ORAZIONE
INAUGURALE
DETTA
NELLA UNIVERSITÀ DI BOLOGNA


IL DI II. GENNAJO MDCCCVI.

DA
CLOTILDE TAMBRONI

PROFESSORA DI LINGUA E LETTERATURA GRECA



BOLOGNA

TIPOGRAFIA DI ULISSE RAMPONI
A. S. DAMIANO.

Se già l' Egizia Alessandria vantossi a ragione un tempo per aver sortito ad autore di sua prima origine il sempre invitto Macedone; e se le ceneri stesse di lui trasportate con indicibil pompa da Babilonia entro sue mura, la rendettero ancora più rinomata, ed augusta; è senza paragone molto più grande la fama, ch' essa acquistossi ai secoli posteriori per le sue celebratissime Scuole.Celebrattissime Scuole. La Scuola Allessandrina fu fondata da Tolomeo Filadelfo tre secoli prima dell' era cristiana, e sussistette quasi dieci secoli. Quantunque tutte le scienze, e le belle lettere fiorissero con grande splendore nella medesima, il vero teatro della sua gloria scientifica fu l' astronomia; e in quanto alle belle lettere, bastano i nomi dei Callimachi, dei Teocriti, dei nuovi Apollonj, e di tanti altri, per renderla immortale.

Ma; o maraviglia!, e gloria, non saprei dire, se più grande di quel suolo, che ne fù testimonio, o del mio sesso, che seppe innalzarsi a precettore de' più accreditati maestri dell' antichità.

Sù quelle cattedre stesse, ove gli Aristarchi, gli Appolonj, i Diofanti, gli Euclidi, gli Eratosteni, gli Arati, gli Eroni, gl' Ipparchi, i Tolomei, e i tanti altri celebri e matematici, e fisici, e filosofi ammaestravano l' universoGli Aristarchi. In grazia di coloro, i quali non si sono dedicati alle scienze, che fiorirono principalmente nella Scuola Alessandrina, ho stimato opportuno di accennare qualche notizia sopra alcuni uomini più famosi della stessa. E non essendo neppur io versata in quelle scienze, ho preso particolarmente per guida, in quel poco che ne dico, il celebre Bailly nella sua storia dell' astronomìa. Aristarco di Samo è il primo astronomo, che si presenta gloriosamente 264 anni circa, prima dell' era nostra. Egli si occupò nei lavori più importanti dell' astronomia, e fece la migliore scelta ne' sistemi antichi. Adottando l' ipotesi del movimento della terra, urtò l' opinione consacrata dai secoli, e dalla moltitudine; e fu, al dire di Bailly, accusato d' empio, come fu il Galileo, per avere turbato il riposo di Vesta, e dei Numi Lari protettori dell' Universo. Apollonio di Perge fu celebre geometra, di cui ci rimane un eccellente trattato delle sezioni coniche. Egli tentò il primo di spiegare le cause delle stazioni, e retrogradazioni dei pianeti. Potrebbe dirsi il Leibnizio, o il Bernoulli degli antichi, come Archimede il Newton dei medesimi. Dofante passa per l' inventore dell' algebra, e ci rimangono di lui molti libri d' astronomia assai stimati. Euclide è autore di molte opere matematiche; ma nessuna l' ha renduto più celebre, che i suoi elementi di geometria. Arato nativo di Soli. I suoi fenomeni sono stati tradotti da Cicerone. Egli abbellì con le grazie poetiche quanto si sapeva al suo tempo dell' astronomia. Erone, fu rinomato matematico. Ci restano alcune opere sue intorno all' arte militare, ed alle macchine di guerra. Eratostene, dotto critico, e filologo, detto l' enciclopedico. Fu discepolo d' Aristone, e di Callimaco, e bibliotecario in Alessandria sotto di Tolomeo Evergete. L' impresa di misurare la terra, dice il citato Bailly, rendè immortale questo Astronomo. E ciò, ch' è più straordinario, è che la distanza del Sole alla Terra, ch' egli fissò, è precisamente eguale a quella, che è stata determinata da Cassini, e da La-Caille. Egli fu l' inventore delle armille; strumento col quale imprese di misurare l' obbliquità dell' ecclittica; osservazione autentica, e preziosa. Archimede. Il solo suo nome basta per farne l' elogio. E chi non concosce questo grand' uiomo? Iparco. Secondo il citato autore è il patriarca dell' astronomia. Iparco, dice egli, venne come Cartesio, per sottomettere ad un rigoroso esame tutte le idee fino allora ricevute. Le determinazioni dei Caldei, che trovò stabilite, furono per lui ciò che il filosofo francese trattò gli scolastici. Se io volessi solamente accennare gli stupendi lavori, e le scoperte di lui, che Bailly describe in tutto il suo terzo libro, oltrepasserei enormemente i limiti, che mi ho prescritti. Basti il dire, ch' egli s' accorse il primo delle disuguaglianze del Sole, che no distese le tavole, che fu l' inventore dell' equazione del tempo, della paralasse, delle misure, delle distanze, che intraprese ed eseguì la vera descrizione del Cielo, e che fondò la geografica, e la trigonometria. Tolomeo fu l' ultimo uomo illustre della Scuola Alessandrina. Egli riunì tutte le osservazioni anteriori; particolarmente quelle d' Iparco, e di Possidonio. Il suo Almagesto è la sorgente, come dice il tante volte citato storico, ove i secoli nostri attinsero, per quindi innalzarsi sopra tutti gli antichi; ed è simile a quei porti di commercio, che ricevono le produzioni d' una parte del mondo, per trasmetterle all' altra. Questo libro contiene i metodi, o il germe dei metodi, che si praticano ancora a' dì nostri.; sù quelle stesse, io dico, aascende intrepida una donna, egualmente grande per la sua modestia, e pel suo sapere; e circondata da foltissima corona d' illustri uomini, che per istruirsi, si rendono suoi discepoli, merita per comune consenso non solo il titolo di filosofa, ma di maestra superiore a tutti i filosofi del suo secolo.

E chi non riconosce a questi singolari pregi l' Alessandrina Ipazia?Ipazia figlia del filosofo Teone, matematico celebre, cui pure sorpassò in dottrina. Nacuq in Alessandria sul fiorire del quinto secolo. Fu dottissima nella filosofia, geometria, astronomia, ed altre matematiche; e fu tenuta per la più sapiente persona del suo tempo. Fu maestra nella scuola Alessandrina, ed ebbe rinomati discepoli, fra i quali il celebre Vescovo Sinesio, che la chiamava sua madre, sua sorella, e sua maestra e benefattrice, sottoponendo le sue opere al di lei giudizio. Compose molti trattati di matematica, che si sono perduti. Fra le altre macchine fisiche fu inventato da Ipazia l' aerometro per conoscere il peso specifico di verk fluidi. Volle anche andare in Atene, per vieppiù perfezionarsi in ogni genere di letteratura.. Tu sapesti, o gran donna, ed in filosofia, ed in matematiche, ed in astronomia, e quanto sapevasi allora, e più di quello, a cui potevano aspirare i dotti in quei tempi; e, se fossi venuta ai nostri, che arricchiti già dalle cognizioni, che tu ci lasciasti, sono divenuti tanto superiori agli antichi, quanto il fosti tu stessa a' tuoi contemporanei, saresti annumerata fra i Corifei più insigni delle nostre Scuole. Tu, o donna illustre, tu occuperesti oggi questo seggio con quello splendore di gloria, che dovunque intorno ti scintillava; tu lo rifletteresti sù questa Città, che ti avrebbe ad accrescimento di sua fama acquistata; ed empiresti a colmo l' aspettazione di questa sceltissima radunanza.

Ma io, scarsissima di talenti, priva di scientifiche cognizioni, timida per l' esperienza delle mie deboli forze, senza esercizio di eloquenza, e fornita solo di quei tenui capitali, che a stento ho potuto raccogliere dalle miniere inesauste della dociziosissima Grecia, come ardirei di salire senza taccia di temerità sù questo luogo eminente, ove sbigottivano di mostrarsi quei tanti uomini dottissimi, che sopra tutte le regioni d' Europa fecero illustre la nostra Italia, se un autorevole, ed onorevolissimo invito, ritrosa pure, non mi ci traesse; e se la favorevole prevenzione, che sul sesso mio diffondesi, e dal nome tuo, o celebre donna, che ho ricordata, e delle tante altre, che in questo medesimo aringo fra di voi pure hanno colte delle onorevoli palme, non mi rendesse animosa; osservando già fin d' ora nella benignità del vostro sguardo quella indulgenza, che soliti siete a compartire sù quelli, i quali più che nel merito della ffaticate lor produzioni, si affidano sicuri sul vostro cortese ed umanismo compatimento.

Nell' applauditissimo impegno, col quale i nistri illuminati Legislatori mostrano di voler fare il Università del Regno Italico, il centro delle Scienze sublimi, e della bellezza, e forza della Eloquenza, io ho creduto di non poter scegliere un argomento più adeguato di quello, che imprendo a trattare, ragionandovi sul vincolo indissolubile, che annoda fra di loro tutti questi oggetti della pubblica nostra istruzione.

Non è già mio intento di sviluppare l' intima concatenazione delle scienze con le belle lettere; nè di mettervi sotto gli occhj l' albero, dirò così, genealogico di questa vasta famiglia. Tenue, qual io mi sono, non tento impresa sì ardita. È peso di altri omeri, che de' miei. Già il sublime discorso, che precede la gran Collezione Enciclopedica, ossia il circolo delle umane cognizioni, toglie a chiunque la lusinga di poter andarvi più oltreÈ noto a tutti, che d' Alembert è l' autore del celebrato discorso, posto alla fronte dell' enciclopedia..

È bensì vero, che il profondo Autore, come gran conoscitore ch' egli era delle scienze, partitamente ne sviscerò tutte le loro relazioni; ma della connessione di esse con le belle lettere, se no spedì in soli due tratti. Questi però sono sì franchi, e maestrevoli, che, sebbene non ci dipingano quanto si amerebbe di conoscere, ci segnano le vestigie, che dobbiamo calcare per non ismarrirne il sentiero.

Egli dimostrò le cause di questa mutua dipendenza delle Scienze, e delle belle Lettere; io ne voglio dimostrare gli effetti. Egli insegnò che le une debbono trarsi dietro le altre; io tenterò di provare, che le une di fatto non sono state mai scompagnate dalle altre. „ I Secoli più luminosi per le Scienze, sono stati i Secoli più luminosi per le belle Lettere. „ Questo è il mio argomento.

Non credo però di dover essere incolpata di vagare oltre i confini, che mi ho prescritti, se a maggiore schiarimento del mio Soggetto, io dò prima una qualche più ampia estensione al principio accennato dal già encomiato Scrittore.

Gli uomini non cercano solamente di comunicare agli altri le loro idee, e le loro passioni. Concentrati essi nell' indomito ardore di rendersi ai medesimi superiori, e di soggiogarli, per così dire, col dispotico impero della gloria, nulla intentato lasciano per acquistarlo. Le loro azioni sono da eroi; i loro scritti sono maravigliosi; la gloria li segue, come l' ombra i corpi: ma il tempo, che gli ha veduto nascere, ed innalzarsi, è quello stesso, che col suo dente invido li distrugge. Essi invitano lo scalpello per eternarli nelle iscrizioni e nelle statue; ma il tempo, sempre in arme contro gli stessi, ne fà loro la guerra, e nè meno ne lascia sopra la terra le tracce.

Divina incantatrice poesia, e tu robusta eloquenza, voi sole siete collocate sì alte, che il tempo distruggitore non ha potuto minare mai le fondamenta delle vostre fabbriche; ed i suoi dardi invano si scoccheranno ad un segno, che è posto ben più lontano da suoi confini.

Guerrieri, quanti mai siete stati famosi al mondo; Legislatori, e Politici, che avete tratto dal nulla della ignoranza le non incivilite nazioni; e voi sopra tutti, genj sublimi, che avete volato coll' ali del vostro ingegno sopra i limiti delle cognizioni dell' uomo; e dove sono i mausolei grandiosi, che vi onoravano; le cittadi da voi con tanta beneficenza instrutte; i monumenti insigni da voi eretti alla maestà delle scienze? Il fuoco, e le tignuole hanno divorato in gran parte i vostri dotti volumi; di molti eroi, anche celebratissimi, non v' 7egrave; appena memoria; e tante, e sì luminose fatiche in ambe queste carriere, restano sepolte in una lunga notte, perchè no hanno avuta musa, che le cantasse, perchè non hanno vate sacro, che le rammemori.

Qual meraviglia dunque, se gli uomini grandi, in qualunque genere siasi, i quali amano l' immortalità de' loro nomi, confessino apertamente l' estremo bisogno, che hanno di accarezzarli, di rendersegli amici, e di stringere ognor più que' vincoli, che anche per loro indole li tiene già sì strettamente congiunti.

Ricordiamo a maggiore dimostrazione un solo eroe di Marte; giacchè in questi, più che in quelli di Minerva, si rende al nostro sguardo sensibile, quantunque non sia più gagliardo che ne' letterati, questo indomabile amore della gloria.

Sottomette a' suoi piedi il figlio di Filippo l' intero Oriente; quindi la sua gloria sale più alta delle nostre sfere; tutte le nazioni ammutolite al miracolo della sua potenza gl' innalzano monumenti; la sua immagine, come immagine d' un Dio, è scolpita sù tutte le gemme, e portata anche dalla superba Roma, come un amuleto contro ogni sorta di mali; e non pago egli di essere adorato qual nume, ebbro della sua gloria, non solo si crede tale, ma giunge fino a persuadersi di poter comunicare ancora a' suoi amici la propria divinità. Vedete però questo insaziabile amatore della gloria; osservatelo nella Frigia in mezzo alle sue vastissime imprese. Egli giunge alla tomba d' Achille; egli si scuote alla vista di quei marmi già mezzo corrosi dal tempo; egli trema; egli instupidisce; e ciò ch' è segno della più profonda impressione in un guerriero, egli piange amaramente sù quelle ceneri. E che? invidia egli forse le azioni del defonto Eroe? No: le sue sono incomparabilmente più luminose. Teme che un guerriero più fortunato di Ettore possa superlarlo, e rapirgli nel campo di Marte i suoi allori? No: il suo petto non conosce il timore, e la sua immaginazione non sà dipingergli un rivale, che glieli contrasti. Egli piange, perchè non avrà un Omero, che lo celebri, come l' ebbe il figlio di Peleo. Quindi egli si prende quel poeta a maestro delle sue imprese guerriere; quindi ne accarezza i suoi volumi, trascrivendoli di sua propria mano, ed incassandoli in preziosissimi scrigni; quindi li porta seco ne' suoi viaggi, li vuole compagni nelle veglie, s' addormenta su di essi nel sonno; come se con questi atti di rispetto, d' amore, di venerazione (mi si conceda questa spezie d' entusiasmo poetico, che m' ispira il trasporto di quell' eroe) come se con tali atti, io dico, volesse egli rendersi amica l' ombra del gran Cantore; onde, ove pur non potesse esser celebrato da lui, valesse a risvegliare qualche emulatore almeno della sua tromba, che facesse eccheggiare per tutto il mondo eternamente il suo nome.

SOno forse gli uomini dotti meno avidi della gloria che Alessandro? O sono meno invidi nobilmente degli altrui letterarj allori? Essi pel loro genio si sentono con forza spinti a rendersi superiori a tutti i rivali; ma sanno pure, che le loro frondi si seccheranno, se rendendosi amiche le muse, non otterranno, che un rigagno almento d' Ippocrene scorra intorno ad esse per mantenere vivido il lor verdore.

E a chi non è cognito il commercio sì ambito negli antichi tempi fra i scienziati, ed i poeti? di quelli, per eccitare l' estro de' figli di Apollo a prestar loro un tributo di laude; e di questi, per avere negli uomini di gran merito un degno oggetto de' loro numerosi concenti.

Taluni si vergognavano di rendere palese questo desiderio d' encomj, forse perchè se ne conoscevano poco meritevoli; ma tanti altri non arrossivano di cercare pure con questi onorevoli mezzi la perpetuità quella gloria, che insaziabilmente ambivano co' propri scritti. E perchè dovevano vergognarsene? Da che abbiamo cessato di fare opere laudevoli, dicenva Plinio, ci facciamo un' onta di procurarci gli encomj.

Ma quando anche non vi fosse questo innato amore della gloria, l' indole stessa delle scienze, e delle belle lettere non le renderebbe entrambe in amichevole vincolo ristrettissime? Le scienze, è vero, sopravanzano maestose nella sublime loro natura a quanto fuori di esse v' ha di più bello, e grazioso; esse quali Sovrane sul Trono, dettano delle leggi, e signoreggiano l' universo; ma sotto un ignobile, ed abbietto ammanto, e prive degli arredi dignitosi, che loro pur si convengono, forse non sarebbero raffigurate, e forse ancora vi resterebbero oltraggiosamente neglette. La maesà delle scienze impone, e forse vi atterrisce colla sua severità: la dolce forza dell' eloquenza vi attrae, e v' incanta colle sue grazie. La scienza vi parla alla mente; l' eloquenza ragiona col vostro cuore. Quella vi presenta il vero; questa ve lo dipinge amabile. A quella voi vi accostate per sentieri aspri, e scoscesi, che vi affaticano; questa ve li rende meno disgustosi, spargendovi intorno degli odorati fiori, che vi ricreano.

E non sei tu, elegantissimo Bailly, che col tuo seducente stile, ci conduci per mano, qual per un campo lietissimo, senza stento, nelle intricate ricerche storiche della difficile astronomia?

E chi mai fuor di te, eloquentissimo Plinio Francese, potrebbe allettarci, come all' aspetto d' una ridente bellezza, a trattare con diletto i disgustosi scheletri degli spolpati animali, e ad entrare coraggiosi per le oscure, ed agghiacciate caverne de' monti, per disotterrare i metalli, che vorrebbero sottrarsi alla nostra curiosità? La Filosofia della natura, ed i principj nascenti delle cose sono pure stati a noi trasmessi col vezzo attraente de' Lucreziani concenti; e sarebbero forse periti senza di essi ne' volumi dotti d' Empedocle, benchè apprezzatissimi dela genio sublime dello Stagiria. E non è il profondo Leibnizio, che le più astruse, e secche dottrine chimiche, immerso egli pure fra la severità de' suoi calcoli, ce le rende tanto piacevoli nel suo sì lodato poema? E non è il nostro immortale Zanotti, che trattenendoci in dialoghi amenissimi, ci fa camminare fra le spine delle algebraiche radici, come per un giardino vaghissimo d' olezzanti virgulti? Ma non è tempo ancora d' allegare pel nostro assunto le testimonianze di queste a noi sì care anime, che fanno insieme la nostra gloria pel loro sapere, ed eccitano il più amaro dolore colla memoria della loro perdita.

Sviluppati in quel miglior nodo, che è stato concesso alla tenuit&agraev; del mio ingegno, i legami, che debbono tenere unite le scienze, e le belle lettere, vediamo se di fatto esse siensi tenute tra loro ne' secoli più luminosi costantemente congiunte.

No, ornatissimi, e dotti ascoltatori; no, non è stata mai, nè mai poteva essere scompagnata ne' secoli, che ci hanno preceduti, la magnificenza delle scienze dalla venust&agraev; natìa delle belle lettere.

A te, prima di tutte le nazioni, ed a te sopra tutte le altre, io mi volgo con piena fiducia, o mia coltissima Grecia. Alzisi pure una volta, non gi&agraev; quell' odioso velo, che a guisa di densa nube dall' invido tempo distesa, ha sparso d' obblio i tanti pomposi monumenti dell' umana ambizione, ma quella augusta cortina, che a gloria delle lettere toglie dagli occhi de' neghittosi profani le immagini di quei grandi Eroi, che le hanno in sì numerosa schiera illustrate.

E quai secoli più luminosi vi furono mai per quelle regioni felici, che i secoli de' Pericli, e degli Alessandri? E quando i più amichevole con que' genj sublimi, a cui schiusero i Numi l' adito delle filosofiche scienze, e de' recessi fino allora impenetrabili della natura?

Gettate un guardo, gettatelo sì, su quella famosa Atene, madre e nutrice delle scienze, e sorgente limpidissima di tutto il bello, che anche a' nostri secoli più fastosi, fa il diletto di quanti hanno avuto in dono dal Cielo il buon gusto. Mirate quel Pericle, fulmine a un tempo stesso e della guerra e dell' eloquenza, accompagnato, e seguito per ogni dove da quanto ebbe mai la Grecia di più grande, e sublime, e di più grazioso, ed insinuante. Per quei Licei stessi, per quei spaziosi portici alzati pure da lui a gloria delle belle arti, voi vedrete un Socrate, dottore della più pura morale a quei tempi, e maestrevolmente filosofando, e poetando dolcemente, trarsi dietro col suo diletto Platone la più scelta corona d' Ateniesi giovani nati a grandi speranze nelle scienze; e dopo averli dissetati alle fonti del suo divino sapere, condurli seco alla scuola della eloquentissima Aspasia, onde apprendessero l' arte di ornare quanto avevano prima dalla suo dottrina acquistatoAspasia. Fu moglie di Pericle; e famosissima pel suo spirito, e per la sua politica. Non è da maravigliare, che Socrate conducesse i suoi discepoli ad imparare da essa l' eloquenza, quando egli medesimo, al dire d' Ateneo, e di tanti altri scrittori, l' aveva avuta a maestra: Aspasia sapiens fœmina, et Socratis in eloquentiæ studiis magistra.. Voi vedrete un Anassagora maestro di Pericle stesso, un Anassimandro, un Leucippo, un Democtiro, un Eracleote, un Senofane, un Eraclito, un Antemone, e tanti altri, non già autori sterili di metafisiche sette filosofiche, ma dottissimi nelle scienze della natura, e che pensando profondamente su di essa, e osservandola anche con gli strumenti, da loro stessi inventati, hanno gettati i semi di quella gran rivoluzione letteraria, che dopo i nostri secoli barbari esperimentarono con tanta gloria le nazioni coltissime dell' EuropaAnassagora: uno de' filosofi più celebri dell' antichità. Pericle debbe lo splendore della sua eloquenza alle cognizioni folosofiche di questo grand' uomo, il quale fornillo di quel sapere, che al dire di Orazio, è il principio e la fonte d' ogni robusto scribere. Nessuno de' suoi contemporanei penetrò più a dentro nella fisica. Si sà quanto giustamente egli pensasse sopra gli ecclissi; e predicendoli esattissimamente, levò il superstizioso terrore dagli animi degli Ateniesi. In quanto alla Luna egli era d' opinione, che potesse essere abitata come la terra. Anassimandro fu discepolo di Talete, ed il primo, che inventò la sfera, e che, secondo Strabone, distese carte geografiche. Inventò gli orologj, come asserisce Laerzio. Fu pure il primo, che scoprì l' obbliuquità dell' ecclittica; benchè poi Eratostene ne assegnasse la misura. Leucippo inventò il famoso sistema degli atomi, seguitato poi da Democrito, e da Epicuro. Suo ritrovato è ancora l' ipotesi dei vortici, perfezionato poi da Cartesio. Si trova ancora stabilito nelle suo opere il gran principio di meccanica, che Cartesio adopera con tutta energia; cioè, che i corpi, che girano, si allontanano dal centro quanto mai possono. Democrito viaggiò per tutto il mondo per trattare cogli uomini più dotti. Dopo avere speso più di cento talenti ne' suoi viaggi, si ritirò in Abdera sua patria, e si rinchiuse in un giardino botanico, ove faceva le sue osservazioni, e l' esperienze fisiche. Quando pubblicò il suo diacosmo, ch' è la più celebrata delle sue opere, ebbe dagli Abderiti 500 talentil; e gli furono innalzate delle statue. È noto quanto egli ridesse della vita degli uomini, come di una continuata pazzia. Credendolo per ciò pazzo i suoi concittadini, chiamarono Ipocrate perchè lo guarisse. Questi, dopo averlo trattato, assicurò, ch' egli era più sano di coloro, he desideravanno medicarlo. Fu particolarmente celebrato dai posteri, per avere già preveduto fin dal suo tempo, che la vita lattea non era, che un ammasso di piccolie, e lontanissime stelle. Scrisse pure su la calamita, sul fuoco, ed altri punti di fisica, meglio di tutti gli antichi. Eraclito piangeva di ciò, che rideva Democrito; quindi fu detto il piangolone. Del resto egli compose molti trattati di fisica; ma quello della natura gli fece il più gran nome. Quegli trà gli antichi, che più sapevano di fisica, ne ebbero sempre somma stima. Socrate pure ne fece gran conto; ma lo trovava oscuro. Eracleote, ciò che più lo distinse furono i suoi trattati di filosofia, ed alcuni pezzi di poesia tanto belli, che furono creduti di Sofocle. Senofane compose molti poemi lodatissimi sopra materie fisiche, ed altri argomenti eruditi. Credesi, che il suo sistema sulla Divinità fosse poco differente da quello di Spinosa. Pensava anch' egli, come Anassagora, che la Luna fosse abitata. Fu bandito come empio dalla suo patria. Antemone inventò l' ariete, la testudine, ed altre macchine militari.. E di quali età sono, ed in qual terreno pur nacquero quei grandi uomini, i di cui nomi non s' ignorano nè pure da coloro, che hanno solamente una leggera tinta di scientifica erudizione? Gli Aristotili, i Teofrasti, gl' Ippocrati, i Teopompi, gle Erodoti, i Seonofonti, i Tuccididi, i Demosteni, ed infiniti altri a loro simili, tutti sono eroi di quei secoli, tutti sono a un tempo e maestri nella politica, e nelle matematiche, e nella storia, e nella fisica; e maestri insieme nell' arte della poseia, o ricercatori delle lodi de' poeti, o poeti anch' essi. E potevano lasciar di esserlo alla vista dello splenore, di cui vedevano rivestiti i seguaci del Dio della poesìa?

Superbissimi erano i teatri eretti da' più eccellenti artefici, cui volle adoperare per l' ampia loro struttura quello stesso Pericle, protettore non meno generoso degli uomini scienziati, che de' professori più distinti delle belle arti; ma o quanto sarebbero stati essi muti, e disadorni agli occhi di quei dilicatissimi spettatori, se non si fossero presentati sulle loro scene un Eschile, un Sofocle, un Euripide, che ne avessero fatte rimbombare le volte; e so non vi fossero stati un Aristofane, un Menandro, e tanti altri famosi comici, che nel riposo dell' armi facevano le delizie de' più celebri guerrieri, e degli uomini più dotti, che aveva veduti uniti la Grecia!

Coprasi d' un eterno velo quell' abuso, che se ne fece; (e di qual cosa, e più rispettabile, e più sacrosanta non si è mai sempre fatto?) dell' abuso, io dico, di quelle poderose armi, che a scorno della poesia valsero ad opprimere la probità del più mansueto de' filosofi. Egli nondimeno non lasciò mai di sedere in quegli scanni, dove si scagliavano contro di lui gli avvelenati dardi di Aristofane, sì per mostrare quanto fosse superiore all' invida rabbia de' suoi detrattori, come per ammirare la bellezza della dottrina del suo amico Euripide ascosa sotto il velame, non già di versi strani, ma di armoniosissima, ed incantatrice poesia. Egli pure innamorato di essa, come ho accennato, anche fra le agonie della tranguggiata cicuta, qual moribondo cigno, le diede negli estremi momenti il tributo del suo amore in un semplice, e dolcissimo componimento.

Ma riposi omai la nostra vista affaticata dal contemplare questi oggetti, i quali benchè splendano di tanta luce, hanno però d' uopo per la gran distanza di essere sesaminati con troppa accurata attenzione; e rivolgiamo gli occhi ai paesi, che no circondano, ed a quell' epoche, che essendo meno antiche, sono più facili da computarsi. Faciamo il giro della nostra coltissima Europa dopo il risorgimento delle scienze; e vedremo dovunque, che ne' tempi, ne' quali hanno più grandeggiato le medesime, sonosi vedute sempre in sommo pregio le belle lettere.

Non è già questa mia orazione una disertazione accademica, o un' opera ragionata d' un pensatore filosofo, la quale scorrendo gradatamente, e con metodico ordine per ciascuna etade, faccia di tutte le epoche circostanziato racconto. Basti solamenti ricordare alcuni dei nomi più celebri, per renderne evidente la nostra causa. I secoli de' Leoni, e de' Luigi, de' Cosimi, e degli Alfonsi, de' Fernandi, e de' Carli, ne sieno la prova luminosissima.

Solleticata già la nostra Italia dagli eccitamenti, che le aveva dati col suo instancabile ardore per le scientifiche ricerche il più dilicato, ed elegante de' suoi poetiIl Petrarca. A lui debbe l' Italia il suo letterario risorgimento. La ricerca infaticabile di tanti manoscritti in ogni genere, e lo zelo, con cui riscaldava dli studiosi all 'amore delle scienze, e delle belle lettere, gli meritarono questo glorioso titolo; su che si può consultare il Tiraboschi, che no scrive copiosamente.; risvegliata dal sonno la Germania all' amore delle belle lettere da un suo dotto filosofoRodolfo Agricola. È quegli, che trà i primi rinnovò il gusto delle belle lettere in Germania, e nelle Fiandre. Fu celebrato Professore di filosofia in Ildelberga.; in aspettazione tutta l' Europa letteraria del gran giorno, annunziato principalmente dalla bella aurora, che spuntando ver questi nostri paesi dalla Grecia oppressa, si era pur diffusa per tutte le altre nazioni; ecco ad un tratto sentirsi risonar la tromba di lui, che per comune consentimento de' dotti è riconosciuto per precursore primario della rinnovata filosofia. Voi vi avvedete, che io addito a questi segni il gran Bacone, un egregio filosofio cioè, ed un grazioso poeta. È vero che il suo organo delle scienze, ed il suo trattato dell' aumento di esse possono considerarsi omai come un palco, che ha servito bensì vantaggiosamente per la fabbrica di un bell' edificio; ma che dopo la costruzione del medesimo, diventa inutile affatto: esso però sarà in ogni tempo mirabile, e per la vastità ingegnosa delle idee, e per gli effetti grandosi che ne ha prodottiVedasi tra gli altri dotti, che così ne parlano, il d' Alembert nel già citato discorso..

In fatti, appena si sparge per l' Europa il lume di quei principj, ch' egli aveva accumulati nella suo opera, che una moltitudine infinita d' uomini di genio si sente come elettrizzata da una sì gagliarda scossa. Voi adoperare vigorosamente ogni lor forza per far guerra alle tenebre, che offuscavano la natura, e ne occultavano i suoi tesori. Chi, armato di ben forbite macchine, si accinge a bilanciare la gravità degli elementi, e a sciogliere nelle vitree carceri i ceppi, che tengono legati i corpi; chi col mezzo de' nuovi inventati strumenti, allargando immensamente la sfera della propria vista, pare che ricerchi fra gli astri non vedute regioni da conquistare. Questi, qual profondo Legislatore, prescrive delle leggi ai pianeti, e ne assegna ne' curvi spazj la meta del loro corso; quegli spinge, e modera a suo arbitrio negli scavati alvei la resistenza, e la impetuosità delle correnti. Quì un sottile metafisico investiga i sentieri ascosi della verità; là un sagace naturalista, osservando attentamente la natura, le si affaccia repentino ne' suoi intricati lavori per isvelarla. Da una banda voi vedete un ingegnoso ritrovatore di algebraiche computazioni; dall' altra un sublime geometra amplificatore de' dominj della sua sintesi; e nuovi mineralogisti, e nuovi botanici, e nuovi chimici, tutti intenti alla grand' opera, e che cominciano ad un tempo, e quasi perfezionano da loro stessi i monumenti, che hanno intrapreso a innalzare alla gloria delle scientifiche cognizioni. E chi non riconosce a questi tratti i Newtoni ed i Galilei, i Leibnizj, ed i Boile, i Copernici, ed i Kepleri, i Cassini, i Guglielmini, i Malebranchi, i Lokhe, i Cavalieri, i Torricelli, a cui seguono in folta schiera e i Turnefort, e i Linei, e gli Sthal, e i Valerj, e i tanti altri famosissimi uomini fino a dì nostri, che pare non abbianovoluto lasciare ai lor posteri nuove provincie da scoprire nella vasta estensione della nature?

Ma che? dormono forse intanto in mezzo a sì grande strepito delle scienze i Poeti? O sono disciolti quei vincoli, onde agli alunnì di Minerva erano avvinti ai dì dell' Eloquenza? E non prendono subito in mano di comune consentimento i loro armoniosi strumenti, come per ricreare quei dotti lavoratori nelle loro fatiche, i poeti più nobili che sieno risorti ai nostri secoli?

No: essi non si riposano dormigliosi. Volgete per poco il guardo; voi vedrete animosi or dar fiato all' Epica tromba i Tassi, e gli Ariosti, i Camoens, e gli Erciglia, i Miltoni, ed i Klopstocki; or far eccheggiare per plauso le teatrali logge i Racine, ed i Cornelj nelle Gallie, i Shakespear, e gli Addisòn fra i Britanni, i Maffei, e i tanti altri a noi sì noti nell' Italia. E chi più poteva infiammare all' amore della gloria i grandi eroi delle scienze, che il Pindaro Savonese? Chi più dilettarli con gli armoniosissimi numeri, che i Sanazzari, ed i Bembi, i Popi, e i Leoni, i Fracastori, ed i Flaminj, e Casa, ed i Filicaja, i Menzini, i Redi, e i tanti altri e lirici, ed anacreontici, ed elgiaci, e didattici? i quali o imprendevano anch' essi ad ornare le cose fisiche cogli arredi venustissimi delle Muse, o celebravano le imprese degli eroi delle scienze, o percuotendo delicamente le aurate corde, ricercavano profondamente la sensibilità delle umane fibre per istimolarle, e prestare insieme un dolce ristoro ai grandi ingegni che faticavano instancabili nel loro corso.

Ma che scorrere lunghi spazj di regni, e distanze rimote di epoche, e dentro, e fuori ancora della nostra Italia? Fissiamo solamente gli occhi su questa porzione di suolo da noi presentemente abitato.

Nati quivi come spontanei molti vigorosissimi ingegni, e venutivi d' altronde tanti altri non meno valorosi, e notissimi per la dovizia di lor dottrine, che già professavano, sorsero a tale altezza di sapere, ed a tale giocondità, e perfezione di bello scrivere, che soli essi basterebbero a darci, come in una compendiosa pittura, la più viva immagine della fecondità de' secoli, che a prova del nostro argomento, abbiamo testè rammentati.

Ricordiamo solo i tempi che sono a noi più vicini. Calde pur sono le ceneri di tanti tuoi chiarissimi figli, o Felsina, i quali egualmente dotti, e nel maneggio del compasso, e de' coltelli anatomici, e delle fisiche macchine, che destri nelle pulzazioni armoniche della lira, e ne' movimenti strepitosi, e signoreggianti dell' eloquenza, t' hanno acquistato non meno il nobilissimo titolo di maestra delle nazioni nelle scienze, che di stimolatrice possente del buon gusto e nelle arti, che diconsi belle, e nelle belle lettere.

Non è già scorso di molto quel tempo, in cui da lontane regioni gli uomini più rinomati per sapere, attratti dalle sonore voci di gloria, che spargeva dovunque la fama delle tue scuole, venivano ad ammirare in esse i tuoi dottissimi ProfessoriI tuoi dottissimi Professori. S' intendono tanto i nativi, come i forestieri, dei quali si parlerà in appresso. Noi però godiamo, che d' ora innanzi non vi sarà più questa distinzione di forestieri e nativi; giacchè la patria comune di noi tutte è il nostro gloriosissimo regno., e a dilettarsi insiememente nei canori applausi che loro compartivano i tuoi amenissimi Vati.

Vennero pure i Copernici dalla Germania, gli Agostini dall' Iberia, i Galilei dalla TOscana, e i tanti e tanti da tutte le altre regioni, di cui tu serbi a gran vanto onorevole memoria nelle tue Storie. Quivi, per tacere in tanta abbondanza de' più antichi, i tuoi Guglielmini, i tuoi Balbi, i tuoi Beccari, i tuoi Malpighi, i tuoi Monti, sentivansi risonare gli orecchi dai dolcissimi canti de' tuoi Manfredi, de' tuoi martelli, de' tuoi Ghedini, de' tuoi Zanotti, e d' infiniti altri, i quali, misurando al tempo stesso coll' una mano l' altezza de' Cieli, e regolando i movimenti delle stelle, ed esprimendo coll' altra dagli argentei fili i più incantatori modulati accenti, pareva (mi si permetta la espressione) pareva, che fermassero colle loro note gli stessi rotanti astri, per asoltare i loro suoni, ben più armonicamente accordi di quelli, che all' entusiasmo di Pitagora sembrava d' udire ne' suoi filosofici sogni.

E Tu, ahi dolore! rapita non ha guari ai comuni voti, Ombra onorata dell' elegantissimo Palcani, e quando mai esponesti con più profondità di dottrina i tuoi scientifici pensieri, che allora che gl' illuminasti co' più vivi colori dell' eloquenza, e gli spargestri de' più odorosi, e delicati fiori della poesia?

No, non tacerò di Te, anima illustre di Laura, che accoppiando al tuo fisico sapere il corredo maestoso della greca, e della latina eloquenza, fosti ad un tempo e l' onore del mio sesso, e quello della tua patria, che ne ha voluto serbare più chiaro il nome nella splendidezza del bronzo, e nell' arte industre de' ben' animati marmi.

Non voglio però funestarvi più, rammemorando queste sì recenti ed amare perdite. Germogliano pure continuamente in questo suolo quelle piante leggiadre, che raunate quivi in gran parte da altre felicissime contrade, e native in parte, crescono a uqll' alta speme, che non è venuta fallace mai in sì ben coltivato terreno.

Se la modestia di tanti tuoi chiari alunni, o Felsina, i quali o già come Maestri accrescono l' onore delle Itale Scuole, o che felicemente audaci prendono per meta nel loro corso il venerato seggio de' lor maggiori, non mi permette di nominarli a più ampia conferma del mio argomento; il possente però e dolce impero dell' amicizia, onde mi sento soavemente annodata, mi rende superiore a tutti quei riguardi, che non potrei attenere senza rimorso.

No, mia tenera, e cara amicaLa Signora Maria Dalle-Donne. Fu laureata in medicina, e ascritta al ruolo degli Accademici Benedettini, avendo sostenuto con segnalatissimo universale applauso le tesi, che comprendevano la facoltà medica in tutta la sua estensione., non saranno infastiditi gli orecchi de' miei coltissimi Ascoltatori, se io ricordo quei ben augurati giorni, in cui Tu discesa modestamente intrepida nell' arena, come in simulata pugna di dotti atleti, facendo essi prova di quanto valessi Tu nella letteraria palestra, ora sostenendo a piè fermo i loro vigorosi assalti, ora ribattendo con ingegnosa destrezza i ben diretti lor colpi; fra gli applausi de' combattenti medesimi, e fra gli evviva degli spettatori, giudicata fosti meritevole delle tue ambite, e gloriosissime palme.

Oh! quante volte, mentre essi lodavano in te, compiti appena i quattro lustri, e la sodezza della tua dottrina, e la nitidezza dell' aurea tua dizione, io, di gaudio compresa, riteneva a stento le furtive lagrime, che spremevano dal mio cuore i tuoi trionfi! Oh! quante volte, schiuso a forza il ritegno del labbro, ascendi (quasi esclamai) ascendi sù quel vittorioso cocchio, che tu sì giustamente ti meriti; cingi sulle tue tempia la sacrata edera premio delle dotte fronti; e, come sì da lungi mi precedi nel corso, così Tu possa precedermi negli onori; che io, emula bensì, ma non invida, più volontieri, che non porto sù miei crini i largiti fregi, gli aggiusterei sulla tua fronte: e mostrandoti ovunque a dito, n' andrei fastosa di essi, e a vanto nostro comune, e a sfogo di quella amicizia, che nè la fuga degli anni, nè la serie numerosa de' variati successi de' nostri labili giorni saranno mai possenti a disciogliere.

Ma omai è tempo di ripiegar le vele. Vicina a gettare l' ancora nel porto, io non posso a meno di non rivolgere da lungi il guardo a quelle amenissime regioni, ove a gloria delle Scienze, e delle belle Lettere, ho vedute rigogliose le une, e le altre spiegare in pompose produzioni i bei germi sotto l' ombra amica, che sì generosamente li proteggeva.

Secoli avventurosi! da me pur or rammentati, e che no nsarete mai cancellati dalle nostre Storie. Voi avete veduto gli uomini più distinti nutrirsi e crescere sempre in amichevole unione per l' amore insuperabile di gloria, che gli animava; e pel mutuo bisogno ed innata inclinazione, che gli spingeva, ornarsi tutti vicendevolmente de' rispettivi lor fregi.

Che se tavolta alcuni malaugurati ingegni, infausti alle belle Lettere, a guisa d' una Cometa malefica, si sono veduti scorrere torbidi in qualche secolo sul nostro lietissimo orizonte, il loro influsso, proveniente da cagioni estranee, e non naturali, è stato sol passeggiero; e cedendo alla forza de' valenti raggi, che vibravano le Scienze accompagnate da una vera filosofia, sono tutti spariti, come leggera nebbia al dardeggiare del Sole; e sempre più fermi sono restati quei vincoli, che la sola natura ha fabbricati, e che renderà in ogni tempo indissolubilmente perpetui.Se alcuni corruttori della poesia, e dell' eloquenza ardirono inconsierati nel seicento di oscurarle con le loro fantastiche produzioni, ciò non infievolisce in verun modo la forza del mio argomento; poichè vi furono al tempo stesso tanti insigni poeti ed impavidi contradittori, che vigorosi trionfarono de' loro malaugurati sforzi. Il Chiabrera, il Filicaja, il Menzini, il Redi, il Guidi, il Marchetti, il Magalotti, e cento, e cento altri, di cui fanno menzione le nostre letterarie storie, tutti sono autori di quel tempo. Che maraviglia poi, he vi fosse in quei giorni stessi una turba ignobile di poetastri, i queli, senza avere i talenti poetici del Marini, emulassero le stravaganze di lui? È cosa più facile ad un pittore (come riflette a proposito il Tiraboschi) ritrarre una ridicola caricatura, che una esatta, e proporzionata bellezza. A imitare il Chiabrera richiedevasi vivo ingegno, fervida fantasia, ampia erudizione, forza di sentimenti, maestà di espressioni, sceltezza di voci. A imitare in qualche modo il Marini bastava abbandonare le redini alla fantasia; e senza studiar la natura lasciarsi trasportare dall' immaginazione, ovunque essa sconsigliata guidasse. Se un certo numero di poeti, molti anche di essi prezzolati, seguì il Marini; gli uomini di buon senso tutti se ne tennero sempre lontani, neppure cedendo alla seduzione dell' oro; e questi sono quelli, che fanno la vera gloria di quel secolo, e che vieppiù confermano il mio assunto. Oltre di che ciò stesso prova, che la poesia e l' eloquenza, quantunque trattate talvolta da mani inabili, corrono da loro stesse, come accenno nel mio discorso, a coronare i scienziati, e a inanimirli alla gloria; nè possono mai da' medesimi scompagnarsi.

Ma in qual luogo rammemoro io con delle immagini forse sazievoli quei fatti, che meglio avveduta, avrei potuto in poche, ma vigorose pennellate, più vittoriosamente dipingere? Io mi vedo circondata dai genj più elevati di tutte le Provincie del nostro Regno: io pure ho innanzi agli occhi una schiera di giovani pieni di talento e di spirito, che sotto la condotta d' Istitutori sì esperti, non aspirano che ad innoltrarsi coraggiosi nella Reggia stessa della Sapienza, e ad attingere le sorgenti più pure del buon gusto, che sgorgano con pienezza ne' suoi giardini deliziosissimi.

Non abbiamo più d' uopo di ricordare i Secoli degli Alessandri, e dei Leoni. Il Secolo di NAPOLEONE sarà omai l' epoca più splendida, che segneranno le Scienze, e le belle Lettere.

Colmo l' imparaggiabile Eroe di quei serti immortali, che il suo genio guerriero, e politico gli ha acquistati, ha stimato di non avere fatto ancor tutto, se ai mietuti allori non aggiungeva il titolo d' amplificatore munifico delle Scienze. Qual altro Cesare, che credeva di nulla aver fatto, se qualche cosa a fare pur vi restasse, non alzerà la mano dalla grand' opera, finchè non la vedrà consumata.

Come all' influsso possente d' un fiato creatore, noi vediamo già riunito ad un suo cenno quanto vanta l' Italia di più colto, e più dotto nelle due Università dello Stato, nel Nazionale Istituto, e nella Sede stessa del suo illuminato GovernoRiconoscente sempre Bologna all' onore, che hanno procacciato alle suo scuole i tanti illustri Professori, venuti da stranieri paesi; e lontana dal volere appropriarsi i loro fregi, ordinò a suoi storici, che ne perpetuassero i nomi, e le geste letterarie nei dotti annali. Scorransi segnatamente i commentarj del Sarti, e del Fattorini; dai quali l' illustre Tiraboschi ha ricavate le sue notizie su questo proposito. Non è questo il luogo di ricordarli tutti. Ne accennerò solamente i primi, che senza studio sonosi presentati alla mia penna. Vennero da Perugia il Danti, e da Nizza il Cassini. Ci mandò Milano il Cardano, l' Alciato, il Cavalieri; Firenze lo Strozzi; Padova il Magini; Udine il Robertello. Pavia il Corti; la Dalmazia il Dalminio; Mantova il Pandrosio; Piacenza il Muso; Ravenna Tommaso, detto il filologo; Forlì il Mercuriali; Faenza il Vettori; Modena il Sigonio, il Faustini, il Montanari, il Faloppio; Ferrara il Novara; Reggio il Corrado, il Ruini, il Zanoni, ed i tanti altri, di cui fa menzione il chiarissimo Professore Re nella sua dotta, ed elegante prolusione. Taccio i tanto rinomati uomini, che fin dal suo principio illustrarono il nostro Instituto delle Scienze, e di cui fa grata memoria il Zanotti. Potrei pure aggiungere i nomi d' altri classici Professori, che furono invitati da lontanissimi paesi ad illustrare l' antica nostra Università; benchè, trattenuti nelle loro regioni da motivi gravissimi, non potessero soddisfare al voto de' moderatori di queste scuole. Accennerò solamente un paragrafo della lettera di Keplero, scritta al Roseno, sopra l' invito fattogli dai Bolognesi, e nella quale rammenta perhonorificas litteras ob delatam successionem in illa Accademiarum omnium Europæ Bononia, vere matre studiorum, quam unice suspicio, et colo.

Questo felice momento è il principio del nuovo Secolo, ch' emulo già fin d' ora dei più segnalati nelle Lettere, sarà tanto più glorioso de' medesimi, quanto Colui, che può tutto ciò ch' Egli vuole, inspirerà maggior coraggio colla sua protezione; ne moltiplicherà più ampiamente, che il Macedone i mezzi d' ingrandimento; e rimovendo gli ostacoli, che possa opporvi l' invidia, secondato dal nobile, ed onorato orgoglio dei Professori, e dall' ardore instancabile degli alunni, confermerà ad evidenza la verità da me enunziata „ Che i Secoli più luminosi per le Scienze, sono stati pure i più luminosi ancora per le belle Lettere. „Quantunque tanti scrittori viveni, chiarissimi nelle scienze, e nelle belle lettere, paraggino il merito degli antichi da me nominati, io mi sono astenuta dall' accennarli; perchè ciò avrebbe oltrepassato lo scopo della mia orazione; e lo splendore solo, che sugli occhi nostri diffondono le loro opere, parla più energicamente, che la mia lingua. Oltre di che sarebbe stato d' uopo di estendere, più del prescritto, il mio discorso. Non ho seguito nè pure l' ordine cronologico nel nominare quei pochi antichi, di cui favello; perchè non ho consultato, che la sola notorietè dei fatti, come mi si presentava in quel punto alla mente; e servendo in qualche modo all' orecchio senza offendere la verità.