NOTIZIA
DE'
NOVELLIERI ITALIANI'
POSSEDUTI DAL CONTE
ANTONIO-MARIA BORROMEO
GENTILUOMO PADOVANO
CON ALCUNE NOVELLE INEDITE.


BASSANO, MDCCXCIV.
CON LICENZA DE'SUPERIORI.



Racontata nello amenissimo luogo di Mirabello(a) Mirabello è uno dei Colli Euganei, di cui parla il Salomoni Agri Patavini Inscriptiones pag. 192.

Si, come è bella 5 ma difficile oltre modo, l'impresa, che m'è imposta dalla Signora Cavaliera Conte nostra Reina, nobilissime donne e valorosi uomini: così potess' io bene sperare di condurla a quel debito fine, che ricerca la sua grandezza. Meravigliosa per avventura mi darebbe l'animo di far apparere la Novella di Giulia Camposanpiero, la quale mi commette la Reina che io racconti, Novella, della quale indarno è chi spera di udire nè la più bella nè la più adorna. Ma che debbo far io? Certo se alli comandamenti della Cavaliera tenterò di far resistenza, aver' giusta ragione ogn' uno di voi di concludere che io soli di tanti sia stata ardita di contravvenire a i dolci solazzi di così soave compagnia: cosa, della quale non potrebbe succedere altra che mi travagliasse maggiormente ora e sempre; dove debito mio officio è di far prova se con la debolezza del mio ingegno foss'io bastevole di metter insieme questa non Novella, ma istoria. Il che se piacerà a Dio che succeda, sarà anche per avventura da me se non illustrata, almanco adombrata la sua grandezza: se veramente, come temo non risponderà alla sua altezza e alla vostra espettazione quello che dì quell'a dirò; sarò io reputata officiosa e non disobbediente. Piacciavi dunque, graziose donne, poi che in così dilettevol luogo, com'è questo di Mirabello, ne condotto il giudizio meraviglioso della Reina nostra, e poi che così grave soma sopra sta l' imbecilli mie forze, dì far sì, che io donna mal' usa questo, senta dal vostro favorirmi da ogn'una eli voi ricevere tal giovamento, che ove manca l'ingegno, supplisca il vostro favore, nel quale confidata facile per avventura mi potrà riuscre sì difficile impresa.

Fu donche già dugento e più anni nella Città nostra di Padova, a tempo che sollevata dalla strage d' Eccelino e non pervenuta ancora alle mani de' Carraresi, ella si governava a Republica, ca, signoreggiando molti Castelli e alcune Città circonvicine con molta sua gloria e satisfazion di tutti, un Giovane della nobil Famiglia de'Vitaliani chiamato Tesibaldo, al quale siccome Iddio e la fortuna erano stati sommamente favorevoli e nel farlo nascere il pià bello e grazioso Giovanne che fosse mai stato per avanti veduto, e si potesse sperare forse di vedere per l'avvenire, così aveva egli con sì meraviglioso artificio atteso ed alla cognizione delle littere, ed all' instruzione dell' armi, una e l'altra sommamente convenevoli venevoli alla vita cittadinesca, che era riputato di gran lunga avanzare gli altri tutti. Da queste sue rare bellezze congiunte a così chiare doti di animo o procedeva ch' era non pure stimato ed onorato da tutti i cittadini, ma era singolarmente amato da ogni condizione dì donne, ma dà quelle principalmente che erano da marito, ogn' una delle quali riputava se felice oltre modo, se avesse potuto ardire dì sperare la grazia dì così avventuroso giovene. Accompagnava egli la bellezza e dottrina con sì mirabil arte, che furno molti che dubitorno che più tosto fosse celeste umana creatura; e come sempre rimaneva superiore in qualunque delle più ardue disputazioni, che molte e frequenti aveva nelle Scole, e nelle deliberazioni della Republica, nella quale aveva sempre onorato luogo, così in danzare, in giostrare, in lottare non era alcuno che più ardisse di seco contrastare, però che era altrettanto destro, agile, forte e gagliardo, quanto dotto, arguto e ingegnoso. Avea fatto egli fermo proponimento di non maritarsi giamai, benchè fosse e solo e ricchissimo: però fece lungamente resistenza grande a qualunque donna che per marito lo ricercava: anzì essendo da molte vie di continuo combattuto di lasciarsi ai almeno amare, dimostrò sempre dì non aver cosa alcuna che maggiormente lo travagliasse di questo: e in questo suo fermo parer fermato visse qualche anno lontano da sì gran travaglio. Avvenne pure che vinti e superati li Scaligeri dalla Republica Padovana in quella memorabil sempre, e sempre gloriosa guerra, giudicorno i Padri della Republica (seguendo in questo le vestigie de' passati) che fosse ben fatto di far publiche feste, e di bandire onorate giostre in segno dì così grande allegrezza della Città. Però dato buon ordine alle Feste, che sempre no fatte grandi e onorevoli per la spezial grazia che ha avuta questa Città di a ver sempre copia grande di belle donne, fecero più bandire per il primo giorno di Maggio una publica Giostra, il prezzo della quale fu una pezza di panno d' oro foderata tutta d'ermellini, con una colomba d'oro in cima, che aveva in bocca un ramo d' olivo carico di smeraldi. Alla grandezza di questa giostra concorsero molti e onorati Principi e Cavalieri di molte parti. Frattanto noti restavano i Gioveni a queste, deputatì di fare onorevoli feste in Corte delli Signori; a una delle quali danzando Tesibaldo a caso con Giulia Camposanpiero unica figliuola al Cavalier Tiso non manco bella che artifiziosa, avvenne che ora mirandola fissa, quando ragionando con lei che parlava accortamente, s' avvide Giulia ch' era mutato in parte il molto rigore di Tesibaldo. Però divenuta animosa ebbe ardir di dirli, che per suo amore fosse contento di dimostrare il suo valore nella giostra. A questo non ebbe vive ragioni di contravvenire il Vitaliano; anzi convinto e violentato promise di soddisfare in maggior cosa Contenta Giulia di questa promessa, e finito il ballo, giudicò esser benissimo fatto di sollecitar l'amor suo. Tesibaldo veramente quando combattendo con gli studj della Filosofia procurava di resistere alle fiamme di amore, ora contemplando le bellezze di Giulia, ch'avea accompagnata alla bellezza una viril dispostezza, si fermava in proponimento di amarla; ora riducendosi a memoria la vita sua passata, deliberava di rimoversi dalla sua promessa; ora considerando l'efficacia della fede data di dover giostrare, giudicava d' esser astretto a farlo, di maniera che combattuto da questi dui così gravi pensieri, e stando nel fare che questo cedesse a quello, finalmente mirando ìn quella dubbietà gli occhi di Giulia, conobbe nel vivo raggio di quelli esser descritto, donche mancar tu tratti dì quel che sei obbligato? E però risoltosi e d'amarla e di dover giostrare ebbe ricorso a M˙ Daulo de' Dotti suo strettissimo Parente, col mezzo del quale fatta secretissima provisione di cavalli ed armadure ebbe comodità di apparecchiarsi alla giostra, che già era principiata; e nella quale per giorni tre continui fu da ogn' uno riputato vincitore Lucio Orsino Gentiluomo Romano, col quale oramai non compariva alcuno che ardisse di contrastare. Poco prima che al fine de' giorni tre comparse finalmente Tesibaldo, tutto armato d' arme bianche, con una sopravveste di raso medesimamente bianco, ricamate tutte d' oro, con l'elmo ch'aveva una man d'avorio con un motto che diceva TU SOLA PUOI. Fu così subito ali' apparire conosciuto da Giulia, come dal resto della Cìttà tutta fu riputato Cavaliere incognito. Ora dati i segni della tromba si vennero l'Orsino e Vitaliano ad incontrare con le grosse lance di tal maniera, che rotte quelle in mille pezzi alfine fu astretto di cadere in terra l' Orsino. Per la caduta del quale subentrò Tesibaldo nell' obbligo di mantenere la sbarra, e quella sera istessa molti abbattette da cavallo, e fece il simigliante il seguente giorno, di modo che fu ragionevolmente publicato vincitore della giostra. Per la qual publicazione avvenne, che conosciuto da tutta la Città fu senza fine allegra quella vittoria sì per le condizioni del Vitaliano, come per onore universale. Ma come fu dì contento questa vittoria a tutti, così fu disturbo e dolore all' Orsino, il quale fra se medesimo concluse di non lasciar mai senza vendetta quella caduta. Vittorioso adonche Tesibaldo della giostra, ma vinto dallo amor di Giulia, ebbe poco di poi comodità di esser in casa di lei, ove fatte secrete nozze secretamente anche la fece di donzella donna. Ma mentre che spesso frequentavano questi novelli amanti e sposi questi reiteramenti amorosi, venne nuova alla Republica che Sigismondo Imperatore era giunto a Bologna da Eugenio(a) Non è da tacersi che l' Autrice di questa Novella cade in aperta contraddizione; poichè sul principio vuole, che il fatto sia accaduto nel tempo che la nostra Città si governava a comune, e poi fa che succeduto sia a' tempi di Sigismondo Im˙. e d' Eugenio IV quando essa già risposava sotto il felicissimo Domino della Rep˙ Viniziana. quarto e per coronarsi, e per dar ordine a molti foro importanti negozj. Giudicorno però convenevol cosa i Padri della Republica di fare elezion di quattro Ambasciadori, i quali subito andassero ed a quella coronazione, ed a fare uffizio con Sigismondo di rallegrarsi dello Imperio poco prima caduto nella sua persona. Furno perciò eletti M˙ Giacomo Dotto, M˙ Gio: Francesco Capo di lista, M˙ Ruberto Trapolin, uomini gravi e vecchi, ed a loro fu aggiunto Tesibaldo per compagno, a' quali fu dato ordinato ne espresso di partirsi subito. Dispiacque questa elezione a Giulia sopra modo, ma con la certezza che presto dovesse ritornare sì consolò molto. Ora fatta provision presta ed onorata dalli Oratori, si inviorno a Bologna, ove giunti ebbe carico Tesibaldo di satisfare al desiderio della Republica. Per ciò messa insieme una eloquente orazione in lingua latina in publica audienza alla presenzia di Eugenio e di tutta la Città fece di tal manicra che fu giudicato, com' era, uomo superiore a tutti nel parlare eloquentemente, e piacque sì l'uffizio che fece e ad Eugenio e a Sigismondo, che di quello indutti l'uno e l'altro più che dall' onorevolezza dell' ambasceria (che era per il vero sommamente onorevole e per i vestimenti delli Ambasciadori e di tutta la loro Corte, e per tutti gli accidenti, come di cavalli, muli, ed argenterie) volsero far tutti quattro gli ambasciadori loro Cavalieri con molti Priviliegj. Venne a Padova la fama di così egregio portamento di Tesibaldo, ed insieme la certezza della cortesia che infinita gli usava l'Imperiatore, di modo che avendo finito l'ufficio suo l' Oratore, che seguitava. ordinario di continuo lo Imperatore, elessero in suo luogo Tesibaldo, e subito li fu fatto comandamento che dovesse seguir l'Imperatore. Fu di travaglio questa nuova a Tesibaldo, ma di cruccio infinito a Giulia: questo si doleva che desiderava di ritornare a Padova a dar compimento a' suoi studi, questa si cruciava che morto il Cavalier Tiso suo padre, intendeva dì publicar le nozze. Ma astretto dalla viva forza de' comandamenti della sua Republica, d'animo assai composto ritornò con l'Imperatore a Vienna, ed accasato appresso il Palazzo Imperiale faceva sempre operazioni degne di lui: nè cosa alcuna mai domandò in nome de'suoi Signorì all'Imperatore, che più ampla molto non la ottenesse. Sigismondo, parte per la sua virtù, parte perchè era graziosissimo Tesibaldo, sempre quando li occorreva, di ragionar di lui, con vive e vere ragioni concludeva che fosse impossibile, che si truovasse vivente alcuno che di gran lunga se li potesse pareggiare. Udì questi ragionamenti più volte Odolarica sua figliuola, che era a quei tempi la più bella e più graziosa giovane che si potesse ritrovare, e senza averlo pur veduto s'accese talmente, che reputò se beata se poteva acquistare l' amore di sì lodato giovane. Però deliberata di volerlo vedere, avvenne che il seguente giorno andando Tesibaldo all'Imperatore, non pur visto da Odolarica, fu riputato Angelo di Cielo, di modo che accese maggiormente le fiamme d' amore tentò di aver comodità di vederlo quando lei voleva in casa sua, nella quale certe finestre del palazzo potevano guardare comodamente. Era usato Tesibaldo dipoi i suoi studj di attendere a molti onorevoli esercizj, quando giocava a saltare, quando ballava, ora maneggiava cavalli, e mentre che ciò operava, senza punto avvedersene era non pur veduto, ma ammirato da Odolarica. Fra tanto sendo sparsa per tutto il Mondo la fama delle sopra umane bellezze d' Odolarica, e pervenuta all'orecchie dell'Orsino, riputò se felice, se poteva aver luogo di donzello appresso di lei. Fulli in questo rnolto favorevole la fortuna, però che con lettere semplici di Eugenio fu non pur accettato, ma raccomandato dallo Imperatore ad Odolarica. Era costume dello Imperatore di far molte e solenni feste a consolazion d'Odolarìca; però facendone una sera una più solenne delle altre, a quella invitato Tesibaldo, ma tardando egli a venire con molto dolore dì Odolarica, fu lei astretta di commettere all'Orsino suo nuovo donzello che andasse a levarlo, il quale contento per il comandamento, ma dolente per l'odio che portava a Tesibaldo, andò di subito a levarlo, e fece sì che indusse Tesibaldo ad andarvi, che per avventura poco si curava. Comparse alla festa Tesibaldo a lume di torce con la sua corte avanti che era fornita di fioriti gioveni, vestito alla Italiana di calze rosse coperte di velluto ricamato d'oro con un robbone di sopra pur di velluto cremesino foderato di lupi cervieri, ed aveva in testa un capelletto di pelo guernito di seta e d'oro. Al comparire del quale le donne tutte che più non l' aveano veduto, conclusero che mai più fosse stato veduto il più bello ed il più grazioso giovane; il comun parlar delle quali sentendo Odolarica, maggiormente si confermava ed accendeva nel suo amore. Ora principiato il ballo, al quale è lecito alle donne di levare un uomo, piacque all'Imperatore ed al resto de' principi che facesse Odolarica questo favore allo Ambasciador Padovano di danzar seco; la quale non aspettando d' esser molto astretta, con riverente inchino presentossi a Tesibaldo e lo invitò a ballare, ma cortese egli levato di subito principio in germana lingua da lui benissimo appresa a ringraziare la Signora Odolarica di sì gran favore, la grandezza del quale affermava di riconoscere e dalla cortesia di sua Signoria, e dal rappresentar egli così onorata Republica, come quella di Padova. Da queste parole prese ardire Odolarica, e subito soggiunse: anzi al vostro valore ed alle vostre bellezze dovete voi questo obbligo, dalle quali accesa il primo giorno che vi vidi, il primo giorno medesimo me vi donai tutta, e non mi pentisco ora dì averlo fatto, anzi tanto più son contenta quanto che vedo il mio giudizio conforme non pure a quello dell' Imperatore mio Padre che vi ha concluso superiore a tutti in lettere, ma a quello di queste Signore che concludono voi di belleza contrastare con qual si voglia Angelo del Cielo. Però, onorato Signore, piaccia a voi d'esser contento ch'io vi serva e d' accettarmi per vostra. A queste parole mutossì Tesibaldo, e più volte dubiò che da altri non fossero state intese, avendo lei parlato altrettanto liberamente quanto arditamente: pure avveduto che non erano stato udite, principiò egli a rispondere in tal maniera: Grave offesa fate, Signora, alla vostra bellezza a ricercare che io per mia accetti vostra Signoria alla quale son indegno di servire, e ben mostrate esser desiderosa di favorirmi maggiormente poi che scherzando meco prendere gioco di darmi ad intendere che quello diciate col core che con le parole esprimete. Soggiunse allora Odolarica interrompendo il parlar di Tesibaldo: piacesse a Dio che come parlo io da dovero, così foss' io da voi esaudita, che questa notte non tarderebbono ad aver fine i miei tormenti, anzi ora sareste voi mio. Non sopportò l'accorto Ambasciadore che più continuasse Odolarica a parlarli in questa materia, anzi le affermò che ad ogni altra cosa pensasse che a questa, però che a lei nasciuta avventurosamente ente figliuola di sì grande Imperadore conveniva pensare di aver Signore e Marito conforme alla sua grandezza. Finì fra tanto il ballo, e rimase da questa conclusione sopra modo dolente Odolarica; pensando ora una cosa, ora un'altra. Tentò varj mezzi i giorini seguenti per indurre al suo volere Tesibaldo, ma furno tutti indarno, però che ad Emilia figliuola del Duca d'Alba, che di queste cose le parlò molte volte efficaccinente, le diede risposta tale che intese che quando fusse egli più di ciò sollecitato, lo propalerebbe al Signor suo Imperadore. Avvenne poi che Odolarica soprapresa da molta maninconia gravemente infernmò, nè truovandosi medicina che la potesse sanare, anzì facendole ogni cosa nocimento, Lucio Orsino che dell' amor suo s' era benissimo accorto, giudicò questa opportuna occasione e di acquistare la Signora Odolarica, e di vendicarsi col Vitaliano. Però fatto un giorno animoso, e condotto al letto di Odolarica con queste parole cominciò a parlarle: Sacra Corona, mal si ponno celare le forze d'amore, alle piaghe del quale non si trova remedio che basti. So io, e me ne sono accorto che il mal vostro procede da molto amor che portate al Signor Orator Padovano; nè me ne maraviglio punto che voi savia ed accorta donna l'amiate; anzi mi maraviglierei se così non fusse, sendo egli tale qual' è. A questa amore pensando ìo, pietade molte volte m'ha astretto a fare questo uffizio, izio, il quale prego vostra Altezza che non giudichi prosontuoso, perchè spinto da solo desiderio dì servirla mi son mosso a farlo. Voi donque amate? Il mal vostro è amore? A questo poss' io darvi quel solo rimedio ch' è bastante di sanarvi, se così vi piace: però ditemi liberamente se così volete, e del resto lasciate a me il pensiero. Piacque ad Odolarica l'accorto parlamento dell'Orsino, e desiderosissima d'ajuto non solo accettò le sue profferte, malo pregò grandemente te che facesse sì che suo diventasse Tesibaldo, che in ricompensa di questo li prometteva la Signora Emilia figliuola del Duca d'Alba per moglie. Lucio rispose che attendesse lei a guarire, che quanto prima a lei bastasse l'animo di venire di notte alla finestra che guarda sopra una corte, allora gli darebbe l'animo di dare Tesibaldo in suo potere. Rimase di questa promessa talmente consolata Odolarica, che di là a pochi giorni non solo risanata, ma ritornata al pristino stato bellezza fece intendere all'Orsino che facesse quanto avea detto di dover fare. Contento l'Orsino fuori di modo, avuto fra tanto l'abito medesimo, col quale comparse quella sera, Tesibaldo alla Festa, per via d' un Cameriero, di quello vestito la notte medesima, secondo l'ordine dato andò a ritrovare Odolarica, la quale credendo che fosse veramente Tesibaldo, non solamente lo ricevette in Camera allegramente, ma allegramente lo lasciò diventar possessore e patrone della sua persona, e così senza punto avvedersene continuò più notti, una delle quali veduto pure a salire quelle scale con l'abito conosciuto da tutti di Tesibaldo, fu la seguente mattina detto all'Imperadore, il quale non potendo ciò credere per le condizioni di Tesibaldo, si risolse di voler intendere se ciò vero fusse da Odolarica; all' appartamento delle camere della quale andò, e seco principiò a trattare di darle per Marito Odoardo Figliuolo del Re d'Ungheria; il quale per avventura per questa occasione avea mandati suoi Ambasciadori a Vienna. Rispose a queste parole Odolarica: Indardarno tenta Vostra Maestà di darmi marito alcuno; però che quale m'è stato conceduto da Iddio, tale l'ho avuto io prima che ora: e bene che io sappia che vi debbe esser molesta cosa d' intendere, pure io vi faccio sapere che Tesibaldo è mio Signore e Marito, e con lui ho celebrato secrete nozze. Travagliarono queste parole l'Imperadore talmente che fu più volte per incrudelire contro Odolarìca; ma pur vinto dalla ragione comandò dì subito che secretamente fosse lei posta in fondo di Torre; il che fu fatto. Ma non si dolse lei tanto di questo, che non si dolesse maggiormente di quello che dubitava che accascasse a Tesibaldo; a casa del quale andò per comandamento dell'Imperadore di subito il Governatore della Città, e senza, difesa lo ritenne che a punto studiava, e lo custodì in orribìl prigione. Sì meravigliò Tesibaldo assai di questa retenzione, nè sapendosì imaginar la causa, stando in molto affanno fulli portata nuova che piaceva alla Maestà dell' Imperatore che fusse publicamente non pur morto, ma arso. Dolente di questa nuova, ma consolato nella sua innocenzia procurò, ma mai potè ottenere grazia di parlare allo Imperadore; anzi quanto più procurava, tanto più era repulsato. Dovendosi donque dar esecuzione a questa imperial sentenzia zia, una mattina dappoi molto contrasto delli Consiglieri Cesarei prevalse finalmente il parer d' uno no che affermò non potersi di ragione far morire uno Oratore, se prima il Principe da lui rappresentato non intendeva la causa. Però ottenuto questo parere, sospesa l'esecuzione furno subito inviati a i Capi della Repubblica Padovana doi Oratori con lettere Imperiali, nelle quali era dato pieno avviso non pure dell'eccesso dell' Oratore, ma della capital condennazione, alla quale era piaciuto allo Imperadore di condannarlo. Giunti questi Oratori a Padova, ed inteso così orribil mancainento dalli Capi della Repubblica fiu non pur conmmendata la condannazion Cesarea, ma fatta deliberazion di eleggere Oratori che supplicassero l'Imperadore e a dare a Tesibaldo maggior pena, e a credere fermamente che la Repubblica avesse di questa ingiuria conferita oltre ogni sua aspettazione dolore infinito. Fatta perciò questa cosa palese nella Città, e pervenuta con molto rammarico all'orecchie di Giulia (benchè si sentisse ella offesa grandemente da Tesibaldo per questa imputazione ) argumentando però e concludendo che potesse esser che fosse Tesibaldo innocente di questa colpa, subito to sì risolse, cornunicato questo suo parere con doi suoi cugini della medesima Famiglia de'Camposanpiero, di andar a Vienna vestita da uomo, concludendo se felice oltre modo, se dalle mani di quei che conducevano a morir Tesibaldo fosse lei prima morta. Però fatta provvisione secreta d' ogni cosa necessaria, e principalmente d'arme e di denari andò a Vienna, a giungere alla quale non tardarono molto gli Oratori eletti. Ma giunti subito pregorno in pubblico sua Maestà e ad incrudelire maggiormente contro il Vitaliano, e a perdonare alla Signora Odolarica, la colpa della quale aveano commissione e d'alleggerire, e d'attribuire tutto al troppo ardire di Tesibaldo. Avendo donche questi Oratorì eseguito questa commessione, potero bene dall'Imperadore ottener la condennazion di Tesibaldo, ma non già l'assoluzion d' Odolarica, contra la quale avea di già publicata la medesima sentenzia, cioè che fosse insieme arsa. Questa sentenzia quella mattina medesima fu dato ordine che fusse eseguita. Però condotta al luogo solito in mezzo la piazza Odolarica vestita di panni neri ardita, ed affermando di aver ciò commesso che l'era opposto i ma negando di aver fallato, fu da tutti comunemente pianta, e tanto maggiormente quanto che in lei si vedeva grandissima constanzia. Condotta al luogo del fuoco Odolarica, e partita la Corte per condurvi medesimamente Tesibaldo, acciò che legati tutti due ad un medesimo palo un fuoco medesimo gli ardesse ed abbruciasse; Giulia non pentita tita del suo proponimento, anzi fatta maggiormente animosa vestita pur da uomo non sì tosto vide fuori delle prigioni il suo Signore tutto languido ed afflitto, che subito messa mano alla spada cominciò quando a ferire un' Officiale, quando ad ammazzarne un altro, di maniera che se non venivano altri in ajuto lei sola ed abbandonata da' suoi cugini avea lìberato lo innocentissimo suo Consorte dalle mani di venti e più Ufficiali: ma corsi altrì non solo impedirono la sua liberazione, ma la ritennero, e in quella prigion medesima la condussero, della quale aveano poco prima tirato fuori Tesibaldo, il qual condotto al luogo medesimo ove era Odolarica, e dovendosi allora dar esecuzione alla sentenzia, corse uno Ufficiale a comandare che si soprassedesse. Fra tanto meravigliandosi Tesibaldo più di vedere nel medesimo travaglio Odolarica a così dire: Mio Signore sarebbe a me questo tormento se noti dolce, almeno manco nojoso, se in questo non vedessi voi ancora mio unico contento. Ma poi che così piace allo Imperador mio Signor e Padre che noi, quali avea congiunti insieme il voler di Dio, insieme corriamo un medesimo tormento nel morire, consolatevi e siate securo, che io più compassiono voì che me stessa. Da queste parole comprese Tesibaldo, che qualche falsa demonstrazione intorno ad Odolarica avea mosso l'Imperadore ad incrudelire così atrocemente e così ingiustamente. Però a lei rivolto così disse: Fin qui certo, Signora, mi ha doluto non pur il morire e il modo del morire, ma anco il non sapere per qual cagione abbia l'Imperadore contra di voi e me publicata così atroce sentenzia. Se per non aver io voluto assentire alle vostre preghiere ciò è accaduto, mi contento di quello che piace a sua Altezza: se veramente perchè abbi avuta qualche sinistra informazione di me e di voi, questo mi travaglia più del morire, e del modo del morire. Rispose Odolarica, non accade mio Signore che neghiate quello ch'è fatto palese a tutto il mondo per mia causa; anzi confessiate, come confesso io, che non merita il nostro amore così crudel fine; e così confessando siate securo d'esser maggiormente compassionato da tutti. A queste parole rispose Tesibaldo arditamente, ed affermava che'li piaceva il morire ma che li dispiaceva che restasse impressione nell'animo degli uomini, che avesse egli usato tal viltade quale sarebbe stata di domesticarsi con la Signora Odolarica sua Signora, e sperava che Dio averia dimostrato miracolo di questa sua innocenzia; ma in tanto che con efficaci parole s'affaticava l' innocentissimo ed eloquentissimo Oratore di persuadere questo a tutti, allora un Padre di S˙ Francesco uomo di molta religione affermò alla Maestà dello Imperadore, che avendo confessato quella istessa mattina l'Orsino subito poi venuto a morte dalla infermità guadagnata per le molte fatiche fatte con Odolarica, avea egli e palesemente detto a lui, e publicato a tutti l' orribil tradimento fitto ad Odolarica ed a Tesibaldo, comprobando la verità di questo tradimento e con l'abito di Tesibaldo che si ritrovava aver ancora in casa, e con molte cose le quali erano successe tra Odolarica e lui. Inteso questo dallo Imperadore, e certificato e da altrì, e dall' aver ritrovato l' abito istesso, comandò subito che fossero non pure liberati, ma condotti l'uno e l'altro alla sua presenza: giunti i quali cominciò l'Imperatore non pure ad escusarsi con Tesibaldo, ma a dimandarli perdono, avendo egli creduto che ciò che diceva la Figliuola fosse vero. Tesibaldo veramente veduti i duo Oratori da lui benissimo conosciuti, cominciò in tal guisa a parlare: Sacra Maestà, quello che possa Dio sopra di noi ho apertamente conosciuto in questo affare, nel quale ha piaciuto a sua Divina Maestà ad un medesimo tempo e di fare prova della mia constanza, e di mostrarmi la sua pietade, non mi lasciando morire con tal calunnia. Ringrazio donque sua Divina Maestà, ed all'Altezza vostra affermo che non accade che meco si scusi per questo, che ha piaciuto a Dio di provare di me. Ben mi duole che innocentemente abbi non pur patito, ma la Signora Odo.larica insieme. Anzi, soggiunse l'Imperadore, voi solo altrettanto a torto foste da me condannato, quanto che giustamente Odolarica, la quale però rimarrà condannata grandemente, quando ch'ella intenda che credendo d'essere stata vostra, sappi e conoschi esser di Lucio Orsino; come a voi Odolarica figliuola non pure affermo, ma con mio grave dolore attesto. Il che inteso da Odolarica, e sendosi lei di ciò certificata a'varj segni, de' quali ne parlò tra tanto il frate, fu talmente dolente, che manco dolente era prima; ma l'accorto Imperadore trattò di consolarla dicendoli publicamente; Odolarica, poi che così a voi son piaciute e piaciono tuttavia le bellezze e condizioni di Tesibaldo, io che sono a voi Padre e amorevole, mi contento (se così a lui piace) che voi poi che sete rimasa miracolosamente vedova, siate sua Moglie. A questo rispose Odolarica ringraziandolo grandemente: ma diversa fu la risposta di Tesibaldo, perciò che disse che non era in termine di accettare così gran cortesia, sendo obbligata la sua fede a donna, la quale se ben non era da eguagliarsi alla Signora Odolarica, meritava però per le degne sue condizioni di non esser ingannata. Dispiacque questa risposta a tutti, ma ad Odolarica più d'ogn' uno. Aveano frattanto i Consiglieri Cesarei comandato, che quello che avea non pur violentato, ma ferito ed ammazzato alcuni Ufficiali fusse publicamente decapitato; quando che trattandosi di eseguire questa sentenzia intese Giulia, mentre ch'era condotta al luogo destinato, ch'erano fatti liberi e Tesibaldo, ed Odolarica dalla pena del fuoco per la innocenzia di Tesibaldo; e perciò supplicò lei che fussero contenti quei ministri di far intendere all'Imperadore che avanti morisse intendeva di palesarli importantissima cosa. Fu ciò referto all'Imperadore, il quale si contentò; e condotta alla sua presenzia Giulia e di tutti i circostanti, e benissimo conosciuto Tesibaldo, cominciò a così dire: Sacra Maestà sono io non uomo, ma donna; e quella donna, alla quale sola ha concesso Iddio sì meraviglioso Signore e marito com' è Tesibaldo. Viva, forza d'amore congiunta ad una certezza che avea della sua innocenzia m' ha indotto a far questo che ho io fatto. Pregovi donque o che mi escusiate, o ciò recusando il rigore delle vostre leggi, che almanco soprastiate a questa sentenzia per tre giorni, sin tanto che io dia alcuni ordini al mio Signore Consorte. Non puotero lo Imperadore e gli altri circostanti tutti astenersi dalle lagrime, quando conobbero esser quella Giulia Camposanpiero. Ala sopra tutti Tesibaldo, il quale corso a lei con licenzia dello Imperadore non pure la liberò, ma condotta in camera della Signora Odolarica e vestitala da donna la ricondusse di fuori, ove l'Imperadore non pur l'assolse, ma la commendò grandemente; e dipoi dato buon ordine fece per questo solennissime feste; e volendo pur tutti dui ritornare a Padoa non solo gli ornò loro & suoi discendenti di molti privilegj facendoli Conti; ma li donò molte gioje e alcuni castelli. Per il che non pur ritornorno tutti dui a Padova felici e gloriosi; ma furno a quei tempi e dipoi altrettanto ornamento e splendore di questa Città, come me amplissimo testimonio della nobiltà delli animi Padovani. Odolarica veramente visse il restante del tempo in un Monasterio di Venerande Monache.

Questa è quella novella, anzi quella istorìa, graziose donne e valorosi uomini, la quale ho pur io tentato di raccontarvi: se tale non è riuscita e quale voi speravate, e quale si richiedeva alla sua grandezza, imputate la Reina nostra che ha commesso si grave impresa a me, che mal son atta a fornir compitamente simili ufficj. Ma se nel raccontar questa novella ho io mancato, come conosco, e confesso apertamente, che debbo dubitare, che mi avvenirà se saro ìo così ardita che tenti di dire all' improvviso in Sonetto un Enigma, il quale si possa in parte agguagliare a quelli che dopo le savie novelle sono stati detti da ogn'una di voi? Chiaramente bisogna ch'io concluda che averete voi giusta ragione di concludere che ardir grande sia stato e il mio e del mìo Signor Consorte a metterci con sì elevati ingegni come sono i vostri tutti. Ma dirò pure un Enigma, e se bene lo giudicherete voi indegno, come che sarà, di contrastare con i vostri, sarò io di questo altrettanto contenta quanto gloriosa, se l' acutezza d' ogn'un di voi non penetrerà nella sua acutezza, come che mi giova di sperare. Uditelo donque con viso allegro e da niuna parte turbato.

Io nasco padre, e meco nasce ancora Moglie, e cinque figliuoli in un istante, E tutti sempre stiam coabitante, Nè dall' altro sì parte l' un talora. Diversi son gli uffizj; ma allora Riposa l'uno, quando l'altro avante Stanco già d'operare cose sante Manco riposo chiede che d'un ora. Ma gran disgrazia di sì nati figlj, Che se da me avvien che si riparte Mia moglie che fu Madre a tutti quiglij, Rimangono in tutte le sue parte Senza vita, e lei insìeme ed egli Disgrazia la maggior che s' oda in carte: Ma avanti che io mi parte So che la Reina nostra ella ch' ha ingegno Indovinerà ciò per sì gran pegno: Se non fate voi segno D'esser sì dotti questi versi sciorre, Come i vostri sapete ben esporre.