ANACREONTICA

Non velata il crin di lucide Rare gemme prezíose, Ma di miste a'gigli candidi Verginelle intatte rose, Sen venía sull' ali tiepide Di un' auretta lusinghiera Tra le gioje e i scherzi garruli La vezzosa Primavera.
Bel vedere ovunque i celeri Vanni d' or stendeano il volo, D'erbe molli e di spontanei Fior novelli ornato il suolo! Già Narciso dell'argenteo Ruscelletto sulle sponde Di sè stesso amante incauto Si vagheggia in grembo all'onde. Presso al fior, che dall'idalio Pargoletto il nome toglie, Già dispiega altero il dittamo Novo onor di verdi foglie. Spande Ajace in preda all' aure Le odorifere sue chiome Ove mesto il Nume delfico Già scolpío la doglia e il nome.
Pinge qua brunetta mammola Amator, che geme e langue: Là germoglia il fior purpureo, Cui diè vita Adone esangue. Mille a gara in pompa emergono Erbe e fior soavi e belli: Le foreste il crin rinnovano Dolce asilo ai pinti augelli. Lieto il rio carezza il margine, Fuor del chiuso escon le agnelle, E con Iti al canto flebile Riedon le attiche sorelle. Presso al mar sicure intessono Le alcioni il caro nido: Più i nocchieri non paventano Il furor del flutto infido.
La donzella alma di Cerere Il ridente ameno aspetto Di stagion cotanto amabile Mira, e sdegna il patrio tetto. Giovanil vaghezza invitala A predare i fior più belli, Meditando il sen fregiarsene E i biondissimi capelli. In azzurro ammanto serico Tosto avvolge il molle fianco, Da cui stretto lascia pendere Roseo laccio al lato manco. Il bel volto e il collo eburneo Or lambisce, ed or flagella L'aureo crin, che lieve agli omeri Scende avvolto in vaghe anella.
La serena fronte e i vividi Lumi suoi celar non vuole, Nè paventa che la offendano Sul mattino i rai del sole: Onde lascia in ozio il croceo Suo cappel di paglie ordito: Della madre al guardo involasi, Vinta cede al dolce invito. Reo destin ti attende. Arrestati: Ove corri, o semplicetta? Ma non mi ode, e già pel florido Colle ameno il passo affretta. Già Favonio intento ammirane La beltà rara e celeste, E furtivo il crine or baciale, Ora il lembo della veste.
Vezzi e Grazie la precedono, E il fanciullo di Citèra Additar gode invisibile Ve più ride primavera. Ella intanto i fior più nobili Dal natío stelo divide, E a disporli in bel disordine Sull' erbetta alfin si asside. Ma improvviso orrendo fremito Ecco, ahimè! dagli antri cupi Si sprigiona, e annose roveri Schianta, e fa crollar le rupi. Freme irato il mar, s'innalzano Globi al ciel di fumo e polve, Scoppia il tuono, atra caligine Scolorato il sole involve:
Procelloso dall'eolia Grotta borea spinge il verno, S'apre il suolo, e in pompa orribile Fuor n'appare il Dio d'Averno. E la bella incauta vergine, Che di fiori il crin si cinge, Sola vede, e tra le ruvide Braccia audaci, ahimè! la stringe. Ella invan di calde lacrime Bagna il volto, invano il nome Della madre invoca, e lacera Il bel serto e l'auree chiome.… Ma la trae già il cocchio ferreo Oltre l'invida palude: Già compagna al Re dell'Erebo Erra mista all'ombre ignude.
Vaghe ninfe, cui sul florido Sorridente april degli anni Del bendato arcier di Venere Noti ancor non son gl'inganni; Al materno sguardo vigile Van desío di libertate Voi non furi, e un tardo, inutile Pentimento paventate.

ANACREONTICA

Vaga rosa onor d'aprile, Di rugiada aspersa ancora, Dall'eburnea man di Flora Il mio Silvio un dì rapì, E le ascose entro al gentile Curvo sen baci e sospiri, Indi a me de' suoi desiri Fida interpetre la offrì.
Con un timido sorriso Ei mi disse: Pastorella, Questa rosa verginella Prendi, ed usami pietà. Perde adon, croco, narciso, Clizia, ajace, ed amaranto Presso a questa tutto il vanto Di fragranza e di beltà. Mira a gara ad essa intorno Molli aurette innamorate Agitar le piume aurate Per rapirne il grato odor: Mira come in fior sì adorno Ha d' Amor la genitrice Pinto al vivo l'infelice Tuo negletto adorator!
Son le fronde porporine Del mio foco immagin vera; La mia speme lusinghiera Puoi nel verde ravvisar. È lo stelo senza spine, Perchè tutte nel mio petto Per suo barbaro diletto Le ha volute Amor vibrar. Chinò poscia i lumi, e tacque: Io giuliva a lui mi volsi, E il bel fior di man gli tolsi Caro al ciprio fanciullin; Ma sottrarlo indi mi piacque Dell'edace veglio all' onte, E di un novo Anacreonte Di mia man lo avvolsi al crin.
Del novello suo destino Tripudiò la vaga rosa, E sembrò che vergognosa Raddoppiasse il suo rossor; Chè sol usa in sul mattino Fu di ornar ninfe e pastori, Ne sperò giammai gli onori Emular del sacro allor. Già credea l'orgogliosetta Eternar sua pompa altera; Ma ben tosto la primiera Lieta sorte si cangiò. Smorta, lacera, negletta Io la vidi in un istante Di colui starsi alle piante Che il suo fasto lusingò.
Mesto alzò la rosa un grido Negli estremi suoi momenti, E a Ciprigna in questi accenti Fe' palese il suo dolor: Alma Dea di Pafo e Gnido, Che di porpora mi vesti, Come puoi soffrir, ch'io resti Calpestata e senza onor? Quella io son, che in Amatunta De' piaceri il tempio adorno, De' tuoi cigni al collo intorno Io coloro il vago fren. Io le chiome, allor che spunta, Cingo all'Alba rugiadosa: L'aura scherza, Amor riposa Entro al mio virgineo sen.
Quella io son … Ma Citerea La interruppe, e, i tuoi clamori Frena, disse, lieta muori, E ringrazia il tuo destin. Presso al cespo te dovea Calpestar greggia o pastore: Or di un mio gentil cantore Ti fu dato ornar il crin. Giaci, è ver, mal viva al suolo, Chè fuggir quaggiù non lice Dell'avara mietitrice L'atra forbice fatal; Ma il tuo nome fino al polo Vincitor del re degli anni Di febei modi su i vanni Poggerà fatto immortal.
Nota è già tua nobil sorte Tra la florida famiglia, Ed invidia e maraviglia Destar seppe in ogni fior. Dunque mori, e di tua morte Va superba, o mia diletta, Nè dir più che sei negletta, Calpestata e senza onor.

ANACREONTICA

Sulle sponde del Permesso, Ove Euterpe mi guidò, Di sua mano Apollo istesso Questa penna mi donò. Disse a me l'intonso Nume: Questa, Erminia, ch' io ti do, Una appunto è delle piume Che alle Muse il tergo armò,
Quando in cor di sozze brame Pireneo folle avvampò, E che il vol dall' uomo infame L'alme Aonidi salvò. Sai, che allor l'amante insano Di arrestarle invan tentò; Pur l' audace impura mano Questa penna ne involò$ Dalla sacra vetta idea Sì bel furto rimirò Il fanciul di Citerea, E a nuov' uso il destinò. Come rapida saetta Tosto in Focide ei volò, E la bella preda eletta Alla madre in don recò.
Grata allor Ciprigna il figlio Dolcemente accarezzò, E dal labbro suo vermiglio Baci fervidi libò. Tra le rose porporine, Che Favonio l'educò, Sopra il crespo aurato crine Poi la piuma collocò. Lunga età da quella fronte Essa l' aure flagellò, Poi del greco Anacreonte I bei numeri vergò. Di sì celebre cantore Ligia a' cenni si restò Da quel dì, ch'ei le canore Note a Venere sacrò.
Ma poichè la Parca avara Il fatal colpo vibrò, E di vita a me sì cara L'aureo fil troncar osò; De' miei Genj il coro alato A rapirla in Teo andò, E di Saffo al plettro allato Di bei fior la circondò. Là fra molli aurette liete In tranquillo ozio posò, E del fato le secrete Cifre intanto penetrò. Dall'usata amica pace Io la tolsi, poichè so Che l'ardir del veglio edace Essa appien domar or può.
Tu la prendi, e a lei, cui teco Amistà dolce legò, E che i bei del vate greco Modi lirici emulò, L'offri in dono, e dille, ch'io Tal di lei pensier avrò, Che il suo nome dell' obblío Vincitore ognor farò,

ANACREONTICA

Dal bel mirto sacro a Venere Togli, Amore, e reca a me Quell'aurata cetra armonica, Che di Cirra il Dio mi diè. Sulle corde aleggi un tenero Zeffiretto lusinghier, Qual dal sen di nube rosea Scende all' alba messaggier.
Se per te dell'acidalia Fronde il crin velata io vo, Teco, Amor, le Grazie ascoltino Ciò che Alessi a me narrò: Cheto già tra' rami il garrulo Si ascondea piumato stuol, E nel molle grembo a Tetide Stanco omai posava il sol. Di color modesto e languido Sol godea gli oggetti ornar Dubbia luce, che invitavane Al soave immaginar; E in gemmata spoglia fulgida Già sorgea Vespero in ciel, Duce agli astri, e già l'argenteo Stendea Cintia amico vel.
Quando cose alte narrandomi Riducea, com'è suo stil, Meco Alessi il gregge candido Dall'erbette al chiuso ovil. Giunti là 've la funerea Ardua cima ergono al ciel I cipressi, che circondano Del buon Niso il freddo avel Ecco lieve fiamma sorgere Dal marmoreo grembo fuor, Che premendo il dorso all' aure Solca incerta il muto orror. A tal vista, i passi accelera, Saggio Alessi, per pietà: Dell' estinto Niso l'anima Ve' che intorno errando va:
Alto esclamo, e come rapido Fende il liquido seren Lampo estivo, che si genera D'una fosca nube in sen, Io fuggía; ma sciolto agli omeri Mi scendea negletto il crin: Lo afferràr da un leccio i Fauni, E frenaro il mio cammin. Giunge intanto Alessi, e cauto Il mio crin pria liberò, Poscia in grave aspetto e placido In tal guisa favellò: Fole son, che l'ombre riedano Queste selve ad abitar: Legge austera il guado stigio Vieta ad esse ritentar.
Quella dubbia face squallida, Semplicetta, non temer: È un vapor, che in aria accendesi Tenuissimo e leggier. Tai vapori entro le viscere Nati in pria del pingue suol D'aurea luce adorni emergono In virtù de'rai del sol. Di ardor privi in pompa effimera, Quando appar la notte in ciel, Delle chete amiche tenebre Fendon questi il fosco vel. Lievemente ogni aura seguono Con volubile aleggiar, Onde i saggi (e ben gli espressero) Fatui Fuochi gli appellàr.
Ma se vuoi l'immago ingenua Ravvisar di tai vapor, Il fallace amore esamina Che de' vati ha nido in cuor. Quelle fiamme, ond'essi avvampano D'ogni bella ninfa al piè, Breve han vita, altere splendono, Ma non hanno ardore in sè. E più lievi ancor de' fatui Fuochi, ovunque errando van: Ah! dai figli almi d' Apolline Fedeltà si spera invan. Troppe ad essi appresta il fervido Sempre novo immaginar Varie idee, che ratte scorrono Più del rio che fugge al mar.
D'ali il tergo i vati armarono Al fanciullo feritor, E scusar con ciò pretesero L'incostanza nell' amor. Di leggiadre antiche favole Essi a noi sotto il bel vel Degli eroi non men dipinsero Tutti infidi i Numi in ciel. E alla sua Barine il candido Venosin Cigno cantò, Che spergiura amante instabile Più vezzosa diventò. Dunque apprendi: invan le semplici Pastorelle attendon fe … Ma tu fremi, e bieco e torbido Volgi, Erminia, il guardo a me?
Ah! t'intendo: i vati formano La delizia del tuo cor: Voglia il Ciel che pianto inutile Non ti costi il dolce error!
Era nella stagion che ardente raggio Vibra con Sirio unito il Dio di Delo, E nell'ora che l'ombra invola ai colli: Quand'io da lungo stanca erto víaggio A prender posa, e ricomporre il velo In erma grotta ricovrar mi volli: In erma grotta, in cui d' erbette molli In varie guise di bei fior cosparte, Natura emula all'arte Un seggio appresta, ove a posare il fianco Sembra che inviti il passeggiero stanco.
Dalla volta muscosa a gocce rare Ivi distilla acqua perenne e dolce, Che un picciol forma e limpido ruscello: Questo coll'onde sue tranquille e chiare, Mentre il margo smaltato alletta e molce, Sen fugge al mar per aver pace in quello; Ed ivi ali-dorato venticello Susurra lieve in grembo all'erbe e ai fiori, E i balsamici odori Ratto spandendo in quella parte e in questa Grato conforto all'egro spirto appresta. Tra 'l folto stuol di sempre verdi ulivi, Che il sito ameno d' ogn' intorno cinge, Non osa penetrar l'astro maggiore; Ma dubbia luce ivi co' rai furtivi Di modesto color gli oggetti pinge, E ne discaccia il taciturno orrore; Ed ivi al dolce e placido sopore Par che ne alletti il gorgogliar del rio, Dell' aura il mormorío, L' odor soave e i garruli augelletti, Che palesan col canto i proprj affetti.
Per dar tregua un istante al reo tormento, Di cui fatto è il mio cor bersaglio e gioco, Forse colà mi trasse amico il fato; Ed ivi giunta appena, umido e lento A me sen venne il sonno, e a poco a poco Tentò sottrarmi al mio doglioso stato: Morfeo propizio anch' esso il freno aurato Ai più celeri sogni allor disciolse, E un sogno, a cui più dolse L' affanno mio, ver me drizzò le penne, E nel mio petto a riposarsi venne. Parmi tosto l'invitta Libertate Vedermi al fianco, che ridente in volto Mi addita il calle ond' alla gloria vassi, E dice: or che d'Amor le oblique strade Detesti, o figlia, io lungi al volgo incolto Voglio al tempio d'Onor guidar tuoi passi; Indi per man mi prende, e bronchi e sassi Fa ch'io sormonti, e sovra un colle ameno A guisa di baleno Ratta mi tragge entro l'augusto tempio, In cui profano il piè mai pose l'empio.
Giunta colà mirai del Ver la figlia, Che di saldo adamante in trono assisa De' suoi fidi accogliea l'incenso e i voti; Oh! qual fulgor dalle serene ciglia Spandea la Diva! ond'io percossa in guisa Fui, che restàr miei sensi affatto immoti. Chiara memoria ai secoli remoti, Musa, per opra tua sen voli omai Di quanto allor mirai, Poichè dal primo alto stupor mi scossi, E l'avide pupille intorno io mossi. Vidi quanti finor d'invidia ad onta Fer coi detti e coll' opre al tempo guerra Lieti la fronte ornar d'eterno alloro, Indi la Fama alti-sonora e pronta Tutta de' nomi loro empier la terra Vidi, e dar fiato alla sua tromba d'oro, Poscia de' vati entro l'augusto coro Cinto di viva luce io vidi Apollo, A cui pendea dal collo Cavo bosso, di Marsia eterno scorno, E del figlio di Maja il plettro adorno.
Al destro lato avean le aonie Dive Da roseo laccio avvinta aurata cetra, E gían festose al biondo Nume appresso: Queste al Fanciullo ideo mai sempre schive Vista al mio fianco lei che Amore arretra, Tosto di pace in pegno un dolce amplesso Mi dier concordi, e Apollo, Apollo istesso Lieto m'accolse, e diemmi eburnea lira, Dicendo: or prendi, e aspira A levar coraggiosa all'etra i vanni: Questa t'insegni a trionfar degli anni. Tacque, ciò detto, e un verde ramo tolse Dall' arbor casta, che di Dafne nacque, E ne compose un' immortal corona: E pria con essa le mie chiome avvolse, Poi nel mio sen tutte diffuse l'acque Dei fonti dell'altissimo Elicona. Ma oh! quanto è breve quel gioir, che dona Ai miseri il destin! pieno contento Ahi lassa! in quel momento Credei goder; ma de'miei casi il donno Rapimmi il dolce incanto in un col sonno.
Canzone umìl, che rozza figlia sei De'bassi pensier miei, Saggia t'accheta omai, chè a te non lice Sorte sperar felice, Mentre rapisce a me l'avverso fato Il verace non sol, ma il ben sognato.
Dell' Arno placido Sul curvo lido Scendi propizia, Diva di Gnido, E le alte sfere Teco abbandonino Gioja e piacere.
Di azzurre mammole, Tesor dei prati, La via t'infiorino Gli arcieri alati, Via, che più bella Farassi ai vividi Rai di tua stella. Dolce lambiscano I venticelli L'oro finissimo De'tuoi capelli, Fidando all'Ore Quel che ne involano Soave odore: O i bruni passeri Dal freno aurato Traggan tuo lucido Cocchio gemmato, O le amorose Colombe candide Cinte di rose.
Deh! lascia il fulgido Stellato empiro, Diva benefica Del terzo giro, E d'Arno in riva Scendi all'unanime Voce festiva. La sede olimpica Pel tosco Alféo Cagion più nobile Mai non ti feo Lasciar di quella, Che a noi dall'etere Oggi ti appella. Tolta alle splendide Paterne soglie Leggiadra Vergine, Che tutto accoglie Nel mortal velo Quanto ha di amabile La terra e il cielo,
Guidan festevoli Ninfe e pastori Per vie, che ingemmano Spontanei fiori Con bella gara, Gran rito a compiere D'Imene all'ara. Ve' con qual giubilo Tuo vago figlio Sgombro dall'invida Benda il bel ciglio Lo sposo addita, E al tempio l'inclita Donzella invita! Brama la Patria Tra dolci stretta Nodi insolubili Mirar l' eletta Coppia, per cui Gli alti rivivano Prischi onor sui.
Ecco d' Urania La bella prole, Che al crine avvolgesi Mirti e víole, E ardente face Offre alla pronuba Tranquilla Pace. Dal regno etereo Genj immortali Stillanti ambrosia La chioma e l'ali Al biondo Imene Giulivi apprestano Vaghe catene. Già l'inno intonasi, Splendon le tede, Bei serti intessono Concordia e Fede, E i fausti augurj Gli arcani svelano Dei dì futuri.
Per te sol compiesi L'amabil rito: Scendi, e quest'aureo Su in cielo ordito Nodo felice Deh! stringi, o tenera Di Amor nutrice!

ANACREONTICA

Qual astro fulgido, Mia bella Arcadia, Di luce insolita Tue selve irradia? Ond' è che limpidi Fonti pimpléi Le Muse obbliano Pe'campi Alféi?
Ma 've 'l parrasio Bosco è più folto Tra lieto plauso Qual voce ascolto? " Fernando, tenera Cura de' Numi, Dall'alma candida, Da' bei costumi, Caro alle vergini Suore Camene, Gloria dell'inclita Diva d' Atene, Fernando, l'ottimo Germe d'Eroi, Gli astri benefici Donaro a noi."
Fernando, replica La valle, il monte, Il rio che mormora, La selva, il fonte, E i lievi zeffiri Tra i fior danzando, Sembra, che godano Ridir Fernando. Già sorge splendido Del Nome augusto Il sacro al merito Cedro vetusto. Liete al bel cortice Le forosette Le vaghe appendono Lor ghirlandette.
Di rose idalie Lo avvolge Amore; Di lauro il fregiano Le aonie suore, E il serto croceo, La canna agreste Vi appende il Genio Delle foreste. Oh! d'alto giubilo Cagion sublime! A cui si debbono Le glorie prime; Or ben ravvisoti, E a te devoti Tutti dell' anima Consacro i voti.
Perchè la ruvida Natía corteccia Lascian le Driadi Bionde la treccia, E danze intessono Cantando a cori, E nembi spandono Di mirto e fiori? Più dolce è l'aura, Più ameno è il prato, Più canta armonico Lo stuol piumato; E ovunque l'avide Pupille io giro Schietta sorridere La gioja ammiro.
Pastori arcadici, Voi cui fu dato Il volo indomito Del veglio alato, Cui vinti cedono E bronzi e marmi, Frenare impavidi Cogli aurei carmi; Deh! se v'arridano Propizj ognora Con Bromio e Cerere Vertunno e Flora, E il Dio Capripede Rimova intento Il lupo e il fascino Dal pingue armento;
Ergete unanimi Fernando all' etra Su' vanni delfici D'eburnea cetra.
Oppressa un dì da' miei lugubri affanni Mi assisi di un alloro all'ombra eletta Nel paterno giardin mesta e soletta, Pietà chiedendo agli astri miei tiranni. Videmi un Amorino, e pronto i vanni Al Nume feritor drizzò con fretta, Cui disse: inerme sulla molle erbetta Stassi colei, che sprezza i dolci inganni. Al fausto annuncio il faretrato Amore Librossi tosto sull'aurate penne, Troppo ansíoso di ferirmi il core. Ratto a posarsi al fianco mio sen venne Vibrando un dardo; ma con suo rossore La virtù lo deluse, e me sostenne.
Se avvien che al fido specchio il guardo io giri, Ravviso, Elpin, che non son io di quelle Fortunate leggiadre pastorelle Atte a destar i dolci tuoi martiri. Onde non ti stupir, se i tuoi sospiri, I tronchi accenti, e le due vive stelle, Che mi chieggiono amor, non fanno ancelle Mie voglie schive ai caldi tuoi desiri. Alta ragion, che per le vie d' onore Drizza i pensieri miei coll' aureo freno, Saggia così mi va dicendo al core: Chi risvegliar non può d' altrui nel seno Quel vivo incendio, che s'appella amore, La dolce libertà godasi almeno.

ANACREONTICA

Riedi all'Idalia Culta pendice, Bella nutrice Del Dio d'amor. Là teco riedane Tuo vago figlio, Dolce periglio Del nostro cor.
Il mirto e l' edera, Le porporine Rose, onde il crine Velai fin qui, Sull'ara infiorino Del Dio bendato Lo strale aurato, Che mi ferì. Non più alla semplice Canna silvestre, Che di ginestre Pan circondò, Non più le facili Armoniose Rime amorose Alternerò.
Dalla Castalia Collina aprica, Del vero amica, Polinnia appar. Già il canto ispirami: Ov' è la cetra? Io deggio all'etra Gran nome alzar. Carme spontaneo D'ingenua lode, Gentil custode D'Arcadia, a te Voli sulle agili Robuste piume, Che il biondo Nume Cirreo mi diè.
Di tua bell'anima Pinger le doti Voglio ai remoti Futuri dì. Vo' il crine avvolgerti Sul giogo ascreo De' fior, che Teo Per me nutrì. Tu sei di Temide, Tu delle belle Pimplee sorelle Speme ed amor. A te benefici Donaro i Numi Aurei costumi, Candido cor.
Quell' astro fulgido, Che Pisa irradia, Te sol d' Arcadia Prescelse al fren, Te, cui sì vivido Del patrio onore Possente ardore Divampa in sen. Cinta il crin lucido Di verde oliva Alfea giuliva Per te vedrà I bei rivivere Suoi fasti e i nomi, Cui feo già domi Vorace età.
Ed ecco emergere Sua prisca gloria, E di alta istoria Bel campo offrir. Già teco egregii Sorgon pastori, Che i secchi allori Fan rinverdir. L'almo Alidauro Teco, e il seguace Stuolo all'edace Tempo involar Tenta istancabile Di Pisa il grido, Ed ogni lido Farne echeggiar.
Compite unanimi Opra sì bella, Propizia stella Vi arride in ciel: Ne freme Invidia Di sdegno insano, Ma spande invano Cerbereo fiel. Non sol nel cortice Di queste piante; In adamante L'empia vedrà Il vanto splendere Di Alfea vetusta Sull'ara augusta Di eternità.
Vedrà di lauro Per voi l'istesso Dio di Permesso Bei serti ordir.… Fole io non medito; Ai vati è dato Gli aurei del fato Volumi aprir.
Sparsa di sangue il crin maligna stella Splendea nunzia d'affanno alla mia cuna, Che la stagion del viver mio più bella Fe'segno all'arco di crudel Fortuna. Di chi fui donna un dì mi veggio ancella, Sotto a' miei passi ogni sentier s'impruna, E l'idalio fanciul con sue quadrella Il cor mi strazia, e la ragione imbruna. Lassa! ed or chi governa i pensier miei? Chi tempra del cor mio la doglia amara? Chi mi toglie a' nemici infesti e rei? Per questo pianto, ond' io v' aspergo l'ara Mesta così, deh! mi rendete, o Dei, La libertà, che un tempo ebbi sì cara.

SONETTO

Qual d'Anchise il figliuol, benchè trafitto Gli avesse il seno il garzoncel di Gnido, Più fermarsi non può senza delitto Presso la sua diletta, amabil Dido: Vuole il destin, che con ardire invitto Renda eterno il suo nome in altro lido: O d'amor, di dover fiero conflitto! Se parte è ingrato, e se trattiensi è infido: Ma trionfa il dover, le vele spiega, E lascia nel partir (virtù crudele!) Negletto l'idol suo, che piange e prega, Tal io per conservare il cor fedele A chi gli affetti m'imprigiona e lega, Deggio con pena mia spiegar le vele.
Amor, de'pensier miei funesto oggetto, Quando sarà che dal mio cor lontano Alfin tu viva, e che tu speri invano Aver di novo in lui grato ricetto? Quando sarà, che all'imo suol negletto De' tuoi seguaci il cieco stuol profano Io lasci, e poggi con ardir sovrano Di gloria al calle dirupato e stretto? Ah crudo Amore! io replicar t' ascolto: Franger sol puote il pigro gel degli anni Que'duri lacci, ond'è il tuo core avvolto. Dunque, o Tempo, pietà! raddoppia i vanni, Fa raro e bianco il mio crin biondo e folto. E sì m'invola agli amorosi affanni.
Non le soavi armoníose note, Leggiadre figlie di gentil desío, Sull' ardue cime al cieco volgo ignote Dolce alternare al plettro d' or poss' io. Sol tenui rime d'ogni grazia vote Sul mirto ideo vergò mia giovin Clio, Cui tosto, e oh qual rossor tinge mie gote! Il Tempo con sue nere ali coprío. Ma tua mercè, se quella a me sì schiva Musa, di cui dolce pensier tu sei, Oggi m' accoglie al bel Permesso in riva; Non d'amor, come ahi lassa! un tempo io fei; D'aurea Amistà fia sol ch'io canti e scriva, E cetra e stil grata consacri a lei.

ANACREONTICA

Lascia la florida Campagna erbosa, Silvia vezzosa: Già manca il dì. Riedi al tuo semplice Natío ricetto; Dubbio ogni oggetto Color vestì.
Silenzio tacito Regge la selva, Queta ogni belva Pace trovò; E ingemma Vespero Di stelle il velo, Che fosco in cielo Notte spiegò Che tardi? l'aere Vie più si oscura, Danno o paura Ne puoi ritrar. Puoi tra le tenebre Smarrirti, e il gregge Può senza legge Disperso errar.
Se dubbia fiaccola Vagar vedrai, Qual non avrai Freddo terror Tu, che ombra reputi Sacra a Cocito L'igneo-crinito Pingue vapor? Gli Dei nol soffrano; Ma può furtivo Fauno lascivo Dal bosco uscir; E tra le cupide Sue braccia stretta Te, mia diletta Silvia, rapir.
Pe'boschi arcadici Di fere in traccia, Bianca le braccia, Bionda il bel crin Sen giva amabile Ninfa gentile Più che d'aprile Roseo mattin. Appena videla Il Nume agreste, Di non oneste Voglie avvampò; E l' alma vergine Sacra a Diana Con man profana Rapir tentò.
Ella qual timida Cerva ritrosa Tutta sdegnosa Sen fugge allor; Ma il Dio capripede Di balza in balza La segue e incalza Chiedendo amor. Invan la misera Fuggío sì presta: Invido arresta Fiume il bel piè, L'amante i celeri Passi rinforza, Che trarne a forza Desía mercè.
Che fia? già l'avida Man tocca il velo… T' è scudo il cielo, Santa onestà! Il piè si abbarbica, L'occhio si appanna, Palustre canna La ninfa è già.

ANACREONTICA

Floridalbo, al tuo bel nome, Che in Permesso alto sonò, Mirto e rose alle sue chiome Tolse Euterpe, e il crin m'ornò. Poi da verde antico alloro, Sacro a lui che regge il dì, Lucid'ebano canoro Sciolse, e in dono a me l'offrì,
Ma le fila d' or ben tese Volle tutte in pria tentar, Ed oh! quale allor s' intese Armonia dolce sonar! Lusinghiera auretta molle Men soave, men gentil Sul ridente idalio colle Bacia i fiori a mezzo april. Prendi, Erminia, a questo univa Delio i teneri sospir, Poichè invan tentò la schiva Sua donzella impietosir. Se al bel suon le rime alterni, Vinta Invidia fremerà, E il tuo nome sugli eterni Cedri inciso splenderà.
Quel gentil pastor, che al canto Dolce invito or or ti fe', Da' tuoi carmi apprenda quanto Caro ei viva a Febo e a me. Disse: e il curvo armoníoso Legno al fianco mi adattò, Ah! mi arrida Amor pietoso, E giuliva io canterò! Chiaro aver tra'vati il grido Lieto fia che renda un cor, Se il bendato arcier di Gnido Niega ad esso il suo favor? Saffo i bei concenti all'etra Spinse, e ornò di lauro il crin: Ma poteo coll'aurea cetra Far men empio il suo destin?

Cinta il crin di fior purpurei, In ammanto aureo splendente Già scorrea per girne a Cefalo La vermiglia Alba ridente L' ampie azzurre vie del ciel. Al vibrar de'rai settemplici Già sorgeano i bei colori Sugli oggetti, e in note armoniche I piumati augei canori Plauso feano al dì novel.
Quando lieve al par di tiepido Venticel dall'etra scese Genio amico, che dei placidi Vanni al fianco mio sospese Il soave remigar. Dalla ninfa a Pane indocile Nato un dì pendeagli al collo L'inegual silvestre calamo, Che già feo l'intonso Apollo Sull' Anfriso alto sonar. L' arbor casta, che sul margine Del Peneo spiegò sue frondi, Di ginestra mista ai crocei Fior novelli, a' suoi crin biondi Vago fea serto gentil. Delle Grazie opra e di Venere Avvolgea sue belle membra D' or trapunta veste serica, Presso a cui fosco rassembra Ciel tranquillo al fin d' april.
E a me volto: O tu, che il fervido Nutri in petto alto desío Di poggiar di gloria all'ardue Cime, e far del muto oblìo Il tuo nome vincitor; Le cerate canne dispari Che al mio collo appese miri, Togli, disse; in queste ascondere Dolci volle e bei sospiri Il fanciullo feritor. Lieve lieve al labbro appressale, E con moti or presti or lenti Grato suon per te ne traggano Oggi l'aure obbedíenti, Che pel ciel sen vanno a vol. Al bel suono alterna i delfici Modi sacri al biondo Imene, Che il beato sen d'Urania Lascia, e all'alma Alfea sen viene Dei Piaceri infra lo stuol.
Ecco ei giunge: ve' quai fulgidi Lacci d' or giulivo stringe: Quei la Dea, che di pacifica Fronda eletta il crin si cinge, Su nel cielo ordir già fe'. Ve' qual pura face vivida Nella destra al Nume splende! Ve' a qual coppia Giuno pronuba Del bel fuoco il core accende, E i bei nodi avvolge al piè! Di vetuste piante egregie Caro ed unico germoglio Ambo son; ma l' alta origine Non fia mai che folle orgoglio Destar sappia in nobil cor. Qual se in grembo a nube argentea Pinge il sol suo vago aspetto, Tal degli avi e dei magnanimi Genitori ad essi in petto I bei pregi espresse Amor.
Rose intatte e gigli candidi Su i lor volti april divide, De' sereni sguardi celeri Gioventù lieta sorride Nel soave scintillar. Ma tu brami il nome apprendere Degli Sposi avventurati? Odi in voci alte di giubilo Che dell'Arno i curvi lati Ne fa l'Eco risonar. Qual si schiude ai modi armonici Larga vena! omai dall'etra Scendon lieti al gran connubio Gli almi Dei: con bianca pietra Segna Amor sì fausto dì. Osa, Erminia… i più bei numeri Ad Imen sacri e all' eletta Coppia, al ciel per te s' innalzino: Disse; e rosea nuvoletta Al mio sguardo lo rapì.
Vaghi fior, qual man vi tolse Alla sacra idea collina Di rugiada mattutina Con le fronde asperse ancor? In bel gruppo chi vi accolse? Chi vi cinse al molle piede Del candor d' intatta fede Bianco laccio emulator?
Forse voi dal verde stelo Involò sul colle ameno Psiche allor che più bel freno Al suo cigno ordir bramò; O l'intonso arcier di Delo, Mentre uscía dal Gange fuora, Dalle tempie dell'Aurora Voi rapir furtivo osò? Dalla cara genitrice Per voi forse errò lontana La donzella Siciliana, Che dell' Ombre il Dio rapì; O la Diva cacciatrice Forse tacita vi colse, E il bel crine indi ne avvolse Del pastor che la ferì?
Di voi forse il sacro avello, Che di Semele racchiude L'arsa polve e l' ossa ignude, Giove amante spargerà; O di Gnido il garzoncello, Sempre intento a belle prede, L'arco d'or, con cui ne fiede, Fra voi forse asconderà? Vaghi fior, se la beltate Splenda sempre in voi vivace, Nè giammai di turbo audace Giunga l'ire a paventar; Deh! pietosi a me svelate, Da qual mano, e per qual via Voi l' umìl capanna mia Or veniste ad onorar?
Ma già scorgo Erato bionda, Che a me volge i rai lucenti E discioglie a questi accenti, Dal bel labbro il roseo fren. Di tai fior non mai feconda Si mirò la vetta idea, Nè mai sparse Citerea Freschi umori ad essi in sen. Non ravvisi i bei germogli, Che il ridente aonio colle Ricco fan, laddove estolle L'arbor casta i rami al ciel? Sol di questi avvien che spogli Il ferace intatto suolo Chi dei cigni al bianco stuolo Fia che apporti onor novel.
Presso il margine del fonte, Che zampilla in Elicona, Di tai fior gentil corona Evemonio ottenne in don; Evemonio, che del monte Franco poggia all'ardue cime, E soavi e dotte rime D' aurea cetra accoppia al suon. Che se schiude i labbri al canto, Taccion l'aure e i vaghi augelli, E sospendono i ruscelli Per udirlo il glauco piè. De' suoi carmi al dolce incanto Fin la Sorte arresta i vanni: Freme irato il re degli anni, Che fugace allor non è.
Ma non io la viva immago Del gran vate ai lumi tuoi Pinger tento; i pregi suoi Tu potrai forse ignorar, Se non v'è dall' Orse al Tago Sì deserto e ignoto lido, Che non oda altero il grido D' Evemonio risonar? Di svelarti ho sol desío, Ch'egli appena i suoi capelli Vide ornar di fior sì belli, A te volse il suo pensier; Ed ai piè del biondo Dio Ratto corse, e chiese umíle Serto ancor per te simíle, Ma nol giunse ad ottener;
Chè non degna ancor tu sei Di vantar fastosa al pari Degli ascrei cigni più rari Di tai fregi avvolto il crin. Pur soggiunse il Vate: a lei Deh! gran Dio, concedi almeno Picciol gruppo, ond' orni il seno De'bei fior del tuo giardin. E in virtù d'un tanto dono Essa allor le corde d' oro Del bell' ebano canoro Temprerà con dotta man; Alternando al dolce suono Tersi e nobili concenti, Che non mai l'ire frementi Dell' Oblío paventeran.
A' suoi voti arrise il Nume: Amistà giuliva accolse In bel gruppo i fiori, e sciolse Ratto allor dall' etra il vol; Nè sdegnò calar le piume, U' di paglia intesta e canna La paterna tua capanna Sorger vide umíl dal suol. Chiusa in bianca nuvoletta Pose il piè nel rozzo ostello, E di giunchi entro un cestello Non veduta i fior lasciò; E di poi volgendo in fretta Verso il ciel le rapid' ali Fra gli spiriti immortali Lieta a mescersi tornò.
Tra le canore vergini Vidi Erminia gentil Come nel verde april Rosa novella. Ne' lumi avea fulgor Qual fra notturno orror Lucida stella.
Avean le Grazie amabili Ornato il suo bel crin; Il lauro e il gelsomin Le fean corona: Saggio pennel talor A Flora Dea de' fior Tai fregi dona. Inni soavi e teneri, Che Apollo le insegnò, Allor ch'ella formò, Virtude accolse: Paga del suo pensier Rapida il piè leggier A gloria volse. Nè sul cammin difficile La vidi impallidir: Vince vivace ardir Perigli e pene: Il buon cultor così Di sue fatiche un dì Mercede ottiene.
Mentre la Diva garrula Per lei dispiega il vol, Di vati amico stuol Le sta d'intorno: Così vezzoso appar Le notti a diradar Il novo giorno. Ammiratrice stupida D'Erminia non sarò; Sul plettro esalterò Suoi fasti egregi: Mia cura sempre fu Vantar della virtù Gl' incliti pregi. Ma che promisi? i placidi Giorni non son per me: Ove son io non è Genio dirceo: Ov' è il piacer non so, E tutto m'involò Destino reo.
Puoi solo, o Musa, esprimere Interpetre fedel Il fato mio crudel, L'egro mio stato. Ben pinge egregio dir Qual produca martir Un astro ingrato. Le mie pupille soffrono Di Febo allo splendor, E sentono il dolor D'aspra ferita; Onde schivando vo Quant'essere mai può Caro alla vita. In questo stato misero, E degno di pietà, Mesta solinga sta L'alma dolente, E fugge con orror L'incomodo fragor D'allegra gente.
Ah se non vengo gl'incliti Tuoi pregi a contemplar; Meco non ti sdegnar, Ninfa vezzosa. T'appaghi il buon voler; L'oppresso mio pensier Di più non osa.
Al suon dell'aurea cetera, Che Amor di rose ornò, E al fianco ti adattò La cipria Dea, I bei canori numeri Dolce alternar per me Dunque non spiacque a te, Dotta Isidea?
D'invidia ad onta, splendido In sen di eternità Sculto per te si sta Dunque il mio nome? E il bel serto apollineo Fregio a divin cantor Veggio, sol tuo favor, Velar mie chiome? Cotanto onor d'insolita Gioja mi colma il sen, Nè so svelarla appien, Donna immortale. I detti al labbro mancano, E l'egro mio pensier Non sente al buon voler Sua forza eguale.
Ma se d'un'alma ingenua Non t'è discaro il don, Tutti sacri a te son Del cor gli affetti; Nè ti sdegnar, se tacite Le Muse mie si stan, Io di te degni invan Tento inni eletti. Tu, de' cui modi armonici L' auretta è men gentil, Che sul mattin d'april Scherza tra i fiori, Snoda i soavi cantici, Per cui dell'etra al suol Drizzano a gara il vol Grazie ed Amori.
Ah! se qualor le flebili Rime ti piacque ordir, E i mali tuoi ridir Dogliosa e mesta, Aspro rendesti il gemito, Onde al cader del dì Molle usignuolo empì L'erma foresta; Che fia, se l'ire cedano Del tuo destin crudel, Se a te sereno il ciel Sue luci volga, E di ligustri e mammole Inghirlandata il crin Lieto carme divin Giuliva sciolga?
Deh! mova omai dall'etere Verace almo piacer, E scuota pel sentier Flagel di rose, Da cui percosse fuggano Lungi dal tuo bel cor Le nate di dolor Cure affannose. E udrassi allor d'Arcadia Ogni eco risonar, Vago di replicar Gli aurei concenti. Tanto dagli astri impetrami, E tuo, silvestre Pan, Fia Tigri il mio bel can Fido agli armenti.

SONETTO

Dunque fian tolte sue ragioni a morte? L' inesorabil del tragitto estremo Custode esclama, e via scagliato il remo, Al crin fa oltraggio ed alle guance smorte. L'alme a ritorre alle tartaree porte, E a far l'ufficio mio di gloria scemo Ecco al dotto di Coo Nume supremo La Dea di gioventù stretta in consorte. Da tal connubio intente al nostro danno Quanta e qual sorgerà prole animosa, Per cui le Parche immote ognor staranno! Tanto, in mirar la coppia avventurosa, Dello sposo il saper produsse inganno, E il gentil volto della bella sposa.
Sulla ridente collinetta idea Serto gentil di verginelle rose, Premio alle dolci tue rime amorose, Di Gnido il vago fanciullin tessea: Quando al bel figlio l'acidalia Dea: Non sai, che il piè fuor del tuo regno ei pose? Per vie Minerva il trasse al volgo ascose, E al tempio augusto il fe' poggiar d'Astrea. Tuoi doni a vile omai s'avría costui; Sul Tosco Alfeo ve' che immortali allori Di Temi il Genio avvolge al crin di lui: Disse: ed Amor ne' tuoi novelli onori Tutti appien ravvisando i torti sui, Laceri al suol gittò cruccioso i fiori.
Almo cultor de' fertili Colli di Cipro e Delo, Uso i più bei dividere Fior dal materno stelo, E vaghi serti intesserne, Cui Grazie e Muse a gara D' Amor, d' Apollo apprestano Al simulacro, all'ara;
Come esser può, che gli umili Fior di mia man nudriti Nell'ime valli arcadiche Giungano a te graditi? Dal grembo lor balsamico Soave odor non spira, Cui lascivetto zeffiro Ad involar si aggira. Non di freschezza o vivido Color fan pompa altera; Ma son qual rosa squallidi Che langue in sulla sera. Pur, se tra quei che avvolgono L'ebano tuo canoro Bei germogli odoriferi Misti all'eterno alloro,
Questi di merto poveri Fior d'intrecciar ti piace, Ond'essi il tempo vincano Distruggitor fugace; Ecco il silvestre lasciano Suol, u' gemeano ascosi, E lievi a te sen corrono Del nuovo onor fastosi. Benchè negletti e semplici Deh! non averli a vile; Chè ai numi stessi uguagliasi Cortese alma gentile. Ambrosia a Giove e nettare Ebe su in ciel dispensa; Pur ei non sdegna scendere Con Filemone a mensa.
Sovente, e sempre invan, chiesi agli Dei Dolce conforto ai miei cocenti affanni: Omai son stanca di pregarli, e i voti Dell' afflitto mio cor volgo a te sola, Fata gentil, che sì pietosa altrui L'alta virtù de'tuoi possenti incanti Usasti un giorno a pro dell' infelice Ateníese innamorata Donna.
O te selvetta di bei mirti asconda A mortal guardo, or che di Cintia il lume Dubbio color dona agli oggetti, o sparsa Di vaghi fiori tenerella erbetta Prema danzando il tuo bel piè, m'ascolta. Tu sai qual erba, o qual silvestre pianta Virtude in seno asconda a quella uguale Dei fiori in piaggia occidental cresciuti, E sai qual succo in mio favor fia d' uopo; Rinnova dunque i bei vetusti esempli Di tua pietade, e il mio dolor consola. Io già non chiedo di soave amore Tenero cambio, o di Ciprigna i vezzi, Per cui l'idalio Nume al cocchio avvinti Per me si tragga i miserelli amanti. Vadan pur lunge sì funesti doni Da questo cor, che sol tranquilla pace Già da lunga stagion sospira e chiede;

Ma invan la chiede, chè sensibil troppo All'altrui gioja ed all'affanno altrui Ognor lieve si volge; appunto come L' ago verace suol, che il polo addita, Cui mentre ignota vincitrice forza Volve a suo grado, alto tremore imprime. Tutte dell' alma mia trascorre il duolo Con franco piè le occulte vie, sorpassa Lo spasimo talor, nè meta intende; Ma frangere il piacer non può l'angusto Confin, che austero a lui prefisse il fato; E s'unqua avvien, ch' ei più si affini e il franga, Tormento più crudel che il duol mi apporta. Ah per pietà! Fata gentil, mi rendi Sensibil meno, e al mio lacero core Di balsamo vital soccorso appresta. L'Indifferenza, imperturbabil sempre, Teco all' ostello mio guidar ti piaccia,

E all' appressar di sì possente Diva Vedrai le ardenti irrequíete brame Vinte fuggirsi, e col timor la speme, E il disappunto, che in ambascia volge L' attesa gioja, abbandonare il campo; Vedrai dell'alma le ferite antiche Rimarginarsi, ed i sereni giorni Succeder lieti alle tranquille notti. Allor più non farà di pianto gravi Rosseggiar gli occhi pietà crudele, E il cor, che s'ange alle sciagure altrui, Fia tocco allor de'proprj mali appena. Questo sol da te chieggio, ah! questo solo, Fata cortese, a' voti miei concedi. Così felicità sempre indivisa Sia dal tuo fianco: di nettareo succo Tolto a'più dolci fior, cui l' alba asperga Di rugiadoso umor, l'aureo tuo nappo

Sempre sia colmo, e desti invidia a quello Che alla mensa de'Numi a Giove appresta Il bel frigio Garzon rapito in Ida; E vago stuol di lucciolette erranti Colle scintille dell' estinto giorno Per calle ameno all' orme tue leggiadre Novello additi dilettoso asilo A vestigio mortal mai sempre ignoto.
Diva benefica Figlia di Giove, Perchè sì celere Ten fuggi altrove? Deh! se a te giungono Prieghi mortali, Le rapidissime Tue fulgid' ali
Frenar non spiacciati Un sol momento: Odi l' origine Del mio lamento. Sparso è d'un livido Mortal pallore Il volto amabile Del mio pastore. I bruni e teneri Occhi vivaci, Che ognor splendevano Quai chiare faci, Or mesti e languidi Stan fissi al suolo, Perfette immagini Di lutto e duolo.
Già fatto è squallido Il bel cinabro, Che un dì sì vivido Rendeagli il labro. Non più si mirano Scherzargli in viso Le molli grazie, La gioja e il riso. Sol ferme restano In bruna spoglia Sparse di lacrime Mestizia e doglia. Or perchè instabile Al rozzo albergo Del pastor misero Volgesti il tergo?
Ei tutto merita Il tuo favore, Che l' alma ha candida, Che bello ha il core; Che mai di Pallade Con mano avara Le sacre vittime Furò dall' ara. Nè al ciel fe' ingiuria Con detti insani, Nè mai di Cerere Svelò gli arcani. Deh! l' ali rapide Frena un momento, Diva benefica, Al mio lamento:
E vinto piacciati L'aspro martiro Al fianco riedere Del mio Dalmiro.