Macina, Luisa (Gervasio)

LUIGI DI SAN GIUSTO

LE
SPOSE BIBLICHE

TORINO
ROUX FRASSATI E C°ree;
1895



A
GINA ROUX
NEL GIORNO DE LE SUE NOZZE
LUIGI DI SAN GIUSTO





NE la prospera casa in Beersabi, (era il paese assai ricco di mosto, di frumento, di greggie e padiglioni), il superbo figliuolo d'Isaac avea menato le superbe mogli: Judith, la figlia di Beeri, Hitteo, proterva, insofferente, che teneva del cuore di Esaù ambe le chiavi, e l'astuta Basmath, figlia di Elon. Assai Rebecca da le tristi nuore ebbe tormento; e atroce al suo materno cuore era l'odio, onde Esaù puniva il giovine fratello del bel viso e de la liscia pelle, lui velloso e rude, atto alla caccia sanguinosa, non gentile nei modi e ne l'aspetto. Or di questo era pur causa l'astuta Basmath, figlia di Elon, Hitteo, che sempre sobillava il marito: —Vedi come Jacob t'avanza in gentilezza! come presso la madre ei bada ai casalinghi lavori, quasi ei pur fosse una donna! Ben Rebecca su tutti il predilige, e, quando a morte venga il padre tuo, non servirem noi tutte, come schiave, al gentile Iacob?— Questo diceva l'astuta Basmath, e fremeva il figlio maggiore di Isaac. Pensò Rebecca allora il tradimento, e con inganno la benedizion paterna tolse ad Esaù, per Iacob, che ella amava. Allor levò alte strida Esaù, e pianse: —Benedici me ancora, padre mio! Hai dunque solo una benedizione?— E Iudith, la superba, disse: —Uccidi il tuo fratello.— Ed ei questo giurava. Rebecca allora, invasa da mortale ansia, disse al marito: —Assai mi è grave la vita, per cagion di queste Hittee. Vada Iacob, e scelgasi una moglie ne la casa di Laban, mio fratello.— Così Iacob fuggì l'ira paterna, e a lungo andò per campi e per deserti, dormendo a notte su le sacre pietre ch'ei foggiava ad altar, (gli angeli tutti gli allietavano il sonno, e su la scala d'oro scendeano a lui,) vivendo il giorno di pane e scarsa acqua, grave il cuore del pensier de la dolce madre. Giunse così una sera stanco a Paddan-aram, paese di sua madre. Egli da lunge mirò le palme e gli oliveti e i campi biondeggianti; chinò la fronte a terra tre volte, e disse: —Benedetto Iddio!— Sotto un gruppo di palme era un gran pozzo in un campo, e quivi egli ristette; e di quell'acqua avrebbe ben voluto refrigerarsi, se non che una grossa pietra chiudeva il pozzo. Tre pastori e tre greggie attendevano vicino. Ristette dubbioso allora il figlio di Rebecca, quand'ei vide calare verso quel pozzo un'altra greggia ancora, e la guidava una fanciulla. Quando su la magica scala nel suo sogno a faccia a faccia ebbe mirato gli angeli, nessun gli apparve così bello e fulgido come questa pastora giovanetta. Raggiavano nel sol cadente i lini bianchi, intorno al suo corpo flessuoso; raggiava come un sole il viso pallido sotto il bianco turbante. —Chi è la donna che viene al pozzo con la greggia, bianca come la luna, e formidabil come oste schierata in campo?— —Ella è Rachele, la figlia di Labano.— Tolse Iacob da la bocca del pozzo allor la pietra, e abbeverò le pecore e i montoni de la bella Rachele. Ella stupita considerava il giovine straniero, agile e ritto come la sottile palma, e cortese come un re. Ad un tratto egli si volse e la baciò nel viso. Al suo grido, al rossor che la soffuse, —Io son Iacob, del tuo sangue—egli disse, e le narrò la storia del suo esilio, onde stupita, e con commosso viso: —Oh, quali strane cose—ella esclamava, e corse indietro, a raccontare al padre del cortese straniero. Or dopo i baci e le dimande trasse alfin Labano ne la sua casa il figlio di Rebecca. —Non sei tu sangue del mio sangue, e ossa de le mie ossa? Or resta meco, e rompi del mio pane, e bevi meco il latte de le mie greggie.— O giorni di dolcezza serena, sotto ai rossi padiglioni di Charan, e nei larghi campi, a l'ombra dei sicomori! Così azzurro e fresco il Giordano scorreva fra le verdi rive! e gli armenti dai lunati capi, gravi e pensosi, i bei pascoli aprichi macchiavano di spesse chiazze d'oro; mentre le agili capre andavan lungi verso i dirupi, e i mansueti agnelli levavan alto i rosei musi, e gli occhi ripieni di stupore. E fra le rose de la valle nessuna era più bella di Rachele, nessuna più odorosa. Questo vide Iacob, e nei profondi occhi bevve l'amore, e su la bocca purpurea le parole assai più dolci del latte, che mungeva con le pure mani la giovanetta, e ne la coppa, tiepido ancora, a l'ospite porgeva. E Iacob scongiurò Labano un giorno: —Ben io prometto di servirti, fido e instancabile, rotto a ogni lavoro; e suderò di giorno, ne l'arsura dei campi, e soffrirò la notte il gelo, e, per vegliare sul tuo bene, il sonno scaccierò dai miei occhi. Ma il salario ch'io ti chiedo non puoi rendermi in molti sicli d'argento, nè in talenti d'oro, nè in sacchi di biade, o in vestimenta di porpora, nè in perle, nè in armenti. Dammi Rachele, tua figlia minore!— E Labano promise, pel suo Dio. Ma premio di quei sette anni di prova non fu Rachele, dal divin sorriso, ma Lia, prima figliuola de l'accorto Labano. E passarono altri sette anni di fede, lunghi, tormentosi; e già la fronte di Iacob segnava l'età di rughe, e i suoi neri capelli si spargevan d'argento, quando venne dunque al talamo suo la desiata. Mai tra le figlie di Charan non sorse più bella sposa e meglio amata, adorna d'ogni grazia e virtù. Sotto la breve laboriosa mano ogni ricchezza fiorì ne la sua casa, ed il proscritto Iacob si vide, ecco, signor di mille pecore, e buoi, e servi, e padiglioni; e diceva: —Si avvera la paterna benedizion: Iddio dunque mi diede la rugiada del cielo e le grassezze de la terra, e di mosto e di frumento grande abbondanza. Ma poichè tal donna trovai, è questa veramente prima benedizion del cielo, e il suo valore avanza quello de le perle. Savia edifica la casa ella al marito, e la grazia del suo viso consola d'ogni dolore, e piove da la bocca un balsamo che sana ogni ferita.— Or dopo lunghi voti ecco fu madre Rachele, e dal suo grembo usci Iosef, che doveva allietar gli ultimi giorni di suo padre, Iacob; poichè di buona madre escono i buoni figli, come di fruttifera palma il dolce cocco, che nutrisce e conforta. Era da venti anni Iacob lontano da la casa paterna, e assai de la già vecchia madre, e del cieco Isaac, e del paese natio, che aveva così dolci aure e così azzurro cielo, lo pungeva insaziato desiderio. Ond'egli disse: Io mi muoio! E tolse le sue donne e i suoi servi e gli armenti e mosse in fretta verso la terra di Canaan. Addio, pascoli verdi, dove errò la fanciulla Rachele, volto al sole il radioso sguardo, piene le mani di fiori! Addio, tenda paterna, ove sui folti tappeti dormì i bei sonni innocenti, mentre col caldo fiato de la notte entrava un lieve sospirar di palme e il timido fruscio de le gazzelle! Ella asciuga i begli occhi e le si gonsia il cuore di sospiri; ma la guida Colui che disse: Lascia la tua madre, lascia tuo padre e la tua casa, e segui il tuo destino e il tuo signor. Li colse Labano al pozzo di Betel, e l'ira paterna allor placò Rachele, e il passo fu dato al fuggitivo. E quando incontro pur gli mosse Esaù, con quattrocento armati, (l'odio antico ancor covava nel cuore del fratello, e una rabbiosa inquieta brama di vendetta,) a l'offeso cognato mosse incontro prima Rachele e il tenero figliuolo, e Iacob disse: —Questa è tua sorella.— Qual dunque in un femmineo viso arcano fascino dorme; qual ne la dolcezza degli occhi, nel lampo del sorriso, onde un superbo cuor si spetra e nuova soavità l'invade di pensieri gentili? Scese ratto dal camello Esaù, piegò il ginocchio altero, baciò il lembo di porpora a la bella cognata: —Or sii—disse—signora ne la casa di mio padre, e ti adorni l'ulivo, e sii tu simbol di pace tra mio fratello e me.— Così rivide lacob il volto di sua madre, e gli occhi spenti del padre, e i campi e il cielo azzurro del suo paese. Alzò Rebecca il viso verso la nuora e disse: Per la gioia dei miei giorni caduchi t'ha mandata il Signore. E fiorì sotto i suoi passi la pace, e guardavan le proterve compagne di Esaù, (Iudith, l'altera figliuola di Beeri, Hitteo, e l'astuta Basmath, figlia di Elon,) con muta invidia a la dolce cognata. Ma vicine al compiemento erano le sorti, e il destin si affrettava. Un giorno avvenne che Rachele sentì dentro il profondo grembo agitarsi un figlio ancora e disse: —Benedetto il Signore! esultan l'ossa che hanno udito la sacra profezia, a Iacob, mio marito. E dai miei lombi usciranno i più prodi e generosi figliuoli d'Israele, e una progenie di re. Ch'io veda questa gloria, Dio d'Abramo, e volentieri indi mi muoial!— Ma non la vide. Venne l'aspettato giorno, e con strazio de la madre aperse gli occhi a la luce il figlio desiato. Ella disse gemendo: —Egli si chiami Ben-onl, figliuolo del dolore.— Ma non volle il marito. —Egli pur sempre sarà il mio figlio prediletto, e sia Ben-iamino il suo nome!— Il sorridente viso piegò Rachele sul guanciale, e come un giglio apparve ne la notte dei fluenti capelli. Ed era morta. Alzò Iacob la voce allora, e pianse, e strappò dal suo corpo la superba tunica, che Rachele avea tessuto per lui, e tinto del color del sangue. —Oh, prediletta mia, ecco è finito per me il sole, e la gioia, ecco, è finita. Nel tuo sorriso oggi il mio sol tramonta. Ecco, la veste che tessuta e pronta tu m'hai con le tue mani, come il filo de la tua vita è tronca. Mancamento di vesti mai non ebbi, e mai dolore alcuno, poichè tu fosti la gioia de la mia casa. Mai le diligenti mani han posato. Ella cercava il filo e la Jana, e filava le più fini tele, e tingea di porpora e di azzurro. Fiorì la casa, ov'ella fu signora, perchè, come le navi dei mercanti, ella portava il pane e la ricchezza. Chi come lei sarà ora presta a l'alba, e baderà al lavoro de le serve, e appresterà per i suoi figli il cibo? Eran cinti di forza i lombi suoi, e la lampada sua mai non si spense. Allargò la sua mano ad ogni afflitto, porse la mano al bisognoso. E piena fu di saggezza la sua bocca, e mai si aperse ad una ruvida parola. O prediletta, che vestita andasti di gloria, or va, cinta del rosso ammanto che ti facea più bella, e intorno al capo porta l'ulivo, onde fra tutte Iddio ti riconosca, e cingati di stelle.— Così Iacob la pianse, e alzò un altare su la sua tomba, ne la via di Efrata; e a lungo ancor ne l'aie o a la fontana (eran le notti estive così pure e fresche in riva del Giordano, e un soffio muovea le palme e i veli a le fanciulle,) fiorì ne le canzoni e ne le storie il nome di Rachele, la più amata. ELLA disse a Noemi (chino il viso pallido, che i capelli ombravan neri, il viso dal color dolce de l'ambra, onde a lei venne fama in Israele;) ella disse: Io non posso, o madre, il grave tuo bisogno mirar; lascia ch'io vada. Ricche messi quest'anno dà il Signore. Io coglierò le spighe, che i covoni dei mietitori, troppo gravi, a terra lascieranno, onde il pane a te non manchi, madre.— Noemi prese il delicato polso, che ai dì migliori una pesante fascia d'oro adornava; or così nudo, così smagrito, che la scarsa veste celava a pena. —O figlia, e questa mano fine, che un giorno gli olii più odorosi fecero molle e liscia come un fiocco de le seriche lane de l'Engaddi, or compirà il lavoro de le serve umile e faticoso, e sotto il sole ardente del meriggio la tua testa giovanile andrà curva, e la tua fronte insozzerà il sudore e il polverio? Ah, non a questo, allor che a le tue case ti tolsi, e sposa al mio figliuol ti diedi, non a questo io ti avevo destinata! Giorno infausto fu quel de le tue nozze, Ruth; pur si compia il tuo volere, o figlia. Ma non d'estranea gente al duro cenno io ti voglio saper, stanca, avvilita, senza destar pietà sul tuo cammino. Solo parente di mio figlio, in questa terra, è Booz, assai ricco di campi, e di greggie, e di servi. A l'infinito, come un oceano d'oro, van le messi ne le sue terre; e i grigi ulivi un mare, che lo scirocco greve agita a pena, e le sue greggie son come la pioggia di manna, ai nostri padri nel deserto. Ma non di noi più memore è Booz, io temo; troppo presto il ricco oblìa. Pur va; segui le serve e i mietitori nel suo campo, e con grato umile viso la carità di poche spighe accogli.— Ardeva sopra i campi, alto nel cielo, il sole; e su le brune teste ignude, e su gli omeri chini, e su le braccia bronzee versava il vivo fuoco. Alcuno gemito non uscìa da l'arse fauci, alcun riposo non prendean le braccia; ne l'oro de le messi, come lampi d'acciaio, al sol brillavano le falci. E Ruth andava, chiusa la fiorente chioma nel rosso manto, e grave il braccio de la corba, tuttor scarsa di spighe. Ed ecco che, a caval, ritto nel sole, un uomo apparve, austero nel sembiante, e di candido lin cinto le spalle. Al suo passaggio fino a terra i servi curvavano la testa, e le più belle schiave a baciare il lembo de la bianca veste correano a gara. Egli fra tutte mirò il viso bellissimo di Ruth, che si prostrò umilmente al suo conspetto. —Ruth,—egli disse,—io so quanto pietosa con tuo marito e con tua madre oprasti; ed il cielo ti avrà cara per questo, e a la tua bella giovinezza ancora sorrideranno giorni di fortuna. Fin che ti piace or qui stare nel campo, con la mia gente, io vo' che tu abbia parte del cibo nostro, e tu riposi, a sera, sotto le nostre tende; onde men grave ti sia il lavoro, ed a tua madre intero rivenga il frutto de le tue fatiche.— E per tre giorni Ruth portò la corba grave di spighe in casa de la madre. Or facile era la raccolta e ricca. Dai covoni cadevano le spighe in gran copia; e Ruth benediceva la delicata carità del ricco parente. Tutti i giorni egli veniva, bianco-vestito, sul suo bel cavallo, altero e pur pietoso, oh quanto! Il grave sguardo con viva compiacenza su la vedova giovanetta egli fissava, che assidua e lesta il suo lavor compiva. Poi, a la mensa, dove anch'ei sedeva a benedire il cibo e a franger, giusto, il pane, ei la vedeva ne l'aceto intingere il suo tozzo, e di quel parco desinare assai paga, a lui gli sguardi riconoscenti volgere e il sorriso. Eran gli occhi di Ruth come due vivi diamanti, la bocca come un fiore, e nel sorriso aveva una divina grazia, che il cuore di Booz feriva. E già pensoso egli era di quel nuove, senso, del nuovo tumultuar del cuore, del piacer che venivagli, in mirare quella soave apparizion, dei sogni deliziosi, onde ai suoi primi giorni giovenili ei tornava, con vergogna dei suoi grigi capelli. Ed ei pensava: —Questo tesor di grazia e giovinezza come risplenderebbe fra le vane dovizie, onde superba è la mia casa! Questo leggiadro fiore la mia vecchia e vuota casa allieterebbe ancora di un profumo gentil, come se tutte le rose di Saron fossero sparse su la sua soglia. Ma le rose presso a le nevi non sogliono fiorire; nè saprebbe ella qual, sotto ai miei bianchi capelli, arde vivissima una fiamma. S'io gliel dicessi, forse la canizie mia coprirei di scherno e di vergogna. Prima, con le sue labbra, ella l'ardore deriderebbe di quest'uomo folle; e tutte le fanciulle d'Israele, ciarlando, a sera, intorno a la fontana, direbbero l'amore di Booz, e il rifiuto di Ruth, la disdegnosa. No, via da me questa vergogna. Parta ella, e ritorni al suo dolce paese, dove io la vita le farò men dura. Questo diritto, che la legge accorda al prossimo parente, io dal mio amore, non da la legge, lo trarrò per lei.— E un dì con brevi, rapide parole egli le disse il suo voler. Non vide egli il pallor di quel leggiadro viso al comando crudel, poichè guardarla non voleva. Vuoi tu, Signor, ch'io vada oggi?—ella chiese con tremante voce. —Oggi? oh, mutabil cosa ch'è la mente d'una donna! Non forse fino a ieri tu parevi contenta del lavoro tuo, e di questa nuova patria, e pur del tuo Signore? Ed oggi aneli già lasciarmi? No, no; tu resterai fino a domani, se m'è dato ancora importi il mio volere in questo luogo.— E l'irato Signor saltòsul pronto cavallo, e via lo spinse per i campi, lontano, sotto al sol, di passione acceso il volto, piena di amarezza la bocca. Ma dai begli occhi di Ruth un torrente di lagrime era scorso, a le ingiuste parole; e quando vide lui scomparir lontano, ad oriente, le parve che così venisse meno nel cielo il sole. Allora la dolente, nulla curando il lungo e faticoso cammino, de la suocera nel seno andò a versare gli sconforti, i dubbi, le desolate e trepide paure del cuor, che la virtù d'amore affanna. Qual dal materno senno allor Noemi trasse conforto per la sconsolata? Non più piangente tornò Ruth al campo, (già il sole occiduo sovra l'arse stoppie spruzzava largamente l'oro estremo, e tutto si tingea come di bisso il cielo; e, stretti gli ultimi covoni, già ripensava il mietitore al parco desco;) non più piangente, ma soffusa il volto d'una fiamma che dal cielo non veniva, e brillanti d'un arcano splendore gli occhi, diamanti neri. Ed ella attese con l'usata calma a la cena, con gli altri, ma non venne quella sera Booz. Già la falcata luna ben alta era nel ciel; strideva il grillo fra la paglia, ai bianchi raggi; e ogni cosa nel campo era silenzio, da molte ore, quando alfin la bella Ruth si appressò con cauto passo, scalza, a la tenda del suo Signor. Dormiva Booz su l'ampia stuoia, tutto avvolto nel suo bianco mantel. Lo scarso lume d'una lucerna mostrò a Ruth il grave volto che amava, ove, nel sonno ancora, era un dolor celato, un'amarezza, che a la gentile inondò il cuor di pena. Ella stette così, china sul caro viso, schermendo con la mano il vivo lume de la lucerna, che lei tutta irradiava, ne l'ambrata faccia, nei capelli fiorenti, ne la snella persona, che il mantel stretto avvolgeva. Poi, vinta dal desìo dolce d'amore, ella sfiorò con le sue labbra ardenti la mano scarna di Booz con lieve bacio; oh, sì lieve, ch'egli, il dormiente, non ne sentì l'arcana passione. Poi si stese, pudica nel suo ardire, ai piedi del Signor suo la gentile Ruth, e, fidata a quella cara guardia, chiuse i begli occhi ai sogni de l'amore. La presta alba tingeva il ciel di smorte luci, a pena, che sorse da la stuoia Booz, ripreso dal suo cupo affanno. Quel giorno ella partiva! Ora il suo pronto cavallo egli volea cercar, che lungi recar dovesse lui dal triste luogo, per non vederla, non vederla, più! Ed ecco, o visione, o sogno! ella era, che dormiva ai suoi piedi! Oh, la soave guancia, che l'alba illuminava! Oh, i neri capelli, sciolti su l'ambrato collo! e la infantile bocca, ove sì dolce fioriva il riso e l'umile parola! —Oh,—disse allor turbato egli,—che è questo? è opra vana di sogno? chi sei tu, donna?— Ella tosto i begli occhi riaperse, e le man tese verso il suo Signore, in umile atto, pien di passione. —Io sono Ruth, la serva tua, Signore! Distendi, in grazia, un lembo del tuo pallio sopra laserva tua! e così mi accogli ne la tua casa, a l'ombra del tuo amore!— Il banditore andava per le terre, alto gridando: —Udite, udite, udite! Questo dice Assuèro, de la Media e di Persia signore, e de l'Etiopia fino a l'India, su centoventisette provincie e nazioni senza fine: «Ne l'anno terzo del mio regno Vasti regina, è tolta da la grazia mia, e non vedrà in eterno più la faccia del suo Signor. Ma in Persia e in Etiopia, ne la Media e ne l'India, fra le belle vergini de l'impero, la più bella e la più pura io cingerò regina. Per questo da ogni banda e da ogni luogo vengan tutte le vergini al convito ch'io do ai baroni del mio regno, in Suzan, stanza regale, ond'io scelga fra tutte colei che grazia trovi al mio conspetto.— E già da centottanta giorni in Suzan, stanza regal, durava il gran convito, ed i baroni de l'impero e i duchi de l'esercito ed i governatori sedevano d'intorno ad Assuero, onnipotente, splendida di gemme la regal fronte, lieto il cuor di vino. Per le ampie sale e per le gradinate, giù nei cortili e fino agli orti, dove misterioso mormorava un siume ne le ripe di marmo, i preziosi profumi ardevan de la Persia, giorno e notte; e bruciavano i più fini olii ne le lampade d'argento. Pendevan veli bianchi e violati da le colonne di granito, e funi di bisso, e anelli del più puro argento. Ed eran letti pur d'argento e d'oro e tappeti di porpora e tessuti rari, sopra un lastrico di fine porfido, ai muri di sottil lavoro. Splendevan d'oro e porpora e smeraldi i baroni del regno; ardeano i visi, e ne le coppe d'oro spumeggiava il vino, ambra o topazio vivo, letizia dei cuori e fuoco al sangue. E a mezzanotte, quando era più forte la gioia, e agonizzavano sui chiari tripodi i suochi, e tremolavan l'arpe, come corse da un brivido fatale, e le citare avevano languori e susurri e singhiozzi, ecco ad un cenno del re si apriva un candido velario, e fra gli eunuchi de la corte, ad una ad una, uscian le vergini bellezze. Da l'estrema Georgia ecco le bianche voluttuose, avvolte in veli d'oro, passar leggiere e sorridenti, vivi fiori dal profumo inebriante. E da l'Egitto e da l'Etiopia, come sfingi, le mute dai marmorei visi, impassibili, aventi nel sorriso freddo l'amor che uccide, come morso di serpe. E da le rive del sacrato Gange le belle danzatrici, esperte —vergini ancor—del bacio e de lo sguardo. Acri desii di voluttà, qual diaccie lame correan le vene ai riguardanti baroni, e gli occhi si accendean di fiamme cupide. Sorrideva il re. Più bella era Vasti, di queste, la caduta regina; e già di brune e provocanti bellezze, e di odorosi corpi, in lunghi bagni di rose maceri e di unguenti, e di falsi sorrisi e di dipinte labbra era sazio, e non gli parve degna de la scelta pur una. Ultima venne Ester, l'ebrea: sostò presso il Sovrano, levò lo sguardo azzurro e il liliale volto, e ristette, tacita, aspettando. Pien di stupore il re mirò la nuova apparizion, la candida persona, a la moda di Canaan cinta solo da una tunica bianca di cotone, senza perle e profumi, immacolata. Ma intorno al puro viso il diadema dei capelli splendeva, come l'oro de le comete; ed era una squisita grazia sul labbro verginale, intatto siccome un fresco fior di melograno. —O tutta bella—disse il re, porgendo la sua coppa col vin chiaro, (e v'intinse ella le labbra)—o tutta bella, o giglio de le nonvalli, vieni, io ti ho prescelta a mia sposa. Di fregi e di monili adornerò la tua fresca bellezza; e coprirò di veli preziosi il viso tuo, perchè a me sol sorrida, per me solo risplenda, come l'alba puro, come la bianca luna intatto.— Menarono gli eunuchi a le segrete stanze del re la preferita; ed ella, pur ne le dolci sue notti d'amore, non disse la sua stirpe e la sua casa. Alto grava il silenzio sui fastigi del palazzo; sui bianchi intercolonnii splende la luna come falce d'oro, misteriosa e muta, che assai vede —e nulla dice—compiersi in segreto congiure, amori, intrighi nei solinghi atrii, dietro i velarii fruscianti. E vide quella notte una leggiera forma di donna scorrere i giardini, fra le palme più fitte, entro i cespugli de le camelie, ove più densa l'ombra avria celato il suo ardimento. E scorse ne l'ombra una figura, e udì il suo nome susurrar una voce nota, ond'ella con lieve grido corse fra le braccia di lui, con muta rapida carezza. Ma l'uomo tolse dal suo collo il lieve peso, in atto di umile rispetto, e s'inchinò tre volte fino a terra. —Ester regina, benedetta sia la tua dolce pietà.— —Perchè mi chiami con nome nuovo, o padre? Non son io più la fanciulla, che orfana accogliesti del tuo fratello, e ti fu cara, come figlia? Ma vedi, io son tremante, e attendo la tua parola, il tuo comando. Dimmi, perchè celarti più? che aspetti? Quale recondito pensier tuo mi sospinge a negar la mia patria e la mia razza?— —O impaziente!—Mardocheo rispose, —tu, che crebbi nel culto de la patria e de la santa libertà, tu ignori il mio segreto? O forse, perchè nata in schiavitù, non sai più che stranieri i figli d'Israele in questa terra sono trattati come schiavi, a dure leggi, in odio ai crudeli adoratori di Balaal; che il loro Dio più Dio non è; la loro lingua non s'intende e non si scrive, come lingua morta; e non han campi, e non han pane, e alcuno negozio, e alcun diritto, suorchè quello di servire? Tu sai, Nabucadnezar a questa dura servitù ci ha tratti, nè sappiam quando cesserà l'immensa ira divina che c'incalza. Pure dobbiamo inerti attendere l'obrobrio e la morte? Non piega la natura umana e si ribella. Ecco, i nemici nostri si san più vivi; ecco fra tutti Haman, ministro indegno di Assuèro, traditore e feroce. Egli i Giudei odia a morte, e con poserà giammai sinchè non li abbia tutti sterminati. In chi sperar se più dal Ciel non scende pietà per questo popolo venduto? Ester, la pura giovinezza tua ho mandato a l'altar del sacrifizio; t'ho data a uno straniero, ad un tiranno nostro, perchè tu salvi l'infelice nazione onde discese il padre tuo. Vigila; sia nel tuo sguardo prudenza, e saviezza sia su la tua bocca. Poichè il re t'ama, sii l'angel di pace a frenar le rapaci ingorde mani dei suoi starapi e dei turpi ministri. Questo l'ufficio tuo, Ester regina, e l'arma tua ti sia l'alta bellezza che piegherà nel suo potere il duro cuore del re, siccome canna al vento. E nascondi il segreto del tuo nome e de la stirpe tua, finchè il momento non giunga, e questa maschera non cada dal volto, e non fiammeggi il volto, come un astro, nunziatore di sventura.— La strinse al seno un'altra volta. —Addio, Ester, mia figlia! Ecco Gerusalemme, in fondo, in fondo, dietro a le colline; oh, come siede desolata e sola! Ma inaridisca la mia destra mano prima che la deserta Madre oblii!— Quella falce di luna era al tramonto, quando passò la bianca forma ancora, per gli orti, e poi scomparve nel palazzo. E dietro a lei l'ombra di Haman rizzossi con un truce sorriso. —Ora ti tengo, Giudeo, e tu morrai, e con te questa maledetta progenie di venduti.— Si sparse voce del crudele editto. Pei campi di Samaria, aprichi, e i foschi oliveti di Canaan; per le valli floride di Giudea; per gli odorosi orti di Galilea; e corse un gelo d'orrore dai tuguri a la fastosa casa del Fariseo. «Nel mese Adàr, nel giorno tredicesimo, per tutte le provincie i Giudei sien sterminati fino a l'ultimo, e pur le donne e i vecchi e i fanciulli lattanti; e sien predate le loro spoglie». Tale era l'editto reale, suggellato con l'anello che avea ceduto il re ad Haman. Piangete, dispersi figliuoli d'Israele! Vestitevi di sacco, e lacerate le belle vesti e i fulgidi monili, e spargete di cenere i capelli, o figliuole di Solima! L'estremo fato s'avanza, e Jehovah vi abbandona. E il re sedeva con Haman al desco reale, a bere il dolce vin di Siria. Venner le ancelle a la regina dissero: —Fuori siede tuo padre, ed è vestito di sacco, e getta alte, amare grida.— Ester mandò il suo fido eunuco Hatac: —Che ha mio padre, e quale è il suo dolore?— E Mardocheo mandolle la risposta sconsolata: —Nessuno degli Ebrei, non uomini, non donne o fanciulli, non poveri, non ricchi, nel fatale giorno a l'eccidio sfuggirà; e nemmeno ne la casa reale la regina.— Il fido Hatac portogli la risposta: —Dice Ester regina: A la mia bocca non verrà cibo, e sonno agli occhi miei, finchè a misericordia non si pieghi il cuore di Assuèro.— Ora dinanzi al re nessuno non chiamato aveva salva la vita, ch'ei non lo toccasse con la sua verga d'oro. La regina aspettò con tremante cuor l'augusto suo Signore ne l'atrio del cortile, ov'ei, sedendo sul suo trono, assai facilmente potea vederla. Come Assuèro mirò la prediletta, pallida in volto, sciolta la fiorente chioma per le marmoree spalle, in veste umile, di mendica, assai turbato disse: —Che vuole la diletta mia?— E stese a lei la verga, che con mano tremante ella toccò. —Chiedi, e pur fosse la metà del mio regno, tu l'avrai.— —Venga allora a la mia mensa stasera il mio Signore, ed Haman, suo ministro.— E promise Assuèro, assai stupito de la richiesta. Era il convito assai splendido per vivande preziose, e per vini, per ori e vasellame; ma Ester non portò mai a le smorte labbra nè cibo nè bevanda. Assai sgomento riguardava il re, e con dolci parole le parlava: —Perchè dunque la mia colomba è triste questa sera? Perchè il viso di perla ombra un arcano fastidio? e le labbra ch'io baciai più non hanno sorrisi? Parla, io giuro per il mio Dio, tu avrai ciò che tu brami, e fosse pur metà del regno mio!— —Venga domani ancora al mio convito il mio Signor, con Haman, suo ministro.— E Haman pensava: Donde a me tal grazia da quest'Ebrea? Più splendido il convito nel domani, e copiosi i vini; ma non toccò nè bevanda la regina, e sedeva triste e muta. E Assuèro piegò la sua reale testa sul seno a lei; cinse con molle carezza la bellissima persona: —Parli la mia diletta, e non v'è cosa nel mondo ch'io non doni per il riso de la tua bocca, o dolce anima mia!— Ester si alzò. La disadorna veste parve splenderle addosso come fiamma; intorno al viso liliale i biondi capelli erano tutto un folgorio. —Pur m'hai dannata a morte—disse—o Re.— —Io, mia diletta?— —Ov'è dunque l'anello con la tua cifra, che a la man regale più non lo scorgo? Il tuo ministro il tiene per un'opra d'infamia. È nel tuo regno un popolo disperso, che più patria ed altari non ha, fatto l'obrobrio de le nazioni. E v'è un iniquo uomo che ne ha giurato lo sterminio. Ei siede ora a lato del Re, nel mio convito. Io pur morrò con gli altri; io, la prescelta al tuo trono, perchè il popolo mio è pur questo venduto e calpestato popolo d'Israele. Io ne l'esilio crebbi, a la guardia di straniere leggi, ma ancor de la città sacra, del tempio che avanza ogni splendore, e de l'azzurro Giordano, che non vidi e che sognai, mi stringe amaro e vano desiderio. Or la tua legge uccida questa folle sognatrice, e ne esultino gli iniqui.— Sorse Assuèro, pallido nel viso, uscì, non disse una parola. E venne la sua guardia e condusse Haman a morte. E ne la notte andarono ben cento corrieri in Siria e in Palestina, a tutti i satrapi del re, i governatori de le provincie, ai giudici e signori, e fu noto ai Giudei in ogni terra che una donna gentile avea rimosso dal loro capo la sventura, e vòlto in grazia ogni minaccia. Onde fu immensa l'allegrezza nel popolo, ed i savî d'Israele cantarono: Ecco è nata colei, che porta ne la mano pura misericordia, dentro al cuor virile saggezza, e amore di giustizia ed alta carità de la patria. E le venture età diranno la tua gloria ancora, o bellissima e forte, e tra le feste d'allegrezza sarà questa più lieta, che porterà la tua fama immortale ai nipoti più tardi e più lontani».