Petronilla Paolini Massimi:

MISCELLANEOUS POEMS





Assembled by
Cynthia Hillman

The Italian Women Writers Project
The University of Chicago Library

Chicago
2008

A Te, che vivi in tua grandezza umile, Qual recar potrà mai fregio d'onore, Che per molti anni in solitario orrore Nullo ha titol di gloria alto, e gentile? Anzi qual fia, che a tua Virtù simile, Scelga Arcadia ingegnosa, o ramo, o fiore Se ogni opra tua sempre divien maggiore Del più canuto peregrino stile? CLEMENTE solo, il gran CLEMENTE, in cui Oltre ogni uso mortal volgi il pensiero, Empie tutti di luce i merti tui. T'apron per faticoso ampio sentiero, La via d'onor le sue Virtuti, a Lui Se già del Mondo presagir l'Impero.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 180.

SDegna Clorinda a' femminili ufficj Chinar la destra, e sotto l' elmo accoglie I biondi crini, e con guerriere voglie Fa del proprio valor pompa a' nemici. Così gl' alti natali, e i lieti auspici, E gl' aurei tetti, e le regali spoglie Nulla curando, Amalasonta coglie De' fecondi Licei lauri felici. Mente capace d' ogni nobil cura Ha il nostro sesso, or qual possente inganno Dall' imprese d' onor l' alme ne fura? So ben, che i Fati a noi guerra non fanno, Nè i suoi doni contende a noi Natura, Sol del nostro voler l' uomo è tiranno.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 181.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 165; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 262; and Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 496.

Pugnar del ben spesso entro al mio petto io sento Bella Speranza, e rio Timore insieme, E vorria l'uno eterno il mio tormento, L'altra già spento il duol, che il cor mi preme. Temi, quel fier mi dice; e s'io consento, Tosto, spera, gridar s'ode la Speme: Ma se sperare io vo' solo un momento, Nella stessa Speranza il mio cor teme. Mie sventure per l'uno escono in campo; Mia costanza per l'altra: e fan battaglia Aspra così, che indarno io cerco scampo. Dir non si già chi mai di lor prevaglia: So ben, che or gelo, ahi lassa, ed ora avvampo, E sempre un rio pensier m'ange, e travaglia.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 182.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 166; Crescimbeni, Giovanni Mario, Dell'istoria della volgar poesia Venezia: Lorenzo Basegio, 1730), v. 2, pp. 540-541; Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 497; and Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, p. 38.

POichè lo stato suo l' Alma comprende, E vede il mal, che sì l' alletta, e piace, E conosce i suoi danni, e di sua pace Scorge, chi 'l bel seren turba, ed offende, Ed ode il Cielo, e la ragione intende Nè i suoi deliri a sè medesma tace, Perche il ver non appone al ben fallace, E del suo vaneggiar sdegno non prende? Forse perche dispera or non s' aita, E mentre cieca di viltà si veste I suoi nemici a soggiogarla invita. A sciorsi da catene empie, e funeste Armi il proprio valore, e volga ardita In sè lo sguardo, e in sua beltà celeste.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 183.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 165; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 196; and Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 497.

Benchè nel tuo gran Padre alta difesa, Di se veggia l'Italia, e de' suoi pregi, E rinovarsi in Lui d'antichi Regi, Vera Virtù di vera gloria accesa: E miri (opra di Lui) dal Ciel discesa La bella Pace, e scintillare i fregi Degli aurei studj, e di costumi egregi, E sia fortuna alle chiare opre intesa. Pur di maggior letizia ora si pasce, Ora che scorge per divin consiglio, L'alta immago di Lui, che in te rinasce. E spera indi veder maggiore il Figlio, Del paterno valor, però ch'ei nasce A maggior vopo, ed a maggior periglio.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 184.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 164.

CHi è, dicean le sovrumane Menti, Che ornano i Cieli, e delle Stelle han cura, Costei, che vien fra le beate Genti, Della Luna, e del Sol, più chiara, e pura? Quante ha virtudi d'alta gloria ardenti! Quanto ha valore, a superar Natura! Come ha i begli occhi al sommo Sole intenti, E il nostro insieme, e l'altrui pregio oscura! Come in sua veste ancor si riconsiglia, Giunger Costei, dive ogni fral si obblia, Vergine Madre, e del suo Figlio Figlia? Quando s'udio del Ciel per ogni via, E mancò possa all'alta meraviglia, MARIA sonare, e replicar MARIA.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 185.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 168.

QUando di se, più che del Sol, vestita, L'alta Madre di DIO nel Cielo ascese, E sovra ogn'altra il primo Ben comprese, E la sua gloria immensa, ed infinita. Risplender tutti in quell'eterna Vita, Vide i passati affanni, e l'aspre offese; E un nuovo amor ne'Serafini accese, Al Padre, al Figlio, al Santo Amore unita. E se nel basso Mondo a prò di noi, Ben cotanto poteo, che in uman velo Altra simil non fu nè pria, ne poi. Or che tant'alto ascende, e il proprio zelo L'orna, e le fan corona i pregi suoi, Chi potrà di quanto è più grande in Cielo?

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 186.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 169; and Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 54.

TEmpo gia fu, che in solitario tetto, Ove di Vesta s' adorava il Nume Stuolo nutrir di Verginelle eletto Inestinguibil foco ebbe in costume. Or io la fiamma, che nascondo in petto, In cui pudico Amore arde le piume, Conservo sì, che l' infocato affetto, A tutto il bel de' miei pensier sa lume. Simpatica favilla in sen l' accese Figlia del merto, e di bell' opre erede, Che sempre in cor gentil ratta s' accese. Virtute al fin forza, e virtù le diede, Febo coi raggi ad illustrarla intese, E la rende immortal costanza, e fede.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 187.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 170; Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 262.

STavasi, in due brune pupille ascoso, Amor senz'arco al fianco, e senza strali, E in dolce sonno il Garzoncel vezzoso, Fatto si avea molle origlier coll'ali. Quando il mio Cuor, di accarezzar voglioso Le belle fresche guance, ed immortali, Venne incauto a turbare il suo riposo, E sdegni accese a null'altra ira eguali. Lampeggiar l'aria al muover del suo volo, E uscir saette, per cui fuma, e stride Tutto in faville il Cuor, fu un punto solo. Deh alcun non fia, che del crudel si fide: Che over altri temem men, più acerbo è il duolo, E se dorme, e se veglia, ei sempre ancide.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), p. 188.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 170; and Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 40.

IO mi vivea di mia sorte contenta, In lieta, ancorche povera Capanna, Dove il ver non offende, o il Riso inganna D'infida Turba, al vil guadagno intenta: E come il vago, e semplice Usignuolo, Che visse sempre entro 'l natio boschetto, Crede, che non vi sia selva, nè tetto Maggior di quel, ch'ei misurò col volo: Tal io, se mai, dal natural talento Tratta, il canto spiegai debole, e fioco, Parvemi assai, d'un fior, che ha il sen di foco Dire, o d'un Rio, che muova il piè d'argento. Tra me dicea: là 've le membra addentra Titiro al corso, Uranio al palo, al salto, Sta il pregio dell'Uom, che voglia alzarsi in alto Più, che in sentir la Favolosa Orchestra. Quando ecco Clori, che da me sen viene, L'Amica mia, ma non della Ventura, Di cui l'Alma traluce onesta, e pura Dalle cerulee sue luci serene: E con un certo suo segno d'Amore Trassemi in parte, ove sull'erba molle L'ombra si stende giù dal vicin colle, E vien l'aura a scherzar di fiore in fiore. Poi disse; hai tu fin or novella udita Del più gentil Pastor, che Arcadia onori, Che, con magia di Carmi, opra stupori E trae l'Uom dal Sepolcro, e il serba in Vita? No: dissi, e tu ben sai, che la mia sorte Vuol, che a me stessa, e alla mia greggia io viva; E dove più s'ammira opra giuliva D'alti Pastor', sol col desio mi porte. Ma tu, che hai tanta esperienza, e puoi Far giusta fede del Valore altrui Narrami (e quì sediam') de' pregi sui Le meraviglie, e ciò, che oprò fra voi. Dirò se pur non può recar vergogna, Narrerò a te, che sai quanto io son fida, E puoi veder ciò, che nel cor s'annida, Il vero, ch'abbia faccia di menzogna Stavansi in cerchio nel Campo del Pino Alessi, Uranio, Auton, Tirsi e Montano, Egli altri, che hanno nel cantar sovrano Viepiù che pastoral, Spirto divino. E in mezzo a loro, con aperta fronte Pieno di bella grazia il volto, e il petto Tenea Mirtillo il generoso aspetto Rivolto al Sol, che già copriva il monte. E in dir non so quai flebili parole, Videsi, o meraviglia! in un momento Sorger da un fiore un Figlio suo già spento, Ornato il crin di Giglj, e di Viole, Bello così, che han men di grazia, e brio Nel maggior Tempio, d'aurea luce cinti, Quei, che già fur da dotta man dipinti, Come eterne farfalle al Tron di Dio. Ma il rapì tosto un' aura, e serena; E allor si vide nel Paterno ciglio, In mezzo alla Pietade, ed al Consiglio Balenar l'allegrezza, e parve pena. Più ti dirò; trasse dal Zaino ancora Cetra contesta di fine or lucente, E colla mano accompagnò la mente Sino a quel Ben, che l'Anime innamora. E più che Laura, e più, che Nice, e Fille S'udio ripeter dal vicino speco, Gloria di nostre selve in bocca all'Eco, Il Nome della sua casta Amarilli. Ma queste son fra noi cose vulgari, Che non più il Mondo, come al tempo antico, Fatto men ozioso, e più pudico, Conta co' Cigni li Poeti rari. Io ti dirò cose maggiori, e perso, Che acquistin fede ai secoli futuri, Nè il poco creder tuo la luce oscuri Di quanto io vidi, ch' è minor del vero. Dopo la Cetra apre Mirtillo un foglio Pien di Magiche note; ed ecco a un tratto Il vicin bosco ampio Teatro è fatto Pieno di meraviglia, e di cordoglio: E come, all'imbrunir di calda fera, Van mille, e mille lucciolette intorno, Quasi faci volanti al morto giorno, Colè verso il finir di Primavera; Tai, rette allora da invisibil mano, Pendon Lampade accese, onde s'alluma L'aurata Scena, che poi stride, e fuma Di Regio sangue, e d'ululato strano. Io vidi, e appena il credo, anzi ancor sento Stringermi il cor per la pietade, il pianto Versar Donna Reale, e il lungo manto Squarciarsi, con barbarico lamento. Vidi Rachele, e Lia, per lor trofeo, Unir l'Amore, e l'Innocenza insieme; E gir contento alle dolcezze estreme, Per doppia fiamma, il Pastorello Ebreo. Vidi altre cose dei più chiari Eroi Farsi presenti all'avido intelletto, Sicchè, smarrita nel diverso oggetto, Meno io so dir, che immaginar tu puoi. E tutte il sol meraviglioso ingegno Reggea del gran Mirtillo, il cui pensiero, Per novello di Gloria alto sentiero, Siccome Aquile vola oltra ogni segno. Così mi disse Clori; e ancor ne gode I cuor, che serba in se l'opre immortali, Ma a lor confronto i spirti miei son frali, E più tempo bisogna a tanta lode.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), pp. 189-193.

DA i sacri Boschi ombrosi, Che fan corona alla sublime fronte Dell'Apollineo Monte, Sciogli i passi amorosi ERATO, c'hai cura de i balli, e spiri Da i tremuli Zaffiri Degli occhi un fuoco, onde maggior si rende L'altro, che Amor nelle nostre Alme accende. E se giammai ti prese Desio di gloria la feconda Mente, Con cui reggi sovente Le più festive imprese, E questo il dì, che oltre il natio costume, D'ostro d'oro, e di piume T'adorni in guisa, che da doglia oppressa Nulla emenda ti dia l'Invidia stessa. Le molle chiome, e belle, Parte in trecce annodate, e parte sciolte, Formino in se raccolte, Non so se gigli, o stelle, E rilevato in sulla Fronte il Velo, L'aureo segno del Cielo mostri, onde il Sole empie d'erbette, e fiori L'alma Stagione di novelli Amori. Fissa al lume del Ciglio; Mezz'ascosa nel Manto, Aquila audace, Scopra il petto vivace, Col generoso Artiglio, E sembri dire in sua ragion, ch'è meno Felice a Giove in seno; Dal rostro poi penda il bel drappo lieve, Che orni gli Omeri eburnei, e non l'aggreve. Di tre Zone un sol cinto Facciasi, in nome del Fanciullo alato, Da cui fuor dell'usato Vada il fianco succinto: Nè colte quì sull'Indiche maremme Vengan straniere gemme, Ma, da possente alta Virtude unite, Splendan di casto ardor gioie infinite. Innocenti desiri, Cure eccelse d'onore, e dolci, e care D'affetto illustri gare, Tronchi d'Amor sospiri, E sguardi, e risi, e parolette, e quanto Ha di soave incanto Amor, che al foco dell'eterna face Unisce quel che lice, e quel che piace. Non di Socco festante, Nè di Coturno, che in fatali affanni Calchi estinti Tiranni, Vesti l'agili piante, Ma di una spoglia più che neve bianca L'altero piè rinfranca, Sparsa del Vello, che a crudel tenzone, Già trasse in Colco il peregrin Giasone. Musa, or dove n'andrai, Lieta così di tanti fregi, e tanti? Dove i passi vaganti Incerta muoverai? Già du gli occhi del Sol s'estingue il giorno; E le fredde ombre intorno, Per cieco della notte ermo consiglio Recano ingiurie al balenar del Ciglio. Ma, da subblimi bande La via t'insegna, che a Colei conduce Per sentiero di Luce, Teda famosa, e grande; Affretta il passo, ecco Imeneo t'accoglie Nelle segrete foglie, Dove ha due Alme unite un solo petto, E due voleri in un voler ha stretto. Nelle ricche Cortine Del Letto genial mirar tu puoi Lunga ferie d'Eroi; Sulle fila indovine E adombrando alla futura Etade, Le gloriose spade De gli aspettati Figli, e dei Nipoti, Far Eco muta dell'Italia i Voti. Mira come sfavilla, A caratteri d'oro il Nome augusto, Pieno d'Onor vetusto, Di PAOLO, e di CAMMILLA: Gl'innamorati loro alti pensieri, E gli onesti piaceri, Riverente silenzio asconde, e copre, Che loda il frutto, e tace il fatto, e l'opre. Nell'onorata stanza, Fra l'altre, c'han più rinomato Alloro, Col pettine sonoro, Provoca Tu la danza, Nè t'arrischiare all'animoso impegno, Con altra opra d'Ingegno; Ma della voce lor famosa, e chiara A tesser lodi alla gran Donna impara.

Recanati, Giovanni Battista, Poesie italiane di rimatrici viventi, raccolte da Teleste Ciparissiano (Venezia: Per Sebastiano Coleti, 1716), pp. 194-198.

Quegli, che spira ovunque vuole, e muove L'umane menti, e i lor desiri accende; Poiche nel seno al Vatican discende, E a tuo favor l'infiamma, e lo commuove, Egli le tue virtù celesti, e nuove Del gran Triregno incoronare intende; Mentre al desio comun solo contende Il voler tuo con ammirabil prove. Le Corone rifiuti, indi il pensiero Pieghi alle voglie eterne, e sì n'insegni Di verace umiltade il bel sentiero. Così d'immortal gloria il Mondo or sengi, Che Grande sei nel rifiutar l'Impero, E sei maggior quando Tu il prendi, e regni,

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 163.

Del Re dell'Alpi il Pargoletto ignudo Colla tenera man cerca la spada, Sprezza le molli piume, e sol gli aggrada Trovar riposo entro il paterno scudo. Già collo sguardo generoso, e crudo A i lontani Trofei s'apre la strada: Dato è dal Cielo, perche solo ei vada Contra il destin, ch'or nel silenzio io chiudo. Nell'opre già del Genitor guerriero, Gran lampi di virtude il Mondo ha scorto, E più ne scorgerà nel Germe altero. Prenda l'Italia pur speme, e conforto, E risvegli la mente a gran pensiero, Che l'antico valore è già risorto.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 164.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 496.

Scende il Ver dalle Stelle, e adombra, e sface La glora degli Dei falsi, e bugiardi: Arcadia, a che più pensi? a che più tardi? Non scorgi ancor la luminosa face? Ecco, ch'ella t'addita esser mendace L'antica Deità, che in sen ti guardi. Contra Pan, che t'inganna, ancor non ardi Di sdegno? e soffri il lungo errore in pace? A lui struggi gli altari, e scquarcia il velo, Ch'è di vane figure impresso, e vago, E volgi a miglior uso il senno, e 'l zelo. Quinci il bel genio tuo fia lieto, e pago; Poichè t'invita ad adorare il Cielo L'Autor della natura, e non l'Immago.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 166.

Era il Caos confuso allor, che Dio Della feconda mente aprì le forme: Oscura ogn'una, e sul natale informe Si converse al Principio ond'ella uscio. Rivolta al divin lume alto desio Mostrò d'un sì bel raggio andar per l'orme, E allor di mille idee le vaghe torme Usciron fuor del tenebroso obblio. La primiera sostanza a Dio rivolta Fu la cuna d'Amor, fu d'alimento Quel fuoco, e crebbe poscia in Dio raccolta. Del Mondo ad idear le forme intento Indi Amore anelò, poich'ebbe sciolta L'una, e l'altr' ala; e dispiegolla al vento.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 167.

Se alle nostre foreste avvien, che arrida, Signore, un lampo di tua sacra luce, Avrem virtù, ch'alti pensier produce, E a magnanime imprese è scorta, e guida. Noi canterem, come in tuo cor s'annida Tutto l'onor di lui, che in Ciel riluce; E come tua Pietà muove, e conduce L'ordine eterno, e la sua greggia affida. Veggiam pur noi quai per lo Ciel turbato Volgonsi nembi di terror profondo, E quai cova tempeste Austro adirato: Ma basterà per tranquillare il Mondo, E ricolmar di gioia il nostro stato Di tua mente uno sguardo almo, e giocondo.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 167.

This poem also appears in: Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1722), v. 9, p. 72.

Or che tien chiusi i lumi in dolce obblio Il Fanciullo divin, tacete, o venti, E voi fermate il corso, o chiari argenti, Benchè v'incalzi tra le sponde il Rio. Vorrei fermare i miei sospiri anch'io, Se fosser, come voi siete, innocenti; Ma di pentito cor l'aure dolenti Non turban la quiete al nato Dio. Ch'egli dormendo ancor, l'alto amoroso Pensier ravvolge, per disegno, e norma Della grand'opra, onde avrem noi riposo. Oh dolce sonno, che per l'Uom riforma L'antico male! ahi ch'il Bambin pietoso Veglia a dar vita al Mondo, e par, che dorm.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 168.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 39; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 366-367.

Mio Cuor, credi, & adora: eccoti avante Al gran Mistero, in cui si stringe al petto Vergine Madre, e Sposa il Pargoletto Tuo Redentor tanto aspettato inante. Deponi quì le così varie, e tante Folli speranze, e ogni profano affetto; E sia per te nelle sue fasce stretto Ei l'Amore, ei l'Amato, ed ei l'Amante. Vedi come a Maria risplende il viso D'un sì bel pianto, che non fu giammai Delle Stelle, e del Ciel più bello il riso. Per poco, o nulla ai lagrimato assai; Or se nol fai dal tuo fallir conquiso, Quando in uso miglior pianger saprai?

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 169.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), p. 39; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), p. 367.

SPieghi le chiome irate Minacciosa Cometa, e il guardo giri Grave di morte a queste mura intorna; Nubi di fiamme armate Giove sovra di noi muova, e s'adiri, Nè splenda mai senza saette il giorno; Colle nuove sciagure anco ritorno Facciam l'antiche, e il lor furore insieme Sovra l'anima mia corra disciolto. Io con pallido volto Non mirerò le mie sventure estreme: Soffre il mio cuor, non teme; E intrepido vedrò sovra il mio crine Dal destino cader stragi, e ruine. S'avventano i disastri Solo all'Anime grandi; Io mai non vidi Fulminata dal CIel capanna umile: Suole l'ira de gli Astri Solo tra i rischi esercitar gli Alcidi, Nè gode d'assalir petto servile; Però ch'il fato ancor si prende a vile Recar guerra crudele ad alma imbelle, Che di lagrime sol coperto ha il ciglio: Vuol fortezza il periglio, E se contra di te s'arman le Stelle, Tu desta omai le belle Prove, che in nobil cuor virtù produce, E il tenor di mia vita a te sia duce. Tu sai, che i lumi appena Apersi al dì, che m'incontrai dolente Coll'aspetto crudel d'avversa sorte, E con adulta pena In pargoletta età vidi repente Fin su la cuna mia scherzar la morte. Pianser gli occhi presaghi, e ancor non forte Fu il mio tenero seno a i colpi esposto, Che m'avventò dal Ciel destino in grato. Del Genitore il fato A me sola palese, altrui nascosto, Predissi; indi ben tosto Seguiro i danni, e alla presaga cuna Il Paterno feretro unì fortuna. Sull'offesa negletta Trionfò l'omicida in faccia al Cielo, Ch'immoto spettator vide lo scempio; Nè per giusta vendetta La provvida ragione arse di zelo, Ma tacita soffrì l'orrido esempio. Si vide solo pullulare un'empio, E vorace desio, nato nel petto De' tiranni congiunti, il cui furore Estinse quell'amore, Ch'in seno anco alle fere è sacro affetto. Fuggendo allor l'aspetto De gli antichi Penati, e Patrii Lari, Schernii le voglie inique, e i genj avari. Esule abbandonata, Della vedova Madre allor seguendo, Qual' Ascanio, o Camilla, il passo errante, Ver la Patria bramata, Da cui partiva il piè, volsi piangendo Del mio ciglio infelice il guardo amante: Languida alfin le mal sicure piante Posai sul Tebro entro sacrate soglie, Ove splender credea tranquilla luce; Ma quel, che mi conduce, Pertinace destin non cangiò voglie: Ovunque egli m'accoglie Mi circonda d'affanni; e s'io mi guardo Dall'Arco feritor, pur sento il dardo. Nuovi ingordi desiri Collegarsi a'miei danni allor vid'io, E alle ricchezze mie negar la pace: Gli empj, e ciechi deliri Anelar sitibondi al sangue mio, E portar delle furie in man la face; Ed io tenera ancor, non quel, che piace, Ma quel, ch'opprime, a sostenere appresi; Nè furon dal mio labro invan temute Le funeste cicute: Io di mia morte ragionare intesi; Ma pure Astri cortesi, Armando a bell'Astrea la mano invitta, Recar soccorso all'innocenza afflitta. Fortuna alfin m'accolse; E lungo stuol d'adorator divoti I miei ricchi Imenei chiedeva a gara; Ed oh quanti raccolse Lo splendor di mia sorte incensi, e voti, Ch'adulando porgea la turba avara! Già cominciava ad esser lieta, e cara A me la vita, e l'aura era getnile, E già l'alma, e il pensier s'ergean sull'ale: Quando forza fatale De gli anni miei congiunse il vago Aprile A strana età senile: Io rammentai colle mie nozze allora L'ingrate tede all'infelice Aurora. Del Gran Pastor Latino L'alto voler fu legge a'miei sponsali, E il cenno suo dettò il materno assenso. Vide all'ora il destino Al lume di mie faci nuzziali Estinta la pietà, non ch'altro senso. Del pianto mio, del mio dolore intenso Godero i fati, e riser gli astri alteri, Che resero crudel Giove clemente; Ei di fasto apparente Coprì l'orrore; ed a i potenti imperi Cedero i miei pensieri; Qual'onda al vento, e tra l'illustri cure Sol potei numerar le mie sventure. Quella, che un tempo sorse Mole tremenda a gli anni, al Tebro in riva Già d'ossa Imperiali Urna superba; E poscia albergo porse A i seguaci di Marte, e d'ozio schiva Dell'antico valor vestigio serba; Quella m'accolse in sull'etate acerba; E novelle m'offrse ingiuste pene. SOtto titolo illustre in chiuso orrore Varcai le più bell'ore, E passegiai sulle funeste scene; Pur baciai le catene, E in rigida prigion sfogai col canto, Qual dolente Usignol, l'angosce, e il pianto. Quivi piombar ben mille Dall'urna ampia de'fati ingiurie, ed onte, Quale in turbato dì tallor si vede, Che alle sonore quille Di grandini temute in faccia al monte Pria scoppia il tuono, e il fulmin poi succede: Ma il Ciel sa, che non cede Temprato alle sventure eroico petto; Suol qual neve cader senz'altrui danno In nobil cuor d'affanno, E qual'Olimpo ogn'or prende a diletto De'nembi il fero aspetto, Tal vidi del destin l'ire schernite, O pur belle nel sen le mie ferite. Stanca alfin, ma non vinta De' sacri chiostri lo ritornai nel seno, Ed ivi men crudel sperai fortuna; Ma quella calma finta, Qual'in nube talor debil baleno, Cangia sembianze, e le tempeste aduna, Allor vidi scagliarsi ad una ad una Nel sen nuove sventure, e i Cieli irati Diffonder sovra me lumi fatali: Per colmarmi di male Mirai sovra il mio crin gl'influssi armati De' miei torbidi fati Dar fulmini alle Stelle; e tutto l'Etra Farsi sol per mio danno arco, e faretra. Qual Filomena afflitta, Che da rustica man vede involarsi Gli amati parti suoi sospira, e geme; Tal'Io nel cuor trafitta, Lungi da'cari Figli il pianto sparsi, Cui tiranno voler tolse alla speme; Ma qual'onda, ch'altr'onda incalza, e preme, Succedendo a dolor nuovo pianto apersi il ciglio; D'un mio tenero Figlio, Ch'era di questo sen parte migliore, Morte recise il fiore, E al materno dolor non fu concesso Darli nel suo morir l'ultimo amplesso. Volea ben l'alma forte Seguir l'orme del Figlio, e sulle sfere Indivisa da lui posar le piante; Ma rifiuto di morte Giacque sull'egre piume anco il volere, Ch'a costringere il Ciel non è bastante. Cheidei pietà con pallido sembiante A quella man, nel cui poter comise Colle richezze mie me stessa il fato; Ma nel misero stato, Un cui posta m'avea, sì mi derise, Che volle in strane guise Di quello, che gli diedi, ampio tesoro Negare a' preghi miei debil ristoro. Alla parte divina Delle provvide leggi i voti offersi, E dal soglio di lei sperai sostegno; E ben l'alta Reina, Turbata in ascoltar quanto soffersi, Fiammeggiò di pietate, arse di sdegno, Nè l'orgoglio soffrì, nè il crudo ingegno Delle garrule turbe al ver nimiche: La potenza schernì, spense la frode; Ed io soccorso, e lode Ebbi per man dell'auree leggi amiche. Spariro allor l'antiche, E nuove pene; e per me allor giocondo Sorrise il Fato, tornò bello il Mondo. Quella Ruota suprema, Che i genj di fortuna a scherno prende, E dell'uman poter sprezza le voglie; Quella, che solo ha tema Della ragion, cui d'ubbidire intende, Dalla cui sacra mente il moto toglie; Quella le mie speranze in se raccoglie, Ed io spero da lei l'intiera pace, E ben scorge, ch'io sono inerme, e sola, E quanto a me s'invola Vede per man dell'altrui forza audace: Benche il mio labbro tace, I miei danni comprende; e fia, che segua Suoi giusti moti, onde se stessa adegua. Non perche vesta il piede I tragici coturni, avvien, che sempre Abbia la scena sanguinoso fine; Spesso al dolor si vede Seguir la gioia, e con amiche tempre Variarsi fra lor regno, e confine: Pria, che la tarda età c'imbianchi il crine, Con moderato cuore i dì godiamo, E sien sparse d'obblio le nostre cure: D'istabili sventure, Come schersi del Ciel, giuoco prendiamo; E se talor veggiamo A vicine battaglie il campo aperto, Pensiam, che da i cimenti ha vita il merto.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, pp. 171-178.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), pp. 40-47; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), pp. 367-374.

QUando dall' urne oscure Placida notte amica Licenzia i sonni, e l' ombre molli usate, E cuopre il volto della madre antica Sotto le tenebrose ali stellate, Le più penose cure Tuffansi in lete; e in ramo, in bosco, e in sponda, L' augel, la fera, e l' onda Par trova pace; e posto in bando il duolo, L' ira obblio, frena il moto, e acqueta il volo. Per me pace non viene; E nel comun riposo Sento farsi più grave il mio tormento. Misuro allora con pensier doglioso Quanti Cloto ha filati anni di stento, Per le mie acerbe pene; E duro campo di battaglia è il letto All' agitato petto: Sicchè nel Ciel par, ch' adirati gli Astri Veglin solo a destare i miei disastri. Ma se pochi momenti Nega di posa il fato All' intrepido cor, sull' Arpa d' oro Venga lo spirto di virtute armato, E dalle piaghe mie versi un tesoro D' armoniosi accenti. Sentan l' età future, e n' abbia scorno Ogni altro stile adorno, Com' io raffreno in sulle luci il pianto Per bella gloria, e lo converto in canto. Poetico furore Agiti l' alma, e affretti Sull' arco armonioso i sacri strali; Ed indio ben mille ferite aspetti L' alta cagion de' miei perversi mali. Nel bel campo d' onore Fatta scudo a me stessa innalzo un grido, E il mio martir disfido: L' affronto, e il vinco; e sotto giogo acerbo Traggo il reo dal sepolcro, e in vita il serbo. Incatenato poi Della gloria al confine Guidatel voi, Castalie suore elette, Ove l' irreparabili ruine Pianga con luci di veleno infette; Poichè sin là con voi Giungere a me non lice, e troppo ho stanco Per tante cure il fianco. Altri pur giunga al sospirato lito: Che a me basta l' onor d' averlo ardito. I primieri vagiti Udì dalla mia cuna Con torvo aspetto empio Saturno, e fiero; E i primi pianti la crudel fortuna Serbò per semi del suo sdegno altero. Con turbini infiniti Scosse il tenero fior de' miei verdi anni, Multiplicando affanni, Maligna stella; e i giovanili allori Pianser per altro, che per folli amori. Se di gemme natìe Arricchì le mie fasce, Che com' Idoli suoi il volgo adora, Oh quante dure inusitate ambasce Sott' altro manto vi coperse ancora! Delle rapaci arpie Pendon, disperse anch' elle in rei consigli, Da i sanguinosi artigli: Nè v' è chi n' abbia pensamento, o ura, Toltane la mia cruda aspra sventura. Voi, che nel Ciel movete, Intelligenze eterne, I varj aspetti di tant' astri, e tanti, Perche nel giro delle sorti alterne Sol per me siete immobili, e costanti? Ma se così volete, Al sesso imbelle altr' arme non avanza, Che altrettanta costanza: Non è poca vittoria, e poca palma In debil spoglia trionfar coll' alma. Bella Virtù reina, Tu, che del vero Giove Pallade uscisti dall' eterna mente, Seconda tu le gloriose prove, E tu abbossa per me l' asta possente. Di luce alma, e divina Cuopri l' oscura mente, ond' io men vada Per men battuta strada, Calcando inaccessibili sentieri Col petto esposto a gli Aquilon più fieri. Se la superba, e cieca Saettatrice infesta Della terrena spoglia, ov' io son chiusa, Oltraggio a i fiori momentanei appresta Con fredda mano in rio veleno infusa, Sollievo all' alma arreca, Togliendo il peso alle doppie ali, ond' ella Alla natìa sua stella Si volge, e il molle vaneggiar de' sensi Mira con scherno da quegli orbi immensi. All' erto della gloria Dov' eterne ghirlande Fanno ombra illustre all' onorate fronti, Non va per via fiorita anima grande; Ma fia, che molti, e varj mostri affronti. D' Alcide la memoria Non langue ancor per volger d' anni; e l' arte Più, che in fugaci carte, Intorno a i marmi, e intorno a i bronzi suoi Suda, e risuda a immortalar gli Eroi. Dunque l' ampia faretra Voti pur nel mio seno Nimica sorte; avrò sempre costante (Come di Pietra il nome) il cor ripieno Di tempre d' infiessibile diamante. Sì sì su questa pietra Arruoti l' armi; e n' usciran faville Di gloria a mille a mille, E sveglieran l' incendio, in cui desio Morir Fenice, e superar l' obblio.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, pp. 178-182.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), pp. 47-50; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), pp. 374-378.

SIn da quel primo istante, Che uscir di mano del gran Fabbro eterno I Cieli, il Sole, e le minute stelle, Sciolse Amor l' ali, e di tant' opre, e tante Per comando di lui prese il governo, E il Mondo empì dell' alte cose belle. Ei d' onesto rossore Sparse le guancie della prima Aurora, Per lui tutta candore Girò del Ciel la luminosa suora, Dai Poli opposti nelle parti estreme Si vagheggiano insieme Gl' astri cogl' astri, e del suo fuoco pieno La Terra ornò di mille fiori il seno. Amor, che sempre intento Al primiero suo fine il soglio aurato Tien di ragione, e i bassi sensi affrena, Che nulla ha parte dell' infausto evento, Per cui piangon le selve Adon svenato, E d' Oreste, e Medea piange la scena: Amor non quel, ch' ha infetta D' un velen dolce, che piacendo ancida Mortifera saetta Per chi dolce ragioni, e dolce rida, Ma quel, che vola oltre il confin d'un riso, E nato in Paradiso Stringe in nodo di fede i servi suoi, Padre fecondo di famosi Eroi. Or presto i santi Chiostri Scorse del Cielo in poco men, che il lampo Non esce dalle nubi, e vidi intorno, Incliti Sposi, che degl' Avi vostri Famosi in pace, e gloriosi in campo L' alme splendean nell'immortal soggiorno: Oh di che gloria vide Il seggio empir della natia sua stella Non favoloso Alcide, Per cui Roma si fee più chiara, e bella. Mill' altri vide in veste d' oro, e d' ostro Lumi del secol nostro De' quai non langue, e perdesi memoria, Di Poemi dignissimi, e d' Istoria. E fra se disse, or quale Donna sarà fra le tant' altre elette, Che rinovi di loro il Germe augusto? E quì tentò la punta al maggior strale, Che scelse fra mill' altre aure saette Di cui va sempre il destro fianco onusto, E come al Ciel sereno Momentaneo vapor vibra sè stesso, E fugge in un baleno, Quasi tema degl' Astri il bel rifflesso; Tal' ei spiccò dagl' alti giri il volo, E rise a destra il Polo, Quando il mirò di rose, e d' oro ornato Starsi nascosto di Vittoria a lato. Ivi com' Uom, che aspetti, E luogo, e tempo all' onorata impresa Invisibile altrui venne, e rivenne: Sassel colei, che in generosi affetti Sentì talor l' onesta mente accesa Al moto alter delle battute penne, Egli d' ambrosia asperse Le soavi parole, e per consiglio Di lui, che vi si immerse Si regolò la maestà del ciglio. Se mai per gli odoriferi Mirteti Mosse ella i passi lieti Della paterna Villa, Amor le apparve Coll'ombra grande d' Alessandro, e sparve Pur venne il dì, che l' Arco Riprese, e voi foste, Fermano, il segno, E n' andò poi per tutta Italia il grido: Oh quante volte egli vi attese al varco, Come il più saggio Cavalier, e degno, Là ve l' Aquila vostra ha reggio il nido; Nel magnanimo core Tutte s'uniro le virtudi, e fero Al bel concetto ardore, Con presagio di gloria un plauso altero, E vi dipinser nella pura mente, Con piacere innocente I dolci frutti, che ne andran sicuri Di ramo in ramo ai secoli futuri Chi potrà dir con quanto Gaudio, e con quanta gioja a voi conversa La Vergine sublime, il volto, e il petto Ornossi, e lieta delle grazie accanto Dall' aurea chioma innanellata, e tersa, Sciolse il bel velo, e Amor n'ebbe diletto? Come i caldi desiri Pasceste voi ne' vaghi occhi sereni; Che agli onesti sospiri Splendean d' un non so che celeste pieni? Non vide mai per le toscane strade L'altera alma Cittade, In cui valore, e cortesia s'apprezza, Più nobil foco per maggior bellezza. Godete, Alme felici, Ecco, Imeneo scuote la face, e porge Materia illustre ai più famosi Allori, Ciò, che maggior di te Febo predice, Ove il lume tuo manca, ove risorge E poco premio ai fortunati amori; E voi su i Ghisi Monti Spiegate pur al Ciel volo indefesso, Cigni dell' Adria, e conti La nostra etade in lor più d' un Permesso, Di penna in penna, più che geme, ed oro Vadano i nomi loro, Come ne andrà la desiata Prole, Per quanto stende il suo cammino il Sole. Canzon, che nata in solitario loco Men culta andrai d' altre più belle in schiera. A miglior Cielo, e in più tranquilla stanza, Se t' invaghìo speranza Di farti serva della Donna altera, Non sarà scarso premio al basso, e tardo Ufficio tuo, delle sue luci un guardo.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, pp. 182-185.

This poem also appears in: Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, pp. 263-266.

Orchè la selva annosa Per la stagion nevosa Priva è di frondi, e il colle L' ispida fronte ignuda al Cielo estolle; Nè da i gelati umori Dell' inceppato rivo an vita i fiori, Io, ch' intrecciar disegno Serto sublime, e degno Al più fanoso, e chiaro Pastor, che va del gran Sincero a paro, L' ardita mentre invoglio D' un' acceso desio più, che non soglio. L' arbor, che già sul Tebro Fu d' alto onor tutt' ebro, E che di fronde aprica Coperse un dì la maestade antica, Servami a farti onore, O degli Orfei Toscani Orfeo maggiore. Quei, che cantò di Bice, Spirto immortal felice, E quei, che in stile industre Sorga rendeo col dolce pianto illustre, Domando gli anni rei, Appena porian dir quel, che tu sei. Arcadia il sa, che intese Nelle Febee contese Il tuo bel canto altero, Cui null' altro pareggia uman pensiero, E l' Arno il sa, che scerse Da lunge il merto, e i primi onor t' offerse. Se si leva sull' ale. Dov' Von di rado sale La mente tuo va lieta Per novello sentiero oltre ogni meta; Ed Io, che l' opra indago, Ne' voli suoi le mie bassezze appago. Come l' alta sorgente Del tutto il Cielo ardente Muove, ed amando invia Virtù, ch' il tutto a se converte, e cria, Nel sollevarsi all' etra Puote a noi sol ridir l' aurea tua Cetra. Per te piena di luce L' età nostra riluce, Sicchè d' invidia accende Le future degli anni alte vicende; Se le passate infide Glorie oscurando, il pregio lor deride. Canzon, non basta un serto sol d' allora Al Pastor, che tra noi Può contar colle stelle i pregi suoi.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, pp. 186-187.

GRan Saggio, a cui d' invidia, o di fortuna Le temerarie offese Non possan mai l'imprese Turbar, che Febo illustra ad una, ad una; Se sei con nuovo esempio Delle bell' arti sue Custode, e Tempio. Qualor della tua mente in se perfetta Raggio possente, e santo Torna a svegliarmi il canto, Quasi io non fossi più, qual son, negletta, Sull' ali, ancorche scarse, Sentomi l' alma infin' al Cielo alzarse. E tento allor sovra il poter di Donna Mandar la tua virtude Di là, dove il Mar chiude L' una, e l' altra d' Alcide alta Colonna: Al tuo nome mi volgo, Mentre per lui voti di gloria io sciolgo. Come d' intorno all' immortale, e solo Augel degli altri il coro Con ossequio canoro Nelle spiagge d' Arabia affretta il volo, Poiche risorto il vede Delle ceneri sue padre, ed erede. Così qualunque sia Cigno felice, Ch' oltre l' uso mortale Spieghi la voce, e l' ale Per la bella d' Italia alma pendice, Ogn' altro lume a sdegno Prende, e s' inchina al tuo sublime ingegno. In me vibrò sotto contraria veste D' altro veleno infuse Nimica delle Muse Fortuna rea mille saette infeste; Onde mal nota al Mondo Per me non resta il bel viver secondo. Musa, pria, che t' additi altro cammino La sua penna famosa Per insolita via, siedi, e riposa.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 187-188.

QUeste son pure l' elette Molli d' Arcadia erbette, Ch' ingemma il Ciel di non daduchi fiori. Odo i saggi Pastori Cantar lieti, e cortesi, Più, che d' Amor, di bella gloria accesi. Or qual ne i sacri lari De i Genj tutelari M' ispirerà virtù, che umile invoco, Perche degli anni a giuoco Tessa in stil peregrino Al dotto Alfesibeo serto divino? Nel margine de' fonti O sul fianco de' monti Qual ramo, o fior degno dell' opra sia, Mostrami tu, Taltà: Tu, che con dolce aspetto Porgesti il nappo al tuo Pastor diletto. Sai ben come il suo canto Dolce risuona, e quanto Porge lume d' onore a i carmi Toschi: Da questi ombrosi Boschi Quante lo Spirto degno Scrisse famose, e chiare opre d' ingegno. Ma perch' abbian tra noi Corone i merti suoi, E' scarso il Sol forse di raggi ancora; Nè la vermiglia Aurora Tanti fiori apre al giorno, Quanti dovriansi alle sue chiome intorno. L' alta Città Reina Del mondo, a cui s' inchina Da Borea ad Austro ogni Monarca, e Duce, Aggiunge luce a luce, Per le sue dotte carte, Che fanno Arcadia illustre in ogni parte. Sin là, dove si noma L' onor d' Italia, e Roma, Giusta lode di lui giunge, e risuona; E questa mia Corona Andria di gente in gente Se avesse un guardo sol dal Gran CLEMENTE. Serbisi dunque in queste Luminose foreste Il suo gran Nome ad ogni età palese; Nè teman poi l' offese I Tronchi, ove il segnaro Titiro, e Melibeo, del tempo avaro. Or dal colle Pimpleo Sin dove il fonte Ascreo Va con passi d' onor di riva in riva, ALzate, Muse, un viva All' aurea Cetra, e degna, Che sovra i pregi suoi trionfa, e regna. Le suore tue, bassa Canzon, raggiungi, Nè t' innoltrar più lungi: Dì loro, per mio avviso, Ch' all' erta via forza inegual ravviso.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, p. 189-190.

MEntre già sazio dalle piagge apriche Tornava il gregge, e passo passo intorno L' ombre scendean dalle montagne antiche, Diman, diceami ALfeo, col nuovo giorno Nascerà l' Anno nuovo: or piaccia al Cielo Dartelo qual più vuoi di grazie adorno. Io, che credea, che col porpureo velo L' Alba accogliesse il nobil parto, e il Sole Lo difendesse dalle nevi, e il gelo, Quando è più oscura la terrena Mole, Ed a custodia delle bianche Agnelle Il fidissimo Can vegliar più suole, In parte andai dove tra queste, e quelle Più basse collinette ergesi un monte Atto a mirar più da vicin le stelle. E della parte Orientale a fronte Ferma l' opra attendea del gran natale, Come Uom, ch' aspetti illustri cose, e conte. Or quivi Asterio il buon Pastor, che vale Tanto col disco, e colla fromba, e tanto Sovra ogni uso mortal cantando sale, Venne per l' orme mie pensoso, e intanto Non s' era l' Aura mattutina ancora Desta; ed in dir così, sedemmi accanto. Fidalma, e qual desio ti trasse fuora Della capanna in sì rimota parte Pria ch' esca in Cielo la vermiglia Aurora? Forse hai vaghezza di mirar quant' arte Pose l' eterna infaticabil Mente In quei, che noi chiamiam, Saturno, e Marte? O qualch' altro pensier mesto, e dolente Ti toglie al sonno, onde la stanca salma Tutto il rigor della stagion non sente? Amor non è: che la tua gelid' Alma Amor non prova; o se lo prova, è solo Desio di gloria, avidità di palma. Risposi allor: come! non sai, che il Polo Sta per dar fuori l' anno nuovo? ed io Quì benni a vagheggiarne il primo volo. Mel disse Alfeo quando passammo il rio, E al picciol guado Fronimo divise Il numeroso tuo dal gregge mio. Asterio allor del mio pensier si rise, E in parlar grave del novello giorno Soavamente a ragionar si mise. Volgesi il Ciel con tante stelle intorno All' ampia Terra, e la feconda, e muove Virtu`, ch' empie di frondi il faggio, e l' orno Nè, perche colassù Venere, o Giove Cangino aspetto, fia, che il basso Mondo L' antichissime sue forme rinuove. Sempre anno influsso placido, e giocondo Gli Astri; e per scusa dell' uman fallire Altri infausto lo crede, altri secondo. Dal nostro, or regolato, or reo desire Pendon le sorti, e volontario è il danno, Che muove in petto nostro amore, ed ire. Nè creder tu, perche risorga l' anno, Che i primi ordini suoi muti natura, Se il vero udj pur da color, che sanno. Questa, che al tempo istabile misura Noi diamo, è come in picciol vetro accolta, Che in se sempre si volge, arena impura. Ei dalla prima memorabil volta, Che sciolse i vanni irreparabilmente Fugge, e il nostro pregar mai non ascolta. Là nell' ampie Cittadi usa sovente La sciocca turba a vil guadagno intesa Favoleggiar di lui per l' Uom potente. Augura lieta ogni futura impresa, E cuopre il cor sotto contratio manto Conversa in lode la celata offesa, Fidalma mia, quanto è diverso, oh quanto Il nostro innocentissimo costume Da chi mutata ha la menzogna in vanto! Le mense liete, e l' oziose piume Con tanti vani titoli d' onore An quasi tolto alla ragione il lume. Andiam, che già del suo natio splendore S' imbianca il Cielo, e move il corso usato Il bel Pianeta, che distingue l' ore. Tu godi intanto il tuo felice stato, E in ogni tempo il buon voler sia scorta A quanto cela a gli occhi nostri il Fato. Ei d' alto regge il corso a gli anni, e porta Gli ordini eterni di colui, che ha cura Di noi, ch' audiam per via smarrita, e torta. Goditi il ben, che nella mente pura Serve di sprone a miglior voglia, e sprezza Ciò, ch' un' affetto reo cangia in sventura. Più voleo dir l' altero mente, avvezza A maggior cose, del Pastor felice: Tanto ebbe in grado allor la mia sciocchezza. Or nella istessa forma a te predice Fidalma il resto del comun viaggio: Che in ogni luogo, e in ogni erma pendice Va lieto il Forte, ed è contento il Saggio.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1716), v. 1, pp. 191-194.

This poem also appears in: Zappi, Giovanni Battista, Rime dell'avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), pp. 50-53; and Blasi, Jolanda de, ed., Antologia delle scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze: Nemi, 1930), pp. 378-381.

NOn va, con vostra pace, illustri ingegni, L'Italo Eroe di tante palme adorno, Perche la via di guerreggiar gl'insegni Cartago, o Roma, d'Oriente a scorno. La Davidica Torre, a cui d'intorno Pendon ben mille luminosi, e degni Scudi, ch'ai lampi dell'eterno giorno Cuopron dall'alto, e le provincie, e i regni, Prestò la spada alla maestra mano, Ond'è, che fuman d'ampia strage, e morte Tutt'ancora sull'Istro il monte, e il piano. Se MARIA porge l'armatura al forte; Tu, che resisti al suo potere invano, Apri, Bizantio, al Vincitor le porte.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1717), v. 7, p. 361.

Piangi, e 'l guardo infelice intorno gira, Asia due volte da MARIA sconfitta, Tu, che volevi ebbra di sangue, e d'ira, Serva l'Adria, arsa Italia, Austria trafitta. Mira disperse le tue schiere, e mira Al piè d'Eugenio la Cittade invitta, E il Danubio, che orrore, e morte spira, E la gran strage nelle fronte ha scritta. E mira la Gran Donna, che dall'alto, Qual'oste orrenda di guerrieri eletti, Il fatal ti prepara ultimo assalto. Tu scuoti il capo a i manacciosi detti, Nè temi lei, che sta col brando in alto? Misero te, se il terzo colpo aspetti.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1717), v. 7, p. 361.

This poem also appears in: Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 498.

LA degna opra lodate, e il pio Signore, Che il proprio unendo al sovruman consiglio, Dalla gran Sede, ove s'adora il Figlio. Porge nuovo alla Madre eccelso onore. Al Tempio adorno dal paterno Amore Roma rivolge ossequioso il ciglio. E vede Lei, che mostra in questo esiglio Un non so che dell'alto suo splendore. A ridir sua bellezza indarno aspira Chi nell'altera Immago, e nelle chiare Sue luci il guardo ammirator non gira. Nè sa qual'è MARIA, nè quanta appare Sua sembianza nel Ciel, chi quì non mira Questa, che veneriam su sacro Altare.

Crescimbeni, Giovanni Mario, Rime degli Arcadi (Roma: per A. Rossi, 1722), v. 9, p. 100.

GIacobbe allor, che in lunga notte oscura Dal braccio onnipotente avvinto, e stretto Fe la gran lutta, e oppose petto a petto Con meraviglia d' ogni età ventura; Intese dirsi, ecco la bella, e pura Alba, che ascende, ecco il gran giorno eletto Lasciami hai vinto, avranno un' altro aspetto La mia qual brami, e la mortal Natura. Questa, che sorge così vaga Aurora Ombra è di lei, che nell' eterno ammanto Concepirà, chi su nel Ciel s' adora. Per amor suo ti cedo, ella col santo Suo bel lume m' abbaglia, e m' innamora; E tutto è suo di tua vittoria il vanto.

Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 267.