TRAGEDIA PRIMA

L' amicizia, la riconoscenza, l' ammirazione, tutti i sentimenti d' un cuore in cui vive e vivrà eternamente la memoria del celebre Abate Tommaso Valperga di Caluso, vogliono che da me si pubblichi colla tragedia Erminia l' argomento da esso immaginato e scritto, col successivo abbozzo del modo in cui proponeva egli stesso di trattarlo, e che io ricevei dalle sue mani, come un pegno di quell' affetto ch' egli mi dimostrò sin dagli anni miei primi, costantemente serbatomi senz' altro termine che la sua morte. Sulle tracce da lui segnatemi, l' Erminia fu da prima scritta in ogni sua parte com' egli parve desiderarla; ma, una scelta società di Filodrammatici torinesi avendola recitata nell' anno 1804 dinanzi a numerosa e colta udienza, credei opportuni i fatti cangiamenti, suggeritimi, non solo dall' egregio amico medesimo, ma dalle mie proprie osservazioni sull' effetto prodotto in teatro.

Presa Gerusalemme i 15 luglio 1099, nell' anno seguente, in cui ai 18 luglio morì Goffredo, essendo assediata Meletina, o Melitene, da Donimano, Boemondo invitato a soccorrerla, non senza la lusinga di farsene poi egli Signore, mentre perciò si appressava, sorpreso in marcia da Donimano, gli si dovette render prigione, e rimasene schiavo sino al principio del 1103; nè occorre dire con quanti mila bisanti si riscattasse, non essendo cosa uota abbastanza, che non si possa francamente fingere essere stato liberato con darsi Erminia in iscambio. Per la qual cosa,

Donimano, o sia Danismano, Emir o Amirante de' principali fra' Turchi, Sultano, o Signore, di Nicsàra, o sia Neocesarea, che potrà chiamarsi Re di Ponto, di cui era Neocesarea città precipua (in Natolia), Turco di nazione, di religione Maomettano, prode guerriero, e giovine tuttavia, si supporrà innamorato di

Erminia figlia di Cassano, Re di Antiochia fino al 1098, in cui egli vinto ed ucciso, ella rimase prigione e innamorata di

Tancredi Principe di Apulia o di Puglia, poi Principe di Cilicia, rimasto governatore o vicerè d' Antiochia in vece dello schiavo

Boemondo, suo zio materno, Re d' Antiochia impadronitosene nel 1098, già Principe di Taranto figlio del Re Roberto Guiscardo, figliuolo di Tancredi d' Altavilla, famosissimo cavaliere venuto in Italia e in Sicilia dalla Normandia.

Donimano promette a Boemondo la libertà quando Tancredi gli dia in iscambio Erminia, e Tanoredi di essa non innamorato, sperando indurla a un partito sì convenevole, mentre sapeva che / Donimano la volea sposa, promette lo scambio; ma invano poscia con ragioni adoperatosi a persuadervi Erminia, quando ei si trovava in dovere di darla anche a di lei malgrado, essa dichiarasi che nel proposito di farsi Cristiana vorrebbe anzi la morte che andare in balìa dí un Maomettano. Però Tancredi fa proporre a Donimano che per lo riscatto dello zio domandi ogni altra cosa. Donimano sdegnato minaccia di dar morte a Boemondo. Tancredi risolve di darsi egli stesso a Donimano, che su lui più giustamente sfoghi l' ira, prese le precauzioni onde abbia lo zio ad esser posto in sicura libertà al tempo stesso, ch' ei si darà in potere di Donimano. Erminia non ignara del pericolo, a cui andava Tancredi, sul punto che stava per eseguirsi lo scambio, giunge, colle necessarie cautele anch' essa, a porsi in vece di Tancredi in potestà di Donimano; e, liberato Boemondo, dichiara aver preso veleno, e muore.

Quando concepu questo disegno non avendo ancora alcuna idea di tragedie quali sono quelle del Conte Alfieri, disegnavo di valermi di altro personaggio tolto dal Tasso, cioè di Vafrino scudiere di Tancredi. V. Gerus. XVIII, st. 57 ec., XIX, 57 e seg. E ad ogni modo l' argomento è, più che Alfieresco, Metastasiano.

Avevo preso per luogo della scena Gefira* Propriamente Gefira non è sull' Oronte, ma sopra un minore e non celebre fiume, cho da settentrione scende e mette nell' Oronte presso Antiochia, dopo di essere passato per uno stagno o lago da essa non lontano. Ma Gefira significando Ponti, si può supporre lo stesso nome dato ai ponti sull' Oronte; nè in queste erudizioni conviene che il poeta scrupoleggi, ma sibbene prescelga sempre nomi a tutti noti quanto più si può., cioè ponti, sull' Oronte sei leghe in circa a Grecotramontana (Nord Nord-est) d' Antiochia, supponendo due campi divisi dal fiume, sull'una sponda di Cristiani, sull'altra di Turchi in ugual numero, secondo il convenuto; nell' uno le tende di Tancredi, nell' altro quelle di Donimano, in mezzo un' isoletta, luogo destinato a farvisi lo scambio; i ponti, che vi conducono, rotti a non lasciare che uno stretto passo, ed in vista, perchè l' isoletta non sia esposta al pericolo di sorpresa. Nè però in questa io pensava di condurre tutte le scene, chè la verisimiglianza nol sofferiva; ma supporne parte in un campo, parte nell' altro, dando all' unità del luogo certa estensione, che i più le concedono, e che per trattar questo argomento mi par necessaria.

Pensavo di far Erminia sulla Religione dubitosa in modo a lasciar però luogo di credere, che gli ultimi suoi sentimenti sul morire fossero di vera fede; l' amore altronde esser dovea senza paragone il più forte, e gli scrupoli religiosi, il risentimento di non essere egualmente riamata, e tutte le virtù di donzella reale, servir solo ad abbellire e variare gl' interni contrasti. Tancredi agitato ed alle strelle fra l' affezione al zio, il timore d'essere sospettato volerne ritener il regno, la benevolenza, la gratitudine, la compassione per Erminia, lo zelo per la Religione e i sentimenti d' ogni virtù. Donimano altero e violento non men nello sdegno che nell' amore, non però scellerato, ec. ec.

ERMINIA
TANCREDI
DONIMANO
BOEMONDO
PIETRO
Soldati turchi
Soldati crociati

La Scena è una isoletta sull' Oronte, sparsa di piante. Nel mezzo della scena, un poco elevata, ed a certa distanza, si vede la capanna di Pietro; più vicino, una tomba. Da uno deì lati, fra pianta e pianta, si scopre in lontananza il campo turco; dall' altro lato nello stesso modo il campo cristìano. Ponti praticabili, che conducono dall' isoletta alle tende. Guardie alle due teste dei ponti verso i campi.

DONIMANO in iscena con Guerrieri turchi. Dopo i primi versi entra TANCREDI, che scende dal suo campo con Guerrieri cristiani.

DONIMANO. Egli non viene! ah, fra congedi estremi L' eroe si perde. Egli!… O geloso cuore, Chi ti raffrena nel mio petto?

TANCREDI. Invano Non mi chiamasti in questa sacra a pace, Sacra ad entrambe l' osti, isola eletta. Re di Ponto, che brami? in nome io teco Di Boemon, del mio Signor, che geme Tra' ferri tuoi, a te favello. Io, scelto Da Boemondo alunno e figlio, ond' oggi Solo per lui sto d' Antiochia al freno, Per lui favello.

DONIMANO. Tua verace fama Suona così fra le nemiche genti, Che sui lidi Europei, certo, maggiore Non pria suonò. L' alta tua fama onoro, Tancredi; e in Asia qual cagion vi trasse, Bellicosi Europei, s' entusiasmo D' eroica fede, o sete rea dell' oro, Io nol curo, e nol so: ma so che l' Asia L' arti d' Europa, ed il timore han vinta; Onde in Sion Goffredo, e Boemondo In Antiochia, e mille forti e mille N' ebbero impero. Tutto so; rammento Io tutto, ond' altri nol rammenti; e basti. Ma, se a debole Re fatale esempio Cadde vinto Aladino, ancora resta Più d' un fra noi, che agli stranieri oppone Armi e virtute; e 'l Ponto sa, ch' invano Dov' io mi regno penetrar tentasti. Io vinsi Boemondo; or prezzo lieve, Per uom che regna, al suo ritorno io pongo. Tregua e pace ti chiedo.

TANCREDI. E tregua e pace Chi più di me vorrebbe? Ai molti ardire Diede la morte di Goffredo. Uscito Due volte in campo, tu due volte fosti Indarno vinto; e signoreggi, e pugni, Mentre Aladin, col tuo Cassano, è polve, Caddero!… Mitilene anch' io ricordo, E quella ahi breve ed impensata pugna, Che Boemondo in ferri pose. Sorte Fu : chè tra l' armi il variar di sorte Trovano i Re. La fama a noi non tacque, Creduta appena, qual prometti immenso Dono a Tancredi. Tu la già perduta Speme de' tuoi risorger festi; solo Gerbasti illeso il regno tuo: maggiore Or di te stesso, a noi rendere il grande, Il saggio puoi, che 'n tua balìa la sorte Pose; ed in chi t' ammira una sì viva Fede, sì dolce rimembranza e santa Destar puoi tu, che più securo amico In Asia non avrai.

DONIMANO. La destra in pegno Eccoti, o Duce. Del tuo Re la sorte Da te dipende.

TANCREDI. Ah! qual v' ha prezzo in terra Al magnanimo dono ugual?

DONIMANO. Possente, Indomabile, forte amor quì tragge L' emulator del tuo Goffredo: Erminia A me si renda, e Boemon sia teco. Abbassi 'l guardo? Impallidisci? Ah certo Io poco chieggio agli occhi tuoi! Tu forte, Sprezzi vergine imbelle. Or chi ti rendo M' è noto appieno: il brando suo, l' invitta Mirabil alma, e la sete profonda Di regno in lui conosco; e quanto possa In libertà per la vendetta intendo. Ma Cassano ricordo. Ebbe mia fede Erminia un tempo; e 'l padre suo regnava. La sposa mia tra' ferri tuoi, Tancredi, Scorno dammi e dolore. Il popol freme, Che sua Regina in schiavitù rimira: E fammi desiar sua dolce vista Ragion di stato, e signoria d' amore. Il dissi; a me la rendi?

TANCREDI. Io sento in cuore L' aspra sorte d' Erminia. Io la mia fede Impegno a te: s' ella (chè seco ancora Del grido, or veritier, di dubbia fama Non ragionai), s' ella acconsente, è tua.

DONIMANO. S' ella acconsente ! ella ! ed in sua balía Fora mia sorte?

TANCREDI. Ah ! se tu l' ami…..

DONIMANO. Amore, Fatto giogo in Europa al forte sesso, Quì non serve e non prega. A te la chìedo. Molto offerisco; ed a voi giova. Credi… Non vacillar. In me l' amante or solo Vedi. Non vacillar. Sai qual nemico A te già fui; e Boemondo ho meco. E più s' irrita raffrenata brama.

TANCREDI. La tua fierezza, Doniman, fra l' armi È gloria forse, e quì non l' è. Qual padre M' è caro Boemon: ma trarre a forza Vergine imbelle ad abborrito nodo, Fora atto vil fra noi. Curvo cadente Vecchio, tremante donna, e giovanetto Imberbe, han dritto alla pietà del prode. Veglia su d' essi Iddio. Guerrier d' lddio, Vegliar su d' essi dobbiam noi. Se in Asia Molti de' prodi nostri il voto eccelso Scordar; se in Asia, effeminata e ricca, Si destarono i morbidi costumi; De' tempi iniqui i turpi sensi abborro, E signor di me stesso…

DONIMANO. Ah non illuda Pensier vano il tuo cuor! Vedemmo nei Che sanno appieno di sedur le vie Le asiatiche donzelle: i tuoi guerrieri Non arrossiscon di nemica fiamma; E lo vedemmo noi. Bellezza è tale Costei, che vincer ben l' alma potria D' eroe stranier.

TANCREDI. In me saria delitto Un sol pensier, che di pietà non fosse. Fra la mia lunga pena e 'l pianger lungo, Come avria loco amor? Io troppo appresi A vincere la fiamma, o nel profondo Del cuor tenerla. Amar non posso in terra: Ch' io, l' uccisore di Clorinda, ad essa, Cadente sotto questo acciar, promisi Un pianto eterno, e 'l non amar più mai. In quella tomba, ove Clorinda è chiusa, Stassi l' anima mia. Piansi: ed invano Io piango eternamente. A' voti io chiamo Quì testimon quel cenere adorato: Amar non posso in terra.

DONIMANO. E tu, superbo Guerriero, in testimon quel cener muto Chiami, che in la voragine tremenda Del nulla stassi, e dorme, e non ti sente, O non ti cura? E ch' io cotanto imbelle, Cotanto vil ti creda, onde ti rechi Alto spavento ciò che appena esiste In mondo ignoto, o in nessun luogo esiste? Amar puoi tu la vuota tomba? E deggio Crederlo forse?

TANCREDI. Dalla vuota tomba, Che breve è vita, e che a pugnar si nacque, Imparo, o Re. No, non è ver che sia Spenta l' anima egregia ond' io m' accesi D' un sì nobile amor: ella, dell' opre E de' pensieri miei parte verace, Intorno mi si aggira; ed una gioja, Che non conosci fra vittorie acerbe, Che su te stesso non avesti, or dammi. Eccelsa è pur l' anima tua! Rammenta, Non che nascesti sul trono superbo, Assoluto signor di gente curva Sotto al tuo piede, cui dai vita e morte, E scorno, e gloria con un cenno solo: Ma ch' uom nascesti; che non fansi servi Gli affetti altrui d' uomo al voler; che 'l vile Cuor degli schiavi a tuo piacer lo compri, Ma non lo cangi; che si sdegna e fugge Nobile cuore ad assoluto impero, Se ragion cauta nol rallenta e guida; E che nobile cuore in salma imbelle Vanta colei, ch' or trarre a forza agogni.

DONIMANO. Molto dicesti; io tacqui; ed è pur tempo Alfin che tu m' ascolti. Erminia bramo; Erminia chiedo, e 'l suo dubbiar non curo Ella ritorni al soglio. Il tempo, il nodo, Mia la faranno. Onnipossente sire Io son; ma suolo fecondato e ricco Più di quel suolo u' mia possanza impera Sai che in Asia non v' è; forse delitto È l' imperare agli occhi vostri? E pure Voi qui veniste a conquistar gli imperi; E al poter vostro sol misura e legge È 'l vostro alto voler. Amor delitto Forse è tra voi? Ma chi sa qual m' ascondi Fiamma nel sen, tu che Clorinda amasti, E per culto e per armi a te nemica? Ma per vil donna arse Rinaldo, e vide A lui rivale il fior de' tuoi. Delitti Solo per noi dunque son questi? Al fine Qual biasmo avrai, se libertà ridoni, E sposo, e regno ad infelice donna? Qual è virtù negarla?

TANCREDI. Ella ritorni Volonterosa a quel soave nodo Che teco la legò: e, certo, gioja Somma n' avrà, ch' al suo destino antico Tu la richiami e all' amor tuo.

DONIMANO. Ma s' ella Rifugge?

TANCREDI. Ah non fia mai.

DONIMANO. Rispondi: s' ella Mi sprezza?

TANCREDI. Che dirò? Darti poss' io Quanti tesori ha Puglia, ove lo scettro Tengo tuttor; quanti n' ha pur Taranto, Di cui Signore è Boemon; quant' altri Vanta questa dell' Asia altera parte Posseduta da noi: scegli: negarti Nulla saprò; ma solo al mio volere Fidata, Erminia pur dell' alma serba La libertà; nè torla a lei poss' io: Ch' è sol del cielo il variar gli affetti, E de' tiranni il non aver pietade.

DONIMANO. Altero molto!… pria che cada il sole Io voglio Erminia, o guerra. In quella scelta, Che da te voglio, altri per me favelli. T' appressa, o Re.* Verso la scena. Figlio, e soggetto, il vedi.** A Tancredi.

TANCREDI, DONIMANO, BOEMONDO in ferri. Al cenno di DONIMANO s' avanzan alcune Guardie turche, e fra loro Boemondo.

BOEMONDO. Mi guidate: non reggo.

TANCREDI. Eterno Iddio! Boemondo!

BOEMONDO. Qual voce?

TANCREDI. Il tuo…

BOEMONDO. Tancredi !

TANCREDI. O mio Padre! o mio Re!

DONIMANO. Mira; e risolvi.* Parte verso il campo turco.

BOEMONDO, TANCREDI, Guardie come sopra.

BOEMONDO. O mio Tancredi! Deh ch' io t' oda! ch' io Dalle tue labbra intenda, o scettro o ferri, Quale s' aspetti a me.

TANCREDI. Gl' indegni ferri Lung' ora più non porterai: qual sia Il prezzo, io tosto ritornar vedrotti Sul trono d' Antiochia.

BOEMONDO. Indarno il sangue A conquistarlo, eterno Iddio! non sparsi, Io dunque? ….

TANCREDI. Amore, amor che nulla cura Fuorchè se stesso, il Dio che in l' alme accende Gli occulti sensi, in Doniman ripose. E che non puote immenso amore?

BOEMONDO. O gioja! O non vana speranza! E fia pur vero, Che solo prezzo al mio ritorno ei chieda La sposa sua? Ah no, non fia ch' Erminia Rifiuti e soglio e sposo! ella fra stragi E sangue imbelle preda; ella già sposa Di Donimano un tempo, e forse amante Di Donimano… Ah non celarmi il pianto! Lascia ch' io sparga su tua nobil fronte Il pianto mio. Dodici lune or sono, Ch' io languo; e 'l solo mio pensier soave Fu, che a' miei fidi in te la miglior parte Di me lasciai.

TANCREDI. Tutti i pensieri, tutti In te riporre, a tua virtute or giuro; Giuro all' Eterno che m' ode, alla tomba Sacra a' miei pianti, e al mio rossor, fra l'empie, Fra le orribil tempeste onde va cinta La mia misera vita, ogni profondo Palpito, ogni desire, ogni mia cura Donarti io voglio. Per te sol quest' aura Respirar voglio: per te sol la gloria, Di tua forte costanza emulatore, Bramar, cercar, se pur fia d' uopo, morte. E ch' io di te degno mi muora!

BOEMONDO. Segui; Va, magnanimo eroe. Tutta nel petto Tuo quella fiamma, che m' ardeva un tempo, Passi e t' accenda. Onnipossente lddio, Che in lui riviver mie speranze festi, Che riveder mi festi il mio sostegno, Io su lui chiamo la tua forza eterna. Se vinta è l' Asia; se fugati gli empi Miro da questa troppo cara e troppo Misera terra; se Tancredi io sento Re, vincitore, allor morrommi in pace.

TANCREDI. Chi, chi, se cuore in petto chiude, invano Cinger potria l' acciar, dove sì grande Via tu schiudesti alle vittorie? Padre, Ti renda il Cielo a' nostri voti! Ch' io Mio Re t' onori su quel soglio stesso, Ove or mi pose tua sventura; e poscìa Ogni dolor lieve mi fia.

BOEMONDO. La vita È sogno; e l' ore, in cui viss' io, fur quelle In cui vissi alla gloria. Il cuore ardente Là nel campo nemico, e sin tra' ferri, Mi palpitava di vittorie al suono Misto al tuo nome. Te felice! il brando Pel nume che gl' imperi e dona e toglie, E per l' onor che a nobil cuore è vita, Impugni ancor. Rendimi il brando mio, Generoso Tancredi. Ah! senza fama Se scorrer denno i giorni miei; s' io sono Irrevocabilmente imbelle e schiavo; Questo, o Tancredi, fia l' estremo addio.* Parte colle guardie verso il campo turco.

TANCREDI. Ah! no: m' ascolta… O Re dei Re, l' assisti.** Parte verso il campo cristiano.

Aurora che spunta.

ERMINIA con PIETRO dalla capanna.

PIETRO. Tutto è compito alfin: mia mano, in questa Ora d' arcani alta ministra, ancella Te di un culto miglior fece. Ma dove, Vergin real, volgere or cerchi?

ERMINIA. Teco Sia la stessa pietà, che tu m'avesti. Riedi sull'orme tue: lasciami.

PIETRO. E 'l chiedi, Se albeggia appena? appena in orïente Sorge un raggio di luce?

ERMINIA. Ah Piero! i voti D' Erminia tua, le sue speranze in porto Guidasti; non vietar ch' io resti, e sola. Già terminato è 'l sacro rito.

PIETRO. Imbelle E sola ch' io quì t' abbandoni, pria Del nuovo giorno, e fra gli avversi campi? Deh! non volerlo.

ERMINIA. Ah padre! ambi i nemioi Un sacrosanto giuramento astringe A rispettar quest' isoletta.

PIETRO. D' una Donna immortal la sacra tomba, e forse Giusta pietà degli anni miei cadenti Ch' io traggo in queste selve, appien securo Far dovrian questo lido: e pur è lieve D' uom che regna la fè, se Iddio nol regge. Pensaci, e trema.

ERMINIA. Ah! questa, questa è terra Di pace. Quì tu fai dimora. L' opre Famose tue, quando sedevi solo, Tu privato, tra principi a consiglio, Del fatale passaggio autor primiero, Tuo bianco crine ai sacri lauri usato, Quell' eloquenza tua candida e dolce, Rendon secura più la tua capanna Che reggia mai, che mai d' armata gente Campo nol fosse. In te mia sola pace, Il mio conforto ritrovai; nè cuore, In cui si spanda il mio dolor profondo, Altro in terra non v' è. Tu solo udisti Gli affanni miei: che solo a te gran parte Narrai di mie sventure, e te sol vidi Pietosamente piangere al mio pianto. Ma in quel giorno fatal, quel giorno orrendo In cui la patria mia si giacque oppressa, Perdei più che non parve.

PIETRO. Ah 'l veggio! tutta Io non conosco, no, l' ambascia interna, Il dubbio atroce, onde quell' alma tua È lacerata. Erminia, a me tu celi Pensier…..

ERMINIA. Funesto egli è pensier. D' amore Arse, e sposa mi scelse un Re superbo, Il fiero Doniman. Ch' egli, or che pace Libra d' Europa e d' Asia il gran destino, Ch' egli scordi gli amori, il desiato Nodo interrotto, e il generoso sangue Degli avi miei, non sarà mai. Se in dono Negletta schiava il Re di Ponto chiede, Deh! chi mi salva? E chi 'l potrebbe? Oh Dio! Jeri al cader del sol, jeri su questa Terra fors' anche il mio destin fatale Segnò Tancredi; ed al nemico acerbo Preda mi diede misera e negletta.

PIETRO. Dalla fallace opinion volgare Non dipende dei Re l' opra e 'l consiglio.

ERMINIA. A te sol uno de' miei sensi ascoso Tener, no, non vogl' io. Fra quelle tende Del mio Signor non riederò, se pria Il Re di Ponto non riveggo. Un cenno Mio quì lo tragge. Io quì vedrollo: questa La tomba è di Clorinda; è questo il loco… Egli verrà.

PIETRO. Che tenti? incauta!

ERMINIA. Ah mai La dei Re figlia, ah mai non fia, che vada Mista fra donne vil compre dall' oro Mendicando uno sguardo ed un sorriso Da nemico Signor. Nè pure il trono, Il trono seco partir vuo'. Quel cuore Diviso sprezzo, e tutto mio non curo.

PIETRO. Quella increata onnipotenza eterna, Che di climi e favelle appien diversi Tanti popoli strinse in non mai visto Nodo, e gli strinse sì, che un popol solo Fecero; quell' Iddio, per cui giungemmo Il gran sepolcro a liberar, pietade Della tua vita giovanetta acerba Avrà così, che morte, pria che indegne Nozze, t' avrai; d' infido Re consorte Esser non può vergin cristiana.

ERMINIA. Lascia Che a Donimano favellar io possa.

PIETRO. Chi sei, chi fosti, non scordarti.

ERMINIA. Riedi Alle tranquille mura.

PIETRO. In così vero Periglio tuo, mel chiedi invano.

ERMINIA. O sempre Mio dolcissimo padre, un solo istante Dammi; un istante. Fra le rie sventure S' io sospirava la perduta pace, Tu il sai: tu sai, ch' io l' empio culto abborro, E l' empio amante. M' abbandona! Teco Non mi rivegga il mio nemico! e credi, Ben tu 'l dicesti, pria di nozze indegne, Io scerrei morte.

PIETRO. Egli t' amò: la sorte Ti tolse all' amor suo: fors' anche t' ama. In assoluto Re cresce, s' irrita Affetto, che, senz' argine, sarebbe Spento in un dì.

ERMINIA. Dal labbro mio rifiuto Oda solenne; e solo incolpi amore, Se offeso è amore.

PIETRO. È di rifiuto e scorno Eterna la memoria in Re possente. Ei regna…

ERMINIA. Quel, che a me conoscer festi, Iddio de' forti, di Tancredi il Dio, Col soffio atterra de' superbi il regno.

PIETRO. Misera! il ver dicesti. Il voler alto D' Iddio chi 'l vede?

ERMINIA. Ahi! qual dolor m' appare Nelle tue luci?

PIETRO. Veritade eterna, Guidi così gli umani eventi, e solo Intimo palpitar di duolo ignoto Mi desti in seno; e scampo alcun non veggo. Figlia!…

ERMINIA. Ah! 'l sole s' innalza.

PIETRO. Ah ch' io con teco Rimanga!

ERMINIA. Chiedi un' impossibil cosa.

PIETRO. Ministro umìl dell' Increato io sono. Fu suo voler, s' io dell' Europa i forti Condussi in Asia all' onorate imprese; Ma suo voler è pur, che inspiratrice Non dubbia voce entro 'l mio petto sorga Talora, e 'l vero mi si mostri. Erminia, Non irritar costui: non si disperda, Per opra tua, quella che ancor rimane Speme di pace. Erminia, io non discerno Nell' avvenir se non sventure e pianti. Misera!

ERMINIA. Deh! odi…si muove il campo. Vedi, deh! vedi…Doniman?…

PIETRO. Ti guidi Chi dell' opre più occulte il fin discerne.* Pietro si ritira nella capanna.

ERMINIA SOLA. Cenere sacro di Clorinda, dona A me le voci. Oh te felice! amore Mai non sentisti. E pur ti amò Tancredi!… Alcun si appressa. Vil mio cuor, tu tremi?

ERMINIA, DONIMANO dal campo turco.

DONIMANO. Erminia. Oh gioja! e sarà ver? tu chiedi Di Donimano?… Doniman ricerchi?… Di rivederlo ancor brami? sua fede Rammenti ancor?

ERMINIA. O Rè di Ponto, io sono, Io giá tua sposa, or sol nel campo avverso Libera quanto il mio Signor concede; Io di te cerco.

DONIMANO. I giuramenti antichi, Di tuo Padre il voler, tutto, ti fece Parte dell' alma mia.

ERMINIA. Cangiò la sorte: Boemondo mi tolse e padre e regno; E in servitù son io.

DONIMANO. Sei mia: la sorte Dividerne non può. Vendetta anelo A punire dell' Asia i rei tiranni. Nè d' uopo è ch' altri mi vi spinga. Noto Emmi lo scorno de' regnanti; e tutto Nell' intimo del cuor, tutto lo sento. Altri pianga; oprerò. Non sai qual bolle Sdegno profondo, e amore immenso, in questo Non indegno di te fervido cuore.

ERMINIA. Sì, grande sei. Sì, di Tancredi il deguo Avversario tu sei, tu, che dell' Asia Forse il destino hai nelle invitte mani.

DONIMANO. Erminia, cangierassi il tuo destino. Io t' amo: gelosìa, timore, e dubbio Struggon la vita, or che da te lontano Io vivo. Udì Tancredi il mio volere; Nè d' Antiochia il vincitor rivegga Egli, nè pace ottenga mai, se pria Il primo tu pegno non sei di pace, Se mia non sei.

ERMINIA. Ah! che dicesti? Amore, Scordar faratti il tuo dovere? O grande, Più per virtute che per regno, dimmi; Chi tanto traviò l' anima tua Dall' usato vigor? Donna tu chiedi; E cento prodi tuoi gemono in lunga Nemica schiavitù? Donna tu chiedi; E mancano tesori all' oste esangue E al popol tuo, cui rovinosa guerra Toglie l' oro e le messi? Ah! Donna chiedi; E schiave son le tue provincie, e tue Castella son cadute? E chi son io, Onde il danno scemar? Colei non sono, Che 'l ferro invitto in cento petti e cento De' nemici vibrava. Eterno sonno Dorme Clorinda entro la tomba: cadde Uccisa dal fierissimo Tancredi. Ah! vedi, Doniman: io non rivesto Maglia ed usbergo. Questa inutil vita Lascia a' nemici: a lor non giova; poco Giova a me stessa, ed a te nulla. Scorda Il mio servir, l' affanno mio ti scorda; Il bramo, il vuo'. Di tua pietà mi sia Ultimo pegno il non mostrar pietade.

DONIMANO. Pietà non sent' io, no; eccelsa, invitta L' anima tua serbasti. È lieve cosa Caduto regno. Di pietà volgare, Che tua grand' alma sdegnerebbe, oltraggio Non paventar; amore ardente, viva Memoria dell' età che furo, e speme Di vendicare il padre tuo, pietate Non già, m' han spinto.

ERMINIA. Dell' età, che furo, Non riman fuorchè 'l pianto. In Asia, tutto Mutò d' aspetto; e leggi, e culto, ed uso, Sovvertirono i fati. Invan nell' Asia La patria antica tua ricercheresti: Chè d' impero stranier traccia dovunque Vedi; nè i Regi suoi ella rammenta. Che cale al volgo il suo Signor qual sia? Del padre mio, del mio tradito padre Il cener freddo, che di pianto aspergo Là nel silenzio dell' eterna fossa, Le vendette non cura: a questa bella Dell' Asia molle afflitta parte volgi Il guardo, ed odi il voto. Assai di sangue Straniero e nostro, e di qual sangue, oh Dio, Questa terra fu sparsa! Ah! non vendetta; Pace le dona, pace. Al suo Tancredi Boemon rieda: di provincie e regni Egli abbia prezzo; e di mio nome il suono Nel gran momento non s' ascolti.

DONIMANO. Ch' io Te schiava lasci? Ch' io mi sieda in trono Indarno tanto? Ch' io l' affetto mio, Il solo affetto del mio cuor, raffreni E spegna di stranier duce al volere: Chi proporlo ardirebbe?

ERMINIA. Ultima prova, Acerba troppo, del tuo cor si faccia. Il disinganno ti appresento. Tutta La patria tua vittima fai d' amore; E incorrisposto è quell'amore. Tratta Se a forza non verrò, preghi nè pianti Nulla potranno. Tuo dover ti scordi; Rammenta Erminia sua virtù primiera. Il mio voler bramai scoprirti; or l' odi.

DONIMANO. Vaneggi? Audace! … Ah! non è ver, tu fingi.

ERMINIA. Io finger, io? Re, io mi sono…

DONIMANO. Sei?

ERMINIA. A te di culto…

DONIMANO. Ah! trema.

ERMINIA. Avversa io sono A te di culto; ed esser tua nou posso.

DONIMANO. Oh smania ! oh voce ! Infida donna, eterno Scorno, ed eterna obbrobriosa macchia Del sangue tuo! L' antica fè, l' amore Antico è questo? Ove son io? Tuoi Numi, L' avito sangue, il generoso ardire Già tuo scordasti? Ah perchè sacra è questa Terra fatale ! Oh chi mi frena? Viva Tornerai dunque del rifiuto a scorno Tra le italiche tende? Immenso amore Scevro di gelosia vedesti mai? Un tale amor sai tu qual sia? L' onore, La disprezzata mia fiamma, che abborro, Ma vincere non so, del padre tuo La memoria, gli affetti, i giuramenti Del futuro imeneo, fatale imene Che Antiochia veder dovea, sì, tutto, Tutto, mia ti farà. L' estrema volta Questa è, ch' io prego: non udrai tu prego, No, non temer, tu Doniman ritrovi; Quel Doniman, che il vacillante impero Guardò con fronte impavida e tranquilla. Tu pianto non vedrai; tal mi son io, Che ad invilirmi pur non giunge amore. T' amai, molto t' amai; ma sdegno or solo Muovono in me le tue ripulse: sdegno, Con te non già, che or ti conosco, meco, Ah meco solo, chè il mio cuore ardente Sedur lasciai, Perfida ! ah non rispondi? Perfida!

ERMINIA. Non ti chiedo altro che morte: Togli da vita la cagione infausta Di tanto sdegno. Ah Donimano ! Ah sento, Che ben può nulla chi non può morire.

DONIMANO. Ah ! rientra in te stessa. Al tuo rifiuto Io nato pur non mi credea. Sì, t' amo: Tel vedi: invano d' occultarlo io cerco. Ma in Asia io nacqui; a tollerar non nacquì Folli rifiuti, tradimenti occulti Tra femminei deliri, e dell' Europa I lusinghier sprezzabili costumi. Erminia!…

ERMINIA. Oh Dio!…

DONIMANO. È 'l tuo rifiuto?

ERMINIA. Eterno. Eternamente divisi noi siamo.

DONIMANO. T' intesi appien. Va, di Tancredi ancella, E forse iniqua di Tancredi amante, Trionfa! esulta! Ma, che sposa o schiava Io t' abbia mai ( e certo avrotti ), allora Inesorabil proverai l' impero, Che addolcir sol può in Asia, a donna, amore.* Parte verso il campo turco.

ERMINIA. Or chi mi salva, se nol può Tancredi !** Parte verso il campo cristiano.

TANCREDI, PIETRO.

PIETRO. Quai fur, Tancredi, i tuoi voti qualora L' elmo ponesti al crine, e, nella sacra Pugua, messe di gloria e d' alta speme A raccorre venisti?

TANCREDI. Ah ! che mi chiedi? Che di Sion nel glorioso acquisto Il sangue sparso avrei; che il debol vecchio, La vergine, il fanciul trovato avrebbe Suo scampo in me; che dell' Eterno il nome Ad adorar trarrei lontane genti; Che, contro l'oppressor vôlto l' acciaro, Degli imbelli sarei difesa e scudo.

PIETRO. Guerrier d' Iddio, che a ristorare i danni Della sua fede il re del cielo elesse, Te prega, te difesa e scampo chiama Vergine eccelsa in servitù caduta. Salvale fama, il puoi; salvale pace, Che nel cuor sta quando è innocente; salva Il suo sperar di non caduca sorte. Io stesso della sua verace immensa Felicità ministro fui: quel Dio, Che adori, ella in suo Dio scelse, e l' adora.

TANCREDI. Oh sorte! ed è pur vero? un culto solo Hanno Erminia e Tancredi? Oimè! che dico? O Boemondo! o mia vergogna!

PIETRO. Salva Dal turpe giogo delle infami nozze La vergine infelice! Altri non sorse, Fra tanti già che guerreggiaro in Asia, O sprezzator di più fatali imprese, O più eccelso e magnanimo di cuore Che tu non fostì; nè più dolce in terra Alma pietosa più, più grata al cielo, Eroe fra l' armi non vantò giammai. Se alcun' ombra di colpa i tuoi gran pregi In altra età men chiari fece, il solo Error tuo breve fu l' error di un sogno Che si nutre d' affanni, e forza acquista Dal vivo immaginar. A te…..

TANCREDI. T' arresta! Noto mal ti son' io.

PIETRO. D' Asia e d' Europa Il più saggio guerier.

TANCREDI. E saggio in terra Chi superbo si vanta? Ella è cristiana: Ella… non può di Doniman consorte Sedersi in trono. E forse una malvagia Gioja men ebbi… E schiavitute e morte Avrà, son certo, il tuo signore e mio.

PIETRO. Boemon! Boemon! l' invitto, il forte Compagno in armi di Goffredo; il grande Conquistatore d' Antiochia?

TANCREDI. Prezzo Degno d' un tanto eroe! s' offre, si merca D' una vergine imbelle il guardo, il riso; E due forti guerrier bramano a gara, Non la salvezza del maggior tra i prodi, Le lodi no del labbro augusto, un vezzo Di sua vaga nemica.

PIETRO. Ah figlio! ah mio Signor! che intendo? che fec' io?

TANCREDI. Facesti Quanto il ciel t' imponea. La mia sciagura Reco ad un' alta originaria fonte; E ben mi sta. Non mi compianger: pieno D' Iddio sei tu; e l' infallibil vero Più sacro e venerabile riluce Nelle parole tue: di te lagnarmi Nè posso, nè vorrei.

PIETRO. Il mio dolore Tel vedi. Unica speme era di pace Erminia dunque? unico don richiesto Dal fiero Doniman? unico pegno Di libertade a Boemondo?

TANCREDI. Noto Esser ti debbe Donimano, acerbo Nell' odio e nell' amor. Non io starommi In molle pace, ed a colei vicino, Che ahi! per la via della pietà guidommi A tanti opposti e non voluti affetti. Non me sul trono, e Boemon tra ferri, Sapran l' Asia e l' Europa. Erminia e 'l soglio Io d' Antiochia fuggir debbo, e fama Serbar, sprezzando lusinghevol sorte, A cui fia colpa abbandonarmi. Un solo Scampo vegg' io, per cui salvar me stesso, Togliere Erminia a Doniman, l' impero Rendere a Boemon.

PIETRO. Che pensi?

TANCREDI. Il danno Scemár vuoi tu? Forza d' amarmi, dimmi, Hai tu così, che l' obbedirmi grave Non ti diventi?

PIETRO. Obbedirò; m' imponi.

TANCREDI. Quel Dio, che inspira in me l' alto pensiero, Forza doni a tue voci; e, di te meglio, Rigido cuor chi vincer può? T' invio Nunzio al superbo re. Tesori gli offri; Offri terre e castella, e sol l' avita Fè non riceva oltraggio. Inutil credo Ogni offerta minor: troppo vid' io Quanto saldo è costui nell' alto suo Immutabil voler. Ricorda, Piero, Che tuo re solo è Boemon: suoi ferri Ricorda; e al suo tiranno offri Tancredi.

PIETRO. O generoso!

TANCREDI. Emenderan miei ferri L' ignota guerra de' pensieri miei, S' uno n' ebb' io che pel mio re non fosse.

PIETRO. Qual compier vuoi inimitabil atto D' eroico amor? Togliere a' tuoi fedeli In te vuoi dunque?…

TANCREDI. Io Boemon lor rendo; Qual don maggior fare a lor posso?

PIETRO. Il fiero Vincitore conosci?

TANCREDI. A tutti voi Compra pace il mio sangue. Or che più tardi? Libera viva Erminia, e Donimano Sappia ch' io schiavo per altrui mi dono; Nè mi disdegni. Forse in sovra i molti M' alzò la fama; e la mia spada, grave, Impossibil conquista era tra l' armi: S' altro non muove Doniman, gliel' offri. Ma breve sia l'indugio: assai sin ora Penò tra ferri il mio signore; assai Il campo apersi a mal frenata speme. Invan sin ora ogni possibil via Tentai di pace: nel fatal rifiuto Della funesta vergine, maggiore Gli sovrasta periglio. Il padre mio Rendimi; serba la mia gloria; il tuo Dover compisci, e non curar ch' io viva.

PIETRO. Caro mi sei qual figlio. E pure è degno Di te l' amico: il tuo voler s' adempia. No, non ricerco i sensi o vinti, o degni Certo di te, sensi nascosi tuoi; Ma, qual esser si debba il tuo destino, Un sol momento il giusto cielo, o mio Dolce Tancredi, i giorni miei non serbi Oltre il momento, in ch' io vedrotti in ferri.* S' avvia verso il campo turco.

TANCREDI, ERMINIA, PIETRO.

ERMINIA. Ove mi tragge il cuor? Egli quì volse Tancredi.* Si ferma.

PIETRO. Oh! chi riveggo?

TANCREDI. Erminia? oh quale, Qual rimembranza di fallace speme Destami in cuore!

ERMINIA. Deh, Tancredi, ferma! Ferma! m' ascolta un sol momento. Ottienmi** A Pietro. O tu che il puoi, un sol momento. Egli oda Qual io mi celo in cuor tremendo arcano.

TANCREDI. Che mi chiedi? infelice!

PIETRO. Erminia, cessa! Cessa! non più. A Donimano io reco Il voler di Tancredi.

ERMINIA. Ah! non mi fugga, Non mi sdegni Tancredi. I tanti affanni A non chiedere invan lieve conforto Diermi diritto.

TANCREDI. Sua regina il Ponto Mai non vedratti. Testimon ne chiamo Quel Dio, che solo or vede il mio dolore.

ERMINIA. Il tuo dolore! Mi salvi, e sospiri?

PIETRO. Riediti in pace, Erminia, ed, a qual prezzo, Non ti curare di saperlo mai.* Parte verso il campo turco.

TANCREDI, ERMINIA.

ERMINIA. Se hai tu pietà di me, se mi salvasti Veracemente, il tuo voler qual sia Scopri; la sorte, che t' affanna, ah! scopri. L' ultimo don, che ti domando, è questo.

TANCREDI. Compiti sono i voti tuoí.

ERMINIA. Miei voti? Tu non vedesti del profondo cuore L' occulto voto; altri nol vide; e raro Ch' uom s' inganni non è, bench' abbia fama Egli di saggio. Irreparabil danno Forse a te reca la salvezza mia? Forse il tiranno!… Taci? E pur nell' alma Intendo il tuo dolor. Non io m' inganno, Io no: chè d' ogni tuo pensier celato L' arcano intendo.

TANCREDI. Che brami?

ERMINIA. Cagione Del tuo dolore esser dovrei? Che chiedo Alfine io mai! O mio nemico un tempo, Del mio destin io non ti chieggo: chieggo Del tuo dolor.

TANCREDI. È dubbio il fato ancora; E nel temuto evento…

ERMINIA. E dubbio tanto Saresti, e tanto esagitato e mesto, Se te non riponesse in grave affanno Mia fatal libertà?

TANCREDI. Il sol cadente Te in libertade, Boemon sul trono Vedrà; vedrà sulle latine tende Starsi la pace.

ERMINIA. Tancredi! Che narri? Io Doniman conosco. Ah tu ridoni A Boemondo il trono, a me la pace, Se pur tu stesso a me puoi darla; pace Doni all' Asia, all' Europa. Or dimmi, quale Offri riscatto al tuo nemico?

TANCREDI. Donna, Non ricercar di più. Provincie e regni Io conquistai col sangue mio: gran dono A Donimano offersi. Egli…

ERMINIA. Ma regni, Ma provincie e tesori egli non cura, Ch' arde d' amore, e di vendetta. Pria Ch' io 'l creda, io crederommi, invitto eroe, Che tu scordi te stesso. Ah! sì: tu solo In periglio sei tu.

TANCREDI. Lascia i tuoi preghi.

ERMINIA. Non lo sperar.

TANCREDI. Cessa.

ERMINIA. Tua schiava or vedì A' piedi tuoi. Non celarmi…* In atto d' inginocchiarsi.

TANCREDI. Deh sorgi!** La trattiene. Sorgi! ed altri non veda…

ERMINIA. E ch' altri in terra, Se non te sol, io curi? O sventurata! Che dissi io mai?

TANCREDI. Il mio tacer ti nuoce Più che 'l parlar. Deh! generosa, dimmi: A tuo padre, a tuo re, la vita ancora Or non daresti, e libertade, e trono?

ERMINIA. Quai terribili accenti! Oh non prevista Certezza! Tu. ….

TANCREDI. Tancredi esserti pari Brama in virtù, vergine eccelsa; ei degno Di tua pietà serbar se brama.

ERMINIA. E l' odo! A che m' ascondi tua pietà funesta? Sol di me chiese il tuo nemico e mio. Il vidi; e l' alte sue minacce, e 'l fiero Amore udii. Sola io poteva il padre Rendere a te; sola serbarti al regno Che mio fu già: chè, se tu non vincevi Coll' armi, vinto coll' amore avresti. Io sola, io lo potea.

TANCREDI. Tu nol potevi; E questo cuor l' infami nozze, ah! certo, Più che la morte desiata mia, Temea. Tuo culto e mio l' infami nozze Vieta, tel verdi. A miglior sorte l' alma Invitta eccelsa, Erminia, serba. Quanto Serra Antiochia è in tuo poter. Confida In Boemon; nella sua reggia vivi; L' onor, che in quella di Cassano avesti, Avrai: ma, giova alla tua pace, scorda Tancredi, e obblio pietoso…

ERMINIA. Obblio? Pria tomba! Ferri? A te ferri!

TANCREDI. Il tuo rammenta Fedele amico: il tuo signor nol sono, Nol fui.

ERMINIA. Chi mai! e chi d' amore è degno, Se tu nol sei? Chi non andrebbe vinto Da cotanta virtù?

TANCREDI. Che sento?

ERMINIA. Udisti Del cuore il voto. Avermi teco io volli Un solo Iddio: quel Dio non vieta ch' io Solo una morte teco m' abbia, e sia Pietosamente a te congiunta in morte, Se mi sdegnasti in compagnia di vita.

TANCREDI. Ahi momento fatal!

ERMINIA. Al cuor del prode Quanta doni virtù quel Dio pietoso Per te conobbi. Alto stupor destommi Ed alto affetto il tuo sublime culto Sprezzator de' perigli; e quella legge D' amor vittrice, in Oriente ignota, Ebbi in te cara, io che d' amor profondo, Occulto, ardea per sempre.

TANCREDI. Or grave morte Tardi verrà, Tu m' ami?

ERMINIA. Ah! non sprezzarmi, Invincibil Tancredi. Il tuo periglio Trasse dal cuor la voce mia: tacere Io mi doveva eternamente. In donna Virtù qual resta, ove 'l rossore è spento?

TANCREDI. Tu m' ami? Ahi! tanto m' ami?

ERMINIA. E non ti chiedo Fiamma uguale alla mia. Forte guerriero, Piacque in Clorinda a te gloria e valore, Onde il tuo nome al suo gran nome unito Ridicesse la fama. Arder com' io, Uom non potrebbe. L' unica mia cura, L' unico mio pensiero è amore. Amore È nell' aura ch' io spiro; in tutta l' alma, In ogni vena del mio petto, amore.

TANCREDI. Morir per te mi lascia!

ERMINIA. Ah! gloria sola, Gloria ti spinge; amor di figlio, amore Del sacro culto avito. Io non vederti Mai più degg' io; nè al mio dolor profondo Spargi stilla di pianto: imbelle schiava, Superbo eroe, disprezzi. E nou mi volgi L' estremo sguardo! Ed un sospir non odo! Fra 'l non diviso duol, vergogna estrema Toglierammi la vita. Ed una lieve Pietà serbarla a me potea, se pianto A te traeva il lagrimar ferale Che dall' anima nacque. Il tuo disprezzo Soffrir non voglio, l' odio tuo non posso, Odio temuto più che morte assai.

TANCREDI. Odiarti io, come! Odiarti io, mai? Tu schiava, E di Tancredi? Ah! s' io non rammontassi Che tu sedevi in trono allor ch' io m' era Duce alle squadre di Goffredo in campo, Basterebbe del cuor l' occulto affetto, Onde un tuo cenno, un tuo pensiero avesse Ogni mio senso in sua balìa. Se pace Dall' occulto del mio misero cuore Affetto speri, abbiti pace. Io sento L' affanno tuo; chè m' è 'l sentir delitto, E 'l dirtel più. Su quella tomba invano, Molle oimè! di qual sangue, il giuramento Superbo io feci per l' onor, pel Nume, Di nullo amor; e giuramento e fama, E le memorie antiche, or dal pensiero Quel tuo mi toglie lagrimar, che piomba Sul cuore a me. Funesta, estrema gioja Abbiti; e miei sien l' onta e 'l danno. Amata Quant' altra mai, a quell' Iddio che adoro, Al mio signor sì misero, alla fida Memoria mia vivi: tel chiedo; il voglio. A te sian cari i giorni tuoi, se dono Mio son tuoi giorni. Io, ch' esser tuo non posso, Felice in terra esser non so, nè bramo. Pria di vederti la tua fede, il tuo Fuoco tradir colle funebri nozze; Pria che la smania acerba, ahi! lungi tratto Da te, celare ad ogni sguardo io debba Onde fama serbarmi, io morir chiedo: Chè stato egli è peggior di morte.

ERMINIA. Ahi lassa! E, fuorchè morte, non v' ha speme?

TANCREDI. Forse Che a salvar noi, che all' amor mio si doni Di Boemondo il fato; e 'l cener sacro Di chi figlio mi scelse io calpestando All' esecrande mie nozze di sangue Ebbro d' amor ti tragga? E tanto vile, E tanto iniquo ch' io mi sia! Vincesti; Ma di sublime fuoco ardo. Rammenta Che fra gli estremi palpiti, nell' ore Estreme, d' un amor che dal tuo pianto Nacque fra l' armi favellò Tancredi. Fierezza uguale alla sublime cuna Vantasti un dì: tra 'l variar di sorte Serbano i Re la non dal vulgo intesa Ventura acerba d' occupar la fama; Non lo scordare. All' italiche tende Riedi: mia sorte là saprai.

ERMINIA. Che giova? O mio Taneredi! ch'io 'l rivegga, e muora.

DONIMANO, PIETRO, BOEMONDO in ferri fra le guardie. Tutti dal campo turco.

DONIMANO. Va, riedi al campo; al mio nemìco intanto Ch' ogni volere al suo voler quì cede Narrar potrai; e come opra fu lieve Ottener libertate, e pace, e regno A Boemondo. Un troppo caro e troppo Cupidamente sospirato dono Offre al giusto mio sdeguo il tuo Tancredi. D' ira, di gelosia, di rabbia ardente, Fra l' avversa fortuna ingiusta e ria E un disperato ardor, fuorchè di un sangue Che lavi l' onta del fatal rifiuto, Sete aver non poss' io. Se dal tuo labbro Fra brevi istanti fede avrò secura, Mia fede impegno. Va, riedi; tu l' opra Compisci. Al tuo signor non dubbio or doni Pegno dell' arte, onde l' Europa armasti E l' Asia, ed onde fra tue selve ascoso Signoreggiar chi signoreggia aspiri.

BOEMONDO. Furor contro virtude or qui combatte. O tu, che teco mi traesti, parla: A che di morte e di sangue favelli? Qual libertate avrò, tu qual vendetta? Ond' è, che indietro di rivolger pensi L' ora fatale, che mi stava a fronte?

DONIMANO. * A Boemondo.Il saprai. ** A Pietro. Che più tardi? Udisti: parti.

PIETRO. Ah! ti rammenta il mio dover qual fosse,* A Boemondo. Mio Re, quando avverrà per opra mia, Che duol di morte nell' alma ti scenda!** Parte verso il campo cristiano.

DONIMANO, BOEMONDO.

DONIMANO. Re d' Antiochia, nol conosci appieno Questo mio cuor. Nemici sempre acerbi, Toglieste all' Asia voi la gloria antica E il regno ai re. Sofferse il vulgo, tacque; E d' imperar nell' Asia ebb' io rossore. Ma, se l' oltraggio universal dei molti Fremer mi fece, oltraggio mio non soffro. Solo un amore in terra ebbi: colei Ch' essere mia dovea, la da me scelta Sposa, d' indegna fiamma arde spergiura, E regno e sposo e libertà rifiuta.

BOEMONDO. Se ama costei Tancredi, e se l' accese In leggiadro sembiante animo regio, Stupir dei tu? Stupir ben io dovrei, Se a recarti l' eterno alto rifiuto Un folle amor spinto Tancredi avesse. Tu non intendi l' inusata legge, Che il Dio che adoro, a te mal noto, impone. Se all' empio culto Erminia è tolta, udire I preghi suoi fece dover, non scelta, A noi guerrieri delle sacre pugne Quel Dio, che i voti di Goffredo accolsé. Non pure a me, chè mi saria sciagura Lieve, a Tancredi mio costar la vita Suo rifiuto dovesse, ella otterrebbe Il paventato sagrifizio orrendo.

DONIMANO. Ella lo volle; tu 'l dicesti; avrallo.

BOEMONDO. Pietoso ciel! che narri? Egli! Tancredi!

DONIMANO. Sì, n' udrai tu l' estremo addio. Ritorre Erminia volle al fuoco ond' ardo: chiese E ferri e morte; e ferri e morte avrassi.

BOEMONDO. Dimmi, che pensi far? vorrai le mani Lordar nel sangue d' un eroe? Ti spoglia Quella feroce tua mente superba; A me lascia i tuoi ferri.

DONIMANO. Ei per te chiese E regno e libertà. D' Erminia il fato Cangiare ei volle; ei sol morrà.

BOEMONDO. Ch' io m' abbia Egra ed orbata libertade, compra Del sangue mio colla più cara parte? Tu, che l' imponi, or di', crederlo puoi?

DONIMANO. E chi se' tu, che al mio voler ti opponi? Schiavo per anco non se' tu? chi vieta Ad assoluto re libero impero? Alla vendetta mia tutto si dona Il tuo Tancredi. Egli se stesso in pegno Di tua salvezza offerse: i voti i preghi, Suoi recommi il fedel Piero, l' amico Fido così, che a mercar venne i ferri Del suo signore. Io l' odio il tuo Tancredi, Quanto ei m' abborre: all' ira mia se stesso Abbandonò; nè più soave dono Riamato rival farmi potea. Sì, l' ama Erminia: sì, lo danna a morte Quella, ch' io pure vincere non voglio, Immensa e forte possanza d' amore.

BOEMONDO. Nel tuo cuor cieco oh qual geloso annida Impetuoso amor! amor che a danno Di tua virtù sì crudelmente or mostri.

DONIMANO. O tu, che furor tanto in cuor m' irriti, Ai tiranni dell' Asia ignote sono Virtù, per cui turba gli amanti un duce Di forti squadre, un re disprezza il soglio, E tragge a morte Piero il suo signore.

BOEMONDO. E pei tiranni ov' è virtute!

BOEMONDO, DONIMANO, PIETRO con TANCREDI, dal campo cristiano.

TANCREDI. * Vedendo Boemondo si ferma. Ahi! Piero, Il vedi? … Ahi come dargli un affannoso Mortale ultimo addio!

PIETRO. L' addio funesto Fuggir non puoi; il reo tiranno il vieta.

TANCREDI. Il vieta! egli? … Oh quai stanmi al cuore Sdegno, dovere, amore, odio ed affanno !

BOEMONDO. Tu sei? … Ah figlio !

TANCREDI. Io ti salvai; perdona.

BOEMONDO. Ah che facesti!

DONIMANO. Breve ora rimane: Sai tu qual sangue spargere dovea Il non placabil tuo nemico?* A Tancredi.

BOEMONDO. Io sono Stretto tra' ferri tuoi. Salva Tancredi; Ah Tancredi mi dona !

TANCREDI. Ebbi tua fede, E re sei tu; la serba.** A Donimano.

DONIMANO. Io serberolla Al sol cadente. Qual io voglia intendi Alto prezzo da te, ond' io que' ferri A Boemon disciolga?

BOEMONDO. O crudo !

TANCREDI. Intendo.

DONIMANO. Verrai?

TANCREDI. Tel giuro.

PIETRO. Miseri!

BOEMONDO. E ch' io viva! Ah! dell' anima mia tanto il paterno Affetto mai tu non avesti. Ahi! quale, Quale ne resta scampo ? E che facesti?

TANCREDI. È scampo solo lo sprezzar la sorte.

DONIMANO. O Re superbo! eterni ferri, eterno Dolor t' aspetta, se Tancredi in vita Amor rattiene. Raddoppiáti i ferri Sieno a costui. Raggio di luce indarno Ei cerchi; indarno di pietà scintilla Ei cerchi.

BOEMONDO. E ch' io non più vederlo deggia?* Vien tratto via dalle guardie.

TANCREDI. Ahi dove lo traete? ahi dove?

DONIMANO. È questa Vendetta; e di me degna.

PIETRO. Ahi disumano!

TANCREDI, DONIMANO, PIETRO. ERMINIA dal campo cristiano.

ERMINIA. Piero? ah dove se' tu? … Quale mi segue Feral silenzio! E di Tancredi il fato Invano….. Oh vista!

DONIMANO. Or a che vieni?

TANCREDI. O mio Cuore, abbastanza d' angoscia non hai!

ERMINIA. Voi tutti, voi!… Chi mi ritoglie a questo Timore, a questa speme, a questo affanno Del terribil momento?

DONIMANO. Io nunzio vengo De' tnoi trionfi, io stesso.

ERMINIA. O mio Tancredi! Ah ! ti ho perduto.

DONIMANO. Impallidisci? tremi? Tancredi il volle. Io, non curato suo Rival, gli dono Boemondo: e sorte Avrà, qual egli al suo rival la chiese.

TANCREDI. Erminia, non smarrire il tuo vigore. Guerra d' affetti il ridestar che giova? E che far puoi contro il voler del cielo? Tutto è compito.

PIETRO. Il ciel non lascia al caso L' opre mortali.

ERMINIA. Tancredi!…

PIETRO. Deh! vieni; II piangerai tu meco.

ERMINIA. Io l' ho perduto !

PIETRO. Il cuor suo forte il volle; ei scelse, ei solo, Il suo destin.

ERMINIA. Per sempre io l' ho perduto.

TANCREDI. O padre! o Erminia! o mia sciagura estrema!

ERMINIA. Più non vi è scampo. Un tremito ed un gelo In ogni vena mi sento. D' intorno Mi si oscura la Ince: io non discerno, Fuorchè il malvagio; e la minaccia n' odo. Più non vi è scampo.

DONIMANO. Oh degna, altera figlia Di tanti re! ben io seppi nel cuore Più che morte recarti. Il tuo Tancredi, La speme tua, sta in mio poter: suoi ferri Vedrai: e 'l pose in mio poter costui* Accenna Pietro.

ERMINIA. Ah Piero!

PIETRO. Io mel dovea. Quanto mi costi Il mio dover, tel vedi.

DONIMANO. Eroi d' Europa, D' una fallace rinomanza il grido Avidi ambite, e di virtù fastose Noi, gente ignota di straniero mondo, Abbagliar voi credete. Il mio sprezzato. Ardor, il poter mio sprezzató, gioja Malvagia davvi; ed a punirvi è forza, Che il mio fatal rossor morte disperda.

ERMINIA. Barbaro! e tu d' amar non mi dicesti La mia misera vita? E 'l mio dolore, Barbaro! ad insultar vieni? Tel soffri, Mio Dio, tel soffri? nè di tanti affanni T' impietosisci ancor? Nè fulmin cade, Nè s' apre abisso, che strugga, sommerga La schiatta iniqua de' nemici acerbi, Cui giusto Nume debellar non seppe?

TANCREDI. Tanto sdegno deh frena! e non s' oscuri Della invitta tua fama il sacro onore.

DONIMANO. T' ama Tancredi: sì, t' ama, tel vedi, Più de' suoi giorni. Sì, ne godi, esulta; Ma ben io tosto degl' infami amori Cangierò 'l grido in lamentar di morte.

ERMINIA. Me punisci, tiranno! lo l' amo.

PIETRO. Ahi! ch' io Lo vidi.

DONIMANO. Tu?…

ERMINIA. Svenami: io l' amo.

DONIMANO. Irrita Lo sdegno mio. Di voi chi più, chi merta Odio e vendetta?

ERMINIA. Fu 'l tacer virtute, L' amarlo forza.

DONIMANO. Oh! con qual arte rea Insidiosa ei ti sedusse? oh come Egli ti tolse e Nume e patria e sposo E soglio e gloria?

TANCREDI. Io! tanto ardisci?

ERMINIA. Il chiedi, O mio tiranno? Furon l' arti sue Quell' alma altiera, geuerosa, egregia, Che gli scintilla in volto; il valor sommo A niun secondo; e la pietà verace, Che non conosci. L' arte sua fu 'l pianto, Ch' egli spargea su quella tomba, e ch'io Con alto senso rimirava: senso, Con cui mirar mai non sepp' io tuo soglio E tuo funesto imene, e per cui dolce Più lagrimar sariami stato seco, Ch' onnipossente aver con altri impero.

TANCREDI. Ah che dicesti!

PIETRO. O vero amore! o lode ??a!Illegible. First two letters did not print. Deh quale arcano oggi mi sveli?

DONIMANO. Ardi, e m' abborri? Vil pregar d' amante Non udrai tu. Ah! ben facesti; ed ogni Possibil via della pietate hai chiusa.

ERMINIA. Pietà!…sentirla ancor potevi? Dunque Sperare ancora io mi potea? Se resta Memoria in te del padre mio, del mio Già sì felice, or sì penoso stato, Della patria comune e del possente Primo amor tuo, deh! tua pietà richiama; Ti scorda l' error mio, le smanie mie. E chi può sempre raffrenar se stesso, Se in cuor gl' impera un disperato affetto? Fuggir Tancredi mi vedrai; per sempre Abbandonar questa ferale spiaggia, Dov' io conobbi amor. Ma tu deh! rendi Boemondo a Tancredi. Il viver mio, Peggior di morte, tua pietà verace Addolcirammi; e sempre in cuore, e sempre Sul labbro mio starà 'l tuo nome. Lungi Da Tancredi e da te, priva del dolce Padre ch' io scelsi, e che donommi il cielo, Tutti gli affetti miei tra voi divisi Tutti saranno. Ah Donimano! amarti Allor potrei; di quale amor, sentirlo Altri non può fuorch' io: ma, se fra quelli Fieri sospetti tuoì la lontananza Mia crudel non ti basta, or mi trafiggi.

TANCREDI. Cessa, Erminia, i tuoi preghi. Ah! se Ia smania Estrema tua la non voluta fiamma A palesar ti spinse, almen divisa La fiamma tua si sappia; e di noi degna; Affanno a te, non mai rossore arrechi. Per quell'onor, che ti è sol Nume, il giuro, Feroce Doniman: oggi le prime Voci d' amor, oggi vicino a morte Sul labbro mio s' udiro. Amar d' amore Del tuo più dolce, e ben maggiore, io posso La vergine infelice. Il dir che l' amo, Pria che 'l scendere certo entro la tomba Per me già fosse, io nol potea, ch' usato Ai delitti non sono. Il cuor non vinse La sua beltà: chè lei seduta in trono Mirata appena avrei. Tra ferri acerbi L' alma sua forte, il suo dolor, memoria Delle perdute sue glorie, più cara Che a te mai fosse, a me l' han resa. Vita Darei ( per me fia lieve ) ; e torre Erminia Così potessi all' amor tuo! Saperla Io da te lungi vuo': suo cuore averti Tu non potresti mai; misera farla Assai potresti.

DONIMANO. E te misero tanto, O sdegno! far poss' io; misero tanto, Ch' uguagliar mai pietà non possa in terra L' orribile tuo fato. Ella ne muora, Ella d' angoscia; e ch' io morir la veda,… Io disprezzato.

ERMINIA. Ahi barbaro!

PIETRO. Me lasso! No, non è ver, che in ogni petto stia Scintilla di pietate. O Donimano, Gli estremi affetti han breve vita; e lungo È 'l rammentarsi di un delitto: trema.

ERMINIA. Ahi feroce amator! vibra quel ferro Tu che m' abborri, e un dì m' amasti ahi troppo, Misera me! Tutto a te dar poss' io, L' amor mio stesso, ove tu salvi il mio, L' unico amor mio vero.

DONIMANO. Oh dunque l' ami, L' ami cotanto il mio rival? tua vita L' amor tuo stesso a lui donar sapresti? Or all' affanno mio speme succede, Che quì sentir io non credea. Sol una Ora ti chiedo; e che sprezzare osasti Il difensor dell' Asia, allor tu 'l narra. Tancredi! al sol cadente oggi t' aspetto.

TANCREDI. Cadente il Sol, io quì verrò. M' ascolti Il Ciel! quest' è di ferri, e d' odio, e d' empio Destin, funebre giorno: a Boemondo Sia giorno almen di servitù l' estremo!

DONIMANO. Libero andrà; ma tu stesso…

TANCREDI. Pietade Io non ti chiesi. Oh troppo amante e troppe Misera Erminia!* A Pietro. Ah! tu le dona pace, Del Dio di pace imitator pietoso.** Parte verso il campo cristiano.

ERMINIA. Me infelice!*** Si lascia cadere nelle braccia di Pietro.

PIETRO. Ahi! così fra sorte avversa La nostra folle umanità delira.* Parte verso il campo cristiano roggendo Erminia.

DONIMANO. Il vuol costei: null' altro a noi rimane In terra più, che lagrimare e tomba.

ERMINIA, TANCREDI.

ERMINIA. Già cadde il Sole. Del terribil giorno Ecco l' estremo raggio; ecco la tomba, Che udì sovente in la profonda notte Il lamentevol mio geloso pianto. Perchè non dormo del mio sonno eterno, Che amor non turbi, in quella tomba?

TANCREDI. * Da lontano. È giunta L' ora fatal; rapidamente è giunta. L' istante è questo…

ERMINIA. Il suon non odo, o Dio! Di quella voce che sì cara e tanto Funesta a me divenne?

TANCREDI. Ahi! sventurata, A che venisti?

ERMINIA. S' io d' affanno intenso Morir certa non fossi allor che in alto Levarti il ferro e lampeggiarti in fronte Vedrò, non io quì rimarrei: de' sensi E degli affetti eterna calma è morte.

TANCREDI. Erminia altri lamenti, altri pensieri Ne chiede il tempo. Ricercar d' affanno L' orrida piena, che ti guidi a morte, Pietoso Iddio ti vieta; il tuo lo vieta Infelice Tancredi. Egli t' affida Di Boemon la sorte: ah! per lui vivi. Misero più, ch' io non sarei tra ferri, Boemondo sarà benchè in eccelso Trono riposto. Dal sapervi tutti Oggetti voi de' miei più cari affetti In libertà, pace m' avrò. Delirio È dell' anime amore; e pace sola Gli ultimi istanti di penosa vita Addolcir può. Lasciami.

ERMINIA. Ah non ritormi Tua vista! Udire il mio destin quì voglio, Se non t' è grave quell' amore oud' io T' amo: tu primo, tu solo nel mio Petto una fiamma, un impeto, un affanno Chè voce mai ridir non può, destasti. Pur ch' io sull' orme tue trarmi potessi; Pur ch' io potessi d' uno sguardo tuo Su me rivolto, d' un accento solo Bearmi, io trono, amori e vita, tutto, Fuorchè Tancredi, scorderei: chè mia Vita, mio re, mio nume, ah! mi sei tutto.

TANCREDI. L' ore son queste di un dolor, cui nullo Dolore in terra uguagliar può?

ERMINIA. Se un tanto Dolor vita mi lascia, io fra quel vulgo, Cui stauca sempre una pietà non lieve, A tutti invano il palpitare, il pianto Del magnanimo tuo pietoso cuore Domandorò. Teco ogni mia speranza Cade, ogni mia fallace e breve gioja; E 'l ricercarti in darno, ovunque tratti I disperati miei giorni saranno, E forsennata paventar me stessa, Che quì nel cuor profondo eternamente Ti porto; questo mi sarà destino.

TANCREDI. O nobil donna! e chi potrebbe in terra Un tanto amore, una sì viva fede Meritar mai? Deh m' abbandona! togli La doppia gioja di feral vendetta Al mio rival: più che del sangue mio, Della tua angoscia esultar lo vedresti. Dell' Occidente la dubbiosa luce Mira, e ricorda la mia sorte.

ERMINIA. Oh come L' orrido suon dell' armi, ahi s' avvicina! Chi! chi ti salva? il suon s' addoppia!

TANCREDI. Ah! I' odi?

ERMINIA. Io, sì I' odo. O terror!

TANCREDI. Per sempre, addio.

ERMINIA, TANCREDI (abbia la spada) DONIMANO, PIETRO che esce dal campo in atto di pregarlo.

DONIMANO. E nell' ora fatale, e sulla tomba* A Tancredi ed Erminia. Fatale uniti io vi ritrovo. Dunque V' avvinse amor, che il minacciar di morte Spegner non può? Tu, che pietà mi chiedi,** A Pietro. Alla vendètta mia Tancredi offristi: Troppo mi è caro il dono tuo.

PIETRO. Deh! cedi, Cedi al piangere mio. Svenare il forte Generoso rivale, ah! chi tel vieta, Se non la gloria, onde s' eterna in cielo Il gran nome dei re?

DONIMANO. Gloria fallace, Memorie antiche non potrian cangiarmi. Arde Erminia, e m' abborre. Oh d' un eroe Consolatrice, a che non muovi insulti Al suo tiranno? io le tue voci aspetto.

ERMINIA. Spietato!… Ah che diss' io? da te dipende La vita mia, la mia morte. A che parli D' insulti e d' odio? vincitore altiero, Dovunque tu rivolga, io, vinta e schiava Ti seguirò, ti griderò, pietate. Ah Doniman! quel generoso sangue Donami. Di che temi? Eternamente Dal tuo rivale mi dividi; scorda Questa, che ahi troppo, e sì gran tempo amasti, Figlia dei Re. Scempio, qual vi è più grave, Insoffribile più, dolce sarammi, Se la giusta ira tua, se la minaccia Intera tua sovra me piomba sola.

DONIMANO. Oh gelosia! Che a te lo serbi iniqua, Il mio rival?

TANCREDI. I vani detti amari Tronca. A che tarda Boemondo? Io venni A salvarlo, a morir. Tu lo rammenta; E, sin che 'l brando ch' io t' offersi in dono In tuo poter non è, rammenta ch' io Uso non sono udir disprezzi ed onte Invendicate: uso non sono i gridi Udir d' imbelle vergine Reina, E d' odiato oppressor non trar vendetta.

DONIMANO. Or l' odio è al colmo, e la vendetta il fia.

PIETRO. Un' alta maraviglia ed un orrore, Ch' io spiegare non so, destanmi in petto Le voci tue. Segui, tu 'l puoi; raddoppia Lo strazio; aggiungi sangue a sangue: avrai, Se non m' inganna la voce dell' alma, Piucchè non pensi, vittima infelice.

DONIMANO. Tutti in tumulto i tuoi più cari affetti* A Tancredi. Porre io mi vuo'; tutte le fibre, tutte Ricercarti del cuor; a disperata Morte guidarti. Boemon, t' avanza.* Verso la scena. Boemondo, ove sei?

ERMINIA, TANCREDI, DONIMANO, BOEMONDO eon ferri e condotto dalle guardie, PIETRO.

BOEMONDO. Ah vieni!** A Tancredi. In queste Braccia lo stringo, e non m' uccide il duolo?

DONIMANO. Sì, distruttor di musulmana gente, Hai regno e libertà: vincesti il tuo Destino avverso. Va, regna, riprendi L' orgoglio tuo; sei Re.

BOEMONDO. Che m' offri?

ERMINIA. Oh Dio, Tancredi!…

DONIMANO. O Re, vacilli? Un guardo solo Della schiava adorata, un voto solo Bastar potrebbe, onde ritenga impero Non suo l' eccelso eroe. Forse regina, ( S' ella il desia ) del non curato tuo Sangue a costo, ei la fa: scordarsi è lieve, Fra l' orgoglio e l' amor, cadente padre Cui fama antica è solo scudo e vano.

BOEMONDO. Ah tanto oltraggio!

TANCREDI. Io d' ascoltarti forza M' ebbi: virtù d' ogni virtù maggiore È questa in me. Qual io mi sia dirallo All' Europa vittrice, all' Asia tutta, Alla ventura etate, il mio destino, Che da te chiedo e voglio, ln me timore, Se a me sovrasta, e a me pur solo, il fiero Tuo sdegno, non vedrai: chè m' è il timore Ignoto senso, se pietà nol desta.

DONIMANO. Fra l' armi ben ti stava un tanto orgoglio: Tu, prigionier, Ia sconosciuta morte Imbelle avrai da schiavo, e infame.

TANCREDI. Darla Infame puossi a chi fuggir, regnando, Potea la morte, e morte volle? Infamia Sta nel delitto: or io ben altro pegno, Che tra l' armi non fei, dono al mio vero Re, che pel Re suo vero ignobil morte Uom non incontra mai.

PIETRO. O grande!

DONIMANO. Segui. Vedrem virtù sin dove giunga. I ferri Abbia Tancredi, e sian ritolti a quello Re vero suo.* Alle guardie; si eseguisce.

BOEMONDO. Gli rendi!

TANCREDI. Eccoti il brando. Son compiti i miei voti.* Getta il brando ; le guardie to prendono, ed incatenano Tancredi. E senza ferri, Mio Re, pur io ti veggo? e senza ferri Rivedratti Antiochia?

BOEMONDO. A mia cadente Età gli rendi! gli rendi al mio pianto, Al mio pregare, a' miei gemiti.

ERMINIA. Dove Mi volgo? chi miei gridi udrà?

PIETRO. Funesto Avvenir, ti avvicini!

TANCREDI. Ah non ti muova Il pianto! A che più tardi?

ERMINIA. E da me brami Eternamente vederti diviso? Ah! non sperar ch' io t' abbandoni. Invano Il tuo barbaro Iddio morir mi vieta; Invan per te al nodo atroce, all' odio Al pianto sacro, al giuramento iniquo Andar mi vieta: io chiedo il nodo atroce; Io 'l voglio.

DONIMANO. È tardi. Estrema ora di pianto. È questa ora funebre: amore è spento, O spegnerallo morte.

ERMINIA. Ah! pria sconvolte Vadan l' Asia e l' Europa; ah! pria svenata Me palpitante sul trafitto suo Re… Dove son? Misera me! quai voti? Ove m' ascondo? Ah padre!

TANCREDI. Ahi voci!

PIETRO. Vieni, Vieni, infelice; il tuo delirio estremo Vedi, arrossisci, ed il tuo Dio rammenta.

ERMINIA. Ahi come empia son io! come sdegnarmi Dee quel forte Tancredi!

DONIMANO. Or vuoi vendetta, Vincitor d' Antiochia? Or non più schiavo Sei tu; la cerca in campo: io, tuo nemico Implacabil, t' aspetto in campo. Oh tutti Voi trafigger potessi; ogni memoria D'obbrobrio mio lavar nel sangue vostro! Ma di voi tutti, voi, vendicherammi Questo sangue ch' io spargo.* In atto di ferire.

BOEMONDO. Ah! no** Frapponendosi.

ERMINIA. Quel ferro In me lo vibra, in me.

BOEMONDO. Rendimi il brando, Se libero son io.

ERMINIA. Deh come in petto Profondamente terrore mi scende Nunzio di morte! or, spero, io morte avrommi.

TANCREDI. Vivi; ecco il voto ultimo ardente mio; Vivi. Possente Iddio, miei preghi ascolta! Nel tuo seno increato ah! trovi pace Chi tanto amò: quante sciagure serbi A lei, su me le piovi; clla abbia pace.

DONIMANO. L' ira chi frena? e vil mi sono io tanto? Nozze da ciel v' appresto: infidi entrambi Alle antiche speranze, ai giuri antichi, Siate entrambi puniti. Il sangue suo, Empia, su te cada.* In atto di ferire.

ERMINIA. Ti ferma.* Fermandolo.

DONIMANO. Lascia, Spergiura.** Liberandosi.

BOEMONDO. O forti, dove siete? all' armi! Il mio Signor si salvi, il vostro.

TANCREDI. Ah padre, M' è rossor tua pietà. La prima volta Voce d' onore in tua magnanim' alma Muta si sta. Giurai; m' udiro i forti; E certo già del mio destin io m' era. Tu lo compisci, Donimano: il seno Eccoti.

BOEMONDO. O vista! ove m' ascondo?

DONIMANO. Muori.*** Alza il pugnale su Tancredi.

BOEMONDO. Deh!* Frapponendosi.

PIETRO. Chi cadrà?

ERMINIA. Lo salva il mio Tancredi!** A Donimano.

DONIMANO. Il tuo?*** Con sommo sdegno.

ERMINIA. Lo salva.

DONIMANO. Iniqua!

ERMINIA. Oh mio Tancredi!

DONIMANO. **** Liberandosi.Lascia, iniqua. Ti segua il tuo Tancredi.***** La trafigge.

ERMINIA. Io muoro.* Cade fra le braccia di Pietro.

BOEMONDO. Ahi colpo!

PIETRO. Ahi figlia!

DONIMANO. Oh ! che fec' io!** Lascia cadere il pugnale.

TANCREDI. Qual sangue!

BOEMONDO. Ah! si soccorra!

ERMINIA. È vano. Ah vivi, Tancredi! ah quella tomba a te sì cara Abbia il cenere mio! Del cuor, che manca, È tuo….. l' estremo…..palpito. M' amasti, O Donimano: a Tancredi….. la pace, A Boemon….. la rendi.

TANCREDI. Oh Erminia!

DONIMANO. Ahi tarda Pietà! L' avranno.

ERMINIA. Tu…..mio solo…..amico…..* A Pietro. Placami Iddio: placar…..uom…..non potesti.

FINE.