A
CATERINA MATTOLI PALMA
NEL GIORNO DELLE SUE NOZZE
COL
DOTT˙ DOMENICO DE SANCTIS
28 Giugno 1869
ANGELO BRUNAMONTI
DEDICAVA
QUESTO CARME

Quando il chiaror di pallida lucerna Nella quïete delle tarde sere Ai solitari studi e alle pensose Vigilie invita, investigai sovente Qual, fra gli affanni onde la vita è mesta, Di non vane speranze e di conforti Avran le affaticate alme ristoro. Forse le rosee larve e della vaga Gioventù le sorrise ore fugaci Schermo fieno alla negra onda de'mali Che inesorata col fiotto spumante Delle care lusinghe urta e dissolve I fragili edifriei? O, se un feroce Desio turba la mente allor che i lieti Sogni sperde improvviso il disinganno, Meglio fora alla torbida lanciarsi Vorticosa fiumana e, con beffardo Ghigno fuggendo l'odïata luce, Di sè medesmo e delle sue sciagure Implorar nell' eterne ombre l' obblìo? Ah no! ben altra sapïenza arcana Più pia con noi ne'tuoi consigli ascondi, O sovrana increata Intelligenza! Che se d'inferma fantasia deliro Te di mistero adombra in sulla cima Dell'inaccesso olimpo e spettatrice Tranquilla al nostro dolorar ti pinge; A chi del dubbio nella notte splende Quasi stella polar d'immacolato Raggio la fe, moveran guerra indarno Le ululate bufere. A lui di gioia Sarà preludio il pianto, e non la stanca Vecchiezza e la suprema ora, d'angoscia Turberanno il suo cor di cui s'indonna L'immortal gioventù della speranza. Ma chi per falso ammaestrar de'sensi E del bene e del mal torte sembianze Ingannato vagheggia, ove gioconde Oasi il guardo gli fingeva, immenso Deserto e aduste sabbie altro non trova. Nè giudicar di chiare acque correnti E di salubri aurette a lui s'addice Che nel miasma di stagnanti gore, Intra l'alghe e le canne, egra conduce La vita e ignora come in sulle vette Montane il sol più nitido risplenda E le chiome de' faggi agiti il vento. Sprone ad opre gentili e a generose Virtù sempre il dolor. Come s' avviva Carbone in fiamma allo spirar de'venti, O come l'onda cristallina e pura Diventa per sassosa erta rompendo, Cosi di nostra umanità le posse Affatica, ritempra, afforza, innova L'austera scola del dolor. Nemico Ei d'ignavi intelletti e di codarde Voglie, più punge ove più frale il core Infingardo nel cruccio e nell'inerte Disperars'abbandona. Ardito e forte Forse diressi il marinar che, quando L'uragano scoscende e notte incombe Improvvisa sui mari, infrange i remi E di rabbia impotente alza le strida? Due peregrini spirti, ambo fratelli Di sventura e d'ingegno, ambo sul fiore Dell'età lentamente ai sconsolati Riposi addotti del sepolcro, il nostro Secol vide, e stupì. Delle gentili Alme sovr' essi la pietà si desta E sulle lor squallide tombe geme Al transito del vento il sacro alloro. L'uno delle rosate itale aurore Nacque al dolce sorriso in un romito Colle che quinci dell'adriaco mare La cilestrina onda contempla, e quindi Quanto più la pupilla in là si spazia Fertile immensa valle infino al piede Del lontano Appennino. In lui natura Chiuse affetti profondi, infaticato Desio di gloria, e non volgar ma tutta Irradïata di celesti forme Della virtù, della bellezza eterna L'ineffabile idea. Ma come al guardo Attonito apparì dalle sognate Illusïoni assai diverso il mondo E ruppe con discordi aspri concenti Le amorose armonie della sua mente, Niegò fede a virtù, pianse le antiche Larve cadute, e al giovanil suo canto L'ira e il dolor fu musa. Indi pensoso Di morte e di tentar gl' inesplorati Silenzi della tomba, in sè nutria Quell' occulto malor che lo consunse. Lui fieramente in sè raccolto e altero Odiator degli sciocchi e dei codardi Più benigni accogliean delle frequenti Vie cittadine, i solitari campi, Le tacite convalli e, per fioriti Ermi sentieri, la quïete e l' ombra Meridïana. Ahi! ma il suo spirto indarno Molcean col susurrar lieve le aurette Primaverili e coi rosati rai Espero amico, chè profonda, immensa Notte su lui s' aggrava; onde al suo sguardo Un tremendo mistero è l'universo, Certo solo il dolor, certo è quel fato Che ci sospinge a morte e certo il nulla. Questo supremo grido esce dal petto Esacerbato; e moribondo impreca A quel cieco poter che ci governa. Così la disdegnosa anima sparve Dalla scena del mondo, e lungo e mesto L'eco riman del doloroso canto. Ma l'altro il giorno salutò nascendo D'Albion fra le nebbie umide e gravi: Gli orridi monti della Scozia, i geli Sempiterni e le annose atre foreste Fra cui per balze dirupate avvalla Lo stroscio del torrente a lui feriro La giovinetta fantasia: sovente Così di spettri vagolanti al raggio Livido della luna e di nefande Orgie di sangue e di delitti il canto Nordico suona e ti spaura il core. Spesso l' irrequïeta alma nel lago Voluttuoso del piacer si lancia E arcani fiori e libere carole E incantati castelli e il riso e i veli Delle odalische sogna e le dissuse Chiome e la rosea bocca e il sopracciglio Che le andaluse giovinette abbella. Pur fra la danza rapida di quelle Leggiadrissime larve, inesorato Fantasma il tedio s' avvolgea: con esso Salia la prora valicando i mari, O in riva delle venete lagune, O dove la vetusta ombra distende La pineta a Ravenna, a lui d' accanto Venia tetro compagno e alla sua mente Pingea le pallidissime sembianze Di Manfredo e di Lara: onde lo smorto Suo labbro apriasi ad un funesto riso Freddo così come talora il vento Che là dai monti di Dalmazia spira E le rose disfiora e agli arboscelli Le gemme uccide e le campagne aggela. Così vanìo quell' ombra: e se l'incanto Di sua canzon ci adesca, indefinita Mestizia il cor ci fiede; e come in forza D' un' occulta malia sembra deserta Landa la terra, e la luce che schiara Tutto il creato, di benigna aurora Luce non già, ma di funeree tede, O di vulcano la sulfurea vampa; E quasi un canto di sinistri augelli È la strana armonia che c' innamora. Come in mezzo ai rottami e alle cadenti Mura d'alberghi abbandonati occulta L' infausta pianta del giusquiamo i suoi Pallidi fiori educa, e fra gli oscuri Crepacci, inviso al sol, cela i suoi nidi Funereo vipistrello; in simil guisa Nel cor dove la se più non dimora Sorge il dubbio letal, sorge l'amara Voluttà dello scherno, e il tedio e il truce Odio del giorno e della vita han regno. Ma noi figli di Dante, a cui nel petto Cotanta della fede arse scintilla Ispiratrice dell' eterno canto, Noi fa beati della sua chiarezza Quella che le bramose anime asseta Luce intellettual piena d' amore. Nè il tuo blando sorriso e la diffusa Pompa de'vezzi tuoi, vaga natura, Con possente magìa tanto ei alletta Che invisibile ai rai non si riveli Altro mondo, altra vita, altro stupendo D' ineffabili cose ordine eccelso. Quando l'infermo errante occhio per gli ampi Spazi del ciel trascorre interrogando D' innumerate stelle il tremolìo, Così voce nel cor par che ci gridi: Non soffermarti, o peregrino spirto, Sovra l'ale de' sensi: alto subbietto Di tua profonda visïone e degno Di tua libera mente Iddio ponea, Meta al tuo disiare, oltre i confini Dell'aurora e del sol. Che se l' eterno Vero in te disfavilla, ed un arcano Poter ti veste infaticate piume, Perchè nel vano dubitar ti avvolgi E dal fango natìo non ti sollevi? Occulto in grembo alla materna gleba Giace il seme d' un fior mentre il gelato Verno l'offende e delle belve il piede; Giace inerte così dove lo spinse L' ala del vento, o dove la romita Formichetta lo ascose: in esso indarno Ricercheresti della vita il germe; Ma come alle tepenti aure d'aprile Novella gioventù rinverda i prati, Sorge in rorida gemma, il seno schiude E col soave odor l' alba saluta. Dunque di noi più lieta al fior consente Sorte il provvido ciel che in lui la vita Moltiplica, rinnova? e noi che spirto D'alta sorte presago agita in petto, E con ansia perpetua sospinge Dell'infinito alla conquista, il sossio Freddo di morte solverà nel nulla? Oh del nostro intelletto irrequïeta Fiamma che al ver s' alluma! indarno a prova La combattono i venti! essa tranquilla Come in latente santuario vive Nel segreto dell'alma, e noi non consci Di suo valor spesso e ritrosi in modo Ammirabil rischiara. In quella guisa Ch'entro alla breve pupilletta il vasto Orizzonte e l'occeano e l'infinito Spazio del costellato etra s' accoglie, Però che in essa il sol desta col raggio La visiva virtù, non altrimenti Nell' occhio spirital piove possanza Dalla luce divina, ond' ei contempla Il ciel, la vita, la natura e quanto Per lo gran mar dell'essere si muove. Nè dell' innato suo valor la punta Può scemarsi giammai, benchè su questa Scena di larve ci trascini e involva La signoria del tempo e delle brevi Contingenze la rapida vicenda; Poichè sovr' essa si dislaga e posa Nostro spirto immortal nella quïete D' un eterno presente in cui s'appunta Ogni dove, ogni quando, e le universe Sostanze han vita, e libera risplende D'ogni altissimo ver la conoscenza. Indi muove la se che d' un securo Avvenir ci ragiona, indi la speme Che di ambrosie fragranze e di sorrisi Angelicati e d'armonie celesti Nostra languente vigoria rinfranca. Così lo stanco peregrino obblia Del cammino i disagi allor che intende Al suon d' un' amorosa arpa lontana Che all'orecchio notturna aura gli reca.

Giugno 1869.

M˙ ALINDA BRUNAMONTI nata BONACCI.