Prudenza Capizucchi:

COLLECTED POEMS





Assembled by
Cynthia Hillman

The Italian Women Writers Project
The University of Chicago Library

Chicago
2008

SE fia mai, ch'io sovrasti alla mia morte, Ed il mio nome al cieco obblio si tolga, Sicchè per opra di benigna sorte, Vi sia chi alle mie rime il ciglio volga; Strano parrà, che nel vigor men forte Sol de' miei spirti, i primi canti io sciolga; Se è ver, che verde età per vie piùcorte, Sormonti in Pindo, e i più bei fior ne colga. Ma pur de' miei sudori al debil frutto, Ch'ora paleso, e che celar dovrei, Spenta non sia vostra pietade in tutto; E dico almen: de' vaghi colli Ascrei L'erto non giunse a superar; ma tutto, So bastava l'ardir, l'ebbe costei.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 107.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 512.

Crudo pensiero, intorno al duol mortale, Che l'alma ingombra, omai che più t'aggiri? Togliti dalla fredda urna fatale, Urna, che tutti chiude i miei sospiri. Colei, donde trass'io la spoglia frale, Mercè di lui, che regge i sommi giri, Siede già nel suo seggio alto, immortale, Cinta il crin di piropi, e di zaffiri. Vedila pur, come ne' giri eterni, In mezzo alle virtù, che le fur scorta, Lieta nel divin Sol tutta s'interni. Or tu, il cener lasciando, a lei ti porta, Che par dal Cielo a me con moti interni Parla, e qual già solea, m'ama, e conforta.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 108.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 516.

Non t'adornar di molle piuma, o Figlio, Il biondo crin, nè d'aureo nastro il seno: Ma impugna il brando con senil consiglio, E a Numida destrier governa il freno. Per marcar gloria non temer periglio: E i pensieri a grand'opre intenti sieno: Sull'Atlantiche carte avido il ciglio Volgi al Baltico mar, volgi al Tirreno. Sia modesto lo sguardo, il parlar saggio: D'alma fronda Febea cingi la chioma; Rendi al Principe, e a Dio l'intero omaggio. Vinci te stesso: i vani affetti doma; Sicchè nell'opre tue, nel tuo coraggio, Gli Orazj, e i Marj suoi rivegga Roma.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 108.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 517.

Eè breve, o Figlio, il viver nostro; e l'ore, Non v'è chi arresti degl'incerti giorni; Nè avvien, che intero in noi piacer soggiorni, Che ratto fugge, e sparso è di dolore. Se vuoi vita immortal, segui d'onore L'alto sentier, ch'indi il tuo nome adorni; Io spero già, che nel tuo cor ritorni L'ecceslo a folgorar prisco valore. Stuol, che sparge alla Fede empio veleno, Estinto dal tuo ferro omai sen cada; E gli Aviti Trofei rivegga il Reno. Già par, ch'il piede alla battaglia or vada: Già vinci, e posi a bella gloria in seno, Se gl'illustri Avi tuoi t'aprir la strada.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 109.

Deh perche mie del Gange ora non sono Le ricche sponde folgoranti d'oro: Che eguale alla mia voglia offrir tesoro Vorrei, divota all'immortal tuo trono. Ma folle or'io che bramo, e che ragiono, Se 'l mar, la Terra, e quanto è chiuso in loro, Padre, già tutto è tuo? qual fia decoro Le ricchezze, che abborri, offrirti in dono? Or se donarti ogn'altra cosa è vano: Il desire, che è mio, t'offro: ed umìle Rivolta al Ciel, m'ascolti il Vaticano. Per te stame d'or la Parca file Tanto, che con tua santa invitta mano Tutte guidi le Gregge a un solo Ovile.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 109.

Quella sopita alma virtù natìa, Che dal Ciel venne, ed è nell'alma impressa, Tempo è, che omai si desti, e che me stessa, Io tragga, e 'l piè dalla non dritta via. Troppo mi tenne Amore in sua balì; Scuoto ora il giogo, onde già vissi oppressa, Benchè il crudo Signor vie più s'appressa, Per ricondurmi alla prigion di pria. Se scampa incauto Augel da rete, od armi, Ratto da valli perigliose, ed ime Sen vola in alto, e lieto scioglie i carmi. Tal'io, fuggendo Amor, n'andrò sublime Sovra i vanni di gloria a ricovrarmi Dell' eccelso Parnaso in sulle cime.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 110.

Vergine eccelsa, che nel più fiorito April degli anni tuoi spregiar sapesti Lo slpendor di tua cuna, ed apprendesti, Che nuoce più ciò, che n'è più gradito. Vergine saggia, ch'al divino invito Pronta per aspro calle il piè movesti, Onde fra chiare or godi alme celesti Un bene incomprensibile, infinito. Mentre il beato folgorante ciglio Fermi nel Sole eterno, e tutto intendi In quell'uno, che'è Spirto, e Padre, e Figlio, Deh se te stessa di pietade accendi In mirar chi t'invoca in gran periglio. Noi, germi del tuo Tronco, omai difendi.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 110.

Vago Augellino, che di ramo, in ramo, Dolce cantando vai sul mirto, e l'orno, E godi, o nasca, o pur tramonti il giorno, La cara libertà, che tanto io bramo: Tu quando Amor ti punge, e dici: io amo, Di lai spargendo il tuo verde soggiorno, Ascolti pur la tua fedel, ch'intorno, Non men calda d'amor, dice: riamo. Io lasso, amo beltà, che 'l cor mi strugge, Col più barbaro orgoglio, e cruda, e altera, Quanto la seguo più, tanto più fugge. Deh se ti serbi il Ciel la gioia intera, Or tu costei, ch'l cor mi rode, e sugge, Almen col canto tuo rendi men fiera.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 111.

L'almo mio Sol quando alla mia costanza Oppon l'orgoglio, e d'ira il volto accende, Con sovrumana luce allor più splende Degli occhi il lampo, e la real sembianza. Così in me fede, in lei beltà s'avanza: E quanto il suo rigore a me contende Giusta pietà, tanto più chiaro ei rende Il grave incendio mio fuor di speranza. Or se più non impetra amando il core, Vagheggerò lo sdegno in quei bei rai: Sdegno pompa fatal del mio dolore. E spero, ch'altri di noi dica omai: Ha clori infrà le belle il primo onore: Ma la fe di costui più bella è assai.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 111.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 518.

Ragion, tu porgi alla confusa mente Della tua luce un raggio almo, e sereno: E mostri a quanti error discoglia il freno Un cor, che a vil, caduco Amor consente Onde del bel, che a lagrimar sovente N'astringe, io fuggo il rapido baleno; Che non sì tosto il vedi, egli vien meno, E breve età tutte sue forze ha spente. Faccia pur' altri a se meta fatale Lo splendore d'un bel volto; ed in poch'ore Abbia il bello, e l'amor la sorte eguale. Io, che nobil racchiudo in petto ardore, Non fo pago il pensier d'oggetto frale, Perche eternar bramo nel l'alma Amore.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 112.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, p. 107.

Signor, se irata contra te risorge Con nuovi assalti suoi l'istabil sorte, Non già t'opprime; anzi teatro or porge A tua invitta costanza, al petto forte. Un nobil core infra i martir si scorge; E i perigli alla gloria apron le porte. Io già ti veggio appo l'età, che sorge, Signor degli anni, e vincitor di morte. So ben, ch'invidia rea solo a' tuoi danni, Tutti muove gli abissi a mortal guerra; Ma non val contra te forza d'inganni. Così quand' Eolo il freddo antro disserra, Di sue frondi non men carca, che d'anni, Scuote quercia talor, ma non l'atterra.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 112.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 513; and Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, p. 108.

Quel magnanimo spirto eccelso, e forte, Ch'entro il bel vel del mio Signor s'avvolse, Innanzi sera al suo mortal già tolse Ahi troppo cruda inesorabil morte. Spenti ha quei lumi, che fedeli scorte Furo alle genti, ove valor s'accolse; Chiusa ha la man, che a' bei favor si sciolse, E a pietà più non vista aprio le porte. Tolto ha il sincero core altrui sì grato, E co' saggi pensier l'alte parole: Tolto ha in un colpo il mio tranquillo stato. Morte, tu almen, pria che più giri il Sole, Mi ricongiungi al dolce Sposo amato: Che la perdita sua troppo mi duole.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 113.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 514.

Dell'età prisca, o dell'età presente Quanto priego, e valor la Fama spande; Quanto chiuder si puote in saggia mente D'eccelso, di magnanimo, e di grande, Tutto nel mio Signore alteramente Splendea fra mille di virtù ghirlande; Sicch'era al fior della Romulea gente Specchio, e stupore appo l'estranie bande. Quindi morte, lo sguardo in lui rivolto, Arse d'invidia; e col fatal suo gelo Corse veloce a scolorirgli il volto. Ma fuor dell'ombra del mortal suo velo Tal fiammeggiò lo spirto in se raccolto, Che tutto empiè di meraviglia il Cielo.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 113.

Volta a un forte pensier fido compagno Di quell' aspro dolor, che ciudo in seno, Sempre d'amaro pianto il volto bagno, Chi fea membrando il viver mio sereno. E se per gli occhi fuor talor non piagno, Eè per sciorre a i sospir più largo il freno. O sorga, o cada il dì, col dì mi lagno, Ch'ultimo a'miei martir non riede almeno. Così men vivo; e al variar degli anni Giammai non cangio l'ostinata doglia: Che non può speme ristorar miei danni. Deh vieni, o morte, e del mio fral mi spoglia: Tronchi un tuo colpo in me cotanti affanni, E due salme divise un marmo accoglia.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 114.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 514.

Note, sì vi ravviso; e un rio dolore Mi ritorna al pensier l'andate cose. Come finor foste a'miei lumi ascose; Nè pur mel disse in sua favella il core? O del mio caro, e sventurato Amore Soavi rimembranze, e tormentose, Perche in voi rimirar chi vi compose Non posso, e rattemprar l'intenso ardore? Ma invece d'addolcir l'antico affanno, M'inasprite la piaga, e il duol s'avanza Con far più vivo alla memoria il danno. Fuorchè il morir, qual'ho da voi speranza? Pur con crudele inusitato inganno In vita mi sostien la mia costanza.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 114.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 515.

Talor di mia magion la più romita Parte mi scielgo; ivi pensosa, e sola, Misuro il mio dolor, che a me m'invola, Coll'altrui duolo, e la già stanca vita. L'alto sentier, che col suo stil m'addita Donna immortale, in parte il cor consola; Ma invan per le chiar'orme indi sen vola Il mio pensier, ch'a seguir lei m'invita. Ella l'estinto suo bel Sole a morte Tolse col canto; e alle future genti Il dipinse qual visse, eccelso, e forte; Ma non fia già, che in rime aspre, e dolenti Io nuova vita al mio Signore apporte: E mostri i pregi suoi, che morte ha spenti.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 115.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 513.

S'io penso al tuo leggiadro almo sembiante, Al vivo spirto, al vago sen di neve, Qualche conforto il cor mesto riceve, Perche sì rare amo bellezze, e tante. Ma, se nimico Amor mi reca avante L'orgoglio, e l'onte, e il tuo cor vario, e lieve, Tal poi velen l'alma per gli occhi beve, Che quasi esce dal sen lo spirto amante. Dappoi che il male è in me sempre maggiore, E dell'inganno suo alma s'avvede, Fuggirò del tuo bello il reo splendore, E se mai l'alma in libertà sen riede, Io griderò: sol tormentoso è Amore; Che unite non van mai bellezza, e fede.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 115.

Quando più tormentoso il duol m'ingombra, E fredda cura mi s'aggira in seno, Sicchè il riposo a gli occhi, ed il sereno Manca al volto, e di morte orror m'adombra, M'appare allor di lieta speme un'ombra, Che additando a sinistra aureo baleno, M'affida, e dice: Amor cortese appieno Dal tuo core i nimici ecco disgombra: Così cara al mio den la gioia torna; Cede, e s'arretra ogni più rio martire, E 'l dolce sonno a gli occhi miei ritorna. Prenda pur norma dal mio bel soffrire, Nè si sgomenti or chi nel duol soggiorna: Ch'indiviso ha il confin pena, e gioire.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 116.

Lassa, che un mar cinto di sirti io varco; E l'aer grave, e 'l vento intorno freme: Veggio di mostri un fiero stuolo, e insieme Irato il Cielo, e di tempeste carco. In sì strano periglio ov' è chi il varco M'additi, e sgombri il duol, che l'alma preme: Se l'usata mia scorta, e fida speme Ha già deposto il suo mortale incarco? D'or in or cresce il mio gravoso affanno: La morte mi s'appressa; e mi fa guerra Vie più la tema dell'eterno danno. Ma tu, Signor, qual già solevi in terra Scorger miei passi, or traggi fuor d'inganno La nave mia, che dubbia scorre, ed erra.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 116.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 515.

Dacchè mi tolse a i sette colli alteri Solo a' miei danni l'empia sorte intenta, Tanti all'afflitto sen dardi m'avventa, Quanti ad ogn'ora in me nascon pensieri. E perche d'ogni speme ancor disperi, E a false larve il mesto cor consenta, Mi dipinge la fede in voi già spenta; Onde traggò i miei dì torbidi, e neri. Dal vostro aspetto sol lo spirto oppresso Chiede ristoro: indi capir potete Cià, che non sa ridirvi il labbro istesso. Da gli occhi miei, che lagrimar vedrete, Dal volto, ov'è l'orror di morte impresso; Qual pena è lontananza allor saprete.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 117.

Se vedi il suol nella stagion novella Senza la verde sua fiorita spoglia; O se vedi del Sol l'alma sorella, Che sul carro del giorno il corso scioglia; Puoi dirmi allora, o crudel Donna, e bella, Ch'altro desio quest'alma amante invoglia: T'amo pur or, qual sulla patria stella: Che per loco cangiar non cangiai voglia. Dunque serena il torbido pensiero; E se nol credi alla mia fede, il credi, Alla virtù del tuo bel ciglio arciero. E se l'ardor, che vincendevol chiedi, Conoscer vuoi, fissa lo sguardo altero Negli occhi miei, specchi del core, e 'l vedi:

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 117.

S'oscura il Sol, che langue il suo Fattore, E vacillando il suol s'apre ogni pietra: Ma stilla di pietade ancor non spetra Il rubello dell'Uomo alpestre core. Carco di nostre colpe ei langue, e muore, Nè già dall'Uom pure un sospiro impetra; Anzi da sue bell'orme il passo arretra, E corre ove il trasporta il proprio errore. Ch'or desio di tesor la mente ingombra; Or per odio, od Amor tanto delira, Ch'il senso alla ragione i lumi adombra; Traviata così l'alma s'aggira Lungi dal centro suo seguendo un'ombra; E sta in mezzo al periglio, e pur nol mira.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 118.

Tutto morte crudel turba, e dilegua Rapidamente al trapassar degli anni; Pur benche stanca ad invocarla io segua, Già non mi toglie a' miei crudeli affanni. Par, che m'odj la sorte, e mi persegua, E terra, e abisso in un goda a miei danni; Se lenta è sì morte, ch'il tutto adegua, Chi mi toglie del Mondo agli empi inganni. Che troppo, ahi troppo in paragon dispiace A malvagio pensiero, a indegna froda Retto sincero cor, labbro verace. Vergin, deh fa, che il tuo gran Figlio or m'oda, E mostri l'altrui dir falso, e mendace, Tal che del giusto il mentitor non goda.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 118.

Già torna Aprile; e i congelati umori Mormorando infrà l'erbe il rio discioglie: Cantan gli Augei delle lor calde voglie; E scherzan lieti i pargoletti Amori. Insuperbisce il suol tra molli odori Ricco di nuovi fiori, e nuove foglie; E la vaghezza, che nel seno accoglie, Par, che prenda dal Ciel forme, e colori. Ove un limpido fonte il terren bagna, Siedon Ninfe, e Patori: e 'l suo desio Ciascun palesa alla fedel compagna. In sì lieta stagion dico al cor mio: Perche il duolo or da te non si scompagna? Ed egli: ahi nol consente il destin rio.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 119.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 517.

Pien di morte il pensier sì forte ingombra Di rei fantasmi il core oppresso, e l'alma, Che della mia gravosa afflitta salma Bramo anzi tempo omai vedermi sgombra. Ma pur de' lauri vostri alla chiar'ombra, Cigni immortali, inaspettata calma In me risorge; e luce altera, ed alma Gli altri nembi del duol fuga, e disgombra. Che il mio Signor dell'empia morte a scorno Sol per virtù de'vostri carmi industri Vivo riveggio, e di bei fregi adorno; Nè più tem'io, che al variar de' lustri Ombra Letea giri a'miei versi intorno, Perche il vostro alto stil gli ha resi illustri.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 119.

Di duolo in duolo, e d'una in altra pena Vago del mio martir mi tragge Amore: E il grave incarco, ond'è sì oppresso il core, E' tal, che tempo, nè distanza affrena. E di tai tempre ei mi formò catena, Che disper'io di trarre il piè mai fuore: Tanto può in me l'inusitatp ardore, Ch'omai me stesso io più ravviso appena. Io rio timor, la gelosia m'attrista, La falsa speme, il dispietato sdegno, La brevissima gioia al dolor mista. Sol tra gli affanni arsi d'amor nel regno. Che fia non so, s'ei maggior forza acquista: So, che ad ogni suo stral son fatto segno.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, p. 120.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, p. 108.

SElve incognite al Sol, torbide fonti, Cimosi stagni, antri profondi, oscuri, Fiere, balze, erme, rupi, alpestri monti: Fidi ricetti sol d' angui, e sicuri Nidi di belve, in voi mi poso, e spero, Che in breve 'l giorno agl'occhi miei s'oscuri. Più non alberghi in me lieto pensiero Di lusinghiera ingannatrice spene, Ma l'arve, che il mio duol faccian più fiero. Che d' Ission, di Tantalo le pene Son' ombre in paragon di fe tradita, E d' un' alma, che perda il caro bene. Miglior sorte mi fora uscir di vita, Che vivendo ad ognor sentirmi al core, D' amor, di gelosia doppia ferita. Ma ne pur morte puo tormi il dolore; Che nel doppio sentier l' alma confusa, Non sa donde dal seno uscirsen fuore. Lasso! al dolce parlar, mia fe delusa Rimase, ed al celeste almo sembiante; Che una Dea non credeva a tradir usa. Ben, fu pietà d' Amor farla incostante; Che se tanto ne avvampo, e m' e rubella Qual saria l' ardor mio, se fosse amante? Pur t' incolpo, o tenor d' iniqua stella; Perche farla gentil, quand' e' s' ingrata; Perche farla infedel, quand' è sì bella? Ma pari al suo fallir la dispietata Prova il martir, che se nega il giojre, A me, che l' amo, altrui ama ingannata. E mentre empia ella gode al mio martire, Schernita si riman la sua incostanza, Che pena è il fallo stesso al suo fallire. Amor, se sei tu giusto a mia costanza Or devi il premio, e se non puoi far Clori Fida, togli al mio cor la sua sembianza. Ah no, solo al mio cor pene maggiori Aggiungi, e fiamme all'avvampato petto; Ella lieta sen viva ai novi amori. Poiche del mio penar gradito effetto Almen trarrò, s' alla tiranna mia, E' ministro il mio duol di bel diletto. Forse avverrà, che un dì resa più pia. Fedel ritorni, e sgombri dal mio seno Col sol degl' occhi, il gel di gelosia. Onde sanato dal mortal veleno, Famelico, e digiun lo sguardo torni Il cibo a tor del volto suo sereno. Allor … ma, speme vana, ancor soggiorni Nel petto, e lusingar tenti il cor mio, Perche bersaglio all' onte tue ritorni? Andranno i monti, e starà il fiume e il rio Pria, ch'io miri quel volto. Ah troppo omai. Troppo intesi, e soffrj, troppo vid' io. Anzi, occhi miei, se v' incontraste mai In quella menzognera, e al rio splendore Pur vi fidaste de' suoi crudi rai, Vi ricopra in quel punto eterno orrore.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 3, pp. 120-122.

This poem also appears in: Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, pp. 171-173; and Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, pp. 109-110.

Era l'anima mia d'affanni sgombra, Quando una Furia, ed un Fanciullo armato, Mentre di verde Allor posavo all'ombra, Mi feriro a vicenda il manco lato. Quindi strano timor, lasso, m'ingombra, Ch'or diletta, or tormenta il cor piagato; E sì speme or di se m'empie, or mi sgombra, Ch'ardo nel giel, son nell'ardor gelato. In sì dubbio tenore or dolce, or rio Servaggio io soffro: ma sovente eccede La lieve gioia il fier tormento mio. Poichè al mio fido amore ella non crede, Che, chiudendo nel cor vario desio, Come non ha, sì non conosce fede.

Crescimbeni, Giovanni Mario, L'istoria della volgar poesia (Venezia: Lorenzo Basegio, 1731), vol. 2, p. 543.