CELINDA TRAGEDIA
DI VALERIA MIANI

ALLA SERENISSIMA
PRINCIPESSA MADAMMA
ELEONORA MEDICI GONZAGA

Appresso fran. Bolzetta



GLI Eccellentissimi SS.Capi dell'Eccelso Consiglio di Dieci, hauuta fede dalli Signori Reformatori dello studio di Padoua, per relatione delli doi à ciò deputati, cioè del Reuerendo Padre Inquisitore, & del Cir˙ Secretario del Senato Gio. Maraueglia con giuramento, che nel libro intitolato Celinda Tragedia di Valeria Miani non si troua alcuna cosa contraria alla santa Fede Christiana, Principi, ò buoni costumi, & è degno di stampa; concedono, che possi esser stampato. Dat. die xxvij. Augusti. 1610.

D˙ M˙ Anton. Valaresso

D˙ Almorò Zane.

D˙ Pietro Correr.

Capi dell'Illustriss.
Consiglio di X.

Excelsi Consilij Decem Secr.
Ioann. Bapt. Padauinus.



FV' parere di tutti i più saui dell' antichità approuato dall'vso, che doue fosse altezza di stirpe reale, ed eminenza d'heroico splendore, iui di necessità si ritrouasse ancora ingenerata l'indole d'vn'anima valorosa. V˙ A˙ fauorita da Dio, ornata dalla natura, & arricchita dalla fortuna di più sourani doni, & di maggior prerogatiue, che altra Prencipessa de' nostri tempi, ò de' secoli trascorsi, viene giustamente ammirata dal mondo, & riuerita come sacro tabernacolo delle virtù, & venerando tempio


delle gratie di Venere celeste, & del diuino amore. In questa commune opinione rapita anch'io à viua forza del soaue influsso di rare, & inumerabili virtù, non sò se illuminato il Cielo dell'anima vostra, ò pure illuminate da quella, come da prima intelligenza humile, & oscura mi rappresento al cospetto di V˙ Altezza, per mostrarle parte di quella riuerenza, & debita soggettione, ch'ogn'vn le dee, ed in particolare il nostro sesso illustrato à merauiglia dal chiarissimo Sole della Serenissima sua luce. Hò creduto non esser disdiceuole in questo mio primo incontro con l'offerirle me stessa consecrarle insieme questa mia, qual si sia, poetica fatica, parto di sterile ingegno à Madre fecondissima non meno di virtù, che di stirpe reale, e gloriosa. Nè douerà dal mondo esser stimato presontione, ò temeraria impresa la mia, perc'habbi osato d'inuiarle questo basso dono risplendendo con esso magnanimi, & valorosi heroi; non forse indegni d'esser riceuuti dall'animo heroico, ed eccelso di lei: nell'ombre de i lagrimosi, ed infelici auuenimenti, de' quali, spero à costume di pittore, far maggiormente spiccare il rileuo delle felicità, & grandezze di V˙ A˙ & così co'l paragone delle tenebre far conoscere il preggio della luce; della qual molto vaga la mia CELINDA nell'vscire dall'oscuro silentio, doue sin'hora è


stata inuolta, ingegnosa farfalla volando s'indirrizza à lei oggetto più d'ogn'altro luminoso, & quiui con sorte felice accendendosi al chiaro lume della sua gratia, arderà, s'incenderà, e nel celeste rogodi quel diuin splendore non morte, ò sepoltura; ma spera chiara, e gloriosa vita riportarne. Resta, che l'Altezza vostra non sdegni questo Tragico parto, hauendo più riguardo all'animo di me humilissima donatrice, che alla bassezza dello stesso dono, in cui non riconosco altro merito, che quella sincerità, & quell'affetto, co'l quale glielo consacro; supplicando l'Altezza vostra, che resti seruita di riceuermi nel grado delle sue più infime seruitrici, recandomi à specie di somma felicità l'esser annouerata in quelle, per poter ad ogn'hora con l'occhio della mente rimirare, & riuerire co'l core la bella Idea di V˙ A˙ mia sourana Signora; mio so lo oggetto, mia benigna stella, & mio benefico Sole. Et augurandole dal Cielo il colmo d'ogni felicità, humilmente me le inchino.

Di Padoua il dì Luglio. 1611.

Di V˙ A˙ S˙

ma, ma

Deuotiss. & humiliss. Seruitrice,

Valeria Miani Negri.





























Errori.Correttione.Carte
sicuro,sceuro6
MareMarte8
destinodestano9
insospettareinsospettire11
siatisiate13
sianesiano15
voleavoleua16
scopertiscoperte16
e à lore in lor19
nemicenemici19
tempietreccie21
sotterattisottraratti20
tremeteme20
destillardistillar25
pegnoRegno26
FeroFiero28
sue schieretue schiere30
sì figliarsì figlial30
d'ostrid'oro30
Diceua laRiceue la31
sonnoseno31
leggilegge31
quantequanto33
comperatocomperata33
L'incontroL'incarco33
l'huoml'huomo33
Errori.Correttione Carte
GoderòGodrò34
dou'èdoue36
Tù essendoTù tessendo36
ZenobioZenobia38
Ne comesseNe comisse40
FingerFigger41
SpartoSparta42
concetticonsessi44
Regge il corsierRegge i corsier47
De l'humile stato?
De l'humile suo stato?52
ventureauenture53
al bucoal buio55
vibrar equalivibrar eguali60
sbattagliatosbarragliato62
pioggiepiagge62
Ecco m'èE ciò m'è63
In effettoIn Effeso64
sì consolato?sì sconsolato67
adorna,adorna?71
à pregarà pagar72
A cheA chi74
Mi foste, d'horMi foste, ed hor75
Che nonChi non78
Sia i destrieri,Siano i destrieri,79



AVTILIO Prencipe di Persia innamoratosi per * Original has misprint: "per" printed twice. fama, & per vn'imagine veduta di CELINDA Prencipessa di Lidia, mentre dal Padre gli erano preparate le nozze della Figliastra Prencipessa di Tracia, nascosamente fuggì dal Regno suo; & vestitosi in habito feminile venne in Lidia, tenne modo d'esser venduto come Schiaua d'Irlanda al Rè Cubo Padre della Prencipessa CELINDA; Aiutato da l'età, & dalla delicatezza del viso, diede al suo pensiero effetto, & posto à seruire per damigella l'amata Prencipessa doppo certo tempo, & varij accidenti scopertosi, godè dell'amor suo; ma volendo mostrargli la fortuna, quanto facilmente sà girare la sua ruota; Fece, ch'egli ogn'altra cosa dispregiando, per difender il Regno della sua donna andasse al campo pur in habito di donna guerriera à combattere contra'l proprio Padre, che per certo risponso dell'Oracolo hauea mosso guerra alla Lidia; dal quale non essendo però conosciuto, fù mortalmente ferito; donde ne segue poi la volontaria morte della Prencipessa CELINDA.

Prologo Ombra d'Eusina figliastra del Rè di
Persia, amante già del Prencipe
Autilio.

Lucinia Cioè Autilio Prencipe di Persia, amante
della Prencipessa Celinda.

Cubo Rè di Lidia.

Consigliero

Celinda Prencipessa di Lidia.

Nutrice.

Armilla Matrona di Corte.

Attamante Caualiero Spartano della Corte di
Lidia, amante della Prencipessa
Celinda.

Araldo Fanciullo.

Alcandro Capitano de'Soldati di Lidia.

Corimbo Cameriero.

Arminio Prencipe di Selandia

Itaco Duce dell'essercito de'Medi

condotti

prigioni

Messo del campo di Lidiani.

Messo che porta la testa, il cor, & le mani
del Rè Cubo.

Fulco Rè di Persia.

Choro de'Soldati di Lidia.

Choro de'Soldati di Persia.

Choro stabile di Donne di Lidia.

La Scena è in Effeso Città di Lidia.



DA quegli oscuri, e spauenteuol Regni, Ou'han lor seggio il duol, i gridi, e'l pianto, Da quei profondi, e tenebrosi Abissi, Oue i tre fiumi con sulfurei riui Bagnano i campi de' tormenti eterni, Ou'il trisauce difensor d' Auerno Horribilmente fiero A l'entrata è custode, E co' latrati i miseri spauenta; Di tenebre vestita alma dolente, D'infelice Donzella, Di mal nata Regina, Di ver'amante miserabil ombra, Hoggi risorgo à riueder il giorno, E torno à rimirar frà gente viua La diurna del Ciel splendida face. Che dico à rimirar? ahi lassa, vengo A ministrar veneno A le tre suore, c'han vipereo'l crine; Così à me fù concesso Dal crudo regnator de l'ombre eterne, Per vendicar i miei sofferti oltraggi


Contra Autilio crudel, ch'in molle gonna, E con mentito crin, mentito nome, Com'hebbe il cor mentito, in Lidia venne, Tratto da le bellezze De la figlia del Rè. Fortunata arrise A' suoi desir lasciui, ond'egli poi De l'amato suo ben fù fatto dono. Quiui'l crudel senza memoria viue De l'amor mio, in mezo à gl'agi, à i lussi; E quanto hebbe me in odio, Altretanto Celinda ama, ed apprezza, Ama la sua beltà, pregia la stirpe De gli Aui suoi regali, adora, & cole La corrotta honestà, ch'in me cotanto Diceua odiar, non violata ancora. Barbaro dispietato, e cor ferino, A me negò l'amore, Spregiò'l mio Regio sangue, E ricusò il crudel, per nen bearmi Con li bramati suoi dolci Himenei, Di Tracia la Corona; Nè di tanto satollo, Sotto'l velo coperto De l'inimica notte, Fuggì dal Regno suo à l'hora quando Chiedeuo'l guiderdon de' miei tormenti, E venne, dou'Amor cieco'l condusse:


Per ch'io, che da suoi lumi Jl mio lume trahea, viuesse cieca. E se nel suo partire Non mi priuò di vita, Non fù già per pietà, (ch'in cor sì fiero D'entrar pietate aborre) Ma sol per eternare il mio tormento; Che fuggendo la speme, E crescendomi'l duolo, S'accrebbe sì, che gli fù vaso angusto Jl mio ferito core, E me stessa sforzò di porre il ferro Nel proprio seno ignudo; Pensando, ch'vna morte Sciogliendo il cor da l'alma, Sciogliesse ancora i lacci Di disperato Amore. Ma, lassa, i' m'ingannai; si nutre Amore Ne' più profondi Abissi, E meco viue, oue la speme è morta: Viue, ma disperato, e lascia campo Al mio desio da procurar la morte, Lo stratio, e le ruine Di lui, che tanto amai, ed hoggi à punto Spero vederne memorandi essempi. Nè mai dal carcer sciolto Jl feroce Aquilon verso'l Ciel spinse


De l'ingordo Ocean l'instabil fluttò Con rabbia tal, qual'io da giusto sdegno, Da brama di vendetta Mossa, ed acesa spingerò le furie A l'esterminio altrui. Ecco, s'io non vaneggio. D'Effeso antica le superbe mura; Questi son pur, che torreggiante al Cielo Sergon, questa è la reggia, Per loggie spaciose, Per bianchi marmi, e per gentil lauoro D'artefice preclaro al mondo Illustre, De' Tiranni di Lidia infame nido; In queste Regie stanze Torpe in otio amoroso Il Prencipe de' Persi, Ed io trà tanti affanni, Trà mille schiere d'indicibil pene Ancor quì perdo'l tempo? E inuendicata ancor stà la mia morte? Ah non così fia sempre; Ombra dolente Turberò i sonni suoi, questa ferita, Che rosseggiante ancor m'imostra'l petto Di sanguinose stille, Li porrò auanti gli occhi, ed in maniera Fermi stabilirò gli affetti suoi, Che sforzate verran ruine, e morti;


Che d'altro sangue gocciolar in breue Faranno questi tetti, Ed ogni gioia volgeranno in pianto. La Regina de' Persi Per la mia morte afflitta Viua congiuri con la morta figlia, E congiuril' Jnferno A' danni de l'iniquo, Ond'egli mora, e seco Ruini, e pera con l'Amata il Regno. Sian Padre, e figlio aspri nemici, e l'vno Versi de l'altro il sangue Co'l spirto indegno, ed ambo Paghin la vita mia con la lor morte.


Lucinia. NON così tosto in Oriente apparue Raggio di Sole a' miei desir nemico, E s'ascoser le stelle in grembo à Theti, Ch'io sorsi da le dolci amate piume; Oue in cara vigilia Passai la notte al mio bel Sole in bràccio, Al mio bel Sol, che'n sì remota parte Sù l'ali de la fama, Di sua beltà diuina Femmi sentire i caldi raggi al core: Quei raggi, ohime, quei raggi, Che risplendendo poi trà i vaghi lumi, Che ben seppe immitar pennello industre Sù l'animata tela, Furon catene, e strali, Che mi fer nodi à l'alma, e piaghe al petto; Onde lasciando'l Padre, La mia grandezza, e'l Regno,



E quì venuto, ou'insegnommi Amore Jn habito di Schiaua Feci seruo il mio corpo Di lei; che del mio cor hauea l'impero: E meritai esserne amante, e sposo; Da cui Fato crudel hor mi dilunga, E gir mi face, oue à l'eterno Occaso, Varchi sicuro, e de la vita al fine: Così trionfa Amor de' cori amanti; Così sono sue leggi oblique, e torte. Ei m'additò quel ben, che visto à pena Jn vn baleno sparue: Ah d'ingiusto Signor empi Decreti; Tù traporti gli amanti Dal porto de le gioie al mar de' pianti. Tù mentir m'insegnasti Sotto amorosa frode habito, e patria, Nome, e ciò che potea Farmi conoscer d'alto Rè figliuolo, E del Regno de' Persi vnico herede; Scoprendo à gl'occhi miei quel viuo raggio Del Ciel, fiamma de'cor, cibo de l'alme; Per cui, seguendo il glorioso Alcide, Non ricusai cinger la gonna al fianco, Torcer il fuso, in annellar la chioma, Fauoleggiar frà le pudiche Ancelle; E fui qual donna caramente accolto,


Doue in processo poi di giorni, e mesi Frutti gustai de le mie ardenti fiamme, Che non inuidio il gran tonante Gioue, Ne gli amorosi suoi furtiui amplessi. Ma qual mio Fato auerso, Qual ira di là sù, qual Dio d'Auerno, Qual mio peccato mi fà in ira al Cielo? Chi mi sgrida, e mi chiama Da gli amorosi miei dolci soggiorni, E dal Campo d'Amore, à quel di Marte? E Dio pur voglia, che da questo ancora Non m'inuoli la morte; Morte, che mi predice Ne' tristi sogni con notturne larue, Lo spirto, ohime, de la funesta Eusina, Ch'agitandomi irata Da le piume, con voce horrida, e fera, Sorgi iniquo, mi dice, sorgi homai Da l'otiose piume, e là t'inuia, Doue il Padre accampato hà genti, ed armi, Doue strage minaccia, e guerra, e morte Al Regno, al Rege, à la tua concubina. Sorgi, sorgi hoggimai Effeminato Autilio, che quel giorno Tanto da me bramato hoggi si mostra; Nel qual, fine la guerra Haurà con la tua vita,


E con la vita insieme Di quella, che tant'ami: Ah d'Eusina infelice Anima, se in Amor ti fui sì caro, Come sò, che gradito io ti fui tanto, Perche sì cruda hoggi ver me ti mostri? Ti sprezzai, egli è ver, ma che poteua Vn' alma accesa di sì ardenti fiamme? Con quella forza stessa, Che te spingeua Amore, Diuersamente me spronaua ancora; Ned era in mio potere Altra albergar doue sedea Celinda; Celinda del mio cor vnica speme, De le speranze mie meta felice; Frena, deh frena alma gentil, e bella (Se vagliono i miei prieghi) Quel focoso desio, Che sì ti preme di vendetta ingordo, Ch'alzar prometto il tuo Delubro eretto Nel Regno mio, & ogni giorno i' giuro Con Arabi profumi, e sacri incensi Honorar pien di puro, e santo zelo La tomba de le tue reliquie caste: E se del sangue mio sete hai cotanta, E l'alma mia ne' tenebrosi Abissi Teco brami commune à i fier tormenti;


Almen verso colei, che non t'offese, Dimostrati benigna, ch'io contento Con questa gran speranza à' Regni Stigi Verrò à pagar il debito tributo A l'alma tua, sì del mio stratio vaga, Pur ch'in vita colei resti, di cui Portando meco la diuina imago, Entro gli horribil chiostri, haur à virtute, Con la sua singolar alma beltate D'infonder raggi al pauentoso Dite, E luce dar à la palude Stigia. Ma non m'accorgo, ahi lasso, Ch'è tempo homai, che à l'ultimo congedo De la mia Donna misero m'accinga? Già tempo è di dipor la gonna, e'l manto, Jl nome feminil, l'aurata chioma, E in vece sua d'acciar vestir le membra, E contra il Padre mio girne volando. Ed ancor che, l'esser creduto Donna, Mi concedesse il riposar in pace Senza che di viltà fossi notato, E ciò sarebbe pur piacer, e gioia De la bella Celinda (Cielo de le mie fiamme, Fiamma d'illustre foco, E foco del mio cor, che dolce l'arde) E ui s'aggiugna ancor, che mal potrei


Vn sol giorno, vn sol punto Viuer da lei lontano Ch'è de la vita mia solo sostegno; Con tutto ciò sento rapirme à forza Da vn desiderio immenso, Ch'à la difesa del gran Rè di Lidia Amato Padre di colei, ch'adoro, Mi sprona, e me constringe, E tanto più; perche non può scusarmi Questa feminea veste Con quella, à cui mi fè soggetto'l Cielo: Che direbbe CELINDA, Se me, suo caualiero amato, e amante, Mentre folgora più guerra feroce Intorno à queste mura Il bellicoso Marte, Vedesse star effeminato, e molle Ne gli agi de la pace? Jn somma à quest'impresa Mi spinge'l fato, il Ciel, gli huomini, e i Dei. Ma che? figliuolo iniquo Tingerò dunque nel paterno sangue Le proprie mani mie? volgerò l'armi Contro lui, che per me guerreggia inuitto? Distruggerò quel Regno Ch'è destinato mio? Farò priui de l'alme


Quei popoli fedeli, De' quali il mondo, e'l Cielo M'han dichiarato Rege? O' me infelice AVTILIO, Jn qual mar de pensier, misero, ondeggio? Che non mi scopro al Padre? Perche non vieto il tanto male, c'hoggi Potrebbe farsi al mondo? La tenera pietà del caro Padre, Ed'il sangue innocente, Che spargerassi de' vassalli miei, E quel, che deuo à questo Rè di Lidia “Con il commune ben (che dee seguirsi Da quelli, che al Regnar destinò'l Cielo)” A ciò fare me spinge, Ma geloso timore Di far palese il mio amoroso fallo, Non solo al Rè de' Persi, Ma al Rè di Lidia, e al mondo tutto ancora E' un duro fren, che mi tratiene à forza, E più d'ogn' altra cosa Me'l prohibisce Amore, Amor, che non consente, Ch'io faci cosa, onde potessi vn punto De l'amato mio ben restar mai priuo: Ma forse à questa guerra Cruda morte mi chiama.


Conuiemmi andar, non farò guerra al Padre, Ma ne' maggior bisogni Farò del petto mio riparo, e scudo Al genitor de la mia bella amante. O noua Aurora, ò nouo horror dir volsi, Ti scorgo, e miro oltre l' vsato altera; Ritornerò doue più bell' Aurora Spero veder, se di rugiada il molle, E candido suo sen non haurà asperso, Perche vn nouo Titon lasciar conuenga.

Cubo, Consigliero.

Cub. QVal sì codardo v'è, che temer possi D'infausto auenimento Per la futura guerra, Che del nouo nemico s'è dimostra? Nè che danneggila Cittade, ò'l Regno La bellicosa sua gente nemica; Preuenirò i disegni, Prouederò, ch'à danneggiar non vaglia La mia Cittade, e'l Regno Jl Rè de' Persi, benche d'oro, e d'armi Possente à noi ne venga, e ben t'è noto, Quai forze apparrecchiate



Hò per opporre à sì gran furia, e quanto Il mio ardir, la mia gloria in pregio sorga Frà Duci guerreggianti, Dicanlo insieme le Prouincie, e i Regni A me soggetti, e da l andate guerre Da le tante vittorie, e palme hauute Ben si può argomentar, se à questa accinto Sien per mancarmi ardir, forza, e valore.

Con. Alto Signor, il cui sublime Impero Asia, & Africa paue; Dal cui parlar magnanimo si scopre, Qual spirto di virtù nel petto chiuda Prence sì degno, la cui destra inuitta Porger portrebbe à Marte, Non che al fiero nemico, ed onta, e scorno; Confesso, ei merta di cotanto ardire, Ond' osa perturbar la pace Regia, E por ne la gran Lidia audace'l piede, Che lo fulmini il Ciel, l'inghoi la terra; Ma non lodo però, ch'in preda al sdegno, Qual'huom del volgo, tutto s'abbandoni Il mio Signor, ma, qual prudente Rege, Ch'ogn'hor con occhio di giustitia scerne Quali gl'inganni sien, quali le frodi, C'hoggidì ne le Corti vsano gl'empi Spregiatori di pace, i quali sotto Velo di seruitù, di finto amore



Fan lor poter, che si disperda, e sciolga; E qual suol nel superbo ampio Oceano Jl veloce Aquilon le placid' onde Agitando, innalzar dal fondo al Cielo, Si che sembran portar guerra à le stelle, Soglion tesser costor empie congiure Sorgendo, d'opre rie, ministri alteri, Senza sdegno adirato, E senz'ira sdegnato Gradisci'l fiero inuito, E la risposta egual sia à la proposta Di questa guerra, ch'empia mano ordìo.

Cu. Se mai di Lidia rimbombar le valli Di bellici stromenti, hoggi vdiransi Tuonar vie più, che l'affumata Grotta, Oue il Fabro di Lenno al gran Troiano Fabricò l'armi, che domar l'Italia; Ed'hoggi vederassi Fatto d'humano sangue il suol vermiglio, E mio prigion il Rè; vuò, che confessi, Quanto fuor di ragion tentò espugnare Hoggi di Lidia le superbe Mura, Dando credenza à le mentite voci Di quel falso Jndouin, Nuncio bugiardo, Che dal Regno di Dite, e non dal Cielo E' sorto à partorir l'horrenda guerra; Onde al credulo Rè fittioni, e frodi



Seminò ne la mente, Che'l perduto suo figlio Fosse soggetto al Rè di Lidia, e fosse Prigion, ò seruo à la regal Corona, Jl che, se vano sia, sassel la Corte, Sannolo i Cittadini, e tù lo sai, A cui ogni pensier de la mia mente E' lecito spiare, e i profondi Reconditi segreti del mio petto, I quali à te non fur celati mai; E quanto grato à sue richieste m'habbia Dimostrato, e cortese, anco tù sai, Mentr' egli (ò grande ardire) Per via d'Ambasciatori, Tentò saper de l'indouin bugiardo J vaticini falsi, Li quali da me furo Ne l'alta Reggia gratamente accolti Ne le stanze più chiuse, e più segrete Del mio Palagio, e ne l'eccelse Torri, Ne' sotterranei luoghi i proprio volsi, Che fossero condotti, e del lor dubbio Fatti sicuri, e de la fede Regia; E poco vi mancò, ch'entro le stanze Jntrodotti non fosser di mia figlia, Per poter meglio à pieno Di mia sincera fè restar sicuri;


Oltre di ciò, di propria mano i scrissi, E gli affermai, e gli giurai ancora Come Rè, come amico, Che sicuro il figlio era di Lidia, e lunge Dal mio Palagio, egli viueua altroue; Soggiongendo, che pronto era per fare Ciò, che possibil fosse al dubbio caso, Mentr' egli altra credenza Contro il douer di me tener volesse; Ond'egli arditamente Con poderosa armata è giunto al porto; Tal che d'uopo fia ben c'hoggi dimostri L'inuitto mio poter con questa destra.

Con. Non ch' ardisca, Signor, tua mente Regia Dal proposto voler punto suiare, Con poche mie parole, hor io vorrei Dir à l'Altezza tua quel, che in tal caso La fedeltà mi suggerisce, e gl'anni; “Perche la vecchia mente Mira tal volta, ou'il feruor del sangue Giunger non lascia gli guerrieri ingegni.”

Cub. Antico mio fedele Ne la prospera sorte, e ne l'auuersa Conforme al crine il tuo saper canuto Sempre stimai, nè ricusar hor deggio Tuo maturo consiglio al maggior vopo.

Con. Gratia sì grande ogni mio merto eccede,



Benignissimo Rè, nè per pagarla Altro, che fedeltà cosa veruna Mi trouo hauer. Dunque da questo spinto Dirò, che raddolcisci l'ira alquanto Contra'l gran Rè de' Persi, perche forse Egli hà giusta cagion d'esser sdegnato.

Cu. Come giusta cagion d'esser sdegnato? Gli tengo à forza il figlio? E' forse mio prigion? doue s'alloggia?

Con. Non hai prigion il figlio, egli lo pensa, Perche non tien per vani Gli risponsi de i Dei.

Cu. “Gli Dei certo non fur, predir il falso Non suol celeste Nume.”

Con. L'Oracolo d' Apollo à lui predisse, Ch'il figlio era soggetto A' Lidia, e soggiogato Da la Regia Corona, E nel furor de l'armi Hoggi à trouar l'haurebbe.

Cu. S'è pur ver, che l'Oracolo predetto Gli habbi, che ne la mischia De' soldati à trouar egli habbia il figlio; Jl che non nego, ch'accader non possa; Predetto hauer non puote, Che soggiogato io lo tenessi in Lidia: Ma di falso Indouin voce bugiarda



Fù, che sparse tal grido; Opra de' congiurati De l'infedel mia corte, Ch'al credulo Signor de' Persiani Tai da lui fer ridir falsi prodigi.

Con. Fù ver, che congiurati Molti de la tua corte Ribellanti al tuo Regno, à lui s'offriro; Ma ch'vn falso Indouino à lui condotto Fosse colui, non sò, perch'ei predisse Sotto velo d'Enimma il vaticinio, Dicendo hauer nel Diuin' Antro intesi, Mentre il sopor di Lethe asperso l'haue, J sacrati responsi; Nè sopra questo il Rè fermossi punto, Se ben presagio di future cose Jgnote à lui, ei sospettò quei detti; Ma ricorso à gli Dei, mentre immolaua Genuflesso à l'Altar del sacro Nume Vn grasso Torro più, che neue bianco, Con auguri velati, e oscure note Hebbe il responso tale, Qual l'Indouin gli diede; Ch'in Lidia era il figliolo, E che guerra, e non pace, Glie lo darebbe al fine: Lieto à cotal responso ei sorse humile;



Rinouando più degno il sacrificio Jn honor del gran Marte, il cui fauore Poi che impetrato hauer gli parue, a' suoi Ministri, e Capitan instrutte schiere De' soldati assegnò; perche il camino Ver di Lidia prendesser, con la scorta De' maggior tuoi ribelli, ond'esso ancora Con quella Maestà, ch'à Rè conuiensi Fieramente è comparso A por l'assedio à queste mura intorno. Hor se giusta cagion à ciò lo spinga, O pur contra ragion la guerra imprenda, Di terminar non oso; perch'in vero Quanto venghi dal Ciel non ben discerno: E qual sarà, che di poter presuma Penetrar del gran Gioue entro gl'occulti “Secreti? se l'humana mente sciocca Quasi occhio di vil Nottola à la luce Del Sol s'abbaglia; mentre audace tenta Spiar del Fato, e de gli eterni Numi: L'irreuocabil leggi, e i gran decreti.” Però, inclito Signor, lodarei molto, Che mitigato fosse Quest'impeto primiero Con insegne di pace, e non di guerra: Tù l'accogliesti entro l'eccelso Regno, Che forse pago del principio scorso,


Repugnerà contra sì falso dubbio, E frà tanto benigno il Cielo forse Gli renderà il figliol frà tante schiere D'huomini armati, bellicosi, e forti.

Cub. Faccia l'alto Motore, C'hoggi pur nel feruor de la battaglia Sia ritrouato il figlio Del Rè di Persia, e senza sparger sangue, Termini in vn la guerra, e'l falso dubbio. Frà tanto à mè non lece Neghittoso aspettarlo: Ma già cedendo à la ragione l'ira Jl cor mio già di foco, hor è di ghiaccio Ne l'assalir questo nemico Rege, Che la voce del Cielo Guerreggiante, e nemico à me l'inuia: Ma prima ir voglio ad adorar humile J sacrosanti, e venerandi Numi Con sacrifici, e voti, e da gl'auspici Del Cielo, e de gli Dei fatto sicuro Porrommi in campo al periglioso Mare.

Con. Tanto à punto, Signor, quanto conuiensi Al tuo saper, à le tue forze inuitte. Ringratio l'alto Gioue D'esser posto à seruir vn Rè sì giusto Che se ben dritto miro Dal Ciel ogni suo ben l'huom saggio attende:



“Folle chi per superbia al Ciel contrasta, E per gran Regni, e per ricchezze immense, Sprezza'l Motor del Mondo; à questi, à questi” Saran d'eterno essempio i Mostri horrendi, Che pugnando co'l Ciel lasciaro in Flegra La fulminata spoglia; Segui, amato Signor, il tuo costume Di riuerir, e porger preghi à i Dei, E de' nemeci poi vittoria aspetta.

Nutrice, Celinda.

Nut. COme giglio tal'hor, ch'al natio stelo Jn sù'l mattino auida mano inuola, E'l seno, e'l crine infiora, Langue, e perde il candor de la sua spoglia; Così del vostro sen, del vostro volto Le scolorite propore rimiro: Ditemi figlia mia, che per l'amore Figlia chiamarui posso, e come hauete Ogni gioia del cor posta in disparte, Se'l ver mi mostra il mesto ciglio vostro? Quai noiosi pensier, quai triste cure Vi perturbano'l core, E vi destino al duol così per tempo?



Oue sì frettolosa? oue s'aggira Frà i dubbij, e le paure La vostra mente inferma? Dite, se di tal gratia homai vi paio Degna, cara mia figlia, La cagion sì crudele, Che vi moue ne l'alba à sospirare, Da quell' amor, ch'io v'hò portato, e porto, Da questo crin canuto, Sperar certo douete Nel dubbio caso ogni fedel consiglio; Nota vi è pur mia fede, e'l trattar mio. Fate tregua co'l pianto, E sfogarui cercate Scoprendo à me le vostre pene acerbe.

Cel. Jo non posso negar Nutrice, ò deggio, Che per souerchio duol egra la mente Non porti, e'lcor afflitto, onde nel uolto Tal'hor scintilla di dolor interno Altrui si scopra, ancor ch'indarno tenti Chiuderlo sì, ch'ei non si mostri fuore.

Nut. La fosca nebbia, che inecclissa il chiaro Sol del bel vostro volto, E'l tristo humor de la cadente pioggia, Che v'irriga le guancie, onde riceue Vostra rara beltate oltraggio, e scorno, Son testimoni d'amorose cure:



Altro non hà il bel volto, Che pallide viole, Doue pur dianzi egli era Vago giardin di rose, e di ligustri: Al nouello pallor, almesto sguardo, Al tardo mouer de le piante, i scerno D'un'interna passion segni euidenti, “E se la lingua tace, Parlan ben gli occhi, e sono De'nostri affetti interni Ambasciator più de la lingua esperti.”

Cel. Cara Nutrice, egl'è pur uer, che male Puote vn misero cor tener celato Quel duol, ch'in sè rinchiude. Ma lassa, e con qual modo Scioglierò questa lingua, Per dar principio à tanti affanni miei? E come accusatrice Sarò di mie vergogne? O'Ciel pria soura me folgora, e tuona, O'Terra, e tù m'inghoia anzi, ch'io scopra A' colei, che in amor tengo per madre De' tanti miei dolor l'alta cagione.

Nut. Dunque sì poca fè ne la mia fede Hauete ò figlia? dunque il sangue mio, Che bambina suggeste, in voi non puote, Sì che gratia sì lieue hoggi m'impetri?



Ahi misera infelice, Ben mal gradita serua Di sì diletta figlia.

Cel. Bastiti saper dunque, Già che'l brami cotanto, C'hoggi l'ultimo dì fia di mia vita; Non ricercar più oltre Se mille morte in vna stessa morte A' la tua figlia procurar non vuoi.

Nut. Ahi lassa, ahi me dolente, Ahi sfortunata vecchia, Ahi pouera Nutrice, è questa dunque La gioia, ch'io speraua? è questo il nodo, Ond' Imeneo vi stringe Con glorioso Rege? ed è la face Questa, ch'io veggio à le gran nozze accesa? Così l' augusta prole Veder di voi m' è dato? Ahi, che con tai parole Troncate à me lo stame Di questa debil mia penosa vita.

Cel. Frena Nutrice il pianto, Che il troppo tuo dolore Quasi esca in viuo foco M'aggiunge pena al core; Oltre ch'esser vdita Di leggiero potresti



D'alcuno de la Corte, Che potrebbe ridirlo, e insospettare Jl Rè mio Padre di sinistro incontro. T'acqueta, e ti consola, e viui certa, Che il viuer tuo dopò la morte mia, Farà l'alma passar contenta in pace.

Nut. Non più, non più ch'io moro: O' del vostro gran male La cagion mi scoprite, O' questo petto aprite: E qual commesso hauete error sì graue, Che v'induca à morire?

“Cel. Non dee chiamarsi errore, Oue v'hà colpa Amore;” Pur Amor mi constrinse Ad esser di me sol vergogna, e scorno.

Nut.Chi tanto osò dal custodito stelo Coglier la bella rosa? & in che modo, Che con quest'occhi miei non habbia visto, E vietatone il varco al passo altrui?

Cel.Cieco si finge il pargoletto Nume, Perche reca à gli amanti Sotto mentita luce, hor gioia, hor pianti; Ei con la propria benda A' tè velò le ciglia, Che pria qual d'Argo in cent'aperti lumi A' me sempr' eran volte,



E deste sempre à la custodia mia.

Nut.Se velommi di benda Le luci al maggior vopo, Ahi, perche voi spogliar di quella veste Onde bella honestà rendeaui adorna?

Cel.Con lusinghe, e promesse Di dar più nobil manto à queste membra, Ei spogliommi di quelle, Doue ignuda, e ingannata M'hà'l falso menzognier al fin lasciata.

Nut.Asciugate le lagrime figliuola, Ch'il volto d'Alabastro Tinto da l' improuiso Vermiglio de le rose, E la tremula voce Mi fà note gran cose; Raccontatemi pure Se non con lieto, al men con mesto ciglio Tutta da capo l'amorosa historia; Che tanto à leggerir sento'l mio duolo, Quanto cresce la speme Di poter darui aita.

Cel.Al caso mio non dè sperarsi aita; E ben indarno tenti Sueller da questo cor le cure acerbe.

Nut.O' che celar pensate Questo caso d'amor, ò palesarlo?



Se celarlo si può non dubitate De l'opra mia, ma fe tant' oltre è scorso, Che celar non si possa Al gran Rè Padre vostro, e mio Signore, Tentisi ogni rimedio, anzi che morte Estremo d' ogni male: Seguane ciò, che puote, Pur che restiate in vita.

Cel.Vita chiamar non dei “Quella d'vn' infelice, Che solo à vn bel morir la mente hà volta.»

Nut.Dhe narratemi almen tutto il successo, Con l' amor mi scoprite anco l'Amante. Forse fù il Paggio Vrino, Quel leggiadro Garzone, Che spesse volte à ragionar con voi Io vidi con quest' occhi, e' l simulai? O' pur quell' arso petto Da la vostra beltà, quel Caualiero Di Sparta, quei, che chiara Da l' adusto Etiope al freddo Scitha Fà di vostra beltà giunger la fama? O' Anista il gran Barone, Che nel festiuo giorno Del superbo Torneo Vostro amante, e campion ei si scouerse A l'arme, & à l'insegne,



A la fregiata soprauesta intorno, Di mille cor feriti in fiamme auolti, Al superbo Corsier non meno adorno Di cor piagati, ed arsi: Cui sì leggiadramente, Hor allentando, hora stringendo il morso, Girata la gran Piazza, Mosse al corso veloce; agile al salto, Sempre con gl' occhi al vostro viso intento, Ed impugnata al fin la grossa Lancia, Ed inuocato Amore, Ed inuocato il Cielo, Perche dal Cielo haueste Non men voi, che beltà, nome celeste; Corse contro'l nemico, Con tal furore, e tanto, Che rottagli la Lancia in mezo'l fronte, Volar si vide in aria in mille scheggie; Onde l' applauso poi Del popol tutto dichiarollo intorno Vincitor de la giostra, Ed egli à voi riuolto, Quasi annellando con lo guardo pregno Di gratie, ben parea, che dir volesse Sol da voi riconosco La riceuuta gloria; Ma voi qual saggia di gradir sdegnaste


D'vn cotanto amator feruidi segni, Che per questo difficile mi sembra, Che voi tant'oltre scorsa Siati seco in amor, ò con altrui, Che il bel virgineo fior v'habbia inuolato.

Cel.Ah Nutrice, Nutrice, Dunque osi di viltà tentar Celinda Prencipessa di Lidia? Jo d'un vil seruo amante? Ch' io dunque non ricusi Con le Donne di Sparta andar à paro, Violata fanciulla, E non Regina altera? O' del mio Regno vn Caualier da poco, D' aspetto rozo, e di difforme faccia, Far de' miei primi auuenturosi amplessi, De le primitie mie Metitor fortunato? Nè' l seruo, nè'l Baron, nè'l Caualiero Meritò mai, Nutrice, Ch' io me li dessi amicamente in braccio.

Nut.Perdonatemi figlia, Se qual cieco, tentando Jo vò l' ignota strada De l' oscuro camino, E con incerte note Jl non compreso dubbio



Cerco saper, ed à ragion desio.

Cel.D' vn Rè son fatta Amante, Di marito fedele, e non di vago, Con nodo maritale Seco Jmeneo mi stringe, Egli à me viue, io viuo à lui Consorte.

Nut.D'vn Rè fatta Consorte, Di gradito amator, gradita amante, E parlate di morte? Parui materia questa, Da lasciarne la vita? E chi fù dunque il fortunato Rege? Ditelo, ch'io mi struggo Di desir, e di gioia, Non più di duol, di noia.

Cel.Conosci tù quella gentil donzella Lucinia mia gradita, e cara serua, Secretaria fidel de' miei pensieri?

Nut.Conoscola pur troppo, ed essa deue Esser stata mezana al vostro errore, Che souente la vidi nel giardino Aquella porta, ch' à le vostre stanze E' dirimpetto, afflitta, e sospirosa.

Cel.Non mezana, ma il mezo Attissimo ella fù del mio fallire, Ella è l'Amante, e'l fortunato Rege.

Nut.Mi schernite, e beffate;



Voi d'una donna amante? Eh figlia, questi sono Tutti di poca fè segni veraci.

Cel.Sotto mentita Gonna, E sotto il finto nome di Lucinia; S' asconde Autilio Prencipe di Persia Mio gradito Consorte, e caro Amante.

Nut.Che mi dite? che intendo? Jngannata vi hà dunque, Sotto mentite insegne Jl Caualier, per cui già guerra, e morte L'altier suo Padre, al vostro Regno indice?

Cel.Et egli, & io ingannati Miseri siam restati Da quel fanciul, che tutto' l mondo allaccia. Egli venne à seruirmi, Ma s'usurpò del core à forza il Regno.

Nut.E come si scoperse?

Cel.Jo te'l dirò. Egli t' è noto pure, Che'l Rè mio Padre à me guidollo in prima, Come Schiaua d' Irlanda, Ch' estranio Mercatante à lui condusse, Come d' altri cattiui e Persi, e Mori, Ch'ei quì guidati haueua; Solla bella Lucinia, Ch' è sol de gl'occhi miei, luce gradita, Piacesse al Rè, fossegli data in dono,



Che quasi n' arse d' amoroso foco; Come diellami in fine il Rè mio Padre, Hor costei pur dirò, che donna ancora Jo la credea, per lungo tempo meco Dimorò, pria, ch' arder di me mostrasse; Ma tanto grata à me si fece, e tanto, Ch'esser di luce priua Senza di lei pareua, e semiuiua. Al fin tant'oltre scorso Jl suo amoroso incendio era, ch' à pena Homai capiua entro l' angusto seno, Ond' il bel volto scolorossi à punto, Qual al souerchio ardor del Sol cocente Rosa languir si vede, Scossa da gl'honor suoi vaghi, e vermigli; E con sospiri ardenti, Ch'eran messi del core, A me fè noto il suo cocente ardore; Onde mentr' ella vn giorno Era sopra il suo letto egra giacente, Dissi, Lucinia, e quale Fia mai l' alta cagion di tanto duolo? Ond'è che se' sì afflitta? Sorgi homai lieta, e scaccia il duol, la tema D' esser più schiaua, ò serua, Ch' anzi compagna eletta Voglio ch' à me tù sia, e le mie gioie


Siane teco communi.

Nut.Amor, ch' iua tessendo L' amoroso suo inganno, Somministraua i modi, Suggeria le parole.

Cel.E con vn bacio ardente, Che dal cor inuiaua vn dolce affetto, Baciandola tentai Con la mia destra il molle, e bianco petto Palparle, e'l collo, e'l fianco, (Quasi in atto da scherzo) ella tremante J bianchi lini si restrinse al seno, E mi guardò tacendo; Jo pur oltre seguendo, Quant' ella s' ascondea, Tanto più di scourirla anco cercando, O' come sei guardigna? le sogiunsi, Ed ella non rispose, Sol, che le guancie sue si fer due rose, Ch' ornando il suo pallore Scoprir, quante hà vaghezze Jn quel bel volto Amore. Ma Febo homai sciogliendo I veloci corsier dal Carro adorno Si posò lieto à la sua Theti in seno; E in tanto iua sorgendo Da le Cimerie grotte



Con mille aurate stelle Pompa, e famiglia sua l'amica notte, Che non sò, s'io la deggia Inimica chiamar, ò pur amica

Nut.O' degno di pietà caso d'Amore.

Cel.Amor, che congiurato Haueua à' danni miei, Volle, ch'anco ministra Fossi di mie vergogne; E però là n'andai, Oue finta Lucinia in molli piume Si staua egra languendo; E spogliatami ignuda De la mia ricca veste A' lei mi posi à canto; Ed hora il bianco volto, hora il bel collo Toccando, e ribaciando, Facea di queste braccia à lei catena; Ed ella, che pensaua Al vicino periglio, Jn sè stessa ristretta Con vn caldo sospir, che dal profondo Del cor le vscìo, mi disse. A' che tentar Signora Modi, perch' io non mora? E poi à la mia bocca Giunse i viui rubini, e quasi isuenne,



Se non, ch'il guardo pregno Di lagrime, e di duol fisso tenea Ne gl'occhi, e nel mio volto: Ma tanto feci, e tanto dissi al fine, Che spinse la mia destra Sopra il candido seno, e à l'hor m' auidi Non esser, com'il mio, de' pomi adorno: Ella smarrita, immota, e di se fuori, Viua, ma senza vita, e senza moto Cadauero viuente, Più non facea difesa, Se non, che sorta da le piume, inuolta Pur nel candido lino, Corse al mentito manto, Ch'ella, non dirò più, ben dirò, ch'egli (Io lo conobbi à l'hora) Colà vicino al letto S'hauea spogliato in prima, E ne trasse vn lauor ricco, e pregiato, Doue scolpita era l'imagin mia, E in lunga historia, il su'amoroso foco: Come prezzò l'amore D' Eusina la figliuola De la matrigna sua, ch'il Rè suo padre Dar le volea in moglie, Con lei sprezzando insieme Di Tracia il grand' Impero,


Hauendo volto à me sua cara amante, Ch'Idolo del suo cor fatto s'haueua, J pensier, e le voglie, Per cui nascosamente Lasciando'l patrio Regno Fù poi cagion, che l'infelice Eusina A se stessa crudele, Da disperata voglia, Dal mal gradito amor accesa, e spinta S' aprisse il sen, co'l proprio ferro ignudo; Dopò ciò fatto in atto humile, e vago Genuflesso pregaua, Che del suo tant'osar fessi l'emenda, Leuandoli la vita, Che per seruirmi sol gl'era gradita. A l'improuise, e non pensate mai Scoperti larue, à l'impensate frodi, Al nouello accidente, Pensa Nutrice mia, qual'io rimasi; Volea gridar, ma mi ritenne, ahi lassa, Jl timor, che d'intorno il cor m'assalse Di non esser tenuta Jnfame, & homicida, Poi ch'egli volse à l'hora Con l'ignudo coltel passarsi il petto. Quì, Nutrice, hà principio De la perduta mia verginitade


L'historia miserabile, e dolente: Vinse egli al fin, mercè del crudo Amore, Onde giungendo à questa La non men forte, ch'amorosa mano, Di fede vn saldo pegno D'essermi sposo diede. Ah d'ogn'altra più bella, Ma più d' ogn'altra infida, e trista notte, A cui strugger, pensando, il cor mi sento Qual fredda neue al Sole in colle aprico.

Nut.Ah notte, non fù mai di te, nè fia La più maluagia, e ria.

Cel.Da che seguiro l'amorose gioie, La sorella del Sol hà già mostrato Ne l ampio ciel l'inargentata faccia Quattro volte crescente, e quattro scema, E per aggiunger esca al mio gran duolo, Porto grauido il ventre, euui anco peggio, Che'l Rè mio Padre ad altro homai non pensa, A far de le mie nozze, ohime, felice Con ricca dote vn glorioso Rege.

Nut.Alta per certo è la cagion, e graue, Che v'induce à doler; ma consolate Jn parte il vostro duol, che sorte lieta Sottraggerauui'l ciel à tante cure.

Cel.Jo, Nutrice, non posso Vbedir altrimenti al Rè mio Padre,



Ne le odiate Nozze; Sì perche non vorrei, Ch'illegitima prole Lo scettro hauesse, e'l manto, ed imperasse Ne gli altrui Regni vn successor bastardo, Com'anco, perch'io viuer non potrei, Doue splendesse in altra parte il lume, Ch'esce dal volto di Lucinia mia.

Nut.Temprate, figlia, l'amoroso incendio, Non ponete in oblio l'animo Regio, Onde sete pur anco Non indegna Nipote à gli Aui illustri, E l'honorato grido De l'antiche seguite Del Regio sangue vostro.

Cel.Perdei con la virtù l'animo Regio A l'hor, che di Donzella Mi conobbi esser Donna.

Nut.Con le lagrime vostre Giungete duolo à duolo; Ma che fia di Lucinia? Qual partito si deue Prender, onde à cessar habbi la guerra, Che per costei horribile è già sorta.

Cel.La rouina de' nostri Può allegerir, Nutrice, il mio tormento, Che preda de l'amante



Sotto insegne nemiche Sol d'auersa fortuna io gioirei.

Nut.E se restasse, ohime (che'l Ciel non voglia) Preda del fer nemico il Padre vostro, Vi soffrirebbe il core?

Cel.Non temo, mia Nutrice, Con Autilio nel campo (Che tal' è il nome di Lucinia mia) Che le squadre nemiche Faccian'al Padre mio scorno, ed oltraggio.

Nut.E come Autilio in campo, Se già in succinta gonna, in lunga chioma Jnerme con voi stassi; e neghitoso?

Cel.Depon gli arnesi feminili, e insieme La bella chioma, e bellicoso in atto Di mouer co'l mio cor guerra anco al Cielo, Vuol gir nel campo al periglioso Marte, Sperando con la vita Del Rè mio Padre sua vittoria certa.

Nut.Così permetta il Cielo. Ma perche parmi gente vdir quì intorno, Andianne entro'l Palagio, Che più vostr'honor spiar potrete Del campo, e de la guerra Ogni segreto dal balcon sourano.

Cel.Con la scorta del Cielo andiam Nutrice.




CHORO. O' Cara, ò Santa Pace, O' figlia del gran Gioue, O' del bel giro de' Pianeti erranti Conseruatrice eterna, Da i luoghi, oue non verna, Oue non tuona, ò pioue Gira ver noi pietosa i lumi santi; E con celeste aita Dona la Pace à l'alme, à i cor la vita. Tu, che giungesti prima Al curuo aratro i Buoi, Ed à rustica mano Di coglier concedesti Dal sen fecondo de la madre antica Quanti frutti comparte A' la natura, la natura, e l'arte; Difendi chi ti prega, Pendan da i voler tuoi L' Armi del fier Tiranno E'l freno tuo gli altrui furor reprima; Che pacifico stato Così godrem di bel riposo amato. Sgombra gli dubbij incerti, Rischiara i veli oscuri,



Ch'offuscan l' alme, e fan desiar la guerra: Scendi da l'alto Cielo, E'l cominciato gelo, Prima, che più s'induri, Leua da i cor, ferma la pace in terra. E i nemice furori, Togli da i petti, e dà riposo a i cori. Scendi pietosa Dea, E lo sdegno, e'l rancore Riuolgi in pace, ed in quieto Amore.

Armilla, Lucinia.

RIcerco hò, figlia, i più remoti luoghi De la Regia magion per ritrouarti, E doue sperai meno Jo ti riueggio al fine; Ma perche sì dolente, e sì pensosa? Ond'è, Lucinia mia, ch'à i bianchi gigli, Cui souerchia mestitia hor fà più belli, Mentre d'altri color li spoglia; e lascia Ne la candida lor semplice veste;



Han lasciato le rose, Che co'l vermiglio lor purpureo manto T'adornauano il volto, Libero campo in tutto Quasi perdenti, e à lor ragion deluse? Deh sgombra ogni timore, ogni spauento, Ogni larua d'horror dal molle petto; Che se ben' hor di mille armate schiere Jl Rè nemico hà circondato il Regno, Minor, onde timore à te si debba, La cagion ti si porge, Che qual sotto i gran vanni Aquila altera I pargoletti figli accoglie, e stringe Per custodirli illesi Dal superbo soffiar del Cielo irato, Da gl' orgogliosi, e minaccieuol venti Con materna pietade, Così non men tù al nostro Rè gradita, Jn dolce amor congiunta, Caro membro del Regno, Sotto de le sue posse à l'ali immense Sarai sempre difesa, ogn'hor accolta; Jn guisa tal, che gloriosa, e lieta Qual'Illustre Matrona à te si deue Forte, intrepido core, Non qual donna del volgo Vn vil timor, che ti s'annidi in seno.




Luc.Madre, e signora mia, che così deggio Per riuerenza, e per amor chiamarui, S'entro le regie stanze, Doue à cercarmi faticosa cura Trasseui; in van viraggiraste (vdite) Dirouen' la cagione. Ne l'hora, ch'è confine Trà le tenebre, e'l dì, nel nouo Albore, Ne lo sparir de l' amorosa stella, Fù di strano prodigio alto spauento, Che m'interruppe il sonno, Femmi lasciar le piume; Ond'io piena d'horror quì, doue il piede Trassemi più, ch'il cor; trouommi in fine Senza saper, dou'io m'aggiri, ò volga.

Arm.Dal terror de' prodigi “Lieti auspici, e felici il Ciel pietoso Ci promette souente, e i lor segreti Sotto manto d horror copron gli Dei, L'anima non auezza A' gl'annuntij celesti, Pauenta, e trema, e quindi auien, che stima Sinistro euento à le future imprese Ciò, che futura gioia il ciel le auisa.” Disuestendo il pensier d'in fausto velo, Spera homai di gioire, Che se mai risplendente oltre l'usato



Vedesti vscir dal ricco Gange il giorno, Questo per te fia glorioso, e chiaro, Daratti al riso, e sotteratti al pianto; E da l'humile stato, in che tu sei, Inalzeratti à le Corone, à gli Ostri; Di serua ti farà Donna, e Regina: Lucinia, homai di più pregiate spoglie. Vedransi ornar le tue leggiadre membra, E'l bel dorato crine, hora senz'arte, Ad arte forse incolto, Fregiato si vedrà di gemme, e d'oro, Cui cedran di vaghezza, e gemme, ed oro.

Luc.Conchiuso hà forse il nostro Rè, e Signore Co'l Prencipe di Scotia il maritaggio Pria, che co'l Rè di Persi Segua la pace, ò fine habbia la guerra? Acconsentì la figlia d'vbedirlo? Onde tanta letitia il cor v'ingombra?

Arm.Vedrò te stessa in alto seggio assisa Risplender ne la porpora, e ne l'oro, Ed al giogo seruil sottratto il collo, Di Corona Regal cinger il crine.

Luc.Jo per voler del Cielo Non già semplice serua, Ma schiaua al fin venuta Di barbarica gente, Per mio fatal destin serua à Celinda



Principessa di Lidia, agogno forse La douuta Corona à lei di Lidia Vsurparmi arrogante? Serua humile al mio Rè viuer vogl'io; A' membra pur più degne, e scettro, e manto Serbinsi, e cinga la regal corona Di stirpe regia altri più degni crini: Che di semplice velo à me le tempie Gioua cinger incolte, Di vile gonna il fianco Vestir conforme à mia fortuna humile.

Ar.“Non copre habito vil la nobil luce, Nè quanto in lei d'altero, e di gentile:” Ch'una Regia maestade in te traluce, Come ben sallo il nostro Rè già preso Da le tante di te doti diuine, Che non cape in suo cor l'incendio, e'l foco, Che per te l'arde, lo consuma, e sface; Onde à chiederti in moglie ei si risolue, Pur hora egli m'hà spinta à tal richiesta, E con doni di fede anco m'inuia, Quai pur tù vedi; à la segreta stanza N'attende, ou'egli in testimonio Gioue Chiamerà, co' Imeneo, con gli altri Dei; Ed in segno di fè, la destra ornarti D'aurea gemma promette, e farti in fine De la vita consorte, e del suo Regno.




Luc.Voi, Signora, stringete in picciol fascio Gran cose, alte promesse, Che in sol pensarle impallidisco, e tremo. Quando sarà pur ver, che'l Rè di Lidia Di me inuaghito, sodisfar le piaccia Su' amoroso desio, m'haurà qual serua Ne le sue braccia, e non qual donna, e sposa; E questo sia del puro affetto mio Veridico sigillo; Ch'ei mi brami consorte, e mi ricchieda Non meritata, e non bramata gratia Jo la conosco, e duolmi, ch'io non habbia Modo di ringratiar l'Altezza sua; Riferirle fia ben, com'io son pronta D'esser seco à' suoi cenni, ma che prima Vna gratia da lui chieggio, e desio: Ei di benigno Rè conforme à l'uso Sottoscriua la supplica, e no'l neghi.

Arm.Lodarei molto più, che tù diletto, Ed amato desio De la Maestà Regia à lui n' andassi, Ad offerir te stessa, e chieder gratia; Perche in donando il don conseguiresti. O' quanto, figlia, altera andar potrai Frà le donne di Lidia, Poi che scielta t'haurà frà quant'il Regno N'hà di belle, e gentil perla più bella;



O' quante si vedran guatarti, e dire, Da generosa inuidia il cor compunto, E perche me non fè sì bella il Cielo? Ch'oltre l'esser di Lidia alta Regina (Ch'è sommo grado à ch'imperar desia) La nobiltate, le maniere accorte De l'inclito Signor la gran virtute, E' tal, ch'ogn' un l' ammira, N'hà gioia il Regno, e ne stupisce il mondo.

Luc.S'al primo suon de'vostri noui accenti, Frà speranza, e timor mi stetti in forse, Ne l'udir del mio Rè l'alta imbasciata, Ragion ve n'hebbe parte, Che ripensando pur, come degg'io, Co'l virginal mio pregio Mercar di concubina il nome, e'l fasto, E la gratia d'un Rè, che tanto vale; Qual' arbor combattuto Da i venti de l' Autunno, ond'ei si spoglia De la primiera sua frondosa chioma, Dal voler del mio Rè, dal nouo assalto Sento spogliarmi in parte, Sol per vestir le sue, de le mie voglie, Quasi dal cor fugando D'honor ogni rispetto, Che d' aggradir il Rè possa ritrarmi: Nè d' altro, che'l poc'anzi



Accennato infelice, infausto sogno Mi perturba, e riempie Di nuouo horror la mente, e di spauento.

Arm.Figlia, son due le porte, e burnea l'una, Di corno l'altra, ou'han l'uscita i sogni; Da quella i falsi, i veri escon da questa: Mentita horrida larua, Che per l'uscio d'auorio à te se'n venne, Ben fù cotesto tuo, al ver m'appongo, Non già sogno verace. Deh scaccia ogni spauento, ogni temenza. Non creder, figlia, à i sogni. “Che di rado, ò non mai, Fede suol prestar loro alma prudente; Altro i sogni non son, che larue, ed ombre, Onde l'huomo si nutre, Imagini corrotte Tanto varie, e diuerse, Quanto anco è varia l'esca, onde si viue.”

Luc.Gli alti misteri à' nostri sensi occulti Tra le cure diurne, e le vigilie, E' dato di scoprir anco tal volta, Quando il corpo mortal s'adagia, e dorme, A' l'anima immortale Nel diuin di se stessa Retiratasi à l'hora, Tal' ella vien, che li penetra, e scorge,



Qual in lucido specchio, O in trasparente, e limpido cristallo; Tale hò preuisto anch' io le mie suenture Entro l'ombre d' vn sogno, Ma che sogno? Fù vision verace.

Arm.Deh no'l tacer Lucinia, Deh fà, che anch'io l'intenda: “Ch' in narrando il timore, Che ne perturba, & ange, Si scema il duol, e'l cor si disacerba.”/

Luc.Era ne l'hora poco inanti à l'alba, Quando queste mie luci in breue sonno Chiusersi; ahi lassa, onde veder mi parue Del nostro Regno entro l'eccelse mura Belue di mille spetie, ed vn sol sesso, Che fieramente combattendo'l sangue Si vedeano versar d'ampie ferite. Quando ruggendo vn fier Leon apparue, Che con l'unghie, e co'i morsi Feriua, & vccideua hor questo, hor quello Con gli artigli squarciaua à branno, à branno, Satollando di lor le brame ingorde. E mentre volsi in ver le loggie il guardo, Oue le donne intente Stauano à rimirar l' aspra tenzone, Di pianto molle il sen, le guancie asperse



Vidi d'ogn' altra più mesta, e dogliosa La Prencipessa nostra al Ciel riuolta Jnuocar Gioue, e Marte, Che à l'indomita fiera Togliessero il furor, ed al suo sdegno Fiaccassero le corna; Ma fessi in questo mentre La sua furia più graue, Più spauentosa l'ira: Erasi horribilmente egli acciuffato Con vn'altro Leon poc' anzi vscito Da la porta maggiore Del Palagio regal, vicino al varco, Cui forti armate schiere Seguiano di soldati arditi, e pronti A correr co'l Leon Fortuna vguale; Ed io di Donna à l'hor cangiar mi vidi La gonna humile in bel lucente vsbergo, Soura vn feroce corridor assisa, Pareuami trattar l'asta, e la spada, E far del sangue mio l'armi vermiglie Jn prò di quel Leon, ch'anch'io seguiua; Che al fin vinto, e legato, e preso'l vidi Guidar al fondo de l'eterno oblio; Onde verso il nemico à l'hor mi parue Furiosa gridar, è forsennata; Lascia, mostro crudel, il mio Signore,


E sbrama nel mio cor le fauci immonde; E con tal dir ne andai Dolente, furibonda, e disperata, A darmi in preda de' suoi fieri artigli: Non così tosto egli del sangue mio Vide vermiglio il suolo, e sè bruttato, Che fè con vn tremendo alto ruggito, Non solo il campo ribombar d'intorno, Ma Lidia tutta, e le riposte valli. Onde ferita, pauida, e tremante, Non sò come fuggij, come potei Sottrarmi al gran periglio, e pur fuggita Era in vn prato, oue leggiadra Cerua, Assai candida più del bianco Cigno, Vidi non men fuggire Al gran rimbombo spauentata anch'ella; Che me veggendo fuggitiua in atto, Fuga maggior de la mia fuga apprese: Pur si rittenne poi, quando mi vide Sù l' herba molle, à l' affannate membra Da l'armi, e da la pugna Cercar posa, e quiete: Anzi resa sicura Là venne, ou'io giacea, Ed amica, e pietosa Lambendo già da le mie piaghe il sangue:


Jndi crucciosa, e mesta, E di morir già vaga, Verso la punta del mio brando ignudo, Ch'anco la destra mia tenea impugnato, Misera, il petto volse, e si trafisse; Jnnocente homicida io cosi fui, Rea de la morte sua senza mia colpa. Da tal'horror, da tal portento desta Dal sonno, quì ne venni, oue pur anco, Qual mentecata hor' hora Voi mi trouaste, Armilla; Hor s'è vano il timor, voi pur lo dite, E se di rallegrarmi hoggi hò cagione.

Ar.“Jl sogno è vn vaneggiar di nostra mente, Ch' à lo sparir del sonno anch'ei sparisce, O' sia tristo, ò sia lieto:” Deh quiui al vaneggiar sia'l fine, Ed hor, che sei pur desta, Cessino le notturne Chimere, e i falsi horrori, e'l cor s'appresti A lo scettro, à le nozze, al manto, al Regno: Andiamo entro'l Palagio, Già corsa è l'hora, à me dal Rè prescritta.

Luc.A' le solite stanze di Celinda Andrò per venir poi quando'l comandi Lo mio Signor, là vi starò attendendo;




Arm.Così farò, resta tù lieta figlia, E dando pace al core, Rasserena il bel guardo.

Lucinia, Celinda.

Luc.PIetoso il Ciel mentre pur langue il core, E nel proprio suo duol l'alma vien meno (O de l'anima mia delitie amate) Opportuno rimedio anco vi porge; Onde sgombriate homai le tante cure, Che perturbanui 'l lieto de la mente; E come soura ogn'altra il pregio di euiui, Non men concederauui Felicità suprema: Mà, che singhiozzi, oimè, che tristi auguri Di lagrime son questi, e di sospiri; Ch' à guisa di messaggi entro la rocca Di questo petto, al misero mio core Mandate inanti à disfidarlo al duolo? Rischiarate, mio sole, i viuirai, E scacciate le nubi, onde ammantati Sono d'humido vel, lieta scoprendo Nel bel Theatro del leggiadro viso La solita beltà con le sue insegne,



Da cui nulla haueran riparo, ò schermo Le schiere de' nemici, Tanto da voi temute. O' bella destra, ò caro pegno amato D'amicitia, e di pace, e come posso, Sotto auspicio sì grande, Temer laccio, ò catena, ò duro incontro? Anzi perche sperar non deggio lieto Bella vittoria, e fortunato euento? Voi, perche disperar letitia, e gioia?

Cel.Con Lucinia ogni luce (Lassa) da me s'inuoler à lontana, Ch'il profondo Ocean del vasto oblio, Quasi spalmata Naue Vaga di più bel Porto, andrà varcando. Altro duol non m'accora, Nè per altra cagion mai seppi come Jl duol insegni à destillar il pianto Fuori, che per quest'una, hor, ch' al partire Veggioui accinto, onde pauenta il core; Nè in me ragioni han forza Di scemar delmio duol pur poca parte, Che qual foco per vento si rinforza. Tal per ragion contrarie ei più s' auanza.

Luc.Come, Celinda mia, quando fù dato Per lor fatal destino à queste luci Del vostro almo sembiante il simulacro



Mirar nel natio regno, Oue il colpo primiero in me discese (Mercè d' Amor, che il più pregiato strale, Trasse da la faretra Solo per consacrarui Jn holocausto il mio ferito core) Volontario m'offersi al giogo amato, Nè sottrarmene mai fù, ch'io pensassi: Cosi vostro son'io, vostro mai sempre Esser voglio, e vorrò fin, che al mortale Fragil incarco mio l'acerba Parca Recida il filo, e diami in grembo à morte: Tale habbiate fidanza, ò cara, ò bella Alma de l'alma mia, per cui respiro; Io ve'l prometto, e giuro Per quell' immensa gioia, Che tal prouai, qual di ridir m' è tolto, Mentre Medica mia foste pietosa, Quand' io languia giacendo, Colpa sol d' vna lenta occulta febre Nuncia, ma del mio core Non ben intesa à l'hor del mio gioire; E più vi giuro ancora Per quella face, che ne' bei vostr'occhi Ripose Amor, di non mutar pensiero, Se pria non varco à Lethe, ò ad Acheronte. Marte destimi, pur dal sonno à l' armi,


M'inuitino le trombe, e gli anni triti De' superbi corsieri al faticoso Rischio de la battaglia, elmo, e lorica Mi sian di chioma, e sian di gonna in vece, Non fia però ch'io m'allontani, ò parta Da l'insegne d' Amor guerriero amante; Tanto seguir il Martial agone Solo io vorrò, quanto'l conceda Amore. Al sacro Altar de l'amoroso Nume Jn atto d'humiltà chino, e deuoto Depor voglio la gonna, il cinto, e'l crine. Arme pregiate, e care, Ond'io fatto di lui campion audace, Fin' hor hò militato, e quinci al fianco Vuò, che la bella man, ch'il cor mi stringe, Mi cinga l'aurea spada, e'n gloria vostra Vestir l'altr'armi, ir senza tema al campo, Oue il suozero vostro hà ragunato Grand' oste, e poderosa à le ruine Del vostro amato pegno, e quindi vscire “Non temo inglorioso; à suoi fedeli Amor gli honori; e le vittorie acquista,” Però souerchio fora, alma mia vita, Sparger da bei vostr'occhi vn mar di pianto, Perche l'anima mia vi si sommerge, Sarà vittorioso il mio ritorno, Condurrouui prigione il Rè mio Padre,


Tratteransi le nozze, ed io, qual sempre Vostro fui, vostro à l'hor farommi in tutto; Dhe riguardate il vostro fido sposo, Volgete à me tranquillo il caro lume De' vostri viui soli, onde vigore Sempre maggior da i raggi lor s'inspiri Nel petto mio, nè lo conturbi il pianto.

Cel.Deh misera infelice Sfortunata Celinda, Principessa di duol, ricca d'affanni, Pouera di diletti, Regina sol di nome, Ed Ancella d'effetti; Tra due fieri contrarij, aspri desiri Pende'l mio cor incerto, Nè sà, doue si volga, L'uno vuol, chi'io ui segua, L'altro vuol, ch'io ui fugga; Mà come fuggirò, se uoi pur sete, Mal grado del destin, che vuol partirne, L'alma del corpo mio, Nè d'egli può fuggire L'alma senza morire; io mai fuggirui? Prima rinuerdiran gli arbori il Verno, Fuggiran prima dal lor letto i fiumi, E prima dal mio corpo Fuggirà l'alma, ch'io da uoi men fugga;



Ah dunque io seguirouui Vostra fedel consorte, Vostra leal amante, Trà le fortune auerse, e le seconde: Ma qual pena già mai Nel bel Regno d'amor altrui s'offerse, Che si possa vguagliar à questo mio Jnfelice desio? Fuggir, oime, bramando Jl desiato oggetto, Ed in mezo al gioire Morir nel duolo, e non sentir martire? Sento, mentre io vi miro, e vi vagheggio, Per souerchio piacer dentro bearmi, Nè così bello al mattutino raggio Vago, apre il sen fior di rugiada asperso, Qual'hor rimiro il vostro dolce viso; Ma se penso al partire, Per souerchio dolor strugger mi sento; Nè sì da fiera falce herba nouella Recisa inaridisce, Com'io con tal pensier rimango esangue; E le vostre ragioni, Debil conforto à chi si viue amando, E si vede priuar d'ogni suo bene, Non han forza in mio core Per far, ch'io non mi dolga


Del troppo ingiusto Amore, Ch'auelena, e dà morte à' suoi seguaci.

Luc.Fero, ed empio signore, Giudice ingiusto Amor deue chiamarsi, Quando fà, ch'uno auampa, e l'altro agghiaccia, E con voglie discordi in due cor mira; Jngiusto à l'hora, quando Di non lecite fiamme vn'alma accende, Ed al bramar l'induce Genitor, ò German, come pur suona E di Mira, e di Bible, e di Canace Lo scelerato amor, che macchia, e fregia D'eterna infamia i loro nomi, e l'opre; Jngiusto à l'hor non meno, Che di pietoso Dio fatto tiranno, Assiso del furor ne l'empia sede, Così la mente accieca, e'l cor infiamma, Ch'in proprio seggio la ragion vien meno; Ond'è, ch'al fin quella sfrenata voglia Jn vn misero petto arde, e s'auanza; Si che il misero amante Per vie torte, ed oblique Giunge al suo fin, opra gl'inganni, e l'arti, Vsa la forza, e pur, ch'egli ne goda, Se lece quel che fà, nulla riguarda: Mà noi discordi, ò d'empie brame accesi Non siamo nò, nè'l nostro caso è tale,



Ch'à richiamarci habbiam de le sue leggi, Che se fortuna à noi tanto rubella Mostrasi, quanto pur propitio Amore; Se con vn solo stral ne' petti nostri Dolce fè il colpo, e la ferita eguale, Giusto, e caro Signore Chiamiam, non empio Amore.

Cel.E come può dir ciò la lingua mia, Se predir la sua morte il cor si sente Dal fiero Amor, ch'è solo Cagion d'ogni mio duolo? Jo per Amor errai, E per Amor sosterrò pene, e guai; Ma onde auien, caro pegno, Peso del ventre mio, Viscere del mio core, Anima del mio spirto, Del Prencipe de' Persi amato seme, C' hoggi solo in quest'hora Al suon de le dolenti mie querele Dentro l'aluo materno Ti scuoti così forte? Forse d'uscirne tenti Ancorche intempestiuo? Deh figlio amato, e caro Jl tuo moto è vn portento Di mio nouo tormento;



Sollo, e'l preueggio, oime, no'l far palese, Caro, ed amato figlio, Concetto in gioia, ed hor nodrito in pianto; Oime, chi mi rapisce? Sostenetemi, oime, ch'io cado, ahi lassa.

Luc.O' Giunone gran Dea, O' de nascenti autrice, O' Dea de' parti amica, La mia sposa, il mio ben, l'anima mia, Tutta ti raccomando, oime, Signora? Oime, qual duol v'accora? O' labra, ò rose, spento Veggio il vostro vermiglio, e ancor io viuo? Che deggio far, porgi pietosa Dea Rimedio à tanto duolo, Ma par, che si rissenta; oime, respiro.

Cel.Ahi morte, amica morte, Dhe non ti allontanar, non ti partire, Oime, che à gli spietati, odiosi vffici Tornan gli afflitti spirti:

Luc.Che pensate, mia vita, Far eterna partita? E qual restarà poi, Morendo viuo, chi tien l'alma in voi?

Cel.Di me priuo, Signor, non rimarrete, Nè con meco morrà questo mio core, Che, perche viua in voi, hà chiuso Amore



Jn voi viurommi anch'io, Che ne, viuendo voi, morir poss'io.

Luc.Darà vno spirto sol vita à due salme, Ond'ambi sen viurem forse più lieti Di quel, c'hor ci promette empia fortuna E come io tanto speri, vdite homai, E noua marauiglia il cor v'ingombri: Hoggi nuncia del Rè, nuncia d'Amore, A me se'n venne Armilla, alte ambasciate Del vostro genitor recommi, e disse, Ch'ei mi vuol per sua amante, e per sua sposa, Consorte del suo letto, e del suo Regno, E questa sera entro le molli piume Seco mi giaccia, e'l suo desir n'appaghi.

Cel.Eccolo à punto.

Luc.oime, non vi turbate Celi'l sembiante lieto il cor dolente.

Cel.Si, se tanto poter, lassa, potessi.

Cubo, Celinda, Lucinia, Nutrice, Choro.

COsì ti lassi trasportar tant' oltre, E forse dal timor d'incerto euento, Cara diletta figlia, Quì con Lucinia sola, oue ti stai,



Per quant'io veggio, assai turbata, e mesta? A te figlia conuiensi in chiusa cella Star lieta, e porger preghi à i numi eterni, Che ne dian vinto in mano il fier nemico.

Cel.Alto Signor, e Padre, egli è ben dritto, Che se voi trauagliar douete in guerra, Ed à le Regie membra il graue incarco Impor de l'armi, in quell'etate à punto, Che chiede la quiete, ed il riposo, Che anco la figlia vostra Per tanto moto si risenta, e tema: E quì mi trasse vn rio pensier molesto, Ch'ingombrandomi'l cor quasi da gli occhi Par, che à versar mi sforzi un mar di pianto.

Luc.Inuitto Sire, il duol, che attrista, & ange La tua diletta figlia, è, perche vdito Ell'hà fin'hor a mormorar d'intorno, Che la garrula fama vnqua non tace, Che ad onta del nemico, à prò del Regno, Tù sei per gire in campo Sourano Capitan de le sue schiere, E quindi auien, che sì turbata, e mesta, E che con sì figliar tenero affetto, Com'hà tenero il cor parla, e pauenta.

Cub.Non di tenero affetto, “Ma d'animo dimesso, e'n tutto vile Son argomenti il pianto, e la paura:”



Scaccia, scaccia da te sì rei nemici, S'esser figlia mi vuoi cara, e diletta; E se animo regal in tutto scuopri, Mostra conformi effetti al Regio sangue, Sgombra il vano timor, sgombra il sospetto; Marauiglio, e stupisco, Ch'in più tenera età più forte core Tù dimostrasti à l'hora, Che più graui nemici, e più potenti Mosser guerra al mio Regno; Và pur dentro il Palagio, e teco insieme La Nutrice, e le grandi de la Corte Preparino le feste à la vittoria, E le Donne più degne del mio Regno. Di serici trapunti, e d'ostri, e d'ostri Riccamente adornate, Faccian da le fenestre, e da le loggie Con pomposo apparato altera mostra; Onde sen marauigli il Rè nemico; E tù deponi'l duol, vesti di gioia L'alma, e le membra di superbo manto Di porpora regal contesta, e d'oro.

Cho.Di sì degno Signore D'animo tanto inuitto Son ben degne parole; Consoliamoci tutte, e voi Signora, Ch'à guisa di bel Sol splendete intorno;



Onde n'hà lume il Regno, Viuete lieta, e con pomposa mostra Date segni di gioia, Che noi da voi pendendo, Membri del vostro Regno, Quai picciole facelle, Starem in cerchio al vostro viuo lume.

Cub.Ottenuta, c'haurem poi la vittoria Doppo il degno trionfo à le tue nozze Attendrassi, e tal sarà lo sposo, Che fia degno di tè, del Rè di Lidia Genero non inedgno, e del gran Regno Successor fortunato; Che qual essermi suole il Ciel amico Propitio sempre à le bramate imprese, Tal mi concederà, c'hor vecchio Padre Jo mi vedrò ringiouenir felice; Qual nouo Eson, non già per via d'incanti; Mà per valor di tua feconda prole, In cui del tempo ad onta, e de la morte Viurò per mille lustri, e mille etadi; Rischiara dunque, homai rischiara il ciglio, Nè fà, che'l giri più mesto, e turbato, Mà soura il petto mio posa tue cure.

Cel.Jo qual afflitto, addormentato al suono Di dolce melodia, gli spirti sciolgo Da quel sonno, in che'l duol teneami inuolta;



Al musico concerto De la noua speranza Desto l'orecchie, e'l core, Onde spirto vital di noua gioia Diceua la mortal mia fragil salma: Secondi'l Cielo i nostri voti humili; Caro Padre, e Signore, E à questa mano à le vittorie auezza Marte doni i trofei, porga le palme, Nè fia, ch'al suo valor contraria forza Resista più, ch'arrida fronde al vento.

Cub.Cosi permetteran, figlia, li Dei; Ma vedi ecco venir la tua Nutrice, La tua fida custode, Hor tù con lei t'inuia Ver le segrete stanze; Resti meco Lucinia, ordini, e leggi Habbia da noi segrete, e poi ti segua.

Luc.Jl tuo voler m'è legge.

Cub.E tù saggia Nutrice, Al cui sono in custodia, al cui gouerno Le mie delitie hò date, e'l mio più caro, E d'amato tesoro, Custodisci mia figlia, e dal suo petto Scaccia co'l tuo parlar questi timori.

Nu.Se da Materno affetto Cosa sperar si dè, tanto prometto



Al mio Rege, e Signore.

Cel.Padre, e Signor, poi che'l comandi, io parto.

Cub.Vanne, figlia, ch'il Cielo, Quanta ti diè bellezza, Ti dia letitia, e gioia.

Cubo, Lucinia,

Cub.COsì dunque, Lucinia, vn Rè si sprezza? Vn Rè, che co'l saper giunt' hà le forze Per far soggette le prouincie, e i Regni? Ed io sosterrò dunque, Che donna vil poueramente nata A mè, che degno lei de l'amor mio, Neghi render Amore? A me, ne la cui mano Stà il disporne à mia voglia? Ti fei noto il mio amor, te'l disse Armilla Segretaria fedel de le mie voglie; Intendesti da lei, qual nel mio core Vada incendio serpendo, e tanto fiero, Tanto vorace più, quanto conosco, Ch'à te con tue sciochezze vn rogo formi, Doue fiamma mortal de l'ira mia Vi si accenda, e t'abbruggi, e ti disperda:



Ti fei pregar, vsai promesse, e fui Promettendo, e pregando humil Amante, E quasi d'esser Rè posi in oblio; Ritrosa dunque osasti Negarmi l'amor tuo? spregiar il mio? Mà vaglia in tua difesa, Che pregia Pudicitia alma ben nata: Scuso la degna legge al vostro sesso Da honestate prescritta, e te ne lodo; Mà doue tù ricusi; oue non vaglia, Saluo l'honor, co'l nodo d'Himeneo Giungerti al tuo Signor cara Consorte, Al tuo Signor, che tè vuol far Regina, Scettro darti à la man, Corona al Crine; Biasmo, ò pena non v'hà, che non la merti; E sarà ben, ch'io creda Ciò, che di tè và mormorando il volgo, Che ti piace di gir libera errando, E crederò, che molto più t'alletti Di donna vagabonda il nome, e l'opre, Che'l titolo di moglie, e di Regina. Mà siasi, e tù ne godi, à me frà gl'altri Tuoi cari amanti, hor la ragion non tolga, Nè si niegi al suo Rè ciò, ch è concesso Al suggetto; al minor di tè godermi Anch'io dourò, nè vuò badar se'l fine Sia ne' moti di Persia ò guerra, ò pace.


Quai potenti nemici han congiurato Contr'à lo stato mio, lassa, e dolente? Jo di te spregiatrice? ò de' tuoi cenni? Ahi sì folle non son, ch'io non conosca, Com'io, mercè del Ciel, che tanto diemmi Lume, e saper, quante miserie, e doglie; Son serua, e serua humile Di Rè tanto possente, Quant'egli è grande, e giusto; Ma, che per mio destin siasi inuaghito Di me, qual io mi sia, Jl più degno Signor, c'hoggidi regna, Jo non sò se fauore Debba dirlo d'Amore: Perche se, come amante, Tù volessi adempir l ingorde brame, Io ti risponderò quel, che ad Armilla Io pur dissi poc'anzi, à me fia sempre Mercar di concubina il nome infausto Malageuole, e graue; E se come Regina, e come Donna Del mio caro Signor erger osassi A i sourani Himenei l'inferme voglie; Di qual ardir fù mai Donna notata Simile al mio? che ne direbbe il Regno? Che ne direbbe l'alta figlia tua? Se le mie indegnamente auenturose


Vedesse ella anteporre à le sue nozze? Se me d'humil ancella, Anzi per prezzo comperato Schiaua, Matrigna sua vedesse? Qual susurro, e romore Ne faria l'ampia Corte, ah tolga il Cielo Di cecitate il velo à gl'occhi tuoi; Ah pria di me si faccia Spettacolo funesto al regno intorno: Misera nacqui al mondo Donna, ch'altro, che danno al fin non suona; E mio sia pur il danno, Pera sol questa vita Anzi, ch'altri à bramar m'habbia la morte, Pria, che la terra, e'l Ciel m'habbino in ira: E se come Signor mostrar ti aggrada Ne l'humil serua tua ciò, che tù puoi, Eccomi in tuo potere, Che poco cura l'alma L'incontro vil di questa fragil salma. Morte à me fia gradita Pur, che tua Regia mano Recida il filo à sì penosa vita.

“Cu.Se i preghi non potran, potrà la forza.”

“Lu.Non lece à l'huom far ciò, ch'egli puote.”

“Cu.Lece, quando ch'Amor furioso sprona.”

“Lu.Non sforza Amor, oue ragion s'oppone.”




“Cub.Ragion non v'hà, doue gouerna il senso.”

“Luc.Non può imperar, chi nacque seruo, e schiauo.”

“Cub.Sono tal volta Regi i nostri sensi.”

“Luc.Reggon beni pensier, non la ragione.”

“Cub.E pur dal senso la ragion è vinta?”

“Luc.Non vien mai vinto, ch'inuincibil nasce.”

“Cub.Jnuincibil sei tù, qual Idra fiera.”

“Luc.S'altro non vinco, almen vinco me stessa.”

“Cub.Vinci tua crudeltà, me stesso amando.”

“Luc.Vincer non può, chi non aborre i gusti.”

“Cub.In ciò dura fatica chi è mortale.”

“Luc.Con la fatica l'huom glorioso resta.”

“Cub.Non è gloria maggior, ch'esser felice.”

“Luc.Niun felice in questa vita viue.”

“Cub.Viurei felice nel morirti in braccio.”

“Luc.Come dal Sol picciola nube è vinta, Così la morte tronca i piacer nostri.”

“Cub.Gustiam viuendo, e non parliam di morte.”

“Luc.Meglio è morir, pur, che la gloria viua.”

“Cub.Dunque sei tù disposta Pria morir, che bearmi? Me ricusando insieme Ed amante, e consorte? Vil femina del volgo Voi, che con tuo disnor, con la tua morte Faccia le voglie mie paghe, e contente? Farollo in tuo dispregio,



E quel corpo, ch'adorno Veder bramai di regio manto intorno, Goderò d'espor ignudo Al furor de' soldati, e poi scacciata, Quiui tù te n'andrai serua impudica, Donna vil, sesso audace, infame mostro; Vattene à le tue stanze, e quiui aspetta Di veder di te stessa vn fiero scempio: Non prouerai più amor, prouerai odio; Qual irato Leon, che i lacci sdegna, Romperò le catene, Infrangerò quei nodi, Onde stringeami Amore, Fremerò nel fuore, E sbranerò te desiata preda; Non fia, che non adempia il mio desire: “Ch'egl'è pazzia morire, Per vn cor ostinato.”

Luc.Andrò mio Sire, vbedirò, ma prego La tua bontà, che non, perche ritrosa Mi veggia in quello, onde il mio cor pauenta, Colpa n'ascriui ad ostinata voglia, Non creder, ò pensar, che nel vederti Morirti di desio, Io mi prenda diletto; Troppo, troppo aspra, e fiera Sarei, troppo in humana,



Che sol da la tua vita Pende questa mia vita. Come riceue il lume Pur dal lume del Sol l'humida Luna, Felice, e auenturosa Più d'ogn'altra sarei, Se, qual diletta Amante, Del mio Signor godessi J fortunati amplessi, Felicissima poi, se qual Regina, Mi vedessero ancora Presso al mio Rè le Lidiane genti Assisa in alta, e gloriosa sede; Ma, mentre sono queste mura intorno Cinte da fiero assedio, Che diranno le schiere, e i capitani Tutto vedendo il lor Signor intento A le mollicìe, à gli vsi D'amor; e d Himeneo? Ed in tempo di guerra essercitarsi Jn palesira amorosa, Quasi fuggendo i Martiali assalti: “Son contrarij possenti, Nè fia, c'huom possi vnitamente mai Seguir amor, e le Martiali insegne:” Ti souenga, Signor, che vita, e fama Tolse Augusto ad Antonio, e sua ruina


Furon gl'otij d'Amore, Che meglio era per lui non mai l'Egitto Veder, e Cleopatra, anco il suo nome. Bello forse viurebbe, e le sue naui, E l'essercito suo rotto, e disperso Stato non saria forse Del souran vincitor preda, e trofeo: Ti souenga non men, che Mitridate, Sol per seguir l'amor di Sofonisba, Lasciò la vita, e'l Regno: Lungo à dir d'Annibal, e di tant'altri Hor sarebbe noioso, ed io non deggio Tedio recarti, hor sien mie parti dunque Te sol pregar con più viuace affetto, Che'l pensier volgi à la guerriera impresa, Di liberar questa Cittade afflitta, Di consolar il popolo dolente, La mesta figlia, e l'altre donne imbelli, Che à l'hor si vedrà quanto Può bellicosa destra Di vn sommo capitan, cui scaldi Amore, Jl generoso petto, E quanto Amor sà fare in danno altrui, Garzon frà mille armati inerme, e nudo. Di me tanto prometto inuitta, e fida Sempre io sarò, nè cangerò mai stile, E quel fior virginal, ch'io serbai pure


Da le barbare mani, intatto, e puro Per te solo Signor, habbia serbato La mia dal nascer mio misera sorte, Sol fortunata in questo: Mà se non è di qualche grati a indegna, Se non è in tutto vil sì cara offerta Di mia virginitate in guiderdone, Chieggio à l'Altezza tua, e ne la prego, Che teco corra egual Fortuna anch'io; Me con recisa chioma, Con non più viste insegne, il campo veda D'arme vestita à guerreggiar feroce, E se tanto da te mi si concede, Qual, doppo la vittoria, ò Lidia, ò il mondo E' per veder più auenturosa donna? Caro à l'hora mi fia L'esser da quelle braccia il collo, e'l fianco D'intorno cinta: ò fortunati amplessi, Che mi faranno à pien lieta, e beata; Parrammi à l'hor, dou'è l'affanno, e'l rischio D'hauer per te pugnato a me s'ascriua A qualche merto ancor, che lieue, ò nullo, Oue con la regal alta corona D'vn tanto regno in lance egli sia posto, Ch'io non sia d'ogni gratia in tutto indegna.

Cub.Tù essendo d'inganni vn finto uelo, Chiedi, ch'uscir ti lasci



Femina imbelle al periglioso campo, Con sicuro pensiero Di rimaner trà mille spade estinta, Anzi, che amata preda Di mè tuo caro, e suiscerato amante: Conosco gli artifici, e non gl'approuo, A' la guerra d'amor, e non di Marte Te generò natura, à tè non diede Cotanto il Ciel, altr' armi, ed altro campo Hà destinato à le tue imprese Amore.

Lu.“Chiude tal volta Amore Ne' delicati petti Non men valor, che ne' robusti cori;” Trattai la lancia, e maneggiai lo scudo Ed hò frenato, ed allentato il morso A più d' vn corridor ne i gran perigli, Per questo Ciel, per questo Sol te'l giuro.

Cub.Come potrò negar ciò, che dimandi; Se'l mio voler teco hà congiunto Amore? Te sia dato il vestir l' vsbergo, e l'armi; Ma prima teco in proua Vn caualier de la mia Corte venga, Se'l vincerai, ti dò mia fede in pegno, Che tù meco commune habbi la sorte; Ma se vinta serai, tù mi prometti Di sodisfare à le mie accese voglie, E prigioniera, e vinta



Nel carcer del mio seno Ti sian le braccia mie dolce catena.

Luc.O di giusto Signor, giusta sentenza.

CHORO. QVal più feroce, e più ferino artiglio, Qual più pungente, e ben uibrato dardo, Qual più volante, e ben pennuto strale Sarà, che maggior male Faccia ne i cori nostri, Che non sia vile, ò frale, S'hauer vogliam rispetto A gli eccessi del mal del caro figlio De la bella Ciprigna; Che'l più tenero affetto Pria lusingando co'l seren d'un sguardo Si fà soggete l'alme, e i petti, e i cori Lascia trofei de' suoi penosi ardori. Figlio di quella madre, Ch'è pur figlia de l'onde, Ch'agirate da' Venti, Jnstabil sempre à gl'altrui danni sono. Cui mille, e mille squadre Di sospiri, e lamenti Seguono sempre in lagrimoso suono; Che tra'l vermiglio di vezzose labra



Nascondendo'l veleno, Mentre promette altrui più lieta sorte Altro non dona al fin, che rischi, ò morte. Questi ne i vaghi colli De' campi Elisi, ou'è'l sereno eterno, Trà mille fiori, e care herbette molli Nacque, mentre à la mensa De l'ambrosia sedean gli eterni Numi, Là, doue'l sommo Gioue Le sue gratie dispensa, Là, doue con quiete Sen viuon l'alme riposate, e liete; E sorto sì vezzoso, Si come egli era bello; Fù creduto pietoso; Mà dominò superbo A pena nato, à pena aperti i lumi, Non sol frà noi nel Ciel, nel mar, ne' fiumi; E non prezzando li figliali affetti, Feo la sua madre serua D'impudichi diletti, E sparso'l foco in Ciel, in mar, in terra, Fuggio la pace, e'n lui visse la guerra. Che marauiglia dunque, S'haurà potuto frà i tenaci nodi Di sue lasciuie, e frodi, Cinger il nostro Rè, che, qual amante,


Porga pregando altrui sospiri e pianto? Misero lui, ch'in tanto Già vecchio bambolleggia, e non s'auede Di questo graue errore, Ch'in bianco crin non ben campeggia amore.

Attamante, Araldo.

IN qual parte del mondo ima, e deserta, In qual più solitario horrido monte Homai cercherai tù di ricourarti Sfortunato Attamante? S'hoggi oscurar tù ti vedrai quel fregio, Che de la donna tua ti facea degno? Han congiurato à mia ruina i fati, Hanno à sdegno le stelle il mio ardimento, Del non commesso error port'io la pena. Hoggi scielto m'hà il Rè, perch'io sol deggia Tutta oscurar la mia Spartana prole, E sommerger in Lethe ogni mio fato, Ond'è celebre, e chiaro anco'l mio nome. Mi mette in proua in singolar agone Non già con donna, ò in chiuso campo auezza,



Od in aperto affaticar la destra, Ne' fieri vsi di Marte, Qual fù Zenobio, ò qual colei, che ardita Corse à la Babilonica ruina. Ahi, che quanto più innalzo i pensier miei, Tanto Fortuna più tenta abbassarmi; Vscir conuiemmi à singolar certame, Con donna auezza à la conocchia, al fuso, Cui d'un vsbergo, e d'un destrier fà dono L'effeminato Rè, che così voglio Hoggi Cubo chiamar; e se non fosse, Ch'ei di Celinda mia Padre è diletto, Non sò già come sopportar potrei L'ingiuria, ond'anco indegnamente offeso Meco è l'honor de la mia bella Sparta; Vò comparer ne la gran piazza inerme, Vestito sol di sopraueste azura, D'oro contesta, e de' bei freggi adorna, A guisa d'un bel ciel pinto di stelle: Testimonio al mio sol, che come porto Impresso dentro al cor il suo bel nome, Così farlo palese al mondo bramo; Che non sono men belli i pregi suoi De le stelle, e del Sol, ch'ornano il Cielo. Mà, lasso, oue mi spinge Troppo souerchio amore? Troppo fiero dolore?


Consentirò di venir dunque à proua Con vna donna, e rimarronne vinto? Ma non deggio vbedir al mio Signore? Entrerò dunque ne l'imposto arringo Tutto dimesso, ed in sembiante humile, Schernirò il van pensier de la donzella Vaga di fama, e pouera di merti; E vincitor de la mia vinta vn dono Al Rè farò, che ne mostrò desire. Jo sò ben quant'egli arda in chiusa fiamma, Nouo Etna, che su'l dorso hà neui, e ghiaccio, Ed vn eterno incendio il cor gli abbruggia. Ma qual sen viene hor fanciulletto Araldo, Vago d'aspetto, e di gentil sembiante, Jn barbaro vestir d'oro contesto, Cui pende al fianco vna ritorta spada, Che di Zagaglia arma l'ardita destra, Non men d'ardir, che di bellezze armato? Qual tù ti sia fanciul Nuncio, od Araldo, Che generoso in vista à me ti mostri, Onde vien? che riporti? e chi t'inuia?

Aral.Attamante di Sparta inclito, e chiaro, Jl cui valor à tutto il mondo è noto, A te mi manda la gentil guerriera, Di nobil arme adorna in campo vscita, Ch'impatiente è già de la dimora; Te solo aspetta, il popol ragunato,



Te solo i caualier stanno attendendo, Le Donne assise sopra l'alte loggie Aspettan di veder quell'animosa, Se nulla vale al paragon de l'armi, E lieto il nostro Rè più de l'usato Arride al bel pensier de la Donzella, Che troppo te di tua tardanza accusa, Che badi solitario disarmato? Quasi, che seco di venir in proua Sdegni tù à l'armi? e'l suo valor non pregi?

Atta.A colei, che t'inuia molle garzone, Molle di te non men, torna, e riporta, Ch'io non rifiuto il generoso inuito, Ch'ammiro il suo valor, non lo pauento, Che temo sol di sue bellezze i colpi, Non quei, che venir ponno Da la sua bella, e generosa destra, Quinci prendea dimora, Per non venir anzi, che in tutto chiusa Ella fosse ne l'armi, ond'à ferirmi Douesse pria con le sue luci accese, Dille pur, che tantosto sarò seco, Anzi à seruir, che à guerreggiar ardito.

Aral.Jo vò, ma ancora tù tosto mi segui.

Atta.Và, ch'io seguo i tuoi passi, e più non bado.

Consigliero. O' De l'huomo mortale instabil mente, Com'egli là fin soura il Ciel estolle Di Fortuna ad ogn'aura, Com'ei fuggendo il bene, al mal s'inchina. Onde soggiace la ragion al senso, Fatta del vitio la virtute ancella, Tiranneggia superbo al maggior Duce L'infimo seruo: ond'io piango tal'hora La cecità de le miserie humane: O' quant'egli à veder duro mi sembra Feroce minacciar l'instabil Dea, Al bel di Lidia insuperabil Regno, Quanto strano ad vdir, con qual portento Folgora del gran Gioue L'ira vendicatrice sopra'l Rege Di questo afflitto Regno, e per suo scampo Gli nega il preueder tanta miseria; Ond'ei nel proprio error più sempre cieco, Quasi Talpa infelice, il lume fugge. Ma doue fuggirai misero? doue, Che sempre à te non sia La tua propria conscienza



Vn tormento ne l'alma, vn tarlo al core? E ben ciò t'auerrà, quando ch'il Perso Hauratti vinto, debellato, e domo Toltoti con l'honor, la vita, e'l Regno. A l'hor la cecità da gli occhi tuoi, Per tua pena maggior, leuerà'l Cielo; Jl Ciel del nostro oprar giudice giusto, Jl Ciel, che à gouernar Popoli, e Regni Te soura gl'altri elesse, à la tua cura Ne comesse l'Imperio, ond'il guardassi, Come conuiensi à buon Pastor l'ouile; Ma come il guarderai, se ti sei dato Tù da te stesso al fiero Lupo in preda? Che ti torce, e trauia Dal diritto camin, ch'al ben ti guida? Donno, e tiranno del tuo cor Amore, Cubo, s'è fatto, e tù folle il permetti; E che men la ragion venga in suo seggio, Pargoletto fanciul te'l nutri in seno, Perche poi fatto grande egli ti sia Vn vorace Auoltor, che'l cor ti roda; Ma se te nulla muoue il proprio danno, Mouati almen lo tuo smarrito gregge, Jl Popolo fedele, i tuoi soggetti, Che t'honorar, che t'ubedir mai sempre. Ma soura gli altri la tua propria figlia, Ti stia nel cor, ah forse tù nol vedi;


Ch'è destinata preda al fier nemico? Doue tù inerme, e neghittoso pendi Da l'errante fanciulla Per ischermo d'amor d'armi guarnita: Mà qual aiuto può sperar il Regno, Qual gouerno i soldati, Se tù lor duce in otiosa sede Spettacolo amoroso al tuo nemico D'inutil giostra le Carriere osserui? E che prò t'auerrà, se colei vince? Pensi misero forse in quella guisa, Ch'à te ferì l'effeminato core, Ella sia per piagar, per consumare Il fortissimo essercito nemico? Ah voglia il Ciel, che mentre egli ti vede Tutto ne l'otio, e in vil pensier immerso, Non t'assalisca impetuoso, e fiero, Come sogliono e Borea, ed Austro irati Gonfiar l'onde marine, farle gioco De loro acerbi sdegni. Mà qual applauso, ò qual stridor m'intuona Fin quì l'orecchie d'aura popolare. Vinta è rimasa, ò vincitrice inuitta La donna del mio Rè, talè l'amore, Tal è la fè, ch' al mio Signor io deuo, Che proprij mi si fan gli affetti suoi,


E come eì sia dolente, ò in vista lieto; Simil conuien, ch'al mio Signor io sia.

Lucinia, Celinda.

Luc.DAl popolar applauso, e da la folta Turba de' maggior Satrapi del Regno, Che mi facea d'intorno ampia corona, E che cupidi gl'occhi in me girando Ammiraua hora il volto, ed hor la destra, M'inuolai tosto, che l'eccelsa loggia Del più vago ornamento io vidi priua, E quel spirto, che quì trasse'l mio Sole, Quel stesso trasse me, dal qual non credo, Ch'intercetto mi sia di pace in segno Finger nel bianco auorio vn dolce bacio. Caro bacio soaue, Esca del cor gradita, Fiamma de le mie fiamme, Cibo de la mia vìta: E cortese, e pietoso Tù porgi à i labri miei rose d'amore; Ma più pietoso, e fiero Man di le spine al core,



Ed accresce i tormenti A quest' alma, ch'in pene amando more, Il bel pallor, con gli interotti accenti. Signora del mio core, Rasserenate i lumi, Perche altrimente il duolo Mi cingerà di fosche nubi l'alma.

Cel.Jdolo del mio core, S'io piango amaramente, Il pianger fà, che lietamente io goda; “Sono figli d' Amore Il pianto, ed i sospiri, E ne i sospir, nel pianto Pargoleggiando viue Il possente Signor de' nostri cori;” E le mie gioie interne, Parto de' vostri honor, de' vostri merti, Mandan per gli occhi fuore Non già di duol, ma d'allegrezza il pianto: Godo nel rimirarui Me stessa innalzo, che Signor sì degno, Caualier così illustre al dolce giogo Mi guidi d'Himeneo pregiata sposa: Qual mai sù'l Termodonte Ammazzona superba imbracciò scudo, Bipenne maneggiò con tanta forza, Ch'al possente di voi braccio vguagliarsi



Possi, noua Bellona, à gli occhi mei?

Luc.Aggrandito, Signora, hà il valor mio Sol la vostra presenza, E da i vostri bei lumi Nacque tutto il poter di questa destra; Onde à ragion à voi conuiensi'l pregio Del conseguito honore: Mà hoggi vedrete, quanto A difesa del Suocero, e del Regno, A l'acquisto di voi contro se stesso Saprà hoggi Autilio maneggiarsi in campo.

Cel.Quanto temei, mentre il felon di Sparto A la terza caricra irato vidi Foco gettar da l'infiammate nari, E sdegnato chinar la lancia, doue Bramai questo mio sen scudo al periglio, Ed inuocai ben quattro volte, e sei Marte pietoso, e'l pargoletto Nume.

Luc.Non osa di ferir superba mano, Doue l'imagin vostra Scolpita appare da diuin Scultore.

Cel.Pullulò questo cor mille rampolli Di gioie vere, e di diletti interni, Mentre giù del destrier vidi l'ardito Spartano andar, opra di questa mano, D'armi non men, d'amor cara ministra, Ch'vn'Alcide abbattuto haurebbe in guerra,



E sol commune al mio gioir conobbi Del misero mio Padre il cor ferito, Sol con gli affetti esterni iua applaudendo La virtù inaspettata, il valor grande, Jl portamento, le maniere accorte Sotto quell'armi di gentil guerriera, Ed aggiungendo foco a'suoi pensieri Dolce esca aggiunge à l'amoroso foco.

Lu.“Dure leggi d amore Forzan d'amar non conosciuti oggetti; E sotto finte spoglie, Sotto mentiti panni, Nascondon vere fiamme,” Arde'l vostro gran Padre, Nè sò qual maggior sia, O' l'ardor suo, ò del suo ardor l'errore. Hoggi se n'auedrà, nè voglia'l Cielo, Ch'ei se ne sdegni, e cangi L'amor in odio, e forse Gli abbracciamenti cangierà in ferite: Ahime, lingua inhumana Ancor di parlar tenti, Nè vedi, che per te s'ange, e s'attrista Conuersa in duol la mia Signora amata? State lieta mia Dea, io ve ne prego, E'l bel seren del ciglio Girate in me amoroso,



Nè lo conturbin gli timori vani: Viurò co'l Padre à voi mio sol vnito, E con felice sorte Termineran le guerre, e i timor nostri. “Tal'hor il pianto suol mutarsi in riso. E da principio infausto Sortisce lieto, e fortunato fine.” Ecco'l Rè lieto, che ver noi sen viene Di mè forsi cercando, hor quì conuiensi Altro valor nel superar gl'assalti Di lui, che d'Attamante, lieta pure Ad vdir quanto dice, eccolo à noi.

Cel.Deggio partirmi, ò quì attenderlo anch'io?

Luc.Anzi ambo verso lui mouiamo i passi.

Cubo, Celinda, Lucinia, Choro.

Cub.IL vederti Lucinia in armi inuolta Tutta spirante viriltà nel gesto, Di ventillanti penne ornat'il crine In disparte trattar quì con mia figlia, M'hà in prima vista ripercosso il petto D'vn stimulo d'honor il più pungente, Ch'unqua à miei giorni habbi prouato mai, Quasi, che cinta di feminea gonna



Non t'hauessi veduta à gli otij, à gli agi Trà donneschi concetti; e pur è vero, Ch'à trattar l' asta, a maneggiar la lancia Sembrila Dea, che guida il carro à Marte; Ond' hai pur hor con tanta gloria vinto Lo Spartano guerriero Con stupor del mio Regno, e mio commune.

Luc.Come ne gli otij, e nel femineo manto Tua serua son, così ne l'armi inuolta Esser deggio, così à me legge impone, Legge d' amor, di seruitù, di fede, Nè con minor piacer sosterrei'l ferro Per tè nel petto mio (Se ben n vscisse l' alma) Di quello, che farei tuoi dolci, e cari E d' amorosi amplessi, e dolci inuiti.

Cub.Qual' huom, qual Caualier, qual Duce illustre Per lo tuo gran valor t'honoro e stimo; Qual donna degna del mio grand' impero T' amo, ti pregio, e non isdegno hauerti De la morta Regina in loco eguale, Qual mi fù cara, e riuerita sposa; Nè te vederò offesa Da le nemiche spade, Se per lor opra io non rimango morto.

Cho.O' parole d' amante, e di guerriero.

Luc.Rendati' l Ciel, Signor, di tanta gratia



Condegno guiderdon; ma quando fia L'hora bramata, ed aspettata tanto, Quand io potrò del fiero sangue hostile Jmbrattar la mia destra, e questa spada Spenga la sete, che mi fà sì ardente Di guerreggiar contro'l tuo gran nemico, Disturbator di pace, Seminator di guerra? Ma, che si bada? non si corre al campo? Jndugian tanto gli stromenti inuitti Del fiero Marte à risuegliar la gente, Che nel pigro ocio addormentata giace, Che mi fora noioso il sofferirlo? Dunque tant' osa vn credulo nemico, E lo sopportan queste eccelse mura? A l' esterminio, à le ruine dunque Andiam contro di lui, Signor inuitto, Che si liberarem da questo assedio A' primi incontri de le armate schiere, E cosi spero in Gioue alto, e sourano.

Cho.Secondi' l Ciel queste parole ardite.

Cub.O' di femineo cor inuitto ardire, O' soura human valor di donna altera, Pensat' hò anch'io esser laudabil cosa, Che presto, ed improuiso S' assalisca'l nemico, E pria, che la Regina de le stelle



Mandi à corcarsi il Sol ne l' Oceano, Vedrassi'l fin de la sanguigna guerra; O con la rotta del nemico nostro, O con lasciar morendo etern'il nome.

Cel.Dhe tolga'l Ciel per Dio sì tristi auguri, Alto Signor, e Padre, ed habbia Persia Con la morte del Rè fine à l'Imperio.

Luc.Così sarà Signor, e diuulgato Spanderassi di Lidia il nome, e'l vanto Per tanto generoso abbattimento.

Cho.E noi in atto humile, Cui non lice grauar di ferro'l fianco, Starem pregando li celesti Numi Per la certa vittoria, che ben spesso “Gradisce'l Cielo l' humilta de' cori.”

Cub.Già deuon esser i soldati in pronto, Ei resta sol, che ce n'andiamo al campo Di fino acciar guarniti A satollarsi del nemico sangue.

Luc.Trà tuoi fedel consorti m'haurai fida, Difenderò co'l mio quel Regio petto, Che ferito d' Amore Per questa, qual si sia, poca bellezza, Non deue, e con ragione Esser piagato da profani strali; E se'l goderlo à me sola si serba, Jo sola deggio, e voglio,



E custodirlo, e conseruarlo intatto Da le nemiche mani, E con sì bel pensier, non poca forza Spero dal Ciel, spero dal Dio de l'armi.

Cho.Assai sperar conuiene, “Ch' ou' è l'ardir, iui la forza regna.”

Cub.Tù con Celinda à ristorar n'andrai Le sofferte fatiche De la passata giostra, Mentre ch'io grauerò gli homeri, e'l fianco D' vn'honorato incarco, A' qual forse non fù pari, ò simile Quello, che maneggiò su'l fiero Xanto, L'inuitto, generoso, e forte Achille.

Luc.Così farò, Signor, e non tantosto Vestite m'haurò altr'armi, Ch'à Fortuna commune io sarò teco.

CHORO. O' Fasti, od alterezze. Pretension superbe, Ch'il cieco mondo à nostri giorni apprezza; O' dannose bellezze, Che succhi amar ingrati Coprite sotto il manto di dolcezza; Così veggiam frà l'herbe Jl serpente homicida



Nascoso star, perche trà frondi, e fiori, L'incauto Pastorel mordendo vccida. Sotto vn leggiadro viso Fingete vn vago Cielo, A cui due soli dian splendor, e lume, E cieche, e senza lume Nostre cupide menti Non osseruano i suoi raggi cadenti; Cadon, qual dal suo stelo Cade maturo fior, che ceda al frutto; Al pianto cede il riso, Ed al languor gli ardori, E da le guancie smorte: Amor sen fugge, e sol trionfa morte: Sotto due vaghi lumi Frà mille fior, di cui le guancie sparte Sembran le piaggie Iblee, In rileuata parte Formate vn picciol giro Di bei rubini ardenti, A cui cedon le gemme, ond' arde il seggio Del figlio di Latona; Trà cui ad arte scarse Bianche perle lucenti In ordin vago à noi dimostra Amore, Quì stà prigion il core, Di quì nascono i fiumi,


E de le gioie, e de' tormenti nostri, Di quì sorge il sospiro, Quì si nutre la speme, Esca gradita de gli amanti spirti, Quì nascon le parole, Che legan più d'ogni possente laccio, Quì veggiamo trà gli ostri Star le gratie danzando, Ma miseri noi, quando Più speriam di goderle, Si mutan gli ostri in pallide viole, E'l bel purpureo manto Cade qual rosa da l'ombrosa siepe: Se'l bel Pastor d' Anfriso Tuffa le bionde chiome Ne l'Ocean, onde ci fura'l giorno, Di nouo sorge, e ancora Con le dorate briglie Regge il Corsier sù l'infiammato Carro; E se la bella Aurora Ci asconde il vago viso Di nouo vien co' suoi lucenti crini A scacciar le stellate auree famiglie; Ma se bellezza fugge, More, nè più s' auiua, Qual giglio priuo de l'herbosa spoglia. Trà le guancie fiorite,


De la bella Lucinia, Trà le fiamme gradite, Del nostro Re, trà l'amorosa voglia S'asconde'l serpe, che gli vccide l'alma, E la corporea salma Non ben s' auede, che'l creduto bene De lasciui desiri, E d'amate bellezze Fugge, qual lampo, e al suo fuggir s'en more Quanto piacer hà nel suo regno Amore.

Consegliero solo. NOn più questa regal sublime stanza Par la Reggia di Cubo, quella Reggia Che d'una mai non interrotta pace D'anni lunga stagion l'otio hà goduto; Quell' horrida spelonca ella rassembra, Che da l'vn capo di Sicania sorge, Cui die'l gran fabro di Vulcania'l nome, Doue i fieri Ciclopi Suoi feroci ministri opran gli incudi Per rinfrescar l'aspre saette à Gioue A' scieglier armi, ed adornar corsieri Molti intenti tù vedi, altri non meno



D'elmo, e di scudo armar il capo, e'l braccio; Altri il suo ferro à dura cote aguzza; S'addatan altri à maneggiar bandiere; Ed altri più pomposo Di soprauesta, e di cimier s'adorna; “E son questi ornamenti, e questi fregi Del bellicoso Marte Nunci di duol, veri trofei di Morte.” Quà s'odon de' Caualli i fier nitriti, S'ode colà di mille trombe il suono, Ch' altri destano à l' armi, ed altri al pianto, D' ogni porta il Palagio, e d'ogn'intorno Versa l' ampia Cittate armi, ed armati; Le care mogli, e i pargoletti figli Son debil freno à le feroci voglie, “Ch'oue di premio, e speme Non cura'l volgo d'arischiar la vita, E chi di nobiltà chiaro risplende Morte non teme, oue l'honor s'acquista.” Ogn' un così trauaglia, ogn' vno spera Degna del suo valor palme, e mercede, Da l' altra parte le nemiche Trombe A le fatiche del grauoso Marte Jnuitano i soldati, e sopra gli altri Parmi veder lo spauentoso Fulco A dar ordini, e leggi à le sue genti. Dhe piaccia al Rè de gli stellati giri,


Che frà la turba de le armate squadre Jl Prencipe di Persia hoggi si troui, Quì bramato risorga, E sottragga la Lidia al duro incarco Di non douuta irragineuol guerra; Ma qual fuor del Palagio eletto stuolo Vscir vegg'io di bellicose genti, E seco il vecchio Rè? come pur forte Giouin atto à i sudori, armato appare? Vuò ritrarmi in disparte, e quindi vdire, E notarne i disegni, e gli andamenti.

Cubo, Lucinia, Alcandro, Soldati, Consigliero, Choro.

Non men ne la ragion, ò miei fedeli, Che nel vostro valor speme ripongo D'honorata vittoria, s'argomento Prender poss'io da quel viuace ardire, Che ne' più bassi ancora Non men, che ne' sublimi acceso io scorgo.

Alc.Hauess'io mille braccia Per poter trar con mille spade il sangue A gli nemici nostri, Augusto sire.

“Ch.Vn generoso cor ben spesso suole



Prestar al corpo vigorose forze.

Cub.Volesse'l Ciel, che dieci tali hauessi Pari à te di virtù, d' animo inuitto, Ch'al solo primo assalto il fier nemico Preso, e morto vedrei, la guerra estinta.

Alc.Sarà'l mio sangue degnamente sparso, S'io verserò frà le nemiche spade In prò del mio Signor l' anima insieme.

Cub.Ed io voglio sperar, che la mia mano A miglior tempo, e con più lieta sorte Daratti'l guiderdon d' opra cotanta,

Con.E doue, ò mio Signor, senza'l tuo seruo? Anch'io voglio commun teco la sorte, O ci prometta Marte alta vittoria, O illustre Morte ne predica'l fato

Cub.Cinto da questi mei forti Campioni, Non men d' ardir, che di valor armati, Oue chiama'l nemico hora m'inuio; Al prudente tuo senno io dò in gouerno La mia figlia, i tesori, e la Cittade, Tù da i nemici lor guarda, e difendi, In mia vece qui reggi, e doue morte Fosse prescritta à la mia vita in Cielo, Od oscura prigion, di mè pur segua Ciò ch'è fisso là sù, godrà'l mio core, Ch'al consiglio, al valor, à la tua fede Restino in vn la figlia,



La Cittade, e i Thesori.

Con.Che saprà far senza di te mio Rege Pouero vecchio sconsolato, e solo? Come viuer se'n può corpo, che langue. S' in cui l'alma rissiede, il cor l'è tolto? E come'l tuo bel Regno Senza tè, che'lcor sei, può star in vita? Dhe vadino i soldati al graue rischio Del Martial assalto, e'l loro Duce Lontano dà i perigli altrui dia leggi, E i Capitani suoi Oprino con la man, egli co'l senno: Può ben l'Altezza tua, tai son le forze De gli esperti soldati, e del tuo Regno, Se non certa vittoria, horribil strage Sperar de' tuoi nemici; à maggior vopo De la figlia, e del Regno Serba l'inuitto ardir, serba te stesso.

Cub.Mancar non lice, ov'io giurai, vò girui, Ne la ragion, e nel valor confido, Ne la viuacità de' miei soldati:

Cho.O' noi auenturate, O' popolo felice, Cui di seruire à tal Signor è dato.

Cub.Resta tù qui mio caro, e fido Amico Tocchiti qual si voglia esser herede D'annunci fortunati, ò d'infelici.




Luc.Esser potria Signor, forse anco herede De la testa di Fulco.

Cho.Tù parti, ò saggio Rè, e d'armi cinto Ne la piazza di Marte Vuoi mercar palme, ed acqui star trofei: Felice sorte à te comparta'l Cielo.

Con.O mio dolce Signor, perche concesso Non è di morir teco al tuo fedele? Sò, che questi occhi miei spargeran, quante Tù sei per versar fuor goccie di sangue, Tante stille di pianto: Mà sin ch'io posso vuo mirarti, ò caro, O mio amato Signor, che contra à rischi Tù vai de l'aspra morte. Ah ben chiaro'l preueggio, e sò di quante, E quali forze il Rè nemico abbonde, Il barbaro inhuman, che gonfio ancora Sen' và, ed altier de la vittoria hauuta Contra il Crudo Ottoman, ond'arricchito Hà la Persia di forze, e di tesori, Ch'inespugnabil hoggi di rasembra. Troppo à sicura morte, ah troppo veggio Ir l'infelice Padre De l'afflitta Celinda; Mà deh, ch'altro poss'io fuor, ch' vbedire Al mio Signor, sarà difesa e scudo, S' altro più non potrà questo mio petto,



Contra l'arme insolenti A la figlia, à la Reggia, à i suoi tesori.

Cho.Tanto ci attrista il lagrimoso vecchio, Che da nuouo timor vinte, ed oppresse, A noi fà distillar in pianto i lumi. L'acerbissima doglia.

Nutrice, Armilla, Choro.

Nut. O' Del nostro riposo inuido Amore, Tù pur sei la cagion de' nostri mali, Empio Nume d'Auerno Per li fecondi campi De' nostri afflitti cori, Seminator di pene: Tù con l' accesa face Del cielo nò, mà de sulfurei fiumi Spiri ne l'alme altrui fieri tormenti, Nemico d'ogni bene, Cieco, ch'ogn' altro accieca, Inesperto fanciullo, D'ogni ragion alfin spogliato, e priuo. Tù de gli altrui voleri Homicida, e tiranno Trà singulti, e sospiri,



Trà lamenti, e querele Tieni il tuo seggio, e i tuoi seguaci affreni Hoggi ben mille schiere Per te pur versaran riui di sangue, E mille riui, e mille Di lagrimosa pioggia Da bei lumi dolenti Versa per te la mia figliuola amata.

Cho.O Nutrice, ò Nutrice, Con qual dolente suono Ci desti l'alme al duolo, e gli occhi al pianto? Dhe narra la cagion de' tuoi lamenti.

Nut.Piango, che in van procaccio Nel maggior vopo à la mia figlia aita. Dentro à la più segreta; e chiusa stanza Sola s'è ritirata, Se non quant'hà compagno il pianto, e'l duolo, Quiui si suelle il crin, si batte il petto, Percuote palma; à palma; e voci esala Dal profondo del cor flebili, e meste, Che desterian pietate in cor nemico.

Cho.Tù sosterrai, noi sosterrem, che in pianto Si consumi colei, che à noi da vita? Ah non per Dio Nutrice, vsa tù ogn'arte Per scacciarle il timor di questa guerra; Mà chi veggio venir sì fretoloso? Questa è donna di Corte, e parmi Armilla.




Arm.Dentro il Palagio il consigliero irato Cerca di te con sì terribil modo, Ch'io pauento, ò Nutrice; Egli la Principessa in chiusa stanza Trouat'ha incrudelir contro se stessa, Sforzò le porte, aprille, ed al rumore Tutte trasse le donne, e le donzelle, E che tù non v'accorri, hà graue sdegno; Perche incapace de' conforti altrui Cerca solo à la morte aprirsi il varco, Vieni, che con gran fretta egli mandom Di te cercando, e ben di tua presenza Fà mestieri colà, doue dolente Stassene, e disperata La Prencipessa, e nullo v'ha, che vaglia A' consolar i suoi martiri acerbi:

Nu.Ben mi predisse il cor quanto mi dici.

Cho.Eccola, ò quanto ella è dolenle, e mesta.

Arm.Resta seco Nutrice, ch'io mi parto.

Nutrice, Celinda.

Nu. O' Figliola, ò Signora Così dunque volete In lagrime, e in lamenti



Tutte di questo giorno Passar l'hore piangendo? “Non si sceman co'l pianto Le mondane miserie;” Grande è il vostro dolor, alta cagione A lamentar vi tragge; Mà non già sì, che non habbiate ancora A mostrarui più forte Di qual si voglia femina del volgo; “Che spesso à gli animosi Suol dimostrarsi più benigno il Cielo;” Ed esser animosa Degno è di voi, cui regàl manto cinge Le belle membra, e gran corona il crine: Così vi sono vsciti hoggi di mente J paterni ricordi? Voi d'vn tanto Signor vnico germe Ne le fortune ree vi disperate, Si che fate à voi stessa oltraggio, ed onta? Perdonatemi ò figlia, Con cotesto dolerui Voi passate ogni segno, Non dirò di Regina, Mà di Donna volgare, Che de la mobil aura anco pauenti. Eh figlia, discrociate homai le mani, Rasserente i lumi, e date segno


D'esser pur viua, e non marmorea Jmago; Che più far potria, s'inanti à gli occhi Essangue il genitor vedeste, e morto Jl caro sposo, e libertate, e Regno In vn punto perduti. Pianger il padre, e sospirar lo sposo Non vi si vieta nò, mà se pensiamo, Che vn generoso ardir ambo gli hà tratti Per sicura vittoria à vn tanto Marte, Consolar ci douiamo, e creder certo, Che tanto lor ardire Sia gran presagio di felici euenti: Fate torto à voi stessa, Disobedite al Padre, Mancate al caro sposo, Nel suo tanto valor, ne la sua fede Così poco fidando, e pur ad ambo Generos'alma, inuitto cor giuraste Sempre mostrar, ouunque habbi à cadere, O buona, ò rea, la non mai stabil sorte.

Cel.Ti par dunque Nutrice, Ch'opra indegna di mè, per mè si faccia, Se con lagrime, e segni D'espresso duol celebro vn tanto, e tale Giorno fatal, doue sì grave è'l rischio? Ti sembro dunque sì di senno priua; Che per lieue cagione



Jl Regio sangue, e'l titolo Reale Voglia porre in non cale? E con assimigliarmi A vil donna del volgo, Con cui ben cambiarei, Per misera, che fosse, Il mio infelice, e lagrimoso stato; Credi dar tregua al mio tormento eterno? E di che può dolersi Donna fin da le fascie A' le miserie, & à i disagi auezza, E ch' altro da sua pouera fortuna Prescrittole dal Ciel al suo Natale Potrà per tutto di sua vita il corso Sperar fuor, che i disagi De l'humile stato? Dou'io, cui fù dal Ciel prescritto il Regno, Che vita felicissima, e tranquilla Di mia virginità lieta, ed altera Hò co'lmio genitor trè lustri in pace Vissuto, oimè, ti par, che di souerchio Mi dolga, e mi quereli? Io, che priua mi veggo Di tanti beni, ond'io viuea felice? Ahi, come prato del suo manto adorno Di prouido Pastor da l'empia falce, Vedrommi d'ogni honor, d'ogni ben priua,


E fia il duolo souerchio, e vano il pianto? Felicissima Donna, Ch'in humil sì, mà in dolce stato nata, De le venture sue sola ministra, Lietamente ella gode Jn pouera fortuna Pacifico riposo Jn tetto humile, oue più Amor s'annida Securo otio amoroso; Dou' io ne i gran Palagi, Frà i superbi tesori Sento, che per digiun vien meno, e langue L'animo tormentato; Donna volgar non teme Gli assalti di fortuna, Jl desio di regnar non la tormenta, Nè l'vmiltà natia viue contenta; Non è'l suo honor, qual viua face, esposto In eminente loco; Mà qual in chiusa stanza picciol lume, Che da gli occhi d'ogn'vn s'asconde, e cela; Perciò continuo tarlo D'aspra cura d'honor rado, ò non mai Le và limando il core, Nè gli effetti d'Amor le turba honore: Ella se d'alcun ben quantunque lieue; Vede gioir sua pouera familia;


O quanto più ne gode Di eccelsa donna, à cui doni cortese I maggior ben con larga mano il Cielo; Non è s'erra tal'hor, ch'ella pauenti Gustar ne' vasi aurati empio veleno; S'ella vuol tutto lice, Sol per esser negletta ella è felice; Sua bassezza l'affida, e l'assicura; Nè perche è vile altri l'osserua, ò cura; Mà me misera ouunque i' mi riuolga Hò da fieri tormenti il cor oppresso; Veggo l'amato Padre Trà i perigli di morte, E questo Regno d'ogn'intorno cinto Da potente nemico, E lacerato ancora L'honor prima Corona del mio crine, Gemma d'alma ben nata, Candido fregio vn tempo De l'hor perduta mia cara honestate, Con vn infame acquisto Del già crescente frutto Nel mio misero ventre, ed haurò donde Jo viuer deggia, e consolata, e lieta? Io l'amato mio sposo vltima speme, Ch'è sol de'miei pensier meta infelice, Vedrò frà mille spade, in mille lancie,


E potrò viuer lieta? Tant' alme, che per me varcheran hoggi Sù la barca di Stigie il Rio di Lethe, Per far Tragitto al Regno oscuro, e tetro, Non denno anco destar entro'l mio core Horror, tema, e pietà? Non hò cagione Dunque d' incrudelir contro mè stessa, Come di tanto mal sola ministra?

“Nut.Di grand alma è gran segno Spesso il vincer se stesso; Mà ceder al dolore, Segno è di poco core.”

Cel.Duolmi, che debil cor sia vaso angusto A' così estrema doglia.

“Nut.Riceue il cor in se tutti i dolori, Tutti i pensieri insieme, Come riceue il mare Da i rapidi Torrenti il suo tributo.

Cel.E come il mar tal volta Pregno di se medesmo Somerge il lito, e i campi Alzando i flutti al Cielo; Così gli humani cori Somersi ne gli affanni, Suiscerandosi esalano d'intorno Di sanguinoso duol torbidi fiumi; Et innondano i campi



De gli occhi, e de la faccia E gli ingombrano intorno D' atro pallor di morte.

Nut.Dunque fia il vostro fin solo di morte?

Luc.Non altro.

Nut.E vi par poco?

Cel.Poco per preseruare il Padre, e' l Regno, Per serbar bella fede al caro sposo, E per tener celato Jl mio fallo amoroso.

Nut.Ahi, che la vostra morte Vcciderebbe il Padre, e l caro sposo, Nè viuer può con queste morti il Regno.

Luc.Se Cirugico esperto Vede in corpo gentil membro, che langue; Perche l' infetto sangue Morendo per le vene Con l' altre membra non offenda il core, Presto al rime dio corre, E quella offesa parte anzi, che offenda Con ruina mortal tronca, e diuelle; Io del Padre, e del Regno infetto membro, Merto d' esser recisa, E'l Cirugico pio sia la mia morte.

Nut.Suol far simili effetti Medico disperato di salute In corpo moribondo; Mà se lo vede tale,



Onde possa sperarne anco saluezza, Tenta ogni medicina Prima, ch' à tanto rischio ei si risolua: Io già non stimo à questo sì bel Regno Tanto mortale di fortuna il colpo, Che quando man pietosa De l' eterno motore Le voglia sol prestar cortese aita, Ch' egli non si rissani, Senza diueller voi membro più degno.

Cel.A chi sarà piagato Da tanta auelenata, Et horrida ferita, Medico soura humano Non vorrà dar aita.

Nut.Anzi per più mostrar somma pietate Darà tosto salute A quelle, ch' altri stima Insanabil ferite, Parmi veder dal campo vna gran turba Venir d' huomini armati, Che al barbaro vestir sembran nemici.

Cel.Son Persi, io li conosco, il Ciel m' aiuti.

Nut.Mà se pur non traueggio, e son prigioni Ne le forze de' nostri, e son legati.

Cel.E sembran d' alto sangue, à quel ch'io veggio Riccamente guarniti.

Celinda, Nutrice, Alcandro, Armino, & Itaco prigioni, Choro.

Alc.ALta Signora, il mio Signor m'inuia Nuncio felice; à voi men vengo, e porto Di salute, e di gioia Messaggi felicissimi, e son questi Del valor di Lucinia Gloria del nostro campo inuitti segni Duo superbi prigioni, Arminio l'vno De la minor Selandia vnico germe, Prencipe generoso, Jtaco l' altro Del campo ferocissimo de' Medi Duce souran, nè puote in questi tempi Più magnifici doni, ò più bramati Riceuer vostra Altezza, egli mandarui.

Cho.Per certo il disperarsi, “E promettersi il male De gli euenti futuri;» E' vn voler, come al buco D' oscura notte entro à minuta arena Cercar gioia perduta. Come à donna reale, à voi m' inchino, Vergine gloriosa,



Se qual seruo, ò prigione Volse la mia fortuna empia e nemica, Che cattiuo foss' io io, ch'in dono à voi Fossi mandato, eccomi quale à punto Forse mi desiaste Frà duri ferri auuinto; Mà d' ogni indegno laccio il cor disciolto.

Itaco.Generosa Signora, io pur humile, Quanto al vostro regale alto cospetto Conuiensi à voi ne vengo Cinto da indegno nodo, Dono de la fortuna, ah non già dono Che dal valor de' vostri hoggi v' auuenga, Ordinate di noi ciò, che v'aggrada, Che con inuitto cor stiamo attendendo Da la bocca di voi Generosa sentenza.

Cho.O che degna presenza. “Anco ne' lacci auinto Vn regal corpo splende.”

Cel.Sallo il Ciel, se mi duole Di vederui prigioni Prencipi generosi, Vsi à gli scettri, e al comandar altrui; Conosco al sangue Regio, à i merti vostri, Quai modi di trattar grandi, & Jllustri Siano douuti; Ah tolga il Ciel, che honori



Di voi torri, ò prigioni, ò luoghi humili, Nè ch'io vi voglia à l'obligo soggetti De rei commune; entro il Real Palagio Ite liberi, e sciolti Di seruitù, d'honor degni di voi Sianui effetti prestati, io così voglio.

Itac.O d' indiscreto padre Discretissima figlia.

Cel.Non credete però, che trà me goda, Per vederui prigioni, Questo Martial principio à noi si caro, Voglia'l Ciel, che nel colmo Di fauoreuol Marte Non pieghi, & non declini in ver l'Occaso Di fortunoso euento.

Itaco.Saggiamente auisate, Che ancor potriano i Persi, C' hanno desio di gloria, e cor inuitto, Destar le loro forze A gran danno de' vostri.

Nut.Se fù lieto'l principio Sperar conuien più fortunato il fine.

Cel.Quello che'l mondo immobilmente moue Faccia quanto hà prefisso Ne la grauida mente O di buono, ò di reo, c'hoggi sortisca; Fra tanto entro'l Palaggio



Fate Alcandro, condur questi Signori, E porli in libertade; Ne le stanze reali Faccino il lor soggiorno, E sian lor dati camerieri, e serui Degni de' merti lor, ch' io quì frà poco Attenderouui, e al consiglier si mostri Anco il don generoso.

Arm.Si ne scioglie i legami, e non si lega Con catene inhumane, Per legarci con nodi aurei d'intorno Vostro animo regal per tanta gratia; Oue ne scioglie i corpi Di più possenti lacci Ci lega l'alme; e i cori, E' n vece di prigioni Le viueremo schiaui; Render le gratie à lei, Che ben riconosciam, hora c' è tolto; Ma s'auerrà giamai, che queste mani Faccino cose, che di voi sian degne, Vostra la gloria fia, c'hor le serbate Da gli inhumani ceppi.

Cel.Chi fà ciò ch' egli dè mercè non chiede.

Nutrice, Celinda.

Nut.SOn questi segni, ò figlia, Di future sciagure, ò son pressagi Di felice vittoria? ancor piangete? E qual fuggito Augello Da l' indiscreto laccio Di cupido fanciullo anco temete Fidarui à saldo ramo Di felice speranza? Qual più stupendo dono Dal caro amato sposo Venirui hoggi poteua? Qual più verace segno Del suo valor poteua egli mostrarui? Ah' che qual Pellicano, Che del suo proprio sangue Nutre gli amati parti, Voi de' propri dolor de' propri affanni Date alimento à l' alma; E come d' altro cibo Ei non vuol mantenerli, Voi d'altro, che di pene, e di dolore, Negate cibo al core.




Cel.Così Natura insegna, e così inclina Quell' Augello amoroso A farsi esca de' figli; Cosi l' alte cagion de' miei tormenti Chieggion, che di mie pene io mi nutrisca.

Celinda, Alcandro, Soldati.

Alc.COme ordinommi à punto Jn man del consiglier diedi i prigioni, De' quali egli hà disposto Conforme al suo voler; s'altro Signora, Comandarme le aggrada, Faciolo, che conuiemmi Tornar di nuouo à l' hoste Con quel maggior desio, c'hoggi richiede Vn principio sì degno, e fortunato.

Cel.Io desio di saper distintamente Con qual principio dal fauor di Marte Hoggi fosse protetto il nostro campo; Come siano venuti i due prigioni Ne le forze de' nostri.

Alc.Mentre erano ordinate e quindi, e quinci Da saggi Capitan le armate schiere, Mentre fea di sue forze, e di sue genti



L' vn essercito, e l' altro altera mostra, Onde stupor, vaghezza era à vedere I superbi destrier, gli alti cimieri, Jl riflesso del Sol ne' tersi scudi, Ne l' armi rilucenti, à punto quale Tal hor suol percotendo Jn splendente cristal co' raggi d'oro, Che da splendor souerchio il lume offeso Non può fissarsi in lui. Videsi vscir da le nemiche Tende Frà più scelti, e più grandi il Rè de' Persi, Tutto fuor, che la testa, Superbamente di ricche arme adorno, C'hor con questo, hor con quello augusto giuo Compartendo i consigli, e le ragioni: Quand' ecco ogn' vn de' nostri Con lieto applauso, e riuerente affetto Humilmente inchinarsi Venir veggendo il nostro Rè ne l' armi Inuolto anch' egli, e comparir superbo In mezo à forte, ed honorata schiera De' Duci, e de' più grandi Del Regno, e de l' essercito; al suo fianco Sempre è Lucinia, à lei sol tanto è dato Sopra vn bianco destrier Guerriera ardita, Miraua ella ammirata Cinta le molli membra in duro acciaio,


Trà gli horrori di Marte il suo bel volto Le vaghezze di Venere scopriua, Minacciando à nemici Jntrepida in sembiante Vibra co'l sguardo sol ferite, e morti: Hor, mentre ogn'vn de' Caualieri, e Duci Humile al Rè s'inchina, & egli à loro, Rende humano il saluto, ei fà dar segno Al Martial assalto; S'odon tosto sonar trombe, e tamburi; Gridasi à l'armi, à l'armi ogn' vn risponde, Ed iterar à l'armi Echo si sente; L'vn essercito, e l'altro Muouonsi con quell'impeto, e furore, Che piombando quà giù folgor dal Cielo Abbatte ruinoso arbori, e Torri; Già si meschia la pugna a' primi incontri, Già si veggon lasciare Altri à forza i destrieri, altri la vita: Hor, mentre si trauaglia, e si combatte Con pari Marte, ecco che infesto à tutti Mirasi per lo campo il vago Arminio, Di cui non v'hà, che porti arme più ricche; Soura vn destrier superbo, Che morde il fren superbo, e zampa, e sbuffa Da le aperte narici ira, e veleno, Di barde armato, e vaghe piume adorno;


Hà l'inuitto guerrier da l'vn de' lati Pendente vn'arco aurato, vna faretra Di Cretense lauor purpureo panno Veste di seta, e d'or tutto contesto; Vassene soura gli altri in vista altero, Gran lanciator de' dardi, e ben li vibra Con mano più d'ogn'altra esperta, ed vsa: Lucinia, che lui sol vede fra tanti Sì riccamente armato, e sì superbo Portar con ogni colpo altrui la morte, Tosto l'entra in pensier, come costui Faccia del suo valor degno trionfo: Vaga di vagheggiarlo à lui s'accosta; O' chiunque tù sia, poscia gli dice, Caualier, che del pari inuiti à l'armi Co'l tuor valor, con le tue spoglie à preda, Teco de le mie forze in paragone, Io, che qual' huom, ben che sia donna, e molle, Vesto frà queste schiere elmo, e lorica, Bramo venir; nouo desio m'accende D'hauerti prigionier ne le mie forze, Per far dono di tè poscia non vile, A chi per seruitù deuo, e per merti, Così parlò quegli al parlar altero, Che subito destò dentro al suo petto Con inuito di pugna aura di sdegno, Tosto riuolto à lei, sù l'arco teso


Incoccato lo stral, senz'altro dire Tende quanto può forte il neruo, e vibra La volante saetta in quella parte, Oue disegna far mortale il colpo; Mà lo riceue la Guerriera ardita Su'l ricco, e terso scudo Di finissime tempre, e pur non gioua, Si ch'ei non passi, e non penetri à l'armi, Per cui ne paruer quasi ad arte sparse Di vermigli rubin pompose stille, Che da piaga leuissima di sangue Tosto spicciar; Lucinia il vede, e d'ira Bolle, infuria, ed auampa, e si gli dice, Hor si vedrà se sà vibrar equali Colpi vna donna, al lanciator de' dardi, S'ei schermir sen saprà, cosi dicendo, Mentre ei vuol incoccar lo stral secondo, Veloce con lo stocco Sì fieramente andò à ferirlo à l'elmo, Che stordito chinar fel sù l'arcione; Nè ben paga di ciò presta, & ardita Replicò'l fiero colpo, al qual si vide Impallidir Arminio; Non versò il sangue nò, mà ben essangue Parue à gli atti, al color, nè più reggendo Co'l spirto afflitto gli smarriti sensi, Giù del destrier cadeo, battendo'l fianco


Soura'l duro terren, al cader suo Scese Lucinia, & affrettossi, e corse Là v'ei giacea, slacciogli l'elmo, e vide, Ch'ei pur viuea, onde così gli disse, Eccoti, ò Caualier, eccoti homai; Nè'l puoi negar, ne le mie man tua vita; Ma vuò però, che da la stessa destra, Da cui soura'l tuo capo Scese il gran colpo, anco pietà discenda, Sì parla; e mentre solleuarlo intende, Ecco Jtaco venir Barbaro, e fiero, E lei sfidar, che l'homicida crede Del già caduto Arminio, à morte acerba, Ella venir impetuoso il mira, La custodia d' Arminio à me commette, Che quasi semiuiuo anco à le tende Fei traportar, fei custodir, e'n tanto, Che con nouo soccorso à lei ritorno Con Jtaco la vedo in fiera Ciuffa, Stilla da l'armi in più d'vn loco il sangue, Ma quelle del Pagan son già vermiglie; Corre precipitoso, e con la spada M'apro la strada, si che tosto arriuo, Non bramato soccorso, al graue assalto, Alzò la destra, e'l Barbaro feroce Cred'io ferir, ma la guerriera inuitta Magnanima in suo cor, non men, che forte


(Marauiglia à ridir) su'l proprio scudo Tolse il mio colpo, e poi con bieco sguardo A mè riuolta, disse, esser vogl'io, Come sola à la pugna, à l'honor sola, Tù da mostrar troua tue forze altroue, E replicando al suo nemico i colpi, Jn breue spatio lo condusse à tale; Che difendersi homai nulla poteua; Ella grida, che ceda, e si dia vinto, Egli ricusa, ella l'incalza, al fine Vinto riman ne la vittoria inuitto, Ch'anzi eleggea morir, che d'vna Donna Vinto chiamarsi à tutto il campo à fronte; Cosi venne in poter de la Donzella Il feroce Campion, ella à me volse, Che con Arminio in guardia egli si desse; Perche ambo à vostra Altezza Fossero per mia man in don recati. Jo quì ne venni, altro di più narrarle De la pugna, ò del campo io non saprei.

Cho.O generoso ardir d'inuitta Donna D'opere soura humane, e memorande.

Alc.Voglio andarmene al campo, e spero tosto Tornar lieto Messaggio Di felice vittoria; Se altro ordinar le aggrada, Eccomi ad vbedirla.




Cel.Altro sol, che Lucinia Salutate in mio nome, e ringratiate Del generoso don, del gran fauore, E dirle, che da Marte io le riprego Compita sorte al Martial principio; E che qual mi promisse, al Padre sempre Stia vnita ne i perigli.

Alc.Tanto farò se ben fora souerchio Il dubbio, & il ricordo Ou'è fede cotanta.

Corimbo, Consegliero.

Cor.IL dono, che dal campo Ha mandato Lucinia, Può dirsi, che sia stato Vn viuo lampo de la sua virtute, Vn chiaro raggio del valor de' nostri, Vna grand'arra di vittoria certa.

Con.Si come il lampo suol co'l suo splendore, Che nato à pena muore, Minacciar rinascendo Nembi d'irato Ciel, d'aspre tempeste; Temo non siano i due prigioni à punto,



Come lampo comparsi Di morte, e di ruine empi Messaggi.

Cor.Di minacciante Ciel è sempre il lampo Nuncio funesto al mondo, E pur da Ciel sereno, Da fauoreuol Marte, Balenò'l lampo fuori, Dietro à cui non ancora Son comparse le pioggie, ò le tempeste, Nè de morti, ò feriti alcun s'è visto.

Con.Se doppo'l lampo, i tuoni Nascono, doue'l Ciel rimbomba, e freme, E spezzando le nubi il folgor piomba; Così nel campo combattendo l'vno Essercito con l'altro à poco, à poco Balenando, e tonando, Minacciando, e ferendo, Tanti ne restan morti, Che sbattagliato al fine Conquassato ei ne resta, e come in somma Vn folgorato Tetto, ei cade à terra.

Cor.Spesso hò veduto ancora D'imperuersato Ciel quetarsi l'ira, Ed in segno di pace Iri scoprirsi Tutta ridente, e rugidosa'l grembo E d'oro, e di rubin fregiato'l lembo Per le pioggie del Cielo



Con pacifica mano intorno intorno Ir promettendo pace à noi mortali.

Con.Mà se'l nostro buon Rè (che siano lunge, Oime, li tristi auguri) entro'l conflitto Del fiero Marte rimanesse estinto, Che giouarebbe à noi L'esser poi vincitori? Che giouarebbe à timidetto armento Di semplicetti agnelli Hauer del Lupo reo l'ira fuggita Con perdita infelice del Pastore? Non fora vn radoppiar il fier dolore? Se parimente il Regno Folgorato cadesse, E'l Rè preso nel Campo; Ben che ne la Cittade, Quasi belanti agnelli entro l'ouile, Noi restassimo viui, Non sarebbe vn prouare Quante hà l'abisso tormentose pene? Vagliami'l ver, Corimbo, S'io vò pensando quanto Vada'l Ciel minacciando à questo Regno, Parmelo già veder senza sostegno Caduto, & dissi pato.

Cor.Signor, il parlar vostro Per lo senno, per gli anni homai sì saggio,



Che mentir già non suole, M'hà di cotanto horror il cor ripieno, Che di veder mi sembra hoggi'l nemico Dentro de la Cittade, E rapita la Reggia, e de' Tesori Di sua vittoria trionfar altero, E noi tutti in poter di lui caduti.

Con.Quando, che questo habbi prescritto'l Cielo, Corimbo mio, sappiate, Che non puote più saggia, e degna impresa Abbracciar vn, c'habbi seruito in corte, Per restar immortal doppo la morte, Che sempre ne la fede Al suo Signor mostrarsi inuitto, e forte; E prima di morir elegger deue, Che ne la sorte auersa esser infido.

Cor.Verso'l mio Rè tal m'hò mostrato sempre, E non v'è ne la Corte, Se non sete quell'un forse voi solo, A cui di fedeltà cedessi il loco.

Con.Ecco m'è noto pur, che anco fanciullo De la prima lanugine fiorito Non haueuate il mento à l'hor, ch'in corte Del nostro Rè, voi diueniste Paggio Molto amato da lui, grato ad ogn'uno, E più d'ogn'altro à la Regina estinta, (Ahi trista rimembranza)



Che, da che spenta giacque, Sempre di mal in peggio è gito il Regno.

Cor.Vogliamo creder dunque Per la perdita sua, ch'à questo Regno Tantosto siano nate Tante ruine, e tante turbulenze? Non son già queste guerre Nè dal Padre di lei, nè da i fratelli Mosse contra la Lidia?

Con.Hor non sapete voi, che le consorti Fedeli à lor mariti, E d'honor, e d'amor calde, e zelanti, Si come l'acqua suol, che'l foco estingue, Ammorzan le lor ire, E co'l dolce parlar, co'i modi accorti Li riducon al bene, Li ritragon dal mal co'i lor consigli; Jo vò certo pensando, Che se viuesse la Regina nostra, Donna di tanti merti, Non sarian forse scorse Tante precipitose, e gran ruine: Perche co'l suo parlar saggio, e discreto Hauria rimosso il nostro Rè in gran parte Da così strano affetto, Che come picciol Angue Da lui nodrito, ed alleuato in vezzi,



Non sarebbe cresciuto à quell'etade, Cui giunto, e guerra gli minaccia, e morte.

Cor.Ah volete accennar, Signor, v'intendo, Hor di quella Lucinia Damigella di corte, Come ben v'apponesti, anch'io non meno V'hò pensato più volte, E sallo'l Ciel, c'hò lagrimato vdendo, Che questa Donna tal vagante, e folle Lo scettro habbi à tener di Lidia, e'l manto, Ed imperar, come Regina, e donna.

Con.Misero à che soggetto “E' quest'huomo nel mondo, Che del proprio disnor vago diuiene, E stima'l vero ben tormenti, e pene.”

Cor.Certo può dirsi Amore “Non ben desio di bello, Che fonte di dolore E' la cagion seconda, Che di pianto, e di duol il Regno innonda;” Quella Lucinia è sola, In effetto nudrita infesta fera, Chà mosso al Regno guerra; O più cruda del Mostro, Ch'Alcide vinse in Creta, O più feroce del Leon Nemeo. E più di Lerna assai



Con tanti, e tanti capi horribil Angue, Ch'al fin domati furo; Ma tù pria, che domata Rimanghi, rimarrà pria desolata Questa misera terra.

Con.Prepariamosi pure à strage, à morti, A miserie, à ruine; Ma con la fedeltate ogn'hor inanti, Serbisi fede al nostro Rè pur sempre, Che questo è quanto, ch'io pretendo, e voglio Mi sia doppo la morte vltimo honore.

Cor.A me fia pregio eterno Del mio longo seruir morte fedele; Ma ditemi per gratia, hauete inteso Jl precipitio di quel gran Colosso, Pompa de la gran piazza, Portentoso prodigio, e lagrimoso Spettacolo à vedersi?

Con.E chi non l'hà de la Cittade vdito? Segno infausto per certo Fù'l cader del Colosso, Per lo cui ruinar piegossi l'arco, Rissentissi il Palagio, E tal fu'l gran rimbombo, Ch'ogn'un pensò, che la Città cadesse; Strinsero i figli il collo Con le tenere mani à le lor madri,



E si strinser le Madri i figli al seno; Sgomentata la Plebe Ne sospirò, ne pianse; Li fanciulli gridando Andorno in gran fretta à la ruina, E fanciulle scamente ogn'vn pigliando Di quella calce, e di quei picciol sassi, Feron due schiere, e d'vna Nel mezo l'vn si pose Rappresentando il nostro Rè, ne l'altra, L'altro rappresentossi il Rè de' Persi, E così combattendo, Spiccò da fiomba vn sasso Vno di lor, e di tal colpo colse Quel, ch'esser si fingeua il Rè di Lidia, Che tramortito egli cadeo nel piano, D'onde non si leuò s'afflitta, e mesta Non v'occorse la Madre, Che visto del suo figlio il fine acerbo, Nou' Ecuba sembra à i gridi, al pianto. Son questi da temer fieri prodigi Del Ciel, mà più mi duol, che già saputo Jl tutto haurà la prencipessa nostra; Onde per solleuarla Da i dolenti pensieri, Fia meglio, che con lei pietoso vfficio


Faciamo, e con parole arte, ed affetti Cerchiam sottrarla à li futuri oltraggi.

CHORO. IRe, furori, sdegni, Stratij, ruine, e morti, De le madri i lamenti, e de le figlie, De i Regi le miserie, e de lor Regni, Ancor, che inuitti, e forti, Son veri parti de l'horribil guerra: Parto de l'aspre furie Sorta da i neri Abissi Ad infettar la terra, De i sanguinosi horridi frutti; Ma doue trascoriam misere? doue Troppo affetto ci moue? E qual di mente insano Sarà, che non comprenda i gran decreti Ordinati dal Cielo? E chi non vede, che da giusta mano De l'altissimo Gioue Tutte son mosse queste attioni humane? Placido Euro non spira, ò pur furioso Fremer l'onda non fà, nè cade foglia Dal materno suo stelo,



Nè si cangiano i Scettri, ò gli ori, ò gli ostri, Se pria non lo concede Jl gran fattor de li stellati chiostri; Al qual mandiam co'l cor diuoto, e puro Nostre preghiere, e voci, Che da l'arme nemiche aspre, e feroci Ci rendi'l Rè sicuro; Nè voglia in quella guisa, Che i Prencipi nemici Son venuti prigioni, A lui far perder libertate, e Regno; E se da giusto sdegno Ben fosse mosso per comessi errori, Humilmente'l preghiam, che sopra noi Folgori, e pioua i giusti sdegni suoi.

Messo, Choro.

OIme, lasso, infelice, Qual'è del Mar la più profonda terra; Che mi s'apri, ò m'inghoi, ò qual al meno Più riposta cauerna hoggi m'asconde



D'Effeso antica, ahi cara, ahi cara, e bella Cittade vn tempo sì felice tanto, Qual mio fato crudel permette, ahi lasso, Che ti pianga caduta, e ruinata; Già il superbo Patol di sangue miste Hà l'onde, che già fur sì cristalline, Nel qual vi si scorgea l'arena d'oro; E doue furon prima Le coltiuate terre, Corron di sangue i riui, E doue fù bel piano S'ergon monti di morti infino al Cielo; In somma altro non sembra la campagna, Ch'vn Ocean immenso, In cui con strani modi, Con terror non creduto, Di sangue è l'onda, e son di membra i scogli. Là vedi in varie guise Languir i semiuiui Sotto pallor di morte, E gl'insepolti corpi, Ch'à se stessi pietosi Son di se stessi in vn feretro, e Tomba: Là vedi in varie forme Gir trionfando Morte, E sol esser pietosa, Oue maggior è l'impietate altrui:


Miseri Cittadini, Sfortunati Pupilli; Vergini sconsolate, Pouere Madri afflitte, addolorate.

Cho.Amico? qual ria sorte Ti fà sì consolato? Non ti fia graue il dirci Di tanto tuo dolor l'alta cagione.

Mes.Donne, Donne, fuggite, Fuggite di vedermi, E schiffate d'vdirmi; Che son furia d'Inferno, horrido mostro, Che porto acceso in questi lumi il foco, Ene la lingua vna tagliente spada.

Cho.Hà forse vinto l'inimico altero? Misere qual soccorso Haurem per nostro scampo?

Mes.La Prencipessa io cerco; Doue fia'l Consigliero? Perche ne l'alta Rocca Con le Donne maggior de la Cittade, La riduca in sicuro; Perch'il Nemico ogn'hor più diuien forte, E'l numero de'nostri è giunto à tale, Ch'in poco d'hora annouerar potrassi. Già caduta è Lucinia Mortalmente ferita



Per man del Rè de' Persi, Ch'à guisa di Molosso il fine attende De la bramata preda, E di sbranarla vago, homai non cessa Per farsela prigion, mà indarno tenta, Che'l nostro Rè di lei fido custode Glielo diuieta, e tiene in sua difesa Ben pochi sì, mà Caualier pregiati, Non poco auanzo d'infelice guerra.

Cho.O sfortunata terra, ò infausto giorno, O misera Lucinia, O più misero il Rè, se vinto ei cade; Misere noi meschine Pouere Cittadine.

Mes.Andrò dunque in Palagio Per auuisar la Prencipessa nostra Di quanto è succeduto, e'l consigliero.

Celinda, Choro, Nutrice.

Cel.DOue mi guida il pianto? oue il dolore? Quiui afflitta la Madre, Del già morto fanciul veder mi sembra, Di là le gran ruine Del caduto Colosso



De' miei futuri danni infausti messi; Nè perche quinci io già venuta sia, Veggo alcun, che m'apporti Qualche noua del Campo.

Cho.Signora con gran fretta Poco anzi fà dal Campo à voi sen venne Tutto annelante in vista vn messagiero.

Cel.De' nostri, ò pur nemico?

Cho.Era amico, e de' nostri.

Cel.Non più, che'l vostro pianto, Fide mie Cittadine, M'hà fatto noto l'vltime ruine: Che s'è inteso del Padre? Morte forse, ò prigion? ch'è di Lucinia?

Cho.Hà rotto Fulco il Campo, Ma viuo il nostro Rè, il tuo gran Padre Combatte in dubbio Marte, E Lucinia ferita ancor difende.

Cel.Quest' è del mio dolor l'vltima meta. O' caro, ò caro sposo, Almen prima, ch' io mora Fa, ch'essangue ti miri, e teco io mora. Debbo girmene al Campo Per vederlo dolente Fin che auuiua il mortale il suo bel spirto, E soura il caro, e delicato corpo Farle di questo mio l'essequie meste?




Nut.Oime, qual cose mai Direte figlia, e mia Signora amata?

Soldati, che portano Lucinia. Celinda, Nutrice, Choro.

Cho.ECco messi del Campo Di nuouo, e nostra gente.

Sol.S'addaggiato n'andrai, Viua la condurrem dentro il palagio.

Sol.Se più ordinata fosse Questa intricata barra D'intessuti tronconi, e rotti fusti Senza incommodo alcun saria portata.

Cel. Oime. Ch. Sosteniamla Nutrice. Nut. Ahi lassa. Chi più mi tien in vita? O mia figliuola amata, O gran dolor, che la conduce à morte.

Cho.Non disperar Nutrice, Ecco che si rissente.

Cel.O spettacolo horrendo à gli occhi miei, O Dolcissimo sposo, ò cara vita, O mia gioia finita. Deh fate, amiche donne,



Al morto corpo del mio caro sposo Vn feretro pietoso, Lasciatelo soldati, e'n le lor braccia Habbi l' vltimo honore, Che farle possi mai Serua d' Amore.

Sol.Jo non credo, che priuo Sia questo corpo ancora. Del generoso spirto, E sarà ben tornarlo Con rimedi opportuni à i primi vffici; Che ben lo merta quella, Che'n sì crudel battaglia Marte parue à la man, Venere al viso.

Cho.O dolorosa vista, ò gran Lucinia, O lagrimeuol peso à queste braccia, O dolorosa faccia.

Cel.Che noua s'hà del Padre? è anch'egli morto?

Sol.Non è morto, mà pende Da debil fil sua vita, E la più vecchia figlia D'Herebo, e de la Notte Co'l coronato crin stagli vicina, Onde possi à sua voglia A lui la vita, à noi toglier il Duce, Ma andiam, che farem scudo De' nostri al Regio petto.

Cel.Autilio mio Signor è questo, ahi lassa,



Quel nodo, oimè, quel nodo, Co'l qual ambi sperammo Esser vniti in compagnia di vita? Queste ferite, oimè, son la corona, Che superba sperai veder vn tempo Cinger le Chiome vostre? e questi riui Di sangue son le gemme, ed i rubini, Che fregiarla douean? son questi lumi Quei, ch'aperti già furo emuli al Sole? Son queste quelle labra, Quelle, che già mi dier sì dolci baci, C'hor mi porgon ferite? e sono queste Mani del proprio sangue, E del nemico tinte Queste, che hor son serrate, Scarse à picciol fauore? Son quelle, oimè, che m'annodaro il core? O Chiome, ò fronte, ò lumi, O labra, ò guancie, ò mani Care ministre già del mio gioire, Com'esser può, ch'in disusate forme Siate cagion di pene, e di martire?

Nut.Ecco, che al suon de le dolenti note, Quasi noua Euridice, Risorge l' infelice.

Luc.Doue sono in quai braccia? Vicino a la mia vita?



O' felice partita, O degna, e nobil morte, Pomposo funeral, felice sorte Morrò dunque, e'l mio sole In bocca accoglier à l' anima mia; E mi chiuderan gli occh' i bianchi Auori Troncheran le parole i dolci baci, E fia ver, c'hor m'abbracci La mia sposa, e Signora? Deh fà, deh fà, ch'io mora, Fallo, cara ferita, Che morte non mi fia, ma dolce vita.

Nut.Signora, à l' alta voce, Al fermo fauellare Certo, che non appare Jn lui segni di morte. Ch. O' Ciel pietoso. Fà, che quel colpo rio mortal non sia.

Cel.Io dunque haurei creduto, Ch' in alcun tempo mai Voi foste à gli occhi miei stato noioso? E che per non mirarui Cieca m'hauessi desiata? Ahi lumi, O, mio languido Sol, ch'ancor m'accende, V' sono i raggi del sereno ciglio; Donde il vermiglio de le rosee labra? Care labra amorose, Replicatemi vn don anzi il morire,



Ditemi, mori, e poi Morta mi vederete à piedi suoi.

Cho.Egli è più soprapreso Da la stanchezza, e da l' vscito sangue, Che non è da le piaghe, A queste si rimedij, & adopriamsi Per trattenerli quello, Per ristorarlo insieme, Fin che à perita cura egli si dia.

Aut.Quanto istimo felice Hoggi mia morte, ò mia Signora, e sposa; Poscia che in braccio à voi Dentro de la Cittade Per man del proprio Padre Haurà il mio viuer fine. Si mandi al Campo frettoloso vn messo, Prima che altra sciagura Jntendiamo Signora, Jl qual al Rè mio padre Facci saper, ch'è ritrouato il figlio, E che tantosto quinci Venga se viuo il vuol ne le sue mani.

Cel.Va tù Nutrice, e non badar. Nut. Io vado.

Lucinia, Celinda, Choro, Messo.

Mes.Come d' vn tanto Regno appar frà l'altre Città, questa superba? O come illustre D' Architettura, e de' bei marmi è adorna, Che s' io non erro, à la superba Reggia, Cui fan vaghezza quest'eccelse Loggie, Le Piramidi ancor, ch'in alto s' ergon, Sembran non lieui cose, Per cui fia ricco, e di gran spoglie adorno Il gran trionfo del Signor de' Persi, E quel fiume, ch'ancor li Smirnei Campi Bagna, irrigando con arena d'oro, Và questa gran Cittade. Ma per qual strada introdurrommi dentro A la Magion Regale? Oue di pianto, e sangue Deuon correr i riui, ou'al dolore Deue parer vna nouella Dite, Vn Cocito Jnfernale, vn Flegetonte: Ma non son quelle Donne, Donne de la Cittade, e del Palagio? O là Donne di Fulco, Non più di Cubo, prigioniere sete, Si rendi ogn'una al nostro Rè vincente: Ed à quella Lucinia, che gran pezza Jl campo hà sostenuto in armi auolta



Co'l suo souran valor, con la sua destra, A quella fate hor, hor, che sia introdotto.

Cho.Questa è colei, che tù ricerchi. Mess. Questa?

Cel.Se questo sparso sangue, Questa aperta ferita Testimoni esser pon degni di fede. Eccola, che dimandi? Qual cosa vuoi da lei? chi t'hà mandato?

Mess.L'inuincibile Perso Fulco, il distruggitor di tanti regni, Jl domator de' barbari tiranni, A te mi manda, con cotesto dono Generosa Guerriera.

Cel.Oime, che sarà questo? Cho. Oime, infelice.

Luc.Questo dono mi manda il Rè de' Persi?

Mess.Questo, e prima, che mori Saper desia, come gradito l'hai.

Luc.Io non posso esplicar, se pria no'l miro, Al tuo desir conforme altra risposta.

Mess.Eccolo. Luc. Chi lo scopre.

Cel.Par che ricusi il cor, neghi la mano Di far opra cotanta.

Luc.Figurate, Signora, Veder cosa conforme A la gran crudeltà del fier nemico, E à le suenture nostre anco conforme.

Mes.Figurateui pur di veder cosa



Degna del grand' ardir del cor di Fulco.

Cel.Torna d'onde partisti Messo, e non far, che più dolente ancora Vadi quest' alma à ritrouar gli Abissi.

Luc.Jnfelice Signora, eccoui, ahi lasso, Del Padre vostro l'honorata testa.

Cel.Di mio Padre la testa Conuiemmi anco mirar? ò cara testa, O caro, ò caro Padre, Per cui tù generasti Misero dunque sei di vita priuo? O luci ingrate, luci, Che à vista così trista, e miseranda Non vi chiudete in sempiterno sonno?

Mess.A voi manda la testa Jl mio Rè vincitore, ed à costei Manda le mani, e'l core.

Luc.O generose mani, ò inuitto core, O d'inhumanità doni ferigni.

Cel.Mani infelici, mani Del mio gran Genitor, amate, e care, Come di sangue tinte. Chiaman sangue, e vendetta? O troppo nobil core, e chi osò mai Sbranarti, oimè, dal glorioso petto? O testa, ò mani, ò core Ministre sol di morte, e di dolore.




Mes.Questi ti manda Fulco, Perche sapendo quanto T'habbi già Cubo amata, E tù à vicenda habbi riamato lui; Vuol, che queste reliquie Teco ne porti à li Tartarei Regni; Ed à voi questa testa Così troncata manda, Perche v'andate disponendo in tutto Di non hauer più padre, e d'esser Figlia Sol di Fulco istimate.

Cel.Queste sono le pompe, Ch'à le mie nozze preparar veduto Hò da mille Portenti? O Padre, amato Padre, O morta testa, ò lacerata testa, O fronte, in cui splendeua Di gioie adorna vna regal corona, Come oscurata sei di polue, e sangue? Questa è la destra mano, Che già'l Scettro solea stringere, questa, Che aperta par che dica, Figlia mia cara figlia, oue ti lascio De l'inimico in preda? Nò, ch'io vengo Padre, vengo à pregar co'l mio morire, L'indegno tuo martire.

Fulco, Soldati, Celinda, Lucinia, Choro, Nutrice.

Fulc. PVr entro trionfante in la Cittade De l'inimico Rè vinto, e caduto, Jl qual co'l proprio sangue, ahi folle, e stolto, Hà sodisfatto al temerario ardire, Inalzando di Persia il nome, e'l vanto. Ma più mi fà gioir l'alta speranza Del sacrato responso, Mentre promette, c'hoggi Mi sia dato goder l'amata vista Del perduto mio figlio (Cara memoria, e dolce) Che sol nel rammentarla Senton riposo i pensier miei dolenti; Ma qual Nume del Cielo in mè rauiua La speranza, e'l vigor? in modo apunto, Se trouato l'hauessi? mà che resta? Chi più ostarà à le vittrici forze? Sù dunque, ò miei fedeli; Si spiani questa Reggia, Si ruini, e si spianti In sin à i fondamenti, E sian vostri i tesori,



Vostre le Donne, tralasciando in queste Sola del morto Rè l'altera figlia, Che soura'l Carro del Trionfo in Persia Prigioniera legata Voglio, che sia guidata; Mà pria con diligenza, Sia cercato'l mio figlio.

Luc.Senza spianar la Reggia J Tesori predar, ò le ricchezze, Ed offerir le Donne * Original has "donnne" misprinted. Quasi innocenti Agnelle A le brame de' Lupi, Eccoti, ò Padre, l'infelice figlio, Se'l bramasti trouar, pur l'hai trouato; Se li desti la vita Come padre pietoso, Come nemico fiero Gli hai donato la morte; Se viuo l hai trouato, Se viuo l'hai veduto, Tù non goderai già di questa vista; E come in vn sol dì rinasce, e more Jl portator del giorno, Così' l bramato figlio Hoggi trouato fia, hoggi perduto, Per man de la tua mano Cado vinto, e ferito, E fia mortal il colpo; Autilio sono,



Figlio di Fulco, e successor di Persia Congiunto à Lidia, e in somma Di questa gran Signora vnico sposo.

Cel.Ahi Padre amato, ahi mio Signor, e sposo

Fulc. Si fermi ogn'vn. Donne, chi fia costei? Non è donna, e guerriera Vagante, e concubina Stata di Cubo? il ver non mi si celi.

Nut.Figlia, Deh cara figlia, Perche v'abbandonate, Ecco quì'l vostro sposo. Riuenuto, ecco figlia, Ch'egli v'abbraccia, e bacia.

Luc.Sposa, e Signora mia, Risorgete, e mirate Autilio vostro, che dal rimirarui; Prendo spatio di vita.

Cel.Ahi caro Padre, ahi mio Signor, e sposo, Ahi ferita crudel, che me lo toglie

Fulc.Doue fia questo Autilio, Qual Prencipe, qual sposo V'è congiunto Signora?

Nut.Questa guerriera, questa Creduta Concubina, e Damigella Di Celinda, è di Persia Il successor, e insieme Di voi figlio, e consorte Di questa Prencipessa.




Fulc.E fien veri i tuoi detti?

Nut.Cosi fossero falsi. Cho. Ahi crudo, e fiero. Spettacolo inhumano, e miserando. A chi nacquero sol Prencipi, e Regi.

Fulc.Ahi cara, amata faccia, Ahi dolci lineamenti, ahi cara bocca, Ben ti conosco misero infelice, Ben il figlio sei tù del Rè de' Persi: Ahi man, mano esecranda, Del filo di due vite; Ma che dico di due? di trè, di mille Troncatrice inhumana. Deh? figlio, eccoti'l Padre, Perdona caro figlio A la man, che ministra Fù di tua cruda morte; Mano empia, fiera mano, Jndegna parte del paterno corpo, T'armai per ritrouarlo, E tù me'l dai perduto? Ahi figlio caro figlio; Perdona à la mia destra, Che questo graue errore Fù de la man, e non error del core. E voi mia cara Nuora, e Prencipessa Di tanto Regno, oimè, in quai sciagure, Jn che stato infelice V' hà co'l mio figlio hoggi condotta Amore?




Cel.Deh dolce sposo mio, deh mio Signore, Non sia presto il partire, Che se pria vissi in voi, Così morendo voi, voglio morire.

Ful.E sarà vero dunque, Che vna parola, vn guardo Non impetri da te, figlio, al partire? E'n segno di perdono, Ed insieme di pace Non habbi à conseguir da queste labra Sol vn languido bacio? Ah caro figlio, ah spenta mia speranza, Già ferito ti miro, E morto ti sospiro.

Cel.Dolcissimo mio sposo, De' tanti miei dolor vltimo oggetto, S'ancor l'orecchie vostre Non fà sorde la morte, Vdite, io vi prometto, Qual fida sposa di morirui à canto; E co'l cader di Lidia Lasciar essempio à le future genti Del più fedel, e più costante core, C'habbi la face mai tocco d'Amore. Doninmi queste labra il dono estremo, E mi dia questa destra Di fè l'vltimo segno. O labra; amate labra,



O mano, ò cara mano, Voi ministre di gioie Mi foste, d hor di noie? Tù mano, che di fè fosti ministra, Mentre in sì dolci modi Stringesti questa mia, Ed hora ancor ministra sij di fede, Ch'io giuro al mio Signore D'essergli in ogni modo, Come in vita le fui, compagna in morte. Mà, oimè, come ti miro Del proprio sangue tinta, Non fia però, ch'io non ne furi vn bacio.

Fulc.A che si bada più? Che non si chiama Quanti hà Saui la Lidia, Quanti medici esperti Seguitaro Esculapio, E Cirugici insieme Ch'vbediuano à Cubo, Con questi, c'hò condotti anch'io di Persia; Acciò procuri co'l dar vita al figlio, Vietar la morte al Padre; Certi d'hauer in premio Dà mè ricchezze tali; Che fiano à i Regi eguali. Prencipessa, e Signora Di Lidia, e cara sposa Del successor di Persia,



De l'inhumano Fulco infausta prole; Se mai valsero in voi miei prieghi humili; Per quella fè, che sì constante sempre E visciuta frà noi, per quell'amore, Che sì concordi i nostri cori auinse, Per quel pegno, che dentro Al materno aluo vostro Si rinchiude, e si serra. Vi prego, e vi scongiuro, Ch'in tant'alte sciagure Mostrar vogliate quell'ardir, che solo D'alme regali, e generose è dote; “E soportando di Fortuna i colpi. Che ne i sublimi più mostran sua forza,” Vogliate star in vita; Che con la vita vostra Sorgerà Lidia ancora; ed io di nouo, Co'l nascimento del mio caro figlio Al dispetto di morte haurò la vita; Nè tanto hauran potuto Co'i Vomeri importuni Questi aratori ingordi Danneggiar Lidia, e insieme I suoi fertili campi, Ch'ad onta lor non sia rimasto in quella De la più nobil pianta il caro frutto. Si che dolce mia speme Pianta de l alma mia


Restata illesa da i furori hostili; Credete, che dal fiore De la vostra beltà, de l'ardor nostro Nascerà vn tanto frutto, Ch'a questo vostro Regno, E à quel di Persia ancora Toglierà'l duolo, c'hora gli tormenta, E li darà di nuouo Titolo, nome, e vanto, E s'io morrò, felice Potrò dir la mia morte Di tal speme vestita. Ah parlar, che mi fere, Ah lingua, che m'ancide, Morte, che mi diuide Dal Regno, e da lo sposo, Da mondano riposo Viurò, se voi viuerete Morirò, se morrete.

Fulc.Figli miei, cari figli; Perche non posso hauerui Mai sempre meco vniti? Perche trouando l'vno, Misero, l'altro perdo? Dunque mio figlio amato, Dunque mia cara speme Riconoser non vuoi tuo Padre? e solo Come nemico mi rimiri, e taci?



Sol desio di trouarti Mi pose l'armi in mano, L'armi, che fur crudeli Ministre poscia di tua accerba morte, Io farò sorger Lidia Di nouo altera, e grande, E darò'l scettro, e la Corona regia A la tua cara sposa, Che mi sarà figlia, e Signora insieme; Dominerà tua prole A Persi, à Lidi; e sempre Sarà de gli occhi miei gradito oggetto; Baciami caro figlio, Porgimi la tua destra, Dimmi, Padre, vbidisci A quanto è mio volere; Perdona, figlio amato, Al padre addolorato, Non riuolger la faccia Altroue, ò caro figlio.

Cel.Ecco noua agonia, Che i sensi li ritoglie, Ahi crude, & empie doglie, O mio sposo, e Signore? oime infelice, Eccolo giunto à morte, Ecco la bella faccia D'altro pallor dipinta, Sostenetelo Donne,



Ch'io cado. Nut. oime infelice.

Cho.O crudo empio dolore, Che ad ambi passa in vn sol punto il core.

Nut.O figlia, ò cara figlia, O mia Signora amata, ò mia Regina, Non mi lasciate. Cho. Ecco, ch'ancor riuiene.

Cel.Ancor non moro? ancor non puo'l dolore Chiudermi à sì dolente vista? Come mirar poss'io In questa vaga fronte, Doue scherzaua amore Gir scherzando la Morte? Come mirar poss'io Jl perduto seren del suo bel ciglio? E come, ahi lassa, e come potrò mai Patir di rimirar foschi quei lumi, Oue splendea per mè continuo'l giorno? E voi mie care labra Rubini vn tempo ardenti, Hora smorti Zafiri, Già colorite rose, Hor pallide viole, Lasciate ch'io vi baci; E se mi desti già viui la vita, Hor moribondi mi donate morte: O marauiglie inaudite, e noue Giocan Cupido, e Morte Ne' labri del mio bene.



Sostenetimi Donne, oime, ch'io spiro.

Nut.Tornata è ancor à tramortir mia figlia?

Fulc.O che miseria estrema, Pianger conuiemmi le vitorie mie; Con destrezza portati Siano dentro al palagio, E procurate di tornarli in vita.

Nut.O figlia, ò cara figlia, O mia Signora amata, ò mia Regina, O amato peso à queste stanche membra.

Fulco solo. COsì mi promettesti Empio Nume spergiuro Darmi il mio figlio entro l'armato campo? O quanto vari sono J pensier da gli effetti; Come del più felice Rè, che fosse la nel mondo Precipitato son nel vasto Abisso De le maggior miserie, Ed hò trouato morto Quello, per cui posposi Co'l Regno anco la vita; E quel ch'è peggio (ahi rimembranza amara)



Son stato del figliol empio homicida, E mi conuien de lo nemico stesso Pianger la dura sorte, Sorte spietata, e fiera, Ch'à l'vnico mio figlio Fosti ministra d'immatura morte; O Cubo, perche quando Cadesti mio prigion non ti rendesti? Acciò con tante morti Più dogliosa non fosse mia vita? E tù mio caro figlio, Perche non iscoprirti Al tuo misero Padre All'hor, che t'opponesti Per la vita di Cubo Contro mè stesso, contro tante forze? Mà s'era pur ne' fati, ch'io douessi Esser del proprio figlio Innocente homicida, E se volesti pur hauer la morte Fà, ch'ancora la proui Che non volendo ti priuò di vita, E à chi t'hà dato al mondo, Ed al mondo ritolto, Co'l coltello del duol togli la vita: Togli, morte, ti prego Questo misero Padre, Da questo mondo iniquo,


Di quanto egli promette Al misero mortale Mentitor disleale Ecco poc'anzi egli promisse darmi Nouo Scettro, e Corona, E noua Monarchia, Ed hora in picciol tempo Volgendo in pene, e'n duolo Tante pompe, e ricchezze Fà, che sol morte apprezze. O' me Padre infelice, O' ruinata Persia Del tuo gran successor orbata, e priua; Misera, che t'armasti Solo à danni di lui; O con Lidia caduta Caro figlio caduto, O quanto in van ti piango, e ti sospiro, Habbia con la tua morte Fine le mie vittorie, E i miei trionfi, e vanti; Habbi tra fidi Amanti Il primo loco il tuo bel nome amato, Ed habbia con la tua Fine questa mia vita; Ma il douuto Sepolcro Prima da queste mani Si prepari al tuo corpo.


Si cangino i trofei De l'hauuta vittoria In funerali pompe; Ed in vece di trombe S'oda de gridi vn lagrimoso suono. Lugubre insegna hoggi si spieghi al vento, Non più d'arme, ò soldati, Ma di nero ammantati Sia i destrieri, e voce Sol di pianto si sparga Dà tutti i miei Soldati.

Corimbo, Choro.

PErche in corpo à la Madre Anzi, che questa luce Vedesser gli occhi miei, Io non rimasi estinto? O almen vscito in questo Carcere de' mortali Sol ricetto de mali, Non furmi in fascie le materne braccia Culla, e feretro insieme; O almen spietato Cielo, Perche non m'insegnasti Volger i piedi à i più deserti horrori,



Trà le più fosche selue, Ou'han stanza le belue, pria ch'in Lidia Volgessi queste piante? Perche frà Tigri, ed orsi Draghi, Pantere, e Lupi In luoghi oscuri, e cupi Tanti non haurei forse Visti di crudeltà spietati scempi.

Cho.Non hanno hauuto dunque Tante sciagure nostre ancora fine?

Cor.Sorde vi bramarete, Cieche vi fingerete Pietose Donne al miserando caso.

Cho.Se siamo degne amico D'vdir, quanto di fiero è ancor successo, Per poter teco hauer commune il duolo, Ti preghiam raccontarlo.

Cor.Qual mai spetie inhumana Tolse al figlio la vita? Qual mai di rabbia insana Sol di se incrudelita S'hà visto fera del suo proprio sangue Sitibonda? & esangue Farsi co'i propri artigli? Chi mai non nati i figli Hà destinati al ferro? O Persi, ò Lidi, ò fieri, Qual procelloso porto



De le vostre miserie, Qual' horrendo flagello V'hà preparato il Cielo?

Cho.Che non fuggi Corimbo, Che non fuggiam, che non fuggiamo tutti Questa Cittade afflitta, e ruinata? E doue ricourarmi hoggi degg'io Se la Reggia è vn'Jnferno, La Cittade vn'horrore? Forse ch'entro la Reggia Di ricourarmi tenti, Ch'una furia d' Auerno, Vn ministro di Pluto Non speri di venir frà morte, e pianti? Se'n la Cittade d'alloggiar disegno, Misero, non son degno Promettermi sicuro vn picciol spatio Di terren, che non tema ò ferro, ò laccio. Se di fuggire io penso, M'è intercetto il camin: Quiui rimiro Morir il padre, il figlio, Languir sù'l frate il misero germano, Scapigliata la moglie, D'un monte d'insepolti Tronco d'un braccio il misero marito Strascinar al sepolcro: S'inanti volgo i passi, Quel veggo sospirar, questo languire.



Sotto i morti destrieri hà sorte vguale Jl misero mortale. Fuggiam, fuggiamo Donne, Fuggi tristo Corimbo, Fuggi per l'aria co'l pensier volante, Fermati in qualche scoglio, E l'Alcioni imitando, Lagnati, stridi, e plora, E quì questa mortal misera salma Lascia priua de l'alma. Taccio, che'l poprio padre Del caro figlio l'vccisor sia stato, Perch' incognito Amore Habbi à gli amanti estinti Ferito il petto, e'l core, Taccio, che'l crudo Fulco, Qual fiero Augel di Gioue Co' suoi potenti artigli, Habbia di vita priuo il Rè di Lidia, Spallancatogli il petto, Trattone fuori il core, Troncata con la man la Regia testa: Cose, che aspiran sempre Gli nimici da gli altri; Mà quell'hauer mandato Del Padre i tronchi membri A la figliola in dono, Oh' questo sì di crudeltate auanza


Ogni fera, ogni mostro. Cara Lidia caduta, Misero Cubo del tuo Regno priuo, E de la vita insieme; Misera Prencipessa, Ben' à ragion chiamasti Di Niobe infelice L'incomparabil tue misere doglie.

Cho.V'è peggio, che la morte Di Cubo, e di Lucinia? Sperar non debbiam dunque In quella speme, che ci è ancor rimasa Qualche picciol conforto? Non sarà dunque à noi cara Regina La Prencipessa nostra? Porti forse di lei qualche sciagura?

Cori.Quando portata fù dentro'l Palagio Da la mesta Nutrice, e da le Donne; E ben che viua, come morta pianta; Tutta la corte se le fece inante, Andouui'l Consiglier, v'accorse ong'vno, Coronato di Donne, e gente intorno Era il suo letto, Quando riuenuta Volte le spalle à tutti, il caro sposo, Ch'appresso lei giacea, vide attorniato Da medici periti, Che gli facean' intorno Pietosa cura, e mentre disarmarlo



Procurauano insieme, ecco iscoprirsi Noua ferita nel suo destro fianco, Che nel vederla ogn'uno Inarcaro le ciglia, E di sua vita disperaro in tutto. S'auide, oimè, la Prencipessa all'hora, Che da l'aspra ferita; Con quella del suo sposo Pendea di lei la morte; E de le braccia sue fatto catena Al collo de l' amante, à cui simile Non fece Edera mai ne gli Orti Esperij A lasciuetto, ed amoroso tronco; Mentre stauan languendo Soura'l collo di latte i biondi crini, Jn guisa tal, che quiui Si vedeua nuotar tra'l sangue Amore, Stringendolo, gli disse; ò caro sposo, Dunque vna sol ferita Non bastaua à fregiar d'eterno duolo Ad ambi noi la vita? Ed ei languidamente aperti i lumi, Disse homai giunta è al fine Questa misera vita, Homai l'hore vicine Sento del mio morire, Ma frà tante miserie, M'è ben di qualche gioia,


Ch'altri non habbin di mia morte il vanto Fuori, ch'il proprio Padre.

Cho.Parole d'ammollir vn ghiaccio, vn monte.

Cor.Soggiunse io gli perdono, e voi mia sposa, A perdonargli prego, E restar seco vnita Co'l mio figlio, e'l mio Regno. Ma perch'è giusto ben, che nel sepolcro Ciò ch' è d' altrui non porti Dopo'l mortal sospiro, Vi prego aprirmi il petto, E trarne fuor quel core, Ch' à voi primiero offersi, Mentr' arsi al lume de' vostr' occhi amati.

Cho.O parole d' Amante Più che mai nel morir fido, e constante.

Cor.Poi con flebile moto alzando il braccio De la marca Regal fece à ogn' vn mostra (Di quella Regal Marca, Ch'a nascenti fanciulli Segnan su'l destro braccio i Re di Persia) E disse i moro, ò Popolo diletto, Congiunto à Lidia, e genero di Cubo, Per stato non indegno Sposo, ma ben per merti Di questa Prencipessa indegno seruo. E mirandola poi, languidamente Co'l destro braccio, il qual lasciò cadersi



Soura'l fianco di lei, cadde e morio. Baciandola, e co'l sangue Ch'vscia da l'ostinata sua ferita Vscì l'alma Reale; Ella, che sin' all'hor quasi di marmo Immobile era stata, Preso vigor con la sua propria destra Gli chiuse gli occhi, e con vn certo ferro, Stromento militare, Che soura'l letto ritrouò del morto, Non veduta da alcuno, Jl petto si trafisse.

Cho.Oime, ch'intendo, morta Dunque è la Prencipessa?

Cor.E' morta, ma pria disse A noi queste parole (A noi, ch'iui d'intorno Haueam conuersi i nostri lumi in fonti) Amati Cittadini, Serui miei, care Donne, E tù Nutrice, e Madre Credete, ch' à me pesa Jl non poter secondo i vostri merti La fede, e l' amor vostro Riconoscerui tutti; Ma supplirà 'n mia vece il Rè de' Persi, Al qual vi prego far saper, che morto E' l Prencipe suo figlio,



E che gli hà perdonato Il suo fallace errore, Com' anch'io gli perdono, Pregandolo, che regga Il mio Regno, e conosca Voi per miei cari, e miei graditi serui; Ma soura ogn'altra à me fia cara gratia, Ch'in vn' auello stesso Rinchiuda i nostri corpi, Com'vn stesso dolore Ad ambi troncò'l fil di nostre vite; Ed auerrà così, ch'egli conceda A l'ossa morte ciò, ch' al viuer tolse; E congiungendo all'hora il bianco seno Al petto de l'amante, Spirò in bocca di lui, Che pur tepida, e aperta Per riceuer quell' alma anco si staua: All'hor la troppo credula Nutrice, Credendola isuenuta, di fresch'onde De la real fontana Spruzzatoli il bel volto Tentò di rauiuarla, e mentre l' altre Donne faceano ogn'opra Per sostenerla, e aitarla, Vider misere il ferro Fitto starle nel petto, E del suo proprio sangue


Misto con quel del suo diletto sposo Jnnondar d'ogn'intorno il regio letto, Quel letto, oimè, quel letto, Che fù già testimon de' suoi contenti. All'hora rinforzar sentissi i gridi, J lamenti, i stridor, l'angoscie, i pianti.

Cho.O perdita infelice Non à bastanza mai pianta, e doluta.

Cor. Ma se vedrete Donne, In che leggiadra guisa Quegli due cari sposi, Frà quegli horror di morte, Spiran non meno ancor pietà, che Amore; Certo voi pensarete O ch' Amor habbi presa La falce de la morte, O che lo stral d' Amor vibri la Morte. Ma che bado infelice, Che non vado à honorar l'essequie loro, Come conuiensi al mio fedel seruire; Ed offerirmi poi Cibo à l'ira di Fulco?

CHORO. QVesti doni promette Jl mondo à noi mortali; E chi per esser grande



Crede fuggir i colpi Di nemica fortuna, E chi per esser caro A gran Regi, si stima Fuggir miserie, e mali E si presume conseguirne merti; Qual folle indarno spera; Per che com' vn baleno, Com'il sereno in pioggia, Si cangia il ben in male Del misero mortale. Perciò deggiam pensar viuendo, come Non è qui cosa alcuna, In cui sperar possiam fermezza eterna; E sol fissando i pensier nostri al Cielo, Deggiam con puro zelo Sperar dala sua mano eterno il bene.

IL FINE.

IN VICENZA,
Apresso Domenico Amadio. 1611.
Con licenza de' Superiori.