EGLOGA
DI
ALESSANDRO POPE
VOLGARIZZATA

Alme Ninfe di Solima sorgete, Sciogliete il canto! A celestiali carmi Angelica si vuol voce del Cielo: Alme Ninfe intuonate! Le muscose Fresche fontane, e l' ombre agresti, e i vani Sogni di Pindo e delle Suore aonie Or non più ne dilettano. Ah tu o Santo Spirto deh vieni, e con la dia favilla Che ad Isaia 'nformò labbro divino Tu incendi 'l petto mio. Ma tosto il Vate Rapito nel futuro ecco prorompe: Concepirà una Vergine, una Vergine Partorirà. Alto germoglia un ramo, La radice d' Iesse alto s' eleva, E di fragranze i sacrosanti fiori Empiono l' äer. Già l' etereo fiato In sulle frondi ecco aleggiando muove: Poggia in vetta la mistica colomba. Ah voi o Cieli dal più puro grembo Il rugiadoso nèttare versate, Ed in dolce silenzio più benigne Pioggie spargete. Il debile e lo 'nfermo La pianta salutifera conforta, Protegge alla tempesta, al caldo adombra. Ratto all' odor de' fecondati rami Fugge il delitto, caggiono le frodi, Ritorna la giustizia alto librando L' aurea bilance, e già sul vasto mondo Stende la pace il ramuscel d' oliva; Avvolta in bianca veste giù del Cielo Scende innocenza, presti volan gli anni, Ed albeggia l' aurora desïata. Nasci, o fanciullo avventurato, ah nasci! Vedi Natura a te reca ghirlande Educate in soave primavera: Vedi il superbo Libano che estolle Alto la fronte: ve' su colli aprici Ondeggiar le foreste e muover danza: Ve' della valle di Saronne alzarsi Nubi folte d' aròmati e d' incensi: Ve' del Carmelo la fiorita vetta Ir profumando i Cieli. Odi qual voce La solitudin de' deserti allegra: Preparate la strada, un Dio, un Dio, Un Dio appare. Ed in favella umana E valle, e monte un Dio, un Dio rimbomba, Ed ogni rocca umanamente annunzia L' approssimar di Dio. Dal Cielo inchino La terra letiziando lo riceve. V' ergete o valli, vi bassate o monti, E voi curvando o cedri fate omaggio: Ammollitevi o rupi, e voi o fiumi Le rapid' onde aprite, e date via; Il Salvatore incede! quel da vati Predetto! uditel voi o sordi, o ciechi Miratelo: dal denso vel che cuopre Il visivo raggiar della pupilla Purgherà l' occhio e verseravvi il giorno; E dentro delle chiuse vie del suono Ei grato introdurrà nuovo concento A dilettare il disgombrato orecchio. Il muto scioglierà la lingua al canto, E obbliando lo zoppo il suo sostegno Esulterà qual giovinetta damma Che allegra e sciolta in praticel saltella. Non più sospir, non più lamento o grido Udran le genti, e d' ogni afflitta guancia Il pianto ei tergerà. La morte avvinta Gemerà tra catene d' adamante; Dentro lo 'nferno sentirà Satana L' eternale ferita. E come regge Il pastorello sua lanuta cura, Va le agnelle smarrite rintracciando, E a più dritto sentier le erranti sprona; Le vegghia il dì, le guarda e le difende Dal malo influsso della buja notte; In braccio accoglie il tenero agnellino, Di propria man lo nutre al sen lo scalda, Così del suo Signor la greggia umana L' affetto acquisterà. Padre amoroso Tutti lo avranno i secoli futuri. Ah non più gente a gente opporran l' arme, Non d' odio più scintillerà pupilla, Nè acciar vedrassi balenante in campo, Nè suon di tromba spirerà ne' petti Guerrier furore; ma le lancie inutili In falci attorte, e in vomer convertite A colti andran le late scimitarre. Alti palagi sorgeranno e templi; Torreggeran vaste Città e Castella; Il figlio compirà l' opre de' padri, E all' ombra degli aviti suoi vigneti Godrassi al fianco della fida sposa Languir tra dolci amplessi e caldi baci, Mentre scherzando i pargoletti nati A lui 'ntorno faran larga corona Volger vedendo in bella pace gli anni. Buon frutto il villanel di sua semente Corrà, premio abbondante a' suoi sudori. E con stupor per le pendici sterili Vedrà pampini verdi e bionde spiche; Udrà per le assetate e secche arene Un nuovo mormorar d' acque caggenti; Vedrà gigli e vïole ornar le rocche, E per le valli d' intricati spini Inchiomarsi l' abete e stender rami Il vago bosso, e la fiorita palma, Ed il mirto odorato. L' agnelletta Col lupo scherzerà ne' pingui paschi; E con laccio di rose il garzoncello A suo talento guiderà la tigre: Il corridore ed il lion superbo A un sol presepio gusteranno il cibo; E la serpe obbliato il suo veleno Irà del pellegrin lambendo il piede; E con man tenerella il fanciullino Del basilisco liscierà la cresta, E 'l bel lucido verde vagheggiando Vezzeggierà la biforcuta lingua. Deh tu sorgi, di raggi incoronata Imperïal Salèm deh sorgi! estolli La torreggiante fronte e leva il guardo! Mira lunga progenie i spazïosi Adornar penetrali de' tuoi templi: Mira uomini e donne ancor non nati Sorgere in folla domandando vita Desiosi de' Cieli. Alle tue porte Mira barbare genti a folta a folta Guidate dal fulgor di tua facella Prostrarsi ai santi altar. Mira già mille Di corona real fronti ricinte In tuo cospetto umilemente inchine. Mira gli accesi altar fumanti e colmi D' aromatici odor di primavere Gratissime Sabee. Per te s' infronda L' Idumea valle, e nutre sue fragranze; Per te il monte d' Ofir d' oro s' abbella. Ma già s' apron del Ciel le late porte, E versa sopra te mare di luce. Non più per l' ampio azzurro surto il Sole Indorerà la mattutina aurora; Nè in sulla sera tornerà la Luna A inargentar sue corna: poichè tutto Or si dissolve, e si distempra e perde Nel radiar superno. Sul tuo tempio Rompe fiume di gloria e fiamma viva. Chè è la luce essa stessa che risplende: La luce rivelata: il giorno eterno: Giorno eterno di Dio, il giorno tuo! Disseccheransi i mari, il firmamento In fumo svanirà; cadranno in polve E monti e rocche dissipate e sperse: Ma sol la tua parola, la vitale Possanza che ne 'nforma e ne redime Rimarrà. Rimarranno eterni i Cieli: Starà eterno, o Messia, il regno tuo!

Contessa Teresa Carniani Malvezzi