ADA NEGRI

Il libro di Mara

MILANO
Fratelli Treves, Editori
1919.

PROPRIETA LETTERARIA.

I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.

MARA, SORELLA: PERDONAMI.

Maggio del 1919.

Sole di mezzogiorno, nel luglio felice, sulla piazza deserta: piazza lontana di città lontana, tu ed il tuo Uomo, e quello era il mondo. Bianca nella tua veste, bianca vibratile fiamma tu pure, nell'abbaglio d'incendio dell'aria. Bianco il tuo riso perduto nel riso di lui, fresco di polla il tuo riso d'amore tra il vasto fulgere ed ardere. Non sarebbe discesa la notte, non sarebbe venuto il domani, tua la luce, tuo l'Uomo, tuo il tempo. Fermasti il tempo in pieno sull'ora solare per cui in terra tu fosti divina: il resto è ombra e polvere d'ombra. Egli ti amò. Non avesti altro bene. Umiliati e rendine grazie. Nel silenzio dei giorni a venire, soli e gelidi con te sola, nelle strade piene di folla ove tu camminerai come in mezzo ai deserti, nella casa senza lampada, nel letto senza riposo, nell'albe senza speranza, non scordare il tuo amore, umiliati e rendine grazie. Ti sia presente in ogni minuto della vita che ti rimane, donna che non vedesti il cielo se non per lo spiraglio di quell'amore. Aggràppati alle sbarre, tendi il viso fra spranga e spranga, sàziati gli occhi di quel lembo d'azzurro, o prigioniera dell'ombra. Rammenta il corpo del tuo Amante diritto come un cipresso, e la sua testa d' imperio che sopravanzava le folle, e il sùbito addolcirsi de' suoi occhi quand'egli ti guardava, e la sua ferrea stretta che ti spezzava in due. Rammenta come egli seppe da te stessa crearti più bella e più giovine, e dal cuore profondo strapparti il sol grido di donna sincero in tua vita, e vestirti e nutrirti d'amore e toglierti a tutto che non fosse amore. E come egli seppe anche farti soffrire nel corpo e nell'anima, e come tu amasti e godesti il dolore che ti venne da lui: e che una volta un suo morso t'aperse nel labbro una piccola piaga, e tu guarir non volevi di quella dolcissima stimmate per cui tutto serbavi in tua bocca il sapor del tuo amore. Sapore di sangue; e il tuo amore spirava in un fiotto di sangue che ti sprizzò sino agli occhi; e tu, tu sei ancor viva. Quanto sangue in quel grande corpo!… Ora è tuo, passò tutto in te. Ne hai turgide e inferme le vene, ne hai rombo perenne alle tempie. Bolle ed urge per forza compressa, ti riempie il cuore di clamanti voci. Che farai tu di quel sangue?… Pianto per piangere il tuo Morto, parola per celebrarlo. Viatico per il cammino, chè ancor camminare tu devi; e nutrimento per la memoria. Sangue ardente, sangue d'amore, non ne andrà spersa neppure una stilla: fino a quando il suo peso ti abbatta con la faccia contro la terra, e dire tu possa con l'ultimo soffio: Signore, la tua serva è qui. Confitta è alla croce e non la darebbe per un letto di bianchi giacinti: un chiodo nel palmo destro, uno nel palmo sinistro, uno nei piedi avvinti. Il primo è l'amore che a te la condusse senz'altra forza che per amarti, l'altro è il dolore che in vita la serba senz'altra voce che per chiamarti, il terzo è il ricordo di tutti gl'istanti sbocciati per voi nei giardini del sole: or che sei morto nessun la compianga: sol la sua croce ella ama, sol la sua croce vuole. Quando la sete le spacca le labbra, beve alle tue labbra il gran sorso che sazia: quando la morte le diaccerà il cuore, morrà in te, nel segno della tua grazia. Entrasti improvviso, lasciando spalancata la porta sui campi. Gran vampa di sole a meriggio con soffio di spazio entrò nella stanza con te. Volle la donna moverti incontro; ma abbaglio, timore, tremore la vinsero. Mai fino allora ella aveva veduto l'uomo ed il sole risplendere a paro. Così alto eri, che ti curvasti per toccarle una spalla con la mano. Così compatto il silenzio, che le parole non dette si scolpiron solenni nell'aria. Fin che la donna vivrà, quelle parole dentro il suo cuore, e la tua mano sulla sua spalla. Fin che la donna vivrà, tu a paro del sole, nel suo ricordo. Venne in cerca di te nella calda notte, lungo le strade dai fanali azzurri. Tutte le strade, allora, la notte erano azzurre come le vie dei cieli, e il volto amato non si vedeva, si sentiva in cuore. E ti trovò, o dolcezza, nell'ombra casta, velata d'un vapor di stelle. Fra quel tremolìo d'astri discesi in terra, in quell'azzurro di due firmamenti l'uno a specchio dell'altro, ella ella pure rispecchiò in te l'anima sua notturna. E ti seguì con passo di bambina senza sapere, senza vedere, tacita e fluida. E allor che il giorno apparve con fresco riso roseo su l'immenso turchino, non trovò più sè stessa per ritornare. Quando tu le camminasti accanto con elastico passo d'amore sulle rive del rapido fiume verdeargento fra le praterie. Tutto in quel giorno era verdeargento, tutto era infanzia, speranza e bontà, perchè tu le camminavi accanto, limpido come un fanciullo nel balenante riso. Ed ella al tuo braccio piegava al tuo ritmo quale una barca leggera sull'onda, ella, femmina piccola e profonda, nata a seguire, nata a blandire, nata a risplendere della tua luce. E quello fu il vostro giorno, il giorno di festa della santa vita, riflesso in serenità verdeargentea nei giorni trascorsi e nei giorni a venire. E non importa che tu ora sii morto nella tua carne ed ella morta nel suo perchè d'esser viva, se la gioia d'un giorno fu in te, Uomo della tua Donna: fu in lei, Donna del suo Uomo. Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio, e le dicestì, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, ti sento. E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza, riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso di esistere. E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto, e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella rossastra, e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba. Quando il canto del gallo segò il cielo, ed ella ancor nel sonno a te sorrise, o Amato. L'uno dall'altro nasceste allora, in purità di corpo, in purità di spirito. O voi beati, non espressi da grembo di madre, ma dalla maraviglia del vostro amore!… E vi levaste con atti limpidi, ed il primo mattino del mondo con voi si levò. E nuovi furono agli occhi vostri i rosei cirri del cielo specchiati nei fiori dei pèschi, nuova l'erba intrisa di guazza, fresca alle mani come un lavacro, divina in voi la dolcezza di scoprirvi un nell'altro presenti e viventi, con anima per amare, labbra per baciare, voce per benedire. Quando il tuo corpo d'atleta, composto fra i lini, venne distrutto dalla rossa vampa, e nell'aria dissolto tu fosti, e il tuo amore con te si diffuse nel mistero degli elementi. In ogni atomo ella ti respira, Dio de' suoi cinque sensi; e tu penetri il corpo mortale e tu penetri l'anima eterna come una freccia di sole fra nube e nube ferisce i trasparenti strati dell'aria. Di quel che offende la carne caduca nulla, più nulla può colpirla, tua com' ella è nella luce e nello spazio, nell'altezza e nella profondità. Di giorno, di notte, presente, assoluto, o amore invisibile, o amore universo, tu l'assorbi come allora che il tuo amplesso rapinava tutto di lei, dal pollice del piede contratto alla radice delle schiumanti chiome. Ascesa anch'ella al tuo rogo di morte, per essere assolta e purificata, per riaverti dal fuoco, dall'aria, dagli astri, da ogni bellezza creata. Brevi erano le tue lettere, precise, tutte muscolo e nervo, di mano più usa al compasso, alla squadra, al gesto del duro comando. Dicevan le semplici cose con semplici nude parole; ma due ne portavano in fine, due, sempre le stesse: Sei mia. E quando ella giungeva, leggendo, al termine noto, s'abbandonava all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore. Ombre violacee intorno alla socchiusa bocca, all'affilato naso precipitoso palpito delle vene gonfiate alle tempie alla gola cecità delle pàlpebre, tensione delle mascelle nel desiderio faccia di donna agonizzante in estasi, non tu la vedesti, nessuno la vide. Era sola. Ogni sera or la donna dai foschi capelli selvaggi nel vuoto della sua casa che ha odore di cenere spenta scioglie un pacco di lettere legato con un nastro nero. E legge; e, giunta al termine ben noto che a ognuna è sigillo, ancor s'abbandona all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore. Così, traverso il diaccio silenzio tombale, con muscoli e labbra predaci, o magnifico Amante, tu la possiedi così. Ella anche ti amava nelle tue collere taciturne quando tu ti chiudevi in te stesso come in un'armatura irta di punte come dietro una porta di bronzo serrata con sette chiavi. Senza protesta subiva, tremando nel cuore, i tuoi duri silenzii solo seguendo il tuo passo con passo vellutato d'ombra solo osando furtive carezze con piccole mani leggere più soave quanto più grave il giogo d'amore calcato da te. Ma adesso la tua collera da troppo tempo dura ma perdute sono le chiavi che serrano la porta di bronzo ma invano la piccola mano va scuotendo dì e notte il battente ma senza pietà, senza fine è il silenzio del tuo sepolcro. Otardi venuto, nel tempo in cui la porta si chiude sulla speranza, e l'ombra discende dagli alti cipressi: o in così rapido modo scomparso, che parve il tuo avvento un sogno, e ancor mi domando nel cuore s'io vaneggiai: come or vuoi tu ch'io sappia condurre i miei passi nel mondo senz'acqua per la mia sete, senz'aria pel mio respiro?… Taccio; ma ti risuscito nella tua carne mortale con la bellezza rude che folle mi rese di te. Ed io cammino appesa al tuo braccio, e mi stringo al tuo cuore, e se dir t'odo il mio nome, impallidisco come chi muore. La donna che or vive nascosta come una bestia ferita nel covo e più non osa guardare il sole perchè i tuoi occhi son chiusi per sempre, mai consolarsi potrà che da te non sia nato al suo grembo un bambino, un bambino che t'assomigli, che sia tuo, che sia te, carne e spirito, forza e bellezza. Ti bacerebbe su quella bocca, ti respirerebbe in quel fresco respiro, creata e creatrice, amante e madre in ardore inesausto di dono. Se tu fecondato l'avessi, calmo sarebbe il suo viscere sacro, nel necessario riposo del compiuto travaglio di vita. Serva felice ti fu, serva ancor ti sarebbe adorando il tuo figlio, mangiando ella il pane raffermo perch'egli gioisca di frutta succose, pestando ella i sassi e gli spini perch'egli scavalli in letizia su l'erbe florite. La donna che or fissa con occhi sbarrati le vuote sue mani nel grembo riverse compose il bimbo che non le nacque sul tuo cuore che non batte più. Accetto la cosa tremenda, per seguire la tua volontà. Quando mai, nel tempo felice, io ti disobbedìi, signore?… Accetto, poichè l'hai voluto, d'essere cieca delle tue pupille, sorda della tua voce, mutilata nelle tue membra, e non bestemmio e non urlo e m' inginocchio con il viso a terra. Arerò il campo in tua vece, seminerò in tua vece il grano, con le mani di carezza e d'ala che tu come reliquie adoravi; e quando le spighe mature vampeggeranno nel solleone le mieterò io stessa con la falce che ti ha mietuto. Poi siederò su un mannello, rivolto il viso alla nascente luna, calma attendendo il fiorire nell'aria del canto dell'ave per dirt': o Amico, finito è il giorno, compiuto il travaglio, l'ora di Dio suona: concedimi, concedimi riudir la voce, rivedere il volto, sorriderti accanto in eterno. Etu che farai, anima, per renderti in vita degna del tuo Morto?… Saprai d'ogni colpa mondarti, d'ogni viltà liberarti, e vivere in ardente purezza e comporti in ardente umiltà?… Saprai continuare il tuo Morto nel cammino del sogno e dell'opera, testimoniarlo in fede con voce e con mano santificata, farne midollo per l'ossa tue e d'altri, sangue vermiglio pel cuore d'altri e tuo?… Pòggiati alla sua ombra, poi ch'essa è più salda delle colonne: ricevi in te il suo spirito come la terra il seme per ansia feconda di mèsse: fino alle nozze supreme che vi attendon nell'ora di Dio al tempio azzurro delle Sette Stelle. Oggi ti cerco e non ti trovo, non sei nè in me nè presso di me. Nè so qual colpa io abbia commessa, perchè tu mi punisca nella luce della tua presenza. O signore, se tu m'abbandoni, che vuoi che avvenga della tua creatura?… La mendica che stende la mano trova pur sempre la mano soave nel porgerle aiuto. Oh, di lei più nuda e più cieca, io che brancolo al buio dopo averti perduto, o signore. Andrò sino al cancello dell'orto, forse ti sei nascosto dietro il gruppo dei tre pinastri. Andrò sino in fondo alla strada, forse mi attendi al limite dei campi. Andrò sino alla riva del mare, forse la tua voce mi chiamerà dalle acque. Andrò sino agli abissi dei cieli, forse dentro una tomba stellare la tua stretta mi riavvinghierà. Una foglia cadde dal platano, un fruscìo scosse il cuore del cipresso, sei tu che mi chiami. Occhi invisibili succhiellano l'ombra, s'infiggono in me come chiodi in un muro, sei tu che mi guardi. Mani invisibili le spalle mi toccano, verso l'acque dormenti del pozzo mi attirano, sei tu che mi vuoi. Su su dalle vertebre diacce con pallidi taciti brividi la follìa sale al cervello, sei tu che mi penetri. Più non sfiorano i piedi la terra, più non pesa il corpo nell'aria, via lo porta l'oscura vertigine, sei tu che mi travolgi, sei tu. Quando tu mi stringevi, divino carnefice, smorta e demente fra le tue tanaglie, pregavo nel tremito: Uccidimi. Sarei morta di te, sarei morta di gioia, lampeggiando i miei denti nel supremo inestinguibile riso. Tu invece sei morto. Tanaglie ti furon le braccia della Terribile che non ha volto, e che tu amasti più di me, più di me. Come puoi ora uccidermi?… Chè più a lungo io non posso curvarmi a questa condanna dei giorni. Torna una volta, col grande tuo corpo in ànsito in vampa sul mio prostrato pallore. Afferrami come facevi quand' io non ero che amore tremante dinanzi al tuo amore. Annientami dentro di te, che mi sien tolti i sensi, che mi si rompa il cuore. Alto è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga nell'infinito. Lo accende il sole come un rogo enorme, lo imbianca la luna come un sepolcro. Di giorno, di notte, pesante, inflessibile, sento il tuo passo di là dal muro. So che sei lì, e mi cerchi e mi vuoi, pallido del pallore marmoreo che avevi l'ultima volta ch'io ti vidi. So che sei lì; ma porta non trovo da schiudere, breccia non posso scavare. Parallela al tuo passo io cammino, senz'altro udire, senz'altro seguire che questo solo richiamo: sperando incontrarti alla fine, guardarti beata nel viso, svenirti beata sul cuore. Ma il termine sempre è più lungi, e in me non v'ha fibra che non sia stanca; ed il tuo passo dì là dal muro si scande a martello sul battito delle mie arterie. Vanno per sorde viuzze tagliate a metà dalla luna i due amanti felici di amarsi, certi d'essere uniti in eterno: fianco contro fianco, spalla contro spalla, e pur li separa l'aria impalpabile: cuore contro cuore, amore contro amore, e pur li separa la Vitamorte: vicinissimi, lontanissimi. Seguono il nastro d'ombra, perchè troppo chiara e curiosa è la luna che sparge diamanti sui tetti, che rende i muri intenti come volti, trae brividi bianchi dalle acque dei Navigli sorpresi nel sonno, pone sulle cimase e sulle porte misteriose parole di splendore. Così limpida e casta la luna, così nera e vellutata l'ombra: fascia di lente carezze intrisa di un denso sentore di tigli. Ed egli bisbiglia: Domani!…—Ed ella risponde: Sempre!…— E vanno, e non sanno che un d'essi, il più forte, preso è già nella tela di ragno che ha per ragno la morte: spalla contro spalla, amore contro amore, effimeri nell'attimo, illusi d'eternità, vicinissimi, lontanissimi. Gioia del giorno in cui egli t'addusse fra gli uomini rudi alzanti a' suoi cenni le case degli uomini, e dinanzi agli artieri obbedienti e dinanzi alla vinta materia tu lo vedesti imperatore e re. Bolliva la liquida calce a specchio del solleone, salivano i massi granitici entro i carrelli delle alate gru, stridevan catene, lucevano sbarre, con riso squillante cantava il lavoro all'azzurro nella rete d'acciaio e cemento, dall'alto delle impalcature vertiginose. Fibra per fibra, membro per membro, la casa degli uomini andava radicandosi nella terra, inquadrandosi nell'aria; e tutto intorno, scheletri di muraglie, spranghe e carrucole, muscoli e tendini, peso volume sforzo di materia in travaglio, tutto obbediva a un sol gesto, tutto era vivente e movente, perchè il Capo, là in mezzo, viveva. E tu, femmina piccola e profonda, perdutamente amasti il tuo padrone in lui: in umiltà lo amasti, pei fasci di forza irradiati in ordin preciso dal centro della sua volontà E pur di appartenergli nel ritmo dell'opera, invocasti la sorte del più misero e lacero portatore di ghiaia. Ma tu eri bella e tenevi sul petto una rosa, una rosetta dal cuore giallo come una fiamma raccolta, come una gemma di sole, e gliela offristi: in quel gesto, presso a lui re, sovrana. —Taci, taci,

(femmina, nelle sue braccia
delirasti una notte così)

— taci, taci, non profanare con parole vecchie di secoli la novità selvaggia di questo momento. Nuovi noi siamo e liberi d'ogni divieto e giovani come virgulti nell'aspro marzo. Lasciammo dietro quel muro gli anni vissuti, le lotte vinte, le strade calcate a sangue, ed i visi fedeli, e i sogni e le opere, e quel che ci parve la nostra ragione ed il nostro perchè d'esser viventi. Ed ora qui non esistono che la tua forza solare e la mia fluida grazia, che l'avvampar del tuo sangue e la tua bocca che non si sazia; ed il mio volto riverso non è quello che altri già vide, ma in te fiso, in te converso, nella sua tragica linea, nel suo pulsante pallore, è l'immortale volto dell'amore. — Taci, taci,

(femmina, nelle sue braccia
delirasti una notte così)

— nessuna parola può dire il miracolo, nessuna musica può esprimere l'estasi, solo il rombo delle tue arterie, solo il brivido de' miei polsi. Viva non ero ieri, morta sarò domani, distrutta dalle mani tue. Stringimi, come se, avvinti sull'orlo d'un culmine a noi sol noto, precipitar dovessimo nel vuoto.
Non chiamarmi, non dirmi nulla, non tentare di farmi sorridere. Oggi io sono come la belva che si rintana per morire. Abbassa la lampada, copri il fuoco, che la stanza sia come una tomba. Lascia ch' io mi rannicchi nell'angolo con la testa sulle ginocchia. L'ore si spengano nel silenzio. Salga in torbide onde l'angoscia e m'affoghi: altro non chiedo che di perdere la conoscenza. Ma non m'è dato. Quel volto, quel riso l'ho sempre davanti. Giorno e notte il ricordo m'è uncino confitto nella carne viva. Forse morire io non potrò mai: condannata in eterno a vegliare il mio strazio in me, piangendo con occhi senza pàlpebre. Ti svegliasti avanti l'alba, in affanno ed in brivido, perchè avevi sognato il tuo Morto. Sognato l'avevi com'era in sua vita, e pur chiuso in un mistero inviolabìle d'ombra. Non lo vedevi, sì lo sentivi: sentivi la sua grande mano sopra di te, stringente fra le dita, premente sulle tue labbra un ramoscello di menta selvaggia. E il selvaggio profumo e il calor della mano t'illanguidivano in una torbida sofferenza di godimento, e, boccheggiante, a poco a poco morivi, pensando: Ma il volto, il suo volto dov'è?… Così ti svegliasti: cieca: nel fondo di un livido lago chiuso per sempre su te col silenzio delle sue acque. Solo il suo sguardo, questa notte, nel sogno ti ritornò. Non il corpo e non la voce e nemmeno l'azzurra trasparenza degli occhi: nulla fuor che lo sguardo, l'essenza dello sguardo, la penetrante ed avida fissità dello sguardo. Diceva la vita troncata e le trascorse dolcezze e la malinconia della solitudine eterna; e ti toglieva il respiro e s'affondava nelle tue viscere, come un giorno l'amplesso vivente. Senza pàlpebra e senza pupilla, fisso e caldo nell'ombra, sguardo dell'invisibile amore!… Tu sapevi, ahimè!… di sognarlo: sapevi che l'alba dal pallido viso sarebbe venuta fra breve a dissiparne l'incanto; e le tue lagrime appassionate gocciavan nel sonno sovra il guanciale in silenzio. — Con quale chiave apristi stanotte, o Amato, la piccola porta di strada?… — Striscia ogni porta da sola sui cardini, senza rumore, s' io venga o s'io vada. — Venisti dunque con suole di feltro, ch' io non t' intesi salire le scale?… — Senza peso e senz'orma è il mio passo; ma il cuore è di piombo nel petto, e fa male. — Perchè t'addossi rigido al muro, pendule ai fianchi le braccia inerti?… — Di qui non posso più oltre avanzare, non son venuto che per vederti. — Ma dammi un bacio, ma vedi che ho sete, che muoio di sete della tua bocca!… — Non ho più labbra se pur le scorgi, nell'aria m' anniento se mano mi tocca. — Ma nel tuo nulla perchè non m'inghiotti?… Ma non hai dunque un po' di pietà?… — Ancor patire, ancor pregare, ancora attendere: l'ora verrà. Prona io mi distesi allargando le braccia, tutta aderendo con il corpo alla terra, e appoggiai l'orecchio alla terra, per sentir l'erba crescere pian piano. E mi parve di entrar nella terra, di esserne fino al midollo penetrata e posseduta. E non sentìi crescere l'erba; ma dalle viscere nere m'entrò nell'orecchio un formidabile rombo. E a traverso l'orecchio invase i miei sensi, invase il mio cuore, lo dilatò, lo sommerse nelle più cieche profondità. E nella voce del mistero terrestre io riconobbi la tua, o Perduto, o Ritrovato. Perchè tu eri divenuto la terra, e le tue vene si diffondevano in tutte le fresche germinazioni. E con tentacoli di radici e con murmuri di polle nascoste e con fremiti lunghi di semi, o Perduto, o Ritrovato, mi riprendesti con te. Io fui dinanzi a te, mia vita, mia morte, la lampada d'oro in un angolo oscuro del tempio accesa dinanzi all'immagine sacra. Con umiltà devota trema la pia flammella fra nebbie d'incenso e palpiti di preghiere; e quando par che vacilli, un'invisibile mano aggiunge l'olio nel vaso. Fu tolta l'immagine sacra, nudata al suo posto la crosta grigiastra del muro: non guarda il muro e non ode; ma innanzi a lui cieco e sordo sempre arde nell'ombra la lampada. Veglia essa in fede, attendendo che tu ritorni al suo fervore, o Sposo: e quando par che si spenga, l'amore immortale alimenta in silenzio la fiamma. Al tuo piede che mosse, sicuro e diritto, nell'ora giusta, verso di me: alla tua mano che venne a calcarsi, nell'ora giusta, sulla mia spalla, e l'impronta restò nelle carni: ai tuoi occhi che bella mi videro, giovine e bella fra tutte le donne, e il mio viso restò nella retina: alle tue labbra che tutta mi bevvero, e ogni bacio mi uccise e da ognuno rinacqui: al tuo cuore che in sè mi nascose, e nulla io più seppi se non il suo palpito: grazie sien rese in ogni ora del tempo, pel corpo, per l'anima, per l'eternità. E grazie sien rese in ogni ora del tempo anche alla tua crudelissima morte, che ti fece per me più alto e più fisso dei monti, più chiaro e più fisso degli astri: che t'inchiodò nell'immoto per me, per me sola, disperatamente per me. Quando ti avrò raggiunto sulla sponda del fiume di luce, e tu mi chiederai che ho fatto tant'anni senza di te, io ti risponderò: Ho continuato il colloquio. Tu riderai per dolcezza tutto il riso de' tuoi bianchi denti, e cingerai le mie spalle col tuo gesto securo di despota. E lungo i prati di viole che fioriscono solo pei morti continueremo il colloquio. Calmo pallore di luna sui bastioni ove fummo felici negli abbacinanti meriggi, o Amato: e allora il sole senza tramonto ci parve, senza agonia l'estate. Freddo pallore di luna con ombre oblique d'un nero azzurrigno d'inchiostro, con alberi spogli scolpiti ciascuno in un gesto di spasimo. O Amato, ove sei ora?… e quale mare senza riva inghiotte i pianti della mia disperazione?… Dopo sì lungo soffrire, “ pace ” implora il sereno pallor della luna: pace al cuore ancora vivente, pace al cuore che non batte più. L'ignoto che passa e ti trova ancor degna d'una fuggevole parola di desiderio, forse perchè nell'ombra della sera sì dolce di maggio ancor ti splendono gli occhi, ancora ha vent'anni la snella figura guizzante, non sa che fosti amata, da colui che amasti amata, in piena e superba letizia di amore, e non hai membro e non lembo di carne e non atomo d'anima che non rechi indelebile un segno di amore. Che tu vivesti soltanto per amare colui che ti amava, — e il resto non importa, — e che neppur se volessi potresti strappare da te questa veste intessuta di amore, tua come il sangue dentro le vene, come il midollo dentro le vertebre. Egli, ignaro, in te non più bella, in te non più giovine, saluta la grazia del dio: respira, passando, in te non più bella, in te non più giovine, l'aroma prezioso del dio: sol perchè in te lo porti, reliquia dolce all'ombra d'un sacrario. Taci, fatti piccola piccola, avvolgi di veli il tuo viso, vattene e non guardare il geranio sulla finestra, il convolvolo al cancello. Chiudi i sensi al calore del sole che chiama a fiore delle vene il sangue, chiudi il cuore al respiro dei campi che maturan la mèsse come grembo il figlio. E se a uno svolto di siepe t'incontri a viso a viso con una coppia d'amanti pallidi e lenti per felicità, e raccolti un nell'altro come in confessione, oh, balza indietro, oh, càcciati nel primo folto di spini che ti nasconda, oh, sparisci dentro la terra, per non vederli, per non ricordare che ancor ieri tu fosti una donna, e annegavi ridendo e piangendo nel magnifico amplesso del tuo Uomo. Creatura, tutto da te fu udito: nulla più ti rimane da ascoltare. Tutto da te fu sofferto in patire e in gioire: nulla più resta per le tue lagrime e pel tuo riso. Dilèguati senza dire addio, con passo che non tocchi terra, non guardando, dietro le pàlpebre chiuse, che i tuoi ricordi dentro di te: nessuno si avvedrà del tuo sparire, e tu non farai partendo più rumore dell'ombra d'un'ala di rondine. Vi fu dunque un tempo nel quale il tuo cuore tremò di delizia mirando le rose sbocciare nel sole, e, come le rose al sole, si aperse all'uomo in tutto lo splendore e l'ardore del sangue?… Creatura, calato è il velo, spento il desiderio, rotto il rapporto fra la tua vita e l'umanità: cerca il cancello ch'è in fondo alla strada, non hai che da spingere: la Taciturna che veglia unge d'olio ogni notte i suoi cardini.
Nei giardini del silenzio ove stai, calmo e solo, in disparte, una notte io ti porterò questa mia povera anima fedele che non può vivere, che non può vivere se non nell'ombra della tua ombra. Gigante sarà la tua ombra, ma sì dolci, sì teneri gli occhi. Non oserò dirti parola. Non oserò chiederti, o mio Amato, perchè sei scomparso così, senza dirmi addio. Me ne starò tutta quieta ed umile, ai tuoi ginocchi. Oh, pur che tu non mi mandi via, pur che tu le tue grandi mani m'imponga sul capo, in pace, per l'eternità!… Tratterrò in gola il respiro per non turbarti. Io sola accanto a te solo: su noi un palpito azzurro di stelle, e il vuoto, e l'assenza del tempo: forse, la verità. Via della Passione breve diritta deserta chiusa in fondo dal tempio che splende qual torcia, nel rossoviolaceo fulgor del sole a tramonto. Tramonto di marzo con sentor di viole nell'aria. Bianco l'asfalto, ed arido, tra file di case senza sguardo. — Non passa nessuno. — Cielo sereno che smuore, tempio che arde che arde. Via della Passione, ecco la tua sorella di carne al par di te deserta nel tramonto senza speranza. Somiglia il tuo tempio al mio cuore che arde in solitudine e nulla attende in premio dell'ardore. Ritorna la primavera, venuta è con l'aspro vento, ha pieno di gèmmule il grembo, non per me, non per te!… Noi taciturne vegliamo il sogno che non vuol morire, mentre gli uomini vanno per altre strade, ed il cielo lontano non vede, e la terra non sente. Quando la notte sarà caduta io m'accovaccerò rasente il muro, come una cagna sperduta; e l'ombra senza nome confonderà la mia la tua malinconia, via della Passione. Omio geloso bene, torrida nel ricordo, canicolare estate ch' io vissi errando trasfusa in gioia nel tuo biancore accecante, nelle tue nozze orgiastiche del calor con la luce, nelle tue notti stellate accese di rapidi lampi!… Trascorsa e pure eterna, unica nella mia vita, per me fiorita dai cementi nervati di ferro, dai colmigni fumanti nell'afa, dagli asfalti bollenti in odore di catrame, dai platani bronzei boccheggianti d'asfissia all'azzurro, nella città che mi vide bella!… Incandescenza immobile dei marciapiedi e di case altissime in fila. Cielo di piombo liquefatto, persiane chiuse celanti ìl languore di femmine seminude distese sui letti in sudore. Botteghe oscure e mute, odoranti di spezie, lattee risa di cocco ghiacciato su glauche lastre di zinco, macchie gialle sulfuree verdicce di frutti e d'ortaggi accovacciati nei fondaci, fontanelle nei crocicchi, giardini chiusi, angoli di freschezza sì radi, si dolci, nell'urbe offerta al sole, penetrata ammalata di sole!… Di voi m'intrisi e godetti nel profondo, acri fermenti di cose e d'uomini, bestialità terribile della città, sete dei tetti e dei lastrici, ridde di polvere a vortici. Tanta luce saziò i miei occhi che abbacinati rimasero forse per sempre. Di tal vampa il mio cuor fu combusto che incenerito rimase forse per sempre. E tu che hai nome dall'aria, datore di forza e di gioia, magnifico Amante comparso scomparso con le prime rose del maggio, coi primi grappoli dell'ottobre!… Ci amammo nella città felice, da lei posseduti e liberi in essa, padroni delle sue piazze simili a roghi accesi per nostro martirio, de' tortuosi suoi vicoli pieni di baci e d'oblìo, de'suoi fosforescenti notturni silenzii, che parvero unire il cielo alla terra nell'azzurro di due firmamenti. Ci amammo come tu fossi l'uomo primo, io la donna prima, nell'alba del mondo. Nulla fu innanzi l'amore, non tempo, non opra, non legge: nulla fu dopo l'amore, fuor che il ricordo. .… O Vita, s'io debba a lungo esserti schiava, se ottundere a poco a poco tu debba le forze per cui mi donasti me stessa, — o Vita, — non togliermi la memoria. Ch'io dentro di me fino all'ultimo serbi la visione e il senso della stagione senz'ombra e senza sonno, specchio fedele alla mia felicità d'esser donna: connubio di due violenze, il mio gioire, il suo ardere. Dolce mi sia l'esser viva se pur non più giovine, solo per riconoscermi, per ritrovare nell'alto splendor del ricordo la mia sostanza solare. Notte, divina notte, non so chi chiami, non so chi pianga, se i grilli o le roride erbe, se l'anima mia o l'anima dell' infinito. Notte, divina notte, ancor tutta intrisa di lagrime per la recente pioggia e così grave di aromi che la mia carne n'è inferma, dietro ombre di nubi la luna cammina cammina cercando la strada che non troverà, la strada della felicità. Notte, divina notte, dimmi ove è nascosto il mio amore: ch'era mio e le mie braccia non bastarono a custodirlo, ch'era mio ed io ero sua e adesso non ho più nulla e non sono più di nessuno. Conducimi passo per passo lungo le vie della luna fin ch' io lo tocchi senza vederlo, fin ch' io lo stringa senza baciarlo, poi che non ha più bocca: e in esso affondi, siccome dentro la fossa una morta, e sia silenzio. Per tutti i pianti ch' io piansi, grazia dei martiri, senso di pace, discendi in me: nel fulgore dell'ora più alta, placata e in ginocchio ti ricevo dal cielo. L'anima tutta chiara si schiude ad accoglierti, e nulla è più in essa che di te non sia degno. O dono di bellezza, così sulle mani talvolta mi caddero i fiori del mandorlo, nei ventosi mattini di marzo. O dono di purità, ma tu, se candido come un fiore, sei forte come la morte. O dono di morte, confessa io sono e comunicata, l'anima è pronta per partire con te senza titorno. Non segua io nel mondo altra legge se non quella dei fiori e degli astri, or che in pace il tuo spirito è in me. La mia voce non entri nei cuori fraterni che coi limpidi accenti di Dio, or che in pace il tuo spirito è in me. Le mie mani sien colme di rose per giuncarne le strade dell'ombra, or che in pace il tuo spirito è in me. Ogni pensiero sia opra ed ogni germe sia frutto ed ogni pianto sia canto, or che in pace il tuo spirito è in me. Domani è aprile, e tu verrai per condurmi incontro all'ultima primavera. Donde verraì, come verrai, non so; ma senza soffrire potrò rivederti. Soave sarà nella tua la mia mano, soave il mio passo al tuo fianco. Occhi d'infanzia i nostri, a specchio innocente del novo miracolo verde. Andremo per orti e frutteti, a capo scoperto nel sole, senza far male ai santi germogli. In punta di piedi, per tèma si stacchin dai rami le rosee farfalle dei pèschi, e trepidi e senza respiro, per non turbar pur con l'aria i fiori dell'ultimo sogno. E di quello che fu della carne, nulla verrà ricordato. E di quello che fu del dolore, nulla verrà ricordato. E quel che è della vita eterna farà pieno di canti il silenzio. Non io tua, non tu mio: dello spazio: radendo la terra con ali invisibili, sempre più lievi nell'aria, sempre più immersi nel cielo, fino a quando la notte ci assuma ai suoi vasti sepolcri di stelle.

Il sole e l'ombra Pag. 1

Il ricordo. 3

La crocifissa 9

Apparizione 11

Sinfonia azzurra 13

Quel giorno 15

Notturno nuziale 17

Il risveglio 19

Trasumanazione 21

Lettere 23

Il silenzio 27

O tardi venuto 29

Il figlio 31

Accettazione 33

Ascensione 35

Il vuoto 37

La follia 39

Grido 41

Il muro 43

Incantesimo Pag. 45

Il costruttore 49

Vertigine 53

Anniversario

La mano (I sogni) 59

Lo sguardo (I sogni) 61

Dialogo (I sogni) 63

La terra 65

La lampada d'oro 67

Rendimento di grazie 9

Il colloquio 71

Quies 73

Il passante 75

La rinunzia 77

Senza addio 79

Nei giardini del silenzio 81

Via della Passione 85

Ode canicolare 87

Notturno della luna 93

Pace 95

Il dono 97

Voto 99

Domani 101