VERSI
DI
DIODATA
SALUZZO ROERO.

Volume II.

Prezzo fr. 4 cent. 50.



VERSI
DI
DIODATA
SALUZZO ROERO

QUARTA EDIZIONE
CORRETTA ED ACCRESGIUTA

Volume II.

TORINO
VEDOVA POMBA E FIGLI
STAMPATORI E LIBRAI

M.DCCC.XVI.

Ombre degli avi, per la notte tacita, Al raggio estivo di cadente luna, V'odo fra' sassi diroccati fremere, Che il tempo aduna. Incerte l' orme, nella vasta ed arida Strada segnata dall'età funesta, Tremante affretto; chè dei prischi secoli L'orror sol resta. Eocomi al varco: non più altero scopresi, Vana difesa della patria sede, Il fatal ponte, nè alle trombe armigere Alzar si vede. Ahi vaste sale! qui gli eroi, che furono, Stavan seduti della mensa in giro: Del trovatore qui su cetra armonica S' udia sospiro. Qui sconosciuta la trilustre vergine Ignota ai prodi sen vivea secura, E sol ne'sogni palpitava l'anima Vivace e pura. Qui al suon dell'armi, che laggiu squillavano, In aureo manto la consorte antica Forte vestiva al forte duce impavido Elmo e lorica. Ancor mi sembra udir sommesso piangere Fanciul, che l'elsa stringere volea, Con debil mano, al ferro altrui terribile; E nol potea. Bambin minor d'un lustro egli qual siedasi Sul duro scudo rimirar qui parmi, Mentre le fanciulline i lacci intricano, Che annodan l'armi. Il forte scudo verginella immobile Mirando andava, pien di fiori il grembo, E lasciavasi i fiori in fervid'estasi Cadere a nembo. Coprian lo seudo ed il bambin, che ingenuo Ridea tra fiori e l'armi in dubbia sorte. L'uom così ride sul sentier suo labile Fra scherzi e morte. Salve, o sacra rovina. Ah! perchè rapido Non diemmi il fato in quella eta la vita? La magna età ben si doveva ai palpiti Dell'alma ardita. Nella mia destra d'Alighier la cetera Suonato avrebbe sui vetusti eventi. Or soli a me giù dalla valle ombrifera Fan eco i venti; Giù dalla valle, ove, chi sa? s'udirono Due fratei d'armi ragionar d'amore, Strette le palme fra curvati salici, Sul primo albore; Giù dalla valle, ove a tenzoni nobili Spinsero entrambi il corridor veloce, L'un dell'altro scudiero, e scudo, ed anima, E fama, e voce. Salve, o sacra rovina: io seguo, e schiudonsi Innanzi al lento e traviato passo Le doppie torri: io meditando siedomi Sul duro sasso. Oh! come brune l'alte cime incurvansi De'larghi muri, ove penétra appena Di luna un raggio, che la dubbia e pallida Luce qui mena. Perchè ferrate le finestre altissime, Ed è merlata la superba torre? No, non qui 'l prode la lorica armigera Solea deporre. Qui forse, mentre un molle riso ingenuo La verginella in dolce sogno apria, Al bel raggio di luna, occulta e perfida L'oste venia. Forse da quelle alte finestre videsi Entrar talvolta del castello avverso Il reo signor, all'empie smanie vindici D'ira converso. Forse qui stretto il suo pugnal, lentissimo Moveva il passo fra tacenti squadre, E ai fanciullini, sul materno talamo, Svenava il padre. E forse, ahimè! sulla sua cetra eburnea Il trovatore dell' età passata Lodò gl'iniqui, se con lor sedevasi A mensa aurata. Fors'anco in mezzo a quegli acerbi e bellici Costumi indegni, in ricca treccia e bionda La rea consorte d'empie fiamme ardevasi Invereconda. Qui sparse, qui le disperate lagrime Furor geloso, d' ogni cuor tiranno; Quai furo i tradimenti, i colpi, i gemiti, Que'muri il sanno. Pensier funesto, in me chì mai ridestati? Fuggiam dalle fatali alte rovine. Raggio di notte, tu la via rischiarami Fra sassi e spine. Tutte l'età di variate furono Vicende ignote spettatrici alterne: Fra stessi affetti le stess'opre sorgono Girando eterne. Sol l'alma ardente, che d'intorno cercasi Invan la pace, c le virtù soavi, In un pensier d'amor tutte rivestene L'ombre degli avi. Addio, sacre rovine: allor che polvere Di voi non resti, gli obelischi e gli archi, Opra di noi, di questa polve andrannosi Pel tempo carchi. E forse andranno vaneggiando i posteri Sul secol nostro lezioso e rio. Il disinganno io m'ebbi, ombre terribili, Rovine, addio.

AD AMARILLI ETRUSCA

In occasione che indirizzò all'Autrice un improvviso
      sulla creazione de' Soli.

Su piccioletta nave Me verginella umíle Dal primo lustro Fantasía locò, E venticel suave La nave mia gentile In dolce fresco fiumicel portò. Serto di rosei fiori, Fiori d'allegro maggio, Cingeami intorno l'anellato crin; E i pargoletti Amori Di bianca luna al raggio Segnavano sull'onde il mio cammin. Sovra quel flutto amico Io me ne gia cantando Al caro suono di mia cetra d'ôr, E sul Parnaso aprico Le Muse gian danzando, Ed, oh! chi viene? ripetean fra lor. Le vele mie d' argento E l'ingemmata prora Saran pur belle al lampèggiar del dì! Piena d' alto contento Io si diceva allora, E già le Muse ripetean di si; Quando sorse d'intorno Nembo pel ciel sereno, E lento e grave il navigar si fe'; E col nascente giorno Di lampi in ciel ripieno L'astro levossi che d'ogni astro è re; Sorda tempesta irata Torbida fe' quell'onda Fra 'l rauco rotto rovinoso tuon; Della nave spezzata Sulla sdruscita sponda Il fulmin cadde in cupo orribil suon. Invan la cara cetra Inni di lode invano Alto suonava al regnator del mar, Ch'iva perduto all'etra Già sovra lido estrano L'inno, che i flutti non potea sedar. Naufraga in duro suolo Si fe' la nave ardita Fra scogli cinti d' un eterno gel: E fra l'immenso duolo Dal legno infranto uscita Mossi recando il plettro mio fedel. Inabitato sasso, Ignuda stanza antica, M'accolse, e buja, sul fatal terren; E volsi appena il passo Sulla terra nemica Che il vivid'estro mi si spense in sen. La nobil cetra al cuore Ancor stringea la destra, Ma grave l'aura, e nubiloso il Sol A me togliean valore, Onde scioglier maestra Agli inni aurati l'animoso vol. La ria terra funesta Sacra al Nume d'obblio Cinge d'ìntorno intorpidito il mar: E 'l flutto, che s'arresta Qual paludoso rio, Presso la grotta sonnacchioso appar. Invan l'amor, la fede, L' alidorata e bella Fantasia rammentando, e 'l mio destin, Lasciò l'instabil sede, E giù di stella in stella Prese sull'empia terra il suo cammin. Guaise poeta cade Naufrago in tempo avverso D'obblio profondo sul terren fatal; Il Nume reo l' invade, E in lui tiene converso Indarno Fantasia l'occhio immortal. In la funesta grotta M'addormentai ponendo La cetra d' ôr qual placido origlier; E la mia nave rotta, E 'l naufragar tremendo, E la gloria fuggì dal mio pensier. Cupo, muto, profondo Era 'l mio sonno, e forse Era eterno il ferale alto languir; E certo al mio crin biondo Chi 'l sacro lauro porse, Senza l' alloro mi vedea morir. Ma in la bruna isoletta Dal placido oriente Un suon discese che non ha simíl; E navicella eletta Scendea velocemente, E' l suo corso reggea ninfa gentil. Ner' occhio, e nera chioma, E domator dell'alma Sorriso aveva d'immortal virtú; E già fcemeva doma Dell' onda rea la calma, E l' aer lento non torpeva più. Toccò la nobil prora Quella terra nefanda, E disciolse la ninfa i canti sui; Ella sedeva allora Sulla nave ammiranda, Ed impavida avea pietà d'altrui. Cara alle cteree Muse, Cara all'Italia, ond'ella È nobil figlia, ed è delizia e amor, L'alta AMARILLI schiuse La nobil sua favella, E nuova vita serpeggiommi in cuor. Il puro inno volante Al Creator del giorno, I vanni d'ôr dal labbro suo drizzò; Ed il Sol fiammeggiante All'isoletta intorno Non pria veduti i raggi suoi vibrè. Sacerdotessa vera D' onnipossente Nume, Luce portando, parea dir così: Vieni GLAUCILLA, e spera, Reco l'immenso lume, Che vien dal fonte d' un eterno dì. Si tolse dalle chiome Così dicendo il lauro, Che sfavillar facea la sua beltà; E me chiamando a nome Al crin mi fe' tesauro Di quell'alloro, che immortal sarà. Toccommi il lembo appena Del falidico velo, Che le stringeva il palpitante sen, Ch'io d'ardire ripiena Sorsi, e l'antico gelo Disparve al raggio di quel oiel seren. Nuovo estro, e nuova vita Sovra sua nave cletta Mirabilmente al fianco suo trovai; E per l' onda infinita Dalla bruna isoletta Fra l'inno volator tosto spiccai. Navigai dolce seco Pel mar tranquillo e vago, D'onde parea quel nuovo Solc uscir, E già dall'erto speco Tosto il mio cuor presago Credeva il plauso delle Muse udìr. La Fantasia vivace Tornò dal cielo, e sciolse Il vol, nel mar segnando il mio cammin; La nuova vela audace A carezzar si volse Coll' ali piene d'un vigor divin. Strinsi AMARILLI al petto; Sovra sua cetra amata L'inno disciolsi al regnator del mar, Ch'oggi ne diè l'affetto Sol una cetra aurata, Un sol lauro, un sol cuore, un sol cantar. Gloria di Pindo è bella Ad ogni cuor che sente, Ch'italico retaggio ella si fe'; Ma più soave è quella, Che fassi all'estro ardente D'Itala donna l'immortal mercè,
Stassi fra' nembi torbida Notte, e la neve il viatore inganna; Fischiano i venti, e fiedono Le quete soglie della mia capanna. Sorgiam: fra'sassi ripidi Face m'irradia nel temuto orrore; Scuote nell'aer pallido L'onnipossente face il patrio Amore. Su questi lidi inospiti Egli mi chiede il sospirato canto; Dove la selva incurvasi Meco discende, e si discioglie in pianto. In questa valle, io d'cbano Un'ara bruna all'alte Muse accesi, E le ghirlande altissime Di cipresso immortale intorno appesi, Qui 'l sacrificio a compiere Ecco m'accingo fra le piante annose: Scendete ai sacri cantici, O d'Apolline Re vergini spose. Del patrio amor la vindice Domatrice de'mostri alma faretra Io qui depongo supplice, E strali eterni la mia voce impetra. Impuro labbro, o vergini Muse, v'offende col protervo accento, E dell'ingegno Ausonico Narra che il lampo eternatore è spento. Immenso sdegno fremere Or tutto sento nel profondo petto, E a piè dell'are armoniche Voi, sacre Muse, a vendicarvi aspetto. Entro la notte gelida, Che intorno cinge quel fatal sentiero, Udrete l'alto sibilo Ch'esce dall'arco dell'offeso arciero; Mentre de'lauri Italici Le sacre a vendicare ombre famose, Voi scenderete ai cantici, Voi d'Apolline Re vergini spose.

AL CONTE
EMANUELE BAVA DI SAN PAOLO
CHE TROVAVASI INFERMO.

Dell'alto monte sulle rupi inospite Fra 'l ghiaccio eterno sta sospeso il nembo; Fischiano i venti, e delle nubi rompono Il bruno lembo. L'annosa cima delle selve incurvasi; Odo de'rami il fremere profondo; Densa è la notte, e fra tenébre posasi L'afflitto mondo. Scorrono l'ore della notte tacita; Cade la luna sull'opposto monte : Fra quelle soglie già 'l Silenzio rigido Vela sua fronte, Del buon TIMANTE nell'albergo ei siedesi Nume custode, egli a'bei sogni unito; Ed a que'sogni la lucerna tremola Segna col dito. Nella solinga cameretta è languida La lucernuzza delle veglie amica; E'l raggio estremo già su quella pingesi Parete antica. La fronte, grave de'pensieri vigili, Sovra le piume alla sperata calma Curva, o TIMANTE, ed un languor dolcissimo Ti scenda all'alma. Silenzio, pace e sonno in un col nettare Bevono in cielo i fortunati numi; Silenzio, pace e sonno, eterea vergine Lor versa a fiumi. Tranquillo dorme, mentre l'aure fischiano, Il vero saggio, e torna al cuor la pace; Dormo l'egro, e ritorna al volto pallido Rosa vivace. Trace corsier fra le tenzoni vindici Spinge co'gridi il pugnatore a morte: Folle nocchier sul procelloso oceano Sfida la sorte. Il pellegrin lascia il securo talamo, E via novella di sventure imprende: Cerca plausi il cantore; a guerra invitanlo Dure vicende. Veglia il pensoso indagator, che l'opere Dell'uom misura, e nel vegliar s'avvede Che'l sommobene è pace: e indarno, ahi misero! Dov'è? richiede. Fra molli danze le vezzose stancano Membra le pinte donzellette ardite; Speme le turba, e di bellezza labile Confronto e lite. L'etade iniqua, i turpi amori, i perfidi Usi rimira l'amator severo, E piange e stanca fra gelosi palpiti Il cuor sincero. Non pugna, ed onda, non il lido incognito, Non vivid'estro, o meditar sagace, Non molli danze, e non amor ti tolgano L'ore di pace. Dormi! al Silenzio, a lui che al sonno invitati Arder farò sulle tue soglie un'ara; Tu ad apprezzar da me volgare e placido Riposo impara. Ah! mentre dormi, l'aura in su mia cetera Cangia iu sospiro l'animoso suono: Ah! mentre dormi, al palpitar dell'estasi Più mia non sono. S'alla mia voce dal tuo tetto fuggono Nati dal caldo immaginare ardente I pensier mesti, ed a te in calma restano E salma e mente; E sol perchè cara mi fece al placido Sonno la Dea, che i sacri carmi ispira, E ad invocarlo m'insegnò temprandomi La rosea lira. Vegliar che giova? se la terra inghiottesi Soglio, capanna e forti mura eterne, Se ridon gli anni, e in noi le dure provano Saette alterne. Odo, e non cnro il minacciar dei fulmini, Che il carme fuga le tue cure a nembo, E delle nubi invano i venti volvono L'orrido lembo.
Qui, dove segna fra i nascenti pampini Un ruscelletto la tranquilla via, T'aspetto al raggio della luna candida, Mesta Elegia. Misero, chi volgendo al raggio armonico, Raggio di notte, lentamente il passo, Mai non disciolse in desiose lagrime Il cuor di sasso! Ve', come nubi picciolette incurvano Intorno all'astro l'argentino seno, E là nel fonte tutto tutto specchiasi Il ciel sereno. Fra quelle piante, che laggiù s'infiorano, Un flebil lungo mormorio non sento? È un ruscelletto? o tra le rose vergini D'aura un lamento? O lieve torna, della cara cetera Le mute corde ad agitar passando, Ignudo spirto, fra quei lauri ombriferi Dolce posando? Io 'l sento in cuore; come questo aggirasi Sull'ali azzurre l'invisibil alma Infra 'l sacro silenzio, in malinconica Profonda calma. Sceso dal ciel sovra la sponda tacita Spirto, che baci questa cetra mia, Ed a me chiedi col suave fremito Mesta Elegia; Ben riconosco il nospirar dolcissimo: Padre! mio primo, mio più caro affetto Torni nud' alma dalla sede altissima Al caro tetto. E di tua sposa, e de'tuoi figli ai gemiti, Pietoso spirto, e di tue lodi al suono Torni; e rammenti, che in me vita e cetera Tutto è tuo dono. Oimè! trascorse già due volte il gelido Verno, e due volte fu l'estate in cielo, Dacchè tuo spirto abbandonò, me misera! L'egregio velo. E in van la cetra della luna al sorgere Posai sul margo di tua tomba amata. Invan piange la madre. Ahi! suon non donami La cetra ingrata. Dacchè non sei, dacchè su me fermaronsi Gli ultimi sguardi col paterno addio, Egra, infelice, senza vita e cantici, Spenta son io. Io cinta in altra età di benda armonica, Regina un tempo del Castalio monte, Sposata al Nume sul canoro margine Del sacro fonte; Io, cui tergevan le sorgenti lagrime Le Muse intorno della dolce cuna, E promettean ne'divi inni fatidici Pace e fortuna; Io, nell'età più rigogliosa e florida, Languir la vita, isterilir l'ingegno Vidi, e fur sogni delle Muse i cantici, L'altare, il regno. Non l'opre tue, non tuo savere altissimo, Qual tu sperasti, seguirò nel canto: Ch'io seguo solo sovra'l duro feretro La madre in pianto. Non d' Academo fra gli allôr, che videro Tuoi primi amici, e l'oprar tuo sublime, Non fra que'sommi ingegni a te consacransi Queste mie rime. Sin che non tolgon col volar lor rapido Gli anni lo strale dal trafitto cuore (Nè toglieranlo, spero), altro non restami Che il mio dolore. Ah! poich altro non posso, e indarno sorgere A chieder carmi la tranquilla luce Ti fa, qual soffio, che tra fiori roridi L'alba conduce; Pace t'invoco almen. Quei raggi scendano Sulla tua tomba fra deserta via, Sin ch'io guidar vi possa al raggio candido Mesta Elegia. ODiva Aonia, che al sommo Pindaro Apristi'l rapido corso per l'etra, Fuoco vivissimo discenda, ed animi Per te la cetra. Ma quell'insolito furor, che m'agita, Ma questi palpiti, questi deliri Par che mi dicano, o Diva armonica, Che in me t'aggiri. Ve', ve', qual apresi al guardo attonito Scena mirabile, che l'animosa Virtù ridestami: ah! che mai tardasi? Che si riposa? Scuoton le Grazie il crin biondissimo, Di fresche adornansi rose novelle, Ed i lietissimi augurii scendono Da sulle stelle. Figlio d'Urania sacro Imeneo, Destin, che guidati su questi lidi, La dolce additati vergin bellissima, In cui t'affidi. Ma 'l tuo sorridere già par che dicami, Quel cuor purissimo conobbi assai Quando la docile germana amabile Io le involai. Imen, che sciogliere le note insolite Sull'aureo pettine m'udisti allora, Le note insolite di nuovo a sciogliere M'inviti ancora? Cantiamo: e volino gli allegri cantici, Co'voti volino là dove sorte Ognora volgere con gli anni vedesi E vita e morte. Cantiamo: e dicasi; di virtù premio Avrà dolcissima ninfa a me cara, O'l Sole innalzisi, oppur precipiti Nell'onda amara. D'Amori vividi, fanciulli Amori, Nembo volteggia sovra la cetera Cantando teneri versi canori. In un nettareo soave fiume I versi piovono, come le gocciole Dell'alba in nitide marine spume. A questa armonica vibrante lira Deh! t'avvicina, fanciulla amabile: Ella il tuo candido nome sospira. Perluzza in tremola fresca conchiglia, Sul gambo verde rosetta tumida, La tua dolcissima beltà somiglia; Così sfuggevoli l'ore leggiere Strinsero al seno la vaga Eufrosine, Che a lei volgevano sei primavere. Amori vividi, dolci cantate; Eco faravvi la pura cetera; La nuova Eufrosine, Amori, ornate. Un lustro rapido sull' ali d'oro Fuggì dal molle suo fianco picciolo, Di giorni innocui fatto tesoro; E su quel roseo, Iatte stillante, Intatto labbro, un bacio timido Diede nel volgere le amiche piante; Un bacio diedele, mentr'ei volgea, E 'l nuovo lustro, che sorger videsi, Al seno strinsesi la bell Dea; Cresci, dicendole, o verginella Fanciulla, e teco tuoi vezzi crescano, Cresci, di Venere prole novella; Non della Venere audace diva Prole, ma prole dell'alma Urania, Cresci a'femminei diletti schiva; Cresci alle morbide cure restia; D'Urania nata, cresci all'altissimo Concento equabile dell'armonia. O se più piacciati disciorre 'l canto Col nobil estro, e sorger fervida A lucidissimo eanoro vanto; O se pur piacciati dell'alte sfere Mirare il giro, e trar dall'etere Luci fatidiche d'alto savere; O gli ammirabili corpi terrestri Scomporre cupida, fiori, erbe tenere, E 'l metal vario de' monti alpestri; O moti e circoli lenta librando, Proporazione, del vero origine, Fra dotti calcoli ir ricercando; O se più piacciati, nobile palma, Tutti indagare i sensi celeri, Tutte conoscere le vie dell'alma; E come sorgono turbe d'affetti, E dagli affetti gli eventi sorgono, Cui sono i mobili regni soggetti: Cresci alle morbide cure restia, D'Urania nata, cresci all'altissimo Concento equabile dell'armonia. La nuova Eufrosine, Amori, ornate; Eco faravvi la pura cetera; Amori vividi, dolci cantate; E tal delizia soave spiri L'armonïosa cetra purissima; La nuova Eufrosine così l'ammiri, Che in lei fiammifero raggio discenda, Di temprar cetera smania vivissima, E dell'Aonio fuoco s'accenda. Ben io pei cantici alti d'onore Dal primo lustro fanciulla semplice Sentiva struggere tutto il mio cuore. Ella pur sentalo, e ridestata Dal sonno fiero l'Italia misera, A strazio barbaro abbandonata, Oda il vergineo carme immortale. Brama di gloria, figlia d'Urania, A vol durabile ti libri l'ale. Vuo' che tu vincami nel volo ardito, E sia 'l sublime soave cantico Al padre Eridano dolce gradito. E un giorno i vividi fanciulli Amori A me volteggino sovra la cetera, E i tuoi mi cantino versi canori. Dell'alba al sorgere, Amor bevea Tra foglia e foglia di rosa tumida Stille che l'etere dolce piovea. Gocciola a gocciola mentr'ei libava, Il fior sul gambo mobil volgendosi, Lieve sferzandolo fuggir sembrava. Indispettivasi il fanciullino, E lacerava col labbro picciolo Il fresco margine del fiorellino. D'ira vermiglio scoteva l'ali, Quasi augelletto; e calpestandoli Sul suolo, u'stavano, rompea gli strali; Dietro giacevagli l'arco dorato Sovra l'erbette; era una cetera Di color roseo dell'arco a lato. Amore instabile in mia capanna Mai non fu visto, nè alcun mio cantico Lodò sua perfida beltà tiranna; Pur io conobbilo, chè un dì lo vidi Tra fronda e fronda sul Pindo altissimo, Di Progne misera turbare i nidi. M'udi, rivolsesi con un sorriso: Oh vieni, disse, felice giovane, Questa mia cetera darti m'avviso. Sai che mia cetera la Grecia udia; Temprolla Saffo; all'onde io tolsila, Allor che in Leucade Saffo moria. Sempre man candida di pastorella Il suon ne trasse; ve' come è rosea! Ve' come armonica! ve' come è bella! Più d'una posevi donna le dita; La bruna Aglauro l'ebbe in Arcadia Con le men celebri compagne unita. » Sollievo amabile de'mali Amore* Vedi Rime degli Arcadi. Io son; deh credi! ch'Aglauro disselo; » Io nulla scuoproti d'aspro rigore.* Vedi Rime degli Arcadi. Cetra cui pinsero le fresche rose, Sclamai, chi'l brama, l'abbia; ma i gemiti Rammenti, e Leucade che ti rispose. » Ahi lacci asprissimi! ahi gioco! ahi pena!* Vedi Rime degli Arcadi. Aglauro il disse, e fra' suoi palpiti » Il collo strinsele servil catena.* Vedi Rime degli Arcadi. Abbia la cetera, e la fugace Gioja chi'l brama; l'Aonie vergini Sol meco sciolgono l'inno di pace. Ed è quest'anima fra lor concento Qual è di maggio fra notte placida La malinconica luna d'argento. Occulte inspirami l'alte parole Quand'io solinga tacendo siedomi U' scorre il rivolo fra le viole. Allor mio fervido cuor pien d' affetto Solo esser crede, e fra le lagrime Spontaneo cantico m'esce dal petto. E 'l fior e l'eco e 'l fonte e l'aria Allor, io 'l sento, d'Amor lamentansi; Io 'l sento tacita e solitaria. Chè spirto è l'acre; fu di Canente; Non le giovaro suoi carmi celebri; L'amante tolsele Circe possente.** Vedi Ovidio Metamorfosi. Quel fonte è spirito; par che sospiri Egeria in esso, Numa rammentasi, Suoi canti inutili, i suoi martiri.** Vedi Ovidio Metamorfosi. Quell'cco è spirito; ninfa del monte Fu; ma Narciso non potè svolgere Con i suoi flebili carmi dal fonte.** Vedi Ovidio Metamorfosi. Spirto è 'l girevole fior della riva; Nasconde Clizia gelosa e tenera, Che invan d'Apolline l'amor nutriva.** Vedi Ovidio Metamorfosi. Spirto è……. Soffermati, ch'io di lamento Non curo, disse Amor; sol odati La malinconica luna d'argento; Io no; la cetera riprendo, addio. Rise sdegnato, sull'ali alzandosi A volo rapido; nè più 'l vid'io. Già dall'Indica marina Sorge il di co' venti Eoi, Ed indora Con l'aurora Ogni vetta a'raggi suoi. Fugge 'l sonno, segue a volo L'atra notte al cieco impero, Ed il grato Desiato Lido vede il buon nocchiero. Il bifolco a'campi colti, Lieto e pronto fa ritorno, Co' vezzosi Dilettosi Canti suoi saluta il giorno. Radunato il bianco armento Viene al rezzo il bel pastore, E raccoglie Fra le foglie Nell'april nascente fiore. Non men fresca che la rosa Siede ninfa al monte a lato. E con bella Ghirlandella Cinge il crine inanellato. Più superba agli atti al volto Corre Diana il prato e'l monte, Ed il guardo Guida'l dardo Al cerbiatto presso al fonte. Ebbro, ancor nel sonno immerso, Ed incolto il rozzo pelo, Al suol giace Fauno in pace Tutto esposto a'rai del cielo. Filomela onor d'Atene Canta qui tra fronda e fronda: Zefiretto Lascivetto Aleggiando va sull'onda. Eridan, che Italia scorre, Porta al mar il flutto altero; La felice Sua pendice Par che allegri il mio pensiero. Qui vogl'io co' canti miei, Se m' è dato, fargli onore; Che fanciulla Dalla culla Quel desir m' accese il cuore. Vezzosetta Fantasia, Bell'amica del cantore, Tutto palpita il mio cuore Pel tuo magico poter. La tua voce lieve lieve, Come l'aura mattutina, Va scherzando a me vicina Con un tremito leggier. Chi mi mette al tergo piume D'una pinta farfalletta? Si ch'io sciolga coll'auretta Rapidissimo il mio vol. A me stessa più non sono! Eridan! Italia! addio; Muovo il passo, il muovo anch'io Sulle stelle e sopra il Sol. CARLO! ah CARLO! son io teco Sul lontano amico lido: Ve' la Sprea! ve' ch'io m'assido Con sue ninfe a riposar. E'l tuo foglio in man tenendo Tanto al cuor diletto e caro, Albeggiante, vivo e chiaro Vedo il giorno scintillar. Te, signore, ognor rammenta La mia cara genitrice Da quel dì tanto infelice, Che da noi ti dipartì. Ella t'ama, e t'ama il padre, Nè si scordano l'antico Tempo barbaro nemico, Che a noi tutti ti rapì. Tu non sai com'io colpita Fui da morbo atroce e nero, Mentre 'l verno e 'l gelo altero Primavera discacciò. Sanguinosa alzando il dito Dall' eterne brune porte Spiccò 'l vol l'orrenda Morte, E me cruda minacciò. Ed allor di te parlando, Rammentando il tuo bel cuore, Io diceva: di dolore Su mia tomba piangerà. Me sanò natura ed arte, E ancor pallida la fronte Volsi il passo al verde monte Ch'Eridan lambendo va. Là in solinga amica cella La stagion ardente estiva Sulla fresea vaga riva Volar vide i giorni miei. Là di CESARE 'l destino, E 'l cozzar di lucid'armi Pinsi allor ne' mesti carmi, Pinsi 'l lutto e i lunghi omei. Tornò in vita il buon guerriero, Io disciolsi 'l nuovo canto, Dissi come amaro pianto Terse vivido gioir. Ma non anco i dolci lari Ha mirato il garzon forte, Non ancor della consorte Finì 'l barbaro martir. Vidi anch'io dall'estro invasa Fuoco, e turba orrenda e lassa, E campion che volve e passa Sepra fervido destrier. Vidi errar le invendicate Ombre parllide dolenti, Alternando co'lamenti Spaventevole tacer. Vidi anch'io sul nero margo D' un ruscel di vivo sangue Cinta 'l crin di lucid' angue La Discordia carolar. Vidi anch'io lo scarno dente Roder teschio caldo e mozzo, E'l suo labbro aperto e sozzo In quel fonte dissetar. Vidi, ah! vidi i miei germani, A te pur diletti e cari, Sotto il lampo degli acciari Gli guidò superbo ardir. Tutti e tre copria la bruna Pesantissima lorica, Tutti e tre d'aspra fatica Vidi, ah! vidi impallidir. Ma 'l minor, che conta appena La trilustre età compita, Una barbara ferita Ricevè da man crudel. E nel braccio uso a trattare L' alta spada sua superba Lo colpì la piaga acerba Per voler del crudo ciel. Sopra 'l campo della morte Fra 'l fischiar d' orrenda guerra De' Salassi egli la terra Nel pugnar insanguinò. Ma tornato a'genitori Nel paterno amico tetto Il felice giovanetto In due lune risanò. Tu, Signor, tu non vedesti Qual affanno il cuor ne strinse, E 'l terror che 'l volto pinse, E 'l giustissimo dolor. Nol vedesti!….. ah troppo fora Fortunato il mio destino, Se potessi a te vicino Favellar anch'io talor….. Dove, ah! dove, o Fantasia, Bell' amica del cantore, Dove porti questo cuore Col tuo magico poter? Tu sul margin della Sprea Mi portasti altera audace, Or mi torni, e'l soffro in pace? In sul lido mio primier. E tu, CARLO, e tu rimani?….. Ti sovvenga almen talora Che quest'anima t'onora, Che non mai ti scorderò. Me felice! se la cetra Fa suonar il tuo bel nome, D' un allòr le rozze chiome Tua mercede adornerò. Pur ti riveggo, armonico Tetto, ov'ha dolce impero Il solo, il caro, l'unico Affetto mio primiero; Pur ti riveggo: oh quanto Io da te lungi ho pianto! Oh fida amica! oh tenera Parte dell'alma e speme! Aprimi il seno; i palpiti Divideremo insieme; Aprimi il seno: oh quanto Io da le lungi ho pianto! Te sposa e madre adornano D' un più gentil sorriso, Novelle grazie, e florida Pace ti sta sul viso, Coll'amor dolce e forte Di madre e di consorte. Io guidatrice, io pronuba, Io per te l'ara ornai. Io, da me lungi, ahi misera! Il tuo destin segnai; Io fra l' opposta sorte Non madre e non consorte. Pur ti riveggo, or scherzano A me tuoi figli intorno; M' accoglie il tetto placido, Tuo nuzial soggiorno, Ed a te verso in petto Pena, speranza, affetto. Che più vorrei? Che restami A desiar? Son teco; O fanciullini candidi, Voi, voi venite or meco, Onde vi scenda in petto Il mio vivace affetto. Meco spargete supplici Delle più fresche rose Le caste soglie tacite; Quel che Lucina ascose Arcano entro il bel velo, Mandi a buon fine il cielo; Sorga un bambin dolcissimo, E la felice madre Voi miri lieti accoglierlo. Ei s'assomigli al padre, E nel suo picciol velo Ponga grand' alma il cielo. Quella, o leggiadra vergine, Che sovra il Pindo amico Le sacre Muse ornaronti, Nel duro sasso antico, Di rose e di viole, Grotta nascosta al Sole, Quella, ove a sera aspettati Letto gentil di fiori, Ove col plettro molcere Usi domando i cuori; Con fronte rea proterva Un fanciullin l' osserva. Intorno al sasso siedono Alla sorgente luna Tre caste Grazie armoniche, Che 'l tuo bel canto aduna, E sorridendo vanno, E del fanciul non sanno. Tesson corone roride Alla tua bruna chioma; Chi la sua vita, ed anima, Chi l' amor suo ti noma; Con fronte rea proterva Ride il fanciullo, e osserva. Tre giovin Dee, che possono Contro gli aguati infidi? I Satirelli scherzano Sovra i contesi lidi; Notte è serena e pura, Ma la selvetta è scura. Nella selvetta Aonia I Satirelli han sede, E pur del Pindo tacita La via talor si vede: Tra lor, bella ENRICHETTA, Il fanciullin t'aspetta. Que' Satirelli guidanlo In fra i cespugli ascoso, Invan le Grazie vegliano Al dolce tuo riposo, Guardati! Vedi! Ha piume, E faretrato il Nume. Guai se per via dolcissima Ei la pietà ritrova, Se certo ed infallibile Il piede suo si muova: Lassù, bell'ENRICHETTA, Ei giugnerà, l' aspetta. Per la tua casta cetera L'arde desio vivace, Egli talora ascoltati L'inno suonar di pace, Mordesi'l dito, ed ahi! Grida, vincesti assai. Verrà, che Imene additala, Ed Armonia l' appresta, Grida, a tua pace ingenua L' ora verrà funesta; Ridi fra invitte squadre, Ma sarai sposa e madre. Deh prendi, eccelsa vergine, Prendi la cetra aurata; Odi 'l fanciul, ridestati, Ed alla pace amata L'inno immortal disciolto Fallo arrossire in volto. Non fuggirà, chi puotesi Fuggir da' carmi tuoi? Ma vezzeggiante e placido Fallo cantando; il puoi; E allor fra le tue squadre Scendi pur sposa e madre. Nel volto vispo e roseo Il riso schernitore A poco a poco un candido Riso sarà d'Amore, Ei delle Grazie in seno Riposerà sereno. Egli farassi, o vergine, Albergatore amico Di quella, che adornaronti Le Muse, in sasso antico, Di rose e di viole, Grotta nascosta al Sole. Ed io, che in Pindo or volgomi A ragionar con teco, Portento alto mirabile! Nel tuo canoro speco Starsi vedrò, verace Amor, le Muse c Pace. E in sacri inni fatidici, Oh Imene! oh Imeneo! Udrassi a te ripetere, Con dolce coro Ascreo, L'adorna di viole Tua grotta ascosa al Sole.

Risposta ad una gentildonna, che scrisse
all' autrice scherzando delle lodi d'Amore,
ed invitandola a cantarle anch'essa.

Verno crudo Stassi nudo Fra le gelide pruine, E fa 'l ghiaccio Duro laccio Alle anella del suo crine. Notte bruna, Senza luna, Guata il Verno su dal cielo, Nè più stella Tutta bella Orna il lembo del suo velo. Ratto gira, E sospira Con la faccia smorta smorta Amorino Fanciullino, Cui la Speme si fa scorta. Vezzosetto Fanciulletto, Vedi nube bigia e nera; Fiocca neve Lieve lieve; È tua scorta menzognera: La Speranza Non ha stanza, Vive sempre all'aer vuoto, E potria Quella ria Lasciar te sul lido ignoto. Lascia I' ali; Con gli strali Se le porti quell'infida; Col bel viso, Col bel riso, Folle cuor ella derida. Vuol, ch'io canti De'tuoi vanti, Amorosa pastorella, Che dar lode Sempre gode Al poter di tua facella. Senza vanni, Senza inganni, Senza strali e senza speme, Pinge Amore Allegratore, Che non cangia, e che non geme. Va cantando, Va narrando, Che ad Aglauro fe' corona,* Faustina Maratti Zappi. Onde udirsi Del buon Tirsi** Felice Zappi. Doppie lodi in Elicona. Poi seguendo, Va dicendo, Ch' ei d'Imene il laccio serra, E non muta Se canuta Vien l' etate, e gli fa guerra. Ah! se 'l vero Lusinghiero Ella narra, Amor cortese, Qualor dice, Che felice, E che insigne, Amor la rese; O smarrito Sul mio lito Re dell' orbe, re dell' etra, Vieni, e sali Senza strali Fra le corde della cetra. Senza pene Amor viene, Non più cieco e mentitore. Ma senz'ali, Senza strali, Senza speme, è questi Amore? Si ch' è desso! Quell' istesso Che tiranno ognor divenne, Indiscreto, Irrequieto; Gli rinascono le penne. Vedi, ei tocca, E ritocca Quelle vaghe corde d'oro, Poi si volge, E sconvolge Quell'armonico lavoro. Rio fanciullo! Per trastullo Lacerò le corde aurate, Che pudica Musa amica Ha baciate e ribaciate. Ah protervo Fatto servo D'iniquissimo costume! Ah! ben finge Chi ti pinge Senza strali e senza piume. Nume accrbo, Che superbo Muti nome e non usanza, Vola e scherza, Questa sferza Punira la tua baldanza; Sferza è questa Che m' appresta La mia Musa in Elicona; Casta Musa Ch' è pur usa Senza Amore aver corona. Pastorella Tutta bella, Come vuoi ch'io canti e dica? S' egli tutto Volve in lutto Servator d'usanza antica; È senz'ali, Senza strali; Pure è sempre acerbo e fiero. Non più voto, Nume ignoto, Non più canto menzognero. Pastorella Tutta bella, Ah! t'illude il nobil cuore, Se schizzoso, Dispettoso Non dipinge il traditore. Lasciam ire Giù fra l'ire Di stagione rovinosa Il fanciullo, Che ha trastullo Di sconvolgere ogni cosa. Dirà 'l canto Suo bel vanto, O soave pastorella, Darò lodi A sue frodi, Al poter di sua facella; Ma pria fuori Tra bei fiori Vuò che sorga rosellina, Or che crudo Stassi nudo L'alto re della pruina.
Entro stilla rugiadosa, Mezzo ascosa Sovra il verde sermolino, Scorger donna mi parea, Che ridea D'un bel ridere divino; Troncai l'erba tenerella, E con quella La gentile immaginetta, Onde uscì la testa fuore Dal licore La donzella piccioletta. E mi disse: vanne in pace, Troppo audace Pastorella turbatrice; Vanne in pace! ti perdono; Sai chi sono? Ritrattino son di Nice. Ben s' uniro atomi cento Nel momento Che formarla al Nume piacque; Tutti vaghi, tutti belli Eran quelli; E bellissima ella nacque. Particelle poste in giro Tosto usciro Da quegli atomi gentili, E più piccoli, più brevi, E più lievi, Formar atomi simili. Or cadendo furon posti E disposti Come quei che forman Nice, Ond' io nacqui, ritrattino Suo divino, Pastorella turbatrice. Dunque, ah! dunque sì perfetta Forma eletta Raddoppiare amò natura? O di Nice bella imago, Fa 'l cuor pago, Datti a me, che t' avrò in cura; Che s' è ver ciò che pur dice Bella Nice, È bellezza un gran tesoro; Aver cura d' un bel volto Val più molto Che aver cura d' un alloro. Tacqui, e lenta mi rivolsi; Via la tolsi Con un timido sospetto; Io temei ch' ella cadesse, Si sfacesse Pria di giungere al tempietto. In tempietto tutto d' oro Bel lavoro, Dove sono i Lari miei, U' l' auretta non s' accosta, L' avrei posta Sovra l' ara degli Dei. Ma toccava appena appena Quella arena, Ch' è vicina al tetto mio, Che più rapida voltarsi, Trasformarsi Quella immagine vid' io. Un bel atomo fu scosso, E rimosso, E sparì tutto l' incanto, Chè una lieve particella La donzella Di distruggere ebbe vanto. Qui 'l dirò? nol dirò mai! Giù da' rai Cadde il pianto sdegnosetto; La bellezza del divino Ritrattino Via sparì con il diletto. Or se altiera a me più dice La mia Nice, Ch' è bellezza un gran tesoro, Le dirò che val più molto D' un bel volto La bellezza d' un alloro. Piange l' alba rugiadosa Piè di rosa, Ed in lucide conchiglie Il bel pianto, ch' esce fuore, Colgon l' Ore Del mattin vergini figlie. Ve' la prima? dolce ride, E divide Nelle palme pargolette La rugiada, onde la neve Terge lieve Delle gote ritondette. L' altra segue, tra le foglie La raccoglie D' una pallida viola, Ed un' Ora verginella Tutta bella Cupidetta glicla invola. L' altra il labbro vezzosetto Sul diletto Fresco volto della Dea Dolce imprime, il pianto sugge, E poi fugge, E fuggendo si ricrea. Fugga pur, l' Aonio Nume Veste piume, Di soppiatto la rimira, E quell' Ora pargoletta Semplicetta Di raggiungere desira. Son le labbra roselline Porporine, Che s'imperlan semichiuse, E alle gote candidette Due pozzette Fero i baci delle Muse. La fresc' alba rugiadosa Piè di rosa Segua ogni Ora verginella, E con occhi all' alba volti Non ascolti Il bel Nume che l' appella. Ore fresche fortunate, Che danzate In bel coro riunite, Su danzate, carolate, Saltellate Se di voi cantar m' udite. Ma ve' 'l Sol? Sul vostro coro Sferze d' oro Muove in ciel l' oricrinito; Oh! fuggite verginelle Ore belle Da quel Nume misgradito. E fuggendo giù scendete Dolci liete Poichè 'l Sol la reggia aprio; Su danzate, carolate, Saltellate Al suonar del canto mio. Scinto il crine, scinto il petto Presso al letto Di TEMIRA vi posate, E con bianchi fiorellini Su' bei crini Un bel lauro le annodate. Poi danzando, carolando, Saltellando, S' ella destasi tranquilla, Dite a lei sommessamente Dolcemente: T' ama, t' ama tua Glaucilla. S' ella poscia a se vi chiama, T' ama! t' ama! Replicate giojosette, T' ama, dite sorridendo Rispondendo, O bell' Ore pargolette. Ella allor farà bel riso Sul bel viso Lampeggiar com' io pur bramo, Vi dirà dolce tranquilla: Mia GLAUCILLA Ben intende ch' io pur l' amo. Oh, poich' ella così dice, Me felice! Ah recatemi la lira; Mentre scendon le fresc'Ore, Tutta amore Canto il nome di TEMIRA.

Che inviò all' autrice le sue poesie pastorali, fra
le quali alcune hanno per titolo
la Solitudine,
la Luna, la Salute, e la Giovinezza.

Van le Muse, quai divine Pellegrine, Sovra 'l monte d' Elicona: Io le seguo, e sento poi Se di noi Fra le Muse si ragiona. Jeri, all' aura innamorata Di stellata Notte candida di maggio, Vergin Erato veniva Per la riva In mirabile viaggio. Sovra un carro ella sedea, Che scendea Senza rapidi corsieri; Un' auretta lo volgea, Lo movea Sugli armonici sentieri. Il bel carro viatore In candore Neve intatta somigliava, Ed appeso al lato manco Velo bianco Il bel corso ne affrettava. Sedea sotto al bianco velo La del cielo Pellegrina graziosa, E ridendo, folleggiando Gia cantando Giovin Musa, e giovin rosa. E seguiva: siam noi quelle Verginelle Fresche rose d' Elicona; Dalle chiuse intatte foglie Chi ne toglie Morte barbara ne dona. Quand' io stommi gemebonda Su la sponda Di un ruscel tutto d' argento, A un cantar di tortorella Verginella S' assomiglia il mio lamento. Quand' io rido (e sì dicendo Gia ridendo) M' assomiglio al fiorellino, Che sull' alba mollemente Dolcemente Schiude il seno porporino. Fuggo i Fauni dal lascivo Dal furtivo Ingannevole sorriso; Fuggir fammi sdegnosetta, Ritrosetta Chi mi guarda fiso fiso. Il bambin, che a poco a poco Va per gioco Colle carte edificando, Posta l' ultima cartuccia, Si corruccia Se stranier lo vien mirando. Batte il piede rabbiosetto; Tumidetto Gonfia 'l labbro, occulto guata, Soffia; e strugge un soffio breve Quella lieve Magionetta edificata. Così pur, quand' io mi sdegno, Dell' ingegno Le cartine a terra spingo, E nel volto, che s'adira S' altri il mira, Come rosa mi dipingo. Nella tacita valletta Ritrosetta Crebbi un tempo, lo rammento; Crebbi sotto al vivo monte, Che bifronte Signoreggia il nembo e 'l vento. Pastorale agreste l' ara A me cara S' erge sotto un faggio antico; Qui volteggia, qui s'aggira, Qui sospira Venticel de' vati amico. Qui mirai l'ombre costanti Degli amanti, Ch' arse un tempo l' amor mio; E nell' estasi d' amore Tutto il cuore Quella vista mi rapio. Fidi amanti, in la romita Mia gradita Valle tacita ed agreste, M' ebbi un tempo, e d' alma pura Dolce cura Fu 'l mio cantico celeste. Or ch' impuro scherzo audace La mia pace Turbar venne infra' poeti, Or che un folle Amore ardito Mostra a dito I miei placidi laureti; Io seguita dal gentile, Dal non vile Amor nato fra le rose, Amor nato in ciel sereno, Fuggo in seno Di mie selve avventurose. Qui t' aspetto sul bifronte Doppio monte, O cantor di dolci versi, Di gentil malinconia, Della mia Fiamma candida cospersi; Vedrem quella, che bramasti, Che cercasti, Solitudine selvaggia, Canterem la notte mesta, La foresta, E la luna, che l' irraggia. PINDEMONTI, egregio amore Arde il cuore Di tua Musa ai lauri avvezza; Suoneran le selve argute, E salute, E novella giovinezza. Si diceva Erato diva, E veniva In mirabile viaggio, Mentre il carro si volgea, Che 'l movea Venticel di fresco maggio. PINDEMONTI, intender puoi Se di noi Fra le Muse si ragiona, E se t' ama Erato bella Verginella Sovra 'l monte d' Elicona.

Che avea chiesto una poesia determinandone
il soggetto ed il numero de' versi.

Dotta vergine amorosa, Desiosa Di bei fior del sacro rio, Prigionier per l' ali stretto Fanciulletto, Saggia vergine, t' invio. Egli è l' Estro superbetto; Ei soletto Di gran lido è possessore, E in le note lusinghiere Ha potere Di gran mondo produttore. M' ama assai, e col labbruzzo Vermigliuzzo Talor baciami la fronte; Ma talor come fanciullo Ha trastullo Rinnovar gli sprezzi e l' onte. Tu m' hai chiesto fiorellino; Sul cammino Del Parnasso lo cercai: Pur di questo il crudo verno Tien governo; Fiorellin non vi mirai. Che offerirti mai poss' io, Amor mio, Fuor che teneri lamenti, Se il mio canto, se la cetra Non m' impetra Fiorellin tra brine algenti? Mentre, o vergine, il tuo nome, Non so come, Ridiceva, e il desir mio, Vidi in mezzo a ghiaccio orrendo Star sedendo, Quel fanciul, ch' ora t' invio. Sonnacchioso egli parea, Ma ridea, Com' or ride, e poi guatava; E il cercato fiorellino Sul cammino, Nelle palme mi celava. Era sparso il bel tesoro Del crin d' oro, Qual dipingesi Fortuna, Chè sferzavalo, indiviso Sovra 'l viso, La bufera inopportuna. Al poeta ognor fanciullo Dà trastullo Non mai vecchia fantasia: Fantasia, che sola sola Ci consola, C' innamora, ovunque sia. Io fermare il bambinello Vivo e snello, Tosto, sappi, desiai; Prima un piede accortamente, Lievemente, E poi l' altro avvicinai. Ohimè! pronto sogghignando, Saltellando, Ripetendo il desir mio, Il fanciul mi porse un fiore; Traditore Lo ritrasse, poi fuggio. Qual farfalla al giorno estivo Sovra 'l clivo Ora sale ed ora scende; Il bambin dall' ali aurate, Vie gelate Ora lascia ed or riprende. Mi porgeva il bel tesoro Del crin d' oro, Qual dipingesi Fortuna; Io già quasi lo toccava, Me 'l levava La bufera inopportuna. Quando stanca, neghittosa, Sospirosa, Quel protervo mi vedea, Si fermava a me davante Breve instante, E tai note ripetea: Che offerirti mai poss' io, Amor mio, Fuor che teneri lamenli, Se 'l mio canto, se la cetra Non m'impetra Fiorellin tra brine algenti. Poscia pronto sogghignando, Saltellando, Ripetendo il desir mio, Si volgea per strada incerta, Chiusa ed erta, Il fanciullo allegro e rio. So ben dir, che sì lung' ora Stetti fuora Del più cognito sentiero, Ch'io pensava impaurita: Vo smarrita Col mio duce lusinghiero. Alfin stanca, neghittosa, Sospirosa, Io gettai la cetra aurata, E 'l mio velo in man stringendo, Gia seguendo Il fanciul per via gelata. Ti so dir che un giorno intero Mio pensiero Fu seguire il fervid' Estro, E qual rete indarno assai Io gettai Il mio velo in lido alpestro. Alfin pur io non so come, Il tuo nome Ripetendo fra sospiri, Io nel velo il fanciulletto Rabbiosetto Colsi in dubbi e lunghi giri. Ei piangeva, e fra 'l suo labbro Di cinabro Stringea il candido mio velo, E battendo gia coll' ali Sue fatali Quel di Pindo orribil gelo. Fra mie braccia appien I' avvinsi, E lo strinsi Al mio seno, avverso Nume; E mie man sull' argentine Sue divine Io posai leggiadre piume. Per le piume sta legato, Corrucciato, T' avvedrai come egli sia: Libertà sola gli piace; Sempre tace, S' altri schiavo lo desia. Dotta vergine amorosa, Desiosa De' bei fior del sacro rio, Non ti dono fiorellino, Ma 'l divino Prigionier oggi t'invio. Tu lo sferza, e lo punisci, E compisci L' opra già del mio rigore; Ma deh! poi gli slega l' ale, Se ti cale, Ch' io n' ottenga o lauro, o fiore.
Come vola E rivola Nuvol d' api intorno al fiore, Sempre intorno al buon cantore Va volando, rivolando Di pensieri lusinghieri Uno stuol che lo consola. Del buon veglio Anacreonte Sulla fronte Ben un d'essi si nascose, Fra le rose Odorose rigogliose. Mentre ei beve in aurea tazza, Vedi quella turba bella Cattivella, Che sull'anfora svolazza; E battendo ribattendo Giù l' alette picciolette, Tutto spruzza col licore Il dolcissimo cantore. V' è chi dice che non lice Emulare Anacreonte A chi mai sovra la fronte Non si pose l' amorose Molli rose, A chi mai non scherza seco Fra le tazze di vin greco. Pur le Grazie le vid' io Gir solinghe a fresco rio, E lavar nelle argentine Onde belle verginelle Le lor membra alabastrine. A me pure intorno vola E rivola Di pensieri soavissimi Uno stuol che mi consola; Furfantelli spiritelli Vivacissimi Son pur quelli, onde palese Si fe' 'l forte Savonese. Cento elette canzonette Scherzosette Chi di voi vibrar potrìa? Tosto, ah! tosto lo farìa La mia cetra, e men do vanto, Re del canto; E per reggia gli darìa Di gentile odorosetta Violetta Una foglia pallidetta; Per corsier vago volante Una pinta farfalletta; Per lavacro, pari a quello Delle Grazie tutto bello, Dell' Aurora quando plora Una gocciola argentina D'ogni gocciola reina. Su! vibrate cento elette Canzonette, Pari a quelle, onde palese Si fe' 'l forte Savonese: Ma scegliete le più liete, Le più dolci, le più conte, Che vibrava Anacreonte. Dardeggiate, saettate, Spiritelli, tutti belli, Ogni cuore, Come fe' l' almo cantore; Sì che piaccian le dilette Vezzeggianti canzonette. Soavissimi cantori Or accoglie il tetto mio. Miei pensieri, ah! che poss'io Offerire al sacro coro? Poichè ho solo [E n'ho duolo] Sermolin, mortella e fiori: Non d' alloro fo tesoro: Dunque, ah! dunque, turbe liete Di pensieri lusinghieri, Ah scegliete Le canzoni le più conte Che vibrava Anacreonte, Ed in bei modi diversi Su vibrate Le canzoni che recate, Onde scendano i mici versi, Tutti aspersi Della greca venustate, Entro 'l cuor d' ogni buon vate. Se 'l più bel de' pensier miei Di vibrare avrà poi vanto Cento elette canzonette Che discendano ne' cuori De' mirabili cantori, Io farollo Re del canto, Re di tutte le neglette Canzonette, Ma canzoni che palese Fero il vate Savonese.

CONSIGLIO A NICE.

Vi è un insetto schifosetto Che dall'onde uscito fuora Ogni insetto semplicetto Rapacissimo divora: Sta celato fra la messe, Ma il malvagio non la cura, Che a distruggere l' invita Ciò che ha vita La malvagia sua natura; Non di messe, erbetta o fiore Vive, o Nice, il traditore. Sta senz'ali, ed ha sul viso Mascheretta colorita; Gl' insettuzzi fatti audaci Vanno a baci Della maschera gradita. Insettuzzo, ah tu sei colto! S' allontana la diletta Mascheretta Da quel lucido sembiante, E divorasi l'amante. Se 'l riponi in chiusa stanza, Egli in pace sonnacchioso Torpe in languido riposo, Onde nasce in te speranza Di serbarlo a tuo volere, Che senz' ali tu lo miri, E desiri Le tessute trame argute Qui spiar a tuo piacere. Mirar credi i vecchi inganni Rìnnovar com'ei s' affanni: E far prova sempre nuova Di quell'arte onnipossente Che è la stessa eternamente. Vedi, Nice, i vecchi inganni Rinnovar com'ei s' affanni: Stassi in calma un' ora breve; Ma già 'l tempo or al fatale Insettuzzo diede l' ale: Ei s' innalza lieve lieve, Dietro lascia le sue vili Spoglie umili, Di grand' ali s' incorona, E la spoglia t' abbandona Vuota già d'ogni vigore. Farfalletta via s'affretta, Batte l' ali sul tuo ciglio; Mentre guardi fisa fisa, Batte l'ali, e sei derisa. Un superbo altiero ingegno Sprezzatore, Ch' ebbe a sdegno Di pudica verginella La bellezza ed il candore, Diede il nome di Donzella All' insetto traditore, Poichè mente volto e chiome, E spogliata non par quella Già sì bella. Ma donzella Non lo chiama L' Elicon che gli dà fama. L'amor, ch' altri a te consiglia, All' insetto s' assomiglia, E l' insetto struggitore Sovra il Pindo ha nome Amore.
O nata al canto, Mio più bel vanto, Cetra de' cuori amica, Vuo' che ad un cuore, Ch' è tutto amore, Mio dolce amor tu dica; Vuo' che vezzosa, Vuo' che amorosa In molle suon tu canti, Come in gentile Mattin d' aprile Gli zeffiretti erranti. Sul picciol Reno, Liceo ripieno D' alto saver t' aspetta: O dolce lira, Dolce sospira; Vedrai la mia diletta. Sovra la soglia Fedel t' accoglia L' ombra d'Anacreonte; Col tuo sonoro Pettine d' oro Farmi tue note conte, D'Anacreonte Le note conte, Lira gentil m'impetra; Canzon, che dolce L' anima molce, Entro bel cuor penetra. Vergin soave Tiene la chiave Di quelle prische note; Col buon tesauro Ti dia restauro Ella che farlo puote. Del miele Acheo Non mi ricreo Semplice pastorella, E invano chero Qual è d' Omero L' altissima favella: Sol colgo fiori Ricchi d' odori Sull' Itala pendice; Sulla Latina Vo pellegrina, Ma corvi fior non lice. Ella t' insegni De' prischi ingegni Tutto il saver profondo; Io sol negletto Canto d' affetto, Sensi d' amor t' infondo. In cento modi, Cetra, tu m' odi Ridir ch' io l'amo, oh quanto; E che l'amarla Il celebrarla Solo del cuore è vanto. Arditi versi Ella giù versi Dal plettro suo sublime: Ghirlande or tesse Ella, che messe Fe' di leggiadre rime. Stassi restio Il canto mio, Lauro non merto e chiedo; La mia ricchezza È la schiettezza D' un cuor che mio già credo. Oh! voli il canto, Mio più bel vanto, A te, mia dolce amica. Vuo' che al tuo cuore, Ch' è tutto amore, Mio dolce amor ei dica. Così tu vedi Certo, e mi credi, Ch' io t' amo fida, oh quanto! E che l'amarti, Il celebrarti Solo del cuor fia vanto. Su via! t'adopra, Ond'io mi scuopra, O bella man pietosa: Su via! che un nume, Senz'arco e piume, In sua prigion riposa. Nel ciel io nacqui, Nel ciel io giacqui In letticciuol di fiori: Nacqui là dove Venere piove I fortunati albori. Crebbi indiviso Fra 'l dolce riso Io dalle Grazie amiche, Le Grazie ch' io Starsi vegg' io Al fianco tuo pudiche. Fanciullo, è vero, Son prigioniero In piccioletta stanza; Nè d' arco e strale, Di benda e d' ale Aver poss' io baldanza. Ma d' arco e strale A me non cale, Che un solo cuor tu brami, E tuo tel vedi, E tel possiedi Eternamente, e l' ami. Di benda e d' ale, Dono fatale, Che far poss' io? son teco; Nè dove han sede Ingegno e fede, Amor di sposo è cieco. Su via! t' adopra Ond' io mi scuopra, O bella man pietosa; Su via! ch' un nume Senz' arco e piume, In sua prigion riposa. Quivi oltre l'uso, Qui m' han rinchiuso L' onnipossenti Muse; E nunzio vengo, E gli inni tengo, Onde cantar son use. Vidi tra loro Le fasce d' oro Del tuo nascente figlio, E sull' oscuro Destin futuro L' alto n' udii consiglio. Non sai tu come Il caro nome Suonin le Aonie sponde; Ma 'l so ben io Che sono un Dio; Nè l' avvenir s'asconde. Il bambinello Nascer fra quello Dovrà soave canto, E in primo dono, Io, ch'Amor sono, Io tergerò suo pianto. Già la gradita Futura vita L' ali dispiega a volo; E impazienti Son gli inni ardenti Ch' io ti recai dal polo. Nè invan t' adopri; Ecco mi scuopri, O bella man pietosa; Nè più 'l tuo nume, Senz' arco, e piume, In sua prigion riposa.

Vergine prima.

La buja notte cupa e tenebrosa, Ove non stella signoreggia o luna, S'è vestita di nube tempestosa. E i flutti della mobile laguna Increspa l' Euro, che la torbid' onda Sul centro in giro vorticoso aduna. Ei la pietrosa ed inaccessa sponda Sibilando passeggia; or l'odi? e seco Odi il torrente, che superbo inonda? Deh! chi mi torna al mio tranquillo speco D' Engaddi, e lungo la fiorita spiaggia? Deh! verginelle, deh! venite meco, E in densa notte per la via selvaggia Più non seguite, e riposiam sin tanto, Che 'l tenebror nell' ocean ricaggia, E sin che l' alba si disciolga in pianto.

Vergine seconda.

Ohimè! dunque fia ver ch'alto spavento In noi desti la notte? e che ne arresti Il torrente fugace, il debol vento? Forse da questi rei lidi funesti Trarne non puote il sempiterno Amore? Ferma se il vuoi; ma non fia ver ch'io resti. Notte senza tempesta, e senza orrore Io non sperai: solo in Sionne vibra Perenne Sole il suo divin splendore. Vento autunnale le mie vene cribra, E 'l fulmin vedo nel sanguigno cielo Che sulle nuhi pallide si libra. A me pur verginella il fiero telo Reca orrore profondo, e sol mi è scorta Quel che già ne accendesti eterno Zelo. Nè dello speco la romita porta Mi rivedrà s' io non raccolgo pria Rosa divina in Engaddi risorta. D' elette ancelle fra la turba pia Bevemmo quell' affetto, e quella speme Ch'ora ne aperse la notturna via. Questo mio cuor, che in desianza geme, La virtù benedice eterna e pura Di chi 'l vil mondo non apprezza o teme. Di chi la vincitrice di Natura Fra verginelle dai tre lacci unite Mirabilmente d'imitar procura. Se da vergini sacre ambe nutrite Fummo all' amor del Nome suo Divino Vuo' di mie dolci scorte, a lei gradite, Seguitar l' orme e l' immortal cammino.

Vergine prima.

Vieni al mio seno, e 'l pianto mio ricevi, Pianto di pentimento, e di vergogna. Eterno Iddio! so che l' umil sollevi; So che tutto fai lieve a chi t'agogna, Ed in te spero, ed a mirar tua sede So che fidanza filial bisogna. Timor soverchio mi frenava il piede, Ma non paventi chi per te sospira Se la tua luce folgorar non vede. S' egli scoverto il tuo bel Sol non mira, Tu pur seco ti stai, e lo difendi, Nè va senza pietà chi la desira. Se del soverchio diffidar t' offendi Ne guida al lito desiato e santo, E voi, onde il già mio fatto si emendi, O verginelle, vi sciogliete in pianto.

Coro di Vergini che cantano.

Eterno Iddio! tu 'l puoi, Discendi in mezzo a noi, Tu che risplendi ed animi Il palpitante cuor. Io dal profondo esclamo, E tu ben sai se t'amo, Odi le voci e i gemiti Del mio crudel dolor. Notte tremenda imbrunasi, E tempestosa adunasi Nube, che adombra il facile Divino tuo sentier. Entro la valle immonda Il piè tremante affonda; Cento sentieri scuopronsi; Or chi ne addita il ver? Se del mio cuore afflitto Tu miri ogni delitto, In chi mia speme affidasi? Ove trovar pietà? Sei d' Israel la speme, E l' anima che geme, La voce tua magnanima Signor consolerà. So che se irato accendi I folgori tremendi Non avrò scampo, ahi misera! Dal tuo divin rigor. Ma tu perdoni e 'l puoi; Discendi in mezzo a noi, Tu che risplendi ed animi Il palpitante cuor.

Coro di Angioli, che non si vedono.

In tuo regno Signor, chi fia degno Di riporre l' ardito suo piè? Ne' bramati tuoi raggi adorati Vive il giusto, che vive per te. Senza luna la notte s'imbruna Sta sui nembi l'irato Signor. Ma sperate, bell' alme beate, Dell' Eterno voi siete l'amor. Fra le altere superbe sue sfere Egli il Sole perenne locò, Che con faccia ridente s' affaccia Nel sentiero che l' alba segnò. Dall' ondoso suo letto amoroso Sol novello tra poco verrà; Irraggiante qual tenero amante Vagheggiando l' eterna beltà. Voi sorgete, le lodi tessete A chi l' alma, la vita vi diè. Vi fa al monte ed al mistico fonte Viva scorta la candida Fe.

Vergine Prima.

Oh dolce voce! Oh dolce mia speranza! Custodi vaghi del giardin ridente, Aprite, aprite la serena stanza. Noi verginelle all' immortal sorgente Chiama un ardente d' onorar desio La bella rosa in Engaddi nascente. Alla nuov' alba così cara a Dio Ella vi nacque, immago eccelsa e bella, E il suo nome divino è nel cuor mio. Rosa di amore, eletta verginella, E figlia e sposa e fida amante e madre, Noi sue dilette nel bell' orto appella. O del figlio di lei e sposo e padre Fatture egregie, a celebrar venite Nosco la prima delle eterne squadre, E il porto a noi d' ogni dolcezza aprite.

Vergine Seconda.

Ben io lo dissi, che smarrirsi mai Non può lunga stagion chi 'n Dio riposa, Chi l' ama, e cerca suoi divini rai. Cessala è l' aura fredda e tempestosa, E già nel cielo orientale e bruno Pinge le nubi pallidetta rosa. Tace il dubbio torrente ed importuno, E l' usignuolo dolcemente canta, Nè v' è di notte ria vestigio alcuno, V' è nube sol che gli angioletti ammanta.

Coro d'Angioli che si scuoprono.

Verginelle di MARIA, Tutte speme, e tutte amore, Ella chiede il vostro cuore, Chi di voi lo negherà? Ella è l' alba in ciel sereno, Ella è luna in notte bruna, E in la torbida fortuna Le sue fide guiderà.

Coro di Vergini.

Ah dov' è l' eccelsa e bella Verginella, oh Dio dov' è? Tutto amore questo cuore I suoi palpiti gli diè.

Vergine prima.

Ecco il vago giardino ove desia Ravvivarsi quest' alma, ecco la rosa, Ecco l' alba novella, ecco Maria. Venerate la luce ove nascosa Stette la fonte d' ogni luce vera, Deh! la pregate voi scorta amorosa Ch' ella difenda questa nostra schiera.

Coro di Angioli.

Difendi, o tu che 'l puoi, I fidi servi tuoi, Tu che risplendi, ed animi Un innocente cuor. Fonte de' lor desiri, Meta de' lor sospiri, Serba ne' petti fervidi Il giovanil candor. Dà lor la dolce calma, Ma nella limpid' alma Ella non torpa, e generi Vilissimo languor. Dà lor piacer fugace Con più durevol pace, Ma la virtù magnanima Non perda suo vigor. E ovunque tu le chiami Falle veder che l' ami, Nè a te le tolga il facile Costume seduttor. Difendi, o tu che 'l puoi, I fidi servi tuoi, Tu che risplendi, ed animi Un innocente cuor.

Vergine Prima.

Serba le dolci ed amorose guide Della età prima nostra, onde noi siamo Al tuo Nome Divino ancelle fide.

Una piccola Fanciulla del Coro.

Deh! fa loro veder quanto le amiamo.

Vergine seconda.

Serbane chi divide e gloria e nome Con gli angioletti, e lor virtude imita, Che dei lor gigli s' adornò la chioma, E sappia che l' amiam quanto la vita.

Coro di Angioli e di Vergini insieme.

Difendi, o tu che il puoi, I fidi servi tuoi, Tu che risplendi, ed animi Un innocente cuor.

Pico re del Lazio fu amato da Circe celebre maga, che lo trasse per forza d' incantì nelle selve Laurentine, e con minaccie e prieghi tentò farlo infedele alla di lui sposa Canenle, conosciuta da tutto il Lazio per gli ammirabili suoi carmi. e per la bellissima sua voce.

Sinquì vedi Ovidio nelle Metamorfosi.

Per evitare il noto scioglimento della favola si finge, che Pico invocando i Numi, trionfi dell' arte di Circe, che disperata lo abbandona.

La scena è nelle selve Laurentine.

Pico.

Laurentine oscure selve, Deh! lasciate al mio dolor Fuor dagli antri uscir le belve, Il terror del cacciator.

Coro (lontano).

Il veltro si desta; chè l' atra tempesta Nel cielo passò. E 'l raggio ridente del fresco Oriente La notte fugò.

Pico.

Su l' ampia foresta la nube funesta, Che i fulmini aduna…….

Coro.

Passò.

Pico.

Nell' orride grotte la torbida notte Il giorno che nasce,…….

Coro.

Fugò……

Pico.

Chi mi trasse in questo orrore? Voci ignote, rispondete Per pietà del mio dolore; La mia sposa ove sarà?

Coro (scoprendosi).

Oggi Circe a lei t' invola; Ella più non ti vedrà

Pico.

Ahi! Canente sarà sola, L' infelice morirà.

Circe.

Guerrier possente, amor del Lazio, e mio, Scorda gli indegni affetti, Le nuziali tede, i nomi vani Di padre e di consorte; Circe son io, la forte Domatrice d' Averno; un vasto impero Signoreggiar t' invito. E di te sola è degna La reggia, dove Circe e vive e regna. Se rimirar tu brami L' antro di Circe altera, Vieni, mi segui, e spera, Teco un Iddio verrà.

Pico.

La reggia tua superba M' offre un piacer fallace; Sol dalla prima face L' alma sua pace avrà

Circe.

Regno?…….

Pico.

…… Non curo……

Circe.

…….Amore?

Pico.

Sta di mia sposa in cuore.

Circe.

Perfido !…….

Pico.

…… Oh Dio !…….

Circe.

……. Paventami Non so che sia pietà. Cangia consiglio, o misero, Il mio poter rammenta.

Pico.

Ch' io padre sono, ahi misero! Nel tuo furor rammenta. a due.

Circe e Pico.

Ognì speranza è spenta Non so/sai che sia pietà. a due.

Circe.

O re superbo, il non frenato affetto A cangiarti nel petto Non la forza userò; e prieghi, e doni, Usar teco vogl'io; le vaghe danze, I soavi costumi, i vezzi, i ginochi, Le lusinghe, gli amori, Tutto con teco adoprerò ben io La possanta conosco Della molle catena, Ed un eroe so che resiste appena.

Una voce del Coro.

Torna il fonte al lido amico, Torna il fior al verde prato, Ed il fresco colle aprico Già comincia a verdeggiar. Fa ritorno al caro nido La felice tortorella.

Tutto il Coro.

E sospira su quel lido, Dove apprese a sopirar.

(Seguono danze di ninfe,).

Altra Voce.

Già l'aurora porporina Vien dal balzo rugiadoso, E la rosa damaschina S' apre al dolce lagrimar. Ogni Musa va beando La pendice innamorata,

Coro.

Su quel lido sospirando Dove apprese a sospirar.

(Danze come sopra.)

Circe.

Laurentine amiche sponde; A voi torna il piè fugace; Odo già le placid' onde Dolcemente mormorar. Mia speranza, a te sorrido, Io nell' alma già ti sento, E sospiro su quel lido, Dove appresi a sospirar.

Coro.

Su cingetelo di rose, Lo guidate, o verginelle, Sulle fresche erbe novelle, Vostre danze a vagheggiar. Chi resiste al vezzo, al canto Della reggia fortunata? Chi resiste al molle incanto D'un soave sospirar?

(Danza il coro, ed incatenando.
(Pico, l'incorona di fiori).

Pico.

Lungi, lungi, fatali

(gettando i fiori, e scostandosi.)

Incantatrici ninfe; a voi resiste Il saggio che vi fugge; uso funesto Cresce il periglio, e il giusto orror ne scema. Ah! fra le voci infide Ov' è la voce, onde Canente ha fama, Immortal fama in Pindo? ella si cara Alle Muse pudiche, ella che tanta Sete di gloria in cuor mi desta, ond' io Per lei son uso a palpitar; or come Negli scherzi fallaci Rinvenirvi poss' io, teneri moti Di padre e di consorte, ove pur tutto Pace, gioja, consiglio, e speme, e gloria Ritrovar io solea? Mentiscon sempre I non semplici affetti, invan la pace Fra i tumulti si spera D' una vita ingannata, e lusinghiera. M' arde di gloria il fuoco, Nè fra le rose e i fiori In turpe vita ha loco Un immortale ardir. M' arde un amor verace, Nè vuo' fra mille amori La generosa face Vederne illanguidir.

Circe.

Dal seno torbido Del tacit' Erebo Uscite, o vindici Del mio furor. Udite il perfido, Numi terribili; Non rida il barbaro Del mio rossor.

(Il teatro s' oscura, i Numi d'inferno danzano intorno a Pico).

Coro.

Il cielo oscurasi, I venti fischiano, I lampi accendonsi, Le piante incurvansi, L' onda precipita, Gl' abissi tremano, Il suol spalancasi, In mezzo ai vortici Di fiamma rapida L' ombre terribili Tutte s' affacciano Nel cupo orror. Volano, volano Pallide, pallide, In negro turbine Sorgon le Furie; Sibila, sibila L'arco infallibile Vendicator.

Circe.

Non rida il barbaro Del mio rossor.

Pico.

Ove son?….. Che m'avvenne?….. ah! questo ferro Vendicherà….. Che tento?….. Misero, al ferro manca L'usata forza….. iniqua!…..ah sin che in seno Lena, e vita m' avanza, Non giunge a vacillar la mia costanza….. A voi, pietosi Numi, Il togliermi s' aspetta Al periglio fatal: voi mi rendete Alla reggia paterna, ai lari amici, Ai casti amori; e sorte Ridoni a me Canente, o venga morte.

Circe.

Ohimè! rischiaransi Le dense tenebre, Qual Nume frenami Nel mio furor? Ohimè! spariscono (I Numi infernali spariscono.) Le Furie vindici, E ride il barbaro Del mio rossor. Vinta da forza ignota, Ohimè! come son io?…… Misera! dentro All' Erebo temuto Tornan le invan chiamate Furie vendicatrici……. Or sì, trionfa, Re del Lazio possente; oggi d' Averno Vinse un Nume per te tutto l' incanto…… Qual donna vil, Circe hai ridotta al pianto.

Pico.

Per voi, pietosi Numi, Per te, pietoso Amor, Fuggon le larve orribili, Torna la pace al cuor.

Circe.

Perfido, addio…….mi vinse Per te spietato amor: Torna alle smanie orribili Il disperato cuor. S' apra l' Averno, e nella torbid' onda Me disprezzata il pigro Lete asconda.

(Sparisce Circe).

Coro.

Il ciel rischiarasi, (Il teatro si rischiara). L' aure sospirano, I lampi spengonsi, Le piante abbellansi, L' onde le ingemmano, Gli abissi chiudonsi, Il suolo infiorasi, In mezzo ai vortici Di fiamma rapida L' ombre terribili Più non s' affacciano Nel cupo orror. No, più non volano Pallide, pallide, E già sul turbine Dell' empie Furie D' un Nume sibila L' arco infallibile Vendicator.

Tutto il Coro.

Fuggiam nell' Erebo Il suo furor.

Pico.

Vi piombi all' Erebe Il suo furor.
insieme.

A
LICORIDE
PEL SUO RISTABILIMENTO IN SANITÀ.

Aglaja.

Fra l'aer torbido d' oscura notte Quai dalle orribili Cimmerie grotte Voci qui sorgono d' aspro dolor? Quale fra' palpiti mi sento in petto Iguoto all' anima, penoso affetto, Usata ai teneri sensi d' amor? Misera! io mi credea Non ignota ai viventi, Cara ai Numi del ciel, io mi credea Che la più giovanetta Fra le vergini Grazie, in van cercata Non avrebbe pietà….. Chi mi risponde? Numi! Ninfe! Pastori! Aglaja io sono; Chi m' addita il sentier del sacro tempio Ove risiede Igea? chi, chi m' addita La tortuosa via? di lei ricerco, Di lei….. ma come, ohimè! fischiano i venti! In questa autica selva Treman le oscure piante; un dubbio fuoco Sanguinoso serpeggia Nel bruno ciel; dalle caverne un grido Esce di morte….. Oh Dio! Dove rivolgo il piè? dove son io? Non fra le fronde altissime D' antica selva annosa, Ma d' un ruscello al margine La bella Dea riposa, Ch' io ricercando vo. Ah! dove sei? rispondimi, Pace dell'alme, e vita; Bella Salute rosea, Il tempio tuo m' addita, Ch' io rinvenir non so.

Coro.

Senza te, possente Igea Bruno è il Sol, oscuro il giorno, Nè la notte fa ritorno Col suo tenero splendor. Senza te, bella Salute, Langue il ciel, il suolo e l' onda, E la terra non feconda L' infelice agricoltor. Dalle porte d' Oriente Sorridente inghirlandata, Guarda l' Alba innamorata Tuo dolcissimo candor. Ride il labbro suo vezzoso, E in tuo seno, o Dea gentile, Sparge il fior a te simile, Ch' è il più vago d' ogni fior. Senza te la breve vita È peggior d' ogni morire, Senza te vedria languire Gioventute il suo fulgor. Senza te non v' è speranza, Gloria scordasi l' alloro, La Fortuna il suo tesoro, E la face il vispo Amor.

Aglaja.

Oh lieti accenti!……. Alfine Certa son io, non m' ingannai……. lontana Esser non dee la sospirata meta; Ecco i sacri ministri; il canto, il canto De' sagrifizj è questo……. E quando mai, Bella Salute, ti vedrò?……. rivolto Dove ha, sacri ministri, il piè divino? Rinvenirla? ma come?…….

Igea.

A te vicino.

Chi delle Grazie al pianto, Chi delle Grazie ai voti, Dai lidi più remoti, Il piè non moverà? Belva non v' è sì cruda Nell'ira sua feroce, Che alla tua cara voce Non senta in cuor pietà. Questa, ove ti smarristi, D' Epidauro è la selva; al manco lato Là fra turbinì e venti, Sta l' ara d' Esculapio; incerta via Tortuosa vi guida, intorno cinta D' alberi ignoti, e di stranieri fiori. Lungi da questi orrori Nascoso è il tempio ov' io risiedo, cerca Più d' un mortale il tempio, e rinvenirlo È voler degli Dei, Non arte, e non virtù. Ma tu che sei Di Venere l' amor, gloria di Cipro, Di Cupido la speme, Chi a rintracciar ti guida Del mio tempio il sentier?

Aglaja.

Venere Urania Vereconda celeste, Che delle Grazie è madre, Messaggiera m'invia A ricercar di te; Venere bella Sovra lucida stella Oggi stassi pensosa, in obbandono Pose l' amato lido, Ove siede regina; egra languisce LICORIDE gentil; LICORI, il sai, È di Venere Urania il caro affetto; Delle Grazie è LICORI La compagna fedel; cogliere insieme Sogliam le rose in Amatunta, insieme Scioglier la voce al canto, Alla danza il bel piede, il labbro al riso; LICORI egra languisce; a noi la rendi; Pietosissima Dea, miei voti intendi.

Coro.

All' incanto D' un tenero pianto, Ed a questi funesti lamenti, Ah! non senti, Non senti pietà?

Igea.

Sì lo sento quel dolce lamento; Torni all'alma la calma ridente.

Coro.

Chi non sente la dolce pietà?

Igea.

A LICORI ritornino i fiori Sul bel viso fra il riso nascente.

Coro.

Chi non sente la dolce pietà?

Igea.

Ogni affetto si cangi in diletto All' incanto d' un pianto possente

Coro.

Chi non sente la dolce pietà?

Aglaja.

Grata a quella pietate, Igea, ritorno Alla stella natia; felice e lunga Età LICORI veda Compiuti, o bella Diva, I voti delle Grazie, e teco viva.

Coro.

Delle Grazie ai candidi voti La Salute dal cielo discende, Ogni Grazia s' allegra, e riprende Gioventude l' usato splendor.
Fremon dall' aureo cocchio intolleranti D' ogni ritardo i fervidi destrieri. O mia GIUSEPPA, o giovinetta amica, Parti, chi ti trattien? impaziente LEOPOLDO t' aspetta; ah! fuman l' are Cinte di freschi fior; teneri canti Sciolgon le Grazie a te; vanne: che tardi? Chi ti sofferma ancor? taci? ammutisci? Arrossisci? t' arresti? il piè vacilla? I lumi abbassi? Ma che miro? oh Dio! Ah! tu piangi? tu piangi? o sola speme Di questo cuor, alma dell' alma mia, Perchè tanto dolor? è pur tua scelta, È pur tua gloria quell' amabil nodo Ch' ora avvincerti de'; sommo scintilla Di suave virtute eterno raggio Del tuo diletto in sen, bella virtute Ch' a entrambi piacque nell' amato oggetto; Dunque, che temi or più? colà t' aspetta Colei che madre chiamerai, che volge Le luci a te molli d' un dolce pianto Palpitando di gioja, e al petto accoglie Novella prole; chè se figlia a lei La sorte non ti fece, il sacrosanto Vincolo che t' aspetta, il tuo verace E tenero rispetto, e l' amor suo, Tutto in essa ti dà di genitrice Verace immago; tutto ad essa acquista Di genitrice l' adorato impero, E 'l caro nome. Ma tu volgi, oh Dio! Alle paterne tue dilette mura Un mesto sguardo? Ah! si, t'intendo, intendo Quanto tu peni nel lasciarle: oh forza Non mai mendace di natura! ah cessa Di lacerarle il cuor! tu, forte donna, PROVANA eccelsa, nel fatal momento, Che cedi altrui il tuo gentil tesoro, Avvalorala tu, dille che grata T' è la sua sorte, dille tu che 'l giorno È giunto alfin ch' ella t' imiti appieno. Lucente gemma non de' sempre ascosa Per se stessa serbar nel mar natio L' utile suo splendor; i guardi abbagli, Serva all' onor del suolo ov' ebbe vita, Serva all' onor di quello ove 'l destino Di porla divisò; chi puote mai Viver solo a se stesso? inutil pondo D' umanità, d' umanitate a scorno. Di severa ragion tempri i decreti Tenerezza e pietà; se s' allontana Dille che non ti perde, e nuova acquista Nella suocera amante altra te stessa. Nel dipartirsi da' tuoi figli, pènsi Ch' altri germani al suo consorte appresso Ritroverà; e quando un giorno, quando Bamboleggiar sul seno suo vedrai Vezzoso pargoletto; allor felice Sarai di sua felicità; mi credi (Non fatidico nume in me favella, Ma favella 'l mio cuor, che da' prim' anni Il suo conobbe) la vedrai tu stessa Tenera madre qual tu fosti, e sei, Paga di seguitar l' esempio tuo, Tenero ognor, ma non mai cieco amore Pe' fanciullini suoi nudrire in petto, Alle suore gentil nobil esempio, Nobil esempio all' Itale matrone. O mia GIUSEPPA, non ha possa il cuore D' esprimer quella che per te m' inonda Turba d' affetti, ammirazion, speranza, Suavissima gioja, e più d' ogn' altra, Pura amicizia, che in entrambe, il sai, Crebbe così che amarsi in noi divenne Necessità, dolce costume, e vita. Non sparga no l' età ventura alloro Sulla mia tomba; ma l' età ventura Invidii in noi, dono celeste e raro, Verace amica. Se fia ver che possa Un cener freddo ancor sentir la gioja, Sol quella sentirò quando talora Sensibil alma su' miei carmi sparga Poche stille di pianto, e rivolgendo Entro 'l pensier i nostri nomi uniti Sommessamente sospirando esclami: Oh tenere compagne! oh fede antica! O del mio cuor la più diletta parte, A che celarmi quel suave pianto Figlio d' amor, della natura figlio, Che t' inonda le luci? ah! che nel seno Della sacra amicizia assai più dolce È l' istesso piacer; par che si scemi Il diviso dolor, gioja divisa Anzi s' accresce, e tu lo sai, che meco Fin dalla prima età comuni sempre I sensi avesti, i desiderii, i voti; Sai che di questo cuor e 'l genio, e 'l tempo, E somiglianza, di costante fede Sola e vera cagion, ti dier l' impero. Oh con quanto piacer da' labbri tuoi Di severa ragion, ch' un dolce affetto Si compiacea vestir, udii le leggi! Ah! voglia il Nume, che di nostra vita Volge lassù l' incomprensibil ruota, Che indivisa da te, sempre mi sia Permesso il rimirar quell' aurea fiamma D' eccellente virtù che in te risplende. Ah! se tu m' ami, ah! ben capir tu puoi Quello che a forza non trattengo teco Impeto suavissimo e verace D' allegrezza sincera; è questo il giorno, In cui de' nodi più tenaci avvinta La bellissima sposa, a te germana, Al fidissimo sposo e di lei degno L' inviolabil sua candida fede Co' dolci affetti del sensibil cuore Consacra e giura. Oh lieto giorno, in cui Anima pura ad alma ugual si dona! Ah segua GABRIELLA i passi tuoi, Mia GIUSEPPA, t' imiti; altro desio Formar non lice, nè formar maggiore Desio potrei. Sotto 'l ridente tetto, Ove lieto t' accolse il tuo consorte, Guidasti cara ed incorrotta pace, La semplice onestate, i dolci modi, La necessaria compiacenza; e 'l giogo, Che a tua primiera libertà fu posto, Tu di rose copristi, e furon rose I lacci orditi dal ridente Imene. Ma che più meco ti trattengo! ah vola, Amica, vola a quell'antico albergo, Ove tua prima età rapida corse. Colà t' aspetta la vezzosa schiera Delle candide Grazie, e de' festosi Teneri Scherzi, che d' intorno intorno Sommessamente susurrando vanno Impazienti questi brevi detti. Già roseo vel sopra l' altere cime De' monti azzurri si dispiega, e vibra Raggi di fuoco la vermiglia aurora. Dalle morbide piume il nuovo giorno Uscir t' invita, o giovinetta sposa; È poco lungi 'l fortunato istante Che 'l tuo destino invariabil sempre T' assicura quaggiù, destati, e vieni. GASPARO è che ti chiama e che t' invita. Al dolce nome le socchiuse luci Apre vivace GABRIELLA, e lungi Sen vola il Sonno, ed i pesanti vanni Languidi libra, per l' estrema volta Guata la stanza ove trovò sin' ora La bellissima donna, a cui cangiato Sarà prima di sera albergo e nome. O mia GIUSEPPA, or che si desta, vola Vola ne' bracci suoi; stringila al seno, Dille ch' io l' amo, e che del suo destino Presaga veggio in avvenir gli eventi. Deh credi a me! il dì sereno mai Non fia ch' adombri, a voi nube funesta. Della vetusta età degne eroine Tributo avrete di non compre lodi, E alfin l' ebbrezza del materno amore, Sol degno premio al filial rispetto Ch' ebbe sempre da voi tenera madre, Ad aggiunger verrà, beate suore, Nuova esistenza all' esistenza vostra. S' è ver che dolce sia dirotto pianto A sensibile cuor ch' intorno intorno Folla d' affetti impetuosa opprime, Deh! perchè mai le lagrime rallenti, Madre, perchè?….. Non sai che dell' affanno L' atroce pondo più crudel si rende Col rigido tacer; vedesti mai Fuoco rinchiuso? lentamente cova, E lieve lieve debole scintilla Nel dolce queto volteggiar fallace. Egli se alfin colla terribil piena Il varco s' apre, nell' orrendo scoppio Serpeggia, passa, incenerisce e strugge. Così 'l dolor che la virtù raffrena Siede nell' alma, u' la ragione invano Ricondur tenta la perduta pace. Ah! che al cader de' cari nostri, il detto Non giova, no, di saggiamente freddo Consolator: sol puote un mesto ciglio Terger colui che consolando piange. Suave pianto, tenera catena Che l' infelice all' infelice annoda! Folle colui che lacerando il cuore Ragione addita a chi ragion non sente, E tutta veste di severe forme Tenera umanità. Ma dove, e come, Balsamo dolce sull' aperte piaghe Verserà desso? non così mio cuore Che tutto tutto il tuo dolor divide. Deh fissa, o madre, quel leggiadro monte Che bianca nuvoletta asconde e fura. È sacro albergo a Fantasia: sovente Qui giovinetta Musa i passi miei Guidò pietosa; qui dal primo lustro Su quelle assisa vermigliuzze rose Tra fanciulleschi semplicetti scherzi Un improvviso immaginar sospinse Dalle mie labbra un improvviso canto; Ora non più che la mia facil vena Lo studio allenta, e la ragione imbriglia. Ah! vieni meco sulla piaggia erbosa, Serto di vaghi fior raccor vogl' io, E dove sorge di TERESA, ahi lassa! La mesta tomba, ad una ad una i'bramo Sparger le foglie odorosette, e l' acque Sacre all' Aonio onnipossente Nume Versar piangendo sovra 'l duro sasso. O madre, non temer; qui non atroce Pallida Musa tragica s' asside D' eroi caduti sovra 'l tronco mozzo. Qui non sogghigna Satiro nefando, Nè allegro Fauno carolando passa Di mosto intriso le maligne labbra. Qui dolce è il genio, ed è suave 'l canto, Simile al gorgheggiar notturno e basso D' usignoletto, al mormorio simile Di venticello amabile, che dolce Bacia le frondi passeggiando, e vola. Non vedi tu colà vezzosa donna Che danza al suon d' una leggiadra avena? Quest' è GASPARA; e l' altra, a cui corona Tesson gli Amori, è SARA; udisti? udisti Quella canzon: Virtuti al desir mio Impennan l' ali ond' or nulla pavento? Illustre donna un dì la scrisse, ed ora De' laureti immortali all' ombra canta: Costei che dolce canta, e dolce ride È VIRGINIA; qui tenera favella FAUSTINA vaga sì, che 'l cuor mi chiede: È donna o Dea ninfa sì, bella? or vedi Laggiù CECILIA con le due TERESE, E VERONICA, e GIULIA, e l' alma SILVIA, MARIA gentile, e CHIARA a piè d' un mirto Con l' altera VITTORIA; un estro ardente E per l' una e per l' altra in alto poggia. Io vi saluto, invitte donne, ah! lice, Ah! lice a me di rimirarvi; bolle Pur anche nel mio sen fuoco vivace, Che a me stessa m' invola; e che vi fece Grandi quaggiù? l' arte non fu, ma fiamma Nata da forte immaginar, che l' alma Circonda e scuote e veste e spoglia e crea Bella natura; ah! sì, natura è bella, Ma bella più da voi dipinta; come Candida nube, ch' al meriggio il Sole Pinge di mille variotinti errori Mirabilmente: oh voi felici! un caro Seducente piacer beve sciogliendo La voce all' etra quel cantor verace Che natura creò; sol dura è l' arte A chi 'n se stesso ravvivar desia Estro che mai non fu. Ardon le stelle D' un egual sempre limpido splendore, E sol cadran qualora cada il mondo; Ma debol face, che d' umana destra Opra risplende, dall' istesso fuoco, Che l' orna e fregia, consumata muore. Ah ve', madre, que' fior: olezza intorno Aura di Pindo. Permettete, o sacre Abitatrici del divino monte, Ch' io gli raccolga; non vo' far corona A mortal fronte; d' una pura e santa Vergine i' voglio consecrarli all' alma Bella così, che rassomiglia al raggio Della tranquilla candidetta luna Quando in notte d' està fregia l' azzurro Dell'aer chiaro; forse fia che 'l dono Ella gradisca, e lassù 'n ciel m' impetri Virtù simile a sua virtute eterna. Vispi Amorini, datemi que' fiori; Son miei, non lo sapete? a voi la cura Di questi lidi affidò 'l ciel; novello, Genii vezzosi, v' offrirò coll' alba Carme festoso, me lasciate adesso In pace almen; tu, cara madre, un bacio, Un sorriso mi dona in premio al giusto Desir, ch' io nutro, d' eternar ne'canti Chi piacque a te, chi tanto amasti in vita: Poscia, se 'l vuoi, ritorna al tuo dolore.

Vol. II.

ALLA MARCHESA
GIUSEPPA PROVANA RIPA
PER LE NOZZE DELLA SORELLA
FELICITA
COL CONTE
GIUSEPPE D'AGLIANO.

Arde 'l meriggio, e de' vezzosi fiori Piega la testa illanguidita; oh come I dardeggianti rai pingono 'l rio Di vivo fuoco! i dardeggianti raggi T' offenderan, o mia diletta amica. Di', l' importuna garrula cicala Forse non odi? il suon di quell' acuta Querula voce a risvegliar sen venne Il bruno mietitor, che va cantando All' usato lavoro; egli non teme La calda sferza dell' estivo auriga: Ma tu nata fra gli agi è ben ragione Se com' ei calca 'l snolo arditamente Il suol non calchi; vedi tu quel faggio Che larghe foglie stende, e l' ombra porge All' anelante passaggier? tu meco Sotto la fresca sua verzura avrai Suave stanza, fin che tocchi l' onda L' ardente biga dell'Aonio Nume. Eccoci giunte alfin: oh come dolce Spira qui l' aura! oh come intorno spande Grata fragranza la mortella! ascolta Quell'augelletto che suave canta Sul nostro capo! Deh! seder ti piaccia, E 'l molle fianco riposar sul vago Odorosetto sermolin nascente; Nè ti spiaccia ascoltar i detti miei. Sai ch' è vicin quel giorno, in cui sull' ara Di pura fiamma sagrosanta ardente La tua leggiadra giovanetta suora Accenderà d' Imen la viva face. Sai che quel vivo amor, ch' a te mi stringe, Mi stringe pur con tue sorelle: un tempo Ne'dolci scherzi della prima etate A tutte fui compagna, e quando i cari Della primiera età semplici scherzi Più non piacquero a noi, a tutte amica. Sai che qualora una catena eterna A LEOPOLDO t' annodò, la dolce Catena eterna celebrai col canto, E del vero presaga io ti predissi Premio di tua virtute; or della tua Virtute è premio il più ridente e lieto Destin che in terra aver si possa mai. Nè poi negai carme di lode al merto Di GABRIELLA, quando uguale il fato Guidolla all' ara, e a GASPARO la diede. Dunque un inno di lode i' voglio sciorre A FELICITA ancor; tu glie lo reca, GIUSEPPA amata; pastorella sono, Nè pastorella altro può dar che canto. Che posso offrirle mai? forse gli affetti? Ma se gli affetti miei già tutti a voi Diede 'l mio cuor! forse i pensieri? e quale Altro che voi de' mici pensieri è 'l primo Suave oggetto? a me non diede 'l cielo Tesori, no! diemmi sol questa avena, E questa fresca pastoral corona Di verde mirto, ond' io mi cinsi 'l crine Dal primo lustro….. eppur mi par che un dono Farle dovrei….. forse una rosa?….. è poco. È ver che uguaglia sua beltà la rosa, Ma presto langue il fior, e dove stanno Innocenti costumi in lieta sorte So che belta presto non langue….. Almeno La mia sì cara pastoral zampogna Potesse a lei piacer….. no, ben rammento Come il flauto gittò sdegnosa a terra L' occhiazzurrigna un dì saggia Minerva Quando, forse, chi sa? invidiosette Riser le dive, nel veder siecome Mal appoggiava sopra 'l duro legno L' enfiate labbra; ed a Minerva assai S' assomiglia costei….. Or ve' ch'io trovo Il dono alfin! questo canestro lieve, Che ha tessuto mia man, recale, e dille Che un' imagine egli è del suo destino. Quel verd così vivo, ah! sai ch' è sacro Alla speranza, e qual altro colore Meglio convien a giovinetta sposa? Sotto mie dita quel pieghevol giunco Facil prendeva la straniera forma Ch' or utile lo rende; a lui simile Novella forma prenderà la bella Verginetta suave, allor che donna Imitatrice della madre, apprenda La difficil virtù del nuovo stato; Ad esser dolce imparerà da quella Cedente pianta; e perchè certa sia Di sua fecondità, verace immago Io dentro vi porrò, vermiglio frutto D' arbore verde….. tu sorridi? ah dimmi Perchè sorridi?….. credi tu ch' a sdegno Avrà 'l semplice dono? eppure a sdegno Tu non avesti un dì la mia ghirlanda. Ma adesso intendo!….. se tu ridi, amica, È sol de' miei consigli: a te non pare Che pastorella debba osar cotanto. Rigida usanza in ver! oh dunque basta; lo tacerò, tu sol le reca il carme, Ch' io getterò l' inutile canestro. Ma 'l Sol poggia sul monte, e non m'inganno, La sera è questa: lasci già tu dunque La collinetta mia vezzosa, e torni » Alle turrite cittadine mura? Tornaci, o cara, poichè là t' aspetta Consorte e figlio, ma rammenta ch' io T' amo quant' altri mai, più di me stessa, E quanto la mia pace; or se tu 'l vuoi, Prenditi il don di questi carmi, e parti.
Sorgi, deh sorgi! delle pallid' ombre Cupa dolente lagrimosa figlia, Invocata da noi Diva cui fugge Il ridente piacer, Diva tremenda, Tristezza, e compi il sacrificio a Morte. Reciso il crin, inaridito il pianto Sulle gonfie socchiuse e smorte luci, Livido 'l volto, le tremanti labbra Mute funebremente a mezzo aperte, Degna sacerdotessa all' infernale Divinità, sorgi Tristezza, ah sorgi! S' è ver che 'l canto ad animar possente Qualunque asconde il tenebroso e fosco Seno d' Averno richiamar ti possa Dal freddo letto delle tombe u' giaci. Pronta è già l' ara; d'una nera pietra Fatta è quell' ara; l' innalzò mia destra Sotto un cipresso, a cui l' altera cima Colpì poc' anzi fulmine notturno; Pronta è già l' ara, vittima già scelta È gemebonda fida tortorella Tolta dal nido; di quel nido appresso Inconsolabilmente un flebil grido, Battendo l' ali giù pendenti, mette La sua compagna….. ohimè! prendi, deh! prendi Il sacro ferro, chè a me fura il giorno Involontario lagrimar pietoso, Tristezza, e compi il sacrificio a Morte. Morte, terribil nome! un'onda incalza Onda novella nel torrente, un lampo Succede al lampo, ma non giá fugaci Come l' istante che un novello istante Piomba nel nulla struggitore: alfine Giunge pur quel che del respiro estremo Porta l' angoscia; deh! venite, o mesti Amici voi, che d'adorata madre L' estremo languidissimo respiro Coglieste disperati; a voi quel dolce Solo conforto che rimane in terra Agl' infelici, qui prometto; almeno Noi piangeremo, e piangeremo insieme Appiè dell' ara; e tu vieni, tremenda Invocata da noi Diva dell' alma, Tristezza, e compi il sacrificio a Morte. Anima bella, anima saggia, i figli Mira primieri, odi i singulti, ascolta Le smanie, i voti; cara tua speranza Eccoti il figlio, ecco tua GIULIA, ed ecco Le verginelle ch' educasti al tempio Degna di te religiosa coppia T' avanza, o dell' invitta unica donna Amabil nuora; le vezzose e dolci Tue fanciullette guida: un bacio all' ara Date, o fanciulle, e reverenti i puri Labbri sciogliete; vi conceda il cielo Della donna immortal l'alta virtute. Quest' è 'l mio voto; ecco i germani tuoi, Ecco le tue sorelle; alma beata, Udisti 'l pianto? ma deliro? o quella Fredda tua salma brivido d' affetto Scuote, e colora l' appassite guancie Di tenero rossor? grata t' è l' opra, Grata la vista de' tuoi cari: ah! nosco Bagna di pianto la funebre spoglia, Tristezza, e compi il sacrificio a Morte. Ma qual aura novella in sulla cetra Tenerissimamente sospirando Passa fugace? certo, oh certo! l' alma Del gran PANEMO da' divini lauri Ispiratrice fe' ritorno a questa » Rocca degli avi suoi vetusta sede. Ombra del gran cantor, carme di lode, Carme d' amor dolcissimo m'ispira. Tu che di lode a lei puro tributo Desti vivendo; colà giù fra' spenti, Quand' innalzò con la possente mano Eternità la sua fatal cortina, L' anima vaga ricevesti al varco, E sul varco divin col caro nome Di tua sorella la chiamasti: oh! fosse Non l' aura sol ch' entro l' Aonia schiera Spirò PANEMO, ma PANEMO stesso Dalla sua fredda solitaria pietra, Ove nel sonno sempiterno posa, Alzasse il capo, ed il canoro labbro Agl' inni usato dischiudesse un inno. Certo della gran donna un degno vate Ei fora, ei sol; ed oh! chi sa, che dolce Or sugli scanni sempiterni un forte Desio non scenda ad agitarlo, e vive Scintille rapidissime dell' estro Non gli scherzino in sen? coll' occhio ardente Atteggiato in fatidica sembianza Chi sa ch' egli lassù vate non sia Di cose eterne? ed oh! degna del cielo Cosa è pur l' estro, ed oh! dell' estro serva, Anzi signoreggiando all' estro, scendi, Tristezza, e compi il sacrificio a Morte. E quando fosti mai giusta, o Tristezza, Com' or lo sei: tenera sposa un tempo, Vedova casta, e reverita poi Il Tanaro la scorse, e più la scorse » Quella collina, che fra tutte altera » Del Belbo in riva grandeggiar si vede. Figli dell' alta donna, appiè dell' are Piegate il capo reverenti, e sia Omaggio a sua virtù la rimembranza Di quell' istessa sua virtù: comune Ebbi pur seco il nome, un sangue stesso In sen d' entrambe noi pose il destino; Ma la virtute, ohimè! figlia del sangue, Benchè superbo il creda il mobil vulgo, Sempre non è: ah sua vírtute avessi! Chè più del canto a lei fora suave Il sospiro d' un' anima innocente; A me pietosa almen, sorgi, deh sorgi! Tristezza, e compi il sacrificio a Morte. E tu, che di sventura il duro giogo, Con la più che viril forza sublime, Giovane donna, dalla prima etate Portasti benchè nata a miglior sorte, GIULIA, il mio voto tu seconda, e sia Regolatrice stella in mar turbato A noi la vita di tua madre; il nome D' amica a me, nome più dolce assai Che 'l sacro di congiunta, il sai, giá diede Il tuo tenero cuor; voce d' amica Ti scenda all' alma, e 'l tuo dolor consoli; Chè del dolor religion possente Di te reina l' impeto primiero Sola consolatrice a puro cuore Può raffrenar; dal sacrosanto nodo Se sciolto l' uom sceglie per cieca guida La d' affetti bollenti orrida piena, Ahi! degli affetti suoi vittima cade Irreparabilmente, all' egro eguale, Che già corrotto il gusto il cibo sdegna Che 'l condurrebbe a sua salute, e sugge Avidamente la bevanda infesta Che la morte gli dà: bevanda infesta È del dolor, è del piacer l' eccesso. L' eccesso del dolor a piè dell' are Deponi, o GIULIA, o dolce amica, e fia Così compito il sacrificio a Morte. Entro la reggia d'Argo alto di morte Silenzioso lugubre terrore Ampio regnava; parricida moglie Surse, l' amante scellerata e fella D' Egisto, e brancolando alle pareti La man nefanda spinse; una lucerna, Che sventolava mal accesa luce, Spiccò, la strinse; de' notturni veli Si sciolse; il nero crin cadde, la fronte Pallida le coverse, e i due di fiamma Lasciva e vile, scintillanti lumi. Nudo 'l sen, scalzi i piè, ella trascorse Le regie sale, ed alla queta stanza D' Agamemnone giunse: egli d' un sonno Dolce dormia….. ella fermossi in atto Terribilmente minaccioso; il ferro Sacro del prode alle vittorie, al letto Appeso stava; dell' iniqua donna La man lo strinse; poi quel ferro in alto Librò: ma 'l ferro le sfuggio: la terra Si scosse: il ciel tuonò: scoppio improvviso Diè la notturna face; ella tremante Posò la sua fatal lucerna; all' orlo Del talamo s' assise, il ferro in grembo, E l' ingannato suo consorte a fianco. Ove son io? sclamò….. quest' è, pur questa L' usata stanza, che m' accolse sposa, E che madre mi vide; ah! chi dal letto, Chi balzare mi fe'? Nume tremendo, Nume dell' ebbro cuor mi segue Egisto Ovunque vado….. ahi traditrice donna! Ov' è 'l delitto, che 'l delitto eguagli D'una sposa infedel?….. ov' è la scusa A tanto orror?….. Ei dorme! ahi l'infelice Sognando va!….. O sacrosanti Numi! Agamemnone, ohimè!….. ahi tu sognando M' appelli? ed io t' uccido? ove m' ascondo, Infame druda d' un infame amante? Ove fuggo 'l rossor? dove la vista Del consorte tradito? in quest' albergo Tutto rinfaccia mia perfidia….. ah! quale, Qual donna v' ha, che l' animo macchiato Osi proterva sollevar le ciglia, E sopportar dell'ingannato sposo Uno sguardo sereno?….. Oh! se tal donna Al mondo v' ha, io non son quella: il fiero Rimorso del mio cuor d' eterno scorno Pingerebbe la fronte, ove 'l delitto Scritto vedrebbe Agamemnon….. si fugga….. Così vuole 'l destin….. si fugga….. e viva Il padre, ahi lassa! d' Elettra e d' Oreste. Padre de' figli miei, vivi!….. ti serba! Ben io morrò!….. saprò punirmi….. il ferro Nel sen mi passerò….. Ma che?….. di vita Uscir così?….. e 'l caro Egisto? oh Dio Il desolato Egisto?….. Egisto! oh nome! Oh momento!….. Oh dolor!….. Egisto! o Furie, Mi ritornate in sen; scorre qual fuoco Il sangue acceso….. già cadeva 'l pianto, Or pianto più non ho….. ahi notte! ahi notte! Fuggi!….. o si compia il mio delitto!….. i'moro, Ma tu morrai!….. rival d' Egisto! ah mori! Disse quell' empia, e si slanciò; nell' urto Scosse il letto fatal; le luci schiuse Agamemnone all' urto, e di stupore Un grido aperse; colla man respinse L' incognito nemico; alfin lo sguardo Furioso vibrò….. e riconobbe L' inferocita, e pur timida moglie. Pria tacendo guatò, poscia proruppe: Son desto, o sogno? è Clitennestra quella? Ed io chi son?….. mi riconosci? e vegli? O una furia t' invase? odi, rispondi, Che ricerchi? che fai?….. Fors' ella allora Tutto dicea, ma le tremanti labbra Non poteron formar altro ch' un grido, Una voce non già. Possenti Numi! Disse 'l re d' Argo, qual timor t' invade? Perchè piangi così? forse un nemico Nella rggia paventi? odo lontano Un calpestio leggier, qual di notturno Insidiator….. vieni, consorte; i' sorgo, Nè pianger più, nè paventar; son teco. Ma la proterva ben sapea ch' Egisto Del suo rival creduto ucciso al tetto In quell' ora tornava. E se vivea Agamemnone ancora un sol momento Era Egisto perduto; era perduta La vil amica del nemico Egisto. L' eccesso del timor al sommo eccesso Dell' ardire portolla, ond' ella pose Le due ginocchia sulle piume, poscia Rapidamente si piegò, la destra Strinse al marito, ed un terribil colpo Replicò forsennata; egli la voce Estrema flebilmente proferendo Sclamò….. me lasso!….. ch' io temer potea Di tutti, e di te mai temer non seppi. E pur tu sei….. tu sei….. tacque ciò detto, E lungo sguardo moribondo fisso Tenne sull' empia: qual fiammella accesa Di quasi estinta illanguidita face Scintilla nel morir, scintilla ancora D' Agamemuone l' occhio, e pinge misto Allo sdegno l' amor: ahi! ch' e' vorrebbe Finir i detti incominciati, e detto Proferire non può….. gela 'l suo labbro Livido immoto, e sol forma confuso Un inarticolato mormorio, Pietosamente; gemebondo 'l capo Piega cadendo sulle piume, cd ella Fisso lo guarda, e pur morir nol vede. Pallida stassi immobilmente cieca La parricida, ed un sorriso orrendo Apre simile ad un funebre riso Di già convulso moribondo labbro. Un' infocata lagrima, ma sola, Bagna le sue palpebre irrigidite; Stringe la mano sanguinosa il ferro, Nè lo lascia cader, come se morte Minacciasse per anco al re traflitto. L' usurpator del talamo e del trono Giunge: la turba vil de' compri servi Lo guida al letto dell' estinto: un vivo Terribile piacer gli brilla in volto. Ambe le mani sulla gran ferita Palpeggiando sofferma: a Clitennestra Si volge, e sposa lusinghier l' appella. Ella grida, si volge; e qual di voi Qual sua sposa mi noma!….. È questo un nome, È questo un nome che mi dà la morte. Sposa?…..di chi?…..Chi vuol donna che 'l ferro Sappia spingergli in sen?….. molle di sangue È la mia man….. sul talamo l' estinto Marito giace….. su! 'l novel marito S' appressi, e questa man di sangue molle Stringa sul letto, ove l' estinto giace. Dov' è 'l mio sposo?….. Egisto! o mio funesto, Eppur mio solo amor, vedi quest' opra, È tua….. Per te privi di padre i figli Sono….. i miei figli….. ed io de' figli miei Barbaramente uccisi 'l padre. Egisto, Ahi crudel! ahi feroce! ahi mostro! ho compro Il trono a te, a me tua man col saugue, E vivi ancor!…. Oh dell' orribil opra Orribile cagion!….. Oh Dio! perdona, Egisto, è mia la colpa!….. ed hai tu solo La colpa di piacermi; è tuo quel trono, A quel trono ti serba….. O figlio! o figlio, Forse ti serbi alla vendetta….. ed io….. Ed io mi serbo al fier rimorso….. a morte. Disse; cadde boccon sovra 'l terreno Maledicendo la sua sorte atroce, E fra i Penati rimbombar s' udio Ululo lungo di fatal terrore. Cessato il vento, che la buja notte Riempiva d' orror, crebre le nubi Fuggian pel ciel, ed apparia frammezzo L' azzurrigno seren; in oriente Sorgea l' aurora vermigliuzza, allegra, Che per tanti mattin stette nascosa Ravvolta in fosco tenebroso velo. Placidamente si moveano l' onde Spinte dall' ôra; chè d' onde ricolma Era per anche la deserta terra. Su picciol legno, che in balia de' flutti Iva dal primo dì della tremenda Ira divina, la vezzosa Pirra Svenuta pel timor, chiudea le luci; Pur allor le chiudeva, ed un fugace Respiro apria le scolorite labbra. Al pio consorte la cadente testa Poggiava in grembo, e sulla man tremante Ei la reggeva; mestamente chino Un guardo a lei, un altro guardo al cielo Alternava piangendo; era ogni sguardo D' amor, di duolo, e di speranza un voto. L'intese Giove! a quella coppia amante Sorrise, e 'l ciel si fe' tutto sereno, E 'l Sol lucido nacque; in faccia al Sole La di vivi color Iride pinta Apparì nunzia della pace; allora Angosciosa anelante sospirando I lumi aperse la leggiadra Pirra. Con un sospir d' affanno le rispose Teneramente il suo consorte; un guardo Amoroso le volse; ella proruppe: Dov' è la madre? Ahi dove il vecchio padre, Le sorelle, i germani, i cari amici?….. Sposo, rispondi!…..Ahi noi siam soli!…..ahi soli Che faremo quaggiù?….. Deh! chi mi rende Al primo nulla? e chi nell' onde atroci, Tomba de' cari miei, mi slancia, ond' io Abbia la sorte alla lor sorte uguale? Disse, ed alzarsi ella tentò; con grido Di spavento e d' orror, ei della veste Per un lembo la prese; e dove, ah! dove, Dolce metà dell'affannato cuore, Disse, cerchi la pace?….. e vuoi lasciarmi, Vuoi lasciarmi così?….. Soli nel mondo Soli non siam….. tu mi rimani, o cara! Io ti rimango; la mia vita è tua, Mia la tua vita….. Ah sì! sarotti padre, Fratello, amico….. più tremendo ancora Esser potrebbe il tuo destino e 'l mio, Se un sol di noi serbava il ciel; parea Poco al destin, che 'l padre mio col tuo Unisse 'l sangue, e ch'Imeneo col mio Confondesse 'l tuo fato; un nuovo nodo Son le sventure nostre; a me ti serba Fida consolatrice; il mio dolore Sola scemar tu puoi; vivi! i tuoi giorni Mi son cari così….. l'accento estremo Proferir non potè: gelò sul labbro Al rimirar il rovinoso flutto Alto portar la navicella errante. Vivacissimamente al seno strinse La semiviva sua compagna: addio! Affannoso gridò….. ella men forte Sommessamente gli rispose: addio! Ma non si franse il debol legno; un Nume Vegliava a sua difesa. Era 'l più saggio D' ogni uom Deucalion; e la più saggia Delle donne era Pirra, onde tal coppia Giove serbò: la serbò sola al mondo: A scorno di virtù, ella era sola Degna d' esser difesa. In sulla cima Del superbo Parnasso il flutto amico Portò la nave. In sulla pietra asciutta Deucalion balzò. Strinse la sposa, E intralciate le braccia, in sulla terra Caddero entrambi a render grazie a' Numi. Poscia con lento passo egli sul margo Del torbido Cefiso altero fiume Prese ignoto sentier. Ella seguia Lo scosceso cammin. Alfine, ah dove, Disse, mio dolce amico, ove mi guidi? Qual mai tempietto sulla cima al monte S' alza mirabilmente? oh! chi serbollo Nel gran fato comun? Serbollo, o sposa, Ei gli rispose, quel ch' entrambi in vita Ci conservò. L' almo tempietto è sacro A Temide immortal; cerchiam sollievo All' affanno crudel nel tempio augusto. Vedi, è coperto del più sozzo fango, Ma serba ancor intatta l' ara. Ah piega Su quella pietra le ginocchia, o Pirra; Prega tu meco la possente Diva, E tu, Diva possente, i preghi ascolta. Noi siam soli nel mondo, e d' esser sole Non mi dorrebbe, se vivesse meco Eternamente l' adorata Pirra; Ma morti noi, s' estinguerà la bella La più bella opra tua. Sull' orbe muto Per chi 'l Sol brillerà? le tante stelle, La bianca luna per chi mai faranno Bella la notte? l' iride, l' aurora, Il lampo stesso, la tempesta, il vento Chi mirerà? per chi fecondo il campo Farassi? e per chi mai le piante, i fiori Germoglieran?….. Pietosa Dea! di padre Il dolce nome a paventar costretto Son io; mia vita necessaria troppo Sarebbe a' figli pargoletti; è vita Un breve sogno, ch' un istante fuga. Pirra! mia Pirra! d' una sola morte Morremmo entrambi, che di duol morrebbe Chi rimanesse dopo l' altro in terra. Ed ahi! lasciar dovremmo i figli nostri Imberbi forse, pargoletti in cuna, Preda de' mostri, che dal sozzo seno Della terra usciran, allor che calda Il Sol la faccia. Oh Dio! sposa, tu piangi? Oh Dio! m' uceide il pianto tuo! non posso Regger al peso dell' atroce sorte, Che ci minaccia d' un' eterna guerra. Singhiozzando egli tacque; ella parola Non fece, chè piombolle in sovra 'l cuore Un terribile gelo, ed un tremore Le passò per le fibre in sulle chiuse Livide labbra; sin dai cavi fondi Si scosse il tempio; una divina voce Così alfine parlò, fatta pietosa Dall' eccesso del barbaro martoro. Bendate gli occhi, fidi sposi; i veli Sciolti, e radendo il fango, uscite fuori Del tempio insiem, di vostra madre l' ossa Cogliete entrambi; e poi gettate entrambi Di vostra madre l' ossa in sovra 'l fango. Tacque la Diva; di rossor dipinse Pirra le gote; le modeste luci Abbassò sospirando….. O madre, madre Sclamò, turbar degg' io tua muta polve? Gettar l'ossa?….. ma come?….. e dove posso L'ossa tue care rinvenir?….. mia scorta, Sposo, tu sei; imponi: i sacri detti Spiegami tu….. e i sacri detti adempio. Sorrise il suo consorte, a lei porgendo La destra, e seco tacito la trasse; Pien di speranza si velò la fronte, Ella la fronte si velò; pensoso Pel sentier camminava; ad uno ad uno Coglieva i sassi, e sull' alpestre via Gli gittava passando; ella coglieva I sassi pur ad imitarlo accinta. Alfin sclamò Deucalion: gran madre, Terra feconda, l'ossa tua ricevi Pietosamente, e 'l voto mio seconda. Pirra, cui dolce palpitava il cuore, Il velo alzò dalle vivaci luci Scintillanti di cupido desio; Simile a quel dell' ondeggiante mare Aveano moto le gittate pietre; Gridò, lo sposo si rivolse, e cento E cento donne vezzosette, e pari Numero di leggiadri giovanetti Vide cresciuti passeggiar sul piano, Novelli abitatori al mondo antico, Adulti figli di non vecchio padre. Egli depone il vel, viene la turba Ad inchinarlo, e suo signor lo chiama Ogni labbro, ogni cuor; accorto e saggio La turba aduna, delle prische leggi Spiega la forza; degli eterni Dei Il nome insegna ad invocar; capanne A costruir s' adopra; e fatto al vulgo Re, sacerdote, padre, all' umil tetto Solitario ritorna. Ambito solo Premio da saggio cuer, ebbe l' affetto, La stima universal, ebbe un amico, L' amor di Pirra, e la tranquilla pace. Vividissima stella, amica luce, Espero vago, tremolante fiamma Nella volta del ciel, salve! sorgesti Dolce de' sogni taciturno amico. Splenda suavemente il tuo fulgore Sulla mia capannuccia. Un dolce raggio Tra la d' alloro rigogliosa siepe Passi furtivamente, e sulle piume Sacre al tranquillo mio placido sonno Cada così, che 'l sonno mio non turbi, Ma tolga a notte il suo profondo orrore. Figlio di notte mollemente passi Languor suave dalle luci all' alma; Scenda 'l riposo, e tu tenera splendi Vividissima stella, amica luce. Ma perchè s' ode ancor tra quel silenzio Lontna voce? Quell' allegra voce Turba dell' usignuol nascoso e mesto L' armonioso sospirar notturno. Usignoletto, chi 'l tuo pianto turba? Più del ruscello il mormorio non odo, Odo ma sol avvicinarsi il grato Sonoro mobilissimo concento. O dolce più dell' usignuol, più dolce Del ruscello, chi sei, cantor vivace? Avvicinati a me! cantar pur io Talora ardisco; alle pareti appesa Sta la cinta di fior candida cetra. Chi sei, cantor? Io già l' imposte schiudo, Sto sulle soglie ad aspettarti. Ah splenda Sull' erboso e gentil picciol sentiero, Che ti conduce a me, propizia splenda Vividissima stella, amica luce. Ma qual mai turba s'avvicina? oh come Danza la turba! donzellette vaghe Siete, e fanciulli. Donzellette amiche, Chi cantava di voi? pur io donzella Sono, e vorrei che m' insegnaste il canto. Chi sì dolce cantò? fanciulli, ah posso Cercar tra voi il vate mio notturno? Quel che già 'l sonno m' impedì, ma caro Femmi 'l vegliar per ascoltarlo. Ahi muti Sono costoro! invan ricerco il labbro Da cui la voce, che nel cuor mi scese, Uscì poc' anzi. Donzellette, addio; Addio, fanciulli; mi lasciate in pace; Fra voi non è quel ch' io cercava; il ballo Menate pur, ch' io men ritorno al sonno, Or che sul letto solitario splende Vividissima stella, amica luce. Balena il ciel? o pur s' accese il monte? Nuovo portento! come balza il cuore! Qual fiamma passa negli sguardi! il piede Perchè trema così? Quel ch' io cercava, Verrà, certo verrà: scende dall' alto; Eccolo! O sacro d' Elicona amore, Pastor di Pindo, folgorante Nume, Che 'l giorno meni sugli eterei chiostri, Or meni il giorno sulla mia pendice. Tu m' involi a me stessa; ah mia capanna Fosse degna di te! Donzelle, ah! fate Fate, o fanciulli, al nostro Nume onore. Or vi ravviso; voi siete le Muse, Gli Amori voi, ecco le Grazie: un bacio Chi di voi, chi mi dà, Grazie vezzose? Qui danza il Gioco, qui loquace e muto Parla tacendo l' eloquente Riso, Ed il soave Pianto abbraccia e stringe; Di Tenerezza e di Piacer entrambi Son pargoletti figli il Riso e 'l Pianto. Oh dolci affetti! oh cara turba! oh come Splende al vostro guardar su mia capanna Vividissima stella, amica luce. Nume di Pindo, tu m' additi il bosco, E 'l fresco rezzo a ricercar m' inviti. Splende fra i mirti l' aspettata aurora: Mille suavi odor spira l' auretta. Fra quelle piante, deh! fra quelle piante Perchè fuggite, o Muse? E che fuggite, Grazie ed Amori? Ad albergar nel bosco Qual provate piacer?….. Nume, mio Nume, Se v' ha piacer ad albergar nel bosco, Ch' è nido delle Grazie e degli Amori, Una capanna anch' io vorrei tra quelle Rigogliosette superbuzze piante. Oh bella schiera! Oh vedi! ognuno ha cinto D' una ghirlanda pastoral la fronte. Una ghirlanda a me. Ognun l' avena Stringe. L' avena a me si doni: anch' io Voglio un armento; ed a guidar l' armente M' avvezzerò. Eufrosine leggiadra, M' insegnerai a custodir le agnelle? Io di te canterò; le Grazie usate Sono a semplice canto; usate sono A udir canzon, che forosetta umile Scioglie inesperta allor che brilia in cielo Vividissima stella, amica luce. Quest' è 'l Parrasio bosco. Ecco gli Amori, Il Gioco, il Riso, tutti albergan tutti Nelle capanne del Parrasio bosco. Suona GLAUCILLA la pendice. Ah questo Questo è 'l mio nome! Sacerdote all' ara Dell' Aonio signor, tu 'l nome mio Su pargoletto allôr scrivi, deh scrivi! Cresca l' allôr, in un cresca 'l mio nome Col volger dell' età: grata, ò CIMANTE, Al dono tuo, vuo' meritarlo; al fonte Dell' alma gloria beva il labbro mio Insaziabilmente, onde somigli La mia canzon, non al fugace lampo, Che striscia, abbaglia, folgoreggia e cade, Ma al vivo raggio del nascente sole, Che grandeggia crescendo in mezzo al cielo. Tal è, CIMANTE, mia speranza, il voto Della mia gioventù. Tale, o pastori, Coppia gentil, che all' immortal pendice Or mi guidaste, a cui degg' io la cara Bella speranza che m' avviva, tale È di mia gioventute il voto ardito, Poichè vostra mercè tra quelle sacre Piante i' soggiorno, ov' or per me risplende Vividissima stella, amica luce. S' è ver che quando dal materno seno Esce fanciullo, a cui destina il cielo Col volger dell' età quella sublime Agitatrice fantasia, che muove Ogni fibra del cuor, come veloce Il vento muove le mature spiche, Sorger si vede della dolce cuna Al destro lato colla cetra d' oro Amabil Genio, che di rose 'l crine Inghirlandato giù dal ciel discende, E stringe al seno il pargoletto e 'l bacia, Sì che presago di venture cose Sovra i labbruzzi suoi l' aura divina Infonde 'l bacio del divino Nume; E s' è ver ch' ogni dì della suave Arte, ma pur difficil arte, eccelso Scende maestro il natal Genio, amico All' alunno novello, ed erudisce L' alma pittrice di Natura al canto: Chi mi sa dir, s' alla mia cuna appresso Udissi il sacro favellar di quello Mirabil fabbro d' armonia perenne, Ch' appena la ridente intatta bocca Apre ad un riso lusinghiero, intorno Col divo fiato la volubil aura Del grato odor delle vermiglie rose Al mattin nate mollemente impregna; Che appena muove la leggiadra destra Sovra le corde della vaga lira Odesi lieta del comune applauso Suonar la sponda, ov' egli stassi in dolce Estro rapito, del più fresco rezzo D' allôr venusto placido godendo? Chi mi sa dir se me creò poeta L' eccelso Nume ch' ora invoco? oh s' egli Sin dalle fasce me creò poeta, Scenda quel Nume, che 'l mio carme invoca. Al certo noi farem suonar l' auguste Fertili spiagge d' Eridan qui dove Dall' età prisca de' Romani eroi Bagna a Torino le superbe mura, E colà dove ver l' Insubria spìnto Del Monferrato la città primiera Lambe passando; e forse fia, ch' udirmi Brami 'l nobile fiume, e fuor la testa Sporga dall' onde, maestoso e lieto, Qual vecchio padre, che l' ardita prole In magnanima lotta ammira e gode. Forse bramose d' ascoltar le ninfe L' azzurro cocchio muoveran pe' flutti Sin che giunte su questa aprica riva Fuori del cocchio spingeranno ardite L' agili piante, e mi verran d' intorno Nel molle praticel sedendo in giro. Udite, o ninfe d' Eridan; tu m'odi, Usato al canto degli eterni ingegni D' Italia nostra e dell' Italia antica, Maestoso Eridan. No, non m' inganna Il fervid' estro, che nel petto acceso Della mia gioventù l' ore beate Felicemente di piacer feconda; Nata son io co' non ignobil versi A tesser veritier candido applauso Ai pochi figli tuoi ch' alma nel seno Non degencre pur da' lor grand' avi Chiudono, e 'l raro meritato nome Hanno di saggi, del fatal costume Incorruttibilmente vincitori. Come torreggia il cedro in sull' umile Già dall' armento calpestata erbetta, Torreggia il saggio sulla stolta gente, E l'ammirarlo non si vieta; o CARLO, Eccelso figlio d' Eridan, sacrato A te 'l mio carme da quel forte impulso, Che la virtute ad ammirar m' astringe, Te brama celebrar, brama se stesso Fregiar del nome d' un de' pochi arditi Imitatori de' grand' avi nostri; Nè a te dispiacerà; debole, è vero, Chiamasi 'l minor sesso, eppur talvolta Del minor sesso fu la chiara voce Emulatrice de' più sacri ingegni. Vide già Tebe giovanetta donna Vincere a paragon PINDARO eccelso Sommo vate immortal; forse a maggiore Gloria di noi, donzella fu sublime Di quel sublime PINDARO maestra, E donne son le celebrate Muse. Dunque s' io pur alla difficil meta Tento salir, se de' pensier dell' alma Pinta l' immago ne' miei carmi lascio, Come in limpido vetro immagin chiara D' una fanciulla, ch' al suo biondo crine Agitato dall' aura i fiori intreccia, Che si dirà? D' un bel ardir talvolta Nasce la gloria; s' al fronzuto tronco Di rigogliosa pianta non s' appiglia L' edera tortuosa in terra giace, Ma s' avviticchia a quella pianta e sale: Il passeggier, che calpestato avrebbe La vulgar fronda, da lontan l' ammira, Sempre però magnanimo soggetto Scelga quel vate, cui l' aura divina Sulle magiche penne in alto leva, Nè scordi mai che le catene sdegna La fantasia, benchè catena aurata Le si doni talor; poni funesto Argine all' onda d' un gran fiume: ed esce Fuori 'l gran fiume dall' altere rive, Così che 'l campo, e 'l praticello allaga, Schianta il verde arbuscel, la messe strugge, Quel flutto stesso, che, se industre il guidi, Placidamente la tua messe accresce. Scelga il vate di se degno soggetto, Nè la grand' arte s' avvilisca: i surti Spontanei fiori colga il Genio; il Genio Spontanei fiori per te nati, o CARLO, Sull' ali mi recò; candidi gigli, Colorite viole, intatti allori D' Engaddi colti nella saera vigna; E forse indegna non son io di quello Del Genio dono, non indegna forse Son io d' offrirti quel divino serto, Chè 'l buon voler la debolezza emenda. Dunque non ti sdegnar, se incolti versi T' offre incolta donzella, e 'l merto onora. Te non abbaglia certo il sommo grado A cui chiamotti 'l ciel; CARLO, tu stesso L' orni cosi di ben più raro fregio, Nuovo e degno pastor; chiamarti padre Casale ambisce, e tu l' udrai di padre II caro nome replicar; del pianto Ah! forse allora trattener le stille Involontarie non potrai, ma pianto Di tenerezza, e d' un amor celeste Tuo ciglio bagnerà; l' umana ebbrezza, Ch' ambizion si noma, orribil mostro, Tu non conosci; tu 'l gemmato anello Palpitando ricevi; eppur chi 'l merta, Se tu, saggio signor, anco nol merti? Di quel gemmato anello il nobil pegno L' Eterno a te confida; ah se tua gloria T' ange così, te rassereni il dolce Pensier ch' or vivi dell' altrui ventura Operator; a far beato altrui Vivi, te non più mai! al vigilante Buon genitor di numerosa prole Te rassomiglio, che se veglia, solo Pe' cari figli suoi veglia, se breve Sonno le stanche sue palpebre chiude, I cari figli suoi sogna: felice, Felicissimo gregge, a cui pastore Simil al padre di famiglia, dona La clemenza del ciel; simil pastore Diede al ricco Casale il ciel clemente; Ch' anco talvolta, qual balen che fugge, In grado eccelso la virtute umile Brilla quaggiù; di quell' umil virtute, O de' FERRERI onor, premio rieevi Il sacro ammanto. Ma che cosa è gloria? Che cosa è vita? e che rimane a quello Che fra voluttuose e molli coltri Dorme sognando, che seduto in trono Cinto d' orientali alme conchiglie Onnipossenti leggi al mondo detta; Che gli riman quando si desta? ahi poco Poco così riman nell' ultim' ore A tutti i grandi della terra! in grembo Delle gelide tombe orribil sonno Dormon gli avanzi miserandi e vili De' nebil avi; il Tempo siede sovra Que' mausolei già diroccati a mezzo; E guata l' opra della nostra etate Malignamente sogghignando, ch' ella Templi, palagi ed archi innalzi al cielo, Ond' egli nuova nel distrugger gioja Provi: ahimè Tempo! ahi fuggitivo! ahi! dove Porti gli anni con te? ahi dove porti Serti, mitre, piacer, fama e riposo? Il Tempo fugge, e al cuor uman sol lascia La rimembranza del passato; acerba Rimembranza talor, che turba i giorni Della curva vecchiezza, e ch' avvelena I lievissimi giorni a gioventute. Oh beato colui che volge indietro Senza arrossir lo sguardo! oh te beato, Che 'l tuo guardo potrai volger indietro Senza arrossirne mai! il Tempo fugga, Ma nostra pace non si porti, e dolce Rida per noi, come tranquillo ride In ogni età che volge, in ogni tempo Suavissimamente il cuor del saggio.

Quis desiderio sit pudor aut modus
Tam cari capitis! praecipe lugubres
Cantus, Melpomene, cui liquidam pater
Vocem cum cythara dedit.

Orazio a Virgilio

Piangete o Muse con la chioma sciolta: SILVIO, ah! SILVIO dov' è? nud' ombra e polve È fatto il vostro SILVIO; e pende muta La dolcissîma cetra al suo divino Eterno alloro; ben vid' io talora Dalla reggia freschissima dell' Alha Scender Egle ridente, amabil figlia D' Eurinome e di Giove; in argentino Nappo tenea l' ambrosia, e la spargea Intorno intorno a fecondar d' eccelse Divine frondi il rigoglioso tronco; Or volge intorno al lauro Egle piangente, Sullà ruvida scorza il molle labbro Teneramente sospirando imprime. Ah! non è Febo il solo a cui rammenti Suavissimo amor quell' arbor muto: Egle ben sallo, Egle infelice e sola Che pastoral vesti candida gonna Seguendo SILVIO, sin là dove nasce In praticel di fior candido rio Sorgente all' Eridan, Egle divenne Fida di SILVIO forosetta amante: E s' Egle piange, al suo dolente pianto Piangete, o Grazie, con la chioma sciolta. Egle è sorella vostra, Egle primiera Nella cuna di rose il picciol fianco Mollemente posò….. A lei la rosa È sacra, e sul suo vago amabil seno, Ara divina, dolce dolce incurva L' odorifere foglie, ohimè! ch' invano Olezza all' aure il caro fior negletto. Simil al pianto della fresca Diva, Che ha le gote vermiglie, e 'l piè di neve, Imperla 'l caro fior d' Egle 'l bel pianto. Oh s' è ver ch' indivise e sempre amiche Le ritonde carole, i dolci canti Movete insieme tenere compagne, Della compagna 'l duol v' abbia pietose! Talia, reca 'l pungente aurato dardo, E tu, Eufrosine vaga, un ramo solo D' un rigoglioso mirto; in sul tuo mirto Col dardo aurato di Talia vedremo Egle tosto vergar l' amato nome. Ah sull'arena non vergarlo! puote Dell' invidia ministra, in un momento Volger sossopra il nome un' aura ardita. Ah non vergarlo sovra 'l duro marmo! Giovine man di donna, ahi nol potrebbe. Ma non invan pregai; Egle, ti reco Di tue germane il dono, eccoti 'l dardo, Ecco 'l ramo di mirto, ah se 'l bel nome Il gran nome di SILVIO intorno scrivi Al ramuscello, e 'l ramuseel mi doni, Il giuro al raggio ch' azzurrigno brilla Nelle meste tue luci, in sul mattino Su bianco sasso poserò la cetra Ove mano mortal mai non la tocchi, E sol le fila d' or moduli lenta Tua bellissima destra; il sai ch' io vidi Entro 'l mio pastoral tetto sovente SILVIO albergar, accarezzar lo vidi Me pargoletta, ei per età senile Già bigio 'l crin non isdegnò talvolta In gioco pueril scherzar con meco. Ah l' amico dov' è? SILVIO, deh! SILVIO, Alla mia voce non rispondi? Ah tutte, Ora che SILVIO eternamente tace, Piangete, o ninfe, con la chioma sciolta. Più di tutte le ninfe, ah! tu sospiri, Ah d' Eurinome figlia! e volvi lenta Vestita a bruno, vedova d' amore, Benchè Diva del ciel. Rammenti il tuo SILVIO infelice, lo rammenti, e piangi. Ov' è quel tempo in cui placida gioja Al caro tuo vicin sedendo avesti, Quel fuoco che non cape in freddo cuore Dalle parlanti sue luci bevendo Attentamente: del fecondo labbro Bevendo i versi armoniosi: or fuoco Dagli occhi più non beverai, più versi Non beverai dal labbro suo; qual fassi A sensibile cuor fiero tormento La rimembranza del piacer!….. che dico? Donna mortale ah non sei tu! discendi, Egle gentile, sull' alette d' oro Degli Amorini che ti fan corona Agli Elisi discendi, in sovra i fiori Degli Elisi il vedrai, là dove splende Sotto un vivido Sol limpido giorno; Egli avrà seco METASTASIO; i fati Di Tancredi narrando al sacro vate: O forse a GESNER mio primiero amore Pingerà di Saluzzo il fertil campo. E v' è chi dice che non v' ha poeta Alle falde de' nostri inclitì monti? Se poeta non fu grande suave Il nobil SILVIO, chi l' eccelso canto A lui dettò? Ah! che somiglia adesso Chiusa facella in mesta tomba bruna L' entusiasmo di SILVIO. Ah! voi piangete Il cantor vostro, vezzosetti Amori? Piangete, Amori, con la chioma sciolta. Piangete, Amori: sull' ombroso lido V'ammaestrò ne' più vezzosi giochi L' estinto SILVIO; trarre ad una ad una Le bianche foglie di negletto fiore Ei v'insegnò, e v'insegnò che Sorte L' infedeltate e la costanza scopre Allo spiccar di quelle foglie; e quanti Quanti fiori cantò? Smilace, Croco, E Narciso e Giacinto e 'l Mauro autico E l' Anemone vago, e cento e cento, E 'l più bel fior che gli era nato in seno; Ma se a donna immortal pinge cantando La dei poeti creatrice mente, E 'l sesso imbelle a mieter lauri invita, Qual donna v' ha che non si senta il cuore Nobilmente avvampar di sacro fuoco? Pargoletti Amorini a lui d' intorno Ve ne stavate, e chi di voi mi dice Quanti tesori nel suo grembo cela L' alta Musa di SILVIO? oh! chi palesa L'immortale tesor, ch' ancor nasconde Invid' arca fiemica ai guardi nostri? Oh! chi m' addita dove 'l volo sciolse Quella colomba che vermiglio nastro Legò sovente di Ciprigna al carro, Che abbeverò sul labbro ANACREONTE, Che SAFFO celebrò? quella colomba Loquace augello, che la vergin Teba Di Jodame e di Giove antica figlia In Dodona portò; quella de'vati Messaggiera che i versi intende e canta. Una della colomba intatta penna Togliete, Amori, da'suoi bianchi vanni: Ella dorme di SILVIO in sull' avello, Ah! s'io carmi vergar degni di SILVIO Colla penna potrò, che voi recate, Vedremo al suon de' dolorosi accenti Piangere i vati con la chioma sciolta. Dolce è l'alma de' vati, e dolce'l pianto Deile tenere Muse….. e come, o Muse, Come novella varia scena aprite? Picciola nave inghirlandata gira Su fiumicello di perenne flutto; Siede l'Estro alla prora; e muove'l remo Il rapitore della pinta Flora; Ad Erato vicin, Egle gemente Abbassa'l capo sovra 'l manto nero, Cadon le ciocche degli ondanti crini, Squallido è 'l volto; dove gite insieme, O le più vaghe tra le giovin Dive? Tacete aurette, Erato parla: o cara Ai Numi agresti pastorella, dice L'argentina dolcissima sua voce, Tu che brami da noi? deh! non fermarne, Lascia che l' Estro la barchetta spinga Sin colà dove in isola feconda Sotto una vôlta d' ôr mirabil marmo Fassi colonna; fe' quel tempio il Dio Che cadendo dal ciel zoppo divenne, E a me lo diede, allor che sposa all'ara La ripugnante languida Ciprigna Trarre fu visto, me lo diede, ond'io Con pronube canzoni il suo dolore Pietosamente lusingassi; al tempio, Ov' io l' opre miglior de' vati serbo, Egle mi segue; noi rivali il cuore Disputammo di SILVIO, e sempre a gara Vezzi e doni facemmo al buon poeta. Con i venusti scherzi il livor nostro Cautamente seemò, ben cento volte Ad abbracciar Egle mi spinse il suo Suave ragionar; ohimè nel pianto Egle or mi sei compagna; i sacri carmi Nel saero tempio deporrem; di luce Febo li eingerà; cosi gli amori D'una tenera Musa, i cari amori Della più bella fra le Grazie, eterni Faranno i carmi dell' estinto SILVIO….. Parlava ancor: impaziente l' Estro La nave mosse, lieve cenno fece Erato a me, languido sguardo volse Dall' umide sue luci Egle gentile Ai flutti lievi fuggitivi; e meco Al rammentar di SILVIO il caro nome Pianser le Muse con la chioma sciolta.
Questa, che in Pindo sulla cetra d'oro Celebraron talor l' Itale Muse, Immaginetta mia, ch'or dentro al cerchio Di bianche perle, sull' avorio breve La man ritrasse di pittore industre, Immaginetta ignota ai molti, egregia Per la vivace somiglianza, e cara A te cotanto, o mia soave amica, A te fida ritorna; io d' annodarla Qual pria sollevi sull'eburneo collo No non ti chiedo, che ben altro amore Oggi sentir dei tu primier; ben altra Immaginetta al bianco seno appesa Portar dei tu; nè gelosia conosce La vittrice di Morte e di Fortuna Santa Amicizia ch'or ti segue all' ara. Quando della invan sempre amata e pianta Germana tua, di GIOSEFFINA nostra Tutti gli affetti io dividea, seguire Me vide il Pindo tue maggior sorelle All' ara accesa del pudico Imene. Oggi tu sola, tu che t' assomigli Del!' alma invitta ne' divini sensi A GIOSEFFINA mia, tu speme e vita Dell'adorata genitrice, speme Degli amanti fratelli e mia pur sempre, Il pegno accogli d' un' eterna fede. Non io però con lusinghieri canti Seguo i ridenti sposi. Una severa Filosofia mel vieta. Io non di folli Amori canto; canterò di pace. Piacer di folle amor è lampo; è pace Raggio sereno di notturna luna. Splende quel lampo e passa; il raggio meno Splende, durevo! più; dimmi qual brama L' accorto passeggier fra le tenebre, Scorta a lungo cammin, la luna, o il lampo? Ben di pace e piacer limpido fonte Saravvi il nodo, che nel ciel tessuto Ha il nato in cielo onnipossente Amore: Nel ciel, là dove impera Amor, salita È la donna gentil, ch' un primo nodo, Un casto nodo al tuo fedel stringea, Che 'l caro nome ne portò primiera, E madre fu degl' innocenti figli, Ch' oggi scherzando a te d' intorno, madre Ti chiameranno. Ella rammenta come Fu DIEGO il suo pensier; come promise D' amarlo eternamente, e l' ama, e chiese Al Dio possente, che al consorte, ai figli La tolse, e al ciel guidò, consorte e madre Simile a lei, novellamente madre, Per sorte è vero, ma de' non suoi figli Amor, speranza e guida; ella l' ottenne Don raro, ahi troppo! negli iniqui tempi. E chi non vide col severo sguardo Nelle dorate stanze, e sulle molli Voluttuose piume, ahi spesso! il mostro, Che Infedeltà s' appella, il doppio viso Di scaltrito sogghigno menzognero Ornar tra vaghe parolette accorte? E chi non vide il Tradimento in mezzo Dell'alte sale passeggiar talora Gigante altero? Ed ahi! talora occulto Serpe, che striscia, le di fior catene, Che già fuggendo l' Imeneo pudico, Gittò sdegnoso, chi coprir nol mira Di nericcio velen? Languono i fiori, Vanno scoperte le pungenti spine. La incantatrice mobile Lusinga Maschera or rivestì, simile a quella Degli antichi Istrioni; al manco lato Ridente mascheretta colorita; Al destro, molle d' artefatto pianto. Maschera disdegnosa! Oh giorni ! Oh tempi! Oh infelici costumi ! I figli, i figli, Qual duro peso a chi sott' aspro giogo Ha sol d' Imene i duri affanni eterni; E il gioir vero d'un beato nodo O non conosce, od ha gustato appena. Centro l' irata, e non innocua sposa, Pieni d' atro livore escono i detti Dal labbro incauto; il famciullino ascolta Avidamente, e delle colpe altrui Gravasi già la tenerella mente. Sposi uniti dall' oro, e dall'errante Folle desir la sera, e disuniti Al mattiu nuovo dall' avverso genio, Dal dissimile amor, da brama ardente Di libertade, e di gioir iniquo; Quale di genitor cura e pensiero Nel cuor protervo nudriran? Ma come, Ma come, ahimè ! io degli altrui delitti Teco, o sposa, ragiono ? In su tua fronte Sorger io veggio di virtù lo sdegno. Deh! perdona, perdona; io delle austere Scuole del vero in Pindo alunna crebbi Nè me vide giammai Gnido lasciva, O Paffo seduttor; perdona, e scorda L' ingrato suon del canto mio. Qual tema Seguir può mai la vergin pura e saggia All' ara desiata ? Ah ! tremi quella Vergine incauta, che sen va superba Fatta sposa a colui, che in turpi scene Lasciva danzatrice adocchia e segue, E fra i penati suoi l' ira e lo sdegno Reca destati da'mal compri amori; Od a colui, che dalle scuole infide Balzando a fianco degli accorti amici, E l' increato, e sue mirabil opre, E l'arte e i dritti e i popoli e i regnanti E la virtute ed i doveri apprese A librar pronto coll' arguto spirto, Sì che niun culto e niuna legge onora. Tremi la donna, se a quel reo s' annoda, Che l'oro sparge in folle gioco, o a quello Ch' ebbro per lieve cenno in voci scoppia Di minaccie acerbissime, ed i figli, E i servi aduna alla terribil scena. Tremin donzella incaute; in van sua pace Spera la sposa dell' iniquo; invano Quella sete d'amor, che in ogni petto Pose l' Eterno, a lei favella; estrana Donna le usurpa il loco suo, proterva Sul cuore impera, a cui sposa infelice Suo destino affidò. Misera ! ahi ! spesso Incostanza, rimorso, e timor vano, E gelosia fatal tutta la vita Della misera donna ange e consuma. E forse chiara per virtù sublime Acclamata sarebbe in miglior nodo S'ella eadeva sul fiorir degli anni, Chè in pochi petti la virile e forte Virtute alligna sì, che non decida Della frale virtute esempio e caso. Pur questa è sorte, che sovente merta Cieca donzella libertà sognando, Amor, scherzi, piacer, lusso e riposo. In cocchio aurato fra 'l negletto volgo Passa la donna, e le terribil pene, O gli immondi desir porta nel seno; Mentre la stolta vergine compagna Invidia 'l cocchio, e le fulgenti gemme, Ed arrossisce del paterno nome. Or ben vorrebbe la svogliata moglie Colle gemme, coll' oro, un sol momento Comprar di pace; ben vorrebbe a quella Vergine stolta cedere il suo laccio Contaminato, ma nol vuole il Fato. Ahi! sono eterni i ceppi ond'ella è cinta Ahi! che gli spezza sol l' orrida morte. Or che farà costei? Tace penando, E il suo tacer al folle ignaro volgo Vergogna par. Un' arte vil gli pare Il cauto simular; ma il vero saggio Guarda ed ammira chi curvando sotto Il duro giogo d' immutabil sorte, L'occhio del volgo sprezzator, col riso Prudente inganna: se 'l mercato nome, Che a prezzo d'oro altri comprolle, invano Lasciar vorrebbe; ella fa sì che almeno Onorato dai molti il nome sorga Colla sua dolce libertà comparato: Ed almen posa ella s' avesse allora, Che bianco il crine in vedovile ammanto Sola ai figli rimane; oh scorno eterno De' perversi costumi! Ella straniera Fra coloro, a cui diede e vita e cuore, Diventa, ed importuna ella diventa; Da'suoi divisa in solitaria stanza Sol le rimane dell' antico nodo Memoria acerba di passata gioja. Giovane nuora dall' aurato letto Insulta al suo dolor, trionfa, regna, Dal lusso folle, dal piacer seguita; Mentre la madre, usata a miglior sorte In fresca etate, or suo tremante passo Mista alla plebe sul fango strascina, Sinchè un ordin novel di nuove cose, La nuora balzi dal soglio, e la ponga Colla suocera antica in pari stato. No mai! benchè non dal tuo seno uscito, Sia 'l tuo GUGLIELMO, per soave amore Verace figlio tuo, cotanto affanno, Vergine bella, ne' cadenti giorni Avrai: non io del mio dolor morrommi Nel vederti infelice: avrai tu pari Alla tua saggia genitrice il fato. Te seguirà nella sfuggevol vita Compiacenza soave, e la fedele Cura d'alimentare un puro amore, La delicata gelosia, non quella Che dal disprezzo e dalla invidia nasce, Quella bensì, che suol nutrir la fiamma Qual lieve soffio su brillante face. Voi tuttor seguirà sacra amistate, Candido affetto, che de'vuoti giorni Fra gli amici consorti un sol momento Vuoto non lascia; come industre donna Se intreccia serto sul dorato crine, Ove gemma non v' è, pone una rosa; Paterno amor, che cupido rimira Ne' fanciullini altro se stesso, e veglia Col provvido pensier; cauto rispetto, Che al sensibile altrui cuore paventa Recar ferita. Un pensier solo avrete, Un cuore, un nome, un talamo, una vita. Narran le Muse, ch' eran già due salme Sol una salma, e l' uom crescea, qual due Sotto una stessa buccia innamorate Palme; allor la colomba i lunghi vanni Avea d' aquila altiera; allor rosate Ali vestiva il corvo, il veltro in alto Si levava sull' ali, e fresca rosa Crescea sul lauro, ed il fiorito pomo Fra l' erbetta giaceva; eran confuse, Eran miste le cose, e ardean d' un fortè Universale amore; irreverente L' uom fe' guerra co' Numi, e in due diviso Piange tuttor la sua perduta sorte. Ma pur nella felice età primiera, In due diviso, la più cara parte La sospirata parte di se stesso, L' uom rinvenir potea, chè la pudica Vergine non mentia gli atti e gli accenti, Onde men raro s' accendea l' eterna Nata da somiglianza eletta fiamma. Fresca capanna di curvate frondi E profumato letticciuol d' erbetta Eran talamo allora, e reggia e trono. Sotto volta di rose un argentino Fiume passando negli estivi giorni Preparava lavacro al crin disciolto, Ed alle membra affaticate; un vago Arbor fecondo, un alvear di miele, Ricco un cespo di fragole vermiglie Fean beate le mense; un fior sul crine Della sposa riposto, un ramuscello Curvo qual cinto sotto il molle seno, Se non più bella, la facean più grata All' innocente tenero consorte. Non mentiscon le Muse, e nelle occulte Favole han posto verità sublime. DIEGO felice! Altri la vita tutta Passa in acerbe lagrime, cercando Del verace amor suo l' invan bramato Obbietto; tu tel rinvenisti, indarno Madre non scegli a' figli tuoi; non quale Suol fra il deliro della stolta gente, Verace per natura, e per affetto Mendace madre oprar, ma qual la dolce Prima compagna tua fatto s' avrebbe, Oprar vedrai la mia diletta, e 'l tuo Cuor d' immenso piacer tutto, buon padre, Palpitar sentirai. Ella pur sempre Fra le tranquille tue dolci pareti Sprezzar saprà lascive lodi, e 'l puro Seno, sarà fonte di vita a' figli, Nè straniera nutrice i primi passi Regger dovrà; nè il balbettante labbro Far risuonar di non intese voci Stranier maestro accipigliato e grave. Invecchierete uniti: in cuor di saggio Sposo fedele, col volar degli anni, La tenerezza non si scema, o s'anco Si scema amor, cresce amicizia; tale Cade torrente di purissim'onda Da sulla rocca, e di minuti spruzzi Indorati dal Sol cuopre 'l vicino Fiorito praticello, u' giunto alfine Placid' onda formando, un lento e chiaro Ruscel diventa, ove si pinge il sole, Cinto de' fior che irrora, e che al perenne Umor debbon la vita: oh fidi amici! Oh consorti beati! A voi ridente La gioja spargerà sul raro crine L' ultime rose; dei passati eventi Ragionando talor, dei giorni primi Ragionerete sorridendo; forse, Sensibil troppo, le bell' alme alcuni Ebber momenti di fugace sdegno, Di passeggiera gelosia. Tu, sposa, Tu gli ricorderai, e 'l tuo fedele Sguardo vivace aucora, allegro sguardo Ti volgerà, e rivedratti allora Bella com' or le sembri; il guardo poi De' figli vostri ai pargoletti figli Rivolgerà, lor bacierà la fronte Dicendo: la mia sposa, o cari figli Imitate; un sol di fra tanti e tanti Non si smenti la sua virtute. I figli Dolci ristretti vi faran corona; Tu narrerai soavemente l' opre Del tuo buon DIEGO, quanto fece un tempo Sotto l' aspra lorica: ovver qual fosse Presso la Stura vostra in lunga pace Amor de' suoi, speme de'molti; a loro Spuntar vedrai sulle palpebre il pianto; T' udranno, figli rispettosi; alcuno Muover non oserà turbando il tuo Prolisso ragionar; sinchè lor parli Non tornerà nel romoroso gioco L' inquieto fanciul; un d' essi al lieve Cocchio, finto corsier, del suo germano Auriga fiero, che la sferza scuote, Più non sente la voce; il militare Acciar del padre, un che rapì poc'anzi, Cauto depone, ed ode l'opre andate Che fe' gia quella spada, onde le volge Cupido intorno; somigliante ferro, Ma breve più, ti chiede; ogni fanciulla La bambolina, che col dolce nome Chiama di figlia, al seno strigne, allunga Il collo, innalza il piè, senza rumore Queta s' avanza, ed all' udir qual fosse La materna sollecita speranza, L' opre s' accigne ad imitar; coll' ago Tesse inesperta mal connesse vesti, Sgrida la fantoccina, e poi la bacia; E veglia, e suda ad educarla intenta. Quando felice tanto ed onorata Vecchiezza avrai, a questà immagin mia Appesa allora sul tuo seno, il dono Farai d' un bacio, e al tuo fedel volgendo Il mesto sguardo, la sull' occhio tuo Lagrima di dolor spuntata a pena Rasciugherai colla tremante destra; De' figli ai figli narrerai siccome Fra gli inni d' Imeneo, fra scherzi e riso Al suon pietoso della cetra amica, Su cui vecchiezza, e la fatal mia tomba Cantai sovente, tu piangesti, ond'io Cangiai le corde di mia cetra, e in cuore Celai dell'avvenire ogni pensiero, Ogni pensiero, che di te non sia. Già la notturna lucernuzza un raggio Pallido estremo di cadente luce Moribonda spandeva in sulle brune Pareti. Solo nel silenzio amico Dolce fragore placido s'udiva Del paterno Eridan; a me del sonno Scendea la calma; colla fronte china Sovra i dotti volumi, invan difesa Facca lottando col languor, che in seno Suavemente morbido passava, Allor, allor ( sogno non fu ) vid'io Scuoter le porte, e sui ruotanti in giro Cardini risuonare udii le chiuse Imposte, e giovin Diva entrò repente. Fuor traspariva dalle azzurre ciglia Dolor, che sin nell'intimo del cuore Le stava. Già delle sue bionde chiome Cadean le anella; un sospirar frequente Il bianco vel pudicamente chiuso Sovra il bel seno sollevava alquanto. Era l' ammanto oriental, e lungo Strascico l' adornava. Usa son io Fra buja notte in la mia chiusa stanza Accoglier spesso le ridenti Muse, E le semplici Grazie, e i nati in Pindo Candidi Amori; c colle Muse, e colle Grazie, e con gli Amorini, ombre famose Di Vati eccelsi, e d' Eroine antiche; Sì che la sacra vision nell' alma Non vil timor, in ogni tempo ignoto Al cuor del saggio, non stupor, ma gioja E speme viva in me destò. La fronte Levai da' fogli a me dischiusi innanti, E fisso in volto alla mal nota Diva L'avido sguardo, un cenno lieve feci, A lei dicendo: a che t' arresti? avanza Il piè ritroso, io la tua voce aspetto. Quasi pudica vergine sdegnata, Che vereconda altrui celar vorrebbe L' involontario arrossir suo di sdegno, La sconosciuta immagine dolente Col capo chino e l' occhio fisso al suolo Stette non breve istante; al fin con mesto Involontario lagrimare, in rotte Timide voci: io io, proruppe, sono Erminia tua; e, me, misera! accogli Quasi ignota sul Pindo ombra negletta? O mio Torquato! ove sei tu? mio primo Amor, ben altro tu mi avevi amore! Al nome, agli atti, al favellar pietoso, Io m'arrossii, chè ben cagion n'avea; Balzai dal seggio: Erminia mia, gridando, Oh bella di Torquato Erminia antica! S' io di te canto, a me venir non sdegni Dall' alta pace del beato Eliso? Ed io te non conobbi? io che pur tanto Di te parlai! sovra te piansi? io sola Non ti conobbi! E chi t' ignora al mondo? Dal tuo Vate primier fatta sì chiara, Che sei pur certa d' una eterna vita. Ben io vorrei che dell' amor mio vero Te certa, o Erminia, alta e non dubbia prova Facesse, e che s'udisse il nome tuo Mercè 'l mio canto, ovunque in fregio stassi D' Itale voci l'armonia sublime; Ben io vorrei che di mia voce al suono Te novella sua speme, e nuova gloria, L'Italica Melpomene chiamasse. Ma tu non sai, quando a mirar ritorno D'Italia nostra la non dotta scena, Com'io vacillo, e involontario nasce Dallo stesso ardir mio sdegno, e timore. Tu non vedesti, ed oh! ben io mel vidi, L'Astense inarrivabile Poeta In balía tutto degl' indegni Mimi: Ei che in tempo miglior Grecia dovea Con il cantor d'Oreste e Filottete Ricondur trionfando a' patrii lari; Ben io mel vidi, ed alla vista indegna Giurai, sacre a Melpomene parole, Che non mai d'istrion profana bocca Ecclieggiato m'avrebbe i facil carmi. Chè se tra'l riso, e l'osservar maligno, Odo que'versi, onde Saul m'accende, D' ira, d'amor, di tema, e di speranza, In non Italo suono uscir derisi, Del mio cantar che fia? Fu sempre, il sai, Vano il lagnarsi spesso, e 'l pregar spesso Della risorta ombra sanguigna e cupa, Della di Tullia parricida, e fiera Ombra. E pur dessa il tragico coturno Prima vestimmi, quando in seno ascosa All'avvenir, del quarto lustro mio Stavasi una ridente primavera, Librata ancora sovra l'ali d'oro. Bramò pubblica lode ella, e la chiese Invan pur sempre'a me; la tien occulta Della gloria mia stessa il giusto amore: Nè tu nata seconda avrai tal possa Che me sospinga al paventato agone. Tragica scena è tempestoso mare Ove raro è 'l sereno, e rotta spesso La nave altrui: riedi all'Eliso, io teco Non scenderò nel periglioso arringo. Alzò le chiome sullo smorto viso Colle due mani, i suoi pietosi lumi Ne'miei lumi fermò, la d'Antiochia Vergin Reina, con un riso amaro Scuotendo il capo, e le volanti chiome: Donna, proruppe, nol sai tu qual volge Il giuramento di chi strugge ed arde Sete di gloria? Egli è qual lieve nube Che trarsi crede alla volubil ôra Immobilmente su nel Ciel sereno. Verrà quel dì, che del temuto mare Men grave e irato sembreratti il flutto. Non io però, l'onor del comun plauso A te richiedo, e dal beato Eliso Teco non scenderò nel dubbio agone. Abbiasi Tullia ( se seemare in vano Tu non tentasti il suo delitto orrendo) L' onor primier del lagrimare altrui; D'un solo pianto, e d' un applauso solo Desir irraffrenabile ma giusto, Salir me fece dai mirteti eterni Ov'io ragiono con il mio Torquato D'eterne cose. In altra ctà, felice L'ombra di Tullia, in su la soglia amica D'Euforbo tuo guidasti; egli l'accolse Ei saggio consiglier; ove scemata Gli avea bellezza il giovanil tuo canto Provido t'additò; per lui fors' anco, Se all' occulto desir che in seno ascondi, Che celarmi invan tenti, arride il cielo, Non d'istrion profano e compro labbro, Ma di libera gente eletta schiera Di Tullia ridirà gli affanui, e l' nome, Fra dei scelti uditori applauso degno. Ed io ben altro vanterei diritto Sull' applauso d'Euforbo, io mi fei suo Pensiero un tempo, ed egli tua mi rese. Cura del saggio ed immortale amico Essere ambisco, ed uno sguardo io bramo Non d'altri no, di lui che sacro ingegno Guidator scelgo nell' eterna via. Nou mi niegar ch' ombra infelice, il mio Crudo servir, la mia fatal sciagura, La patria mia schiava e compianta invano E i miei regi caduti, a lui rammenti, A lui che di hellezza egregia e chiara, Più che nol festi tu, fregiar potea Me sconsolata vergine trafitta. L'immago mesta della mesta donna Diceva ancor, ma sol fra notte cupa S'aggiran l' ombre del tranquillo Eliso Quassù fra noi; chè suol fugarle il giorno. Finia la notte, e nei lontani campi Rustica voce risuonar s'udiva; Voce del villanel, che fea ritorno Agli usati lavori; il belar lungo Degli armenti s'udiva, e rispondea Dall' aja, chiusa ancor, mastin feroce. Era l'alba sul ciel, a poco a poco Rosseggiar fea l'alpi nevose, un tempo Riparo e schermo alla virtù latina. Novellamente la socchiusa porta. L'immagin sacra lenta lenta apriva. Or chi niegare ad infelice tanto Ombra celebre il suo desir potea? Ecco l' alba, esclamai, che più? che tardi? Erminia! Erminia! Euforbo mio t'aspetta, Nè rieder devi a mia solinga stanza S'ei pria non t' ode, e qual tu sei m'addita, E qual esser dovresti. Erminia allora Fatta serena più, quasi scemato Suo dolor fosse, lampeggiò d' un riso. Io da quel dì più non la vidi, ch'ella Seguì 'l mio voto, e di te cura e cerca, Euforbo: tu non la sdegnar, amico Spirto immortale, a lei ti mostra, ed ella Fra le tue cure, onde superba vassi Italia, un giorno degli eroi nutrice, Deh! l'ultima non sia, se non la prima.

FINE DEL TOMO SECONDO.

V˙ ZAVATTERI LL˙ AA˙ Praeses

Se ne permette la stampa.
BESSONE per la Gran Cancelleria.