, ma può anche darsi che non ti riesca.

—Io non so quello che dici. Lasciami passare e lasciami in pace!

—Tu non rientrerai qui, finchè ci sarò io!

—Tu non sei la padrona, qui! Io non ho fatto alcun male e tu non hai diritto di cacciarmi via.

—Ah, io non sono la padrona? Ora te lo farò vedere. Vattene o ti butto dalle scale.

—Prova a toccarmi!

Marielène tremava tutta e si afferrava alla ringhiera della scala quasi avesse paura di cadere.

—Sebastiana, vattene!—disse, quasi supplichevole.—Ti ripeto, è meglio. Se tu sali un altro scalino io non rispondo di me. Mi vedi? Sono come pazza: e coi pazzi non si ragiona.

—Io non ti ho fatto nulla! Se tu credi ai pettegolezzi peggio per te.

—Io credo ai fatti: credo ai miei occhi! Tu fai del male a te stessa; te ne accorgerai un altro giorno!

—Se faccio del male a me stessa infischiatene! Pensa ai casi tuoi.

—Appunto perchè penso ai casi miei ti parlo così. Io ti ho allevata: io ti ho tenuta sempre come una figlia. Che male ti ho fatto io, ti domando, dimmi, che male? È forse stata tua madre, ad allevarti? Essa ti ha quasi buttato via, non ha mai pensato a te…. Ma tu non ricordi nulla.

—Io ricordo che ho sempre lavorato: tu mi hai comandato, il padrone mi ha pagato. Non ti devo nulla, e non c'è ragione che tu ora mi scacci via.

—Io non ti scaccio,—replicò Marielène, —io ti dico solo che è meglio per te e per me separarci. Vattene adesso che sei ancora in tempo.

—Eh, se vuoi che ci separiamo puoi andartene via, tu!

—Sebastiana! Non provocarmi,—gridò Marielène con uno strido di rabbia; ma subito riabbassò la voce:—tu sei ancora una bambina e non capisci quello che fai. Va da tua madre, ti prego. Tu l'hai già detto a molti, che fra poco doveva andarmene io; ma prima di me devi andartene via tu, da questa casa! Vattene prima che sii contaminata….

Sebastiana si slegò il fazzoletto e lo prese in mano e lo sbattè come il toreadore agita la bandieruola prima di affrontare il toro.

—Contaminata?—urlò con voce cupa. —Io? Io?… Contaminata dal tuo contatto…. solo da questo…. vecchia bestia! Vattene tu! Vattene! Io resterò qui, e ne uscirò solo per sposarmi…. e tu schiatterai….

—Sposarti? Con chi? Col padrone? Ah! Ah!

—No, no, con un altro che a te piace più del padrone. Più giovane, più fresco di lui!

Marielène ricordò allora che Sebastiana si vantava d'essere amata da Bruno.

—Tanto meglio!—disse con ironia,— ma adesso va da tua madre….

—Eh, lascia stare mia madre! Se essa mi ha abbandonato a me stessa, come tu dici, o presso una donna come te, peggio per l'anima sua!

—Come? presso una donna come me? Che hai tu da rinfacciarmi? Ti ho forse dato io i cattivi consigli?

—Ma se dicevi che pensando ai casi tuoi davi avvertenze a me? Proprio tu; donna di dare avvertenze, tu!

Marielène balzò in piedi, guizzante come una fiamma, e si curvò e protese i pugni.

—Non provocarmi oltre, vipera! Io sono una donna onesta, più onesta di te quando ancora eri nel seno di tua madre! Io non mi sono venduta, come tu ti vuoi vendere! Io ho avuto un cuore, mentre tu hai un serpente, in petto! Io non farò la fine miserabile che farai tu! Vattene!

Sebastiana strinse i pugni come per provare la sua forza; buttò il fazzoletto per terra e si slanciò su per i pochi scalini che la dividevano da Marielène, ma vide che questa, invece di aspettarla correva nello studio del padrone e staccava dal muro una pistola, ed ebbe paura e ridiscese di corsa le scale.

Sentì la rivale correrle dietro ansando e mugolando: diede un urlo di terrore e balzò fuori. Marielène chiuse la porta, e nel risalire le scale prese il fazzoletto come un trofeo di vittoria. Per il momento aveva vinto.

La scena fra le due donne era stata così rapida che il Dejana aveva appena finito di spazzolare e ripiegare il vestito di An tonio Maria, e non aveva ancora indossato la sua giacca, quando sebastiana rientrò affannata e gemente.

—Notalo bene!—ella gridò, allungando un dito verso la parete come per indicargli qualche cosa.—Tu sai tutto; tu mi servirai da testimonio!

Egli guardò la parete, ripetendo a sè stesso:

—L'ho fatta bella!

Sebastiana si buttò a sedere sul lettuccio, scoppiò in pianto, e fra i singhiozzi raccontò la scena con Marielène.

—Calmati,—egli le disse.—Si tratta di una sciocchezza. Io sono andato a chiacchierare un po' con lei, che è mia compaesana; le domandai: è vero che hai intenzione di prender marito? Ella insisteva nel domandare da chi lo avevo saputo. Io risposi: da una donna che ti conosce. Ella insisteva: da Sebastiana? da Sebastiana? E non voleva lasciarmi andar via. Io dissi scherzando: sì, da Sebastiana….

Sebastiana, che s'era alquanto calmata per ascoltarlo, ricominciò a piangere ed a strapparsi i capelli, tanto che egli le afferrò le mani e le disse:

—Ma finiscila! Non disperarti così. Io sono mortificato….

Ella lo guardò alla sfuggita: egli era mortificato davvero, e aveva un aspetto così compassionevole e comico nello stesso tempo che ella si mise a ridere fra le lagrime, come fanno i bambini.

—Ma non capisci che quella mi ha cacciata via di casa? Mi rincorreva con la pistola in mano. Tu devi dire al mio padrone che ella mi rincorreva con la pistola in mano per ammazzarmi. Io la denunzierò e tu mi servirai da testimonio.

Queste ultime parole finirono di sbigottirlo. Gli pareva che ella esagerasse e volesse trarre profitto dell'avventura; tuttavia si pentì di non essersi allontanto subito dopo il colloquio con Marielène.

—Non inquietarti così; tu non la denunzierai, —disse, parlando a Sebastiana come ad una bambina.—Io non arrivo a capire bene tutto il fatto; ma mi pare che tu, se fai uno scandalo, abbi a perdere anzichè a guadagnare. Accomoderemo tutto, parlerò con Marielène, e se occorre dirò al signor Perrò come è andata la cosa. Ora calmati e vattene a casa tua.

—Io non ho casa! La mia casa era quella.

—Tu hai una casa, ed hai una buona madre. Calmati e vattene, prima che rientri Antonio Maria. Su, bella, su! Non darmi noie; se tu sapessi quante ne ho già!

E siccome pareva che ella non avesse intenzione di muoversi, anche lui sedette sul lettuccio e le pose una mano sulla spalla. Ricordi vaghi gli passavano in mente; ripensava alle insinuazioni maligne di Lorenzo, a proposito di Sebastiana, e si domandava se ella era ancora pura. Dopo tutto egli era un uomo giovane, e per quanto non amasse le donne, come aveva confidato al capo-macchia, non le odiava al punto di restar insensibile al contatto di una creatura bella come Sebastiana.

—Ma dimmi, perchè non vuoi tornare da tua madre,—le domandò sottovoce.

—Lo vuoi sapere? Ho paura che essa mi bastoni e non mi lasci più uscire di casa. Ah, cosa hai fatto, animale!—gli disse poi, ma non troppo irritata,—mi hai rovinata!

Egli la prese per la vita e le disse, sempre più turbato per il contatto di lei:

—Se vuoi ti accompagno io. Dirò tutto a tua madre, e prenderò io ogni responsabilità….

Ella sospirò, curvò la testa e non rispose; allora egli la strinse a sè e la baciò sul collo nudo. In quel momento la maestra Saju spinse l'uscio e si precipitò dentro la camera gridando:

—Ah, malandata, sei qui dunque?— e prima che quei due avessero tempo di riaversi dalla sorpresa, ella si buttò sulla ragazza, la prese per i capelli e la schiaffeggiò, coprendola di ingiurie crudeli. Il suo viso imponente sembrava quello di un gladiatore in lotta; e la sua rabbia era tale che la bava le colava dagli angoli della bocca fino al petto.

Sebastiana scuoteva disperatamente la testa, sollevava le braccia per difendersi e gridava smarrita:

—Mamma, mamma…., sentite…. sentite….

Predu Maria prese la donna per le braccia e cercò di frenarne i movimenti convulsi; ma anche lui fremeva, e gli sembrava di fare un brutto sogno. Ecco la terza donna contro la quale, in meno di mezz'ora, era costretto a combattere! Ma essa era più forte di lui, e gridava con voce cupa e potente.

—Miserabile, immondezza!… Tu, proprio tu! Dopo che ti ho curato come un figlio! Donne perdute non ce n'erano, al tuo paese, che sei venuto qui a corrompere le ragazze minorenni?

—Ma, santa donna, sentite…. io….

—Mamma, mamma,—singhiozzava Sebastiana,—noi non facevamo alcun male….

Ma la donna non sentiva ragione, e se il Dejana non l'avesse tenuta si sarebbe di nuovo slanciata contro Sebastiana.

—Come, nessun male? Svergognata, taci almeno!… Ho veduto io…. ho sentito io…. E tu, lasciami, pezzente! Ti denunzierò….

—Oh, anche voi! E denunziate pure! —egli disse, mettendosi a ridere.—Ma prima fatemi un piacere, lasciatemi parlare. Io non conoscevo neppure vostra figlia….

—Tanto meglio, allora! Ma lei veniva spesso, qui! Oggi però non è riuscita bene l'avventura….

In quel momento Sebastiana, che si aggirava desolata per la camera, guardò fuori dell'uscio e diede un grido.

—Mamma, mamma,—supplicò,—voi mi rovinate. Tacete! Il cortile è pieno di gente! Viene Antonio Maria….

Antonio Maria rientrava, infatti, meravigliandosi di vedere il suo cortile insolitamente animato.

—Ebbene? E che si vendono torroni, qui? Che c'è?

Una donna gli disse con ironia:

—Pare che in casa tua si siano rifugiati due colombi. Abbiamo veduto la maestra Saju che correva per scacciarli.

Egli la prese per il braccio e la spinse fuori del cortile, accennando con la testa alle altre donne di andarsene; ed appena entrato nella sua camera capì confusamente di che si trattava.

—Perchè questa riunione?—domandò con voce allegra.—Che c'è?

—C'è che la tua casa è un luogo di perdizione, Antonio Maria Mò!—gridò la maestra, minacciandolo coi pugni.

—Abbasso la voce, donna!—egli le disse, guardando ora il viso comicamente mortificato di Predu Maria, ora il viso in fiamme di Sebastiana, e sorridendo con malizia.—Spiegati meglio. Lasciala stare, Predu Maria, tu la strozzi.

Ma appena libera, ella fece atto di slanciarsi ancora contro Sebastiana; allora egli la prese a sua volta per un braccio e la costrinse a sedersi.

—Parla da cristiana, demonia!

—Ti dirò….—ella riprese, ansando,— ti dirò…. già da qualche tempo…. sapevo che questa sfacciata veniva qui…. Già, tu hai una nipotina…. Dio gliela mandi buona…. una buona lana, fior di roba! Questa mattina, poco fa, una persona caritatevole venne a dirmi d'aver veduto Sebastiana entrar qui con un uomo. Son corsa: li ho trovati abbracciati, ho sentito quello che dicevano. Del resto guardati bene attorno: guarda il tuo letto, guarda lo stato in cui loro si trovano….

Era vero; tutto li accusava. Antonio Maria cominciò a minacciarli con la mano e con cenni del capo; ma il suo buonumore acuiva l'ira della donna.

—Ora parlo io,—disse Predu Maria, e raccontò, ma in modo non molto chiaro, la sua avventura con Marielène, e il colloquio con Sebastiana.

—È vero, è tutto vero, sì, sì!—approvava la ragazza; ma la maestra sobbalzava sulla sedia, infuriata, gridando che quei due mentivano.

—Se vi ho veduto io, con queste pupille, —gridò, cacciandosi le dita negli occhi.—Tacete, almeno! Tu adesso verrai con me, malandata, e ti legherò, ti chiuderò come in gabbia, parola di donna onesta! Con te, poi,—disse rivolta al Dejana,—aggiusteremo meglio i conti un'altra volta. Lasciami prima prendere informazioni!

Egli sentì che la sua pazienza era esaurita. Indossò la giacca, prese il cappello, e s'avviò per andarsene; ma prima di uscire disse alla donna:

—Non mi seccate oltre! Voi fate una commedia, ma avete scelto male il commediante: io non so farlo. Andate al diavolo, voi, Marielène, Sebastiana, e il resto….

—Ah, ah!—gridò Antonio Maria.

Il Dejana andò nella stanza d'ingresso, ma quando aprì la porta vide le donne che curiosavano nella strada ed esitò ad andarsene.

La maestra gridava:

—Sebastiana! L'hai sentito, adesso? Prima si è divertito con te, e adesso ti pianta.

Sebastiana si buttò in ginocchio piangendo, con le braccia incrociate sul petto.

—Madre, vi giuro che sono innocente! Oh, Dio mio, sono stanca! Fatemi morire!

Predu Maria sentì il rumore di un corpo che cade, e rientrò nella camera. Ripiegata su sè stessa, con le braccia ancora strette al seno, il viso contro il pavimento, Sebastiana giaceva svenuta. Egli ebbe pietà di lei e aiutò a sollevarla ed a metterla sul letto, ma appena la vide riaprire gli occhi, uscì di nuovo, senza rispondere oltre alle ingiurie della maestra e alle domande ironiche di Antonio Maria, e non si volse neppure nel sentire che il suo ex-compagno diceva alla donna, forse per burlarsi di lui e di lei nello stesso tempo:

—Prudenza, santa donna! Se egli l'ha sedotta la sposerà; ve lo garantisco io!

Egli intanto se ne tornò difilato sulla montagna, e non sapeva se doveva ridere o piangere delle sue avventure. Per sfogarsi imprecava ad alta voce, e dava calci ai sassolini che saltellavano un po' sul sentiero scosceso e gli ricadevano sui piedi. Egli brontolava e pareva si rivolgesse ai sassolini.

—Sempre così, maledetti voi siate! Sempre così, maledetta la sorte che mi guida!

Appena arrivato andò nella dispensa e si fece dare un po' d'acquavite; poi si sdraiò dietro la tettoia e si addormentò. Sognò di trovarsi nell'alberguccio, dove Marielène ancora piccola serviva gli avventori vestiti da rozzi borghesi e i negozianti di bestiame dal corpetto di velluto e i calzoni d'orbace.

Egli beveva acquavite, anzi ne aveva bevuta già tanta che non poteva più muoversi e neppure sollevare le palpebre. Un'angoscia cupa gli pesava sul cuore. Udiva l'urlo del patrigno e sentiva i passi di Marielène che correva spaurita per avvertirlo che qualche cosa di terribile succedeva in casa sua. A un tratto riuscì a sollevar le palpebre e invece di Marielène vide Sebastiana, caduta per terra, in una pozza di sangue….

Si svegliò pieno d'angoscia, ricordò gli avvenimenti della giornata e gli parve che il sogno fosse un cupo avvertimento. Cercò di calmarsi, ma non vi riuscì; sopra la sua testa vedeva il cielo sereno, e un ramo d'elce carico di stelle simili a fiori scintillanti: e la notte era calda, profumata dall'odore del verbasco fiorito, ed egli rivedeva Sebastiana sedutagli accanto, sul lettuccio di Antonio Maria: ella piangeva, ma si lasciava abbracciare e sembrava così innocente!

—Adesso,—egli pensò,—adesso quel diavolo di donnona è capace davvero di tormentarla! Informazioni? Ella vuol prendere informazioni sul conto mio? Te le daranno belle, non dubitare! Eppure….

Eppure non gli sarebbe dispiaciuto di aver una moglie giovane e fesca come Sebastiana, anche con una suocera indiavolata come quella.

Era stanco della sua solitudine, e tanto valeva sposare Marielène che un'altra donna: ma come mantenerla? Farla morire di fame?

Gli veniva da ridere al solo pensarci; ma di un riso amaro, simile a quello di un suo compagno di pena, un burlone che ogni tanto, quando erano in quel luogo, rideva e prendendolo sotto braccio gli diceva:

—Andiamo, usciamo, ti condurrò alla bettola e poi da una donna mia amica. Su, non vuoi venire? Ci divertiremo!

Egli stette sveglio quasi tutta la notte, voltandosi e rivoltandosi sul terreno duro. Sì, la miseria è un carcere, più chiuso d'ogni reclusione: il disgraziato che vi si trova dentro non può uscirne facilmente e i suoi sogni e i suoi progetti son simili a quelli d'un condannato.

L'indomani egli andò nella dispensa, si fece dare ancora dell'acquavite, e disse a Lorenzo:

—Non potresti procurarmi del lavoro nelle miniere di tuo padre?

—Nelle miniere? Non stai bene qui? Stai come un papa e ti lamenti?

—Lasciamo gli scherzi,—disse Predu Maria, preoccupato.—Io voglio andarmene e se tu puoi aiutarmi farai opera buona; perchè qui io non posso più vivere.

Lorenzo trasse la sua scatola di fiammiferi, ne accese uno e lo buttò lontano fuor della capanna.

—Se ti occorrono denari ti basta far così, stupido! Te lo dico perchè se non lo fai tu lo fa qualche altro!

Sulle prime egli non capì; ma a un tratto cicordò e andò via senza rispondere.

Sotto la tettoia Bruno, in piedi accanto alla basculla, pesava un sacco di scorza, e un carriolante, arrivato pochi momenti prima, raccontava l'avventura di Sebastiana, dicendo che Marielène aveva cacciata via di casa la ragazza dopo averla sorpresa in intimo colloquio con Antonio Maria Moro.

—Vedrai che la maestra gliela farà sposare, in fede mia! Dopo tutto lui è un giovane di buona famiglia.

Bruno ascoltava fissando le cifre della basculla, e il suo viso non esprimeva nè sorpresa nè curiosità; ma quando sollevò gli occhi e vide il Dejana arrossì, e con la testa gli accennò di avvicinarsi.

—Tu sei stato a Nuoro, ieri, Che c'è di vero, in questa storia?

—Quale storia?

Il paesano ripetè il racconto. Predu Maria pensava:

—Sta a vedere che Antonio Maria profitta per sè dell'avventura!

—Io non so niente,—disse.—Io son ripartito presto: forse è accaduto dopo!

Bruno riprese con calma:

—Tu raccontavi che Sebastiana piaceva molto all'Antonio Maria.

—Le ragazze belle piacciono a tutti.

—Lampo di fuoco, come sei avveduto! —esclamò il paesano.

Durante la giornata Predu Maria non rivide il capo-macchia. Da un momento all'altro egli s'aspettava qualche messaggio da parte di Antonio Maria o della madre di Sebastiana o del medesimo signor Perrò; messaggio che gli recasse notizie o ingiunzioni; ma aveva la risposta bell'e pronta e la ripeteva a sè stesso:

—Non voglio servire da coperchio, io; son troppo vecchio per far da marito a Sebastiana!

Appena saputa l'avventura, Bruno scese a Nuoro, sicuro di poter pescare qualche cosa in tutto quel torbido.

Era la prima volta che egli abbandonava la lavorazione senza ordine dello speculatore; ma contava di ritornar su dopo qualche ora, e obbediva a un istinto superiore alla sua volontà. Scese rapidamente i sentieri non più umidi come in quella mattina in cui egli era salito sognando un avvenire migliore del passato. All'ombra dei boschi il fieno lieve e delicato si seccava, e dagli alberi che avevan rimesso tutte le foglie nuove cadevano i fiori grigiastri e le ultime foglie secche: la vita nuova cacciava la vecchia; e anche lui sentiva un ardore di ambizione, un fermo proposito di rinnovare la sua sorte.

Andò difilato alla casina Perrò, e siccome Marielène, dopo aver guardato dalla finestra, lo faceva entrare con diffidenza e rimetteva il catenaccio alla porta, egli domandò ridendo:

—E che, Elena, ha paura dei ladri? E Sebastiana?

—Andiamo su; ti racconterò,—ella disse, precedendolo.

Bruno la seguì senza affrettarsi; ma il cuore gli batteva forte. La scala era inondata da un forte profumo di liquore e di cioccolata bruciata; il sole batteva sul pianerottolo e un caldo afoso e un grave silenzio regnavano nella casa.

Egli sedette presso il camino spento, allo stesso posto dove s'era seduto quella sera, ed ella si curvò su un braciere pieno di cinigia, ove si cuoceva un timballo di riso ed anguille. Dai coperti delle casseruole colava il grasso sui fornelli accesi; e tra il sumo prosumato la figurina rossa di Marielène si moveva come in mezzo ad una nuvola.

Bruno era partito prima di far colazione e si sentiva come inebbriato; gli pareva di trovarsi nella cucina d'un grande albergo, e Marielène non aveva tempo neppure di guardarlo, ed egli si sentiva stanco e affamato ma felice perchè gli affari andavano bene….

Dopo aver guardato il timballo Marielène finì di preparare il dolce, e lo versò, lucido e tremolante, su un largo piatto di porcellana; poi si pulì le mani col grembiale e sedette accanto a lui. Sembrava stanca; era invecchiata e i suoi occhi esprimevano una tristezza profonda.

—Dunque, la storia è finita,—disse con amarezza.—Non fingere di non saperlo; chi non lo sa oramai?

—Com'è stato?—egli domandò, scuotendosi dal suo sogno.

—L'ho cacciata via, e a momenti, appena lui sarà qui, toccherà certo a me d'andarmene.

—Elena, mi racconti ogni cosa, e abbia fiducia in me. Se occorre, sono qui per difenderla e per aiutarla.

—Nessuno può aiutarmi! In quanto a difendermi… son buona anch'io! Senti, hai veduto Sebastiana?

—No, affatto. Mi raccontarono che fu sorpresa con Antonio Maria Moro, e che, in seguito fu cacciata via di qui….

—Chi ha detto questo? Il Dejana?

—No, no, lui disse di non saper nulla.

—Ah! Ah! Senti, essa andò da Antonio Maria dopo che io l'ebbi cacciata via di qui. Ciò che è accaduto là non mi riguarda; non ero presente per poter affer mare se la maestra abbia ragione o no. Certo è che da parecchi mesi a questa parte Sebastiana cerca qualcuno che la seduca. Forse riuscirà a trovarlo, forse l'ha già trovato, e ne sai forse qualcosa anche tu!

Egli ricordò infatti il contegno di Sebastiana con lui, ma osservò:

—S'ella avesse davvero cercato avrebbe trovato! E perchè poi?

—A lei, ed a qualche altro, occorre un'ombra sotto la quale ripararsi! Davvero, tu non sai nulla? Lui non ti ha mai proposto di sposar Sebastiana?

—Chi, lui?

Ma prima che ella avesse risposto, egli si battè una mano sulla fronte.

—Elena! È sicura di quel che dice?

—Oh Signore!—ella disse con ironia, —e che c'è da meravigliarsi? Tutto è possibile nel mondo. Del resto era una cosa naturale, e la stupida sono stata io che non ho preveduto prima!

—Ma le prove?

—La prova l'avremo fra qualche ora, appena lui sarà di ritorno. Vedrai, che avverrà di me! Dopo tutto…. dopo tutto…. dopo la mia vita di lavoro e di sacrifizi! Ah, non meritavo questo, te lo giuro come se stessi per morire; io non mi sono venduta a lui; io sono vissuta con lui come la più casta e disinteressata delle mogli! Ed ora piango, non per calcolo, ma perchè mi pare che egli sia morto….

Chinò il viso, se lo coprì col grembiale e scoppiò a piangere: ed egli ebbe pietà di lei e le prese una mano, scostandogliela dal viso.

—Elena, si ricordi che io aspetto da lei una risposta.

Ella continuò a piangere; ma bastarono quelle parole per confortarla; si alzò e lo guardò negli occhi, e non s'illuse sul sentimento che lo guidava.

—Non ti pentirai, poi? Tu non puoi amarmi; son brutta e sciupata. E non ho denari, come tanti credono. Tu adesso hai una buona posizione, mentre io sono povera e sola, abbandonata da tutti….

Egli rispose con fierezza:

—Tutti la potranno abbandonare; non io.

—Ebbene…. ebbene…. se egli mi caccerà via….

—No! no! Secondo me, lei non deve aspettare d'essere cacciata via. Se non son frottole quelle che lei racconta, egli certo non vorrà perdonarle. Conosco l'uomo!

Ella si torceva le mani e gli si aggirava attorno come desiderosa e nello stesso tempo paurosa di appoggiarsi a lui.

—Frottole? Ah, no, pur troppo! È la verità, quello che ti ho raccontato. Vieni, vieni, Bruno, voglio farti vedere una cosa.

Lo condusse nella camera di Sebastiana, aprì un baule e cominciò a trarne stoffe, fazzoletti ricamati, pacchetti di cioccolattini, calze di filo, profumerie, merletti, una busta con alcune fotografie della ragazza e infine un astuccio di velluto con dentro la collana di zecchini.

—Questa…. questa….—ella disse, traendola e spiegandola davanti al viso di Bruno, —questa collana…. la vedi? è di mon ete…. Ed io la conosco! Egli me la mise al collo…. una sera…. ma io non ero donna da farmi pagare; non ero un cane a cui mettere il collare! Gliela restituii; io non mi vendevo a lui. Ma egli ha trovato chi comprare!

Ella parlava ansando; cadde in ginocchio davanti al baule aperto, strappò la collana e stette a guardarla, selvaggia e spaventata come una schiava che abbia rotto la sua catena.

—Questa è la verità! Nessuno può dubitarne, e neppure la madre di quella disgraziata ne dubita più. È venuta qui, ieri notte: io non volevo aprire, ma ella supplicava e piangeva; e la ricevetti, le dissi tutto, le feci veder tutto. Ed ella è decisa ad impedire a sua figlia che diventi quello che son diventata io. Preferisce farla sposare a Predu Maria…. perchè è con lui che l'ha sorpresa…. Mi dispiace per lui, che è un uomo semplice, ma non cattivo!…

—Oh, perdinci!—esclamò Bruno.— Il Dejana capace di tanto? Ed egli fingeva così bene!

—Io non so…. io non so…. —ella riprese, sempre più esasperata.—La madre di Sebastiana afferma di averli sorpresi abbracciati. Ciò non mi meraviglia, perchè Sebastiana è talmente civetta che può adescare l'uomo più stupido…. Egli poi usciva di qui indispettito per il mio rifiuto. Può darsi che l'uno e l'altra abbiano creduto di vendicarsi di me….

—Un rifiuto?… Ah, dunque io non so ancora tutto.

Senza alzarsi ella raccontò la scena con Predu Maria, e Bruno ascoltò pensieroso ma calmo.

—Alzati;—disse, quando ella ebbe finito, e dandole del tu,—tutta questa è una brutta storia: però, ascoltami. Io adesso ritornerò nella foresta; tu devi aspettare tranquilla il ritorno del padrone, devi raccontargli come stanno le cose e andartene immediatamente se egli te lo ordinerà. Potrai andare dalla mia padrona di casa: è come se tu fossi presso la mia mamma….

Marielène si alzò e stette un momento incerta, davanti a lui, a capo chino.

—Io vado…. Elena…. Che mi dici?

—Ebbene, sia!—ella rispose, sollevando la testa.

Allora egli se ne andò ed ella lo accompagnò fino alla porta.

—Io spero che egli venga domani lassù; gli parlerò, ma ad ogni modo, se ti occorresse qualche cosa, mandamelo a dire subito.

Ella sospirò; egli la prese per la vita e la baciò, freddo e triste, come se baciasse una morta. Così rimasero fidanzati.

Prima di tornare sul monte Bruno passò dalla sua padrona di casa e le domandò se era disposta a fargli un favore: un favore di cui le sarebbe stato grato per tutta la vita. Ella lo fissava coi suoi occhietti diffidenti.

—Basta che tu non mi dica di andare in Continente.

—Senta, oggi, o domani, o più in là, una donna verrà a chiederle ospitalità a nome mio. Gliela concederà? Sarà per poco tempo.

—Una donna? Non sarà una femina mala?

—No, no, non è una mala femmina; è la mia fidanzata.

Dalla sorpresa la vecchietta lasciò cadere il fuso.

—Tu ti sei fidanzato, figlio mio? E me lo dici così? E la tua fidanzata deve venir qui? Non ha casa, dunque? Non ha genitori?

—Non ha casa nè genitori. È la serva del signor Perrò, Maria Elena Azzena.

La vecchietta rinculò e si fece il segno della croce, e il suo spavento era così comico che Bruno sorrise tristemente.

—Tu ti burli di me, in fede mia. Un ragazzo come te, savio come l'acqua!…

Per scusarsi egli adoprò una frase di Predu Maria:

—Noi nasciamo col nostro destino sulle spalle.

Ma siccome la vecchietta non sembrava convinta, egli che si vantava di non dir mai bugie, le raccontò che con Marielène si amavano in segreto da molti anni e che finalmente avevano deciso di sposarsi. Forse il padrone avrebbe licenziato Marielène prima del giorno delle nozze, ed egli pregava nuovamente la vecchia di darle ospitalità. Ella raccattò il fuso e ricordò che molti « forestieri » avevano fatto ciò che Bruno Papi voleva fare.

Essi andavano dalle feminas malas e rimanevano attaccati a loro come gli uccelli al vischio, e se ne innamoravano e le sposavano. Ella non riusciva a capire questa degradazione umana, e credeva fosse una malattia speciale dei forestieri. Ed ecco che Bruno era colto dalla stessa pestilenza. Era davvero un triste destino!

—Io non posso accettare quella donna in casa mia!—disse gravemente.— Un giorno tu stesso me ne rimprovereresti. Quelle donne non si sposano, nè si accolgono in casa. A quelle donne si dice, come ai cani: passa via!—e si scansano, perchè sono dannose come i cani quando hanno la rabbia.

Bruno diventò pallido e le parole della vecchia gli sembravano minacciose come una fosca profezia. Ma fin dal primo momento in cui aveva pensato di sposare Marielène, egli aveva avuto come un senso di oppressione, e oramai era abituato a quest'idea.

—Oramai è fatto! Promisi e mantengo; io sono un galantuomo.

—Ma chi ti costringeva? Quelle donne si sposano per castigo, in fede mia. Hai da scontare qualche peccato?

—Basta;—egli disse, avviandosi per andarsene.—Mi perdoni se le ho domandato un favore che non poteva farmi. Arrivederci.

Ma appena egli fu uscito, la vecchietta lo richiamò e gli andò incontro filando, ridiventata calma e serena. Ricordava che il frate questuante ogni volta che andava a trovarla le diceva:—Fate del bene: non badate a chi.

—Figliolino mio,—disse senza sollevare gli occhi dal fuso,—ebbene, se vuoi, dille pure che venga. Dopo tutto ognuno è padrone delle sue azioni.

Bruno risalì sul monte al cader della sera, e appena fu sotto le roccie della tanca Moro vide Predu Maria che pareva lo aspettasse.

—Dunque, buona fortuna, Dejana!

—Oh, malanno! Continua dunque la storia? Raccontami!

—Dovresti raccontare tu! Io sentii dire, solamente, che la maestra Saju ti costringerà a sposare Sebastiana. Chi rompe paga!

—Lascia i proverbi!—disse Predu Maria sedendosi su una pietra e battendosi la mano sul ginocchio.—Sono stupido, ma non fino a quel punto. Adesso ti voglio raccontare tutto.

E prese a narrare ogni cosa, con voce triste, come quella sera davanti al focolare di Antonio Maria. Non aveva bevuto questa volta, ma si sentiva ubbriaco di tristezza e di umiliazione, e aveva bisogno di sfogarsi.

—Sono stanco di questa vita, che non è per me! Sono andato da Marielène spinto da un senso di disperazione. Io non sono uomo da far calcoli, ma ho bisogno di aiuto, capisci; ho bisogno di aiuto come uno che sta per cadere e tende la mano….

Egli tendeva la mano davvero; ma Bruno, sedutosi anche lui sulla roccia, coi gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani, pareva non lo ascoltasse neppure.

—E adesso?…—pensava.—Se dico che mi son fidanzato con Marielène egli è capace di saltarmi addosso e strangolarmi….

—Io, al tuo posto, sposerei Sebastiana, —disse dopo alcuni momenti di silenzio.

—Tu scherzi, Bruno!

—Io non scherzo! Io dico che se fossi al tuo posto la sposerei; e quanti mi invidierebbero! Sebastiana è bella ed anche buona: io la conosco da bambina. Quanti anni tu credi che ella abbia? Sedici al massimo; è ancora una bimba. Può esser leggera, sventata, ma di ciò è causa l'età; la sua indole è buona, docile, e si potrà fare di lei una bravissima donna, una moglie fedele e onesta. Tutto sta che ella trovi un buon marito, che la guidi, che la tratti bene, che la renda felice. Ella ha bisogno di sposare un uomo buono e civile, non un contadino, perchè non è una delle solite donnacchere.

—Anche se ella avesse tutte le virtù che tu dici, non mi converrebbe. È troppo giovane per me, ed io non mi sento di guidare una donna, preferisco guidare cento puledri indomiti, in verità!

—E…. Marielène, allora? Non volevi sposarla?

—È un altro affare, quello!

—È vero!—pensò Bruno; tuttavia insistè nel lodare Sebastiana, e il suo accento era sincero quando egli ripeteva:

—Quanti ti invidieranno!

—E sposala tu, allora!

—Ho un altro impegno….

—Anche tu?

Siccome Bruno non rispondeva, Predu Maria non insistè nella sua domanda, ma continuò a lamentarsi, parlando dei suoi guai, del suo disgusto per il lavoro, della sua umiliazione per il poco conto in cui era tenuto, e del suo desiderio di andarsene lontano in cerca di fortuna. Ma i suoi lamenti non impietosivano Bruno, che era triste e preoccupato e fissava il suolo con uno sguardo strano, sembrandogli di vedere, buttati qua e là per terra, fra i cespugli gialli e grigi del verbasco, i gingilli, le stoffe, le profumerie che Sebastiana aveva accettato dal padrone. Le monete della collana scintillavano all'ombra d'una quercia. Ah, Sebastiana! Anche tu segui dunque il tuo destino? Tu, così bella, tu che potresti godere la vita? Bruno sente quasi un senso di collera pensando a ciò. Secondo lui un uomo può soffocare i suoi istinti, pur di raggiungere uno scopo ambizioso; ma una donna deve godersi la vita, appunto perchè c'è l'uomo che deve pensare a lei. Egli soffre pensando che Sebastiana chiude i regali dei vecchi nella sua cassa, invece di pensare a divertirsi e ad amare: e in fondo non gli dispiace che Predu Maria rifiuti di sposarla. Sì, è vero, egli non è un marito adatto per lei. È meglio forse che egli se ne vada; così non penserà più neppure a Marielène….

Anche Predu Maria fissava la china illuminata dalla luna, e qua e là sotto le querce gli sembrava di vedere tante piccole monete d'oro. A un tratto disse sottovoce, come confidando un segreto alla terra che fissava:

—Io vorrei andarmene…. a qualunque costo! Se fossi certo…. che mossiù Perrò mi desse mille lire, come dice Lorenzo….

Non completò la frase, ma si battè di nuovo la mano sul ginocchio e sospirò, seguendo il filo dei suoi pensieri.

—E Antonio Maria?—domandò Bruno sotto voce.

—Peggio per l'anima sua! E chi mi ha fatto venire? Lui!

Tacquero ancora. La luna brillava sull'alto della gradinata di roccie, che pareva la scala di Giacobbe sospesa fra la montagna e il cielo. Il bosco, pur senza scuoterriotersi, aveva di tanto in tanto un susurro profondo, come in sogno, e fra gli alberi scorzati i cui tronchi si disegnavano su un fondo di orizzonte argenteo, due gridi di assiuolo, uno rauco e triste, l'altro lento e quasi dolce, svolgevano una specie di colloquio melanconico.

—Andiamo!—disse Bruno, alzandosi e avviandosi verso le capanne. Ma l'altro non si mosse se non quando fu solo, e invece di ritornare all'accampamento salì verso la tanca Moro e si avanzò sotto gli alberi fitti, fin dove penetrava il chiarore della luna.

A un tratto gli parve di sentire un rumore di passi e si sdraiò per terra e stette immobile, ascoltando: attraverso i cespugli cinerei delle rose canine vedeva la luna, bassa, vicina a Giove, e gli pareva di sentire come il mormorio d'una fontana. Il rumore dei passi cessò; egli tuttavia non osò muoversi e ricominciò a pensare ai casi suoi.

Sì, era proprio necessario andarsene; la sua vita in quel posto, in quelle condizioni, era circondata di mistero e di pericoli come se intorno a lui si stendesse di continuo un bosco tenebroso simile a quello della tanca Moro. Andarsene…. andarsene…. a qualunque costo, con qualunque mezzo….

Il passo risuonò ancora, vicino, a momenti grave e pesante, a momenti lieve e come attutito dal tappeto di foglie secche che copriva il suolo. Predu Maria si alzò a sedere; vide un uomo che percorreva il piccolo sentiero fra le roccie e lo chiamò:

—Antoni Maria Moro!

—Gerusalè! E che fai da queste parti?

—Ti aspettavo…. Da ieri….

—Da ieri mi aspetti? E che facevi intanto? Pregavi?

—Non hai nulla da dirmi?—domandò Predu Maria, mentre l'altro gli si sedeva accanto e ridacchiava con disprezzo.

—Avrei da dirtene, Gerusalè? Ma non mi degno parlare con un uomo come te. Sei un uomo, tu?

—E allora va al diavolo!

Intorno era un silenzio infinito, una pace, una dolcezza di sogno. Solo di tanto in tanto le cime degli alberi fremevano con un sussurro improvviso che tosto si spegneva; e pareva protestassero contro quei due uomini che con le loro querele e i loro inganni profanavano la pace maestosa della natura addormentata.

Antonio Maria riprese aspro ed ironico:

—Sei uomo, tu? Non ti vorrei neanche per cane. Se non altro il cane è fedele; tu invece sei un Giuda traditore.

—Antoni Maria! Spiègati!

—Ma c'è bisogno di spiegazioni, con te? Ti leggo negli occhi, io, immondezza! Sei diventato livido come queste pietre.

Il Dejana curvò la testa.

—Antoni Maria, cessa di tormentarmi! —disse con calma triste.—Fra giorni me ne andrò e non sentirai più parlare di me. Tu mi hai scritto di venire, mi hai ospitato, mi hai curato. Te ne sono riconoscente; ma non pretendere di tratarmi davvero come un cane; non farmi perdere la pazienza.

—Che puoi fare, tu, piccolo uomo di sughero? Tu? Tu? Se non te ne vai subito via di qui ti sputo addosso;—gridò Antoni Maria, ma vedendo il Dejana mettere una mano al suolo, per alzarsi ed andarsene, lo afferrò per il braccio.—No, giacchè sei qui, parliamo. Sì, io ti scrissi di venire, ti ospitai, ti cedetti il mio letto. Tu riconoscente? Al diavolo chi ti crede! No, tu hai creduto che io volessi fare un losco affare: hai creduto che io volessi sfruttare la buona sorte che si presentava a te, ed hai preferito tradirmi con un miserabile forestiere. Ah, bellino mio! Sai chi hai tradito, però? Lo sai? Ecco chi!

Gli diede un pugno sulle spalle, e Predu Maria trasalì, ma non reagì, non protestò.

—Tu mi aspettavi, Gerusalè? Facevi bene. Aspettami sempre, prima di deciderti a seguire i consigli dei tuoi nuovi amici. Tu sei una di quelle bestie che non vanno avanti se non a spintoni: ebbene. fra spintone e spintone preferisci quello che non ti manda a rotolare in fondo a un precipizio. Il pane del re1 Il pane dei carcerati. è troppo acido, vero?

—Non tormentarmi, ti dico! Lasciami in pace!

—Prima ti voglio raccontare una storia. C'era una volta uno, stupido come te…. Ma no, perchè perdere il tempo a raccontarti storie: tu non le capiresti certo. Tu non capisci che la Storia Sacra; piuttosto ti dirò una cosa, che tu forse ancora non sai. Il tuo amico forestiere oggi si è fidanzato con Marielène!

Predu Maria lo afferrò per il braccio.

—Non è vero! Tu scherzi!

—Va e domandaglielo, se non mi credi!

—Tu scherzi!—ripetè il Dejana, tentando ancora di alzarsi, come per andar in cerca di Bruno; ma Antonio Maria l'attirò così forte che lo fece cadere di fianco.

—Sta lì, imbecille! Sei davvero un bambino ed io ho pietà di te. Ah, egli dun que non ti ha partecipato la notizia? Eppure quasi tutto il paese lo sa. A mezzogiorno egli è uscito dalla casa di mossiù Perrò; alle due lo speculatore è tornato di campagna, ed ha incontrato, prima di rientrare a casa, la madre di Sebastiana che lo ha informato delle scene accadute ieri. Alle cinque,—vedi come son preciso, e come sono bene informato,—Marielène ha fatto portare un baule in casa di zia Chillina Ghisu, e poco dopo vi è andata anche lei e si è installata nella camera dove Bruno alloggia quando scende in paese.

Predu Maria tremava lievemente.

—Ora capisco!—disse come fra sè.— Egli mi disse che aveva un impegno!

—No, stupido! Egli non aveva impegni; egli non ha pensato a Marielène finchè non glielo hai messo in mente tu con le tue confidenze!

—Non importa! Me ne andrò!

—Dove! A Gerusalemme?

—Dove Dio vuole,—egli disse rassegnato.

—Se tu fossi un uomo….—ricominciò l'altro a bassa voce, e tacque: poi riprese, più forte:—se tu fossi un uomo io ti darei un consiglio: ma chi si fida di te?

Ormai il Dejana non si fidava, a sua volta, dei consigli di nessuno; quindi non rispose; ma Antonio Maria proseguì:

—Come le carte buone vanno sempre ai giuocatori che non sanno giocare, così a te capitano le buone occasioni e tu non sai profittarne. Ora, vedi, se tu fossi un uomo, tu profitteresti della tua avventura di ieri. Invece tu, babbeo, tu non ne parli neppure!

—Ah, ci siamo! Stamattina dicevano che dovevi sposarla tu, quella ragazza! Sarebbe forse meglio.

—Come, tu rompi e io devo pagare?

—Non dire sciocchezze, Antonio Maria! Non è ora di scherzi, questa.

—Sì, è ora di coricarsi e di pensare ai fatti proprii. Sì, sì, coricati, Gerusalemme, e pensa ai fatti tuoi. La ragazza è bella, è buona, e sua madre è pronta a darle quattrocento scudi di dote.

—Quattrocento scudi? E dove li ha?

—Io non lo so; questo è affar suo. Il fatto è che li ha.

—Ah, ah! Quanto ti ha promesso per fare l'ambasciata?

Antoni Maria si mise in ginocchio e cominciò a tempestarlo di pugni.

—A me? Pagarmi? Ruffiano a me? È questo il compenso che mi dai, avanzo di galera? Al tuo fratello? Prendi; ne vuoi ancora?

La pazienza di Predu Maria era esaurita: egli sentiva il sangue montargli alla testa e vedeva come un chiarore di fuoco. Come, lo battevano anche? Come Cristo al Calvario, lo insultavano, gli sputavano addosso, lo umiliavano e, per di più, abusando della sua pazienza, lo percuotevano! Strinse i pugni, curvò la testa come un toro infuriato e cominciò a urlare con rabbia.

—Vattene! Lasciami in pace.

Antoni Maria, che forse aveva creduto di scherzare, ebbe paura, s'allontanò senza dir più parola, e solo quando fu lontano raschiò in segno di disprezzo.

Nei giorni seguenti Predu Maria ripres la sua vita solita; ma per quanto sfuggisse la compagnia degli altri lavoratori, e la sera cercasse qualche nascondiglio per coricarsi, non poteva far a meno di accorgersi di qualche sguardo ironico, e di sentire le vecchie raschiatrici commentare l'avventura di Sebastiana.

Quando entrava nella dispensa Lorenzo lo complimentava, o cercava d'impaurirlo dicendogli che la maestra Saju lo aveva querelato per corruzione di minorenne: tutti conoscevano l'avventura, e la collegavano allo scandalo della fuga di Marielène dalla casa del padrone. Nella foresta non si parlava d'altro.

Egli sentiva un'avversione sempre più cupa contro Bruno che lo aveva tradito, contro Lorenzo che lo sbeffeggiava, e sopratutto contro Antonio Maria che pretendeva di dominarlo. Al diavolo tutti! A Marielène poi si sforzava di non pensarci neppure, poichè gli sembrava che ella fosse diventata davvero una maschera, una di quelle maschere che si vedono durante gli ultimi giorni di carnevale, vestite di rosso, ubbriache e sghignazzanti.

E nel suo rancore egli si sforzava di odiare anche Sebastiana, ma non gli riusciva; se la immaginava infelice al pari di lui, e pensava che con una madre strega come la maestra Saju qualunque ragazza avrebbe fatto delle sciocchezze. Una mattina Lorenzo, mentre gli dava le provviste, disse sottovoce:

—Dunque l'hai imbroccata, eh? Hai vinto il premio; Sebastiana, dicono, è gravida.

Predu Maria sbattè il pane per terra.

—Oh, lasciatemi in pace! È tempo!

—Io non capisco perchè tu ti arrabbi. Raccogli il pane, su! Al tuo posto io ballerei dalla gioia. Padre, pensa, padre! Ma già Dio sa quanti figli hai tu sparsi per la faccia della terra!

—Io non sono della tua razza per aver fatto questo.

—E di che razza sei, allora, mendicante?

Predu Maria raccolse il pane, e stava per uscire senza rispondere, quando Lorenzo gli disse:

—Il fieno è secco, Predu Maria Dejà!

Egli si volse esasperato, depose il fagotto per terra e disse:

—Ebbene, perdio, sì! Vi abbrucio tutti, dal primo all'ultimo; ma sentimi, orbo, ora te lo dico. Voi tutti credete che io sia un miserabile: ma voi lo siete mille volte più di me. Io ho ucciso, è vero; ma tu rubi, tu succhi il sangue dei poveri; io darò fuoco alla tanca, ma il tuo signor capo-macchia, diglielo pure a nome mio, si è venduto come Giuda,—sostengo, come Giuda,—per pochi denari. Egli vende l'onore, perchè non ha altro: se avesse il padre e la madre li venderebbe egualmente! Lo neghi, forse? Quanto gli ha dato, il padrone?

—A lui? Niente,—disse Lorenzo.— A lei ha pagato gli anni di servizio, come cuoca e come governante. Tu puoi fare il conto meglio di me!

Predu Maria sputò fuor della capanna in segno di disprezzo; poi riprese il fagotto e se ne andò.

La sera stessa Lorenzo lo chiamò sotto la tettoia, dove c'era già Bruno che fumava e rimescolava le carte, pallido in viso, ma calmo e impenetrabile. Sul tavolo stava, fermato da una bottiglia, un biglietto da cinquecento lire, i cui lembi si sollevavano al vento.

Predu Maria capì subito che quello era il prezzo che gli offrivano per l'incendio, ed ebbe una strana impressione; gli parve che quel pezzo di carta fosse vivo e gli facesse dei cenni misteriosi.

—La posta è grossa, stasera!—disse per fingersi disinvolto.

—Neppure così tu giochi?

—Neppure così!

—Siediti almeno e guarda:—disse Lorenzo accostandogli la bottiglia.—Abbiamo trovato questo biglietto davanti alla tua capanna, ed ora ce lo giochiamo.

—L'ho perduto io!…—egli disse con ironia.

Sedette, appoggiò i gomiti al tavolo e cominciò ad accarezzare la bottiglia, ma senza versarsi da bere. Terminata la partita, Lorenzo prese il biglietto e lo agitò come una piccola bandiera.

—Predu Maria Dejà, lascia la bottiglia! Non è Sebastiana! Guarda; è questo il biglietto che tu oggi hai smarrito? Ah, ipocrita! Tu sei ricco e piangi miseria; ma per castigarti, non te lo restituisco se non fra otto giorni. Guarda! Bruno lo terrà in deposito.

Predu Maria disse a voce alta:

—Di lui non mi fido!

—Se ieri ancora ti fidavi!

—Ieri sì, oggi no!

Bruno sollevò il viso e si tolse la pipa di bocca: le labbra gli tremavano di rabbia, ma seppe dominarsi.

—E di chi ti fidi, allora?—domandò.

—Di nessuno. Datemi la metà di quel pezzo di carta, e l'altra metà me la darete fra otto giorni.

Lorenzo allora piegò il biglietto, lo riaprì, lo strappò in due pezzi, e gliene diede la metà. Predu Maria si alzò, pallidissimo in viso, e sbattè la bottiglia sul tavolo; il rumore del vetro rotto risuonò tra il mormorio degli alberi, e il vino si sparse sul tavolo come una macchia di sangue.

I due giocatori non pronunziarono più parola, ed egli credette di accorgersi che avevano paura di lui, e uscì, e come spinto da una forza malefica andò a coricarsi sotto il bosco della tanca Moro. La notte era oscura ma piena di fremiti: egli credeva di sentir passi, e voci che bisbigliavano, uccelli che scuotevan le ali, cinghiali che correvano tra le foglie secche Stando coricato raccolse con la mano sinistra un mucchietto di foglie secche e trasse la scatola dei fiammiferi, ne accese uno, ma subito lo spense e lo tenne in mano. Gli era parso di veder la figura di Antonio Maria in agguato tra il verde grigiastro di un cespuglio. Gli alberi mormoravano, ed egli si domandava se anch'essi hanno uno spirito. Parlano, s'intendono fra loro? Talvolta pare che un albero si curvi su un altro per confidargli un segreto; spesso un cespuglio si sporge da un crepaccio e si protende come per spiare ciò che fa l'uomo sdraiato sotto la roccia. Qualche volta, anche se il vento tace, anche se il bosco è immobile, un tremore arcano agita il cuore di un elce e si propaga e corre per un tratto del bosco; le foglie non tremano, eppure gli alberi sussurrano; pare una preghiera, un coro, una voce misteriosa, e spesso anche una protesta o una maldicenza sussurrata da una fila d'alberi contro i compagni che a loro volta tacciono e pare che ascoltino.

Nei giorni di vento sorge una battaglia furiosa d'alberi contro alberi; e le fronde diventano sferze e a sera quando il vento finalmente si placa il suolo è sparso di foglie, pallide e ferite come piccoli cadaveri.

Predu Maria conosceva tutte le voci, gli avvertimenti, le insidie della natura. Da bambino aveva passato notti e notti in campagna: e ancora, come in quel tampo, la solitudine era per lui piena di fantasmi. Egli aveva paura, non degli nomini, ma delle forze occulte della natura e dei mezzi arcani di cui può disporre la Divinità offesa per castigare i peccati degli uomini. Quella sera infatti egli ricordava la storia di un pastore che aveva rubato i candelabri d'argento d'una chiesa ed era andato a sotterrarli ai piedi d'una quercia. E la quercia s'era improvvisamente sradicata piombando sul pastore e uccidendolo.

Sopraggiunse il gran caldo di luglio. Le fronde cadevano appassite dagli alberi scorzati, e dalle montagne lontane saliva il fumo di boscaglie e brughiere incendiate.

I lavoranti erano già arrivati fin sotto la tanca Moro, la cui muraglia di roccie pareva s'opponesse all'invasione dei distruttori. L'ultima domenica di luglio Predu Maria scese a Nuoro e andò alla messa cantata, ma non l'ascoltò con la solita devozione. Inquieto, oppresso dal caldo e dai suoi torbidi pensieri, ogni tanto si voltava per guardare le donne inginocchiate per terra. Coi loro costumi rossi e le bende gialle e bianche esse davano l'idea d'un campo di fiori; ma egli non si rallegrava guardandole, e l'assenza di Sebastiana aumentava la sua inquietudine. Uscito di chiesa si avviò alla casa di Antonio Maria e come sperava incontrò Predichedda col cestino sul capo.

—Come va?—le domandò.—E Antonio Maria?

—È partito pochi momenti or sono per Cala Gonone: deve fare i bagni di mare.

—Ah, ah, si diverte? Quando ritorna salutalo a nome mio, perchè anch'io sarò ontano allora.

—Come, lei parte?—ella disse meravigliata. —Se tutti dicono che deve sposarsi con Sebastiana?

—Io ho già un'altra fidanzata….

—Un'altra? Ma come si chiama?

—Miseria!

Ella rise tanto che dovette tenersi fermo il cestino sul capo; a un tratto però il suo piccolo viso ridiventò serio e quasi tragico.

—Senta, signor Predu Maria, la maestra Saju tiene Sebastiana chiusa in casa come un uccellino in gabbia. Io stessa son costretta a parlarle attraverso una inferriata e se questo pasticcio continua ci sarà qualcuno che andrà in questura a denunziare il fatto.

—Tu, forse?

—Io sì,—ella disse con accento di sfida,—non ho paura del delegato, io! Non si tratta così una ragazza, una cristiana, anche se ha commesso qualche leggerezza.

—La bastona, anche?

—Oh, certo, carezze non gliene fa.

—E lei, che dice?

—Chi? Sebastiana? Dice che si sposerebbe anche col diavolo, pur di esser lasciata in pace.

—Senti,—egli disse pensieroso.—Io fra giorni me ne andrò. Me ne andrò così lontano che non sentirete più a parlare di me. Ma prima vorrei far qualche cosa per Sebastiana. Consigliami tu.

—Ebbene, vada da quell'indiavolata donna, e le imponga di lasciar tranquilla la figliuola. Minacci di andare dal delegato.

Ma Predu Maria non sentiva alcuna simpatia per il delegato. Scosse la testa e disse:

—No, no, io non posso andare in casa della maestra, perchè la gente, vedendomi entrare, mormorerebbe. Fammela venir qui; l'aspetterò nel cortiletto.

Egli andò a sedersi all'ombra del portico e attese a lungo. Finalmente la maestra apparve, alta e nera nel sole, col viso umido di sudore, ma composto a una solenne severità, ed egli ricordò gli spauracchi estivi di cui, bambino, lo minacciavano perchè non andasse al sole: Maria Menàcra, Maria Pettène, le gigantesse armate di falci e di tridenti.

La maestra si sedette accanto a lui sul muricciuolo del portico, ed egli, confuso, non trovò parole per cominciare il suo discorso. Curvo, con le mani fra le ginocchia, fissava il suolo, e pareva un colpevole in attesa d'esser rimproverato, mentre la donna lo fissava con uno sguardo quasi truce.

—E dunque, che cosa pensiamo?—ella domandò a voce alta.—Predichedda disse che mi aspettavi.

—Vi aspettavo, sì! Son qui da due ore, —egli rispose sottovoce.—Volevo pregarvi di lasciar in pace Sebastiana. So che la maltrattate; so che la gente mormora. Io fra giorni me ne andrò…. lontano….

—Te ne andrai? Volevi dirmi questo? Hai fatto bene, sì! Caro Predu Maria,— ella disse, con quell'accento solenne che le aveva procurato il nomignolo di maestra —ascoltami; io finora non ti ho fatto del male, perchè ho in petto un cuore di donna e di madre: ma se tu non cambi pensiero, se tu fai come quei soldati che preferiscono disertare piuttosto che seryire la legge, io, mio caro, cambierò pensiero per conto mio. Hai veduto come perdo la testa quando vado in collera? Ciò accade una o due volte nel giro di molti anni, ma quando accade…. addio! Non ci vedo più; non penso più; faccio come Gesù nel Tempio: prendo una frusta e flagello….

—Ma, santa donna,—egli disse con dolcezza,—voi avete detto che prendevate informazioni. Le avete prese?

—Appunto perchè le ho prese ho avuto compassione di te. Ho pensato: non bisogna rimetterlo in mano della giustizia.

—Ma ve le han date bene?—egli insistè, diventando ironico.—Vi han detto che gentiluomo ricco e nobile io sono? Adesso vi dirò…. Non avete vergogna di dar vostra figlia ad un uomo come me? Voi, mi sembra, volete maritarla per forza. Mi dicono che avete quattrini. Perchè non le cercate un altro marito?

—Non dire scempiaggini! Sebastiana è povera. Se avessi avuto quattrini non l'avrei esposta a tutti i pericoli del mondo, lasciandola servire presso una donna come Marielène. Siamo povere, sì, ed è per questo che tu vuoi burlarti di noi. Se davvero avessimo avuto quattrini, tu non ti saresti fatto pregare…. E adesso mia siglia è rovinata, rovinata per sempre!

—Mossiù Perrò l'aiuterà!—egli disse con malizia, ma la maestra lo fissò negli occhi, dominando il suo turbamento.

—Che vuoi dire con questo? Non ti salti in mente di calunniarla, anche, perchè allora m'arrabbio davvero, sai! Il Perrò, certo, aiuterà Sebastiana, ma non come tu credi!

—Io non credo niente! Però….

Egli si raddrizzò e battè la mano sul ginocchio.

—Però,—disse con rabbia—se io sposassi vostra figlia la prima condizione sarebbe di dar tanti calci al « padrone » se egli cercasse di avvicinarsi a noi.

—Benissimo!—gridò la maestra soddisfatta.

Egli tornò a ripiegarsi, come vinto.

—Santa donna…. pensateci bene! Non rovinate vostra figlia, dandola ad un uomo buono a nulla come son io! Cercatene un altro, vi ripeto!

—Tu mi hai fatto venire per burlarti di me? Questo è un po' troppo! Senti, basta con le chiacchiere: fa troppo caldo, e ad arrabbiarsi fa male. Anch'io ti dico: pensaci bene; se fra otto giorni non mi dài una risposta, saprò io il da farsi.

—Fra otto giorni? Ebbene, sia: fra otto giorni vi darò una risposta.

Allora la maestra gli disse:

—Per le informazioni ho scritto al sindaco del tuo paese, e sono rimasta contenta. La disgrazia che accadde a te poteva accadere a chiunque. Tu hai un ottimo cuore, sei onesto, non sei un libertino, non sei un ladro; sei giovane, e puoi con la tua intelligenza procurarti una posizione migliore….

—Sì,—egli interruppe con amaro sarcasmo, —potrò comprare una tanca: il camposanto!

—Quella tanca appartiene a tutti, Predu Maria Dejà! Lasciamo le tanche a chi le ha, e noi contentiamoci di poco. Abbiamo la casa, abbiamo braccia per lavorare; poveri, ma onesti….

Ella parlava come se il matrimonio fosse già concluso, mentre un sorriso di scherno contraeva il viso di Predu Maria. Egli rimase nel cortiletto finchè tornò Predichedda e le disse che aveva perorato la causa di Sebastiana ma inutilmente.

—La maestra vuole che io sposi sua figlia per forza. Senti, dev'essere ben disperata, o sotto c'è qualche magagna. Ma io non sono stupido: disgraziato sì, imbecille no. Sai cosa faccio? Scappo. In tutti i casi tu potrai testimoniare per me….

Predichedda gli rise in faccia; non perchè avesse difficoltà a « testimoniare », ella che non aveva paura del delegato e tanto meno del pretore e del giudice, ma perchè Predu Maria dichiarava di non esscre un imbecille e intanto rifiutava, lui miserabile scorzino, di sposare una ragazza come Sebastiana.

—Vuole da mangiare? C'è ancora qualche cosa, venga…. Da bere, almeno?

Egli aveva fame e sete, ma rifiutò: col pensiero torbido che aveva in mente gli sembrava un'infamia entrare nella casa di Antonio Maria e bere il suo vino e mangiare il suo pane.

Risalì sul monte e andò a coricarsi fra le roccie della tanca Moro, in un punto alto donde si scorgeva la vallata di Oliena. Gli pareva di veder Antonio Maria sul cavallino baio, trottare sonnecchiando verso il mare di Dorgali: ecco, egli è già dietro il monte Sa Bardia e scende attraverso la foresta: se vedrà il fumo degli incendi che da vari giorni divorano i boschi del Goceano e dei monti d'Orgosolo non si darà pensiero.

—Io me ne andrò, e se verranno a seccarmi dirò che l'ho fatto per sfuggire alle persecuzioni della maestra….

Dormì fino al tramonto, d'un sonno agitato e pieno di fantasmi, e quando si svegliò stette a lungo immobile, guardando il fumo livido e rossastro degli incendi lontani, che saliva continuamente sul cielo e lo copriva d'una nuvola infocata.

Tutto l'orizzonte era di un livido ardente e come gonfio e solcato da enormi ferite; il sole calava tra il fumo come un disco d'oro insanguinato e pareva che si spegnesse per non riapparire mai più, ma dopo aver lasciato tutto il suo calore e il suo splendore sulla terra infocata. E tutta la montagna ardeva, simile a un mucchio di brage e di cenere; i macigni rosseggiavano tra il fieno giallo delle chine, e qua e là, su alcune zone di terreno bruciato da qualche incendio represso a tempo, gli alberi spogli e contori e completamente neri davano l'idea di piante diaboliche, e le macchie di lentischio, che invece conservavano tutte le loro foglie, sembravano coperte di sangue e di ruggine.

Solo i gridi lamentosi delle gazze interrompevano il silenzio tragico. Predu Maria vedeva, poco distante, un gruppo di roccie dalle cime forate, e gli sembrava che quei buchi, attraverso i quali splendeva il cielo, fossero occhi ardenti che lo ss assero.

Per la millesima volta disse a sè stesso che il delitto che stava per commettere non avrebbe recato male a nessuno. Tuttavia pensava con raccapriccio agli uccelli che sarebbero periti nell' incendio, e gli sembrava che il grido delle gazze avesse qualcosa di lugubre.

Finalmente si alzò a sedere, accese un fiammifero e lo tenne un momento fra le dita; e l'aria era tanto quieta che la fiammella trasparente non si moveva. Egli gettò il fiammifero in mezzo al fieno e pensò: —Se si spegne vuol dire che Dio non vuole.

Attese con ansia, e sulle prime gli parve che il fiammifero si fosse spento; ma ad un tratto vide sorgere tra il fieno come una gran foglia d'oro, e sentì un crepitìo leggero, poi sempre più forte e quasi allegro. In un attimo, come se il fieno e i cespugli avessero atteso appena un cenno per tramutarsi in fiamme, il fuoco divampò per un buon tratto della china.

Egli si alzò e se ne andò palpitante e come pauroso di essere inseguito dal fuoco e il fruscìo delle foglie secche gli sem brava il crepitar delle fiamme, e un tronco caduto gli parve un uomo addormentato.

Quando arrivò all'accampamento cadeva già la sera; fra gli alberi si scorgeva l'orizzonte d'un violetto cupo, e già ogni cosa prendeva strane forme, quasi camuffandosi e trasformandosi per i sogni della notte. Si udiva un canto corale, che in quel luogo solitario e selvaggio pareva una cantilena di gente esiliata, e al chiarore del crepuscolo i tronchi scorzati apparivano rossi, come insanguinati; un fuoco brillava nella spianata e figure di uomini passavano e ripassavano scure nella luce della fiamma come ombre danzanti.

Egli vedeva tutto rosso. Andò a sdraiarsi davanti alla capanna e chiuse gli occhi, ma come nella sera del suo arrivo a Nuoro vedeva macabre figure danzargli attorno: gli sembrava che l'incendio fosse già arrivato fino alla « lavorazione » e credeva di sentir il crepitar delle fiamme e urli umani e stridi di gazze. Con le foglie bruciate gli cadevano addosso piume di uccelli, frammenti di roccie; e i macigni si spaccavano, e tutto il cielo era coperto da una nuvola di cenere rossa.

All'improvviso un grido lo scosse dal suo cupo dormiveglia: spalancò gli occhi, ma per quanto guardasse non vide nulla. I lavoranti dormivano già, l'accampamento era silenzioso e le stelle scintillavano sul cielo scuro. Egli desiderò di alzarsi, di salire fino alle roccie per scrutare ciò che succedeva dietro la muraglia, ma non osò muoversi. Le ore passarono, un leggero vento di nord-ovest rinfrescò l'aria e fece mormorare il bosco; ma a un tratto egli sentì come un soffio ardente battergli sul volto, e gli sembrò un avviso misterioso: allora si alzò e guardò. Vide il fumo salire lento e scuro sul cielo stellato, come la nebbia nelle notti di autunno, sentì l'odore delle foglie bruciate, e preso da un terrore quasi infantile cominciò a gridare:

—Fuoco! C'è il fuoco!

In un attimo tutti i lavoranti furono in piedi. Senza perdersi in vane chiacchiere corsero a staccare fronde e rami per servirsene come di staffili per « battere le fiamme » e domare l'incendio. Egli non si mosse, come istupidito. Vide Bruno passar di corsa attraverso lo spiazzo, udì grida e voci lontane; e il fumo saliva sempre più rosso, e in breve il chiarore dell'incendio illuminò il cielo ed il bosco, e tutto apparve fantastico, pauroso: i macigni sembravano blocchi di ferro incandescente, una pioggia di foglioline di fuoco e di scintille cadeva sul bosco. Allora apparve Lorenzo pallido e assonnato; e dopo essersi guardato attorno sbadigliò e domandò che cosa succedeva.

—Non vedi? Son fiori questi?—domandò Predu Maria, accennandogli la pioggia di foglie bruciate.—Ora sarei contento se il fuoco arrivasse fin qui e ti bruciasse l'anima!

—È già bruciata!—rispose Lorenzo, e sbadigliò ancora.

L'incendio durò tutta la notte e buona parte del giorno seguente. Da Nuoro salirono molti paesani e le guardie forestali, e assieme coi lavoranti riuscirono a circoscrivere il fuoco tagliando e sfrondando le piante intorno alla tanca, e lanciando sassi e terra contro gli alberi in fiamme. La scena era macabra e grandiosa. Gli uomini rossi e neri alla luce fantastica dell'incendio sembravano piccoli diavoli che invece di spegnere attizzassero il; fuoco. All'alba il vento cessò e il cielo si coprì di nuvole come se tutto il fumo vi si fosse raccolto; il tempo quieto favorì lo spegnersi dell'incendio, e ciò parve a Predu Maria un segno della misericordia divina. Siccome buona parte della tanca si era salvata, egli pensava che forse non gli avrebbero dato l'altra metà del biglietto, ma non sentiva alcun desiderio di andarla a reclamare. Un cupo abbattimento lo opprimeva. Gli sembrò che le guardie forestali, passandogli accanto, lo guardassero con occhi sospettosi.

Verso mezzogiorno, quando l'incendio era già quasi domato, arrivò lo speculatore, cupo e feroce in viso, e interrogò i lavoranti, urlò e fece una specie d'inchiesta dalla quale però non risultò nulla.

Verso sera Predu Maria ricevette da Lorenzo l'altra metà del biglietto, e andò a nasconderla nel cavo di un albero, proponendosi di partire al più presto possibile. Non sapeva ancora dove sarebbe andato; ma il desiderio di tornarsene al paese natìo, di rimetter su un piccolo negozio e di riabilitarsi almeno agli occhi dei suoi compaesani, tentava la sua vanità. Per non dar sospetti avrebbe atteso qualche tempo, prima di eseguire il suo progetto, e avrebbe cominciato con poco.

Ma già il nuovo rimorso si soprapponeva all'antico; e la notte dopo l'incendio egli si svegliò di soprassalto, sembrandogli di sentire grida spaventose. Si alzò e stette ad ascoltare, ma tutto intorno era silenzio, e solo si udivan le goccie dell'acqua che stillavano ancora dagli alberi umidi. Riparati alla meglio sotto le tettoie, i lavoranti dormivano ed esalavano un odore di bruciaticcio come corpi abbrustoliti.

Egli non si riaddormentò, oppresso da un senso di terrore al pensiero che Antonio Maria potesse sospettare di lui e arrivare da un momento all'altro.

Antonio Maria non arrivò; ma un « carriolante » portò una strana notizia sul conto suo. Le cugine lo accusavano di aver incendiato la tanca per far loro dispetto, e il pretore lo aveva mandato a chiamare, ma egli, a buon conto, s'era reso irreperibile.

Allora Predu Maria andò a cercare un nascondiglio più sicuro per il suo biglietto riattaccato con francobolli, e ogni tanto si guardava attorno, sembrandogli di vedere il suo ex-compagno, e non sapeva se partire subito per sfuggirlo, o aspettare finchè si dileguassero i sospetti.

Ma i sospetti non si dileguavano. Le guardie forestali frugarono tutte le capanne, interrogarono a lungo i lavoranti, ed a Predu Maria chiesero se aveva relazioni col Moro, se sapeva dove fosse nascosto, se lo credeva capace del delitto imputatogli.

Quando le guardie se ne andarono egli fu assalito da una crisi di rabbia: entrò nella dispensa e domandò un bicchierino d'acquavite.

—Hai veduto?—disse a Lorenzo;— adesso cominceranno i guai; ma spero penserete voi a difendermi. Spero!

—E spera!—disse il dispensiere con calma beffarda.

Allora egli cominciò a battere i pugni sul tavolo.

—Non parlare così, tu! Io volevo andarmene, ricordati, perchè qui non si vive, si muore! Adesso mi toccherà di restare: ebbene, non solo mi proteggerai, ma mi farai aumentare la paga! E Bruno, anche lui….

Bruno apparve in quel momento, e disse con voce sommessa:

—Fammi il piacere, non gridare. Che vuoi?

Lorenzo, che si ostinava a legar forte un involto, sollevò il viso e disse:

—Egli vuole una promozione e un aumento di stipendio!

—Se tu rimarrai….

In quel momento il Dejana ricordò una massima di Antonio Maria:

« Otterrai più con una parola di minaccia che con mille parole supplichevoli ».

—Se io rimarrò! Magari tu vorresti il contrario! Ma io dovrò rimanere: mi dispiace per te….

—È inutile gridare,—disse Bruno pensieroso.—Quello che è stato è stato. Ma tu, Lorenzo, non scherzare così, non prender le cose alla leggera. Sei stato tu il primo ad avere quest'idea infernale. Io non volevo, ricordati. Io ti dissi: i primi ad essere sospettati saremo noi….

Lorenzo pesava l'involto: si curvò per guardare la bilancia e disse con ironia:

—Ah, sì, è vero! Tu sei un galantuomo! Come il tuo principale, del resto!

—Adesso dirai che ti ha istigato lui!

—E i denari chi il ha sborsati?— gridò Predu Maria, guardando ora l'uno ora l'altro dei due uomini.

—Ascoltami,—disse Bruno,—è meglio che tu sappia ogni cosa. Lorenzo s'è impegnato col Perrò di fargli avere la tanca Moro prima che il taglio da questo versante sia terminato. Se egli riuscirà nel suo intento riceverà mille lire….

Lorenzo sollevò l'involto, come per buttarglielo addosso, ma subito lo depose e disse con disprezzo:

—Ruffiano!

Bruno concluse:

—Adesso scendo a Nuoro e parlerò col Perrò. Se sarà il caso, vi avverto che vi licenzierò immediatamente tutti e due.

Egli parlava da padrone, e Predu Maria non fiatò. Che poteva dire? Il suo coraggio e la sua audacia cadevano davanti al coraggio e all'audacia del capo-macchia.

Più prudente di Bruno, lo speculatore si oppose al licenziamento dei due nomini. L'inchiesta se l'incendio fosse stato doloso o no proseguiva il suo corso; tutti i lavoranti furono chiamati dal pretore; e anche Predu Maria, una mattina ai primi di agosto, dovette scendere a Nuoro per presentarsi al magistrato.

S'avviò oppresso da foschi presentimenti. Oramai si sentiva solo, abbandonato da tutti, convinto d'essere come sepolto vivo sotto un mucchio di macerie: ogni sforzo per slavarsi non riusciva che a schiacciarlo di più.

Mentre scendeva il sentiero alle falde del Monte, incontrò alcune donnicciuole che si recavano ad ascoltar la messa nella chiesetta dell'Orthobene. Erano quasi tutte vecchie, e salivano pregando; ed egli non badò a loro, ma allo svolto dell'ultimo tratto di sentiero si fermò sgradevolmente sorpreso: la maestra Saju, grande e imponente anche in quella solennità di paesaggio, coi lembi del fazzoletto nero gittati dietro gli omeri e il rosario in mano, saliva il sentiero.

—Scendevi per cercarmi, Predu Maria Dejà?….

—Veramente…. ho un affare…. Volevo, sì…. volevo…. pensavo….

—Io vado su ad ascoltare la messa; prima delle dieci sarò di ritorno, e possiamo darci appuntamento in casa di Antonio Maria.

—No…. no, santa femmina, non là!— Eppoi, che cosa abbiamo da dirci? Ah, la risposta…. la risposta…. Ah, ah, mi fate ridere! Ci ho pensato, sì! Come mai è possibile che una ragazza come Sebastiana possa volermi bene? E voi, sua madre, voi, santa vedova, voi avete il coraggio di dare vostra figlia ad un uomo come me? Devo far proprio da coperchio a qualche magagna, io? Dite pure, dite! Non mi offendo.

E infatti più che offeso egli sembrava avvilito; ma ella non si turbò.

—Fratello mio, ti giuro su questa croce santissima che t'inganni. Mia figlia? Mia figlia è innocente e pura come il giorno che è nata. Ed io non le faccio torto se è stata un po' leggera: il torto è mio, che l'ho lasciata presso quella donna, dalla quale ha avuto mille cattivi esempi. Ma io sono stata sempre una donna semplice: qualche volta mi arrabbio, ma, credi pure, sono una donna semplice, tutto cuore. Ho creduto alle promesse di mossiù Perrò, ho creduto che Marielène Azzena fosse una donna di onore. Ah, no, figlio mio, ho fatto male. Io dovevo tenere mia figlia con me. Maledette le madri che abbandonano i loro figli, sia pure credendo di far loro del bene. Lasciamo andare. Sebastiana ha avuto cattivi esempi, in quella casa; ed ha creduto che tutto fosse facile, tutto permesso. Ecco perchè ha scherzato con te. Tu le eri simpatico; ella aveva pietà di te, per le tue disgrazie. Mia figlia è tutto cuore, come me. Essa ti vuol bene, credimi pure, figlio di Dio! Io sono una povera vedova e lei è una povera orfana: siamo due povere donne sole, senza appoggio, senza amici, senza protettori. Tu non devi abusare della nostra debolezza, della nostra misera condizione….

Egli guardava per terra, quasi commosso. Anche lui era solo, abbandonato da tutti, debole come un fanciullo malato; e siccome la vedova continuava a chiamarlo « figlio mio, fratello mio » gli parve che davvero una triste parentela li unisse.

—Sentite!—esclamò ad un tratto, sollevando la testa e fissando gli occhi nel bosco. E tacque un istante, assorto, poi riprese:—io sono un uomo che non ha nulla da perdere perchè…. non ha più nulla! Verrò e parlerò con vostra figlia: se lei vuole vorrò anch'io; ma non pentitevi, poi, e non fatemi pentire, perchè io non starò lì a questionare. Io, sapete che cosa farò? Prenderò un bastone…. (la Maestra si allarmò a questa minaccia) un bastone da viandante, e me ne audrò lontano….

Ella a sua volta promise:

—Vedrai che ciò non accadrà. Te lo prometto io.—E si fece il segno della croce con la medaglietta del rosario, come per benedire la promessa.

Introdotto dal pretore, Predu Maria si mise a raccontare tutta la sua vita; poi disse che era venuto a Nuoro in cerca di lavoro, e riferì a modo suo l'avventura con Sebastiana e le persecuzioni della maestra Saju.

Il Pretore gli domandò se aveva intenzione di sposar la ragazza.

—L'intenzione c'è! Mancano i mezzi!

Egli credette d'esser stato molto furbo nelle sue risposte e uscì rassicurato. E fin verso sera vagò per le straducole dei rioni popolari di Nuoro, incerto se doveva o no recarsi dalla Maestra.

Finalmente attraversò il Corso, risalì un viottolo e si fermò davanti ad un piccolo cancello fatto di rami, al di là del quale stendevasi un orto coltivato a legumi e circondato da un muricciuolo a secco. A sinistra del cancello, in fondo a un piccolo viale sorgeva una casetta a un sol piano, con una scaletta esterna, e quasi di fronte, ma al di là del muricciuolo, una palazzina in costruzione biancheggiava entro la sua gabbia di scale e di impalcature. Le altre abitazioni sparse qua e là fra gli orticelli non erano dissimili dalla casupola del Moro.

Predu Maria spinse il cancello e battè alla porticina che si apriva sotto l'arco della scaletta esterna. Il viso di Sebastiana apparve tra i ferri incrociati che sbarravano un finestrino sopra la porta. Riconoscendo il visitatore ella diede un grido di gioia e lo salutò quasi come un liberatore.

—Son prigioniera, Predu Maria Dejà! Son chiusa dentro! Or mia madre verrà: è andata alla benedizione in chiesa e prega per noi!

Egli guardava in su istupidito, e non sapeva che dirle. Ella si mise a ridere.

—Che cosa sei venuto a fare?

—Non mi aspettavi?

—È da tanto che ti aspetto! Questa volta facciamo sul serio, dimmi?

Egli non rispose, ma Sebastiana continuò a ridere ed a chiacchierare, allegra e incosciente come un uccello aggrappato ai ferri della gabbia.

—Sai che anche quella si sposa? Sposa il forestiere. Ecco perchè lui veniva e quando veniva mi mandavano fuori! Te l'hanno fatta, di', Gerusalè! Ma ora noi la facciamo a loro. Però, senti, se tu non mi regali i bottoni d'oro e il rosario con la croce d'oro e lo stuzzicadenti d'argento, e non mi lasci andare in chiesa col libro di preghiere in mano, non andiamo d'accordo!

Scherzava? Parlava sul serio? Egli non sapeva; la conosceva così poco! Gli sembrava piuttosto ch'ella si beffasse di lui; eppure ricordava le cinquecento lire nascoste sotto la roccia e pensava che avrebbe potuto comprare i bottoni, il rosario, lo stuzzicadenti ed anche il libro di preghiere! A un tratto Sebastiana lasciò l'inferriata ed egli la sentì muoversi e agitarsi nella casetta deserta.

Ella si faceva bella per lui, ed egli sedette sulle pietre della scaletta ed esaminò il luogo dove forse avrebbe passato il resto della sua vita.

La casetta era modesta, ma l'orto aveva un certo valore perchè vicino al Corso. Egli pensò che dopo tutto non era un brutto affare il matrimonio propostogli.

Cadeva la sera; tutto il piccolo orto scintillava e vibrava, illuminato dai riflessi verdi e rossi del crepuscolo e animato dal canto dei grilli: e ad un tratto lo squillo rapido e quasi allegro che annunziava la benedizione attraversò il silenzio crepuscolare.

Predu Maria Dejana sentì anche il suo cuore tremare e i suoi occhi scintillarono come le foglie della vite.

—Santo, santo, santo è il Signore Dio degli Eserciti: egli manda la sera sulla Terra infocata e benedice anche l'uomo che piange i suoi delitti….

Egli pregava e piangeva.

Sebastiana accese il lume, ed egli, piegato su sè stesso, provò un senso di pace, quasi di gioia. Gli parve d'esser già un marito felice; seduto sullo scalino si riposava dopo una giornata di lavoro, mentre la suocera si attardava in chiesa e la giovine sposa preparava la cena. Chissà, forse avrebbe anche un figlio; ecco, forse il piccolo stava laggiù fra le viti in cerca dei grilli.

Questo sogno fu talmente improvviso e luminoso che egli ne provò quasi sgomento, e si fece il segno della croce come quando il bagliore fulmineo d'un lampo lo spaventava.

Un anno dopo, una sera di agosto, egli stava seduto sullo stesso scalino e aspettava la suocera per darle una buona notizia.

Sebastiana la sapeva già, questa notizia, e doveva esserne molto contenta perchè canterellava, nell'interno della casetta, preparando la cena.

E la sua cantilena ricordava il mormorìo dei boschi sotto il cielo lunare, ma di tanto in tanto aveva come un fremito, uno strido, come il grido del falco in amore che cerca la sua compagna fra le roccie.

Il sogno di Predu Maria s'era in parte avverato. Mancava solo il bambino in cerca di grilli, ma non era tempo da disperarsi; Sebastiana era tanto giovane, e anche lui sembrava ringiovanito. Con la barba corta tagliata a punta sul viso pienotto e i capelli grigi divisi da un lato, egli aveva ripreso la sua aria di piccolo borghese.

La suocera non tardò ad apparire, lenta e solenne, col rosario in mano.

—Buone notizie, monna suocera! Mossiù Perrò ha accettato.

—Ne ero certa,—ella rispose senza scomporsi.—Tu volevi che ci andassi io. No, egli ha poca simpatia per me, e poteva credere che era un mio pasticcio. Come gli hai detto?

—Non ho fatto preamboli. Gli dissi: Lorenzo vuole andarsene. Se vossignoria credesse di accettarmi, prenderei io il suo posto. Mia suocera è disposta a farmi la cauzione ipotecando il suo orto. Egli rispose subito: va bene!

—E allora?

—Allora siamo rimasti intesi di far una scrittura privata, ma per mezzo di notaio. Domani mattina alle dieci bisogna esser là.

—Va bene,—disse la maestra.—Verrò anch'io.

La modesta cena era pronta. I due sposi e la suocera, che dopo il matrimonio di sua figlia aveva voluto prendere abitudini « distinte » come quella di apparecchiare ogni giorno la tavola, sebbene il più delle volte non si mangiasse che pane di orzo e formaggio, o pane e legumi e raramente carne, si riunirono nella cucina scarsamente illuminata da un lume ad olio, e per qualche momento stettero in silenzio, curvi sulle loro scodelle rosse.

Sebastiana non dimenticava i succulenti pranzi del signor Perrò, e quella sera aveva preparato una zuppa di sua speciale invenzione; ma nè Predu Maria, nè la suocera, assorti nei loro pensieri, parvero accorgersi della novità. La maestra si sforzava a parer calma mentre i suoi occhi splendevano di gioia. Finalmente dunque si potevano sperare giorni migliori: la buona notizia portata da Predu Maria rompeva la monotonia dei giorni di miseria e forse giungeva in tempo ad evitare giorni peggiori.

—Il notaio, chi lo paga?—ella chiese, deponendo la sua scodella.—Per decoro, bisognerà almeno pagarlo a metà.

—Potrà pagare tutto lui, il vecchio corvo, —disse Sebastiana, che ad ogni occasione ingiuriava il suo antico padrone. —Non si rovinerà per questo.

Ma Predu Maria non dava mai ascolto alle parole di sua moglie: essa parlava sempre alla leggera, da vera bambina, ed egli preferiva seguire i consigli della suocera, o almeno fingeva di seguirli.

—Non ci pensate,—disse dignitosamente. —Qualcuno pagherà. L'importante è che si concluda domani, se no ho paura che qualche amico ci metta i bastoni fra le ruote.

La maestra domandò pensierosa:

—Bruno, hai detto, doveva scender giù stasera?

—Sì, ma egli è stato il primo a consigliarmi, e appoggierà la mia domanda.

—Dopo quanto hai raccontato, io mi fido poco di lui.

—Oh, son cose passate! Del resto, nel mondo ne succedono tante!

Sebastiana continuava a mangiare, con gli occhi fissi entro la scodella, e senza sollevar la testa disse lentamente:

—Adesso Marielène schiatterà, la vipera velenosa! L'ho veduta, stamattina: sembra una capra gialla e consunta.

—Si vede che il matrimonio non le fa bene…. come fa bene a noi!—disse Predu Maria, gonfiando le guancie.—Noi, pace e amore, siamo grassi e rossi, come le cipolle che mangiamo: loro, coi loro quattrini, diventano gialli e magri.

—Però si voglion bene,—osservò la suocera con malizia,—può darsi che diventino magri appunto perchè si voglion troppo bene.

Egli rise ma non replicò; e Sebastiana finse di non capire, perchè sapeva che suo marito la credeva innocente come una bimba di sette anni, e voleva conservargli questa illusione.

—L'ho veduta,—riprese—e mi ha fermato domandandomi se era vero che ero incinta. Io le dissi: no, ma non sono ancora disperata. Ella capì che volevo dire per lei, e aggiunse: meglio rimaner libere, così si lavora di più, si hanno meno pensieri. Io replicai: a che serve la ricchezza quando non si hanno figliuoli?

—E lei poteva dirti: non c'è pericolo che le tue ricchezze, anche se non avrai figli, vadano disperse!

—Chi può sapere i segreti dell'avvenire? —sentenziò la maestra, sfregando un pomodoro su un pezzo di pane d'orzo.—Si son visti dei mendicanti diventare proprietari.

Ed entrambi, genero e suocera, cominciarono a far progetti per l'avvenire. Il posto di dispensiere fruttava dalle cento alle cento venti lire al mese, una vera ricchezza per gente parca come loro, che viveva con una lira al giorno.

—Lorenzo avrebbe potuto farsi ricco, —disse Predu Maria,—egli che era senza famiglia, ma ha tutti i vizi del mondo, e sogna sempre come una femminuccia. Ora pare che abbia ricevuto denari dai parenti e dice che andrà in Continente in cerca di fortuna. Gli altri vengono qui di là, come Bruno; e lui invece se ne va! E può darsi che trovi: è capace di tutto….

—Io l'ho veduto a confessarsi,—disse l— maestra.

—Ce n'è della gente che prima va a confessarsi, poi va a rubare,—rimbeccò Sebastiana.

La maestra la guardò severa.

—Tu sta zitta, miscredente….

—La gente onesta non ha bisogno di confessarsi….

—Se non stai zitta ti dò uno schiaffo.

Ella tacque. Ella poteva dire qualsiasi insolenza a suo marito, ma davanti a sua madre doveva misurare le sue parole.

—Lasciatela dire,—osservò mollemente Prmdu Maria,—forse ha ragione.

E come un'ombra gli velò gli occhi. Egli ricordava la sua confessione prima delle nozze. Il confessore indulgente gli aveva domandato conto del compenso ricevuto per la sua iniquità; ed egli aveva risposto: l'ho già speso. Infatti aveva già comprato i doni per Sebastiana, il rosario di madreperla con la croce d'oro, i bottoni in filigrana, lo stuzzicadenti e anche il libro da messa. Considerato dunque che i quattrini erano spariti, il confessore domandò al penitente se almeno era pentito e deciso a non peccare più; e non insistè neanche troppo, forse ritenendo la domanda un po' inutile dal momento che il penitente era lì inginocchiato e mortificato davanti a lui.

Appena ebbero finito di mangiare, Predu Maria andò in cerca del suo antico compagno, col quale era di nuovo in buone relazioni, e le due donne sedettero sulle pietre della scaletta, e ricominciarono a far progetti per l'avvenire. La maestra si guardava attorno, sollevava la testa imponente, e parlava più a sè stessa che a sua figlia.

—Fabbricheremo il muro dell'orto, rifaremo la scala e daremo la tinta alle finestre….

—E il cappotto di Predu? Voi dimenticate che è tutto bucato come il cappotto di un bandito.

—Piano, piano, figlia mia: prima le cose più importanti. Il muro è il più necessario. Chiuso che sia, l'orto acquista più valore.

—Ah, ah, le cose più importanti? E le mie scarpe allora? Esse par che ridano, tanto i loro buchi s'allargano!

—Tu sei egoista e civetta, figlia mia, tu hai un paio di scarpette nuovissime, signorili, e ne pretendi subito un altro paio. In casa puoi stare scalza, come ci sto io: non morrai per questo.

Ma Sebastiana era sarcastica quella sera, e sotto l'accento leggero e quasi infantile delle sue parole si celava una profonda amarezza.

—Io non voglio stare scalza. Peggio per voi che mi avete fatto sposare un borghese! Ora poi che diventerà un riccone….

—La lingua in bocca, figlia mia! Io ti ho fatto sposare un galantuomo. Ti sei pentita, forse? Ti è mancato nulla, dopo che ti sei sposata? Ti ha forse mai bastonato tuo marito?

Sebastiana si mise a ridere, tanto le sembrava comica l'idea che Predu Maria potesse bastonarla: ma la sua risata irritò la maestra.

—Perchè ridi? Non ti correggerai mai più, Sebastiana? Tu non dovresti riderti di me, che sono tua madre; onora il padre e la madre finchè vivono sopra la terra…. ma tu i comandamenti li hai buttati in fondo al pozzo.

—Non ridevo di voi….

—Di chi dunque? Di tuo marito? Tu devi adorarlo, tuo marito; senza di lui tu saresti finita male!

Ogni volta che sua madre toccava quel tasto Sebastiana diventava seria e pareva si vergognasse e si pentisse del suo passato; non replicò, dunque, ma corrugò le sottili sopracciglia nere e si offuscò in viso.

—Mettiti bene in mente che tu sei ancora giovane, e che il tuo cranio invece di cervello contiene acqua; ma ricordati pure che io son qui, per tua buona sorte, e che ti guiderò come il pastore guida la pecora, col bastone e col vincastro. Che sarebbe avvenuto di te, se non prendevi marito? È stata la mia energia, è stata la mia astuzia che ti hanno salvata. Sono io che ho mandato a vuoto le mire del vecchio astore; sono io che son riuscita ad assicurare la tua felicità. Del resto, una buona madre non deve avere altri intenti, e il mio scopo è solo quello di pensare a te e a tuo marito; ma tu, tu almeno dovresti tacere ed essermi riconoscente….

Sebastiana era abituata a queste prediche e qualche volta non le ascoltava neppure, ma non replicava mai per paura degli schiaffi materni.

Un po' indolente ella si abbandonava al suo destino, dimenticandosi che aveva sognato di viver bene e di far la signora, e più per paura di sua madre che per paura di suo marito, rispondeva sempre no alle proposte prudenti e segrete che il suo ex padrone continuava a farle. Anche adesso non s'illudeva: lo speculatore favoriva Predu Maria perchè sperava d'intenerirla; ma non le veniva neppure in mente l'idea di dire alla maestra che anche lei, sua madre, con tutta la sua austera morale, non poteva non sospettare la causa delle benevolenze del Perrò. Perchè irritarla inutilmente? Perchè guastarsi il sangue, giusto in quella sera di gioia?

Mentre la maestra continuava la sua lezione, senza muoversi, dritta sul busto, con le mani composte sul grembo, imponente e nera alla luna come un idolo preistorico, Sebastiana s'abbandonava ai suoi sogni e alle sue fantasticherie, senza saper bene quello che voleva, quello che desiderava, pensando al suo fazzoletto nuovo o alle sue scarpe rotte con la stessa gioia e lo stesso dispetto con cui pensava ad un avvenire migliore o alla crescente fortuna di Marielène.

Soddisfatta della sua predica, la maestra finalmente tacque, e dopo qualche momento andò a coricarsi nella sua camera al pian terreno attigua alla cucina. Sebastiana rimase fuori, in attesa del marito. Non aveva sonno, e mille pensieri le passavano in mente, vaghi e cangianti come le nuvole che viaggiavano in cielo.

La notte era calda e velata, e la luna circondata da un'aureola verdastra appariva e spariva e talvolta pareva si affondasse fra le nuvole simili a grandi mucchi di veli biancastri; tutto era silenzio e chiaroscuro, e Sebastiana ripensava al suo ex padrone, alle saponette che egli le aveva regalate, ai viaggi che ella aveva sognato di fare con lui; e non si doleva che tutti i suoi sogni fossero spariti, e a forza di sentirselo dire da sua madre ammetteva anche di essere stata troppo leggera accettando l'omaggio di un uomo come lo speculatore; ma pensava a lui con dispetto, perchè egli non aveva saputo nè voluto proteggerla, e non perdonava a Predu Maria di esser stato la causa, sebbene involontaria, di tanti avvenimenti. Ma ella considerava suo marito come un uomo leggero e debole, e lo compativa perchè egli, pur non mostrandosi troppo appassionato, la amava profondamente e la credeva così pura e aveva tanta fiducia in lei che ella, senza il controllo della maestra, avrebbe potuto anche tradirlo impunemente. Ma ella non pensava a tradirlo, anche perchè talvolta aveva l'impressione che tutto ormai fosse finito per lei: lo speculatore poteva pur regalarle un milione, ella non l'avrebbe accettato perchè non sapeva che farsene.

Un rumore di passi un po' lenti ed eguali, e una voce dolce e stanca la scossero dai suoi pensieri.

—Dejana?

Ella balzò in piedi e corse al cancello.

—È uscito, Bruno! Ma forse a momenti sarà qui. Non entri, Bruno?

Egli entrò. Ella voleva riceverlo in cucina, voleva accendere il lume, voleva dargli da bere, ma Bruno le ricordò che non beveva, e per impedirle di andare a prendere una sedia le afferrò una mano e gliela strinse forte.

—E tua madre?

—È già a letto. La vuoi?

—No, volevo tuo marito. Egli ti avrà dato la buona notizia.

—Quale notizia?

—Oh, Dio, non fingere!—egli disse, sedendosi sulla scaletta.—Anzi son qui per dirgli che domani mattina venga dal Perrò alle nove invece che alle dieci.

Ella stette immobile davanti a lui, incerta se doveva parlare o tacere. Finalmente domandò:

—Tu credi che la cosa sia certa? Lorenzo dunque se ne va davvero?

—Se ne andrà senza dubbio.

—Va al suo paese?

—Non credo. Secondo me, no: credo che vada molto più lontano.

—Ho sentito dire che egli vuol farsi frate.

—Non mi meraviglierebbe!—disse Bruno calmo e pensicroso.—Egli adesso non fa che pregare e…. bere….

—Ah, ah, tu vuoi dire che i frati sono ubbriaconi? Sentimi,—ella esclamò, sedendosi anche lei sulla scaletta, accanto a lui—e tua moglie come sta? L'ho veduta l'altro giorno: com'è magra! Non le dai da mangiare?

Ella si era improvvisamente animata. Le sembrava che Bruno la guardasse come la guardava un tempo, con uno sguardo melanconico e tenero; ma forse ella s'ingannava, perchè egli non parve turbarsi affatto nel sentirla così vicina a lui, così giovine, vivace, quasi provocante.

—Mia moglie sta bene,—disse senza mutare accento.—Soltanto lavora troppo. Lavora troppo, sì!

—E tu non lasciarla tanto lavorare!

—Come si fa? Io sto fuori. D'altronde anch'essa mi dice che anch'io adesso lavoro troppo.

Sebastiana battè le mani.

—Che storia curiosa! Io conoscevo due che litigavano perchè erano poltroni entrambi; invece voi questionate perchè….

—No, non questioniamo mai! Non ne abbiamo il tempo!

—Lo sappiamo, Bruno! Vi volete troppo bene, per non andar d'accordo….

—Oh, Dio, due sposi si vogliono sempre bene! Che forse tu e Predu Maria non vi amate?

—Oh, pazzamente!—ella disse con ironia.

—Con tua madre va sempre d'accordo?

—Tanto che sembra lei la sposa! Io sembro la loro figlia! Loro comandano, io obbedisco.

—Fai bene! Sei ancora così giovane!

Ella rise e guardò in aria, e la luna illuminò il suo viso e il suo collo marmoreo. Ma egli non sorrideva per le confidenze di lei: prendeva tutte le cose sul serio, lui; e la sua calma e la sua serietà, così semplici, così diverse da quelle della maestra, piacevano molto a Sebastiana. Anche lei si fece seria….

—Giovane! Un tempo lo ero. Adesso! Una donna maritata non è più giovane. Ah, ah! Ricordi quella mattina che tu salivi al monte ed io scendevo alla fontana? Che sciocchezze ti dissi! Tu avrai pensato: come è pazza Sebastiana!

—Non ricordo.

—Eh, lo so! Pensavi a Marielène e mi domandavi se aveva molti denari.

—Io domandai questo?

Egli si levò il cappellaccio grigio che gli ombreggiava il viso, e lo tenne fra le mani, allargandone e stringendone la piega: ed ella guardava il viso calmo e pallido di lui illuminato dalla luna, e i suoi occhi a momenti brillavano a momenti si oscuravano come il cielo di quella notte.

—Le ricordo io, tutte le tue domande di quella mattina! Tu pensavi già a lei, Bruno, ed io l'indovinavo.

—Era facile indovinarlo!

—Quando tu sei venuto su, la prima sera, mentre si aspettava il padrone, ricordi, Marielène mi mandò ad apparecchiare….

—Senti,—egli disse interrompendola, —è vero che Zoseppedda vuol vendere la sua casa?

Entrambi guardarono in fondo all'orto, verso la casa nuova, e Sebastiana raccontò una lunga storia. I proprietari della casa, due giovani sposi paesani e benestanti, non erano contenti di quella costruzione piuttosto signorile, poco adatta per gente come loro, che aveva bisogno di locali terreni, di tettoie, e sopratutto di un orto; e poichè la maestra Saju non intendeva cedere il suo, essi volevano vender la casa.

Bruno si alzò.

—Voglio andare a vedere.

Mentre egli si avanzava sino al muro che divideva l'orto dal cortiletto, e guardava in su, calcolando quanti ambienti poteva avere la casa nuova, Sebastiana stese la mano e palpò con una lieve carezza il cappello che egli aveva lasciato sullo scalino.

Ella sentiva qualcosa di velenoso e dolce serpeggiarle nel sangue; ricordava che Bruno l'aveva quasi abbracciata, la sera del suo arrivo, e pensava che senza le stupide avventure accadute in seguito, egli forse si sarebbe innamorato di lei e l'avrebbe sposata. Egli era un forestiere, è vero, ma ella si sentiva attratta verso di lui quasi da un'affinità di razza; egli non aveva ucciso il patrigno, egli non aveva vizi; e la sua bocca melanconica non puzzava d'acquavite come quella di Predu Maria. Egli non avrebbe certo permesso alla suocera di trattar sua moglie come una bambina viziosa. Ma egli amava i denari: altrimenti non avrebbe sposato Marielène…. Ed ella respinse il cappello con dispetto, poichè sentiva un cupo rancore ogni volta che pensava alla fortuna della sua rivale.

Quando Bruno le tornò vicino gli disse a voce alta:

—Sì, quella casa vi conviene, se è vero che volete metter su una locanda.

—Chi te lo disse?—egli domandò alquanto sorpreso.

—Lorenzo lo disse a Predu Maria. L'orto però non lo vendiamo. Non l'abbiamo venduto a Zoseppedda, tanto meno a voi.

—I nostri denari sono eguali a quelli di Zoseppedda,—rispose Bruno curvandosi per riprendere il cappello; ed ella si accorse che egli aveva staccato un garofano e se lo era messo all'occhiello. Ecco una cosa che Predu Maria non avrebbe mai pensato di fare!

—Sì, sì, voi avete molti denari, ma l'orto noi non lo vendiamo. Per sotterrarvi, se lo volete.

Egli si calcò il cappello sulla testa e la guardò, dall'alto, coi suoi occhi tristi.

—Anche la vedova Moro diceva così per la tanca. E invece adesso l'ha ceduta!

—La vedova Moro è la vedova Moro, mia madre è invece la vedova Saju— ella disse con la sua solita leggerezza.— Diglielo pure, al tuo padrone!

—Che c'entra il padrone? Del resto, questa è una questione inutile; poichè io non penso a comprar case nè giardini. Senti, Predu Maria tarda a rientrare; bisogna che io vada.

—Tu vuoi andartene? Allora glielo dirò io. Alle nove e mezza?

—No, alle nove. Ricordatelo, cara. Buona notte.

—Buona notte. Tanti saluti a Marielène.

Egli le strinse la mano e se ne andò, calmo e lento, com'era venuto; ed ella rimase sulla scaletta, sotto il chiarore cangiante della luna. E come sul cielo, sulla sua anima passavano ombre e luminosità incerte e strane. Egli l'aveva chiamata « cara », egli s'era messo il garofano all'occhiello, e non si era offeso per le insinuazioni maligne di lei. La calma di lui, la forza di dominio che egli aveva sopra sè stesso, le piacevano e la irritavano. Non era la prima volta che s'incontravano, dopo il loro matrimonio, ed egli s'era mostrato sempre così, freddo e misurato; ma ella si accorgeva per la prima volta che egli le piaceva un po'troppo.

Siccome Predu Maria tardava, ella salì la scaletta e aprì la porticina che dava sul ballatoio di legno.

La luna apparve fra due nuvole che parevan due grandi caproni bianchi lanosi pronti ad azzuffarsi, e illuminò una camera vasta e pulita, col letto candido e quattro oleografie alle pareti. Sembrava la camera d'una moglie d'avvocato, diceva la maestra, e non vi mancava neppure il lavabo, col catino e con la brocca, e sul canterano scintillavano due candelabri di vetro smaltato, coi sottocandelieri circondati di fiorellini di lana. Dalle quattro oleografie sorridevano ardite e voluttuose quattro donne delle diverse parti del mondo: una circassa piena di collane simili a quelle che mossiù Perrò regalava alle sue serve, una parigina semi-nuda, una americana con un berretto da uomo, e una mora violacea seducentissima nonostante il suo naso camuso. Sebastiana era la più bella fra tante bellezze.

Predu Maria tornò molto tardi, ma ella vegliava ancora, e cominciò a raccontargli la visita di Bruno.

Egli ascoltava, spogliandosi al buio, e non rispondeva; infine le si coricò accanto e disse tranquillamente:

—Va bene, alle nove. L'hai detto a tua madre?

—No,—ella esclamò, meravigliata della calma di lui.—Ma non hai capito? Egli vuol comprare la casa di Zoseppedda, e forse vuole il nostro orto….

—Vuole! Vuole! Volere non è potere!

—Sì, sì,—ella continuò, agitandosi. —Io ho fatto un pensiero maligno…. Che il Perrò voglia il nostro orto in cauzione, con la speranza di poterlo un giorno acquistare per regalarlo a Marielène….

Ma Predu Maria, che era stanco e aveva sonno, disse con voce velata:

—Oh, non pensarci neppure. Io non credo che mossiù Perrò abbia queste intenzioni, e se le ha, gliele leverò io dal testone.

Ella rise (bastava una parola per farla ridere) e domandò con la sua voce soave:

—Tu sei stato da Antonio Maria? Che dice per l'affare della tanca?

—Egli sperava che la sua nonna gli desse almeno cento scudi, perchè, dopo tutto, è stato lui a convincerla a vendere la tanca. Ma la vecchia ha nascosto i soldi, e dice che, poichè è stata costretta a vendere, non spenderà un centesimo della somma e la lascierà alla Chiesa per farsi celebrare tante messe dopo morta. Egli è arrabbiato coi preti, adesso, e dice che le sue cugine hanno appunto relazioni intime con qualche sacerdote…. Fa anche dei nomi….

Sebastiana ascoltava, con gli occhi spalancati nel buio. Come tutte queste storie di amanti, di relazioni illecite e pericolose le piacevano!

—Ah, l'ho sentito dire anch'io!—mentì. —Sì, sì! L'ho sentito. Del resto, mia madre non vuole che si sparli dei preti: ma chi sono essi? Peggiori di noi! È vero che Lorenzo vuol farsi frate? E chi è più cattivo di lui? Tu mi hai raccontato che egli parlava male di me….

—Ora dormiamo,—egli disse, stringendole un braccio come per invitarla a calmarsi.—Domani mattina…. domani mattina….

Egli aveva sonno, era felice, e non amava che Sebastiana rievocasse certi ricordi…. Si addormentò stringendole il braccio, ed ella continuò a fantasticare ed a far « maligni pensieri ». I preti…. le cugine di Antonio Maria…. Lorenzo, Marielène…. il garofano…. il cappello grigio…. Bruno…. e i suoi occhi…. le sue labbra…. Ella si addormentò pensando a lui

E Bruno pensava a lei, tornandosene a passi lenti verso la casa di zia Chillina. Egli e sua moglie abitavano ancora presso la vecchietta, la quale non solo aveva loro permesso di cucinare nel suo focolare, ma suggestionata da Marielène aveva accolto in casa altri inquilini, e cioè due studenti e un vice-cancelliere del Tribunale; e Bruno aveva molta stima di sua moglie perchè essa lavorava giorno e notte ed era riuscita non solo a placare la vecchia padrona di casa, ma a farsene un'alleata contro le vicine in vidiose e maldicenti.

Una di queste però aveva scritto una lettera anonima al figlio della vecchietta, dicendogli che era una vergogna che zia Chillina facesse la locandiera. Allora l'impiegato annunziò a sua madre una visita sua e di sua moglie, e Bruno e Marielène e gli altri inquilini dovettero rassegnarsi a sloggiare, d'intesa fra loro di andar ad abitare tutti assieme nella stessa casa.

Bruno attraversava il Corso illuminato dalla luna, pensando alla casa di Zoseppedda, calcolando quante stanze potevano esserci, e quanto poteva costare: ma i suoi calcoli e i suoi pensieri, di solito così netti e precisi, erano quella sera alquanto confusi. L'immagine di Sebastiana, ora nitida e dolce, ora velata e insidiosa, li attraversava come la luna attraversava le nuvole. Egli la rivedeva seduta sulla scaletta, coi bei capelli neri raccolti sulla nuca bianca, e gli occhi nuotanti come in un vapore lunare. Ella gli piaceva, come gli era sempre piaciuta, e mentre s'era curvato a prendere il cappello gli era parso che ella lo attirasse a sè, col fluido della sua giovinezza, della sua bellezza, del suo ardore nascosto. Ma egli non era uno sciocco; e non voleva per un momentaneo capriccio compromettere il suo avvenire e la sua fortuna.

Rientrando a casa trovò Marielène ancora alzata, intenta a rimettere in ordine la cucina, e pensò ancora a Sebastiana che non lavorava neppure di giorno mentre Marielène non riposava neppure la notte. Ella andava e veniva, nella penombra della cucina, agile e nervosa, vestita nuovamente col suo costume scuro; era magra e pallida, ma il suo piccolo viso aveva preso una espressione di bontà e quasi di tenerezza.

—C'è già il lumino acceso in camera, Bruno mio, va! Adesso verrò anch'io.

Egli attaccò il cappello ad un chiodo e disse esitando:

—Elena, senti, ho veduto la casa di Zoseppedda Congiu.

—A quest'ora?

—Di fuori! Ho contato le finestre…. ho calcolato…. Saranno in tutto sei camere, la cucina, la cantina, le soffitte…. La vogliono vendere, e se la danno a rate ci conviene….

—Chi t'ha detto che la vendono?

—Sebastiana. Sono stato là per cercare il Dejana…. ed anche per domandare per la casa….—abbassò la testa, pensieroso, ma la rialzò subito.—Sì, ci conviene; è veramente una casa adatta per pensione.

—Non basta vederla al di fuori!—ella disse vivacemente.—Eppoi prima bisogna informarsi bene, perchè Sebastiana può averti detto una bugia: in vita sua non ha fatto altro che dir bugie!

—Ebbene, informati. Io ritornerò domenica; e nel frattempo tu potrai sapere se la cosa è vera o no.

—Va bene,—disse Marielène; ed egli salì nella loro camera, e cominciò a spogliarsi con lentezza, scuotendo di tanto in tanto la testa. Ogni suo movimento accompagnava un suo calcolo. Attaccando la giacca al pomo del letto egli pensava che la casa di Zoseppedda non valeva meno di sette od otto mila lire; levandosi le bretelle fece per la millesima volta il calcolo di quanto poteva rendere la pensione ideata da lui e da Marielène: certo non meno di tre mila lire nette all'anno. E questo senza che egli abbandonasse il suo mestiere. Marielène, oramai egli la conosceva, era capace di far tutto da sè, col solo aiuto di una buona serva.

Egli si levò le scarpe e per un momento ne tenne una in mano, preoccupato dal pensiero di questa serva, che bisognava scegliere non solo abile e fidata, ma anche di aspetto grazioso. Egli ricordava che in continente, nei grandi alberghi, si richiedono persone di servizio di bella presenza. A un tratto, dopo aver deposto sotto la sedia le sue scarpe, una accanto all'altra, con le calze dentro, sollevò gli occhi ed ebbe una specie di allucinazione; gli parve di veder Sebastiana in fondo alla camera appena rischiarata dal lumino da notte. La visione fu rapida, ma talmente viva e precisa che egli per un attimo credette che Sebastiana l'avesse davvero seguito e fosse penetrata nella camera. Gli parve che la sorpresa gli causasse una fitta profonda al cuore; un dolore acuto come la trafittura di una spilla; si tastò il petto, ma non sentì che la pelle liscia ed umida di sudore, e quasi istantaneamente il dolore cessò. Allora egli credette di essersi ingannato, tanto per l'apparizione di Sebastiana come per il dolore: piegò un ginocchio, guardando il Crocefisso che pendeva in capo al letto, si fece il segno della croce e si coricò; ma un turbamento profondo lo tenne per qualche momento agitato. Cercò di riprendere il filo dei suoi pensieri e dei suoi calcoli, ma per quanti sforzi facesse non vi riuscì: il filo si era rotto e la sua estremità non era più a portata di mano….

Tre o quattro giorni dopo Lorenzo fece a Predu Maria la consegna della dispensa.

—Tre quintali di farina bianca, cinque di farina gialla…. Due quintali di formaggio pecorino…. Sette sacchi di patate. Il lardo di tre maiali. Qui c'è la damigiana dell'acquavite; San Pietro e San Simone ci proteggano!…

—Tu scherzi, oppure è così!—disse gravemente Predu Maria, che aveva fatto voto a San Pietro e a San Simone di non bere più, se riusciva ad ottenere il posto di dispensiere.

—Tua moglie, come sta?—domandò Lorenzo.—Se mi permetti, vado a salutarla, mentre passo per Nuoro. Devo dirle qualche cosa per tuo conto? Adesso che non puoi scendere sempre che vuoi, come farai, Gerusalè?

—Ne farò a meno! Oppure verrà mia moglie, a trovarmi quassù!

—Ah, Gerusalemme! Tu non hai paura di lasciar tua moglie venir su sola?

—Per via non ci son cinghiali!

—Ora verranno i toscani, per il carbone.

—Quelli non son cinghiali, son lepri!

—Io, fratello caro, se avessi moglie non mi fiderei neanche dei gatti!

Con quest'avvertenza Lorenzo si congedò. Predu Maria lo seguì con gli occhi finchè lo vide sparire e come affondarsi fra le roccie giù nel sentiero, e soltanto allora si sentì tranquillo; gli parve che il suo orizzonte si allargasse, e che egli oramai stesse più comodo nella vita, come un viaggiatore al quale un grosso compagno di viaggio, andandosene, abbia ceduto il suo posto nella diligenza affollata.

Per qualche tempo visse tuttavia nel timore che Lorenzo tornasse e gl'imponesse di lasciargli di nuovo libero il posto. Egli serviva goffamente i lavoranti, e molti lo prendevano in giro, pregandolo di pesar bene, di regalar loro qualche cosa, di esser meno esoso. Sebbene egli non fosse amico di nessuno, con lui tutti si mostravano disinvolti e arditi; egli era stato uno di loro: poteva quindi capirli, sebbene fosse pagato per defraudarli; ed egli ricordava quanto aveva sofferto, ma la sua coscienza non gli permetteva di contentarli. Se dava ascolto a loro si rovinava in pochi giorni; e d'altronde essi scherzavano, lamentandosi, e anche lui cominciò a scherzare, e per paura di pesar male, cioè di oltrepassare il peso giusto, si abituò a toccar la bilancia col dito come faceva Lorenzo, dando così un peso scarso.

La suocera d'altronde vigilava, e con la scusa di andar a pregare nella chiesetta visitava spesso il genero e s'informava di tutto, prodiga di consigli, di avvertimenti ed anche di rimproveri.

Del resto, nulla di straordinario accadeva lassù. La speculazione continuava a spogliare la montagna, lasciando solo i boschi delle cime più alte. Sembrava l'opera di un ladro che denudasse la sua vittima lasciandole il capo avvolto in una maschera perchè non vedesse il viso del suo aggressore.

L'accampamento e la dispensa erano adesso a metà costa, a nord-est, in un punto donde si scorgeva la vallata di Valverde con la sua chiesetta melanconica, i monti d'Orune e di Lula, la chiesa di San Francesco bianca tra il verde e il grigio come un cigno in un lago.

Bruno e il nuovo dispensiere erano tornati amici, o almeno discorrevano amichevolmente ogni volta che si vedevano, ma mentre Predu Maria sembrava quasi rinato ad una nuova vita, il capo-macchia diventava di giorno in giorno più grave e pensieroso. Spesso il Dejana dalla soglia della dispensa lo vedva passare un po'curvo, con la testa bassa e agitando le dita come occupato a fare un calcolo difficile od a cercare un oggetto smarrito.

Un giorno, in settembre, Sebastiana apparve in fondo al sentiero, sorridente, col viso roseo come uno dei grandi fiori che ornavano il suo fazzoletto. Predichedda l'accompagnava. Erano state ad ascoltare la messa nella chiesetta e venivano a salutare Predu Maria; ed egli andò loro incontro fino al bosco animato dal picchiar delle accette e dai gridi delle gazze che imitavano i fischi dei lavoranti.

Predichedda era insolitamente triste perchè aveva attraversato un tratto della tanca Moro e le era parso di attraversare un cimitero; e per tutto il tempo che stettero assieme Predu Maria e le due donne parlarono dolla vendita della tanca, delle questioni della famiglia Moro, dell'odio fra Antonio Maria e le cugine.

Sebastiana domandò se era vero che una di queste amoreggiava con un prete, ma Predichedda protestò, perchè se ella non amava le sue parenti ricche, ne difendeva però l'onore. Sebastiana disse, imitando il lento parlare della sua amica:

—Che male ci sarebbe? Tanto adesso le donne meno scrupolose son le più fortunate. Vedi, Marielène….

—Oh, tu con questa Marielène!… Son stufa di sentirtela nominare. Dov'è poi tutta questa fortuna?

—Adesso essa sta per comprare la casa di Zoseppedda. Vedrai come diventerà ricca.

—Non tutti i ricchi son contenti,— sentenziò Predichedda.—Vedi il tuo ex padrone: quello è ricco, eppure non fa che urlare tutto il giorno, e un uomo che urla non è un uomo felice.

Mentre se ne andavano incontrarono Bruno, e Sebastiana alzò la voce per farsi notare da lui.

—Ho veduto tua moglie, Bruno Pa! Essa è contenta come una pasqua, mentre tu hai una faccia da moribondo. Lei può viver lontana da te; tu no, a quanto pare!

—Ma anche tu non sembri molto afflitta per la lontananza di tuo marito,— rimbeccò Bruno, guardandola in viso.

—Eh, in questo momento sono allegra perchè l'ho riveduto! Non è vero, Predichedda?

Ella urtò la compagna, ma questa disse lentamente:

—Eh, non vi siete neanche dato un bacio!

—Eh, perchè c'eri tu!—disse ridendo Sebastiana, e non sapeva per quale reo istinto volesse far capire a Bruno che fra lei e suo marito i rapporti coniugali erano tutt'altro che ardenti.

—Ve ne andate subito?—egli domandò; —io devo scendere stasera a Nuoro, e se passerete la giornata qui potremo ritornare assieme.

—Ah no, mia madre mi aspetta, vuoi restare tu, Predichedda?

—E se restassi, che male ci sarebbe? Con uomini ammogliati….

—Il fuoco li sfiori! Essi sono peggiori degli scapoli! Non è vero, Bruno?

Egli sorrise, un po'triste, un po'freddo, come per significare che per conto suo se una di loro restava non correva alcun pericolo.

—Piuttosto, son io che devo ritornare. Se no, mio zio, anima mia, muore disperato e mi bastona anche. Rimani tu, Sebastiana: passerò da tua madre per avvertirla! —disse Predichedda.

Ella capiva che la sua amica desiderava rimanere. Per chi? Per il marito o per Bruno? Non le importava saperlo; le bastava favorirla, per quell'istinto che ella aveva di far piacere alle persone che desideravano qualche cosa d'illecito. Infatti Sebastiana, dopo un momento d'incertezza, accettò; ma Bruno accompagnò Predichedda fino al sentiero che scendeva al paese, e poi andò per i fatti suoi nel bosco. Sebastiana si mise a chiacchierare con le raschiatrici di scorza, indi ritornò verso le tettoie e mangiò i maccheroni che Predu Maria aveva fatto cuocere e condito senza l'aiuto di lei.

Seduti per terra, all'ombra delle capanne, parlarono ancora di Antonio Maria, delle cugine, dei preti, della casa di Zoseppedda, del muro di cinta che la maestra voleva fabbricare attorno all'orto: ma ella pensava a Bruno e si domandava perchè egli non s'era più avvicinato.

—Io vorrei darti un bicchierino di liquore, —disse Predu Maria, mentre stavano per finire il modesto pasto,—ma vorrei che non ci vedessero. Andiamo dentro la dispensa.

Ella si alzò e lo seguì, e Bruno da lontano li vide entrare nella dispensa e chiudervisi dentro. Una fiamma gli colorì il viso. Si allontanò e andò a sdraiarsi in mezzo alle macchie.

In quell'ora del meriggio la brughiera fremeva tutta, piena di vita e d'amore; il vento che veniva dal mare l'agitava col suo alito profumato, curvando gli steli che pareva s'inseguissero folli di gioia e di passione. I fiori del tasso si baciavano, le mosche e gl'insetti volteggiavano al sole. S'udivano lievi gridi d'uccelli nascosti fra le macchie, e persino le tarantole abbandonavano le loro tele come fidanzate che tralasciassero di lavorare il loro corredo per andare a un convegno con l'amato. Anche le nuvolette rosee salivano a due a due sul cielo un po'vaporoso di settembre, dietro l'ultima linea delle montagne. L'uomo soltanto era solo, sdraiato all'ombra d'un lentischio: solo col suo desiderio d'una compagna bella e appassionata; e non si accorgeva che era appunto il suo desiderio, e non il vento che veniva dal mare, il soffio che riempiva di passione le cose inanimate.

Durante il pomeriggio egli s'aggirò nella foresta cercando di dominare i suoi pensieri, ma la figura di Sebastiana lo seguiva, lo precedeva, gli girava attorno, gli appariva di qua e di là, come un folletto dei boschi. Invano egli la scacciava; ella gli tornava davanti, col suo viso colorito e gli occhi luminosi, col suo vestito rosso e nero, col suo fazzoletto orlato di rose. Era impossibile non fissare l'attenzione su lei; ella aveva qualcosa di fiammeggiante nella persona, e pareva che esalasse un profumo acuto, e che i suoi occhi attirassero come un riflesso lontano o come un lume nella notte.

Egli si sentiva assalito da un malessere quasi fisico; ma continuava i suoi calcoli, pensava alle solite cose, ai lavoranti, alla scorza, ai sacchi, ai carbonai che dovevano arrivare, a sua moglie, poveretta, che lavorava, che era buona, fredda e casta, ma che lo avrebbe ucciso se egli la tradiva con Sebastiana; e pensava a Predu Maria che lo avrebbe ammazzato per la stessa ragione, e ripensava alla casa di Zoseppedda, alla pensione, ai quattrini, facendo mentalmente cifre su cifre, come uno che agitato dall'insonnia conta fino a cento e fino a mille per addormentarsi.

Predu Maria dovette andarlo a cercare per domandargli se scendeva o no in paese.

—È tardi. Sebastiana vuole andarsene.

Bruno guardò l'orologio, così a lungo che Predu Maria gli domandò:

—È fermo?

L'orologio camminava: erano le sei. Bruno lo rimise in tasca e disse laconicamente:

—Andiamo.

Si avviò, perchè non lo vedessero a partire con Sebastiana, e fu grato a Predu Maria che andò ad avvertire sua moglie e la accompagnò per un tratto di sentiero.

Sebastiana scherzava, ma era molto ironica, quasi acre.

—Perchè ti sei nascosto, Bruno? Hai paura che tua moglie diventi gelosa? No, sai, lo disse a me: non è gelosa.

—Ma finiscila!—disse Predu Maria, che non parlava mai di Marielène con Bruno sembrandogli che questi potesse offendersene.

Bruno camminava davanti a loro, col suo passo fermo un po'lento ma sicuro; non rispose neppure agli scherzi di Sebastiana, e quando Predu Maria tornò indietro gli fece un cenno come per significargli che poteva stare tranquillo; egli avrebbe fatto buona compagnia alla giovine donna.

Appena rimasero soli ella tacque, seria e sdegnosa, come offesa per il contegno glaciale del suo compagno: e camminarono a lungo in silenzio, sempre l'una dietro l'altro, in faccia al sole che cadeva sull'orizzonte rosso.

A un tratto Bruno vide un paesano con una corda attorno al braccio salire di corsa una china, e anche lui saltò con agilità sul muro che chiudeva il sentiero, e di là su un cumulo di roccie. Voleva spiare l'uomo, che gli sembrava una figura sospetta: e per alcuni momenti rimase appiattato fra i macigni, con gli occhi socchiusi, intenti come quelli di un cane da preda. Pareva si fosse completamente dimenticato di Sebastiana, ed ella ne profittò per riposarsi. Sedette su una pietra, e guardò in su, finchè non lo vide scendere, con la stessa agilità con cui era salito. Egli camminava e saltava sulle pietre come su una scala sicura: vedendo Sebastiana le sorrise per rassicurarla, e i suoi denti scintillarono, le labbra apparvero fresche e rosse fra i baffi dorati. Egli era bello in quel momento, col viso illuminato dal sole, così alto, così agile e pieghevole; ed ella ricordò i giganti che un tempo abitavano la montagna e dovevano essere belli ed agili così, e come spinta da un istinto di emulazione si alzò e lo aspettò dritta sulla roccia, alta anche lei e provocante.

Ripresero a scendere, l'uno a fianco dell'altra, illuminati entrambi dall'ultima fiamma del sole: e un desiderio intenso li avvolgeva entrambi, come quella luce; ma la volontà di Bruno era più forte della sua passione. Egli cominciò a chiacchierare insolitamente animato, parlando dell'uomo con la corda, che gli era parso un individuo sospetto, un ladro di scorza che riusciva a rubare senza esser mai raggiunto; e delle raschiatrici, che se potevano rubavano anche loro, e di tanti altri piccoli incidenti della vita della foresta. Ella non lo aveva mai sentito chiacchierare tanto, e ne profittò per domandargli notizie della casa di Zoseppedda e dei suoi progetti per l'avvenire.

—Così diventeremo vicini di casa,— disse con voce lievemente commossa: ma subito riprese a scherzare:—dovrete parlar piano però, perchè dal nostro orto si sente tutto ciò che si dice nel vostro cortiletto….

Il sole tramontò e anche sul viso di Bruno parve spandersi un'ombra.

—Staremo vicini…. la vedrò spesso…. —egli pensava con desiderio e con tristezza.

Arrivarono in paese al cader della sera; il viso marmoreo della luna già alta sul cielo chiaro si dorava lentamente, come assorbendo gli ultimi splendori del crepuscolo, e nella valle e negli orti brillava qualche fiammata di ramaglie secche: una dolcezza grave era nell'aria e il suono lontano d'una fisarmonica pareva l'invito di una voce appassionata che indicasse agli amanti l'ora dei loro convegni.

Sebastiana e Bruno non avevano mai conosciuto quest'ora, e adesso sentivano l'invito, instintivamente, come sentivano il desiderio di bere e di riposarsi; e se egli si fosse fermato, nel viottolo rischiarato dalla luna, ella gli sarebbe caduta fra le braccia; ma egli camminava rapido come per sfuggire ad un pericolo, ed essa lo seguiva silenziosa e stanca.

Bruno era sceso a Nuoro perchè quella sera stessa aveva un appuntamento coi vicini di casa di Sebastiana.

Dopo aver rimesso rapidamente in ordine la cucina e la stanzetta da pranzo, Marielène sbrigò qualche altra faccenda e andò su a vestirsi. Leggera ed agile, nel suo costume scuro, ella correva di qua e di là silenziosa e pareva volasse come una grande farfalla nera; e Bruno e la vecchia padrona di casa, che filava seduta davanti al portone, al chiaror di luna, parlavano di lei, ed entrambi la lodavano, poichè zia Chillina aveva finito per convincersi, un po'per esperienza, molto per amor proprio, che la sua inquilina era una donna onesta, una donna fina, e Bruno, per conto suo, non poteva fare a meno di ammirare sua moglie per la sua sveltezza e la sua abilità.

In un attimo ella si vestì, ridiscese, salutò zia Chillina e prese il braccio del marito; ed entrambi si allontanarono, tranquilli e uniti come due sposini, mentre la vecchia li seguiva con uno sguardo materno.

Attraversarono la piccola città illuminata dalla luna. S'udiva ancora il lamento delle fisarmoniche e un trillo di chitarra; e i galli cantavano, intonando anch'essi una serenata; nel Corso passavano figure di donne vestite di bianco, e davanti al caffè sedevano ufficiali e borghesi; fra lo scoppio delle bottiglie di gazosa vibravano le risate ironiche di un vecchio cacciatore e le frasi tonanti di mossiù Perrò.

Bruno era pensieroso, come preoccupato per l'affare della casa, e ancora incerto se concludere o no; Marielène invece pensava al giorno in cui egli, diventato ricco, si sarebbe seduto in mezzo a quei borghesi e avrebbe discusso con loro; e la voce del suo ex padrone, invece di irritarla ricordandole tutte le vicende passate, incitava le sue idee ambiziose. Ella non aveva perdonato, nè a lui nè a Sebastiana nè ad Antonio Maria, ma voleva vendicarsi di loro diventando una donna ricca e rispettata, e aiutando suo marito ad elevarsi al di sopra di loro.

L'idea di andar ad abitare davanti ai Dejana in una casa propria e di esporre davanti a loro, giorno per giorno, la sua crescente fortuna, la inebbriava come un sogno d'amore.

Anche per lei eran giunti giorni migliori; le sembrava di aver finalmente afferrato la fortuna e voleva tenerla ben stretta come quella sera teneva stretto il braccio di Bruno.

Zoseppedda, giovane paesana benestante, che coglieva volentieri l'occasione per sfoggiare il suo italiano dialettale, li aspettava e li accolse affabilmente, non senza però una certa degnazione. Sebbene sapesse che Bruno capiva e parlava anche il dialetto, gli disse in italiano che il marito era dovuto partire per l'ovile, dove un servo si era improvvisamente ammalato, ma che potevano egualmente discorrere del loro affare.

—Queste son le carte,—disse, deponendo sul tavolo un fascicolo di fogli ruvidi. —Questi sono i conti di quanto zi è costata la casa; questa è la pericia, questa è la ricevuta dell'ultima rata d'imposta: lire ventiquattro e ottanta centesimi. Noi non vogliamo fare una speculacione.

Allora Marielène per far capire alla paesana benestante che non aveva a che fare con gente da nulla, disse con calma:

—La tassa sui fabbricati è del trenta per cento sulla rendita. La tua casa dunque renderebbe circa…. circa…. venticinque per sei fanno cento cinquanta, vero? dunque renderebbe…. renderebbe circa cinquecento lire…. Le case a Nuoro rendono il dieci per cento.

—Ah, no, no! Ti sbagli, sorella mia! —disse la proprietaria, con un sorriso lievemente sdegnoso.—Non rendono neanche il sette…. Lo so io! Le case non sono denari contanti.

Marielène, che non poteva dire « anch'io sono proprietaria » stette un momento incerta; ma subito dopo replicò:

—I contanti, dati a buoni interessi, rendono anche il quindici e il venti…. (Ma non osò aggiungere, come l'altra, « lo so io »).

—Gli usurai, sorella mia….

Bruno che esaminava le carte venne in aiuto a sua moglie.

—La perizia dà alla casa un valore di settemila cento lire. Circa l'otto per cento, quindi…. Questo però non importa. Quando io parlai con suo marito, proponendogli la vendita della casa, egli mi fece capire che, pur di disfarsene, migliaio più, migliaio meno, egli non ci avrebbe badato. Noi offriamo dunque sei mila lire, non un centesimo di più.

Egli parlava con calma e fermezza, e non si scosse per i gesti di indignazione della proprietaria, e per lo sguardo di meraviglia di sua moglie. Ma questa giudicò prudente tacere, durante la discussione fra lui e Zoseppedda. Se egli parlava così doveva avere le sue ragioni: ella sapeva quanto egli era freddo e calcolatore e come in fatto di affari fosse profondo ed esperto. Se le avessero detto che egli offriva una somma così al di sotto di quella stabilita dalla perizia, perchè aveva paura di acquistare la casa, ella non avrebbe creduto.

Ma non ostante i suoi gesti ed anche le sue parole di indignazione, Zoseppedda piano piano calava, come convinta dagli argomenti di Bruno. Calò fino a seimila cinquecento; poi, dopo aver giurato che l'avrebbero veduta cieca prima che la casa venisse venduta per un prezzo minore a quello, promise che ne avrebbe parlato con suo marito, e che fra tre giorni avrebbe dato una risposta definitiva.

—La casa è bella,—disse, alzandosi e sollevando il lume per rischiarare meglio la vôlta della camera,—guardate; non sembran camere, sembran chiese! E la vista, la contate poco?

I due sposi s'avvicinarono alla finestra: al di là dello stretto cortiletto si vedeva l'orto della maestra Saju illuminato dalla luna, e una figurina alta e snella di donna si disegnava accanto al muricciuolo verso il viottolo. Bruno e Marielène fissarono quella figura immobile, nera alla luna come un'ombra, ed entrambi, egli con gioia e dolore, ella con gioia e rancore, riconobbero Sebastiana.

—Col tempo forse si potrebbe avere anche l'orto,—mormorò Marielène, ritirandosi dalla finestra. E mentre Bruno si sporgeva per osservare meglio il cortiletto e le finestre al pian terreno, Sebastiana sollevò la testa, lo vide, gli fece un saluto con la mano ed egli sentì un vago malessere, come se stesse per perdere l'equilibrio.

—Più di seimila è impossibile,—disse ritirandosi.—La casa è bella ma non ha alcuna comodità esterna.

—Voi non siete possidenti—rimbeceò malignamente la paesana.—Non avete bestiame, non avete carri e servi perchè vi abbisognino tettoie e cortili.

Egli sorrise, col suo rapido sorriso che lasciava scorgere tutti i suoi denti bianchissimi, e rispose pronto:

—Ciò che non si possiede oggi si potrà possedere domani.

Marielène lo guardò con riconoscenza, per questa risposta che rintuzzava la vanagloria della proprietaria: poi riprese il braccio di lui, ed entrambi se ne tornarono lentamente a casa. Ella parlava e parlava, nascondendogli un suo intimo progetto, che era quello di offrire lei, alla proprietaria, di nascosto da lui, qualche centinaio di lire in più delle seimila; egli taceva, nascondendole pensieri ben più colpevoli.

Il marito di Zoseppedda accettò la proposta di Bruno, ma passarono alcune settimane prima che Marielène potesse farsi restituire i quattrini che ella aveva prestato a forti interessi. In quel frattempo Bruno disse più di una volta che forse, prima di acquistare la casa, avrebbero dovuto ancora pensarci su: ella non capiva quest'indecisione di lui, e le sembrava che egli fosse un po' sofferente e nervoso.

Ma col cessare del caldo Bruno parve rianimarsi, e quando si fece l'atto di vendita della casa si mostrò contento, soddisfatto del buonissimo affare concluso.

Non aveva più riveduto Sebastiana, e gli sembrava di non pensar più a lei. Sopravveniva l'autunno, ed egli scendeva raramente in paese, occupato com'era a dirigere il lavoro dei carbonai toscani arrivati da poco. Si costruivano i forni per il carbone, e non era tempo da pensare a cose inutili. L'immagine di Sebastiana si allontanava sempre più da lui, come velata dalle prime nebbie autunnali.

Marielène coi suoi due pensionanti passò subito nella nuova casa, ancora sprovvista di mobili; e fin dal primo giorno chiamò le sue vicine dalla finestra, invitandole ad entrare ed a prendere il caffè con lei.

La maestra non nascondeva la sua invidia, ma la dimostrava in modo enfatico, guardandosi attorno e sospirando.

—Tu sei ben fortunata, Marielène mia! Però devo dirti che lo meritavi. Tu lavori e sai quello che vuoi; sei come la rondine che costruisce il suo nido nel paese adatto per lei.

Marielène sorrideva di gioia, e Sebastiana la guardava e, cosa insolita in lei, taceva: solo quando la rivale le fece vedere la sua camera da letto, disse scherzando:

—Anche noi fabbricheremo: Predu Maria venderà i palazzi che possiede al suo paese e ci faremo una casa coi balconi di ferro….

—Sarà molto se riusciremo a fabbricare il muro dell'orto,—disse la maestra che non era vanagloriosa.—Chi ama far lusso, figlia mia, non fabbrica palazzi.

—Lusso, lusso! Ebbene, figùrati, Marielène, mia madre vorrebbe che io andassi scalza!

—Eh, ragazza mia, di' la verità; ti piacciono sos bellais1 I gingilli.,—disse Marielène trattandola come una bimba, ma con ironia ed anche con lieve disprezzo.

—Che vuoi, non son vecchia come te, per pensare sempre a cose serie.

Da buone vicine esse continuarono a farsi visita, salutandosi dalla finestra e rendendosi spesso qualche servigio.

Marielène comprava mobili e si procurava altri pensionanti. Quasi tutti i professori del ginnasio, giovani scapoli, andarono ad alloggiare da lei; ed ella dovette prendere una serva, che disgraziatamente non corrispondeva all'ideale di cameriera decorativa sognato da Bruno. Brutta e insolente, se i professori la pregavano di dettar loro qualche canzonetta in dialetto, o di spiegar loro l'etimologia di qualche vocabolo sardo, la serva credeva lo facessero per burlarsi di lei e li insultava chiamandoli « forestieri morti di fame » o « mendicanti ».

Un giorno, dopo aver litigato con la padrona, scappò senza dar tempo a Marielène di cercare un'altra serva. Sebastiana s'offrì ad aiutare la sua vicina; servì a tavola, corretta ed elegante come una vera cameriera, destando l'ammirazione dei giovani professori; ed invece di ingelosirsi, Marielène pensò che con una donna di servizio come Sebastiana la fortuna della pensione sarebbe aumentata rapidamente. Ma Sebastiana non poteva più far la serva: si sarebbe offesa al solo proporglielo.

Una sera Bruno scese a Nuoro e trovò sua moglie irritatissima perchè la seconda serva, una ragazza molto bella ma inetta al servizio, aveva rovesciato l'oliera addosso ad uno dei professori. La ragazza, sfacciata e beffarda, diceva con disprezzo:

—Tanto quello era così sporeo che una macchia in più non gli fa gran danno….

Ma il capo-macchia non ammetteva che una serva si permettesse tanta libertà di giudizio, e appena ella fu uscita egli interruppe Marielène, che si lamentava e quasi piangeva, e le disse:

—Meno chiacchiere. Mandala via.

—Son tutte eguali,—disse Marielène, affaccendata davanti ai fornelli.—Esse non son buone che a mangiare ed a menar la lingua. Esse non sono cristiane, sono assassine…. Ne ho conosciuta una sola che, come serva, valeva qualche cosa: Sebastiana.

Bruno, seduto davanti al camino acceso, si mise a ridere, col suo riso languido che cessava presto come quello d'una persona stanca.

—Ho detto come serva, intendiamoci. L'altra sera è venuta ad aiutarmi, ha servito a tavola. Domanda come sono rimasti contenti. Io vorrei proporle di aiutarci…. compensandola….

Egli ripetè meravigliato:

—Venne qui…. servì a tavola…. Tu vorresti?…

—Sì, ebbene, che c'è da stupirsi? Che è diventata una dama, adesso? È forse vergogna lavorare? Ed io non lavoro? E tu non lavori? Se ella accettasse…. magari! Tu stesso dicevi che ci occorreva una serva svelta, bella…. che in continente tutti pretendono che le persone di servizio sieno svelte, di bella presenza…. Io vorrei proporre a Sebastiana, per non offenderla, di diventare una specie di socia….

Egli taceva, immobile e impassibile; ma ad un tratto si scosse e disse infastidito:

—Tu non sai quello che ti dici…. Finiscila, lasciami in pace.

E siccome ella continuava, egli si alzò e uscì sbattendo l'uscio; ma più tardi, quando rientrò, le parlò con dolcezza, cercando di farle smettere la sua idea strana.

Predu Maria non avrebbe mai permesso a sua moglie di servire in una pensione; e anche lei, Sebastiana, così civetta, amante del lusso, si sarebbe certo offesa nel ricevere una simile proposta.

Marielène disse:

—Oh, per lei, ne son certa, accetterebbe. Ella non fa altro che lamentarsi perchè sua madre la tiene come una schiava, e non le dà un centesimo di quel che guadagna Predu Maria, e quasi le fa patire la fame. Ella vorrebbe, se non altro, poter mangiare come mangiano i cristiani.

—Ella si lamenta?—domandò Bruno pensieroso.

—Ella non fa altro che lamentarsi.

Durante l'inverno, ogni volta che egli scendeva in paese, Marielène lo tormentava con la storia delle serve, e il progetto di associarsi la giovane vicina diventava in lei un'idea fissa.

Una sera egli le disse:

—Ma non sei ancora scottata, Elena? Non ricordi le vicende di Sebastiana?

—Ella è un'altra adesso. Ha marito, è diventata seria, onesta.

Ma egli non ne era persuaso; e ogni volta che vedeva Sebastiana gli sembrava che ella lo guardasse come una donna onesta non osa guardare.

Un giorno, in dicembre, ella salì alla lavorazione per coglier ghiande. Predu Maria l'accolse con gioia pacata, rifiutandosi però all'ingiunzione un po' scherzosa, un po' insolente di lei, di coglier lui le ghiande.

—Tu te ne stai lì come un papa in trono,—ella disse, cacciandosi in bocca, per riscaldarsele con l'alito, le punte delle dita riunite.—Io devo dunque congelarmi? Son già mezza morta, non vedi?

—Sentila! Ella dice che è mezza morta. Ha l'aria di un'agonizzante?—domandò Predu Maria a Bruno.

Il capo-macchia li guardò entrambi e disse gravemente:

—State bene tutti e due!

Infatti Predu Maria s'era ingrassato e aveva preso un aspetto da pacifico rivenditore di generi alimentari; mentre Sebastiana, sottile nonostante il panneggiamento della tunica d'orbace avvolta artisticamente attorno al suo busto, col viso colorito dall'aria fredda dei monti, sembrava l'immagine della giovinezza. Ella perdette molto tempo a chiacchierare ed a scaldarsi al fuoco sotto la tettoia, scherzando e imitando comicamente l'accento ed i gesti dei pensionanti di Marielène; ma quando ella accennò al progetto della sua vicina di casa, Predu Maria corrugò le sopracciglia e disse che se i professori volevano essere serviti a puntino potevano prender moglie, poichè soltanto la moglie può esser capace di servir bene un uomo.

—Se gli vuol bene….—disse Bruno; e Sebastiana aggiunse con dispetto:

—E anche quando non gliene vuole.

Ella intanto se ne andò a raccogliere le ghiande, senza troppo affaticarsi, mentre Predu Maria preparava il desinare. La giornata era limpida e fredda: sul cielo d'un azzurro intenso, quasi verdastro, sopra la linea bianca dei monti lontani, il sole calava luminoso e triste, e intorno ai tronchi morti, come intorno a tombe dimenticate, rinascevano i ciclamini e le vitalbe.

Erano sparite le raschiatrici di scorza e i lavoranti paesani; ma attorno ai forni del carbone, che erano grandi buche ricolme di legna accesa e ricoperte di terra, e negli sfondi melanconici del bosco umido, passavano le figure dei carbonai toscani. Vestiti miseramente, biondastri, con gli occhi chiari e il viso terreo, essi non erano nè più allegri, nè più vivaci dei « lavoranti » indigeni, ma si movevano con più sveltezza e pareva avessero fretta di terminare il lavoro e di andarsene. Il fumo saliva lentamente dai grandi focolari coperti, di cui non si scorgeva il fuoco ma si sentiva il calore. Le capanne attorno alla dispensa eran state ricostrutte, e ogni carbonaio aveva con sè il paiuolino per la polenta ed altri utensili primitivi: la lavorazione sembrava un accampamento di zingari.

Sebastiana raccoglieva le ghiande e pensava che un giorno Bruno era giunto così dal suo paese, come uno di quegli straccioni che sembravano sbucati di sotterra. Sì, ella ricordava: non più tardi di due anni prima…. egli era arrivato ancora col suo fagotto e il suo ombrellone…. E adesso eccolo lì, non più vestito di fustagno ma di panno, con stivaloni e cappello a larghe falde: eccolo, egli ha già preso un'aria da speculatore e sembra diventato il padrone della foresta. Ella sente un vivo rancore contro di lui, ma è il rancore della donna per l'uomo indifferente ai suoi vezzi.

Eppure, al contrario dell' altra volta, quel giorno egli le si avvicinò, e accettando l'invito di Predu Maria mangiò assieme con loro. Chiacchierarono delle solite cose, della pensione, dei pensionanti, di Marielène che lavorava giorno e notte, della maestra Saju che rinfacciava a Sebastiana di non lavorare come la sua vicina di casa….

Appena finito il pasto, Sebastiana si alzò per andare nel bosco e finir di riempire di ghiande la sua corba, e siccome si affrettava, quasi affannata, per paura che sua madre la sgridasse, Bruno le disse:

—Ma sarebbe tempo che tua madre finisse di trattarti come una bimba. Io suo genero non permetterei tanto.

—E tu non permetti a tua moglie di lavorare fino ad ammalarsi?

—Prenditi questa!—disse Predu Maria, e rise.

—Mia moglie? Ma appunto, mia moglie fa quello che le pare e piace!

—Ah, essa ha del fegato!

Bruno accese la sua pipa e rispose, stringendo il bocchino coi denti:

—Oh, certo, essa ne ha!

—Il fegato l'abbiamo tutti!—rimbeccò Sebastiana, fissando il capo-macchia: ella aveva lasciato cader la sua tunica, e col suo corsetto rosso e turchino, con le sue linee provocanti, sembrava una forma di bellezza e di luce venuta a rallegrare quei luoghi desolati e freddi. Bruno la seguiva con gli occhi mentre ella tornava nel bosco, e vedeva come una nuvola rossa danzargli davanti; e si domandava come mai Predu Maria, dopo tanti giorni di solitudine, non correva come un pazzo dietro a quella donna che era sua.

A un tratto, come spinto da una forza misteriosa, egli si alzò e si avviò, seguendo le traccie di Sebastiana. Gli sembrava di sentire il profumo di lei, di seguire un filo che ella avesse lasciato dietro di sè. La vide da lontano, curva a raccoglier le ghiande, su per una china soleggiata, dove l'erba invernale stendeva larghe macchie vellutate simili a pellicce verdastre. Le ghiande cadevano dagli elci scuri come grosse goccie d'oro bruno, lasciando sui ramoscelli le piccole coppe filogranate.

All'avvicinarsi di Bruno, Sebastiana si sollevò e apparve di profilo sullo sfondo luminoso dell'orizzonte. Egli si tolse di bocca la pipa, la vuotò, se la rimise in saccoccia. La sua mano tremava. E nel salire l'erta, svelto come il daino che raggiunge la sua compagna, sentiva un'ebbrezza ignota e gli sembrava di esser un altro, un uomo potente e felice: ma appena Sebastiana disse:

—Predu Maria non viene?—egli si fermò, combattuto fra il desiderio di abbracciarla e la paura di quello che poteva succedere.

Ella indovinava i sentimenti di lui: scoppiò a ridere e disse con voce alquanto turbata:

—Perchè mi guardi così? Aiutami, piuttosto, poichè Predu Maria non vuol curvarsi! È tardi e devo andar giù.—Si curvò di nuovo, cercando le ghiande fra l'erba e le foglie secche; e accorgendosi che Bruno continuava a guardarla, ma timido e inquieto, sollevò il viso e rise ancora, provocante.

—Anche tu hai la schiena debole? Se non mi aiuti, che stai a fare? Sei incantato? A che pensi?

Egli cercava le parole per farle almeno sapere che pensava a lei. Trasse la pipa e la riaccese, ma dopo aver aspirato due o tre boccate di fumo, se la tolse nuovamente di bocca e disse come fra sè:

—Sono incantato…. sì…. sì…. ma la colpa è tua, perchè sei troppo bella….

Soddisfatta, ella si mise a ridere e lo guardò; ma lo vide così triste e tragico in viso che ebbe paura di averlo offeso.

—Che faccia hai!—gli disse, dolce e beffarda,—ti offendi, se rido?

—Ridi, ridi pure! Mi piaci quando ridi.

—E quando piango, no?

—Tu non sei nata per piangere, Sebastiana: sei nata per ridere….

—Sei tu che mi fai ridere! (gli si avvicinò, ma non rideva più). Tu ti burli di me; senti! Io sono nata per ridere? Oh, t'inganni, fiore mio! Io sono nata con la mala sorte sulle spalle.

Egli le afferrò una mano, fissandola negli occhi con uno sguardo profondo, pieno di tristezza e di desiderio.

—Sebastiana,—le disse, dimenticando per un momento la sua prudenza ed i suoi calcoli,—tu non dovevi sposare quell'uomo….

—E chi dovevo sposare, allora? Tu non mi volevi! Ricordati quella mattina che ti ho aspettato mentre venivi quassù! Tu non mi hai domandato se ti volevo bene: mi hai domandato se era vero che Marielène voleva sposarsi…. Tu volevi denari…. nou volevi amore….

Ella non aveva finito di pronunziare l' ultima parola che lo vide impallidire, spalancare gli occhi atterrito e contorcer le labbra come masticando qualche cosa d'amaro e disgustante. Un gemito rauco gli uscì come dal profondo del petto. Spaventata ella lo afferrò per le braccia, lo scosse e lo aiutò a sedersi sopra un sasso.

—Bruno? Bruno? Che hai?

Egli chiuse gli occhi e strinse le labbra, lottando contro il male che lo aveva assalito all' improvviso, e a poco a poco il suo volto si ricompose, ma restò soffuso di una tristezza profonda. Quando si fu del tutto riavuto, riaprì gli occhi e guardò Sebastiana, come se la vedesse appena in quel momento, mentre ella, piegata davanti a lui, pallida e tremante, gli accarezzava la testa come ad un bambino, e mormorava atterrita:

—Bruno? Bruno? Che è stato? Dimmelo, anima mia….

—Niente…. un capogiro…. è passato.

—Tu stai male e non vuoi dirmelo! Ed io ti ho offeso! Andiamo, Bruno; ti coricherai…. prenderai qualche cosa….

Egli la guardava, con gli occhi ancora velati e pieni di terrore; e vedendola così eccitata si alzò e fece alcuni passi per rassicurarla.

—Non tremare così,—le disse, con accento quasi duro.—Non è nulla, ti dico! E se mi vuoi bene davvero non dire a nessuno che mi hai veduto così.

Ella non rispose, ma le sue labbra si sporsero, tremanti come quelle d'un bimbo che sta per piangere. Egli le si aggirava attorno a testa bassa, come vergognoso della sua debolezza, e infine le si riavvicinò e le domandò sottovoce:

—Ma è vero che mi vuoi bene? Sì? Dici di sì? Anch'io, Sebastiana…. da tanto tempo!… Ci rivedremo: adesso ti devo lasciare. Non parlare di me con nessuno; non dire che sono malato…. che sono infelice….

Si allontanò, e Sebastiana si rimise a raccoglier le ghiande, piangendo d'amore e di tristezza. Le sue lagrime cadevano sull'erba come la rugiada del mattino. Di tanto in tanto ella si passava la manica della camicia sugli occhi, ma più le asciugava, più le lagrime sgorgavano abbondanti: ella non ricordava di aver mai pianto così, e dovette appoggiarsi ad un albero, tanto una commozione ignota e profonda la vinceva. Le sembrava d'aver tutto ad un tratto avuto la rivelazione di cose che ignorava. Come le apparenze ingannano! L'uomo che ella aveva creduto forte e felice s'era piegato davanti a lei come uno stelo esile pronto a spezzarsi. E anche Predu Maria, e anche Marielène si credevano felici! Oh, essi non sapevano…. ed ella piangeva anche per loro, per la loro infelicità, e le sembrava di essere buona, molto buona, perchè soffriva; e non si accorgeva che invece lo era perchè amava.

Sì, Predu Maria ingrassava e aveva l'aspetto d'un uomo contento; ma non era felice e non s'illudeva di esserlo. Il rimorso non lo abbandonava, e più egli si sentiva accarezzato dalla fortuna, più se ne credeva indegno.

Partita sua moglie, dopo la raccolta delle ghiande, egli riattizzò il fuoco, sotto la tettoia, osservando che il capo-macchia era livido in viso e con gli occhi cerchiati come da striscie d'inchiostro.

—Avvicìnati al fuoco, diavolo. Hai freddo, o stai male?

—Sto poco bene davvero,—disse Bruno, sedendosi accanto al fuoco: e rimasero a lungo assieme, parlando dei loro affari, e nessuno dei due si lamentava, ma il viso di Bruno diventava sempre più azzurrognolo e triste, e pareva che i suoi occhi riflettessero la desolazione del crepuscolo montano: e di tanto in tanto anche Predu Maria si curvava per rattizzare il fuoco, sospirando, e finalmente disse, battendosi le mani sulle ginocchia:

—Ti dico la verità, io fra me e me penso qualche volta: Bruno è uno stupido, a far questa vita.

—Perchè?

—Perchè sì! Tu hai una bella casa, un' industria bene avviata; tu potresti startene in città, al caldo, in compagnia di tua moglie. E invece, per un po' più di quattrini, tu passi una vita da forzato. Sei come certi ricchi proprietari che si ostinano a soffrire tutte le intemperie per guidare il loro gregge, invece d'affidarlo a un buon servo.

—Io non amo l'ozio, lo sai; che farei, a casa?

—Quello che fanno i signori!

—Io non sono un signore, e se lo fossi lavorerei egualmente.

—Ah, io no, caro mio! A che serve? Tu accumuli, accumuli, vedi, come io ammucchio queste legna sul fuoco: tu credi di aver fatto qualche cosa e invece, vedi, in un attimo tutto si sfascia e diventa cenere….

Bruno rispose, calmo e ostinato:

—Bisogna lavorare, bisogna lavorare.

—Va in buon'ora! Se avessimo figli, non dico: ma Dio non ce ne manda.

—Potrà mandarcene.

—E aspettali!—disse Predu Maria, riprendendo il suo accento ironico.—Ah, ti dico, s'io fossi al tuo posto!…

Bruno non rispose, ma ripetè fra sè:

—S'io fossi al tuo posto!

Seguiva Sebastiana col pensiero; la vedeva scendere il sentiero umido della montagna, nel crepuscolo verdastro, con la tunica avvolta attorno al busto flessuoso, e il viso fresco e colorito come una rosa di macchia…. Come la desiderava, adesso che era lontana e il desiderarla non portava pericolo! Egli non aveva mai amato, e tutti gli ardori e le tristezze di una passione da adolescente rendevano più intenso il suo desiderio.

Col calar della sera i carbonai ritornavano verso le capanne, e accendevano il fuoco e preparavano la polenta: le loro ombre danzavano sul suolo e sulle roccie rischiarate dalle fiamme, nere e gigantesche come ombre di ciclopi, e Predu Maria ricordava la notte dell'incendio, e come al solito, recitava il rosario per scacciare le ombre del suo pensiero. Da qualche tempo era tormentato dal desiderio di accumulare una somma per soccorrere Antoni Maria caduto in miseria. La nonna, suggestionata dalle nipoti, riteneva quest'ultimo colpevole dell'incendio, e pur continuando a mandargli a casa il pranzo, non lo aiutava in altra maniera. Una notte la questura, dietro lettere anonime delle cugine Moro, aveva assediata la casupola del sambuco, sorprendendo Antoni Maria a fare l'acquavite; e le botti e i lambicchi erano stati sequestrati, e lui condannato ad una multa feroce.

Predu Maria si riteneva la causa indiretta dello stato di miseria in cui adesso versava il suo amico. Ma come accumulare i denari per aiutarlo? La suocera non gli lasciava un centesimo, ed egli non le dava torto. Se fosse rimasto libero…. Basta; egli si batteva le mani sulle ginocchia, è pensava che il nostro destino è tutta una concatenazione di eventi di cui il più piccolo in apparenza è spesso il più importante in realtà. Inutile ribellarsi, inutile cercar di spezzare la catena. Dio sa quello che fa: cerchiamo di pentirci dei nostri errori e soffriamo, soffriamo, perchè questo è il nostro destino….

Da qualche tempo la maestra Saju notava uno strano cambiamento in sua figlia. Sebbene ora non si mangiasse male come nell'inverno passato, Sebastiana di magrava ed era meno rosea del solito; non chiacchierava e non rideva scioccamente, e neppure diceva tante bugie come prima.

Dalla mattina alla sera se ne stava in casa dalla sua vicina; ne assumeva i modi e persino l'accento; ciò non dispiaceva a sua madre, che aveva molta stima di Marielène perchè la riteneva una donna furba intenta a fare i suoi interessi come poche donne sanno; ma l'idea che Sebastiana era bella, giovine e leggera, e che i pensionanti, quei diavoli di borghesi continentali, non rispettavano neanche la donna più seria, inquietava spesso la maestra.

—Tu non devi trattenerti da Marielène quando i professori e i vice-cancellieri stanno in casa. Tu sai, figlia mia, che la donna maritata è come una tazza di cristallo: il più leggero alito la appanna…. Figlia mia, noi dobbiamo camminare come sulla lama d'un coltello.

Sebastiana era stufa dei paragoni enfatici e delle imposizioni di sua madre, e spesso si ribellava, e andava da Marielène, e saliva sul Monte, sebbene la maestra dicesse che la moglie di Predu Maria Dejana, ora che egli occupava un posto decoroso, non doveva andare a cogliere ghiande come una pezzente qualunque.

Sebastiana taceva, ma ogni mattina, appena apriva la porta sulla scaletta, guardava il cielo, e se lo vedeva sereno, e se la brina scintillava sull'orto silenzioso, ella prendeva la sua corbula e saliva sul Monte. Al ritorno, nel pomeriggio, sembrava un'altra; i suoi occhi scintillavano, le sue labbra erano rosse come i frutti del corbezzolo di cui talvolta ella portava il grembiale colmo.

Ma anche quando era così eccitata restava taciturna; pareva avesse paura di tradire involontariamente il suo segreto. La maestra, che credeva di essere una donna molto sperimentata, pensava ad una tardiva passione di Sebastiana per Predu Maria.

Egli a sua volta si meravigliava per le frequenti visite di sua moglie: un giorno mentre si trovavano soli ella gli si avvinghiò al collo e cominciò a baciarlo in modo insolito. Egli si accese, commosso per questa improvvisa espansione, e gliela ricambiò, e da quel giorno cominciò a parlar di lei con Bruno come ancora non ne aveva parlato.

—Ella indovina anche i miei desideri: che posso voler di più? Io non posso scendere in paese; allora essa viene quassù, come una innamorata….

Bruno taceva; ma un sentimento nuovo, la gelosia, cominciò ad alimentare la sua passione segreta. Egli evitava di trovarsi con Sebastiana anche in presenza di Predu Maria, e se non poteva evitarla traeva il suo taccuino e scriveva numeri e numeri, come se le cifre fossero segni adatti a scongiurare la malìa che lo opprimeva. Qualche volta, però, sentiva talmente gli occhi di lei fissarlo, che non poteva sottrarsi al loro fascino: e la guardava, allora, e il loro sguardo era così ardente e pieno di desiderio, che entrambi avevano come l'impressione di baciarsi perdutamente.

Un giorno Sebastiana volle andare con Predichedda a coglier frutta di corbezzolo e bacche di mirto in un podere della vedova Moro. Era di febbraio: un sole già caldo inondava la valle, i mandorli erano fioriti, e il canto delle donne che lavavano al torrente, fra le roccie e le macchie, si fondeva col rumore dell'acqua, in una stessa nota melanconica e monotona.

Le due amiche scesero sino alle falde estreme dell'Orthobene, verso Oliena, raccontandosi le loro piccole vicende; e Predichedda parlava male di suo zio, delle cugine e della nonna.

—Egli mi tratta come una bestia; ma che dico bestia? vedi, quelle capre che s'affacciano fra quelle pietre lassù, son più felici di me.

—E tu perchè non lo abbandoni?

—Che vuoi? Io ho pietà di lui. Egli è così irritato, così misero….

—Peggio per l'anima sua! Egli è un poltrone, un'anima indiavolata….

Ma Predichedda non voleva che si parlasse male di Antoni Maria, e cominciò a difenderlo, dimenticando quanto lei stessa aveva detto.

—Egli si è rovinato per gli altri, per gli amici…. Tuo marito ne sa qualche cosa….

—Mio marito?—disse Sebastiana, senza offendersi.—Ah sarebbe stato bene che tuo zio non lo avesse fatto venire a Nuoro!

—Perchè, ti sei pentita d'averlo sposato? Non puoi lamentarti: egli ha una buona posizione….

—La nostra posizione è precaria. Che avverrà di noi quando saremo vecchi?

—Predu Maria morrà prima di te, perchè è più vecchio, e tu riprenderai marito! Sposerai Bruno…. Ahi!

Sebastiana le stringeva il braccio sino a farle male e gridava:

—Sei pazza? Sei pazza?

Predichedda la guardò e disse col suo accento affettato:

—Come sei rossa, Sebastià! Si direbbe quasi che io abbia indovinato il tuo pensiero….

E si mise a correre attraverso la brughiera, inseguita da Sebastiana che le lanciava addosso sassolini e manate di mirtillo. Finalmente entrambe si fermarono, lontane l'una dall'altra, e cominciarono a raccogliere coccole e bacche.

Alcuni arbusti di corbezzolo eran così carichi di frutti che parevan coperti da drappi rossi: e anche sui ramoscelli del mirto le coccole d'un nero violaceo erano più numerose che le foglie. Un odore aromatico profumava l'aria, e il paesaggio vergine, ricco di frutta selvatiche, circondato da un orizzonte limpido e luminoso, pareva un luogo ove l'uomo con le sue finzioni e le sue menzogne non fosse ancora passato.

Fatta un'abbondante raccolta, le due amiche sedettero al sole, sulle pietre tiepide in faccia ai monti d'Oliena azzurri e bianchi come montagne di marmo, e Sebastiana sentiva un prepotente bisogno di svelare il suo segreto, poichè le pareva che il luogo la invitasse a dire la verità, una volta tanto, come non l'aveva mai detta.

—Costantina, perchè hai parlato così? —domandò turbata, facendo scorrere da una mano all'altra alcune bacche rosse. —Non parlare così in presenza di altri, sai: meglio buttarmi giù la casa. Non ricordi che cosa mi fece Marielène, per dei semplici sospetti? Non rovinarmi una seconda volta, sorella mia; io ho paura di Marielène e di mia madre come ho paura del fuoco….

Predichedda ascoltava, coi piccoli occhi intenti, lucidi e fissi come quelli di un uccello selvatico.

—Tu vaneggi, cuoricino mio,—disse con la sua voce lenta e sarcastica.—Sono forse una tua nemica mortale per andare a contare agli altri i fatti tuoi?

—I fatti miei? Che cosa pensi? Che cosa ti immagini? Io non ho segreti…. non potrei averne…. Mia madre mi spia come un guardiano di carcere e vede anche i miei pensieri….

—Se li vedesse tutti non sarebbe così tranquilla!—disse Predichedda buttandole addosso qualche bacca di mortella e sorridendo in modo equivoco. Sebastiana curvò la testa e disse:

—Ti giuro, non ho mai commesso una colpa. Mia madre mi rovinò perchè vide nella mia cassa i regali del vecchio avoltoio. Come io era sciocca davvero, in quel tempo! Avrei potuto divertirmi, innamorarmi, cercarmi un bel marito: invece pensavo…. Basta, ho scontato il mio errore, te lo assicuro!

—Tuo marito è un uomo buono, che ti vuol bene: che vuoi di più?

—Ed io non lo odio, no, ma che vuoi, quando lo vedo non mi esalto, non sento il sangue corrermi tutto al cuore, non sento il piacere che provo…. quando….

Ella s'era fatta rossa come i frutti del corbezzolo, e Predichedda finì la sua frase:

—Quando stai vicino…. all'altro!

—Ah, zitta! Zitta o t'affogo!—gridò Sebastiana; e la sua voce risuonò nel luogo deserto come un grido di allodola. Ma subito riprese sottovoce:—ebbene, che male c'è? È colpa mia? Io gli volevo bene; ricordati, te lo dissi: la sera che arrivò, l'ultima volta, egli mi abbracciò, ed io l'indomani mattina lo aspettai, scendendo alla fonte…. Egli venne, e mi guardava…. ma pensava ai denari di Marielène! Gielo dissi, sai: e lui quasi svenne, per l'affronto che gli feci; ti giuro, sì, quasi moriva….

—Per così poco? Bada a te, cuoricino mio. I continentali sanno fingere….

—Egli non sa fingere….

—E perchè hai sposato Predu Maria?

—Se non era lui era un altro! Ricordati; mia madre mi teneva sotto chiave: Bruno s'era fidanzato. Io cantavo come l'uccello in gabbia, ma mi consumavo di umiliazione e di noia. Una sera osai dire a mia madre che sarei fuggita col vecchio; ella mi schiaffeggiò, mi buttò per terra, andò a dire al vecchio che era pronta la querela per lui…. Io avevo sedici anni, Costantina mia, ora ne ho diciotto…. Sì, ne ho diciotto: ma mi pare di averne cento….

—Io ne ho venti, Sebastià! E non mi dispero come tu ti disperi….

—Tu sei libera! Sei libera!—ripetè due volte Sebastiana, col suo grido di allodola. —Tu non hai marito, non hai padre, nè madre, nè fratelli….

—Ma ho uno zio, cuoricino mio, fior di roba!

—Eppoi…. eppoi…. tu non sei nata con la tua mala sorte sulle spalle….

—O sul viso, Sebastià! Tua madre ti ha fatto troppo bella.

Sebastiana si passò le mani sul viso, quasi graffiandosi.

—No! Ci sono altre donne belle, che non sono maledette come lo sono io!

—Sai cosa sei, Sebastiana? Sei una donna paurosa. Io, vedi, io….

—Tu, che faresti? Continua….

—Io mi divertirei! Non hai figli; ti hanno dato marito per dispetto: ebbene io scapperei con mossiù Perrò!

Sebastiana che si aspettava ben altro consiglio, si mise a ridere.

—Adesso? Mi fa orrore, adesso. Lui magari vorrebbe; ma io non sono da vendere. S'impicchi con le sue collane!

Ella rideva; ma ben presto si rifece seria, quasi cupa, e un ardore fosco, di passione insoddisfatta, di desideri irraggiungibili, le brillò negli occhi. Cominciò a torcersi le mani e ripetè, ma come rivolgendo a sè stessa la domanda:

—Che fare? Che fare?

Predichedda, pronta alla pietà, si commosse; cessò di masticare e di lanciare di qua e di là le coccole del mirto, e domandò:

—Ma lui, che dice?

—Lui? Niente; neanche mi guarda. È un uomo onesto.

—O forse ha paura di tuo marito…. e sopratutto di sua moglie….

—E forse anche. Ed ha ragione: ci ammazzerebbero entrambi.

—Il cantastorie potrebbe fare allora una poesia!—disse Predichedda, balzando in piedi.—Sì, davvero, è una cosa curiosa. Senti, ma perchè gli vuoi bene? È un forestiere e non è bello: perchè ti sei innamorata di lui? È peccato, è vergogna.

—E chi lo sa? Siamo noi padroni del nostro cuore? Tu, perchè vuoi bene a tuo zio? Non è bello ed è cattivo. È peccato, è vergogna voler bene a quella gente!

—È un'altra cosa. Mio zio è così disgraziato; e se non gli voglio bene io, chi gli vuol bene? Io voglio bene a tutti quelli che soffrono, cuoricino mio; vedi, anche di te adesso ho compassione. Vorrei aiutarti; vorrei vederti felice! Se io vedrò Bruno gli dirò: stupido, perchè non la guardi?…

—Ah, taci! Hai giurato di non dir nulla!

Ripresero la via del ritorno, col loro carico fragrante, e Sebastiana raccontava i suoi incontri con Bruno, e l'altra taceva, meditando il modo di render felici quei due.

—Sebastiana, sentimi: la tua è una malattia di cui tu devi guarire. Cerca di spassarti; dà retta a me.

Ma Sebastiana scuoteva la testa: occorreva ben altra cura alla sua malattia!

—Posdomani è domenica di carnevale, —proseguì Predichedda.—Dà retta a me, mascheriamoci, andiamo a ballare.

—Mia madre non vuole….

—Ah, ah, non vuole? Ella ti conosce! Ma senti, verrò io a prenderti: le diremo che andiamo in chiesa.

—Saremo sole?

—Sì, zio Antonio Maria va via domani e torna lunedì. Ci vestiremo in casa sua…. Ci divertiremo, butteremo castagne secche invece di confetti….

Ma Sebastiana pensava a ben altri divertimenti…. Risalirono lentamente lo stradale, costeggiando la valle che si riempiva d'ombre mentre lo splendore del tramonto arrossava ancora con un chiarore di fuoco le cime dell'Orthobene. Sopra il ponte, nonostante l'ora tarda, alcune donne lavavano ancora, e una cantava una canzone arcaica piena d'amore sentimentale:

Sas aes chi olades in s'aera, M'azzes a zucher un'imbassiada, Sa risposta chin lettera serrada, M'azzes a dare chin mezzus manera, Sas aes chi olades in s'aera!1 Uccelli che volate per l'aria,—mi recherete un'ambasciata,—la risposta, in lettera chiusa,—mi porterete con buona maniera,—uccelli che volate per l'aria.

Sebastiana ripeteva fra sè quei versi e sospirava; ma, non sapeva perchè, si sentiva felice. I suoi terrori, le sue inquietudini, i suoi scrupoli cadevano, e un'ombra molle e vaporosa come quella che invadeva la valle e a poco a poco le montagne e tutto il vasto paesaggio, le inondava l'anima. E come dalla terra saliva, attraverso il velo del crepuscolo, l'odore della primavera, dei germogli ancora chiusi, dei fiori ancora nascosti, un desiderio di vita e un istinto di ribellione e di forza salivano dalla profondità del suo essere.

Quando arrivarono al punto ove una mattina aveva aspettato Bruno, ella ricominciò a ridere. Ah, egli le era sfuggito, quella mattina; ma adesso non le sfuggirebbe più!

Rientrando a casa non trovò sua madre, e andò a cercarla dalla sua vicina di casa. Marielène stava davanti ai fornelli, e rispondeva distrattamente al professore d'italiano che, costretto a casa da un forte raffreddore, sedeva accanto al camino e domandava alcune spiegazioni lessicali.

Fundu, albero o pianta, non è vero? Fundu dess'elike, fundu dessu Kerku, fundu de mela; sono ricordati nel Condaghe di San Pietro. Benissimo! Questo vocabolo non si può separare dal neogreco , cespuglio, arboscello. Anche in latino abbiamo funda, e persino in turco…. Crede lei che per fundu si possa intendere, in sardo moderno, anche cespuglio, broussailles?

Ma la padrona di casa, arrabbiata contro la serva che era andata alla fontana e mancava da due ore, non rispondeva a tono, e fissava con uno sguardo feroce la sua casseruola, imprecando e maledicendo come se stesse a manipolare un veleno.

A un tratto, nel vano della porta ancora illuminato dal crepuscolo, apparve la figura di Sebastiana. Alta e bella, con la sua tunica avvolta elegantemente attorno al busto, ella colpì talmente il professore, che egli si alzò e la salutò inchinandosi, come davanti ad una duchessa in abito da ballo.

Ella si avanzò, porgendo a Marielène un mazzo di ramoscelli di mirto gravi di coccole, e disse:

—Mi sembri stizzita….

Marielène prese il mirto e domandò tragicamente:

—Dimmi, chi ha inventato le serve?

—Le padrone,—rispose il professore.

Sebastiana rise, sebbene le parole e l'aspetto di Marielène le ricordassero i tristi giorni della sua servitù, e porse un ramoscello al suo ammiratore, non sdegnando di guardarlo negli occhi e sorridendogli con civetteria.

Fundu….—egli mormorò, accarezzando il ramoscello.—Questo è fundu?

Sebastiana stava per rispondergli, quando Marielène si slanciò verso la porta, urlando e con la mestola sollevata: la figura della serva, con l'anfora sul capo, si avanzava dal cortiletto, e senza l'intervento del pacifico professore sarebbe accaduta una tragedia….

L'ultima domenica di carnevale Bruno scese a Nuoro verso mezzogiorno, e ancor prima di rientrare a casa sua andò da Sebastiana per dirle che Predu Maria sarebbe ritornato in paese il martedì seguente.

Sebastiana intingeva nel miele bollente alcuni dolci di pasta, e gliene offrì.

—Grazie, no,—egli disse, rifiutando.

—Non sono buoni come quelli di tua moglie, lo so!

Bruno non rispose, ma la guardò, ed ella ricambiò lo sguardo; ma i suoi grandi occhi non erano più come prima, timidi e ardenti; erano quasi foschi, pieni di passione e di rimprovero. Egli se ne andò con l'impressione che ella fosse cambiata a suo riguardo. Che era accaduto? Perchè quell'accenno a sua moglie? Forse Sebastiana era gelosa. Sì. Erano arrivati a questo punto: egli era geloso di Predu Maria, ed ella era gelosa di Marielène.

—Purchè non succeda uno scandalo! —egli pensò, attraversando il viottolo.

Quando rientrò a casa, Marielène non gli strinse neppure la mano, e solo, fra un salto e l'altro, dalla cucina alla sala da pranzo, trovò modo di raccontargli l'ultima questione con la serva, e l'acquisto di un nuovo pensionante.

—Vedrai che sviluppo prenderà la pensione, Bruno, anima mia. Forse non ci basterà neppure il locale: ma potremo fabbricare dalla parte del Corso: c'è Pintore che vende il suo cortile…. Tu, come stai? Non ti sei sentito più male? Adesso ti darò da mangiare: vuoi i ravioli?

Egli sedette accanto al fuoco e mangiò i ravioli. Marielène era insolitamente rossa in viso; ma egli osservò che ella era ancor più dimagrata, secca, nera e come arsa dal continuo calore dei fornelli.

—Tu lavori troppo, Elena! Dimmi, per questa serva, dunque, come si fa? Bisogna risolvere il problema. Ti sei dimagrata, Elena: finirai con l'ammalarti.

—Lascia stare! È la mia vita. E tu non lavori, Bruno? Tu lavori più di me.

Sì, egli lavorava; ma oramai il lavoro non era più, come un tempo, la sua felicità.

Dopo colazione salì nella camera da letto, accese la pipa e si affacciò alla finestra, la stessa dalla quale una sera egli, vedendo Sebastiana nel suo piccolo orto pieno di rose, al chiaro di luna, si era ritratto come dall'orlo di un precipizio.

Adesso l'orto, giallo di sole e nero d'ombra, stendevasi solitario, zappato di fresco, rallegrato dai fiori violacei dello zafferano: ma egli vedeva egualmente la figura agile e voluttuosa della sua vicina di casa sorgergli davanti guardandolo con passione. Stette a lungo alla finestra come immerso in un sogno. Udiva grida lontane, suoni di fisarmoniche, squilli di sonagli; nell'aria errava un odore di pasta fritta e di miele caldo. Una maschera a cavallo, coperta di pelli e di sonagli come un guerriero barbaro, passò di corsa su per il viottolo, emettendo grida selvaggie.

Predichedda entrò nella casa della maestra, e poco dopo ne uscì accompagnata da Sebastiana; entrambe vestivano il loro bel costume festivo, come se stessero per recarsi in chiesa, ma Bruno indovinò subito ciò che esse pensavano di fare, e decise di seguirle.

Vestito a nuovo, col suo cappello a larghe falde, gli occhi metallici e i baffi dorati, egli aveva l'aria un po'insolente del conquistatore: i paesani lo salutavano con un certo rispetto, e le donne lo trovavano bello.

Il Corso era già animato da torme di monelli, di contadini, di pastori tornati in paeso per godersi l'ultima domenica di carnevale. Le maschere a cavallo, vestite di stracci e di pelli, passavano di corsa urlando tra la folla che si divideva al loro passaggio.

Collane di sonagli circondavano il collo dei cavalli dalle criniere intrecciate e dalle code ritorte adorne di nastri gialli e verdi. Altre maschere, a piedi, marciavano in fila o a gruppi, al suono delle fisarmoniche; qualcuna buttava in aria manate di confetti rossi, e allora i monelli si slanciavano a torme, come branchi di capretti, aggruppandosi attorno ai passanti, e rovesciandosi e percuotendosi come piccoli diavoli.

Bruno, che passava rasente ai muri per non essere travolto dall'onda dei ragazzi, o da qualche maschera a cavallo, impiegò molto tempo per arrivare fino alla piazza; e là si fermò finchè non vide due mascherine vestite con lunghe camicie da signora, cuffietta da notte in testa, una col nastro rosa, la più alta col nastro celeste. Egli le riconobbe subito: d'altronde appena lo scorsero le due cuffiette cominciarono a tempestarlo di confetti e di castagne secche, e quando lo videro circondato da una torma di monelli urlanti si allontanarono di corsa.

Egli seguì la più alta con uno sguardo geloso. Ah, ella si divertiva! Ella non era inquieta e triste come lo era lui: ella forse aveva un appuntamento con qualche ma scherotto selvaggio, e avrebbe ballato e riso, senza ricordarsi di altro.

In apparenza indifferente e calmo, cominciò ad andare su e giù per il Corso, tra la folla che diventava sempre più fitta e varia. Le due cuffiette correvano e saltavano davanti a lui, fermandosi talvolta in mezzo ai gruppi di mascherine accompagnate da uomini che suonavano e ballavano, e ad un tratto egli vide il nastro celeste volteggiargli attorno, assieme con la testa di un frate, e sentì un impeto di gelosia e di tristezza, e il suono delle fisarmoniche gli sembrò una nenia funebre. Gli parve d'essere come un esule, in mezzo alla folla mascherata e allegra; un esule melanconico, straniero a tutti, da tutti trascurato.

Tutti si divertivano, attorno a lui; sotto quelle maschere di cera, immobili e macabre, palpitavano visi di donne belle, bocche frementi di riso e di voluttà: egli solo, sotto la sua maschera d'uomo vivo, nascondeva l'aspetto funebre dei morti che camminano ancora. E a poco a poco, mentre la cuffietta celeste gli passava e ripassava davanti come una grossa farfalla pazza di gioia, egli si sentiva assalito da un impeto di ribellione contro la sua fredda virtù di uomo onesto, la sua paura di compromettersi, i suoi calcoli per l'avvenire. Sebastiana forse prodigava i suoi favori ad altri uomini meno stupidi di lui: se fosse stata onesta non lo avrebbe incoraggiato come faceva…. E l'idea che ella fosse una preda facile e non pericolosa gli accese il sangue d'una cupa fiamma: anche lui si sentì violento e coraggioso come quegli uomini che passavano urlando sui loro cavalli quasi indomiti; e da quel momento seguì Sebastiana deciso a conquistarla. Il desiderio e la gelosia lo incalzavano. La cuffietta celeste aveva un grande successo; molti mascherotti la seguivano e la circondavano invitandola a ballare; e specialmente il frate, che con le sue mosse e i suoi gridi gutturali dava l'idea di un diavolo travestito da monaco, la seguiva e la trascinava con sè nei giri d'una danza selvaggia.

Bruno s'accorgeva che gli occhi scintillanti di Sebastiana cercavano spesso i suoi; quando egli riusciva a mettersi in prima fila fra i curiosi ella gli passava davanti quasi sfiorandolo, e ad ogni giro di ballo i loro occhi s'incontravano con intensità indicibile, ed egli si sentiva battere il cuore e dimenticava ogni altra cosa che non fosse lei.

Il sole di febbraio declinava sul cielo turchino; la folla cresceva e le maschere a cavallo dovevano tirare i freni e rigettarsi indietro per non causare disgrazie; ma già molte mascherine si ritiravano; le due cuffiette si cercarono fra i gruppi dei ballerini, e la più alta si curvò sulla più piccola, e il nastro azzurro parve dire un segreto al nastro rosa; poi entrambe si fecero largo tra la folla, e si avviarono tenendosi per mano. Non saltavano più: sembravano melanconiche, stanche, e a un tratto, arrivate al crocevia di due straducole deserte, si fermarono, tornarono a consultarsi, si divisero. Una andò a destra, l'altra a sinistra, quasi volessero far perdere le loro traccie all'uomo che le seguiva. Ma egli raggiunse la cuffietta celeste davanti alla porticina di Antoni Maria.

—Devo parlarti, Sebastiana. Si può, qui? —le domandò.

Ella aprì e appena fu dentro si tolse la cuffietta e la maschera: il suo viso ardeva, luminoso di bellezza e di gioia nell'aureola scura dei suoi capelli quasi sciolti.

—Com'hai fatto a riconoscermi, Bruno? E gli altri mi avranno riconosciuta?

—Il tuo frate, sì, certo. Chi era?

Ella si mise a ridere.

—L'hai riconosciuto tu? Altrettanto io!

—Perchè ti sei mascherata, allora?

—Predichedda era venuta da me pregandomi di accompagnarla in chiesa: invece mi condusse qui, dove aveva preparato le vesti da maschera.

—Adesso dov'è andata?

—A farsi veder mascherata dalle sue parenti. Tarderà a tornare. Che avevi da dirmi?

Ella stava in mezzo alla camera desolata, e non rideva più, guardando con strana attenzione la cuffietta e la maschera che teneva fra le mani. Egli la prese per la vita e la trascinò verso il lettuccio, sul quale sedettero.

—Il frate? Ah, tu credevi che io lo conoscessi? —ella mormorò sorridendo e accomodandosi i capelli.

—Oh, certo, lo conoscerai!

Sebastiana sollevò fieramente il capo e corrugò le sopracciglia, e siccome Bruno la stringeva a sè e cercava di baciarla sulle labbra, volse il viso dall'altra parte, vinta da un senso di rancore e di umiliazione.

—Ti giuro che non so chi sia, quella maschera! Del resto, ho ballato con molti. Che pensi tu di me? Dimmelo! No, lasciami, non baciarmi se prima non mi dici che pensi di me….

Egli le prese la testa fra le mani e la costrinse a guardarlo.

—Ebbene, sì, sono geloso!

—Di chi?

—Di tutti.

—E perchè sei geloso di tutti? Te ne do forse motivo, io? Rispondi!

Si guardarono negli occhi; ma già il loro sguardo non era più, come pochi minuti prima, carico di passione e di desiderio. Ella balzò in piedi, sfuggendo alla stretta di lui, e gli si curvò sopra quasi minacciosa.

—Rispondi! Che motivi ti do, perchè tu possa esser geloso? Ora capisco il tuo modo di procedere a mio riguardo, la tua freddezza, la tua diffidenza. Ah, sei geloso! Di tutti? Ma se io non guardo nessuno; se io sfuggo persino la compagnia di mio marito! Io non voglio bene che a te, capisci? (Lo prese per gli omeri e lo scosse, mentre egli l'ascoltava come sorpreso e contrariato.) A te solo, Bruno; te lo giuro sull'anima di mio padre: non ho mai voluto bene ad altri che a te; non ho guardato che i tuoi occhi. E tu non hai voluto capirlo, un giorno, quando eravamo ancora liberi, e anche adesso non mi credi. Non mi credi, vero, non mi credi?

Egli credeva, sì, e ne provava gioia e dolore, ma la confessione di lei, vibrante di passione sincera, invece di esasperare il suo desiderio parve calmarlo. Egli ebbe di nuovo paura di compromettersi. La figura di Predu Maria gli sorgeva davanti minacciosa; e per alcuni momenti, mentre la donna, curva su lui, lo tentava con tutte le forze della sua passione, egli lottò furiosamente contro sè stesso e contro di lei.

—Tu non devi esser geloso,—ella diceva, anelante e corrucciata.—Se oggi io sono qui, travestita, lo sono per te. Volevo vederti…. lontano da casa tua e da casa mia…. Sapevo che mi avresti seguito…. Quando ballavo e tu mi guardavi, mi pareva di dover cader morta…. ma tu non mi credi, tu, mentre io, delle volte, mi sento impazzire, e provo il desiderio di correrti appresso come se tu mi abbi incantata…. E qualcuno, certo, deve avermi fatto una malìa; altrimenti non ti verrei addietro così, come una donna perduta: perchè io sono onesta, sì, posso dirlo ad alta voce, e se mio marito mi ammazzerà non lo farà certo perchè io sia corsa dietro a molti uomini….

Egli trasalì e parve completamente svegliarsi dal suo sogno.

—Calmati,—le disse, facendola di nuovo sedere sul lettuccio. E tremava tutto; ma il suo tremito era simile al freddo brivido degli alberi dopo l'uragano. —Non gridare, Sebastiana! Lo so che sei onesta, e anch'io sono onesto, e non sarò io che ti farò del male. Noi non dobbiamo far del male, bambina mia….

Ella non capiva, e riprese, sottovoce, cupa e come vinta dalla tristezza di lui:

—A chi facciamo del male? Io non ho figli; tu non ne hai.

—Ma tu hai marito ed io ho moglie. È a loro che non dobbiamo far del male….

—Ma essi non sapranno mai nulla!

—Come sei bambina! Certe cose non si possono nascondere. Vedi, noi adesso ci troviamo qui, condotti da una volontà più forte della nostra: domani non potremo resistere alla tentazione di incontrarci in un altro posto…. e magari nelle nostre case…. La passione trascina, Sebastiana; guai a noi se non ci freniamo a tempo….

Ella lo guardava sbigottita; ma all'improvviso, come suggestionata da lui, si mise a piangere, mormorando:

—È vero! È vero! Possono vederci anche oggi, quando usciremo di qui…. possono riferire tutto a mio marito; possono perderci….

Si strinse a lui, paurosa, e riprese:

—E noi potevamo sposarci un giorno, ricordi? Come saremmo stati felici! Ma tu hai guardata una donna che non amavi, ed io ti ho imitato. Perchè, perchè, Bruno?

—Perchè noi facciamo sempre ciò che è contro la nostra volontà.

—È vero! È vero!

Ed entrambi sentivano di mentire; ma lei si ostinava a piangere una felicità che non avrebbe mai avuto, ed egli si sentiva misero e infelice per l'illusione di lei.

Un rumore nel cortile li richiamò alla realtà. Si alzarono e stettero ad ascoltare; il rumore cessò, ma egli pensò che era tempo di andarsene: qualcuno poteva sorprenderli e sospettare di loro quantunque non stessero a far del male.

Come Marielène prevedeva, la sua pensione prese in breve un grande sviluppo.

Per risolvere la questione delle serve ella accolse in casa una vecchia di buona famiglia decaduta, che si adattò ammirabilmente alle faccende più umilianti e fin dal primo giorno cercò di contentare in tutto la sua padrona per non subire l'umiliazione d'essere sgridata da lei.

—Tu, figlia mia, se non sei contenta di me devi dirmelo subito, con buone maniere,—diceva con la sua voce dolce e stanca.—Le persone beneducate, e tu hai fama d'esserlo, non si abbassano mai a sgridare i propri servi; anzi li trattano bene, e dicono loro, quando li comandano « fatemi il piacere » e « grazie » quando sono serviti.

Per non smentire la sua fama di persona beneducata, Marielène cercò di contentarsi della nuova serva; anzi continuò a chiamarla signora, ma non potè abituarsi a dirle « mi faccia il piacere » quando le dava gli ordini, e tanto meno « grazie » quando l'altra li eseguiva. Ad ogni modo andavano d'accordo, e lavoravano tutte e due come due schiave. In breve cominciarono a scambiarsi qualche confidenza; però la « signora » Arrita era molto riservata e severa e non rideva mai. Alta e robusta, col viso severo circondato da un fazzoletto scuro, rassomigliava, anche nel modo di parlare, alla maestra Saju; ma nonostante questa rassomiglianza ella non poteva soffrire la vicina di casa della sua padrona.

Una sera, verso i primi di maggio, mentre appunto ella criticava Sebastiana che a giorni usciva tutta vestita da paesana bene stante, con stivaletti da signora e coperta di gioielli, e a giorni andava in campagna, scalza e in guarnellino, a cogliere erbe mangerecce in compagnia di quella buona lana ch'era Predichedda, ecco rientrò inaspettato Bruno.

Marielène gli andò incontro inquieta. Egli era pallido, invecchiato, con gli occhi cerchiati.

—Bruno, cuore mio, che hai?

—Ma nulla!

—Tu stai male. Sei pallido come un pezzo di tella. Perchè sei tornato allora?

—È la prima volta che torno inaspettato? Ti assicuro, non ho nulla!—egli disse irritandosi.

Ma il suo insolito accento di collera impensierì maggiormente Marielène. Ella non insistè, ed egli sedette accanto alla porta spalancata. Era una sera dolce e luminosa; sopra il muro del cortile si stendeva una fascia di cielo color d'oro, e dall'orto di Sebastiana saliva il profumo delle rose. Egli si sentiva stanco, quasi disperato. Dopo giorni e giorni di lotta, di passione, di desiderio e di pentimento, s'era deciso a scendere a Nuoro con la scusa di consultare un medico,—poichè aveva avuto un altro accesso del suo male misterioso, —ma in realtà per riveder Sebastiana. La primavera, come altre volte, lo fiaccava, lo vinceva; e al cader della sera egli si buttava sul suo giaciglio, affranto come se qualcuno lo avesse bastonato.

Mentre Marielène apparecchiava la tavola, egli osservava la vecchia, dritta davanti ai fornelli, pallida e dura nel suo vestito nero composto di una sottana molto increspata alla vita e di una giacca abbottonata fino al mento, e non sapeva perchè, sentiva una forte antipatia per lei.

—Che c'è di nuovo in paese, signora Arrita? Che diceva poco fa? Parlava d'un turco.

—Sì,—riprese la vecchia, senza voltarsi, —c'è un turco che gira, con una cassetta di cianfrusaglie. Io domandavo a Marielène, che è una donna saggia e beneducata, se una persona seria può fermarsi a guardare queste cianfrusaglie ed a ridere e scherzare col turco che le vende.

—Tanto più che sarà un napoletano in gonnellina.

—Per questo no: è proprio un turco e viene da Gerusalemme. Ha persino delle reliquie, e davanti a queste io mi segno. Ma le persone che dico io non guardan le reliquie; no, tutto al più guardano le corone di madreperla e le medaglie d'oro. Son persone vane, sciocche; gente senza conseguenza….

Ella parlava con disprezzo.

—Sì; oggi il turco è passato di qui almeno sette volte. E ogni volta essa è venuta fuori, ed ha guardato, ha riso, a mio credere ha anche civettato con quel miscredente. Ah no, gente di conseguenza non fa così: dice: passa diritto, va in bonora….

—Ma chi?

—Ma dico le nostre vicine: Sebastiana!

Egli non domandò altro. Ah, ella rideva, si divertiva anche coi turchi? Ed egli si consumava per lei! Ah, no! Ah, no! Egli era stanco: aveva bisogno di lei a qualunque costo, e voleva vederla la sera stessa; morisse pure, ma dopo aver conosciuto per un attimo la felicità!

Si alzò per andare nella camera da letto, ma mentre saliva le scale Marielène gli corse appresso.

—Bruno, senti, senti, l'ho affittata….

—Che cosa?

—La nostra camera…. Al segretario della sottoprefettura…. Un nobile…. ricco…. Mi dà ventidue lire al mese…. Ho portato il nostro letto su….

Ella aveva portato il letto nuziale in soffita. Bruno sentì una cupa irritazione quando si trovò lassù: gli parve di doversi da un momento all'altro spezzare la testa contro le travi oblique del soffitto in pendìo, e che la sua vita fosse così, senz'aria, senza luce, schiaciata da un coperchio fatale. Ritornò giù, deciso ad insultare sua moglie; ma ella correva di qua e di là, agile e silenziosa come un fantasma, e i pensionanti rientravano, e si udivano le loro risate, i loro ordini, e la signora Arrita diceva:

—Per Don Francesco, le trote bisogna lasciarle friggere un po' di più. È così esigente quel benedetto uomo…. va in bonora è vero che può esserlo…. paga bene….

Per rispetto a questo « don Francesco » Bruno tacque e sedette di nuovo accanto alla porta. Solo dopo qualche momento disse, scuotendo la testa:

—Si sta male!

—Si sta male in soffitta?—Pazienza, ora fabbricherete l'altra ala della casa. Domani deve arivare la calce, domani deve venire il capo-mastro per ordinare le fondamenta; edificherete un vero palazzo con poca spesa. Va in bonora, non lamentarti, Bruno, sei fortunato…. Con una moglie come la tua…. va in bonora….

Quasi senza volerlo egli riprese a fare i suoi calcoli. Quattro camere, risparmiando i muri che già c'erano, si potevano edificare con poco,—diceva bene la signora Arrita,—e con un migliaio di lire si arredavano, e ad affittarle a venti lire l'una ecco formavano già una buona rendita, anche senza contare i guadagni della pensione.

Egli non si mosse, in attesa che Marielène finisse di servire a tavola e gli parlasse del nuovo affare: ma di tanto in tanto sollevava gli occhi melanconici e guardava il cielo, al di sopra del muro del cortile; e il cielo si copriva di un velo violetto, scintillante di stelle, e l'odore dell'orto di Sebastiana diventava sempre più acuto.

A un tratto un omettino biondastro e calvo, con occhiali turchini, uscì dalla sala da pranzo stuzzicandosi i denti, e domandò a Bruno:

In vetta alla strada? Sarebbe in principio od in fondo alla strada?

—Se è in fondo non è in vetta!—disse Bruno non senza ironia. Egli rispettava i suoi pensionanti, ma aveva appreso da Predu Maria e dagli altri paesani a burlarsi un po' dei « forestieri », e anche il suo linguaggio andava di giorno in giorno sempre più corrompendosi, soffocato dal dialetto e dalle espressioni locali come il grano dal loglio.

—Ma anche il principio non è la vetta, —insisteva l'omino, quando all'improvviso sorrise e abbassò la voce, come parlando fra sè:—ecco il fondo e la vetta, l'alfa e l'omega….

Sebastiana entrava, dal portoncino del cortiletto, con un ciuffo di erbe odorose in mano. Vedendo Bruno, pallido nel chiarore che veniva dalla cucina, ella provò un'emozione profonda, quasi un senso di spavento, ma seppe dominarsi, e disse piano, timida, porgendo le erbe al professore:

—Eccole l'armidda. Senta che profumo!

L'omino afferrò, con l'erba, la mano di lei, e disse galantemente:

—Fosse anche cicuta, in mani vostre odorerebbe di rose.

Ella si svincolò senza parlare, accorgendosi che Bruno la fissava con una specie di curiosità febbrile.

Il professore andò ad esaminare l'erba presso il lume: rialzò gli occhiali sulla fronte, odorò i ramoscelli sottili, fragili, coperti di foglioline minutissime e di fiorellini violetti, e domandò alla signora Arrita se era proprio quella l'armidda,

Timus herba barona?

La vecchia non sapeva il latino e non conosceva le erbe; ma conosceva e sapeva altre cose, e invece di badare al mucchietto d'erba che l'omettino scuoteva come una matassa, ella osservava quei due, immobili nel vano della porta, egli seduto, ella in piedi, muta come una statua, e le sembrava che essi si guardassero come due amanti….

Poco dopo entrò anche la maestra e domandò notizie di Predu Maria.

—Sta bene: ingrassa!—disse Bruno, e la maestra cominciò a lodare il genero, parlando con più affettazione del solito per farsi sentire dalla signora Arrita.

Sebastiana, seduta sul limitare della porta, coi gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani intrecciate, pareva immersa in un sogno che nulla valeva a rompere. A un tratto però Marielène e la vecchia serva cominciarono a parlare del professore d'italiano, burlandosene, e dicendo alla maestra Saju:

—State attenta per Sebastiana! Una sera o l'altra lo troverete nascosto sotto la scala.

—Lo ammazzerò con la chiave!—disse allora Sebastiana con voce assonnata. Poi ricadde nel suo torpore, e solo dopo che Bruno fu uscito ella si scosse, sbadigliò e disse che se ne andava a dormire. Nel cortiletto rimasero Marielène, la maestra e la signora Arrita; e queste due si dicevano qualche insolenza, ma in modo garbato e fino, come due grandi dame.

Sebastiana rientrò a casa, ma invece di andare a letto rimase sul ballatoio: la notte era così dolce, così bella! Dov'era andato Bruno? Da un'altra donna? Ella si sentiva triste, perchè le sembrava che egli la disprezzasse e la sfuggisse; ma all'improvviso lo vide attraversare l'orto e salire la scaletta, cauto e silenzioso come un ladro. Felice e spaventata ella gli andò incontro e gli cadde smarrita fra le braccia; ed egli la trascinò nella camera, e cominciò a rivolgerle aspri rimproveri: le sue risate, i suoi divertimenti, i fiori dati al professore…. le sue frasi leggere…. il turco….

—Io non so…. io non so….—ella mormorava smarrita.—Io non guardo nessuno…. non penso che a te. Credimi una buona volta, Bruno, cuore mio….

Nell'oscurità della camera, rotta appena dal vago chiarore della porticina aperta, ella osò avvinghiarsi a lui, decisa a non lasciarselo sfuggire più, ed egli tacque e parve vinto. La strinse a sè, perdutamente, e un silenzio quasi lugubre regnò intorno a loro; ma non avevano finito di scambiarsi il primo bacio quando la voce della maestra risuonò in fondo alla scaletta.

—Sebastiana? Perchè stai ancora con la porta aperta? Chiudi.

Bruno si staccò subito da lei, ed ella cominciò a tremare di paura e nello stesso tempo a ridere per la diffidenza di sua madre.

—Ella ha paura del professore….

Egli le chiuse la bocca con la mano, e per alcuni istanti il silenzio tornò a regnare intorno a loro. Ma per lui furono istanti di terribile angoscia; con le pupille dilatate fissava il vano grigiastro della porta, e gli sembrava di veder la figura della maestra apparire da un momento all'altro, nera, mostruosa, tale da oscurare tutto il cielo stellato…. Per rassicurarlo Sebastiana uscì nel ballatoio e disse a voce alta:

—Non chiudete, mamma: scendo perchè devo prendere ancora il lume.

Infatti scese, e si trattenne alcuni momenti in cucina accendendo un lume, e ridendo e scherzando perchè la maestra le raccomandava di chiudersi bene in camera.

—Non dubitate, chiuderò bene….

La sua voce e le sue risate vibravano nella notte come trilli d'usignolo. Ella non si era mai sentita così lieta e commossa….

Nel salire la scaletta spense il lume e rientrò al buio in camera sua, stendendo le mani, palpitando e sorridendo, incosciente e folle come un uccellino in amore che svolazza dietro al suo compagno: ma all'improvviso gemette e lasciò cader le braccia come ali ferite. Bruno non c'era più!

L'indomani mattina egli andò a consultare un medico, o meglio un vecchio signore alquanto strano che abitava in una vecchia casa a fianco della palazzina Perrò, e che si dilettava di medicina e dava consulti e consigli gratis ai malati ed anche ai sani.

Quando Bruno entrò, la piccola anticamera buia era piena di gente; si sentivano gemiti di bimbi malati e lamenti di donnicciuole sofferenti: ed egli sedette in un angolo, dietro l'uscio, aspettando il suo turno e cercando di nascondersi per non essere riconosciuto. Con la testa curva sul petto, pareva un vecchio stanco e malato ma non ancora rassegnato alla sua fine.

Durante la notte non aveva chiuso occhio, ed ora provava una sonnolenza malaticcia; gli sembrava di aggirarsi ancora attorno all'orto e alla casa della maestra, tentato di salire ancora la scaletta, di picchiare alla porticina, di chiamar Sebastiana e di farsi perdonare da lei. La paura, l'umiliazione, il timore di esser deriso, lo rendevano prudente. Gli sembrava di sentir ancora fra le sue braccia l'agile busto di lei, vibrante di passione e di gioia: ella si burlava di sua madre; ella avrebbe riso anche di lui: ella era capace di tutto!

Egli sentiva che una volta diventata sua amante, Sebastiana avrebbe fatto di lui quel che voleva; e mentre il veleno del desiderio non soddisfatto gli fermentava nel sangue, accrescendo il suo malessere fisico, la sua ragione si ostinava nei suoi calcoli, decisa a combattere ancora, a vincere ancora. Egli voleva vivere, voleva vincere. Mille storie, d'uomini che s'erano perduti per causa di donne, gli tornavano in mente; pensava a Lorenzo il dispensiere, che per causa di una donna aveva tentato di uccidere il proprio fratello, ed era diventato cattivo e cinico e aveva fatto una fine misteriosa.

Una domanda bisbigliatagli all'orecchio lo trasse dai suoi sogni.

—Figlio mio, sei qui?

—Zia Chillina? Che, state poco bene?

—Io no, grazie al Signore. Sto bene come un piccolo santo in cielo. Sono venuta qui per un affare.

—Anch'io,—egli disse a voce alta, e siccome zia Chillina si lamentava perchè nè lui nè Marielène la visitavano spesso, aggiunse, cupo:—abbiamo tanto da fare…. da pensare…. Ma presto, spero, presto avrò un po' di pace e verrò a trovarvi….

Ella gli stringeva il braccio e gli susurrava:

—Figlio mio, non bisogna lasciarsi trasportare dalla ruota della vita…. no. no…. se no la ruota ci schiaccia…. Pensa un po' anche a divagarti…. Non pensare sempre ai soldi!

—Oh, no, no, penso anche ad altro!—egli mormorò; ma subito si pentì di queste parole.

In quel momento toccava il suo turno: egli voleva far passare la vecchietta, ma ella ringraziò e lo spinse verso l'uscio socchiuso.

Accanto alla finestra, nella vasta sala bassa e affumicata che sembrava il laboratorio d'un alchimista, sedeva il vecchio studioso, con la testa curva su un libro, fra un globo di vetro e un cannocchiale, ed i suoi foltissimi e arruffati capelli grigi davano l'idea di una nuvoletta sospesa sopra un viso pallido e scarno di sognatore.

Egli accennò al visitatore di sedersi accanto al tavolo, e cominciò a interrogarlo, senza sollevar gli occhi dal libro dove pareva leggesse le sue domade. E di momento in momento queste diventavano sempre più intime, come quelle di un confessore, ma Bruno esitava nel rispondere, e la paura di compromettersi, diventata in lui una specie di istinto, non solo non gli permetteva di rivelare i suoi segreti, le sue abitudini, la sua passione, ma lo costringeva persino ad attenuare la gravità del suo malessere fisico. Finalmente il dottore si alzò e gli applicò sul petto nudo, sopra il cuore, un piccolo imbuto nero. Passarono alcuni momenti di silenzio penoso. Curvo, con l'orecchio sull'imbuto, il dottore ascoltava i palpiti del cuore malato; e Bruno lo guardava con diffidenza, sembrandogli che il vecchio spiasse i suoi più intimi segreti.

—Riposo, riposo, riposo,—qui, e qui! —disse infine il dottore, sollevandosi e toccandosi la testa e le gambe; poi ripulì l'imbuto e tornò a sedersi davanti al tavolo.

Bruno si riabbottonava il corpetto, e domandava, stupito come un bambino:

—Che vuol dire?

—Che vuol dire riposo? Il contrario di strapazzo, e cioè non correre pei boschi, non esporsi alle intemperie.

—Devo rinunziare al mio mestiere?

—Per qualche tempo, sì.

Egli si alzò, pallido e quasi irritato.

—E chi mi dà da vivere? Eppoi…. eppoi…. io non posso vivere senza far nulla! Io sono abituato a lavorare.

Il vecchio ricacciò la testa fra il cannocchiale e il globo, e sopra la tavola Bruno non vide più che la nuvoletta di capelli grigi. Capì che era inutile gridare, difendersi: era venuto per domandare un consiglio, il vecchio glielo aveva dato, e spettava a lui seguirlo o no. Abbassò la voce, e domandò esitando:

—Ma è dunque grave? Mi dica almeno il nome della malattia!

Senza sollevare il capo il vecchio borbottò: « dilatazione dell'aorta », e Bruno se ne andò senz'aver capito che una sola cosa: che il rimedio prescrittogli era peggiore del male.

Dopo aver salutato la sua ex-padrona di casa uscì, triste ed umiliato, e andò dallo speculatore. Anche là alcune donnicciuole e alcuni paesani aspettavano d'esser ricevuti; ma quale contrasto con la scena della casa attigua! Là tutto era triste, lugubre; qui si sentiva l'odore di una colazione succulenta, e il sole inondava la scala sporca e animata come una strada, e lo speculatore, rosso e forte come un lottatore, riceveva uomini e donne, paesani e borghesi, con gli stessi modi famigliari e violenti, rinfacciando a tutti di essere poltroni e incitandoli a lavorare, a muoversi. Egli non si accorse neppure che il suo capo-macchia aveva una brutta ciera. E furono i soliti discorsi: un rapido calcolare, un incalzare, un incitare verso il guadagno; una pesca tenace e sicura a tutte le probabilità che potevano recar vantaggio alla speculazione.

Come suggestionato dalla forza del suo padrone, Bruno si sentiva rianimare; e un'ora dopo ripartì per la foresta senza aver riveduto Sebastiana.

Dopo la fuga di Bruno ella divenne un po' stravagante; cantava e imprecava, passava spesso da una gioia infantile e rumorosa, senza causa, a un cupo malumore.

Un giorno, nel cortiletto di Marielène, insultò il professore d'italiano che le rivolgeva qualche frase galante, e se ne andò giurando di non rimetter più piede in quella casa.

Ma la sera stessa ritornò, mentre la maestra e le sue vicine stavano a prendere il fresco ed a chiacchierare. Il cortiletto era ingombro di travi, di mattoni, di altri materiali di fabbrica; e Marielène s'affannava, al chiaro di luna, a pulire con una falciuola un fascio di canne che dovevano servire per il tetto della nuova casa.

—E lascia!—le disse con ironia Sebastiana, —tanto, il lavoro di notte va al diavolo.

—Io volevo pregarti di aiutarmi!

—In fede mia, no! Non lavoro per me che son povera, e devo lavorare per te che sei ricca?

Poco dopo s'udì un fischio nel viottolo, e la maestra disse:

—Mi pare quello di Predu!

Sebastiana uscì di corsa e infatti vide suo marito davanti al cancello della loro casetta.

—Chiamami tua madre,—egli le disse, —va, devo dirle qualcosa per Marielène.

—Che è accaduto, Predu? Dillo a me…. Bruno sta male?

—Va; non è cosa che ti riguarda.

Ella cominciò a tremare e ritornò nel cortiletto. Non era cosa che la riguardava? Ah, invece, le gambe le si piegavano e un'angoscia profonda le opprimeva il cuore. Nel vederla così turbata, la maestra credette che Predu Maria avesse commesso qualche mancanza talmente grave da farsi cacciar via dal suo posto, e corse da lui affannata; ma quando egli le disse che Bruno stava molto male e che bisognava avvertirne con prudenza Marielène, sospirò, sollevata.

—Meno male, meno male!

—Perchè meno male?—gridò Sebastiana. —Che vi ha fatto quel disgraziato? Andate, andate e avvertite sua moglie, che lo faccia venir giù, che lo curi, che smetta di pensare ad accumular denari e dia attenzione a quell'infelice….

—Eh, eh! Sebastiana!—disse Predu Maria alquanto ironico.—Perchè tanta agitazione?

—Perchè mi fa rabbia quella gente! Non pensano che ai denari.

—E lasciali fare! Non ci ammaleremo noi, per questo!

—Ma che ha avuto?—domandò la maestra.—Come devo dirle?

—Ma non lo so neppur io che diavolo ha avuto. Stavamo a discorrere; egli pesava dei sacchi. C'era un carriolante che raccontava di esser stato a Golfo Aranci e di aver veduto Lorenzo a scendere dal piroscafo, di ritorno dal Continente; a un tratto Bruno diventò bianco come un foglio di carta e ci cadde fra le braccia. Non era svenuto, ma rimase quasi mezz'ora senza parlare, senza poter respirare: pareva avesse l'asma, e ad ogni movimento provava un dolore acuto al cuore. Io sono sceso perchè, in fede mia, ho paura che muoia.

—Che fare? Che fare?—disse Sebastiana. —Bisognerebbe avvertire subito il Perrò: bisognerebbe mandar su il medico….

—Ebbene, appunto, bisogna che ci pensi sua moglie….

—Vado ad avvertirla,—disse la maestra.

Sebastiana provava una cupa irritazione perchè sua madre e suo marito prendevano la cosa con calma. Ella avrebbe voluto mettersi in cammino, chiamare il medico, salire dal malato e strapparlo alla morte.

—Vedrai che sua moglie seguiterà a pulire le canne. Non le importa nulla di lui!

Invece Marielène si spaventò, corse per aver notizie e volle subito partire per la montagna: Predu Maria e un medico chiamato d'urgenza l'accompagnarono.

Rimasta sola, Sebastiana si gettò sul letto in preda a una convulsione di dolore e di gelosia, e ripeteva a voce alta che a Marielène non importava nulla di Bruno: la disgraziata invece saliva su per i sentieri della montagna col cuore gonfio d'angoscia e di cupi presentimenti, e di tanto in tanto i suoi singhiozzi risuonavano fra le roccie e gli alberi come i lamenti di un'anima in pena.

Quando arrivarono lassù, Bruno s'era assopito. Steso sopra un sacco, nell'interno della tettoia illuminato dalla luna, egli sembrava un cadavere, pallido, d'un pallore azzurrognolo, coi lineamenti stirati e i baffi spioventi. Per non agitarlo troppo, il medico proibì a Marielène di farsi vedere, ed ella attese ansiosa in una capanna addossata alla dispensa.

Predu Maria guardava Bruno con un sentimento di profonda pietà: eccolo, era lì, l'uomo calmo e calcolatore, che il vento delle passioni e le vicende della vita non riuscivano a scuotere. Ecco, un leggero soffio venuto da un luogo misterioso, una piccola mano invisibile, lo avevano atterrato: ma anche nella sua caduta pareva che egli conservasse la sua calma fredda e melanconica.

—È inutile; non te l'ho detto mille e mille volte? Non si sfugge al proprio destino, —gli diceva mentalmente Predu Maria, mentre lo scuoteva per svegliarlo.

—Tu devi aver fatto qualche stravizio nel mangiare o nel bere, e adesso hai un po' d'infezione intestinale. Purga! Purga! —disse il medico al malato, trattandolo come un bambino; ma Bruno sentiva che il suo male era grave, e ricordando la sua visita all'altro medico domandò se era necessario ritornare in paese.

—Non ti farà male, certo!

Dalla capanna Marielène sentiva parlare suo marito e si rassicurò, e poichè egli diceva che aveva sonno, ella decise di seguire il consiglio del medico di non lasciarsi vedere fino all'alba. La notte era chiara e tiepida, dolce come un crepuscolo estivo. Predu Maria andava e veniva, da una capanna all'altra, e non rivolgeva la parola alla sua antica amante, nè lei lo interrogava: non avevano nulla da dirsi, sebbene il profumo dei ricordi salisse dalla profondità del loro cuore, come da lontano arrivava sino al pianoro diboscato l'odore degli elci fioriti.

All'alba Bruno si svegliò quasi completamente ristabilito; tuttavia Predu Maria non gli permise di muoversi, e gli disse scherzando:

—Eh, c'è una visita mattutina, per te!

Marielène entrò, livida, con gli occhi cerchiati e pieni di tristezza; Bruno si commosse e le fece coraggio, ma aggiunse:

—Adesso che ti sei assicurata che son vivo, ritorna subito giù; avrai da fare.

—Scenderemo assieme,—ella disse, accarezzandolo maternamente.—Non scuoter la testa, non dire di no. Non mi muoverò di qui se tu non verrai…. per pochi giorni, per pochi giorni soltanto….

Egli protestava; ma l'idea che l'assenza di lei potesse scontentare i pensionanti, lo persuase a seguirla.

Scesero, attraverso i sentieri fioriti. Il sole sorgente indorava le cime dei boschi non ancora devastati, e fra poggio e poggio si scorgevano talvolta i monti lontani, azzurri e rosei come se la primavera li avesse interamente coperti di fiordalisi e di rose canine.

Bruno assicurava di sentirsi bene, ma era pallido e taciturno, con gli occhi spenti, e invano, per distrarlo, Marielène chiacchierava più del solito, raccontandogli le vicende della pensione, i suoi guadagni sempre più crescenti, le sue speranze senza limiti. Egli taceva; ella gli riferì i pettegolezzi della signora Arrita e della maestra, ed egli non si scosse. Rise soltanto quando ella raccontò le furie di Sebastiana contro il professore.

La prima persona che videro, appena arrivati, fu appunto Sebastiana. Ritta presso il muricciuolo dell'orto, tra i cespugli d'assenzio e i rosai fioriti, ella sembrava un gran fiore; e appena Bruno, dall'alto del cavallo, incontrò i grandi occhi luminosi che lo fissavano ansiosamente, provò come un senso di benessere e di gioia.

Ella gli corse dietro fino al cortiletto, domandandogli come stava.

—Ma sto bene,—egli disse, smontando. —Adesso vado subito dal Perrò…

—Tu? Tu vai subito a letto,—disse Marielène, spingendolo verso la cucina.

—Io sto bene! Sto benissimo!—egli ripeteva. Ma Sebastiana vedeva i suoi occhi spenti, il suo viso invecchiato, e capiva che una crisi funesta, una rovina irreparabile, era accaduta in lui.

La maestra, accorsa anche lei, tastò il polso al malato e gli osservò la lingua e le gengive.

—Secondo il mio parere tu sei debole, e null'altro, figlio mio. La purga? Bene puoi prenderla; se non fa bene non fa male. Ma tu hai bisogno di carne arrosto e di vino d'Oliena.

Anche la signora Arrita lo prese per gli omeri e lo guardò fisso.

—Ti farò io un decotto di erbe, che rinforza i legamenti del cuore….

La maestra insisteva:

—Carne arrosto e vino d'Oliena….

Infastidito, egli si liberò delle due donne e dichiarò che voleva uscire. Allora Marielène e Sebastiana lo presero ciascuna per un braccio e lo condussero nella sala da pranzo, costringendolo a sedersi sull'ottomana.

—Andrò io dal Perrò,—disse Marielène, mettendogli un cuscino dietro le spalle.—Non pensarci, tu.

Ma gli occhi di lui si accesero, e Sebastiana capì che egli non approvava l'idea di sua moglie.

—Andrò io; non agitarti,—disse la maestra, e uscì, seguita da Marielène che le suggeriva le frasi da dire al Perrò.

Rimasti soli, Bruno guardò Sebastiana, ed ella si piegò su lui, tremando tutta, e lo baciò.

—Senti, Sebastiana, va dal dottor Lais e digli che sto male, che forse morrò…. Era da lui che volevo andare….

Ella andò dal vecchio solitario, ed era appena entrata nella piccola anticamera buia, quando l'uscio fu spinto con violenza e un uomo pallido e ansante entrò e si lasciò cader di peso su una sedia. Sulle prime ella si ritrasse, ma poi le parve che l'uomo fosse ferito, tanto egli ansava e gemeva, e vinta da un senso di pietà gli si avvicinò.

—Antoni Maria Mò! Che hai?

—Lasciami stare!—egli gridò disperato. —Non lo vedi? Muoio.

—Fai presto a morire! Che hai?

—Non lo so, non lo so! Il dottore dice che ho le febbri di malaria; io credo che m'abbiano fatto qualche malìa!

—Predichedda infatti mi disse che avevi le febbri: non sapevo però che tu stessi così male.

—E male, figlia mia! Male di morte è questo! E tuo marito? E tu perchè sei qui?

Ella sedette accanto a lui; cominciarono a chiacchierare, ed egli le raccontò che dopo l'incendio della tanca e la persecuzione spietata delle cugine non era stato più bene.

—Io sono un uomo rovinato! E tutto questo per voler sempre fare il bene agli altri, credilo pure, Bustianè! Oh, se io, come tanti altri, avessi pensato sola a me, a quest'ora non sarei qui come un pezzente, divorato dalle febbri e da malanni che rodono peggio delle febbri. Ah, ma se non morrò imparerò, te lo giuro! Vedi questa croce santa (egli incrociò le braccia su petto e col piede fece un segno di croce per terra) se qualcuno verrà a chiedermi aiuto gli dirò: va alla forca! E sarò freddo e calcolatore come mossiù Perrò e come il suo capo-macchia. Sì, quelli son uomini! Essi solamente possono esser felici!

Sebastiana pensò a Bruno, buttato sull'ottomana come un mucchio di stracci, e disse con amaro sarcasmo:

—Sì, sì, farai bene! Tu sei un uomo furbo!

Intanto l'uscio del dottore era stato socchiuso; ma Sebastiana era incerta se entrare prima o dopo di Antonio Maria, per timore che egli sentisse il suo segreto.

—Passa tu,—gli disse.—Io posso aspettare: sono venuta per un affare.

Antonio Maria si alzò ed entrò senza chiudere l'uscio, ed ella lo sentì ripetere le stesse cose dette poc'anzi, e addurre l'esempio del Perrò, di Bruno e di altri che, secondo lui, erano fortunati e onorati perchè egoisti.

Quando ella entrò il vecchio stava curvo a scrivere sui suoi registri. Ella si avanzò in punta di piedi, curiosa e paurosa: aveva sentito parlare tanto di quell'uomo savio e sapiente che conosceva le leggi degli uomini e quelle della natura, ma non lo aveva mai veduto, e adesso egli le sembrava una specie di fattucchiere circondato di strumenti misteriosi e di libri che dovevano contenere pagine arcane. Ma quando il vecchio sollevò la testa arruffata, mentre ella, confusa, spiegava lo scopo della sua visita, e la guardò, dapprima con sorpresa, come abbagliato dalla bellezza di lei, poi con evidente piacere, e infine con avidità, ella si convinse che egli era un uomo come tutti gli altri.

—Sei parente del malato?—le domandò.

—No: sono sua vicina di casa….

—Che ha fatto egli durante questo tempo?

—È stato sul Monte a lavorare.

—Sempre così! Volete i consigli e non li seguite. Voi audate dal medico come dal confessore, col proposito di continuare a peccare!

Ella si mise a ridere; e vedendola ridere per così poco egli la credette tanto indifferente verso Bruno da poterle dire la verità.

—Sentimi, egli è gravemente ammalato. Se non si cura e non rimane in riposo, può morire da un momento all'altro.

Sebastiana impallidì e si piegò in avanti come se qualcuno le avesse dato un pugno sulle spalle.

—Son morta!—gridò con disperazione.

Allora il vecchio si alzò e l'afferrò per le braccia, scuotendola e guardandola con desiderio e con ironia.

—Sentimi, bella mia, vedo che sei una buona vicina. Cerca dunque di convincere il malato a non strapazzarsi, e digli che venga da me appena può uscire di casa.

Ella singhiozzava, senza cercare di nascondere il suo dolore: ma siccome il vecchio tentava di stringerla un po' troppo a sè, ripetendole:

—Tu sei una buona vic na di casa,— ella si scosse e lo respinse mettendogli le mani sul petto, e corse via affannata. Un pensiero angoscioso la incalzava.

—Egli morrà!

Le pareva impossibile che un uomo come Bruno potesse morire da un momento all'altro, così come muore un fiore, come muore un insetto; ma pensava che anche lei, anche lei dunque, nonostante la sua giovinezza, la sua forza, la sua passione, poteva ammalarsi e morire; sparire da un momento all'altro, come le roselline del suo orto quando soffiava il vento. Per la prima volta in vita sua aveva l'intuizione precisa, nitida, della vanità di ogni cosa e dell'impotenza nostra di fronte al destint

Rioornò verso casa camminando a testa bassa, curva come una vecchia. Era lontano il tempo in cui ella procedeva a testa alta, dondolandosi come una puledra incalzata da instinti selvaggi! Adesso l'amore, il dolore, il pensiero della morte la piegavano, appunto come il vento caldo di giugno piegava i fiori appassiti dell'orto.

Non ritornò subito da Bruno, per paura che egli le leggesse negli occhi la sua condanna; ma a un tratto, mentre ella si disponeva ad uscire, egli apparve dietro il cancello come un fantasma.

—Bruno! Tu?…

Egli si appoggiò al cancello e la fissò, con gli occhi pieni d'una profonda tristezza.

—Che ti disse il vecchio?

—Dice che il tuo male non è grave…. e che devi curarti…. stare in riposo.

—Impossibile.

—Come, impossibile? Ah, tu lo farai, Bruno! Te ne prego io!

—Ma io sto bene, Sebastiana!

—Tanto meglio, allora,—ella disse, quasi piangendo.—Guarirai più presto. Tu devi contentarmi, Bruno. O non conto nulla per te?

—Tu sei tutto…. oramai,—egli le disse sottovoce.

Egli se ne ritornò verso casa sua, ed ella risalì nella sua camera; ed entrambi camminavano a testa bassa, vinti dal peso dello stesso pensiero. Egli provava un cupo senso di attesa, come se qualcuno dovesse sopraggiungere e colpirlo alle spalle, e diceva a sè stesso:

—Dovrò morire! Ma che ella non lo sappia.

Ed ella pensava:

—Dovrà morire. Ma che egli non lo sappia.

La maestra le domandò con insistenza dov'era stata, ed ella le disse in parte la verità, rimproverandole di non commuoversi abbastanza per la disgrazia di Bruno.

—Dacchè egli è nostro vicino di casa, voi non avete fatto altro che invidiarlo e augurargli del male. Ed ecco i vostri auguri si sono avverati….

—Parla bene, ragazza!—esclamò allora la maestra, sollevando un mestolino. —Vedi questo? Te lo rompo sulla testa, se osi parlare ancora così a tua madre. Io non ho mai augurato male a nessuno, nè invidiato nessuno. Ho solo invidiato le madri che non hanno dato la vita a creature sfacciate come te.

Sebastiana fu per replicare, ma all'improvviso si sentì nuovamente oppressa da una fosca tristezza.

—Perchè irritarsi?—pensò,—tutto è inutile.

E se ne andò sul ballatoio, con un ricamo in mano, e stette lunghe ore seduta, con gli occhi fissi sulla tela e l'anima immersa in una disperazione infinita. Intorno era un silenzio come di montagna: s'udiva appena qualche strido di rondine, qualche lontano roteare di carro; il cielo, all'orizzonte, era coperto di vapori cinerei, e le rose che appassivano nell'orto si piegavano sullo stelo come vinte da un sonno profondo. A un tratto anche lei provò un invincibile bisogno di chinare la testa, di chiudere gli occhi e sfuggire al proprio dolore. Il sonno stese intorno a lei, come il meriggio all'orizzonte, i suoi veli impalpabili: ella dormiva, ma ricordava d'essere seduta all'ombra del ballatoio, e di aver l'ago fra le mani, e che Bruno doveva morire; ma sentiva una misteriosa dolcezza, la speranza di morir presto anche lei e di andare in un luogo ove era permesso di amare e dove gli uomini non vivevano di calcoli e le donne di menzogne. Ma questo momento di speranza cessò presto. Ella trasalì, le parve di svegliarsi, di veder Predu Maria salire la scaletta, livido in viso, coi capelli lunghi e arruffati come quelli del vecchio dottore. Egli aveva in mano il mestolino della maestra e diceva sottovoce minaccioso:

—Ah, tu credevi di ingannarmi, maledetta creatura? Vedi, adesso? Questo è il castigo che il Signore manda a te ed al tuo amico!

Ella si svegliò più triste ed oppressa di prima, si fece il segno della croce e cominciò a pregare: ma mentre pregava continuava a pensare a Bruno, e il rimorso, il dolore, la coscienza del suo peccato, rendevano più cupa e profonda la sua passione.

Bruno venne provvisoriamente sostituito da un sorvegliante che al contrario del suo predecessore chiacchierava e beveva volontieri. Fu lui il primo a sparger la voce che il capo-macchia s'era ritirato perchè aveva scoperto che Marielène se la intendeva ancora col Perrò: e per conto suo aggiungeva:

—Del resto, era da prevedersi; una donna simile non si può emendare!

Predu Maria tentava di difendere Marielène, ma tutti i lavoranti affermavano che la storiella era vera e non parlavano d'altro.

Fu in quel tempo che Antonio Maria Moro, per consiglio dei medici, e con la speranza che l'aria della montagna facesse sparire le sue febbri, andò a passare alcuni giorni in un ovile poco distante dalla lavorazione. Un giorno egli andò a trovare il suo amico ed entrambi parlarono subito di Bruno, della sua malattia, della storiella messa in giro dal sorvegliante.

—Tu solo puoi dirmi se questa storia è vera o no,—disse Predu Maria.

—Perchè io solo? Sono io solo ad occuparmi dei fatti altrui?

—Non arrabbiarti, ragazzo! Dico, tu sei vicino di casa del Perrò!

—Io ho una vicina, quest'anno, che non mi lascia tempo di occuparmi di altri, e molto vicina, ti dico! Tanto vicina che ce l'ho addosso. La febbre, ti dico! Non so altro.

—Ma Bruno l'hai veduto?

—L'ho veduto, sì! Sta più bene di me, e forse anche di te!

—Ma io sto bene!

—Potresti star meglio!

—Se mi lamentassi offenderei Dio; che cosa mi manca? Ricordati come sono arrivato! Come un cane randagio…. e zoppo per giunta; adesso sembro invece un ricco e nobile proprietario!—esclamò Predu Maria, e sporgeva la pancia, aprendosi la giacca, guardandosi il petto e battendovi su le mani; e senza confessarlo a sè stesso, provava una certa soddisfazione nel veder così mal ridotto colui che lo aveva coperto d'ingiurie quando egli si era adattato al più umile dei lavori. Eccolo lì, l'uomo borioso, il mezzo borghese, ridotto alla miseria, più disperato dell'ultimo degli scorzini!

—E se sei così ricco, perchè non mi presti cento scudi?—domandò Antoni Maria.

—Cento scudi, sì!—rispose l'altro con voce mutata.

Sì, era precisamente la somma che egli avrebbe voluto dargli; e tutti i dubbi e i rimorsi assopiti in fondo alla sua coscienza si svegliarono come destati da una voce minacciosa.

Ma Antonio Maria, che anche nel suo stato miserabile non dimenticava i suoi modi beffardi, riprese a scherzare.

—Che faccia hai fatto, Gerusalè! Va, sta tranquillo! Che possono farmi cento scudi? Miserabile sono e miserabile resterei; per consolarmi alquanto mi occorrerebbero almeno cinque mila scudi!

—Boumh!

—E che cosa sono anche cinque mila scudi? Io potrò averli, se quella benedetta vecchia farà le cose con coscienza; ma credi tu che io mi metta a ballare pensando a ciò? Mi credi così pezzente? Capisci o no?

Predu Maria capiva; il suo ex compagno voleva fargli intendere che nonostante la sua attuale miseria era sempre qualche cosa più di lui.

—Antoni Marì, lo so che sei ricco,— gli disse con ironia.—Ma la vita è così, un'altalena; si va giù, si va su, continuamente. Quando sono stato giù io, tu mi hai spinto in su: ora vorrei spingerti io. Ne avessi, di quattrini! Non cento scudi ma cento mila te ne darei, e con la certezza di riaverli raddoppiati.

—Gerusalè!—replicò l'altro sullo stesso tono.—Sai cosa devo dirti? Che di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno, dove tu andrai vivo e sano alla prima occasione! Dammi almeno un bicchierino d'elisir di china, se ce l'hai. Te lo pago, sai!

Predu Maria gli dette l'elisir di china, e rifiutò i denari, che l'altro allora buttò per terra e non volle più raccattare.

E i due amici si rividero spesso, ma i loro discorsi erano dispettosi e beffardi come quelli di due nemici. Entrambi si offrivano a vicenda quello che possedevano e sopratutto quello che non possedevano, e si dichiaravano pronti a buttarsi sul fuoco l'uno per l'altro, ma non cessando d'insultarsi e di guardarsi in cagnesco; e nei giorni in cui Antoni Maria non si lasciava vedere l'altro ricadeva nei suoi morbosi rimorsi.

—Io l'ho rovinato,—pensava.—Per colpa mia egli è ridotto così.

Un giorno andò a cercarlo nell'ovile, e lo trovò solo, buttato su una bisaccia, livido in viso e con le pupille fisse e dilatate. Un cane grigio, feroce, incatenato ad un albero, animava coi suoi urli il luogo solitario, e pareva volesse spezzare le sue catene per gettarsi addosso al malato e divorarlo. Antoni Maria delirava, parlava col cane, e quando il Dejana si curvò e gli toccò la fronte, egli si sollevò e il suo viso espresse un cupo spavento.

—Là… Là…. guarda!—gridò, additando un punto lontano.—C'è il fuoco nella tanca. Ah, immondezza, sei stato tu!

—Egli sa, dunque?—pensò atterrito Predu Maria; e cercò di calmarlo e d'interrogarlo; ma il febbricitante continuò per un pezzo a sollevare e ad abbassare la testa, allungando il collo con un movimento che ricordava quello del baco da seta, e ogni tanto pronunciava frasi sconnesse, additando un incendio lontano e lamentandosi per il calore insopportabile che sentiva.

Predu Maria attese che il pastore tornasse, e gli disse:

—Perchè lo lasciate solo quando ha la febbre? Può alzarsi, andar vicino al cane e farsi sbranare.

—Non si è mai sentito un caso simile, —rispose il pastore.—Del resto, egli non si muove; non c'è pericolo. Quando ha la febbre forte dice che c'è tutto intorno un incendio ed ha paura di scottarsi!

Predu Maria non osò chiedere altro, e se ne andò inquieto, domandandosi se altri conoscevano il suo delitto, e perchè Antoni Maria non gliene aveva mai parlato.

—Sono venuto ieri, ma avevi la febbre, e parlavi d'incendi, di cani arrabbiati, di diavoli….—gli disse, quando si rividero; e gli parve che il suo ex compagno lo guardasse con una certa inquietudine, quasi pauroso di essersi lasciato sfuggire un segreto compromettente.

Ricominciarono a questionare e ad insultarsi scherzando; ma nei loro discorsi vibrava come una nota scordata e stridula, e il loro accento era quello d'uomini imbarazzati e diffidenti.

Dopo qualche giorno, Antoni Maria si sentì meglio; gli accessi della febbre diminuirono d'intensità; egli riprese il colorito naturale e diventò allegro come un giovane convalescente a cui sorrida un lieto avvenire.

Seduto all'ombra d'un albero scorticato, mentre intorno, nel meriggio luminoso e caldo, i lavoranti proseguivano la loro lenta opera di devastazione, egli faceva progetti grandiosi, e ne parlava a Predu Maria, ma con un lieve accento di beffe verso sè stesso.

—Ho fatto i miei calcoli, Gerusalè! Questa non è più aria per me: troppa miseria! È meglio andare in cerca della fortuna, piuttosto che incanutire e rimbambirsi aspettandola. Quelli del Continente vengono qui in Sardegna e ci tolgono il pane di bocca; ed io sai cosa faccio? Vado in Continente: vado a Genova o a Roma e metto su un negozio di generi sardi.

Egli descriveva il suo negozio, faceva i calcoli dei suoi guadagni, parlava persino di noleggiare un veliero per il trasporto della merce; Predu Maria ascoltava, un po' curvo su sè stesso, pesante, cascante, assonnato, e a sua volta ricordava il suo sogno d'andarsene lontano, e al delitto che aveva commesso per procurarsi i denari del viaggio….

—E tua nonna i quattrini te li dà?

—Io non ho bisogno dei quattrini di quella vecchia pazza! Se li tenga, li nasconda sotto una pietra, dove i vermi li rosicchieranno. Troverò io i denari; ho buone conoscenze, ho buoni amici che vorranno aiutarmi. Io ho aiutato tutti e non ho che a domandare un favore per ottenerlo.

—Eh, se si potesse! Ma tante volte non si può…. non si può….

—Come non si può? Ma io, capisci, ho amici così affezionati che per aiutarmi asrebbero capaci di offrirmi i gioielli delle loro mogli…. Capisci, Gerusalè, uomo morto di sonno?

Predu Maria si sentiva battere il cuore. I gioielli…. dare i gioielli di sua moglie? Antoni Maria voleva dirgli questo? Forse sapeva che i gioielli di Sebastiana erano stati acquistati col compenso del crimine?.. Per nascondere il proprio turbamento, egli finse di offendersi e disse:

—Offrirti bottoni e medaglie da donna! Ma io non ci avrei mai pensato!

—Sta tranquillo! Anche se tu ci pensassi, tua suocera ti farebbe cambiare pensiero!

—Dopo tutto avrebbe ragione; i gioielli di Sebastiana li ha comprati lei, coi suoi denari. Io non avevo un centesimo; ero nudo come un uccellino appena nato…. e non avevo neanche da vestirmi, io, nonchè da comprare gioielli e cianfrusaglie…

Ma l'altro lo fissava beffardo e apriva stringeva le labbra quasi trattenendo a. estento parole d'ironia e di rimprovero Infine gridò:

—Chi ti domanda nulla? Morrei di fame prima di domandarti un soldo.

—Tu non fai altro che insultarmi, Antoni Maria Mò! Tu mi hai anche percosso, una volta, oh, lo ricordo bene; ed io non reagisco perchè non sono un ingrato, e se ricordo le offese, ricordo anche i benefizi: non farmi perdere la pazienza, però!

—Ah, ah, perdila pure, e se per offendermi vuoi rubarmi il gregge o i tesori, rubali pure!

—Io non ho mai rubato!

—Qualche altra magagna l'hai commessa, però!

—Giacchè ci siamo, spieghiamoci,— disse Predu Maria quasi minaccioso.— Dimmi che cos'hai contro di me: lo voglio sapere!

Ma l'altro si mise a ridere e si battè la fronte con un dito.

—Ecco che cosa ti manca, Gerusalè! L'intuizione. Non ti accorgi che sono invidioso di te? Il povero è sempre invidioso del ricco!

—Io non sono ricco; vorrei esserlo per farti crepare di rabbia.

—Grazie, allora; e addio!—gridò Antoni Maria alzandosi e andandosene: pareva non dovesse ritornare mai più, ma l'indomani ricomparve, beffardo e allegro come se nulla fosse stato.

Pochi giorni dopo ritornò in paese, e la prima visita che fece fu alla maestra. I discorsi e il contegno di Predu Maria, in quegli ultimi giorni, avevano acuito il suo dubbio, che cioè l'autore dell'incendio fosse appunto il suo ex compagno di pena; ma prima di vendicarsi voleva esser certo che non si ingannava.

Arrivato davanti alla casa di Bruno si fermò esaminando le finestre illuminate, il viottolo solitario chiuso fra due muriccie basse, la distanza che correva fra l'abitazione di Marielène e quella della maestra; e certe mezze confidenze di Predichedda gli tornavano in mente. Bruno…, Sebastiana…, le loro case vicine, il viottolo solitario…. Tutto nel mondo è possibile: Sebastiana era leggera, Bruno era un uomo senza scrupoli; un uomo furbo nato per adoperare la scure: un colpo a destra, un colpo a sinistra, ecco levato l'ostacolo e aperta la strada verso la meta….

Entrato dalla maestra, Antoni Maria le diede i saluti del genero e le domandò sottovoce come andava la salute del suo vicino di casa.

—Che vuoi che ti dica? A giorni egli sembra sano e forte, a giorni è debole e triste come un moribondo. Il medico dice che è un'infezione dell'intestino; ma sai che cosa devo affermarti, Antoni Maria Mò? I medici sono mangiatori di carne viva, essi fanno ammalare anche i più sani!

—E sua moglie che dice?

—Ah, essa pensa che basti tenerlo a casa, come un uccellino in gabbia!

—Ah, ah, come un uccellino? Attenta, non le scappi!

—E dove può scappare, disgraziato lui! —disse allora Sebastiana, dal ballatoio, —se scappa non torna più.

—Una volta o l'altra questo succederà a tutti! Scendi, Sebastiana: devo raccontarti una storiella curiosa.

Ella scese e sedette sulla scaletta, accanto a sua madre, e Antoni Maria rise, come ricordandosi una cosa molto buffa.

—Sentite, Predu Maria…. non riferitegli però che ve l' ho detto io…. Predu Maria dunque, saputo che un suo amico era in grandi strettezze, gli offrì i gioielli tuoi, Sebastiana…. da impegnarsi, s'intende!

Sbalordite, le due donne tacquero per alcuni momenti; poi ad un tratto Sebastiana scoppiò a ridere, e la maestra disse:

—Non posso credere a quanto tu dici.

—Eppure è vero, ve lo giuro, in fede di galantuomo.

—Dimmi tutta la verità, allora,—ella riprese con tono solenne.—Egli fece l'offerta a te?

—Ebbene, sì, proprio a me!

—E tu accetteresti?—domandò Sebastiana.

—E perchè no, se voi acco nsentite? È questione di pochi mesi: vi rilascierò una cambiale, e prenderò i gioielli da voi, non da lui, perchè so che son vostri, comprati da voi coi vostri denari.

—Figlio del cuor mio!—esclamò la maestra, prendendogli una mano,—ti giuro che i denari eran suoi. Egli diede a me un biglietto da cento scudi, per comprare i doni alla sposa, perchè aveva paura che acquistandoli lui lo imbrogliassero. Ma non per questo adesso i gioielli sono suoi; sono di mia figlia, adesso, e lei sola può disporne.

—Ed io non te li lascierò neanche vedere —disse Sebastiana.—Ma se vuoi denari ad interessi posso parlarne a Marielène.

—Non parliamone più,—egli disse vivacemente,—anzi vi domando scusa.

E se ne andò preoccupato e avvilito. Il suo dubbio diventava quasi certezza, perchè egli aveva sempre creduto che le spese del matrimonio le avesse fatte la maestra.

—Egli aveva cento scudi, egli, che pochi giorni prima moriva di fame! Ed ora che farai, Antoni Maria Mò?—si domandava, battendosi i pugni sui fianchi.—Che farai contro questo Giuda? Egli si riderà di te che ti credi un uomo furbo.

Questo sopratutto gli dispiaceva, e decise di sorvegliare Sebastiana e Bruno, e di scoprire la loro tresca per vendicarsi e poter dire a Predu Maria:

—Tu credi di riderti di me? Ma anche gli altri si burlano di te.

Allora cominciò ad aggirarsi come una volpe attorno alla casa della maestra, e spesso sentiva le chiacchiere delle donne riunite nel cortiletto di Marielène.

Qualche volta esse parlavano male di lui, chiamandolo fannullone, ubbriacone, libertino, e sebbene egli ricordasse il proverbio « chie andat iscurtande males suos intendet »1 “Chi va origliando mali suoi sente ”. pensava con rabbia:

—Ah, ah, belline, fiorellini, modelli di donne oneste! E voi, chi siete, che una palla vi trapassi la milza? Adesso ve lo darò io, vedrete; ve lo darò io il biscotto!

Ma per quanto spiasse non riusciva a scoprire nulla: Bruno non usciva quasi mai di casa, e Sebastiana viveva anche lei ritirata, e diventava pallida e triste e come tormentata anche lei da un male segreto. Stanco delle sue inutili ricerche egli si rivolse allora a Predichedda, e riuscì a strapparle intera la confidenza della confessione di Sebastiana; ma egli era ancora abbastanza onesto per commettere il male per il male, e non essendo certo della colpa di Sebastiana, esitava prima di causare la rovina di due famiglie.

I giorni passavano, sempre più grigi e miserabili per lui. La nonna continuava a mandargli il pranzo; e quindi i più urgenti bisogni materiali non lo spingevano a lavorare, e nell'ozio la sua mente si logorava dietro fantastici progetti e nel vano sogno di una fortuna irraggiungibile. Spesso tentava qualche colpetto, di quelli che un tempo, prima della condanna, gli erano riusciti facilmente: ma ormai era screditato e nessuno si lasciava più ingannare da lui. La questura, poi, vigilava la casupola, ed egli non riusciva più neppure a fabbricare l'alcool, ultima sua risorsa.

Esasperato, un giorno egli si mise in agguato dietro il portone della nonna, deciso di ammazzare qualcuna delle cugine; ma quando riuscì a ghermirne una, la maggiore, si contentò di bastonarla, mentre le altre gridavano come ossesse accusandolo dei più neri delitti e di aver fatto incendiare la tanca e di aver falsificato monete in compagnia di Predu Maria Dejana.

Egli passò tristi giorni. La nonna gli sospese l'invio delle provviste; la questura lo fece pedinare, e una mattina il delegato lo chiamò nel suo ufficio e lo interrogò sui suoi rapporti col Dejana. Egli negò di aver convinto Predu Maria a stabilirsi a Nuoro, negò d'averlo ospitato, negò d'essere ancora in buoni rapporti con lui.

—Io lo conosco appena,—concluse gravemente.—Solo posso affermare una cosa: che egli è un galantuomo e che io sono un galantuomo e mezzo.

Era di ottobre. Il tempo si manteneva sereno e qualche operaio ne profittava per finir di scorzare gli ultimi elci della lavorazione Perrò, mentre i carbonai toscani, già in gran parte arrivati, si accingevano a metter fine all'opera.

Predu Maria aveva ottenuto dallo speculatore la promessa di esser mandato in un altro taglio di boschi; quindi viveva tranquillo riguardo alla sua posizione ormai assicurata, ma nel suo mondo interno continuavano ad agitarsi ombre e fantasmi. Gli pareva di veder sempre davanti a sè, assieme con gli antichi spauracchi, la figura malaticcia di Antoni Maria, e di sentirne continuamente i rimproveri ed i sarcasmi.

Qualche volta Bruno saliva a cavallo e attraversava la lavorazione, melanconico e abbattuto come un re spodestato. Aveva gli occhi smorti e la persona curva, e persino i suoi baffi si erano scoloriti e gli spiovevano lunghi e trascurati sulla bocca triste; eppure egli parlava sempre di riprendere le sue funzioni faticose di capo-macchia, e faceva continuamente calcoli e progetti. Siccome di solito egli saliva in compagnia dello speculatore di cui sembrava l'ombra, i lavoranti non mancavano di mormorare al loro passaggio, e un giorno un vecchio, mentre Predu Maria gli forniva le provviste, disse:

—Ricordi come Bruno era freddo e superbo? Pareva già diventato lui il padrone; ed ecco adesso sembra un pipistrello, tanto è brutto ed accasciato. Pare che sconti qualche peccato mortale….

—Ah, se tutti dovessimo scontare i nostri peccati!—disse Predu Maria, toccando abilmente la bilancia per far precipitare il peso; e non aveva finito di parlare, quando un paesano entrò e gli diede un bigliettino.

La maestra lo avvertiva che il delegato lo mandava a chiamare: si presentasse in questura l'indomani mattina alle otto.

Egli scese a Nuoro incalzato da una sorda inquietudine. Il sole tramontava circondato da grandi nuvole rosse; e fra poggio e poggio, nello sfondo dei boschi, la nebbia autunnale saliva purpurea come il fumo di un incendio lontano. Egli ricordava, e camminava svelto, per quanto glielo permetteva la sua pinguedine, impaziente di arrivare in paese e di sapere qualche cosa. Ma le donne non seppero dirgli nulla, ed anzi la maestra cominciò a tormentarlo con mille domande e mille supposizioni. Allora egli andò a domandare notizie di Bruno.

—È già andato a letto,—disse la serva, e lo invitò ad entrare; ma egli s'era fermato sul limitare della porta e non aveva intenzione di avanzarsi. Guardava la vasta cucina ingombra di stoviglie sporche, i fornelli accesi, la vecchia serva imponente, Marielène che andava e veniva, agile e silenziosa come una farfalla; e antichi ricordi gli risalivano dal cuore, e gli pareva di rivedere la cucina della piccola locanda del suo paese e la servetta silenziosa e timida….

Quanto tempo era passato! Egli si domandava se Marielène, diventata padrona, fosse più felice di quando era servetta: forse egualmente infelice, meno simpatica certo. Eccola là, col viso piccolo e scarno colorito da uno strano rossore giallognolo: i suoi occhi hanno uno sguardo vago, stanco, eppure avido, e la sua fisonomia e la sua personcina vibrante rivelano un'eccitazione morbosa, la smania di arrivare a far tutto, di guadagnare, di accumulare….

—Ella ha dimenticato ogni altra cosa, persino che suo marito è malato, che la vita è breve….

Ma a un tratto egli cessò di osservare la padrona accorgendosi che la cuoca a sua volta lo osservava.

—Era un bel po' che non tornavi in paese!—ella gli disse, mentre Marielène correva nella sala da pranzo.

—Eh, come si fa? Non si può scendere tutti i giorni! Si vorrebbe, magari, ma non si può….

—Fai bene, fai bene: prima di tutto il dovere. E adesso ti tratterrai, almeno?

—Fino a domani.

—Così poco? Poi ti toccherà di andar più lontano ancora….

—Sì, più lontano ancora! Ma, pazienza, bisogna lavorare: meno male quando c'è la salute.

La vecchia sospirò due volte, ed egli domandò sottovoce:

—Ma lui come sta?, ditemi la verità….

—È debole, molto debole; non vuol mangiare, è avvilito, ma a mio avviso hanno fatto male a tenerlo in paese; egli si annoia, si crede più gravemente ammalato di quello che è.

—E che fa durante la giornata?

—Nulla: va di qua e di là, e non si interessa più a nulla. L' unica cosa che ancora gli piaccia è di venire alla lavorazione o di venire…. a casa tua. Egli chiacchiera volentieri con tua suocera!

Rientrato a casa Predu Maria ripetè le parole della vecchia, e Sebastiana disse quasi piangendo:

—Egli morrà presto, e non lo sa!

Predu Maria trovò naturale che ella si commovesse alla sorte di un moribondo; ma quando uscì ancora, dopo aver di nuovo discusso con la suocera circa la chiamata del delegato, si meravigliò di veder Bruno nel viottolo, appoggiato al muricciuolo dell'orto.

—Ma come, non eri a letto?

—Mi sono alzato; soffocavo dal caldo….

La notte era calda, infatti; la luna attraversava il cielo violaceo, e il suo chiarore si confondeva con quello dei fuochi d'erbe secche e di stoppie, che brillavano qua e là negli orti solitarî.

—Perchè sei tornato?—domandò Bruno, dopo un momento d'esitazione.

—Ma…. non lo so neppur io! Sono citato per testimonio; non so per qual causa….

—Forse l'incendio della tanca Moro. Sono stato interrogato anche io….

—Ah, ah! Ancora?—disse Predu Maria con voce alta e forte; e cambiò discorso, domandando a Bruno come stava.

—Bene.

—Bene!—ripetè fra sè Predu Maria, allontanandosi.—E la sua voce intanto è fiacca come quella di un moribondo!

Egli ricordò che sua madre diceva che certi malati, prima di morire, sentono una smania d'andare in giro, e si alzano da letto e vagano come fantasmi; e forse anche Bruno….

Ma avvicinandosi alla casupola di Antoni Maria dimenticò i mali altrui per ripensare ai proprii. Perchè risorgeva la questione dell'incendio? Gli sembrava che il contegno della suocera a suo riguardo fosse stato, quella sera, quasi ostile. Anche lei sapeva?…

Entrò nel cortiletto e picchiò alla porticina, ma nessuno rispose. Allora ritornò indietro, ma ripassando per il cortile sentì nella strada un passo lento e incerto, e capì che Antoni Maria ritornava a casa alquanto ubbriaco.

—Quello ti fa bene, per le febbri,— gli gridò dal portone.

Al sentire all' improvviso quella voce, l'ubbriaco si fermò come impaurito, poi si avanzò di corsa, inciampando, e sarebbe caduto se Predu Maria non lo avesse accolto fra le sue braccia; ma invece d'essergliene grato, l'amico cominciò a tempestarlo di pugni gridando:

—Tu eri in agguato…. tu volevi uccidermi…. Prendi, allora, prendi….

—Tu hai perduto la ragione!—gridò Predu Maria, trascinandolo nel cortiletto. —Andiamo, ti metto a letto come un marmocchio. Dove hai la chiave?

Antoni Maria si mise a ridere goffamente, con un riso strano, soffocato, misto a singulti.

—Vuoi anche la chiave? Non ci ho niente, dentro. Niente! Neanche acqua, adesso! Jaja mi ha tolto la pensione…. E di chi la colpa? Tua, Gerusalè, tua, immondezza! Vattene, non c'è nulla da bruciare, qui! Vattene, se no ti schiaccio come una lucertola…. Ti farò mangiare ancora il pane del re….1 Rimettere in carcer.

Predu Maria sentì un brivido di terrore, non per il pericolo che correva, di venir preso e condannato di nuovo; ma pensando al male che aveva fatto ad Antoni Maria, al suo ex compagno, al suo ospite….

Non gridò più, non parlò più, finchè non riuscì a prendergli la chiave ed a spingerlo dentro.

Dentro c'era buio. Solo dalla finestruola aperta si scorgeva come un lontano sfondo di mare, e uno scoglio in mezzo, e una stella sopra lo scoglio, piccolo lume nella notte infinita.

Così entro l'anima di Predu Maria Dejana brillava una piccola luce, l'ultima: la speranza di farsi perdonare da Antoni Maria confessandogli il delitto.

—Adesso mi dirai tutto,—gridò, spingendolo sul lettuccio.—Antoni Maria Moro, parla!

Ma l'ubbriaco non faceva altro che ripetere:

—Tu mi hai rovinato! Tu mi hai ucciso!

—Ebbene, lo so!—proruppe il colpevole. —Ma, senti, rimedierò. Domani devo andare dal delegato, e gli dirò tutto. Gli dirò: sono stato io, non incolpate nessuno e tanto meno quel disgraziato….

—Tu dirai così? E perchè dirai così?

—Perchè è la verità, Antoni Marì! E dirò anche: sì, l'ho fatto, perchè vi sono stato spinto da uomini malvagi: l'ho fatto perchè mi ha spinto la disperazione….

Antoni Maria si sollevò lentamente, appoggiandosi al letto, ma non parlò subito. Vi fu un momento di silenzio tragico: poi all' improvviso la voce rauca e beffarda dell'ubbriaco risuonò nella camera buia.

—Ah, immondezza! Dunque è vero?

—Mi pare che tu non ne dubitassi!

—E invece ne dubitavo ancora! Ma se tu lo dici devo crederlo anch'io! Ricordo, sì, d'averti trovato là, come la vipera fra i cespugli. Ma perchè lo hai fatto, di', perchè lo hai fatto? Eri disperato? Ah, ah, volevi comprare le cianfrusaglie a tua moglie, a quella perla! Ecco perchè lo hai fatto. Ma anche lei adesso ti orna il capo con una corona d'oro! Va a vedere: va…. va…. va a guardare…. Tu volevi rider di me; ma son io che rido di te, adesso. Ah, ah, ah!…

La camera echeggiò del suo riso forzato, più orribile di ogni insulto: e Predu Maria sentì come un colpo in pieno viso e un tintinnìo metallico gli tremolò entro le orecchie. Sebastiana lo tradiva? Con chi? Col Perrò?

—Con chi?—gridò allungando le mani contratte. Si toccarono, come pronti ad azzuffarsi; ma Antoni Maria tornò a sedersi sul lettuccio e disse ridendo:

—Va a vedere! Va!

—Tu mentisci. Ti conosco. Ad ogni modo devi pronunziare un nome, se no ti pentirai: bada a te, uomo!

—Ah, alzi la voce, anche? Tu, proprio tu? Che cosa puoi farmi, tu, più di quello che mi hai fatto? Incendiami l'altra tanca, e poi va a dire che sono stato io.

Cieco di umiliazione e di dolore, Predu Maria si avviò per andarsene. L'ultima speranza era perduta, non solo, ma tutto si sprofondava attorno a lui.

Mentre a tastoni cercava la porticina sentì di nuovo la risata del suo ex compagno— risata spaventevole, vibrante d'odio, di beffe e di gioia,—e provò la stessa impressione di terrore che lo aveva spinto contro il patrigno: un istinto di difesa, più che di offesa, che lo costringeva a tornare indietro per gettarsi contro Antoni Maria come contro un aggressore. Ma nel frattempo l'ubbriaco aveva acceso il lume, ed egli lo vide davanti a sè, a spalle voltate, tentennante, più miserabile di lui, e non ebbe il coraggio di assalirlo. Si guardò attorno, come svegliandosi da un sogno; rivide la camera nuda e triste, il camino spento, il lettuccio dove un giorno Sebastiana si era seduta accanto a lui: e all'improvviso, mentre Antoni Maria rideva ancora, egli sentì come una mano pesante gravargli sul capo, costringendolo a piegarsi sopra sè stesso. Cadde a sedere sul lettuccio e scoppiò in pianto.

Allora Antoni Maria si volse, e una comica espressione di stupore si fuse, sul suo viso, con la macabra gaiezza di poco prima: per alcuni momenti stette ad ascoltare i singhiozzi dell'infelice, come se ascoltasse un rumore lontano e minaccioso; poi, siccome Predu Maria non cessava di piangere, gli si accostò, lo prese per un omero e cominciò a scuoterlo.

—Oh, uomo, che fai? Non ti vergogni? Adesso piangi? Dovevi piangere prima, Predu Maria Dejà! Va, cessa, smetti; può darsi che io mi sbagli, anzi mi sbaglio, certo. Un amico non può andare in casa di un amico? Forse che io non vado in casa di tua moglie? Va, finiscila, matto. Io volevo ridermi di te, poichè tu ti sei beffato di me. Tu sembri uno stupido, ma sei più furbo dei furbi: questo solo mi fa arrabbiare. Ma noi invecchiamo e non impariamo niente, e più la gente ci sembra stupida e più è furba. E anche tu lo credevi stupido e onesto, il forestiere, e lui ti ha ingannato due volte, e se non crepa presto, come speriamo, ti ingannerà la terza volta, come San Pietro ingannò Gesù….

Predu Maria non sentì le ultime parole. Con la testa sollevata, il viso paonazzo, egli fissava sul suo ex compagno gli occhi lucenti ove pareva che le lagrime si fossero improvvisamente cristallizzate: come una luce improvvisa gli balenava davanti, e molte cose gli apparivano chiare, e provava un sentimento misto di rabbia e di compassione verso sè stesso, che si era lasciato così stupidamente ingannare.

—Hanno trovato il merlo…. hanno trovato il merlo….—mormorò due volte, e il suo viso prese un'espressione feroce. Poi domandò:

—Tu credi che mia suocera sappia? Ah, vecchia asina! Adesso mi spiego tutto. Tutto, tutto! Ma riderò io, per l'ultimo; adesso! adesso!..

S'alzò, ma Antoni Maria, nonostante i fumi del vino che ancora gli offuscavano la mente, capì che una fosca tragedia stava per compiersi, e decise di impedirla. Si mise davanti alla porta e disse gravemente:

—Rifletti bene, prima, Predu Maria Dejà! Assicùrati coi tuoi occhi, e anche quando ti sei assicurato pensa bene a quello che devi fare. Ti ho forse ucciso, io? Eppure tu mi hai tradito, e l'amico è più che la moglie.

Predu Maria tornò a sedersi, e di nuovo curvò la testa abbandonandosi sopra sè stesso; allora l'altro gli si avvicinò, e confortandolo e tormentandolo nello stesso tempo continuò a rinfacciargli l'ospitalità tradita, i consigli disprezzati, il crimine commesso.

—Quello che ora ti succede è il castigo, Predu Maria Dejà! Pensaci e rassègnati. D'altronde, che puoi fare adesso? Ucciderli? E quando li hai uccisi? Ti rovini, ritorni in galera e di là vai dritto dritto all'inferno.

Predu Maria emise un gemito selvaggio e si morsicò i pugni.

—Perchè non mi uccidi, tu?—domandò sottovoce.—Fallo, su! Ecco il coltello; tagliami le vene dei polsi: io lascierò una dichiarazione scritta che mi sono ucciso io.

Trasse un coltello a serramanico e con l'unghia ne fece scattare la lama sottile; e si sbottonò i polsini quasi che Antoni Maria fosse pronto a svenarlo.

—Tu parli dell'inferno ma non ci credi, Antoni Marì, e potresti farmi questo favore. Se no mi costringi a suicidarmi ed a morire dannato. Salva almeno l'anima mia! Quante volte tu stesso mi hai detto: non ti resta che impiccarti! Ed ecco, l'ora è giunta!

Antoni Maria guardava il coltello e sorrideva.

—Ho vedute ore peggiori di questa, io! In confronto questa è un'ora da ballo. E non ho pensato a morire….

—Lasciami andare, allora,—gridò Predu Maria alzandosi.—Qualche cosa devo fare: è tempo di finirla.

L'altro lo tirava per la giacca, ma egli si dibatteva e pareva avesse finalmente coscienza di tutta la sua disgrazia. Buttò per terra il suo cappello e lo calpestò, urlando vituperi e minacce contro Sebastiana e Bruno, ed anche contro Antoni Maria che col farlo andare a Nuoro aveva causato la sua estrema rovina. Ricominciarono a rinfacciarsi i loro errori e i loro inganni; ma i loro gridi minacciosi e disperati parevan rivolti ad un nemico invisibile e invincibile, lo stesso che contro la loro volontà li aveva condotti di luogo in luogo, di vicenda in vicenda, e ancora li sospingeva verso una mèta fatale. E quando, stanchi, tacquero, entrambi ebbero lo stesso lamento:

—Ah, la nostra cattiva sorte!

Finalmente Predu Maria si lasciò convincere a passare la notte nella casupola, e si buttò per terra gemendo, mentre anche Antoni Maria cadeva sul lettuccio lamentandosi. Fino all' alba sospirarono come due malati, e quando si svegliarono, dopo un breve sonno, si guardarono istupiditi.

—È ora d'andare dal delegato. Su, ti accompagno,—disse Antoni Maria.

Bevettero un calice d'acquavite e uscirono. Il mattino era dolce e roseo; su gli alberelli rossastri dei piccoli orti selvatici le foglie secche sembravano di cristallo dorato, e l'aria pura e la luce parvero rinfrescare e rischiarare i torbidi pensieri di Antoni Maria. Egli batteva una mano sulla spalla al suo compagno e gli diceva, incoraggiandolo:

—Adesso tu guarda in faccia il delegato e nega: nega tutto. Se egli ti domanda se credi in Dio nega persino che eredi in Dio.

Ma l'altro camminava come un cieco, senza veder dove andava. La speraza che l'amico lo avesse ingannato, calunniando Sebastiana, lo sorreggeva ancora; ma ormai ogni suo pensiero era rivolto ad uno scopo: cercare, scoprire la verità e vendicarsi.

Seduto nell'anticamera della questura non ricordava più perchè era lì, e pensava:

—Li spierò, mi vendicherò: e tutto il disonore sarà mio, e la rovina sarà mia. Ah, io sono un gran peccatore, ma Dio mi castiga come Egli solamente sa castigare.

Uscito di là, dopo un lungo interrogatorio, ritornò automaticamente verso l'angolo di strada ove Antoni Maria lo attendeva, e si lasciò guidare da lui come una bestia malata che segue a testa bassa il suo conduttore. Il suo compagno parlava, egli non sentiva che una voce interna, un grido che echeggiava entro di lui come in un luogo vuoto e desolato.

—Il castigo! Il castigo!

Egli conosceva bene quella voce; la stessa che aveva animato i silenzi del reclusorio e gli aveva destato rimorsi e speranze e fatto sognare Gerusalemme! Seduto sul lettuccio di Antoni Maria, col mento sul petto e le braccia abbandonate sui fianchi, ripeteva ogni tanto come ossessionato:

—Il castigo! il castigo!

—Sentimi,—disse l'altro, scuotendolo, —io adesso andrò a dire alle donne che sei ripartito senza rivederle per sfuggire ai loro rimproveri dopo la notte trascorsa fuori di casa. Tu intanto pensa ai casi tuoi e decidi il da farsi.

—Ho già deciso! Tu adesso vuoi meterle in avvertenza; ma oggi o domani la vendetta non mi sfuggirà.

—Ti giuro, io non dirò una parola di quello che è passato fra noi.

Rimasto solo egli ricominciò ad agitarsi disperato. Era certo che Antoni Maria lo avrebbe tradito; forse in quello stesso momento andava ad avvertire Bruno, ad avvertire Sebastiana. Diventati cauti, gli amanti sfuggirebbero alla sua vendetta. Egli non aveva prove, non sapeva neppure se Antoni Maria avesse parlato in buona fede. Forse nulla era vero: tutti lo ingannavano perchè anche lui aveva ingannato tutti, a cominciare da sè stesso. Antoni Maria si vendicava da par suo, spingendolo verso un nuovo delitto. Ah, no, ah, no! Meglio morire….

A un tratto la calma funebre dei morti parve rasserenare il suo viso livido. Tornò a sbottonarsi i polsini della camicia e fissò a lungo le vene che si disegnavano sulla pelle bianca come ramoscelli nudi, verdastri; poi riaprì il coltellino e tagliò la pelle sul polso sinistro.

Ma appena il sangue sgorgò, rosso e scintillante come un chicco di melograno, egli provò una vertigine di terrore e cominciò a gridare, come se qualcuno stesse ad assassinarlo.

Il suo grido rauco e infantile risuonò nel silenzio desolato della casupola come in un deserto; nessuno accorse ed egli rinvenne dal suo momentaneo accesso di follia.

Si legò un fazzoletto al polso, stringendo il nodo coi denti, e cadde in ginocchio per terra, davanti al lettuccio, nascondendosi il viso fra le mani. Rivide la stanza polverosa e solitaria in fondo al ballatoio, nell'antica casa di sua madre, l'angolo ove s'ammucchiavano i libri, i breviari, le statuette sacre di suo zio prete; e gli parve d'essere ancora inginocchiato là, nella penombra, sotto un grande crocifisso giallo la cui fronte ed i cui polsi stillavano sangue.

—Egli è morto per noi; è stato tradito, crocifisso, ha mille volte sofferto più di quanto soffro io,—disse a voce alta, gemendo.—Dio mio, Dio mio, perdona al tuo peccatore, aiutalo, aiutalo! Io ti ho chiesto mille volte di farmi soffrire, di farmi espiare, in questa vita, ed ora non riconosco la tua mano che grava sopra di me!

Senza aspettare il ritorno di Antoni Maria, si alzò e ritornò sulla montagna. Ma a misura che si allontanava dal paese la sua esaltazione cadeva: e la rabbia, l'odio, il desiderio di conoscere intera la verità e di vendicarsi lo riassalivano.

Gli sembrava che Antoni Maria potesse ridersi di lui e della sua debolezza; e l'orgoglio e la vanità sopraffacevano la sua fede e i suoi terrori religiosi.

Al cader della sera ritornò a Nuoro. Era stanco e assonnato; gli pareva di sognare uno dei suoi soliti sogni e di camminare spinto da una mano invisibile. Cadeva, si sollevava, gemeva, sapeva di andare incontro a un dolore terribile, ma non voleva più ritrarsi, e diceva a sè stesso in un delirio di egoismo:

—Ucciderò ancora. Vuol dire che Dio vuole così, altrimenti non mi spingerebbe come mi spinge: vuol dire che Egli vuol punire per mano mia altri colpevoli, e che si riserverà poi di castigarmi!…

Verso le nove di sera egli era già appiattato dietro il muricciuolo dell'orto in faccia al cancello della maestra. La notte era nebbiosa e come un velo grigio fluttuava al di sopra degli orti nascondendo i tetti delle case.

Egli stette là fino all'alba, contando le ore, con l'impressione che il cielo si abbassasse, si abbassasse sempre più verso la terra, e l'aria mancasse, e ogni cosa dovesse a momenti venire schiacciata da una immensa lastra di piombo. Quest' incubo non gli impediva di spiare ciò che succedeva nella casetta; ma la notte svanì ed egli non vide e non sentì nulla, null'altro che il suo dolore.

Giorni e notti così passarono. Una notte, stanco di aspettare invano, egli andò da Antoni Maria e gli rinfacciò di averlo tradito, di aver messo in avvertenza gli amanti.

—Ascoltami,—rispose Antoni Maria, —voglio dirti la verità come se stessi per morire. Dissi dunque a Sebastiana che sospettavo e che ti avrei avvertito. Ella ha baciato la terra, davanti a me, piangendo giurando che è innocente.—Da quello' che ho potuto capire ella ha solamente compassione di Bruno. È lui che le si aggira attorno come la volpe intorno all'agnello; e tu non fare inutilmente del male a tua moglie, Predu Maria Dejà! Riguardo all'altro penserà Dio a far le vendette.

Ma Predu Maria oramai dubitava e voleva accertarsi coi proprii occhi; e quasi ogni notte si appiattava dietro il muro dell'orto come un cane da caccia, e trascurava il suo dovere e correva il rischio d'esser cacciato dal suo posto: in poco tempo dimagrò ed i suoi capelli si fecero completamente bianchi. Una notte mentre stava appiattato fu colto da un violento acquazzone, e l'indomani fu assalito dalla febbre e sperò di morire. Di nuovo sentì una pace funebre, e gli sembrò che Dio, invece di continuare a spingerlo verso il male per castigarlo del male già fatto, lo attirasse dolcemente a sè come un padre misericordioso.

Ma dopo qualche giorno la febbre cessò, lasciandogli una gran debolezza di corpo e di spirito. Sdraiato sotto la tettoia, al medesimo posto ove una notte egli aveva veduto Bruno buttato giù come un vinto, provava la stessa tristezza rassegnata che era sopravvenuta agli accessi di disperazione dopo la sua condanna. Un velo era caduto fra lui e il mondo, ed egli vedeva le figure dei suoi nemici agitarsi attraverso questo velo come fantasmi fra la nebbia.

Un giorno Antoni Maria andò su a trovarlo, tutto vestito a nuovo, caracollante su un bel cavallo baio: sembrava molto allegro, e appena arrivato trasse dalla bisaccia un porchetto dalla contenna tinta di sangue e lo agitò in alto come un trofeo.

—Allegro, uomo! Oggi facciamo festa. Fulanu1 Quel tale. muore!

Predu Maria lo guardava stupito, e non si rallegrava nè si rattristava per la notizia, ma non capiva perchè l'altro dovesse provarne tanto piacere.

—Sposerò Marielène. Tu sorridi? Credi che io sia stupido come te? Ho già cominciato a farle la corte. Su, scuotiti, tira fuori una bottiglia di anisetta. Pagherò io!—riprese Antoni Maria, facendogli vedere il suo portafogli gonfio di biglietti da cinque lire, e raccontando che un negoziante di buoi gli aveva affidato un grosso capitale.

—Festa, festa, dunque!

E i due amici fecero una specie di banchetto funebre, festeggiando la prossima fine di Bruno: e non si sapeva quale dei due fosse il vero nemico dell'agonizzante, ma a giudicarne dalla sua macabra gioia pareva Antoni Maria.

—Egli era venuto con l' idea di conquistare il paese,—egli diceva, e tutto il suo odio di razza vibrava nelle sue parole. —Come un puledro indomito egli voleva stravolgere quanti incontrava nella sua corsa. Ed ora, eccolo atterrato. Era furbo, ma quello lassù è più furbo di lui!

Egli indicava il cielo, mentre Predu Maria accennava di sì, di sì, ma senza dimostrare un'allegria smodata per la sconfitta del suo rivale.

Ma passarono i giorni e le settimane e la notizia della morte di Bruno non arrivò.

Per Natale Predu Maria scese a Nuoro e trovò sola in casa la suocera che pestava noci per condire i maccheroni di magro. Sebastiana era andata da Marielène per aiutarla a preparare un dolce.

Sulle prime egli s'irritò, dichiarando che sua moglie non doveva far la serva a nessuno; ma all'improvviso si calmò e sedette davanti al focolare, con attitudine stanca.

—Se Marielène, che è tanto furba, le lascia frequentar la casa, vuol dire che non sospetta e che nulla è vero,—pensava; poi domandò:

—Che nuove?

La maestra aveva molte cose da raccoutare, ma procedette con calma, senza smettere di pestare le noci. Anzitutto parlò dei suoi vicini di casa, dicendo che Bruno apparentemente stava bene.

—Ma se dicevano che moriva!

—Ha avuto un forte accesso, giorni or sono; ma ora sta meglio; l'ho veduto oggi che andava dal Perrò.

Egli si battè le mani sulle ginocchia e sospirò. Ah, dunque Bruno stava apparentemente bene, e a quell'ora forse chiacchierava e rideva con Sebastiana, mentre lui, babbeo, stava ad ascoltare le frottole di quella donna finta ed egoista che era riuscita ad ingannarlo e forse lo ingannava ancora.

Ella pestava e raccontava.

—Chi sembra malata è invece Marielène. Lavora come una matta, ma guadagna come un sotto-prefetto. L'altra casa è già terminata ed è già piena di gente; lei però sembra una gatta a marzo, una gatta che non trovi da fare all'amore….

—Sarà gelosa….

—Di chi? Della morte?—disse la maestra. —Rabbiosa lo è, di sicuro. Oggi, finalmente, ha cacciato via la signora Arrita: l'accordo è durato troppo, ed è finito come doveva finire; per poco padrona e serva non si azzuffavano. Ma era da prevedersi, perchè quando la confidenza fra padrona e serva diventa eccessiva ne segue un'inimicizia feroce. È vero però che in questo caso si trattava di due serve.

—Come siete maligna, monna suocera! Voi pestate la gente come pestate le noci in quel mortaio.

La donna sollevò gli occhi e lo guardò con un'espressione di sorpresa più che di sdegno; era la prima volta che egli le mancava di rispetto.

—Ignori forse che Marielène è stata sempre una serva? E chi nasce quadro non può morir tondo,—ella sentenziò, alzandosi col piatto delle noci pestate in mano.

Col capo reclinato sul petto Predu Maria taceva, come immerso in un sogno; ed ella parve accorgersi finalmente dello stato deplorevole in cui egli si trovava.

—Tu sei magro, figlio mio; che cosa hai fatto? Sei stato male?

—Ho bevuto del veleno!

—Del veleno, figlio mio?

Egli sollevò la testa lentamente, quasi a stento, come se gli pesasse, ma non sollevò gli occhi.

—Monna suocera, sapete cosa devo dirvi? Perchè, invece di guardare nelle case altrui, voi non guardate entro casa vostra?

—Che cosa vuoi dire, Predu Maria Dejà? Io non ti comprendo.

—E allora peggio per l'anima vostra. Male voci sono salite fino al monte, sul conto di vostra figlia.

Ella andò a deporre il piatto sul forno, senza rispondere, apparentemente calma; poi tornò accanto a lui, che aveva di nuovo reclinato il capo, e gli battè una mano sulla spalla.

—Spiégati.

—Io non vi devo spiegazioni. Siete voi che ne dovreste a me, poichè io ho avuto fiducia in voi come in una madre e mi sono lasciato dominare da voi e dalla vostra presenza imponente come un bambino da una persona alta. Che mi abbiate ingannato quel giorno, prima di sposare vostra figlia, la vostra perla, va bene: peggio per me che sono stato uno stupido. Dovevo pensare: io non sono un uomo a cui si possa offrire una ragazza onesta! E lo pensavo, e ve lo dissi, e voi riusciste a convincermi del contrario. Peggio per me, dunque, ma che il gioco continui, no, perdio; no, non deve continuare! Ora basta, capite! Basta!

Egli gridava. La donna s'era fatta livida in viso e un tremito convulso le agitava le mani.

—Io non credo a quello che tu dici! Parla più chiaro, pronunzia i nomi…. altrimenti ti dirò che mentisci….

Preso da un impeto di rabbia egli si portò le mani al capo indi alla bocca, quasi per impedirsi di pronunziare i nomi che la suocera voleva, e la guardò con disprezzo.

—Mentisco? Allora ve lo farò vedere.

E non disse altro, per quante suppliche e imprecazioni ella gli rivolgesse.

—Lo so, lo so chi ti ha sobillato. Antoni Maria Moro voleva i gioielli da Sebastiana, per andare ad impegnarseli, e diceva che lo avevi mandato tu…. Egli s'è vendicato del nostro rifiuto…. E quell'altra strega, la vecchia pettegola…. la serva di Marielène…. Anche quella parla per invidia…. Ma Sebastiana, anche se suo marito è assente, ha una buona madre che può custodirla…. Capisci, genero mio? Insultare tua moglie è come insultare una bambina in fasce. Io la custodisco…. Io te l'ho data pura e fresca come un garofano appena staccato dalla pianta, e tale è ancora….

Ma le frasi ricercate di lei non lo commovevano più. Egli taceva, e come suggestionata dal silenzio e dall'atteggiamento di lui anche la maestra tacque e ritornò calma e impassibile.

Poco dopo rientrò Sebastiana, che salutò suo marito con un certo sussiego; e la sera di Natale trascorse triste e fredda fra quei tre che non cercavano di rappresentare una commedia inutile, ma riuscivano a nascondersi scambievolmente i propri pensieri.

La più agitata e la più apparentemente calma era la maestra: talvolta però ella fissava gli occhi nel vuoto e aveva una impressione di terrore, sembrandole di vedersi circondata da rovine; ma poi si scuoteva e per vanità e per amor proprio si ribellava a credere che il suo edifizio fosse crollato.

—Se Predu Maria fosse stato certo del suo disonore, a quest'ora si sarebbe vendicato…. —pensava.—Sebastiana è stata calunniata.—Da chi? Da Antoni Maria, o dalla signora Arrita?

A sua volta Predu Maria pensava alla vecchia serva come all'unica persona che potesse svelargli la verità. E uscì e andò in cerca di lei.

Passando davanti alla casa di Marielène vide le finestre illuminate, e come spinto da un desiderio morboso più forte della sua volontà si accostò al portoncino, lo spinse, vide Bruno nel vano della porta di cucina.

—Come stai?—gli domandò, avanzandosi fino alla porta e guardando nell'interno della cucina.—La vostra serva dov'è? Avrei bisogno di parlarle.

Bruno si ritrasse, fissandolo coi suoi occhi tristi e chiari di malato; e Predu Maria ebbe l'impressione di averlo sgradevolmente sorpreso con la sua visita improvvisa.

—La nostra serva? Arrita? Da oggi non è più al nostro servizio.

—Ah, no? E dove potrei trovarla?

—Non saprei. Credo, presso certi suoi parenti, in vetta al Corso.

—Ah, bene; so dov'è….

Entrambi si fissavano con uno sguardo acuto e diffidente, senza sorridere, senza pensare a stringersi la mano.

A un tratto Marielène apparve sull'uscio in fondo alla cucina, e vedendo Predu Maria trasalì, poi si mise a ridere.

—Non t'avevo riconosciuto!

—Son così cambiato?

—No, son io che da qualche tempo in qua non ci vedo bene: ho un po' gli occhi velati,—ella disse, passandosi le mani sugli occhi spalancati e sul viso scarno e rosso, ma d'un rossore livido.—Sebastiana poi non disse che dovevi scendere. E adesso lei che fa? Non torna? L'aspetto.

—Sì, non dovevo scendere,—egli disse, beffardo,—ma poi ho pensato: andiamo giù, divertiamoci. Voglio far festa!

—Vieni alla messa? Io e tua suocera abbiamo intenzione di andarci.

—Andate pure! Io voglio far festa per conto mio….

—Egli cercava l'Arrita….—mormorò Bruno.

Allora Marielène gridò:

—Non sai che l'ho cacciata via? Ah, ah, la signora! La vecchia bastarda, ruffiana e ladra! Ah, tu hai bisogno di lei? Ah, tu….

—Elena, basta!—gridò Bruno.

—No, volevo solo pregarti d'una cosa, Predu Maria. Se la vedi dille che si guardi bene dal continuare a calunniarci: se no… se no…. tu mi conosci, io non son donna da lasciarmi offendere….

Egli la guardava con ironia, senza accorgersi che Bruno a sua volta lo osservava con inquietudine. Ma appena ella andò nella sala da pranzo, Predu Maria tornò a fissare il suo rivale, e strizzò un occhio, sogghignando, come per significare che fra loro si intendevano. Il suo viso, contratto da un'espressione strana, pareva una maschera macabra sogghignante d'odio e di scherno.

—Ella non si lascia offendere! Hai sentito? —disse a bassa voce, accennando con la testa l'uscio della sala da pranzo.— Diglielo tu come si lascia offendere, invece…. e come non se ne accorge!… Addio.

Bruno non lo richiamò, ma tornò sul limitare della porta e seguì con uno sguardo di spavento la figura nera che se ne andava come era venuta, in modo quasi misterioso.

E rimase a lungo immobile come se avesse veduto un fantasma. Gli sembrava d'aver sempre davanti quel viso sogghignante, quegli occhi che ammiccavano; e ripeteva parola per parola le frasi ironiche di Predu Maria.

—Non c'è dubbio: egli sa, o almeno sospetta. « Voglio divertirmi anch'io » « voglio far festa » « ella si lascia offendere senza accorgersene ». Egli cerca la vecchia serva maligna e vendicativa. Perchè la cerca? Per farla parlare? O è appunto da lei che ha saputo, ed ha pronunziato il suo nome per spaventarmi?

Bruno sapeva che solo la vecchia aveva indovinato la sua passione per Sebastiana: nessun altro, neppure sua moglie, neppure la maestra, potevano sospettare: se avessero sospettato non avrebbero saputo fingere così bene, Marielène specialmente.

—Che accadrà?—si domandò atterrito. —Bisogna avvertire Sebastiana.

Ma Sebastiana non tornava, ed egli non osava muoversi dal vano della porta.

La notte era dolce, velata; sembrava una notte autunnale. A un tratto, nel silenzio interrotto solo dalle risate e dalle voci dei pensionanti che finivano di cenare, risuonò uno squillo di campane che parve spandersi nel cielo e inondarlo di una luce misteriosa. E tutte le cose, come svegliate da quel richiamo profondo, pieno di armonia e di luce, vibrarono e cantarono, finchè lo squillo cessò e tutto fu di nuovo silenzio.

Bruno provò un senso di vertigine, come se quel suono di campane gli ricordasse una vita anteriore e nello stesso tempo gli annunziasse che un avvenimento misterioso e terribile stava per compiersi. Ma a misura che il suono svaniva nell'aria tranquilla, anche il suo spirito si calmava: e dentro di lui, come intorno a lui, tutto di nuovo fu silenzio e tristezza.

A passi cauti uscì nel viottolo ed entrò nell'orto della maestra, deciso di avvertire Sebastiana del pericolo che li minacciava: ma arrivato all'angolo della scaletta sentì che le due donne questionavano fra di loro e si fermò.

La maestra parlava con violenza, ma senza dimenticare le sue espressioni ricercate.

—Era meglio che io non ti avessi dato il latte, figlia mia: era meglio che tu fossi morta appena nata. Tu hai fatto diventar bianchi i miei capelli innanzi tempo, e vuoi farmi morire scomunicata.

—Egli ha mentito! È il suo mestiere! —gridò Sebastiana.—Perchè non parlò con me? Ha forse paura di me, adesso, dopo che mi ha sempre trattata come una bimba di cinque anni? Ma l'aspetterò….

—Sta almeno zitta! Tagliati la lingua, poichè non puoi forarti gli occhi! Saranno pure calunnie, voglio sperarlo, ma non c'è fumo senza fuoco, e di una donna onesta non si sospetta neppure.

Allora Sebastiana scoppiò a piangere, e fra i singhiozzi riprese a difendersi, con voce infantile ma con parole acerbe.

—Io sono onesta più di qualsiasi altra donna onesta. Che male ho fatto? Ditelo voi che male ho fatto. Non vi ho sempre obbedito? Potevo diventare ricca e correre il mondo e divertirmi; e voi, invece, mi avete gettato fra le braccia d'un uomo che non mi vuol bene, che è freddo e molle come la neve…. Io non dico ch'egli sia cattivo, ma non è un uomo, è uno straccio…. Questo è l'uomo che mi avete dato voi, questo!…

—Quello che ti meritavi, figlia mia,— disse la maestra con tetra ironia.

—Ah, quello che meritavo? E allora io dovrei essere quella che lui si merita…. Ma io…. ma io….

—Taci, o ti rompo le spalle con un bastone….

—Bastonate pure! Non avete fatto altro in vita vostra,—gridava Sebastiana, correndo per la cucina come una bestia feroce che si ribella al domatore.—Sì, mi avete bastonata, mi avete mandata in una casa dove io non doveva stare, mi avete perseguitata sempre, invece di difendermi. Adesso non ne posso più; adesso basta! Io non faccio male, ma se continuerete a calunniarmi commetterò davvero qualche pazzia. Lasciatemi in pace. È tempo! È tempo!

—È vero, è vero,—pensava Bruno, curvo e fremente, e sembrandogli che la maestra stesse per percuotere Sebastiana spinse la porta ed entrò.

—Che c'è?—disse turbato.—Marielène vi aspettava per fare un po' di festa assieme, e voi questionate?

Allora la maestra, non sapendo che il genero sospettava appunto di lui, gli confidò le lagnanze di Predu Maria, e pur accusando Sebastiana di leggerezza, di poco rispetto verso sua madre, di malinteso orgoglio, la difese contro le calunnie giunte fino alla lavorazione e lo chiamò a testimonio della vita ritirata e onesta che lei e sua figlia conducevano.

—Nessuno meglio del buon vicino può giudicare una famiglia o una persona,— concluse con enfasi,—e tu, appunto da buon vicino, puoi dire se c'è nulla da ridire sul conto nostro. Hai mai veduto persone sospette, in casa mia? Non sono una madre vigilante e severa, io?

Egli stava per rispondere, quando Sebastiana scoppiò a ridere; ed egli capì che questa era la più crudele vendetta ch'ella potesse prendersi di sua madre. Ma guardandola vide che gli occhi di lei, ancora umidi di lagrime, fiammeggiavano cupi, ed ebbe paura: il presentimento che qualcosa cosa di terribile dovesse accadere da un momento all'altro tornò a dominarlo.

Infatti, mentre egli se ne tornava a casa, dopo aver tentato invano di rappacificare le due donne, certo ad ogni modo che ormai Sebastiana era messa in avvertenza, sentì ch'ella invece gli correva dietro richiamandolo a bassa voce. Si fermò, ed ella lo raggiunse e gli si aggrappò al collo, esasperata, folle d'imprudenza. Egli si sentiva battere il cuore pronto a scoppiare; gli occhi gli si velarono e non vide, non capì più nulla finchè, spinto da lei, non si ritrovò nella cucina di casa sua. Marielène non c'era; egli cadde a sedere davanti al camino e nascose il viso fra le mani.

—Stanotte, quando vanno tutti via vengo qui, vengo qui,—ella gli ripeteva all'orecchio.—Così mi vendicherò….

Egli taceva: sua moglie rientrò e osservò che Sebastiana aveva gli occhi rossi.

—Non lo sai, Marielè! Mia madre mi bastonava come un cane…. domanda a tuo marito, domanda! Non ne posso più!… Tutto quello che io faccio è mal fatto; io sono l'ultima delle donne, io sono una schiava: perchè vivere così? Sono stanca…. e non so cosa accadrà di me….

Ricominciò a piangere, asciugandosi il viso con la manica della camicia, e Bruno sollevò gli occhi e la vide così triste e disperata che dimenticò le sue inquietudini per ripetere fra sè la domanda di lei.

—Che accadrà di lei? Che accadrà di lei, dopo? Ella si perderà…. prenderà un amante, molti amanti, e Predu Maria la ucciderà….

E mentre Marielène la confortava, ed ella continuava a lamentarsi, egli la guardava alla sfuggita; e la gelosia, l'amore, la pietà, la paura, tutte le passioni le più laceranti gli torturavano il cuore.

Rimessa in ordine la cucina, Marielène riaccompagnò Sebastiana a casa, e ritornò dicendo che la maestra si era placata e stava a vestirsi per andare in chiesa.

—Torneremo presto. tu stai alzato? Stai bene, vero?

Gli accarezzò la guancia senza accorgersi che negli occhi velati di lui le pupille dilatate fissavano un punto lontano, invisibile a lei, invisibile a tutti.

—Va, va,—egli disse, respingendola, —chiudi bene la porticina e la porta. Io andrò a letto.

Ma quando la donna fu uscita, egli si alzò, mise altra legna sul fuoco, e tornò a sedersi come in attesa di qualcuno. La fiamma si alzò, rossa e violacea; i tizzi ardevano cigolando e a poco a poco tutte le cose intorno parvero muoversi come la fiamma e sospirare e cantare.

Le campane suonavano di nuovo.

Nonostante la sua inquietudine egli sentiva una sonnolenza invincibile; ma non voleva andar a letto perchè aspettava Sebastiana. Era deciso a non aprire, ma il pensiero ch'ella a momenti avrebbe picchiato alla porticina, e che Predu Maria avrebbe potuto vederla, lo colmava di terrore.

L'ora passava: Sebastiana non veniva, ma invece di calmarsi egli sentiva aumentare la sua inquietudine e trasaliva ad ogni rumore.

Finalmente sentì picchiare davvero al portoncino, ma non potè alzarsi subito, come se una mano pesante gli premesse sul capo: vide rosso, gli sembrò che la fiamma del camino si alzasse, larga e sventolante: e in mezzo, come un'imagine impressa su una bandiera color sangue, gli riapparve il viso macabro di Predu Maria.

Dopo qualche attimo tutto svanì; allora egli potè alzarsi e andò alla porticina e stette ad ascoltare. Silenzio. Ella se ne doveva essere andata. Gli sembrava di vederla, pazza di ribellione, correre attraverso il viottolo come un fantasma bello e terribile. E a un tratto gli parve di sentire come un fruscìo d'alberi e rivide suo nonno seduto sulla soglia del casolare, con gli occhi azzurri maliziosi fissi in lontananza…. Egli raccontava storie di briganti, di donne selvaggie, e nello stesso tempo indicava un punto lontano, al di là, al di là dei boschi tranquilli e dei monti senza roccie…. Poi di nuovo tutto svanì, il fantasma, il nonno, il punto lontano….

Egli attraversò di nuovo il cortile, oramai certo che Sebastiana non sarebbe tornata. La sua angoscia però non cessava. Rientrò in cucina e volle chiuder la porta, ma non appena tese il braccio sentì uno schianto, come se dentro al suo petto qualcosa si frantumasse, e cadde sul limitare e non potè più sollevarsi.

Visioni confuse tornarono ad attraversargli la mente; ma nè la figura di Sebastiana nè altre figure umane gli riapparvero più, come se il mondo abitato dagli nomini fosse già lontano da lui.

Gli sembrava d'essere caduto inciampando contro una roccia, sull'Orthobene: era un mattino luminoso e caldo, e dal punto ov'egli giaceva si scorgeva il mare e si scorgeva Nuoro, bianca nella valle come un agnello fra l'erba. I monti lontani sembravano mucchi di argento. Nuvolette simili a piccole onde bianche salivano, salivano coprendo il cielo: e nel bosco immobile fra le roccie le gazze cantavano imitando lo squillo delle campane.

A un tratto tutto sparì: egli riaprì gli occhi e vide solo, su uno sfondo nero, una piccola mano dorata che gli accennava di andare…. di andare verso un luogo lontano…. Era la fiamma del camino che s'era assottigliata e stava per spegnersi.

Predu Maria in quel momento finiva di confabulare con la vecchia signora Arrita. Egli aveva trovato facilmente la casa dei parenti di lei. Alcuni uomini, seduti attorno ad un focolare di pietra ove ardeva un fuoco da giganti preistorici, bevevano cantando una gara estemporanea, e la vecchia, accoccolata in un angolo, guardava ed ascoltava in atteggiamento da prefica più che da persona che partecipi ad una festa; ma quando vide Predu Maria affacciarsi allo sportello della porta, si alzò e gli andò incontro, col viso illuminato da una gioia improvvisa.

—Devo parlarvi!—egli mormorò, afferrandole un braccio e attirandola fuori nella strada; ed ella lo seguì, senza resistenza, taciturna e nera come un fantasma malefico.

La strada era deserta, sotto una fascia di cielo cenerognolo, e solo qua e là, nelle case nerastre, si notava qualche vetro dorato dal riflesso d'un lume; ma come un brivido di vita errava nell'aria, coi gridi lontani dei cantori notturni, col lamento di una fisarmonica, col canto delle campane. Predu Maria, con la vecchia sotto braccio, si diresse fuori del paese.

—Dobbiamo chiarire una cosa,—le disse sottovoce senza esitare.—Forse l'avete già indovinato, perchè mi siete corsa incontro; mi è parso che mi aspettavate.

—Ti giuro, figlio mio; non ti aspettavo. Pensavo ai casi miei, che non sono allegri.

—Ho saputo. Vi hanno cacciato via.

Ella si fermò e lo costrinse a fermarsi.

—Cacciato via? Ti sbagli, figlio caro: una donna come me non si caccia via; ella caccia via gli altri, coloro che si credon padroni e son servi…. (e col braccio libero faceva cenno di spingere qualcuno) Andate via, gentaglia, via, via….

—Gentaglia, sì!—egli disse con odio. —Voi parlate bene: essi credono d'esser padroni e son servi, della peggior razza, della peggiore stirpe. Ma non tutti sono decisi a piegar le spalle davanti a loro, ah no, zia Arrita, ah no, per Cristo Santo, ah no!

—Che ti han fatto?—ella domandò fingendo una viva curiosità.

—Voi lo sapete meglio di me; ma non è di quello che mi han fatto che io intendo parlare: è di quello che tentano di farmi adesso…. So tutto, o meglio credo di saper tutto…. E voi mi direte quello che non so, me lo direte, sì, perchè siete una donna di coscienza. Qui non si tratta di scherzi, si tratta dell'onore d'una famiglia, e qualunque persona onesta deve cooperare a impedire certi guai. Voi siete una cristiana, sì o no?

La vecchia non rispose. Egli proseguì:

—Sentite. So che Bruno attenta all'onore di Sebastiana, o almeno lo finge, perchè la gente mormori. So perchè lo fa: egli ci vuol cacciare di casa, vuole spandersi, come le male erbe, vuole il nostro orto, vuole che ce ne andiamo lontano. Ma se gli son riusciti altri tiri, con me, davvero questo non gli riuscirà.

—Lascialo fare! Il suo giorno arriverà!…

—No, no, egli finge anche la sua malattia: egli non sa altro che fingere, nascondendosi tra le sue finzioni come il ragno nella sua tela. Nessuno capirà mai quell'uomo, neanche il diavolo….

—Tu però l'hai capito, mi pare!

Questa volta fu Predu Maria a fermarsi. Ah, egli l'aveva capito? Egli dunque non si era ingannato? Abbassò la testa, la sollevò, riprese a camminare più rapido e concitato di prima.

—Sentite, zia Arrita, fatemi questo piacere, questa carità. Ditemi a che punto son le cose!

—Io non so niente.

—Non è vero! Non mentite! Siete vecchia, siete cristiana; interrogate la vostra coscienza. Non vi parlo da uomo malvagio e imprudente, ma da cristiano. Sebastiana è ancora una bimba, una creatura senza senno; sua madre, poi, con tutta la sua solennità, ne ha meno di lei.

—Questo è vero!—disse la vecchia, trionfante.—Tu parli con bocca d'oro!

—Dunque, ascoltatemi: ditemi la verità, in questa notte santa. Le sentite le campane? Esse dicono che Dio Cristo è nato per morire per i nostri peccati. Io non voglio far male a nessuno, ma voglio impedire il male. Ditemi….

Egli avvicinò il suo al viso di lei, in attesa della rivelazione; ma ella esitò, sospirò, ripetè:—Non so nulla!

Egli allora prese a scuoterla bruscamente.

—Parlate, donna! Voi dovete esservi accorta di qualche cosa, voi dovete parlare! Se voi tacete…. io…. io…. non so cosa farò: un uomo che dubita è più feroce di un uomo che sa la verità, anche se questa è terribile per lui.

Ella taceva. Ma ad un tratto squillarono le campane per l'ultimo richiamo alla messa, e tutto il paesaggio notturno, chiuso dai monti neri sul cielo velato, parve vibrare a quel suono pieno di vita e tuttavia soffuso d'una misteriosa melanconia, simile a un canto nostalgico di angeli erranti esiliati dal cielo.

La vecchia si fece il segno della croce e abbassò la testa sul petto. Pensò che tutti dobbiamo soffrire, come soffrì Gesù, venuto al mondo per noi; e rinunziò ai suoi progetti di vendetta, ma comprese che se ella non parlava Predu Maria era capace di lasciarsi davvero vincere dal dubbio, spesse volte più fatale della stessa certezza.

—Sentimi, figlio mio,—gli disse maternamente, —ti dirò tutto, sì. In mia coscienza credo che fra quei due non sia ancora avvenuto il peccato; che Bruno guardi tua moglie ne son certa: egli forse le voleva bene prima ancora che sposasse Marielène…. Dobbiamo quindi compatirlo.

—Maledetto egli sia: e chi lo costringeva a sposare quell'altra? Lui…. lui…. pieno di calcoli, divoratori di soldi….

—Taci; io non so: certe volte facciamo quello che meno ci conviene….

Egli ricordò e tacque. Ella riprese:

—Così ti dico. Tua moglie è onesta, leggerina, non dico, ma onesta. Ebbene, ti voglio dire tutto: una notte io stavo alla finestra, e vidi Bruno entrare nel vostro orto, salire la scaletta, fermarsi davanti alla porta di Sebastiana. Dissi fra me: ci siamo! Ebbene, sai cosa accadde? Dopo un poco egli scese, tornò indietro. Sebastiana lo doveva aver respinto. Ti giuro, Predu Maria, in nome del Cristo che è nato stanotte, questa è la verità.

Egli tremava lievemente, curvo, col capo sul petto: lasciò il braccio della vecchia e l'energia fittizia di poco prima lo abbandonò.

Ecco dunque la verità: ora la sentiva, ora l'afferrava. Sebastiana era innocente; era l'uomo il solo colpevole, lui, l'insidiatore, il forestiere malvenuto, l'usurpatore.

—Come mai Marielène, così astuta, non si è accorta di niente?—domandò dopo qualche momento di silenzio.

—Essa non vede che il guadagno: se tu le metti davanti una moneta e la guardi con minaccia o con amore ella si accorgerà del soldo, ma non vedrà neppure i tuoi occhi. Ma se non si accorge neppure che suo marito sta male!

—Altre volte però si accorgeva se il padrone guardava le altre donne!

—Ah, figlio! Allora si trattava appunto di spiccioli, non d'amore!

—Basta, io vi ringrazio,—egli disse bruscamente.—Adesso vi riaccompagno.

Ritornarono indietro, ed egli non parlò più, mentre la vecchia si sfogava parlando male di Marielène e dicendo che Bruno era diventato infelice per colpa di sua moglie. Ma oramai dal cuore di Predu Maria, chiuso ad ogni pietà, salivano, come da un mare agitato, i torbidi vapori dell'odio.

Riaccompagnata la vecchia, egli ridiscese il Corso, ma a un tratto, invece di tornare a casa si volse e s'avviò alla Cattedrale. Era presto ancora per la messa; tuttavia la chiesa melanconica e nuda, illuminata da un incerto chiarore giallognolo, era già gremita di fedeli. Le donne accoccolate per terra, avvolte nelle loro tuniche scure attraverso le cui pieghe si scorgeva qualche striscia rossa, gli uomini col cappuccio sulle spalle, aggruppati nella penombra delle arcate, i vecchioni calvi o coi lunghi capelli bianchi ricadenti fin sulla barba bianca, le vedove col viso nascosto dalle bende nere, tutta la folla insomma dava l'idea di un popolo antico, di credenti primitivi, convenuto in una delle prime chiese cristiane per pregare di nascosto sfidando l'ira dei persecutori.

Predu Maria si avanzò fino alla navata di mezzo e guardò le donne una per una, finchè riconobbe la maestra e Marielène inginocchiate in un angolo dietro una panca. Anche loro guardavano verso la navata, ed anzi gli sembrò che Marielène lo salutasse con un cenno del capo. Non osò quindi muoversi finchè un gruppo di borghesi non si mise fra il posto ov'era lui e il posto occupato dalle donne. Allora si ritrasse e cercò di uscire inosservato, profittando del momento in cui i sacerdoti vestiti d'oro apparivano intorno all'altare, fra nuvole d'incenso.

Nonostante il suo odio e la sua sete di vendetta si sentiva triste e commosso. Egli usciva dalla chiesa furtivo, e gli pareva di tradire la sua fede, appunto come un fedele primitivo pauroso di essere colto e martirizzato dai nemici di Dio. Si sentiva trasportato dal demonio, spinto a fare il male da una volontà superiore alla sua.

Quasi senza accorgersene si trovò davanti alla porta di Marielène, e vedendo luce nel cortile pensò che forse Bruno vegliava ancora aspettando le donne. Per alcuni momenti stette immobile, appoggiato al muro; poi battè alla porticina, ma nessuno rispose.

Allora, dopo un momento di ansiosa incertezza, attraversò il viottolo, spinse il cancelletto e andò a sedersi sulla scaletta di casa sua. Là tutto era scuro e silenzioso; Sebastiana doveva essere già a letto, e nella notte velata la piccola casa nera, col suo orto, la sua siepe, il suo pozzo, il suo cancello di rami, sembrava un nido di gente felice.

Egli ricordava la sera in cui, seduto sullo stesso scalino, aveva sognato un avvenire di redenzione e di pace. Inganno, sempre inganno! Tutta la vita è una rete d'inganni, e più uno cerca di liberarsene, più si sente affondare, stretto da lacci spaventevoli.

Quando gli parve d'essersi calmato e di aver preso una decisione si alzò, tornò davanti alla porticina di Bruno e picchiò di nuovo. Nessuno. Ma egli credeva di veder da un momento all'altro apparire la figura triste e fredda del suo rivale che lo invitava ad entrare: ed entravano e sedevano davanti al focolare, come quella prima sera in casa di Antoni Maria: ed egli diceva sottovoce:

—Bruno, ho saputo tutto, e son qui per dirti una cosa. O te ne vai subito da Nuoro e mi lasci vivere tranquillo, o ti manderò io in un paese donde non ritornerai più. Deciditi, e subito anche, perchè io sono stanco. Uno di noi deve sparire.

Bruno taceva, ma lo fissava coi suoi occhi freddi di calcolatore, e all'improvviso scoppiava a ridere. Ah, il forestiere era sempre il più forte; e se uno doveva sparire non era certamente lui!

Predu Maria sentiva un'ondata di sangue salirgli alla testa; e ancora una volta vedeva rosso e diventava il giustiziere, l'uomo che si avventa contro il suo nemico come contro il suo destino stesso.

Infuriato picchiò ancora, andò alla porta di strada, ritornò nell'orto della maestra, s'arrampicò sul muro e lo scavalcò. Ma ancora prima di saltare nel cortile vide il suo rivale caduto sul limitare della porta, e capì che era morto o agonizzante.

Saltò e corse a lui, si curvò, lo scosse, cercò di sollevarlo. Il cadavere, ancora caldo e molle, si abbandonò tra le braccia del suo nemico come il corpo d'un bimbo fra le braccia materne: e il suo viso bianco, con gli occhi aperti e i baffi spioventi sulla bocca atteggiata ad una espressione di disgusto, pareva quello di un uomo stanco e vinto.

Quando Predu Maria si convinse che Bruno era morto, lo lasciò ricadere, piano piano, e gli adagiò la testa sullo scalino come sopra un guanciale; e non osò toccarlo più, ma stette a guardarlo, curvo e con la mano appoggiata al muro, come spiando se tornava in vita.

Anche lui era bianco in viso, e le sue labbra imitavano l'espressione di quelle del morto. Ricordava perchè era là, e gli sembrava che il suo rivale avesse obbedito ai suoi ordini, andandosene ad un paese donde non si ritorna; ma davanti a quel corpo inanimato provava una paura misteriosa, quale nessun nemico vivo e implacabile avrebbe potuto inspirargli.

Rimase a lungo così, come istupidito; ma a un tratto il suono delle campane riempì nuovamente la notte di vibrazioni e di armonia, ed egli ricordò le notti di Natale della sua adolescenza, quando lo zio prete ritornava dalla messa cantando ancora a mezza voce:

Gloria, gloria,
gloria a Dio nell'alto dei cieli,
e pace in terra agli uomini di buona volontà….

e sua madre diceva che gli angeli in persona attraversano il mondo per annunziare agli uomini la venuta di Colui che esiste solo per regolare il nostro destino. Allora se ne andò, già nuovamente rassegnato a lasciarsi guidare dal misterioso padrone.

FINE.