SACRE
RAPPRESENTAZIONI
DEI SECOLI XIV. XV E XVI
RACCOLTE E ILLUSTRATE PER CURA
DI
ALESSANDRO D' ANCONA.

VOLUME III.

FIRENZE.
SUCCESSORI LE MONNIER.

1872.

Comincia la Rapresentazione di Santa GUGLIELMA composta per Mona Antonia donna di Bernardo Pulci, e prima viene l' ANGELO annunziare la festa e dice:

O giusto eterno o sommo Redentore, Che per noi peccator qua giù venisti, Essendo tu del ciel padre e Signore Di queste umane spoglie ti vestisti, E per tua gregge, come buon pastore, In croce morte e passïon sentisti, Fa' ch'io possa mostrar, sol per tua gloria, Di Guglielma beata la sua storia.
Essendo nuovamente battezzato
Alla fè di Iesù il re d' Ungheria, Di tôrre sposa fu diliberato E fe' cercar per ogni signoria; Col gran re d' Inghilterra imparentato Si fu d' una sua figlia eletta e pia, Che fu Guglielma nominata quella, Ornata di costumi, onesta e bella.
Questa Guglielma molti lunghi affanni
Sostenne, e fu nel mondo peregrina, E condannata fu con falsi inganni Nel fuoco, e quella Maestà Divina Liberò questa d' ogni insidie e inganni, Perchè soccorre chiunche a lei s' inchina; Benchè, fussi nel mondo tormentata Si come Iob, alfin fu ristorata.

Il RE d' Ungheria vôlto al fratello e a' baroni dice:

Attendi ben, diletto fratel mio, E voi, baron, la mia voglia ascoltate: Di tôrre sposa è fermo il mio disio, E però l' Inghilterra ricercate D' una che ci dimostra il nostro Idio Adorna di costumi e d' onestate; Guglielma detta, del gran re figliuola.

Risponde il FRATELLO del Re:

Ubidita sarà la tua parola.

Il Fratello del Re e i baroni giunti al Re d' Inghilterra dicono, e prima il FRATELLO del Re:

La fama, serenissimo Signore, Che della figlia tua nel mondo suona, C' induce a supplicare il tuo valore, Mandàti d' Ungheria dalla Corona, Che degni acompagnar con puro core Tua cara figlia colla sua persona Qual dono accetto; se 'l consentirai Ancor lieto e felice ne sarai.

Il RE d' Inghilterra risponde così dicendo:

I' rendo somme grazie al vostro sire Che degna la mia figlia dimandare, E di piacere a quello ho gran desire; Ma vo' con la reina consultare. Fate Guglielma e lei da noi venire Per poter questo caso esaminare.

E vòlto agl' imbasciadori dice:

Assai diletta a noi vostra proposta, E presto renderem grata risposta.

Venuta la Reina e Guglielma in corte, il RE dice prima alla Reina:

Dilettissima mia cara consorte, A noi son d' Ungheria messaggi degni Mandati dal Signor in nostra corte, E priega ogniun di noi che non si sdegni Di dar Guglielma a lui con lieta sorte; Avendo già cercati molti regni, D' amor sospinto, da buon zelo e fama, Guglielma nostra sol ricerca e brama.

Il RE volto a Guglielma dice:

E tu, diletta mia cara figliuola, Se cosi piace a quel che tutto regge, Che da tanto signor eletta sola Nuovamente venuto a nostra legge, Non s' aspetta altro che la tua parola A dar questa risposta a chi t' elegge: Fa' che consenta al tuo diletto padrè, E similmente alla tua dolce madre.

GUGLIELMA risponde al Re suo padre e dice:

Dilettissimo padre e Signor mio, Abbi pietà della mia castitate. Non basta esser promessa al nostro Idio Eterno Sposo di tal degnitate, Al qual servir è vôlto ogni disio? Iesù, merzè di mia verginitate! Io pensai camminar per la tua via; Or non so più quel che di me si fia.

Il RE parla con Guglielma e dice:

Che la verginità sia degna cosa A questo igniun non è che contradica; Ma ben potrai nel mondo, essendo sposa, Operar verso Idio come pudica, Al Re alquanto sarai più grazïosa, Nella fè di Iesù più t' affatica.

La REINA dice a Guglielma:

Se tanti prieghi son degni di grazia, Fa' che tu faccia nostra voglia sazia.

GUGLIELMA consente al padre e alla madre, dicendo:

Per non esser a voi disubidiente, Io voglio a tanti prieghi aconsentire, Benchè disposta fussi la mia mente Vergine e casta vivere e morire; Benigno padre mio, giusto e clemente, Nè debbo o posso a te nulla disdire; Se cosi piace alla tua maestate, Signor, sia fatto la tua volontate.

Il RE fatto chiamare gli ambasciadori, dice:

Udite, o cavalier, la mia parola La qual sia ferma fede per risposta; Benchè Guglielma, a noi diletta sola, Di servir a Giesù fussi disposta, Pur, volendo ubidir come figliuola, Benigna a' nostri prieghi alfin s' accosta: Al Re scrivete la sentenzia nostra, E Guglielma prendete omai per vostra.

Gli ambasciadori rispondono al Re ringraziandolo, e prima parla el FRATELLO del Re:

Quanto conviensi a noi, grazie immortale Si rende a te da parte del Signore Di sì gran don, di tanta sposa, e tale Magnificenzia, con allegro core.

E volti a Guglielma gli danno certi doni dicendo:

Guglielma, a cui null' altra è al mondo eguale, Accetta questi don per nostro amore.

Il RE volto a' suo servi dice:

Fate vestir costei di ricche veste, E ordinate molti balli e feste.

Gli ambasciadori dicono al Re come hanno lettere dal Re d' Ungheria, e prima viene UNO CORRIERE con dette lettere:

Lettere abbiam dal Re di tal tenore Il qual si raccomanda a tua clemenza; La sposa aspetta sol con lieto cuore, E però ci costrigne alla partenza.

Risp. il RE:

Guglielma, ha ubidire il suo signore: A voi sia dato di partir licenza. Quanto gli par, di lei disponga e quando: Sorella e figlia a voi la raccomando.

GUGLIELMA udendo che aveva a partirsi, dice al padre e alla madre inginochiata:

Come potrò da voi far dipartita, Dolce mio padre, o mia madre diletta? Se mai v' avessi offeso alla mia vita Priegovi che da voi sia benedetta. Colui che è somma carità infinita Mi mostri la sua via vera e perfetta; Forteza del mio cor, fidanza e luce, Tu m' accompagna e sia mia scorta e duce.

La REINA benedicendo Guglielma dice:

Benedetta sia tu, figliuola mia; Fa ch' allo sposo tuo sia reverente, In parlar saggia, in fatti onesta e pia, A' minor tutti benigna e clemente.

Il RE aggiunge e dice:

Ricordati di noi dove tu sia, E nella carità sarai fervente; Fa' che tu viva nel timor di Dio.

GUGLIELMA risponde:

Così fia fatto, padre e signor mio.

Giunti apresso al Re d' Ungheria con la sposa, il RE viene incontro a Guglielma e presala per mano dice:

Dolceza del mio cor, diletta sposa, Per mille volte ben venuta sia; Ogni mio desiderio in te si posa, Sommo riposo della vita mia. Domanda se ti piace alcuna cosa: Ogni mia possa è nella tua balia.

Risponde GUGLIELMA al marito:

Altro non vo' se non ch' io chiego grazia Ch' i' facci, signor mio, tua voglia sazia.

Qui si fa festa, e fornite le nozze, il RE dice, vôlto a Guglielma e a' baroni, che si facci limosine, e a' templi si vada a render grazia a Dio:

Poi che fornite son di celebrare Le nostre noze e' lieti sposalizi, Conviensi e' sacri templi visitare Con degne offerte e con divini ufizi, E a' servi di Dio offerte dare, Acciò che questi giorni sien propizi; Queste richeze son ben di fortuna: Al mondo chi più può sì ne rauna.

Vanno molti poveri per limosine, e quello che le dispensa, facciendo calca, poi che l' ha date, il SINISCALCO dice:

Andate, poltronieri, a lavorare; Ciò che si dona a voi gittato è via.

Un POVERO dice:

La carità non si vuol rimbrottare: Ancor non sai di te quel che si fia.

Il SINISCALCO dice:

Brutto poltron, non ti vidd' io giucare? Tu cerchi ch' io ti cavi la pazia.

Un ALTRO POVERO dice:

Pazo se' tu, a darci questi doni.

Il SINISCALO:

Aspetta un po', tu vorrai ch' io ti suoni.

Il Re con Guglielma levàti di sedia vanno al tempio adorare; GUGLIELMA veduto un crocifisso, si volge al marito e dice molte cose della vita e passione di Cristo, e finalmente lo induce che vada in Ierusalem a vedere il Sepolcro:

Vedi qui, sposo mio, quel Signor degno Per lo qual l' universo fu salvato, Il quale avea pel trapassar del segno L' antico padre all' inferno dannato, Quando gustò di quel vietato legno Sendo nel paradiso collocato, Venuto a sodisfar l' altrui delitto, Come ciascun profeta aveva scritto?
Essendo re del cielo, in terra scese
E volse della vergin incarnare; Sopra di sè nostre miserie prese, Fame, sete, dolor volse gustare. Quanto di dolce amor per noi s' accese! Povero, per far noi nel ciel posare, Peregrinando qui trentatrè anni, Nel mondo e nel diserto in tanti affanni.
Dalla sua gregge fu il pastor tradito
E dato a quelli scribi e farisei; E fu da Erode e Pilato schernito, Battuto da que' perfidi giudei: Confitto in croce, dove fu sentito Pregare il padre per que' falsi e rei; Sepolto, suscitò po' el terzo giorno, E tornossi nel ciel di gloria adorno.
Or pensa, signor mio, quel che sarebbe
Veder cogli occhi quel ch' ascolti adesso! Quanta dolceza il tuo cor sentirebbe A baciar dove il legno fu commesso! Dove morto Maria nel grembo l' ebbe, E 'l munimento ove Iesù fu messo, E queste e altre sì mirabil cose Che per noi, ingrati cristian, sono nascose.

Il RE commosso per le parole di Guglielma, consente di volere andare al sepolcro, e dice:

Tu m' hai di dolce fiamma il cor sì acceso, Che quel ch' ài detto, qui mi par presente; L' animo a contemplar resta sospeso, Nè altro brama o cerca la mia mente Che veder dove il corpo fu disteso In croce, per salvar l' umana gente. Per tanto son disposto e voglio andare, Guglielma, il santo luogo a visitare.

GUGLIELMA aggiungendo, dice al Re che la lasci andare con lui:

Cosi ti presti grazia il Signor degno, Pur che m' accetti teco in compagnia; Io te ne priego con tutto il mio ingegno Che questa grazia a me concesso sia.

Il RE risponde a Guglielma:

Non è lecito sol lasciar il regno; Però bisogna che in mio luogo stia: Reggerai con giustizia e con prudenza, E non ti pesi questa mia partenza.

Il RE volendo andare, dice al fratello come lo lascia insieme con Guglielma a governare il regno:

Ascolta, fratel mio prudente e saggio, E voi, baron, notate il mio sermone: Avendo al luogo santo a far viaggio, Sospinto per divina spirazione, In questo santo mio peregrinaggio Guglielma lascio alla dominazione, La qual in cambio mio riceverete, E lei come regina ubidirete.

Il FRATELLO del Re veggendolo disposto ad andare, dice cosi:

Poi che disposto se' voler andare A noi debbe piacer quel ch' a te piace; Guglielma penseren sempre onorare, Benchè la tua partita assai ci spiace.

Abracciando GUGLIELMA il marito, nel suo partire dice cosi:

Quel che degnò Tubia d' acompagnare Lui sia tua guida e tua scorta verace.

Il RE volto di nuovo a' baroni dice nel partire:

A dio, vi lascio; e sopra ogni altra cosa Vi raccomando la mia cara sposa.

Partito il Re, il FRATELLO finge di volere parlare con la reina in camera per volere tentarla come innamorato di lei con parole simulate:

Glorïosa madonna, i' ho da dire Cose secrete alla tua riverenza Le qual vorrei sol teco conferire, Se molesto non t' è darmi udïenza.

GUGLIELMA, non accorgendosi dello inganno, consente d' ascoltarlo:

Andian, che mi fia grato di sentire Quel che mi vogli dir la tua prudenza; Più cara cosa, apresso alla corona, Non m' è che di parlar con tua persona.

Il FRATELLO del Re, come si dice di sopra, manifesta a Guglielma il suo amore, dicendo:

Quel ch' io t' ho a conferir, dolce mio bene, È ch' io t' adoro in terra per mia stella; Dicati amor quel che 'l mio cor sostiene, E tu sia savia come tu se' bella.

GUGLIELMA, accortasi del suo disonesto pensiero, si volge a lui, e comandagli che si parta da lei, dicendo:

Omè, dov' è l' amor, dov' è la spene? Se giustizia è, Giesù, difendi quella! Guglielma al tuo fratel vuoi violare? Fa' che sie savio, e più non mi parlare.

GUGLIELMA, partito il fratello del Re, dice seco medesima in camera sola:

Tacerò, lassa, omai si grande offesa Che la reina sia suta tentata? La maestà del re fia vilipesa? S' io parlo, la mia corte fia turbata; O Dio, tu sia mia scorta e mia difesa; Susanna so che fu per te salvata. Io non so che mi far nè che mi dire; Tacerò fin che 'l re debbe venire.

Il FRATELLO del Re partito di camera di Guglielma, adirato e minacciando seco medesimo, dice:

Veramente costei, sol per paura Ch' io non voglia tentarla o farne pruova, Si mostra così brusca e così pura: Che sien fallace non è cosa nuova; Vedren se 'l ciel di lei ha tanta cura; Per vendicarsi, la cagion si truova. Io te ne pagherò; fa, se tu sai, E so che presto te ne pentirai.

Viene uno CORRIERE a una osteria, e dice come il Re è quivi apresso che torna dal sepolcro, che truovi mangiare:

Trovaci presto da far colezioni; Tu piglierai con noi più d' un fiorino: Àci tu starne, pollastri o pippioni?

L' OSTE risponde al corriere:

Messer, ciò che vi piace, e un buon vino.

Il CORRIERE seguitando il suo parlare, dice all' oste:

Egli è qua presso a piè per divozioni Il signor nostro, come un peregrino; Facci goder; tu mi par uom discreto, E serri l' uscio poi chi vien di rieto.1

Viene un CORRIERE in corte, e dice come il Signore è quivi presso:

Sappiate che 'l Signore è qua vicino; Io l' ho lasciato apresso a due giornate A piè vestito come un peregrino; Alla reina sua l' annunzïate.

Il FRATELLO del Re dice agli altri baroni:

Andian, chè noi trovian quel pel camino.

Il CORRIERE detto dice:

Chi mi farà il dover, se voi n' andate?

Il FRATELLO del Re agli altri baroni dice cosi:

Fategli dar quel che vuole egli stesso; Studiate, chè 'l Signor debbe esser presso.

Vanno incontro al Re, e giunti all' osteria, il FRATELLO del Re dice per tutti al fratello:

Serenissimo Re, frate e signore, Quanto felice son pel tuo ritorno!

Il RE non risponde a proposito, ma solo dimanda di Guglielma:

Ch' è di Guglielma mia, perfetto amore? Altro non bramo che 'l suo viso adorno.

Il FRATELLO del Re dice al fratello:

Guglielma ha tanto offeso il nostro onore, Che volendolo dire non basta un giorno.

Il RE irato dice al fratello:

Oïmè, fratel mio, che cosa fia? Che vuo' tu dir della reina mia?

Il FRATELLO del Re seguitando dice al fratello:

Io temo a dirti cosa si molesta; La vita di Guglielma scelerata Poi che partisti, in balli, in canti e festa, Palesemente è stata riprovata Tanto, che a dirlo è cosa disonesta: Tutta la corte tua resta infamata: Se non provedi colla tua prudenza Vituperata fia nostra semenza.

Il RE dice al fratello:

O lasso! è questo il premio e 'l grande onore Di Guglielma, alla qual tutto il mio regno E la dominazione, e la maggiore Sopra tutti lasciàla in luogo degno? Non resterà impunito tanto errore; Fa' che di tanta offesa mostri segno; Io non vo' ritornar, se a sua malizia Sadisfatto non è, fanne giustizia.

Il FRATELLO del Re viene in corte e comanda al podestà che facci morire Guglielma:

Da parte del Signore ecco il mandato: Ti si comanda, fa' che sia prudente, Che la reina, quanto puoi celato, Facci d'aver a te subitamente; Sanza cercar di lei altro peccato Falla morire, e fa' secretamente, Nel fuoco, sanza aver alcun rispetto.

Il PODESTÀ risponde, e va a Guglielma:

Sia che si vuole, il farò con effetto.

Il RETTORE va a Guglielma ad annunziargli la sua morte, pigliando con lei scusa e confortandola:

Regina, il sommo Idio ti doni pace; Duolmi sì duro caso averti a dire, Ma poi ch' al mio Signor, tuo sposo, piace, Pensa che a me è lecito ubidire. Chi tutto vede, sa quanto e' mi spiace: Sappi che mi convien farti morire. Reggi l' animo tuo, come prudente, E verso il tuo Fattor volgi la mente.
E tu, madonna, a me perdonerai
Chè a me troppo molesta è la tua morte. Nessun fuggir la può, come tu sai, Chè a tutti è data alfin questa per sorte; Però l' anima a Dio rivolgerai, Chè presto sarai dentro alla sua corte A posseder quel gaudio ch' è infinito; Dunche, Guglielma mia, piglia partito.

GUGLIELMA piangendo scco medesima, dice:

O sventurata a me! per qual peccato Debb' io, senza cagion, patir tormento? O dolce padre, dove hai tu mandato La tua cara Guglielma in perdimento? Ah crudo sposo, come hai sentenziato Colei che a te non fe' mai fallimento? Per premio sarò data a tal supplicio, Sì come Isach al santo sacrificio.
O padre mio, sol pe' tua prieghi, presi
Isposo, contra tutte le mie voglie; Di viver pura e casta sempre intesi, A noia m' eran le mondane spoglie, Per le qual or sostengo grievi pesi. Finisco la mia vita in pianti e 'n doglie: Misera a me, perchè volli seguire Il mondo lasso, pien d' ogni martire?
Son queste le delizie e somme feste,
Che mi son dal mio sposo riservate?

E vòlta alle serve:

Rendete, serve, a lui le ricche veste, E una nera a me n' apparechiate.

Le serve di Guglielma udito il pianto suo dicono, cioè la

CAMERIERA:

Cara madonna, che cose son queste? Pel tuo lamento siàn tutte turbate.

GUGLIELMA dice alle serve:

E' mi convien da voi far dipartita, Perchè il mio sposo mi fa tôr la vita.

Le SERVE dicono a Guglielma:

Oimè, per qual cagion, madonna mia, Debbi tu esser di vita privata? Merita questo la tua signoria D' aver si ben la corte ministrata? Se non t' è a sdegno nostra compagnia, La morte teco insieme ci fla grata.

GUGLIELMA partendosi dalle serve dice:

Dilette serve mie, restate in pace, Poi ch' io debba morire al Signor piace.

GUGLIELMA andando alla giustizia dice per la via seco medesima:

O infinito amor, padre supremo, Che per me in croce il tuo sangue versasti, Aiuta me, condotta al passo estremo, Sì come Danïel già liberasti, Però che, sanza te, pavento e temo; Pietà, Signor, di tutti e' pensier casti! Da poi ch' io sono a torto condennata, L' anima almen ti sia raccomandata.

Giunta GUGLIELMA al martire, inginocchiata dice:

E tu, Vergine madre, figlia e sposa, S' io merito da te essere udita, Fa' che la tua pietà non sia nascosa A chi con tutto il cor dimanda aita. Benigna madre, io so che se' pietosa, Fa' che l' anima sia con teco unita; Ogni secreto mio conosci scôrto, E come al fuoco son dannata a torto.
Difendi, Signor mio, la mia innocenza,
E in tanta infamia non lasciar morire La serva tua, per la tua gran potenza: Degna, Signore, e' mie prieghi esaudire. Avendo offeso mai la tua clemenza Perdona a me, e non aconsentire Che messa sia in questo foco ardente, Benigno redentor, giusto e clemente.

Il CAVALIERE, udito che era innocente, la domanda della cagione perchè è condennata:

Dimmi, se è giusta la domanda mia, Madonna, la cagion di tal supplicio.

GUGLIELMA risponde al cavaliere:

Sallo colui che incarnò di Maria, Il qual può dar di me retto giudicio.

Il CAVALIERE fa pensiero di liberarla e dice a' compagni:

Io credo certo che innocente sia, E però non facciàn tal sacrificio; I' ho disposto di lasciarla andare, E le sue veste nel fuoco abruciare.

Il CAVALIERE, vòlto a Guglielma, dice:

Perch' io conosco e vego chiaramente Che tu se' per invidia condennata, Però disposti siàn tutti al presente Che tu sia da tal pena liberata; Ma qui bisogna che tu sia prudente, Che in questo regno mai non sia trovata, Perchè, avendoti noi da morte sciolta, Per te non fussi a noi la vita tolta.

GUGLIELMA ringrazia Idio d' essere scampata e dice:

Quanto io posso, Signor, grazie ti rendo, Con tutto il cuor e colla mente mia; Della tua carità tutta m' accendo, Campata ha' me da tal sentenzia ria; Tutta la vita mia servire intendo A te, mio sposo, e mia madre Maria; Fa' che sia meco, sola, sventurata, Ch' io non sia dalle fiere divorata.

Guglielma giunta nel diserto, quasi adormentata, apparisce a lei la NOSTRA DONNA vestita come donna, e non si manifesta chi sia e dice:

Porgimi la tua man, figlia diletta, E sta sicura e non temer nïente; Perchè sia in questo bosco si soletta Sappi ch' io son con teco fermamente; Tu mi se' stata sempre tanto accetta E verso al mio figliuol tanto servente: Mal non riceverai pel tuo ben fare; Però ti vogli alquanto confortare.
Chiunche confesso fia de' suo peccati
Con penitenza e vera contrizione, Di ciascun mal da te fien liberati; Questo è del mio figliuol promessïone; Col segno della croce fien sanati, Perchè di tua costanza operazione Voglian mostri, perchè 'l tempo è venuto Ch' ogni tuo desiderio fia adempiuto.

GUGLIELMA svegliata dice a Nostra Donna:

Chi siete voi che in questo luogo scuro Mi visitate, afflitta in tanta doglia? Tanto nel vostro aspetto io m' assicuro Che da me s' è partito ogni mia doglia; Ditemi il nome vostro aperto e puro, E farete contenta la mia voglia: Siete regina o donna di barone La qual mi date tal consolazione?

NOSTRA DONNA si manifesta a Guglielma, dicendo, e lei non la conosce, se non poi che è partita:

Sappi, diletta e cara mia figliuola, Ch' io son colei che ti scampai dal fuoco; In questo aspro diserto non se' sola, Perch' io vengo con teco in ogni loco. Guglielma, intendi ben la mia parola: Ogni tormento in allegrezza e in gioco Ritornerà per la tua gran constanza, Pur che nel nome mio abbi fidanza.

GUGLIELMA si duole che questa donna sia partita da lei:

O mè diletta mia, dove se' gita? Ove rimango in questo bosco errante? Perchè sì tosto se' da me partita, Che sì benigna ti se' mostra avante? Chi darà più conforto alla mia vita? O benigno Iesù, fammi constante! Qui non è cosa da poter cibare, Nè dove io scampi più non so pensare.

Partita Nostra Donna, vengon duo ANGIOLI a confortar Guglielma, e messala in mezzo dicono a lei:

Dimmi, sorella mia, per qual cagione Cosi ti mostri afflitta e tribulata? Dunche non credi alla promessïone Della regina che t' ha visitata?

GUGLIELMA risponde e non gli conosce:

I' son sì piena di confusïone Ch' altro che morte a me non è più grata.

Dicono gli ANGIOLI a Guglielma:

Se t' è in piacere, insieme in compagnia Con esso noi piglierai la tua via.

Giunti a uno certo luogo, truovano uno padrone di nave con certi compagni a sedere, e UNO di quelli duo angioli chiama il detto padrone e dice:

Ascolta un po', diletto fratel mio, Da parte di Iesù nostro signore; Questa donzella gran serva di Dio Fa' che tu guidi, e fagli grande onore, Dove sarà più vòlto il suo desio, Perchè l' è donna di molto valore, E tu sarai da lei ben premïato.

Il PADRONE risponde a quelli angioli, non gli conoscendo:

Io l' accompagnerò, s' i' son pagato.

GUGLIELMA ringrazia quelli angioli e dice:

O dolci frate' mie, diletti e cari, Da parte del mio Idio grazie vi rendo; Ma di che pago s' io non ho danari, E questo, altro non vuol, s' io ben comprendo?

UNO di quelli angioli gli dona uno anello a Guglielma, dicendo:

Ricevi questi don nel mondo rari. E vòlto al padrone:

Con questo paga: a te, padron, commendo Costei, che per mio amor l' accetti e degni, Per la qual tu vedra' mirabil segni.

Uno ANGIOLO rivolto a Guglielma dice:

E tu, sorella mia, camminerai Con questa scorta e buona compagnia, Tanto che in questo bosco troverrai Onesto albergo, qual tuo cor disia; Quivi lo sposo tuo presto vedrai, E 'l suo fratel sanato da te fia Manifestando a te suo falsi inganni; Poi sarai ristorata de' tuo affanni.

GUGLIELMA si lamenta che quelli duo giovani si vogliono partire da lei:

Omè, misera a me, ch' io mi credetti In castità la mia vita posare, Servendo sempre a Dio con puri effetti; Or altra via mi convïen cercare! S' e' giusti prieghi mia vi sono accetti Non vi sdegnate a me manifestare Chi siete, e 'l nome vostro mi direte, E di me sempre vi ricorderete.

Rispondono quelli ANGIOLI a Guglielma:

Ancor tempo non è manifestarti Il nome nostro; ma presto il saprai; E verrai ad abitar in quelle parti, La casa nostra e 'l paese vedrai; Piacciati sol con questi acompagniarti, Ch' al fin sicura in porto arriverai; Sarà con teco l' aiuto divino: A noi convien seguir altro cammino.

Partiti di nascoso quelli duo angioli, GUGLIELMA dimanda il padrone e i compagni se gli hanno veduti:

Misera a me, areste voi veduti E' mia diletti e cari buon fratelli? Ecco, sanza cagion, ch' io gli ho perduti! O lassa a me, dove ritrovo quelli? Sarebbono fra voi costà venuti? Io sarei sol felice di vedelli.

Risponde il PADRONE:

Veduto non abbiàn se non te sola; Credi per certo alla nostra parola.

Partiti gli angioli, GUGLIELMA conosciuto chi erano, si duole seco medesima e dice cosi:

O divina bontà, or conosco io Chi son costor che m' hanno acompagnata! Grazie ti rendo con tutto il cor mio, Benigna madre, o mia dolce avocata; Gli angioli santi del tuo coro pio In questo bosco m' hanno visitata: Benedetta sia tu, del ciel regina Che guidi e reggi questa peregrina!

Il PADRONE priega Guglielma che voglia sanare un suo compagno amalato:

Poi che tu se' con Dio in grazia tanta, Piacciati a quel benigno supplicare Che degni, per la tua orazion santa, Questo misero infermo liberare, E, se di tanto don tuo cor si vanta, Per tuo servo fedel mi vo' legare.

GUGLIELMA risponde e dice:

Se tanta grazia vuoi ch' io ti concedi, Bisogna che tu creda quel che chiedi.

GUGLIELMA fa orazione a Dio e sana quello infermo:

O gran monarca, o signor giusto e degno, Che la tua serva già servasti in vita, Dolce avocata, del mio cor sostegno, Per tua somma clemenza, ch' è infinita, Piacciati d' ascoltar el priego indegno, Sì che la prece mia sia esaudita; Concedi a me, Signor benigno e grato, Che questo infermo sia per me sanato.

Lo INFERMO sanato da Guglielma dice:

Che dono è questo, immenso eterno Idio, Ch' ài dimostro oggi a questo peccatore? Quanto più posso, con tutto il cor mio, Io rendo grazie a te, giusto Signore; E sol disposto è ogní mio desio D' abandonare il mondo pien d' errore Per seguitarti, Signor giusto e degno, Poi m' hai mostrato sì mirabil segno.

Il PADRONE dice a Guglielma che la vuole menare a uno monasterio dove lei potrà dimorare:

O venerabil donna, se t' è a grato Nel mio paese con meco venire, Un luogo molto accetto t' ho trovato, Volendo sempre al tuo Signor servire, Di sante donne, e molto nominato, Dove potrà la tua vita finire.

GUGLIELMA risponde al padrone, e vanno a detto munisterio:

Servire a Dio è la mia intenzione, Ma non costretta alla religïone.

Giunti al munistero, il PADRONE dice alla Badessa:

Reverenda in Iesù madre diletta, Perch' io ti porto grande affezïone Io t' apresento questa serva eletta Che di farti felice fia cagione; Perchè l' orazion sua è tanto accetta A Dio, che sanato ha molte persone; Avendo contrizion de' lor peccati Di ciascun mal da lei son liberati.

La BADESSA accetta Guglielma e dice:

Sempre il signor Iesù laudato sia! Di tanto dono a te grazie rendiamo; Se ti piace la nostra compagnia Qui per nostra sorella t' accettiamo; Intendi ben, dolce figliuola mia: Qual esercizio vuoi che noi ti diamo?

GUGLIELMA risponde alla Badessa:

Io saprei Idio pe' peccator pregare, Ogni vil esercizio ministrare.

La BADESSA dice a Guglielma:

Assai mi piace, diletta sorella, Che tu sia tanto bene amaestrata. Ma che vuol dire, o qual cagion è quella Che tu sia in queste parte capitata, E come il nome tuo donna s' appella, Da poi ch' apresso a Dio se' tanto grata?

GUGLIELMA risponde alla Badessa:

Sappi ch' io son chiamata peccatrice; Altro non so di mia vita infelice.
Troppo lungo sarebbe il mio sermone
S' i' volessi mia vita raccontare; Nè della mia venuta la cagione, La patria e 'l nome mio non ricercare. Presto sarà di Dio promessïone Che tutte l' opre mie saranno chiare; Iesù, figliuol di Dio, che tutto vede D' ogni processo mio vi facci fede.

Vengono molti poveri amalati al munisterio a Guglielma che era alla porta guardiana, e uno povero dice a Guglielma gli dia limosina. Lei fa orazione, e quivi sana attratti, ciechi e molti infermi, i quali sanati, fanno festa e gettono via le gruccie, e UNO di quelli poveri dice:

O santa donna, per l' amor di Dio Questo cieco ti sia raccomandato.

GUGLIELMA risponde al povero:

Danar non ho da darti, fratel mio: Per te pregherò Idio che sia sanato; Fa' che tu volga a quel ogni desio, E sia contrito d' ogni tuo peccato. Benigno Idio, benchè il mio priego è indegno, Mostra per la tua serva qualche segno.

Il FRATELLO del Re d' Ungheria amalato di lebbra per giudicio di Dio, viene dinanzi al fratello così lebbroso, e mostrando la lebbra dice così, pregandolo lo facci curare:

Omè, signor, abbi di me pietate! Vedi l' ira di Dio e 'l gran flagello. Tutte le carne mia son tormentate, Non dispregiare il tuo carnal fratello.

Il RE vòlto a' suo servi dice:

Andate, servi mia, e raunate De' medici il collegio, e fate a quello Con diligenzia il caso manifesto, E quel che si può far, si faccia presto.

Va UNO servo a chiamare molti medici, e dice:

A tutti voi, dottor di medicina, Di comandarvi ci è stato commesso Che voi veggiate con vostra dottrina Un caso che vi fia narrato apresso; Tutto di lebbra molto repentina Il fratel del Signor si truova opresso. Venite questo caso a disputare.

Uno MEDICO risponde per tutti gli altri:

E' si provederà, non dubitare.

Giunti e' medici dinanzi al Signore, veduto il segno e guardato l' amalato, dice UN di loro allo infermo:

Questo è un caso assai di grieve pondo E bisogna proceder con lunghezza, Come Avicenna tocca nel secondo, E Galïeno molto il caso apprezza; Ma non temer, ch' alfin tu sarai mondo, E sarai medicato con destrezza.

Un ALTRO medico dice allo amalato cosi:

Maninconico sangue è questa offesa, E non si cura sanza grande spesa.

Uno SERVO dice al Re che mandi via e' medici, e che meni il fratello a una donna che fa miracoli a uno munisterio, che era Guglielma:

Perdonami, Signor, s' i' sono audace: E' non ci è uom che abbia intelligenza; Questa scïenzia lor mi par fallace, Medicon tutti sanza conscïenza. Tristo a colui che nelle lor man giace! Alfin la borsa n' ha la penitenza; Lunga o mortal fanno la malattia; Credilo a me, Signor, mandagli via.
I' ho sentito, tal ch' io ne son certo,
D' una serva di Dio mirabil cose, La quale sta vicina a un diserto, Che, con l' opere sue maravigliose, A molti ciechi nati ha gli occhi aperto, Tanto le prece sua son grazïose; E sordi e muti ha liberati assai; Buon per costui, se tu mi crederrai.

Il FRATELLO del Re dice al Re che lo meni a quella donna:

Io ti priego, Signor, s' io ne son degno, Che ti piaccia menarmi al santo loco; Bench' io sia peccator misero indegno, Vedi ch' io mi consumo a poco a poco.

Il RE dice al fratello:

I' son cotento, e vo' lasciar il regno, Pur che questo pensier tuo abbi loco.

E vòlto a un barone, dice:

E tu reggi e governa, infin ch' io torni, Ch' a mio giudicio saran pochi giorni.

Giunti al munisterio dove era Guglielma, non la conoscendo, il RE la priega ch' ella voglia sanare il fratel lebbroso, e dice così:

La fama della tua gran santitate Ci ha fatti, immensa donna, a te venire; Abbi di questo mio fratel pietate Qual è lebbroso, e vive in gran martire; Se tu gli renderai la sanitate Tutti e' sua di desidera servire A quel che in croce fu morto e deriso; Nè io sarò da te già mai diviso.

GUGLIELMA risponde al Re, mostrando non lo conoscere:

Io non posso per me tal grazie fare, Ma il mio Signor è ricco, e sua potenza Quando gli piace, può manifestare; Contenta son pregar la sua clemenza Che gli piaccia costui voler sanare; Ma bisogna che dica in tua presenza Se in sua vita t' avessi offeso mai, E per mio amor tu gli perdonerai.

Il RE dice a Guglielma:

Io lo imprometto a te liberamente, Donna, di perdonargli per tuo amore.

E vôlto al fratello dice:

Di' su, fratel, e non temer nïente, Confessa apertamente ogni tuo errore. Parato è sempre Idio a chi si pente Di perdonargli, come buon signore; Se da Iesù vuoi essere esaudito Parlerai chiaro, acciò che sia sentito.

Il FRATELLO del Re manifesta come accusò Guglielma e chicde perdono:

Io non so come io debba cominciare A far qui manifesto il mio peccato, E come tu mi possi perdonare Avendoti, fratel, tanto ingiuriato. Tu sai che mi lasciasti a consigliare Colla reina del tuo principato, Quando la terra santa visitasti, E quella a me molto raccomandasti.
Io finsi di voler parlar con lei
Cose del regno, in camera, soletto; Quivi con detti simulati e rei Gli apersi del mio core il grande affetto; Quella che intese tutti e' pensier miei E lo sfrenato amor che ardeva il petto, Temendo che più oltre io non tentassi, Mi comandò che più non gli parlassi.
Venendo incontro a te, subitamente
Mi domandasti della tua consorte; Io l' accusai d' infamia falsamente, Ch' avea vituperato la tua corte; E tanto il mio parlar fu teco ardente Ch' alfin mi commettesti la sua morte, Onde io, volendo al mio pensier dar loco, Quella innocente condannai nel foco.
Non si senti già mai tal tradimento!
La giustizia di Dio quando vien tardi Par ch' ella cerchi poi maggior tormento; Quel fuoco ch' arse lei, convien che m' ardi! Benchè tardi pentuto e mal contento, Convien che tua pietate a me riguardi.

E vòlto a Dio dice:

E tu che vedi ogni pensier nel core, Merzè, merzè, Iesù, di tanto errore!

Il RE stupefatto dice, adirato contro il fratello:

O lasso a me, che è quel ch' i' ho ascoltato! Tanto delitto mai non fu sentito! O disleal fratello, iniquo e ingrato, Come fusti accusarla tanto ardito? Non ti bastava quella aver tentato A te lasciata, e il tuo fratel tradito, Che la sua morte ancor troppo crudele Cercasti, sendo a me stata fedele?

Seguita il RE volgendo le sua parole a Guglielma, stimando fussi morta:

Omè, Guglielma, mia diletta sposa, Non volendolo far, troppo t' offesi, Sanza cercar di te nessuna cosa, Tanto di sdegno e di furor m' accesi! E sendo stata a me sì grazïosa, A' falsi prieghi di costui discesi!

E vòlto a Guglielma:

Ma poi che per tuo amore i' l' ho promesso, Ogni peccato suo gli sia rimesso.

GUGLIELMA fa orazione a Dio per detto lebbroso e sana quello infermo:

O Giesù mio, se nella tua presenza Alcun mio priego mai fu grazïoso, Giunga la tua pietà, la tua clemenza Sopra di questo misero lebbroso: Manifesta a costor la tua potenza, O Iesù dolce, o mio diletto sposo; Nel nome della santa trinitate, Rendi a costui la vera sanitate.

Il LEBBROSO sanato dice in ginocchione verso Idio, ringraziando:

O pietà grande, o carità infinita, Insegna a me ch' io ti possi laudare! L' anima stanca e tutta la mia vita Dolce Signor, a te vo' consecrare! Donna, che se' con Dio cotanto unita, Piacciati pel tuo servo supplicare, Sendo da tal supplicio liberato, Che di cotanto don io non sia ingrato.

GUGLIELMA levatosi e' veli di testa, si manifesta al Re suo marito, e dice:

Dolce speranza, o mio diletto sposo, La tua Guglielma ha' sì dimenticata Che più non la conosci, e stai pensoso? Quella ch' al fuoco per te fu dannata? Non vuol tanto delitto star nascoso, Colui che infino a qui m' ha riservata Il qual, veggendo me nel mondo errare, La mia costanza sol volle provare.
Essendo già condotta al gran supplicio,
Orando verso il ciel divotamente Che mi scampassi dal mortal giudicio, Subito il mio Signor toccò la mente A chi doveva far tal maleficio; Onde e' mi disson che secretamente Io me n' andassi, e sol arson le spoglie, Mostrando sadisfare alle tue voglie.
Io mi parti' senza saper la via
E molti di pe' boschi camminai; Quivi fu' visitata da Maria; Apresso a lei, duo angioli scontrai I quai mi dierno onesta compagnia, Tanto che in questo loco capitai; Dove sanate abbiam molte persone, Tanto è piaciuto a Dio nostra orazione.

Il RE riconosciuto la sua sposa Guglielma, e inteso come era scampata dice seco medesimo e a' servi:

Io non so s' io mi sogno o s' io son desto, O s' i' sono smarito per gli affanni. O alto immenso Idio, che dono è questo? Tu puoi in un punto ristorar molti anni. Faccisi a tutti il caso manifesto; Chè più s' allegra ne' celesti scanni D' uno spirto beato fra gli eletti Che di novanta nove son perfetti.

E vòlto a Guglielma dice:

Perdona a me, ben ch' io fussi ingannato Da questo crudo mio fratel carnale, Il qual sanza cagion tu hai sanato, Che mi fe' verso te si micidiale: Piacciati supplicar pel mio peccato Colla tua orazïon che tanto vale.

GUGLIELMA risponde al Re suo sposo:

Ogni tua colpa a te perdoni Idio, Ch' io ti perdono, o dolce sposo mio.

GUGLIELMA allegra d' avere ritrovato il marito, dice al Re e a Dio:

Quanto fu trista nella mia partita L' anima che senti l' ultime pene, Tanto è lieta e felice la mia vita, Ritrovato in un punto ogni mio bene; E di tanta dolceza, ch' è infinita, Io rendo grazie a tue virtù serene, O alto, immenso, o increato Idio: Quanto se' tu benigno e giusto e pio!

Quel LEBBROSO ricognosciuta Guglielma, pigliando scusa dice:

O santissima donna, onesta e degna, Come sarò con Dio giustificato, Che colei ch' io tradi', oggi si degna Per la sua orazïon, ch' io sia sanato? Benchè la voce di parlarti indegna, Perdona a me, vil peccatore ingrato.

E vòlto al fratello dice:

E tu, fratel, da parte di Giesue, Perdona a quel che sì crudel ti fue.

Il RE vòlto al fratel dice:

Poi che 'l Signore a te stato è clemente, Anch' io con teco voglio esser cortese, E la reina qui benignamente Ha perdonato a te sì grande offese.

Il RE vòlto a Guglielma dice:

E tu, Guglielma mia, sempre ubbidiente, Per ritornarti nel nostro paese Buona licenzia piglierai da quelle Benigne suore, a te madre e sorelle.

GUGLIELMA avendosi a partire, piglia licenzia dalle monache, e prima dice alla Badessa:

Dilette suore mia, poi ch' a Dio piace Che questo sposo mio debba seguire, Sorelle e madre mie, restate in pace, Con ch' io credetti vivere e morire. So che la mia partita assai vi spiace: A me bisogna a' sua prieghi ubidire; Bench' io parta da voi, con maggior zelo Aspetto ancor di rivedervi in cielo.

La BADESSA risponde a Guglielma, dolendosi della sua partenza:

Io non credetti mai che tanto amore Potessi separare altro che morte; Tu te ne porti teco il nostro cuore; Pensa che 'l tuo partir ci è duro e forte. Ma poi che cosi piace al tuo signore, Colui che regna nella eccelsa corte Ci dia perfetta e buona pazïenza, Dolce sorella, in questa tua partenza.

Ritornansi in Ungheria: il RE monstra Guglielma a' baroni suoi e racconta il caso adivenuto:

Guardate ben se voi riconoscete Guglielma che fu già vostra regina, Che fu nel foco, come voi sapete, A torto condannata, la meschina: Cose maravigliose, sentirete, Per lei mostrate ha la bontà divina, Però che chi dovea quella abruciare, Da Dio spirati, la lasciorno andare.
Menando questo mio fratel lebbroso
A quella donna al santo munistero, Tanto fu il priego suo giusto e pietoso Che fu sanato per divin mistero; Sentendomi da lei chiamare sposo E tutto il caso suo narrare intero, Subitamente risguardando quella La riconobbi al volto e alla favella.

E' BARONI facendo festa di Guglielma, dicono a lei:

Amantissima donna, onesta e grata, O divina bontà, che gaudio è questo? Benedetto colui che t' ha salvata! Quanto ci fussi il tuo caso molesto, O regina Guglielma tanto amata, Chi tutto sa, tel facci manifesto; Di sì gran don, di tanto beneficio Faccisi a' nostri templi sacrificio.

GUGLIELMA si manifesta alle sue serve e dice:

Fidelissime mie serve dilette, Ecco dinanzi alla vostra presenza Guglielma, a chi voi fuste tanto accette, E che piangesti nella sua partenza.

Le SERVE abracciando Guglielma con molta festa dicono:

O Dio del ciel, qual mai di noi credette Veder cogli occhi più la tua clemenza? Qual vive al mondo più di noi felice, Ritrovata la nostra imperatrice?

Il RE vòlto a' baroni dice che vuol lasciare a loro la signoria, e fa dispensare e' sua tesori, e partesi con Guglielma e col fratello che fu lebbroso, per andare in luoghi solitarii a far penitenzia, pe' miracoli che ha veduti dimostrare Idio per Guglielma, massime del suo fratel lebbroso si sanato:

E voi, diletti miei, grazie rendete Con meco insieme al nostro buon Signore, E questi mia tesor dispenserete A' poveri serventi per suo amore; lo son disposto, come voi vedete, Di spodestarmi del regal onore, Da poi che mi dimostra il Signor degno Di farmi ricco assai di maggior regno.
E tutto il resto della vita mia
Ne' servigi di Dio vo' dispensare; Con questa mia Guglielma in compagnia, Ogni diletto uman vo' disprezare.

E vòlto a' baroni dice:

Di voi, baron, sarà la signoria, La qual vi piaccia in modo ministrare Ch' a mia stirpe regal facciate onore, E che sia piacimento del Signore.

Andando pel diserto, dice con Guglielma e col fratello:

Questo ermo sarà il mio regal palazo, Questi cilicci fien le riche feste, Queste caverne fien nostro solazo, Le discipline fien l' ornate veste; O mondo falso, o stolto, o cieco, e pazo Chi delle tue delizie si riveste! A Dio, vi lascio, umana pompa e gloria, E tu, Signor, mi mostra la vittoria.

Dipoi entrati drento in uno romitorio, l' ANGELO viene e dà licenzia:

O voi che siete in questa selva errante, Vita mortal dove non è fidanza, Vedete verso Idio chi è costante, Ch' alfin si truova certo ogni speranza, Come Guglielma fu, degna e prestante, Con sua grande umiltà ch' ogni altra avanza; Felice chi nel mondo è tormentato Per viver poi nel ciel sempre beato!