DEI QUATTRO CAVALLI
RIPOSTI
SUL PRONAO DELLA BASILICA DI S˙ MARCO
LETTERA INEDITA
DI
GIUSTINA RENIER MICHIEL
PUBBLICATA ORA
DAL DOTT˙ CESARE MUSATTI

VENEZIA
STABILIMENTO TIPO-LITOGRAFICO KIRCHMAYR E SCOZZI
1893

Venezia 16 Dicembre 1815

Poichè ti resi sino a qui partecipe, mia cara figlia, delle feste e spettacoli che le Loro M˙ I˙ I˙ e R˙ R˙ si compiacquero di accettare da questa nostra Città di Venezia, ben è convenevole, che ora ti parli della festa e spettacolo commoventissimo e singolarissimo, che la Maestà dell'Imperatore volle con tanta generosità impartire a noi. Bella occasione gli porse il ritorno di que' quattro Cavalli di metallo dorato, divenuti forse più famosi per il loro molteplice traslocamento, che per essere opera perfetta tuttochè comunemente si spaccino usciti dalle man di Lisippo. Qual ch'essi si sieno, è certo, che furono l'invidia di tutti i conquistatori. Trasportati a Roma, tutti gl'Imperatori credendo di aggiunger lustro alla lor gloria li destinarono a decorazione de' lor trofei e l'uno dietro dell'altro siccome proprj li riguardarono. Constantino li fece trasferire nella sua nuova Capitale e gl'innalzò nell'Ippodromo ove stettero sino al glorioso acquisto di quell'Imperial Città fatto dall'armi Venete e Francesi condotte dal nostro gran Capitano Enrico Dandolo nel 1204. Nella division del bottino v'ha chi pretende che i Veneziani vedendo come i Francesi rivendevano a vil prezzo ai Greci tanti sontuosi monumenti, e colavano per avidità di oro gli avanzi preziosi delle statue di bronzo che rimanevano tuttavia dopo i tre incendi della Città, abbiano essi offerto di prender per loro la massa totale delle spoglie, dando a ciascun Cavaliere quattrocento marche d'argento, ducento ad ogni prelato e ad ogni ufficiale, cento ad ogni soldato. Se falsa è la tradizione, è vero però che i Francesi nulla recarono con sè, ed i Veneziani all'incontro, più esperti conoscitori, anche in quel secolo, delle arti belle vi trasportarono quantità di ricche suppellettili, gioje, pietre preziose, vasi d'oro e d'argento, marmi peregrini di ogni fatta e finalmente questi quattro famosi Cavalli. Tanti cospicui tesori vennero ad abbellire la nostra Città, ed i Cavalli furono posti da prima dentro dell'Arsenale; ma sembrando che ivi non fossero bastantemente esposti alla comun vista, nè conseguissero la dovuta ammirazione s'innalzarono nella facciata della Basilica di San Marco. E per aggiunger loro un carattere allegorico dimostrante che Venezia non aveva mai sofferto il giogo di straniera potenza, fu spezzato il freno che per l'innanzi portavano in bocca, talchè rappresentassero lo stato di una generosa e magnanima libertà. Colà grandeggiarono trionfalmente pel corso di quasi sei secoli. Indi una pace senza guerra, un trattato senza condizioni, una vendita senza compensi, li fecero trasportare a Parigi. Eppure chi mai creder potrebbe, che a' giorni nostri vi fosse ancora un Francese che dopo aver osato di scrivere e di stampare, che i Francesi prendendo Costantinopoli s'impossessarono de' quattro Cavalli di bronzo dorato, e ne fecero un dono alla Repubblica di Venezia, che ne ornò l'ingresso della sua Capitale (quasi che la Capitale della Repubblica fosse la Cattedral di San Marco); osò di scrivere e stampare non meno, che conquistata poi dai Francesi la Città di Venezia (senza dubbio col mezzo di truppe a cavallo trascorrenti la Merceria, come una loro Incisione dimostra) i Francesi se li fecero suoi nuovamente, e li trasportarono come cosa propria a Parigi etc. Ma certo che da Parigi vennero rimossi mercè le sorprendenti vittorie de' principi alleati. L'Imperator d'Austria, grande di sua propria gloria, pensò che fatto avrebbe cosa degna del suo nobil cuore coll'ordinare che non già nella sua Capitale di Vienna, ma nella Città di Venezia fossero ricondotti a testimonio perpetuo e irrefragabile dell'antico valor Veneto.

All'annunzio di un tratto sì liberale e cortese tutti i cuori di questi buoni Isolani si allargarono esultando di gioja. Il valoroso Capitano Mayer incaricato del trasporto di tutti i monumenti delle belle arti in Italia, e altresì di questo, già s'appressava a Milano. Lo seppe appena S˙ M˙ l'Imperatore, che chiamato a sè il Dandolo Inspettor dell'Arsenale e Capitan di Fregata, così precisamente gli disse: Giacchè un Dandolo conquistando Costantinopoli spedì a Venezia questi Cavalli, voglio che un Dandolo vada ad incontrarli e qui li riporti. Tal ordine sì delicatamente emanato venne tosto eseguito. Volle Egli oltre ciò che si riponessero nel primo lor sito a meglio ridestare negli abitanti un vivo senso di gioja, che andasse del pari col vivo senso di dolore esperimentato allorchè vennero tolti. Ma poich'essi avevano sofferto alcun danno, fu duopo spedirli all'Arsenale per l'opportuno ristauro. Intanto fu disposto nella gran Piazza ogni cosa per la festiva solennità dell'innalzamento. Dinanzi alla nuova facciata del Palazzo fu eretta un'ampia Loggia per Sua Maestà e pel suo civile e militare corteggio; ai lati della quale sorgevano due gradinate a semi-circolo per gli spettatori. Un'altra Loggia ed altre due gradinate s'alzavano vicino al Campanile, e se l'Imperator comparir poteva nella prima senza che avesse ad ascendere o discendere veruna scala, ancor nell'altra egli ci veniva dal Palazzo medesimo mercè un artificiale corridojo.

La giornata decimaterza del Decembre erasi di già annunziata al Popolo siccome quella destinata da S˙ M˙ alla gran festa. Alle ore 11 antimeridiane ventun colpo di cannone manifestò l'arrivo dei Cavalli alla Piazzetta. Attaccati a due a due e posti sopra due specie di Carri vennero tratti da Marinaj e Arsenalotti, che gli affacciarono alla gran Piazza. Quivi fiancheggiati da truppe, e preceduti e seguiti da bande militari, si avanzarono tutti quattro di fronte verso la prima Loggia onorata dalla Cesarea presenza. Il loro maestoso e singolare aspetto; l'idea che altre volte avevano formato parte de' monumenti degl'Imperatori di quella superba Roma già signora del mondo; la rimembranza dell'Epoca gloriosa che padroni ne avea renduti i nostri antenati; inspiravano ne' cuori Veneti una specie di commozion religiosa che facea più uscire dagli occhi lagrime di tenerezza, che grida di trasporto dalle popolari bocche. Giunti al luogo si arrestarono e ricevutone l'ordine dall'Imperatore, si videro tosto staccarsi dal fianco di lui il Conte di Goëss Governator di Venezia, il nostro Podestà Gradenigo e parecchi altri ragguardevoli soggetti che discesero in Piazza, ed il Conte di Goëss, con quel suo volto sereno indice sicuro del suo bell'animo rivolto sempre a giovare, rese a nome del Monarca avvertito il Popolo di questo prezioso dono. Gli rispose il Podestà a nome di quel Popolo ch'egli rappresenta e le generali acclamazioni che succedettero, espressero evidentemente la comune riconoscenza, la comune esultanza. Indi le due Coppie di Cavalli l'una alla destra, l'altra alla sinistra, andarono ad incontrarsi e porsi di nuovo tutte e due di fronte alla Basilica di San Marco. Ivi tutto era disposto per la loro erezione e l'Imperatore a fin di goderla più da vicino, passando per le stanze del suo Palazzo, comparve sulla seconda Loggia, ov'ebbe occasione di applaudire al nostro ben noto Ingegnere Salvini che co' suoi bravi Arsenalotti nello spazio di poco più di una mezz'ora gli alzò tutti quattro in un punto, ed in un punto gli ripose al loro antico luogo. Al rivederli colà il Popolo giubilante parve dimenticare, che quello fosse un dono, e gli si risvegliarono i sensi dell'antica indipendenza, dell'antica grandezza. Dono per altro è questo preziosissimo; dono di augurio fortunatissimo, giacchè ovunque andarono questi Cavalli, dietro si trascinarono lustro e prosperità, siccome fu lor costume il partire da quegli Stati, che decadevano di possanza o di Signorìa. Se la luce del giorno non si fosse andata illanguidendo, nessuno sarebbesi accorto dello scorrer del tempo tanto gli occhi di tutti stavano fitti in que' cari oggetti. Finalmente a poco a poco si andò dileguando l'affollata moltitudine e ciascuno movendo per le vie e rientrando nelle sue case benediceva l'Autore di tanta allegrezza.

Nemmen alla sera fu minor il concorso delle genti nella Piazza di San Marco illuminata a cera con profusione straordinaria. La maggior Loggia mandava splendor più distinto per li varj Lustri accesi, e ai laterali semi-circoli eranvi piantati de' finti alberi, da quali pendevano ardenti palle di nitidissimo cristallo. Il prospetto del Tempio era sì vagamente illuminato e sì bene compartiti i lumi, che senza fatica degli occhi vi si poteva leggere l'Inscrizione posta fra mezzo ai Cavalli, che alludeva a tutto il fatto, nè doveva servire che per quella sera. Dinanzi alla Chiesa ed al lato ove sorgono le Vecchie Procuratie, si alzavano da terra non poche Colonne sormontate da Vasi Etruschi; sì questi che quelle erano con somma grazia e maestrìa illuminati. L'aggradevole incanto rendeva, per così dir, gli spettatori insensibili al rigidissimo freddo, talchè nessuno avrìa saputo rimuoversene, se altro spettacolo non l'avesse altrove atteso. Il Teatro di San Benedetto illuminato anch'esso a giorno in cui stavano preparate alcune Colombe pronte a discioglier il volo, e pioggia d'ova e pioggia di composizioni poetiche invitava a sè gli avidi spettatori; ma ciò che più di tutto invitavali si era la dolcissima speranza di rivedervi Sua Maestà. Ei comparve infatti, ed al suo comparire maggiori non potevano essere quelle dimostrazioni del comun giubilo, che sole vien permesso di esternare per quanta piena di sentimenti soavi li trabocchi dal petto. Un sentimento però ci amareggiava grandemente: mancavaci, perchè lungi da noi, quell'adorabile Principessa nata veramente per imperar eziandio su tutti i cuori.

Una Inscrizione Latina intorno all'Arco sottoposto ai Cavalli nel prospetto della nostra Basilica eternerà questo dono prezioso, e questo bel giorno; e se le Carte degli Erùditi segnarono sin quì, che una sol volta il Popolo potè a sua voglia e piacere disporre di questi rinomati Cavalli, cioè allor quando si trattò di Trajano, ora aggiunger dovranno che un nuovo Trajano la prima volta volle disporne a favore di un Popolo.

Vieni, mia amatissima Figlia, vieni presto a riveder questo glorioso trofeo. Se i Romani poichè perdettero l'originaria Signorìa e furono domati a segno di pronunziare con indifferenza il nome di questo o di quel monarca, pur piansero a caldi occhi il guasto che videro farsi dei lavori di Lisippo e di Prassitele, splendidi monumenti delle loro antiche conquiste, quale conforto non deve essere per noi il riposseder nuovamente questi Cavalli con la fondata fiducia di non perderli mai più. Ti attendo ansiosamente.

TUA AFF˙ MADRE