Paolina Secco Suardo Grismondi:

MISCELLANEOUS POEMS





Assembled by
The Italian Women Writers Project


The University of Chicago Library

Chicago
2006

Sembran da lungi questi monti un folle stuol di Giganti al ciel pronti a far guerra, e tanto il capo loro alto si estolle quanto il regno di Stige entra sotterra; Quì Febo indarno appar, che render molle mai non può il ghiaccio, che circonda, e serra le alpestri roccie, onde le nubi attolle Eolo, e i suoi venti, e i turbini disserra; Quì il misero orror Alpigian le sue fatiche piange deluse, nè mai giunge raggio di Sole estivo a maturar le spiche; Un muto orror quì regna, e sol pel cieco sen delle valli s' aprono il viaggio gonfi torrenti, che mugghiar fan l' Eco.

Parnaso italiano dell'anno 1784, o sia Raccolta di poesie scelte di autori viventi, (Bologna: A spese della Società enciclopedica di Bologna, 1785), p. 78.

MEntre questa a me cara eletta sede i guardi miei per ogni parte invita a vagheggiar superbe opre, cui diede pennello creatore e moto e vita; E or miro Europa, che per l'onde vede fuggir la patria Terra, e che smarrita del Toro mentitor sul dorso chiede con alte strida a' sordi flutti aita; Or ravviso colei, che d'aspro duolo cagion fu a Troja, e or d' Ettore infelice le membra veggo insanguinare il suolo; Emula anch' io vorrei&ldots;, ma indarno tento La richiusante cetra, a cui sol lice di mie pene in amor farsi argomento.

Parnaso italiano dell'anno 1784, o sia Raccolta di poesie scelte di autori viventi, (Bologna: A spese della Società enciclopedica di Bologna, 1785), p. 79.

SAcra, dolce amistà, tua voce io sento, che a lagrimar m'invita, e vuol che in mezzo a funerei cipressi io mi ravvolga spargendo afflitte dolorose note d'un caro amico estinto intorno all'urna. E tu Donna regal, che siedi altera là della Senna in riva, e che talvolta non isdegnasti udir l'Italo suono de'miei carmi, quand'io troppo animoso osai de'figli tuoi cantare il nome, oggi non isdegnar, se il tuo men vengo tranquillo aere a turbar de'sospir miei. Parmi, sì parmi, e che non puote in noi la ricordevol fantasia pittrice! per le tue strade popolose ancora lieta aggirarmi, e pe' colti giardini cari alle Grazie dove spiran mille de'tuoi scalpelli industri opre famose, e coll'avido sguardo in ogni parte il tuo regio poter ravviso impresso. Ma su le rive stesse ahi! cerco in vano l'amato Montigni, che spesso al fianco m'era cortese allor che dì felici guidar tra le tue mura il ciel mi diede spesso con lui, non senza pianto, io vidi là su tragiche scene aspre vicende d'illustri Eroi, con lui sovente io risi del divin tuo Molier ai motti arguti; seco or lieti passeggi, or varie scorsi sedi alle Muse sacre, e all'altri belle; e qual Mentor fedele a parte a parte tutti ci solea di te additarmi i pregi. E ben egli potea le glorie tutte della Gallia narrar, ei che fu sempre da' più verd' anni cogli studi suoi, co' suoi sudori ad abbellirla inteso, le vie scoprendo, e le animate molle, onde il commercio, all'uom dator di vera felicità, più si rinforza, e cresce. L'arti già un tempo ad abitar sol use lungo l'Istro, ed il Ren, o sulle avare Batave piagge, o d'Albion sui lidi invitate da lui trassero a gara pur della Senna a rallegrar le rive, e spesso ancor di più leggiadre forme per lui si ornaro, qual da stranio clima pianta da lungi tratta in suol non suo sorge talor più bella, e al cultor nuovo, e al novello terren di gloria accresce. Virtù del sacro tempio ove gli eletti suoi cari figli accoglie, e le sudate lor fronti cinge degli eterni allori pur a te aperse, o immortal spirito, il varco, e te nel mezzo a que' divini ingegni vide di sempre ardente brama acceso con franco piè le vie batter di gloria, Spirito felice! de' più rari esempli tu fosti emulator, tu spesso ancora rapido li vincesti, e delle palme dall'altrui man raccolte entro il tuo core, che sol del comuna ben avido ardea più che de' lauri tuoi spesso esultasti. Così tranquillo per gli eterei campi astro lucente poggia in suo cammino a mille stelle in messo, e lor soltanto tenta aggualgliarsi invan languido lume d'effimero vapor, che d'ima alzossi umida valle, e che travolto è al soffio di brev' aura leggera, e si disperde. Pur Morte ahimè! che priego alcun non ode, ti volle alfin sua preda, e sul tuo caro dall'implacabil Dea reciso stame piangon l'arti tua cura, i sacri studi, e della Francia il genio anco ne piange. Volgi dal cheto Eliso, Ombra beata, al patrio tuo terren, che certo è ancora l'oggetto del tuo amor, volgi lo sguardo, e contento vi mira il comun pianto, che il tuo cenere onora, e vedi a quai degne del cedro eterno elette carte il dotto Condorcet tuoi fasti affida. Non sol dischiuse Urania a lui le fonti d'ogni raro saper, sicchè giá vola ad ogni lido di sua gloria il suono, ma cogli attici suoi robusti modi quai già si udiro a'miglior tempi, ei gode i bei nomi serbar, e vuol che ad onta della morte per lui viano incisi nel tempio della fama in auree note.

Parnaso italiano dell'anno 1784, o sia Raccolta di poesie scelte di autori viventi, (Bologna: A spese della Società enciclopedica di Bologna, 1785), p. 79.

D'ALTO incendio di guerra arde gran parte D'Europa, e intorno a lei scorre fremente Colla orribil quadriga il fiero Marte; L'Istro e la Neva il sanno, il sa la gente Che la Vistola beve, e sì vicine Del crudo Nume le minacce or sente, Che a lei si avventa, qual per nevi alpine Torrente altier che giù tra balzi scende, E mugghiando terro sparge e ruine. E d'intorno alla Senna ah quai più orrende Desta empie faci la discordia, oh quale Onda immensa di fumo al ciel ne ascende! Cresce il rio foco, incontro a cui non vale De leggi schermo, e va di tetto in tetto, Sin che la reggia furibondo assale. Oh reggia, oh mura, di piacer ricetto, Di gloria un di, come di lutto or siete E di spavento ahi lagrimoso obbietto! Ma dove, o carmi miei che amar dovete D'umili canne il suon, dove sì audace Per sentiero non vostro il vol stendete? Ah che in questo ov'io seggio, e dove tace Ogni strepito d'armi, apriche rive, Miti accenti so chiede amica pace, E in dolce ozio tranquillo imbelli e schive Sempre abborriro il marzïal furore De pace amanti le Castalie Dive. Poichè d'ira fremendo e di dolore Coll'egizia regina il Nil raccolse Nel cerulco suo sen le infrante prore, E poichè Augusto cincitor si sciolse Dall'aspro usbergo, e il non più dubbio impero Con soavi a bear leggi si volse, Nè più Bellona il sanguinoso e fiero Suo flagello agit&orgave;, nè più le genti Impallidîr di trombe al suon guerriero, Delle Muse all'invito impazïenti Corsero i vati al Tebro, e non pria uditi Gl'insegnaro a ridir Febei concenti. Maro gli affanni allora e gl'infiniti Cantò del Teucro eroe varcati orrori Seguendo il fato, i venti, i Lazj liti. Narrò Tibullo i suoi teneri ardori, Dolci note accordando a flebil cetra, Che Amor di propria man spargea di fiori: E mentre ei Delia e la vezzosa all'etra Nemesi alzava, i forti inni sciogliea Il Venosin dalla Dircea faretra, Ond' or bei nomi al tardo oblio togliea, Ed or di rose intatte e mirtee fronde Serti a Glicera e a Lalage tessea. Chiare in quelg'inni di Brandusia l'onde Splendono ancor dopo tant'anni, ancora Il Lucretile amene ombre diffonde. Oh come a tanti eletti cigni allora Eco fean lieta i colli e le beate Rive cui lambe il biondo Tebro e infiora? Nè lungo a quelle rive avventurate Or men vivace la sua fiamma spira De'carmi il genio a cent'alme bennate. Roma, superba Roma, abbatter l'ira Te non poteo del tempo; ancor nudrice Te dell'arte d'Apollo il mondo ammira. Vedi qual figlio oggi additar ti lice, Di Mecenate a um tempo e degli Ascrei Cultor più esperti emulator felice. Palide egli è. Con piena man gli Dei Ricchezze in lui versaro e onore e quanti Pregi ornar ponno un'alma eccelsi e bei. Chi di cetre le fila auree sonati Più dotto a ricercar, chi più gradite Rime elette a temprar fia che si vanti? Voi che sovente la sua voce udite, Campagne amene, e voi d'Arcadia al Dio Diletto albergo, ombrose selve, il dite. Ed oh potessi, o selve, un giorno anch'io A lui dappresso offrirgli in seno a voi Di grat'animo in segno il canto mio! Egli il mio nome co' begl'inni suoi Volle fregiar, e a eternità il commise Che i nomi ha in guardia de'più chiari eroi; Ei sin dai sette Colli amico arrise Agl'incolti miei carmi, e là talvolta Intorno intorno a'verdi allôr gl'incise. E ouando il fato estremo avrammi tolta La dolce aura di vita, e fia da questo Infermo vel l'ignuda alma disciolta, Nè più forse sarà chi sul funesto Sasso ove l'ossa mie chiuse staranno Un guardo sol volga pietoso e mesto, E immemori di me forse ahi saranno. Que'che amici sperai, pur sempre chiara Vita i miei versi glorïosi avranno, Poichè, Palide, a te Lesbia fu cara.

Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1041-42.

Sonetto.

Città regal chi fosti ognor de'miei Desir, benchè da lungi, amato obbietto, Per cui lieta varcai l'Alpi, e il diletto Italo cielo abbandonar potei, Città che de'più chiari ingegni sei, E delle grazie e degli amor ricetto, Oh quanto volentieri un inno eletto Qui della Senna in riva or ti offrirei! Ma se per celebrarti io sciorrò l'ali A rozzi versi miei, certo n'avranno Ira e dispetto i tuoi vati immortali. essi che cinta l'onorata chioma De'più bei lauri ascrei, cantando orfano Risorgere in te sola Atene e Roma.

Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1042.

Note1. Ronna writes,"Pel miglioramento delle carceri a S˙ F˙ Alvise Contarini.
Sonetto.

Rei fummo, è vero, ed a ragion la sorte Fra queste ne dannò squallide mura, Una muta a spirar aria ed impura, Carchi di ceppi o d'orride ritorte; Ma tu, signor, su queste infauste porte Volgesti il guardo, e con paterna cura Ne minacciava inevitabil morte. Quindi or lassi mettiam di un duolo amaro Grida sul tuo partir, fra i plausi e i canti Che già l'alte tue gesta echeggiar fanno. Dell'Adria ai padri i sospir nostri e i pianti La tua pietade a rammentar ne andranno.

Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1042.

Note2. Ronna writes,"Anton Maria Le Mierre, poeta francese, fu uno de'principali ammiratori di Lesbia, allor ch'ella trovavasi in Parigi, Questa canzone, ed il componimento; Che fa Le Mierre? furono pubblicati con le stampe di Bergamo, e mandati al medesimo.
Canzone.

Ei, che di mirto Idalio Cinger solae le chiome, E di Corinna in tereni Modi cantare il nome, Ei, che insegnò nel pelago Di amor dubbio e infedele Novelle Tifi a sciogliere La baldanzose vele, Con vol piÙ forte ergendois, Rivolse audace il canto Della città di Romolo Ad eterna il vanto. Ma Roma ingrata videlo Egro, da lei lontano Languir, fra genti inospite PIetà chiedendo invano. Là del gelato Sarmata In su i barbari lidi Quai non udissi misero Metter dolenti gridi! E intanto del mar Scitico La crude onde frementi, E i sassi ripetevano Quei non più uditi accenti Te pur le grazie godono, Le Mierre, ornar di fiori, Se le tue corde suonano Ninfe leggiadre e amori, O se il pittor per l'arduo Sentier tu guidi, e schiudi L'arte onde vita spirano Le tele informi e rudi A te, se il piè del tragico Coturno cingi, il muto Circo offre ognor di lagrime Un nobile tributo. Ed or che della Gallia, Con stil sonante e chiaro A celebrar le glorie T'ergi d'Ovidio al paro, Non già ramingo ed esule Qual di SUlmona il Vate, Noi ti vedremo avvolgerti Tra piagge inabitate; Ma farti plauso e tessere Bel serto a'crini tuoi Vedrem la Gallia, solita A coronar gli eroi. Felice te, cui diedero Le stelle amiche in dono Sacrar della tua certa A sì gran donna il suono, A lei che de'Romulei Fasti l'onor vetusto Vince, e più bella innalzasi, Mercè un più grande Augusto.

Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1043.