Risposta a Neera

In un recente articolo apparso su queste stesse colonne« Uomini, uomini; donne, donne. » Marzocco, 27 dicembre 1903., Neera toccò anche una volta la scottante questione del femminismo; questione sulla quale già da lungo tempo e a varie riprese l' illustre scrittrice ha dato il suo parere, schierandosi apertamente fra coloro che tale tendenza piú vivamente combattono. Ora, pur prescindendo dal fatto he tutto quanto avviene nel mondo, sia nell' ordine fisico che morale o intellettuale, avviene per fatalità di eventi, frutti di concatenazioni imponderabili e non già per volontà di pochi; e che perciò anche di questa benedetta questione del femminismo nessuno sforzo pro o contro varrà a impedire il naturale svolgimento, se a svolgersi e a maturarsi essa è chiamata dalla legge occulta che governa ogni umana manifestazione; non si può per altro negare come coloro che sono a capo di un qualsiasi movimento intellettuale in un campo qualsiasi molta influenza possono esercitare sulla massa inconscia, ritardandone o accelerandone lo slancio verso la mèta prefisso. Tanto più grande appare tale influenza nel caso particolare, in quanto che essi sono, presso il pubblico maschile, i soli portavoce delle aspirazioni confuse della massa sottostante: che dagli uomini unicamente — data la presente composizione della Società — può attendersi ' avverarsi di una parte almento delle sue aspirazioni.

Non piccola responsibilità dunque, incombe a chi rappresenta oggi in Italia la coltura e l' ingegno femminile; grandissima, poi, quando questo rappresentante porta il nome illustre della nostra scrittrice. Non dubito punto che Neera avrà attinto a studi profondi sulla questione del femminismo in Italia e altrove le ragioni per dichiararsi cosí decisamente contraria ad esso; e, per quel che riguarda la questione del voto o altre esigenze ultra-femministe, confesso che divido in tutto le sue opinioni. Non già perché io ritenga tali funzioni per sempre incompatibili con la natura della donna; ma piuttosto perché esse sono ancora desiderio di poche e non aspirazione della massa, unica condizione perch´ il volere acquisti forza di evento sicuro, fatale. Infatti, oggi meno che mai ci è lecito il dire: questo sarà possibile e quest' altro non lo sarà; oggi, che nuove scoperte e nuovi adattamenti vanno mutando di ora in ora le nostre previsioni sulla società futura. Ma fermandoci, come troppo spesso si fa per ciò che riguarda la questione del femminismo, alle pretese piú spinte, veramente per ora irrealizzabili, non si viene forse, per il leggero ridicolo cui esse facilmente si restano (se non altro, per la novità stessa del loro contenuto) a torcere gli occhi del pubblico da tutta quella parte del programma non solo attuabilissima, ma che anzi stupisce non sia già stata attuata di lunga mano? Sí, è ridicolo che una femminista chieda, come riporta Neera, che il vocabolo mademoiselle sia sostituito con quello di madame per tutte le donne in generale, siano esse fanciulle o maritate: ridicolo, assurdo e vano. Ma, o che forse in ciò solo consiste il femminismo: e non è altrettanto vano — ma lo perdoni l' illustre scrittrice — l' occuparsene, dando per tal modo a credere che su tali assurdità sia basato l' odierno movimento? Forse che in ogni questione sociale non v' ha un massimo e un minimo: un massimo che fa sorridere, un minimo che s' impone? Il socialismo, anch' esso, ha un massimo che fa sorrideri molti; ma ha pure un minimo che comprende, per esempio, la legge recente sugl' infortuni del lavoro. Del pari il femminismo ha nel suo programma un massimo che arriva al voto politico o alle pretese di qualche troppo fervente utopista; ma ha anche un minimo che chiede il diritto per la donna maritata di disporre liberamente del proprio patrimonio o anche semplicemente del proprio guadagno; e quello, per le maestre delle scuole elementari maschili, di ottenere un eguale compenso che i loro colleghi del sesso forte per la eguale fatica.

Se ai primi albori del socialismo, quando il solo vocabolo provocava uno scettico sorriso sulle labbra dei piú, coloro che ne erano a capo avessero intrattenuto la massa da un lato e le classi dirigenti dall' altro soltanto delle aspirazioni estreme di esso socialismo, avrebbero provocato due mali: e cioè, distolto queste dal mirare ai giusti problemi sociali che giacevano negli strati inferiori e dal risolverli dando al risultato vigore di legge; e spinto quella sopra una strada falso e pericolosa. E non è ciò, o io m' inganno, che si fa oggi per quel che riguarda il femminismo da molti fra coloro che ne illustrano presso il pubblico le varie fasi?

Neera, pur riconoscendo la legittimità di certe aspirazioni, non vuole che si perda di vista lo scopo per cui la donna è nata donna. D' accordo. Ma ella ne conclude perciò che gran parte di tali aspirazioni interessa piú specialmente le zitelle; e che, costituendo esse la minoranza, non è possibile variare a vantaggio di poche il presente, o meglio — direi io — il tradizionale ordine della società. Faccio invece notare come, se mai, il problema della fame (mio Dio, oggi piú che mai è questo il vero problema che si cela in ogni altro, come il nòcciolo nel guscio, e in quello del femminismo in particolare, riscontrandosi in esso la fame fisica e la fame morale); come il problema della fame, dicevo, tocchi meno le zitelle che le maritate.

Ma come! Le maritate non hanno forse il sacro còmpito di fornire al mondo le future generazioni? E a facilitar loro questo còmpito non hanno il marito che pensa a mantenerle? O dunque? — Ahimè! Non dimentichiamo che primo còmpito di una madre è quello di nutrire e di vestire i suoi figli; e che troppe volte l' appoggio maschile è un mito e un' irrisione. Ne ha forse uno la moglie il cui marito si beve il sabato sera il guadagno dell' intera settimana? Ne ha forse uno la ragazza-madre il cui seduttore, forte della legge che sta dalla sua, se ne infischia di riconoscere il figlio, frutto di un attimo di piacere? E tutte queste madri per le quali il problema della fame si moltiplica con spaventose proporzioni, come debbono vivere? Debbono dunque accontentarsi di una maternità simbolica, o non piuttosto s' impone ad esse il triste dovere di essere per i loro figli e madre e padre a un tempo?

Largo, largo alla sacra falange; chieda essa una cattedra o un solco di terra! Largo, in qualunque modo; ché non ha tempo da perdere in vane ciance.

Similmente, quando Neera dice che le ragazze, anzi che aspirare a studi superiori, dovrebberro raccogliere i bambini abbandonati procacciandosi una maternità artificiale e restando perciò nell' àmbito dell' occupazione femminile per eccellenza, dimentica anche una volta che la maternità costa cara e che raccogliere un bambino non basta: bisogna nutrirlo e vestirlo. Quindi, anche in tal caso, una maternità senza mezzi pecuniarii non sarebbe possibile; né, d' altra parte, si potrebbe obbligare una ragazza nata in un ambiente superiore a procacciarseli con un mestiere umile, quando la sua coltura le desse il diritto a un' occupazione piú consentanea alle sue abitudini.

O allora? … Allora, bisognerebbe che non ci fossero né grida né avvocati, come diceva il buon Renzo; ossia, né padri dimentichi dei loro doveri, né madri abbandonate.

No, i veri femministi non vogliono rapire agli uomini la parte di lavoro che ad essi spetta: tutt' altro. Ma, poi che siamo a parlare di furti e di rapine, io vorrei domandare quale delle due metà del genere umano siasi piú spesso resa colpevole verso l' altra di tal crimine. … « Uomini, uomini; donne, donne. » Benissimo. Sono anch' io di questo parere; la donna, per la sua costituzione fisiologica, deve tenersi lontana da certe occupazioni che deturperebbero in essa la sacra possibilità del procreare. Ma allora, perché gli anit-femministi inveiscono tanto contro qualche innocua cattedra carpita a una qualche Università, e non piuttosto contro la triste necessità che spinge milioni di madri negli opifici, nelle fabbriche di tabacco, dove la creatura racchiusa in grembo respira con la vita i miasmi avvelenati?

« Uomini, uomini; donne, donne. » Benissimo. Ma sono uomini o non piuttosto ladri dell' altra metà del genere umano quelli — migliaia e migliaia — che agucchiano nelle sartorie dalla mattina alla sera? Furto e rapina dalla parte maschile, stavolta; e complicata anche da malafede: poi che non vorranno certo gli uomini, che hanno sempre accusata la donna di troppa facilità in tagliar panni addosso alla gente, negarle questa capacità all' atto pratico. « Uomini, uomini; donne, donne. » Ed è forse un' occupazione virile quella di misurar nastri nei negozi, dalla mattina alla sera; o non dovrebbe essere riserbata esclusivamente alla donna, come quella che sarebbe innocua anche a colei la quale è presso a divenir madre? Io non chiedo di meglio che di essere femminista nel senso desiderato da gli uomini e da gli anti-femministi. Niente eguaglianze, dunque; ma ad ogni sesso le occupazioni che piú si confanno alla sua particolare costituzione organica. Per tal modo la questione del femminismo si ridurrebbe — almeno per le aspirazioni delle classi meno intellettuali — a una semplice questione di spostamento; e nessuno ne parlerebbe piú. In quanto però a quelle altre classi dove il problema del femminismo diventa un problema puramente intellettuale; dove alla fame fisica è sostituita la fame morale; dove prezzo del lavoro è l' ingegno, dirò soltanto che parmi per lo meno strano che all' alba del secolo ventesimo, allora che il patriottismo del quarantotto sembra già vecchio perché il nuovo non ammette in astrazione barriere fra nazione e nazione; parmi strano, dico, che in quest' alba di libertà una barriera si voglia ancora che sussista, quella che imprigiona l' ingegno femminile. Ma anche qui c' imbattiamo nello stesso dilemma cui accennavo piú su. È un' illusione di poche, la possibilità di rovesciare tale barriera? E lasciatele fare. Quando si saranno convinte a proprie spese che lo sforzo era ridicolo e vano, si ridurranno al silenzio da per loro; e il mondo non perirà per averlo sostenuto un istante, né saranno per questo modificate le linee generali dell' attuale assetto sociale. Cosí, come un piccolo sasso non è avvertito dalla montagna che lo regge, né per esso si profila alterato sullo sfondo del cielo il profilo di quella.