Leonardo Gassile, Sostituto procuratore generale alla Corte di Cassazione di Roma — 58 anni.
Maria, sua seconda moglie — 44 anni.
Luigi Paccina, ricco possidente e padre di Maria — 74 anni.
Claudio, figlio di Leonardo, Professore all'Università di Roma — 32 anni.
Clara, moglie di Claudio — 23 anni.
Il Commendatore Antonio Guanni, consigliere di cassazione — sulla sessantina.
L'avvocato Romeo Vietti — sui 35 anni,
Camillo, domestico di Leonardo — di mezza età.
Giorgetta, cameriera in casa Gassile — sui 25 anni.
Epoca presente — A Roma, in casa di Leonardo Gassile.

La scena rappresenta un vasto salotto, con addobbo di solida e ricca eleganza. In fondo la comune; a destra dello spettatore una porta che conduce nelle stanze di Leonardo; a sinistra un'altra porta che conduce nelle stanze di Claudio. I mobili, tutti di valore e disposti con simmetria, dànnó all'ambiente un'intonazione di solenne austerità. La stanza è illuminata da una corona di lampadine elettriche, collocate intorno al soffitto. Sopra un tavolo, posto a destra verso il davanti e su cui è stato servito il tè, c'è una lampada elettrica difesa da un paralume verde.

Leonardo, Luigi, Antonio.

Leonardo (è alto, magro, con capelli e barba a punta leggermente brizzolati. Ha i tratti del viso energici, gli occhi mobili e foschi nelle occhiaie incavate. Veste di nero in "redingote", ed è assai misurato nella parola e nel gesto; ma tale dominio sopra di sè è interrotto da scatti ed accasciamenti. Quando parla e si anima ha l'abitudine di aggirarsi intorno all'indice il cordoncino del pince-nez. Siede nel centro della scena vicino al tavolo da tè).

Luigi (è rubizzo, con capelli e grossi baffi bianchissimi. Gioviale, bonario, ossequioso, ha in sè tutte le caratteristiche della nativa provincia. Veste anche lui di nero con brillanti allo sparato ed alle dita. Siede sul divano vicino ad Antonio).

Antonio (ha tonda barba scura ed è un po' calvo. Indossa la "redingote". Prendendo un sigaro dalla scatola collocata sul tavola, a Leonardo). Ecco, giacchè voi me lo permettete, caro collega, io accendo un altro sigaro.

Leonardo. Servitevi, prego.

Luigi (ad Antonio). Che ora fa il suo orologio, signor consigliere?

Antonio (estraendo l'orologio dal taschino). Le undici e sette. Anzi, per adoperare il linguaggio del mio tempo, dirò le ventitre e sette minuti.

Luigi. No, per carità, con me si attenga al frasario antico. A me piacciono le vecchie costumanze, le vecchie parole, tutto quello insomma che era giovane quando ero giovane anch'io. (a Leonardo) E tu che ora fai, Leonardo?

Leonardo ((guardando il suo orologío). Le undici e dodici.

Luigi (interrogando l'orologio proprio). Benissimo! Il mio mi dà le undici e nove. Tre diversi orologi, tre diverse opinioni.

Antonio (fumando e ridendo). Opinioni che dissentono poco fra loro del resto. Se tre cervelli andassero altrettanto d'accordo, ci sarebbe da contentarsi.

Luigi (con bonarietà gioconda). Ma sì! Ma sì, signor consigliere, che vanno d'accordo anche i cervelli. Vede? Noi si ha l'aria di pensare ciascuno per conto nostro; ma, quando siamo al dunque, minuto più, minuto meno, ciaseuno si uniforma allo stesso quadrante.

Antonio. Crede così lei?

Luigi. L'esperienza mi ha insegnato questo. In settantaquattro anni di vita, se lei sapesse quanti cervelli ho veduto funzionare! Ce n'erano di quelli che pareva avessero fretta di divorare il tempo. Ce n'erano di quelli invece che pareva non volessero andare nè avanti, nè indietro. (battendo la mano sopra la spalla di Antonio) E al "redde rationem", lo sa cosa succede, ottimo signor consigliere? Succede che, quando scocca quel tal minuto, siamo tutti allo stesso punto. L'orologio si ferma e buona notte.

Leonardo (pensosamente, lentamente, con una punta d'irritazione concentrata). Ma si fermi, si fermi pure. Il male si è che, prima di fermarsi, si guasta.

Antonio (fumando, a Leonardo). La colpa, caro procuratore generale, non è sempre di questa nostra povera macchina, che più o meno fa il dover suo. La colpa è nostra il più delle volte. Noi pretendiamo troppo da noi stessi.

Luigi. Parola sacrosanta! Noi si pretende troppo da noi stessi. Invece di lasciare che la vita vada per la sua china, noi la forziamo a destra, la forziamo a sinistra. (ridendo) Dico noi, per modo di dire, perchè io, eccomi qui, io sono stato un saggio. Non ho preso mai di fronte le circostanze. E i risultati si vedono. Io ho settantaquattro anni ben suonati; mio genero (indicando Leonardo) non ne ha che cinquantotto,.. (a Leonardo ridendo) Non ti dispiace, è vero, che io spiattelli così la tua fede di nascita?

Leonardo (con breve sorriso). Ma no, figurati. Non sono una signora io…

Antonio. D'altronde anche l'età può essere considerata in modo relativo, e voi, caro collega, siete giovane per la posizione che occupate.

Luigi. Sissignore, siamo d'accordo, mio genero è giovane per la sua posizione. Sostituto procuratore generale alla Corte di cassazione di Roma… Non c'è che dire. Leonardo ha fatto miracoli nella sua carriera. Ma a scapito della tranquillità, a scapito della salute. E io mi domando se vale la pena di affannarsi tanto.

Leonardo (con freddezza). È questione di temperamento.

Luigi. Eh! già. È questione di temperamento. (volgendosi ad Antonio) Quando ventitre o ventiquattro anni fa mio genero, che allora non era mio genero, si trovava giudice a Lucera, pareva che il terreno gli bruciasse sotto i piedi. Era divorato dall'ambizione di fare… Pareva un leone nella gabbia… E io lo dicevo a lui, lo dicevo a quella santa donna della sua prima moglie.

Antonio (interrompendo). Ah! Sicchè il professor Gassile è vostro figlio di primo letto?

Leonardo (facendo girare il cordoncino del pince-nez. Reciso). Precisamente. (poi, con molta pacatezza) Mio figlio ha i suoi trentadue anni, e il mio secondo matrimonio data appena da venti.

Luigi. Dunque stavo dicendo che, quando mio genero si trovava giudice a Lucera, era torturato dalla smania di arrivare in alto. E io lo calmavo: « Dia tempo al tempo, caro giudice — gli ripetevo. — Il tempo è galantuomo. Lei è destinato a volare, perchè le ali ci sono ».

Antonio (cortese). Perbacco, se ci sono.

Luigi. « Arriverà, non dubiti, ma non abbia fretta » gli dicevo, e come vede, è arrivato.

Antonio. Perchè doveva arrivare.

Luigi. Naturalmente. C'era, anzi c'è, tutto il necessario: ingegno, preparazione, tenacia (ridendo), testardaggine.

Leonardo (spazientito). Risparmiali questi tuoi panegirici. Non ci tengo, lo sai.

Antonio. Che voi non ci teniate è un conto, ma che vostro suocero non abbia il diritto d'inorgoglirsi di voi è un altro.

Luigi. Che diamine! Sei un brav'uomo e voglio dirlo.

Leonardo (freddamente). Risparmiami, te ne prego.

Detti e Maria.

Maria (capelli scuri, sorriso mite. Indossa un elegante abito da casa. Entra da destra). Buona sera a questi signori.

Antonio (alzandosi con premura e porgendo la mano a Maria). Come sta lei, signora gentilissima?

Maria (stringendo la mano ad Antonio). Abbastanza bene, grazie. Ma stia comodo, prego, consigliere.

Antonio (sedendo di nuovo). Non vorrei sembrare indiscreto. L'ora è piuttosto avanzata.

Leonardo. No, no! Io mi corico sempre assai tardi.

Maria. Un po' di buona compagnia fa piacere a mio marito, molto più che il medico non gli permette ancora di uscir di sera.

Antonio (indicando Leonardo). Io non aveva più riveduto il collega dopo il suo attacco d'influenza; ma lo trovo rimesso perfettamente.

Maria. Sì, sì, non bisogna lamentarsi; ma, lei sa, i riguardi non sono mai troppi. La malattia è stata grave.

Antonio (a Leonardo). E quando contate di tornare alle udienze?

Leonardo. Domani stesso.

Antonio (scherzoso). Con gran terrore dei nostri giovani penalisti. La vostra eloquenza fredda e lucida sgomina tutti i loro argomenti. (ridendo) Essi dicono che nelle vostre mani la spada della legge è sterminatrice.

Leonardo. (freddo). Io non aspiro allo sterminio; aspiro all'equità. Il reo non mi suscita nè pietà, nè odio. Esso è per me una mala pianta. Domando che sia estirpata dal terreno sociale e mi basta.

Luigi (con una fregatina di mani). Ben detto. Estirpata dal terreno sociale. Le patrie galere sono fatte per questo. Vede, signor consigliere? Quando penso che abbiamo un bravo codice, il quale prevede ogni delitto, e abbiamo bravi magistrati per applicare le norme del nostro codice, io mi sento più tranquillo; sissignori, io mi sento tranquillissimo.

Maria (a Luigi, sorridendo). E allora, papà, giacchè ti senti così tranquillo, vattene a riposare. Per te è già tardi.

Luigi (con una gioconda risata). Ci siamo! Ecco perchè, poco fa, le ho domandato l'ora, signor consigliere. Perchè sapevo che mia figlia sarebbe venuta qui a contarmi i minuti. Le basti che, quando mi trovo nella mia villa di Lucera, questa czarina che lei vede, questa autocrate, m'impone per lettera le sue leggi.

Antonio (con galanteria). Eh! come si fa! Le signore stanno al mondo per tiranneggiarci. Non valgono congiure, non valgono rivoluzioni. Bisogna portare le catene.

Luigi (alzandosi bonario). Tanto vero che io mi alzo e ubbidisco.

Maria (scherzosa ad Antonio). Non creda, sa, col mio papà ci vuole una mano di ferro. Avrebbe certi capricci… Questa sera, per esempio, con questo freddo, voleva andare all'ambasciata inglese con mio figlio e la moglie di mio figlio.

Antonio (a Luigi, scherzoso). Male, male…

Luigi (secondando lo scherzo). Cosa vuole? Le inglesine sono belle in genere, quando non sono brutte… Sono bionde… Sono vaporose… E poi parlano una lingua che io non capisco e questo è propizio alle illusioni.

Leonardo (a Maria). Claudio è andato all'ambasciata inglese questa sera?

Maria. C'è un ballo in costume e Clara aveva da sfoggiare un costume alla Watteau. Deliziosa era… È andata con la sorella. Claudio aveva prima un convegno, per affari, in casa dell'on. Melzi. Andrà poi anche lui all'ambasciata verso il tocco, credo… (a Luigi). Vieni, papà?

Luigi. Andiamo dunque. Andiamo a sognare di avere mezzo secolo di meno e di commettere pazzie in una sala da ballo (porgendo la mano ad Antonio). Illustre signor consigliere, i miei ossequî.

Antonio (alzandosi e stringendo la mano a Luigi). I miei ossequî, signor Paccina.

Maria (ad Antonio). Lei permette, non è vero, consigliere?

Antonio (sedendo di nuovo). Prego.

Luigi. Buonanotte, Leonardo.

Leonardo. Buona notte. (Luigi e Maria escono da destra).

Leonardo e Antonio.

Antonio (seguendo Luigi con lo sguardo). Ottima persona quel vostro suocero.

Leonardo. Indubbiamente (breve pausa). Ma la vita è stata con lui tanto benigna. Agiato, anzi ricco. Sua moglie era una donna perfetta … Una unica figlia…

Antonio. Perfetta anche lei.

Leonardo (annuisce). E poi, quello che più vale, nomo senza passioni, senza ambizioni. I suoi desiderî non hanno mai varcato la cerchia della più umile possibilità. L'onestà in certi casi è logica, come in certi casi è logico il delitto.

Antonio (ridendo). La logica del delitto. Ecco una teoria che voi non potrete mai sostenere.

Leonardo (con una certa vivacità). Perchè?

Antonio. Perchè a simili teorie si oppone l'indole della vostra carica (ridendo). Un procuratore generale che sostiene, di fronte alla corte attonita, la implacabile logica di un delitto! Significherebbe lo scompiglio di tutte le tradizioni.

Leonardo (freddo, ma attentissimo). Non vedo il filo del vostro ragionamento.

Antonio. Ma, caro collega, se il delitto è logico, vuol dire che il delinquente non poteva sottrarsi alla esecuzione di esso. E allora buttiamo il codice alle ortiche, perchè noi magistrati, invece di essere i custodi della giustizia, si sarebbe gli esecutori di una sequela d'ingiustizie enormi.

Leonardo (facendo girare il cordoncino del pince-nez). Scusatemi, non capisco.

Antonio. Voi mi avete osservato che l'onestà è logica come, in certi casi, è logico il delitto… Avete detto questo voi?

Leonardo. Pertettamente.

Antonio. Allora vuol dire che il criminale. commettendo il suo crimine, non ha offeso la giustizia, perchè, in fondo, la giustizia e la logica dovrebbero formare una sola cosa (bonario). Sebbene, diciamolo in "camera charitatis", non accade sempre così. Ma comunque, se l'azione criminosa è logica, vuol dire ch'essa era inevitabile; e, se era inevîtabile, vuol dire che il cosiddetto colpevole. dovrebbe andarsene tranquillo per i fatti suoi; come voi, come me.

Leonardo (freddo). Ed è qui che noi non c'intendiamo più. Io posso riconoscere la logica implacabile da cui un delitto è stato provocato — logica obiettiva di eventi, logica subiettiva di passioni — ma questo per me non include la irresponsabilità del colpevole.

Antonio (accalorandosi). No, no, un momento, caro collega. Qui stiamo navigando in pieno paradosso… O è bianco, o è nero… O si ammette la responsabilità e allora si punisce; o la responsabilità non si ammette e allora si assolve.

Leonardo (freddamente). Chi, commettendo un'azione delittuosa ubbidisce alla ineluttabilità, non deve lasciar tracce dell'opera propria. L'opera sua dev'essere perfetta. Senza macchie, nè screpolature (animandosi). Vi porto un caso pratico. Venerdi si discuterà davanti alla nostra corte la causa dell'uxoricida Arvelli.

Antonio (con entusiasmo). Magnifico processo. L'ho seguìto appassionatamente quando s'è svolto alle Assise di Genova.

Leonardo. Anch'io e, dovendone parlare all'udienza di venerdì, l'ho riveduto di nuovo. Per me l'agente di cambio Arvelli è indubbiamente l'avvelenatore di sua moglie. Essa non si è suicidata come l'Arvelli sostiene.

Antonio. Certo, certo. La deposizione della cameriera è schiacciante.

Leonardo (sempre animandosi). D'accordo. La deposizione della cameriera è schiacciante. Ma, badate, che per me è schiacciante non in quanto mi dà la prova che l'Arvelli ha commesso l'uxoricidio; tale deposizione io la considero schiacciacte inquantochè mi dà la prova della inferiorità intellettuale di quest'uomo (sprezzante). Ed allora, con una così povera intelligenza, con una così fiacca volontà, doveva restarsene dentro il binario della legge.

Antonio. Tanto sciocco io non lo trovo. Le circostanze che l'Arvelli adduce in sua difesa potrebbero anche lasciar dubbiosi.

Leonardo (tornato freddo). Le circostanze, quando sono predisposte al fine d'ingannare il codice, non debbono suscitare il dubbio, debbono provocare la certezza in favore dell'imputato. La verità può permettersi il lusso di apparire manchevole in qualche sua parte; la menzogna deve apparire inattacabile. Chi non sa mentire non mentisca. Il delinquente dev'essere l'artista della menzogna (dopo una pausa). Ovvero si rassegni a perdere la sua partita.

Detti, Maria, poi Camillo.

Maria (rientrando da destra). Sento che qui si discute con calore.

Antonio (indicando Leonardo). Il collega ordisce eleganti paradossi di psicologia intorno al processo Arvelli.

Maria. Che mostro quell'uomo! Avvelenare così una povera creatura giovane e bella. Quanti orrori possono accadere nella vita. Riposare per cinque anni con la testa sul medesimo guanciale e poi, un giorno, trovare nel proprio compagno il proprio assassino. È orribile.

Antonio (alzandosi). Eh! mia buona signora, non bisogna meravigliarsi di nulla in questo nostro pianeta.

Leonardo (alzandosi anche lui). Forse il domestico ha chiusi i caloriferi? Fa freddo.

Antonio. Io vi lascio in lìbertà, caro collega. Ho approfittato anche troppo della vostra cortesia.

Maria (suonando il campanello). No, no, anzi… Mio marito è sempre tanto solo di sera. Claudio, di sera, esce naturalmente con la moglie…

Antonio (a Leonardo). È professore all'università vostro figlio, mi pare?

Leonardo. Di filosofia del diritto.

Camillo (entra dal fondo e rimane vicino all'ingresso).

Maria (a Camillo). Accompagnate il signor consigliere e poi tornate qui.

Antonio (a Leonardo). Dunque ci vedremo domani all'udienza?

Leonardo. Certamente.

Antonio (inchinandosi a Maria). I miei complimenti, signora.

Maria. Buonanotte, consigliere.

Leonardo (accompagna sino alla porta di fondo Antonio, che esce preceduto da Camillo).

Leonardo, Maria, poi Camillo, poi Giorgetta.

Leonardo (scendendo sul davanti, dopo essere rimasto un momento presso la porta di fondo). Un'altra volta che venga qualche mio collega della cassazione, Camillo dica che io non ci sono, che dormo, che sto ammalato!.… Dica quello che vuole insomma, purchè io non abbia la seccatura di queste accademie interminabili.

Maria. Distrarti un pochino non ti fa male.

Leonardo. Questo non si chiama distrarmi. Questo si chiama impormi una fatica dello spirito.

Maria. Ma in che senso una fatica dello spirito, Leonardo?

Leonardo. Nel senso che vengono qui a scrutare, a indagare le mie opinioni… Mi punzecchiano, m'irritano … (passeggiando per la scena). Dei processi ne ho fin sopra i capelli, all'udienza io! In casa mia non voglio guastarmi la digestione pei delitti di Tizio e di Caio.

Maria. Il fatto è, Leonardo, che dopo questa tua ultima malattia sei diventato troppo nervoso! Tutto ti dà fastidio e ingigantisci ogni sciocchezza.

Leonardo. Ragione di più per lasciarmi tranquillo (fermandosi). Anche tuo padre, vedi, ha il senso preciso dell'inopportunità. Parla senza misura.

Maria. Che cosa ti ha fatto mio padre?

Leonardo. A ogni minuto rinvanga il passato…

Maria. È la manìa dei vecchi! Bisogna compatire…

Leonardo (con maggiore irritazione). Parla senza misura ti dico. Va a rimestare di quando io ero giudice a Lucera. Tutte cose che non interessano nessuno (alzando la voce). Cose che non interessano nessuno. Lasciamole dunque dove stanno.

Maria (sorridendo áffettuosa). Ih! quanto chiasso per delle cose tanto piccole. Credi a me, Leonardo, dovresti dominarti.

Leonardo (guardandola). Perchè mi dici così?

Maria. Perchè la tua eccitabilità ti nuoce e mi dà pensiero.

Leonardo (fissando l'occhio davanti a sè). È verissimo. La mia eccitabilità è assurda.

Maria. Ti preferivo com'eri fino a due mesi fa e come t'ho conosciuto sempre.

Leonardo. Cioè?

Maria. Rigido e taciturno (sorridendo). Anche troppo taciturno. Ma avevi l'aspetto più riposato.

Leonardo (passandosi la mano sulla fronte). Sono giustissime le tue osservazioni. Il silenzio è garanzia ed è riposo (dopo una pausa). Hai ragione tu. Questo bisogno di muovermi e di parlare è anormalissimo in me (altra pausa). Forse, in proposito, tu hai interrogato il medico.

Maria. Era naturale che io lo facessi.

Leonardo. E che cosa ti ha detto?

Maria. Oh! mi ha rassicurata completamente. Mi ha detto che l'influenza, quando è di quella vera, lascia una grande depressione nervosa. E tale depressione provoca poi la melanconia, l'irritabilità… Può perfino provocare delle allucinazioni…

Leonardo (lasciaudosi cadere sopra una seggiola). Oh! lo so. Nei primi giorni della convalescenza infatti… (s'interrompe)

Maria (premurosa). Cosa?

Leonardo (pronto). Niente. Fenomeni fugacissimi. Tutto ciò passerà; anzi è quasi passato.

Camillo (entra dal fondo). Eccomi, signora.

Maria. Mandatemi qui Giorgetta.

Camillo (avviandosi per uscire da destra).Subito.

Leonardo (tornato assolutamente calmo). Sentite, Camillo.

Camillo (fermandosi). Comandi, signor commendatore.

Leonardo. È arrivato l'ultimo fascicolo della "Rivista giuridica"?

Camillo. Sissignore, con la posta della sera.

Leonardo. Portatemelo qui.

Camillo (esce da destra).

Maria. Vuoi che ti faccia io la lettura?

Leonardo. No, grazie. Ti annoieresti troppo.

Giorgetta (da destra). La signora mi ha fatto chiamare?

Maria. Sgombrate il tavolo da tè.

Giorgetta (eseguisce).

Maria (a Giorgetta). Mia nuora vi ha dato ordine di aspettarla?

Giorgetta. Nossignora, non mi ha detto nulla.

Maria. Allora potete coricarvi.

Giorgetta. Sissignora. grazie (esce da destra col servizio da tè, mentre Camillo entra dalla stessa parte col fascicolo della "Rivista giuridica").

Camillo (porgendo a Leonardo il fascicolo). Ecco, signor commendatore.

Maria (a Leonardo). Giacchè non hai bisogno di me, io ti lascio alla tua lettura.

Leonardo. Non aspettarmi; non è necessario.

Maria. Non dubitare. Vado a letto (sorridendo). Tu sai che io sono una dormigliona. Buona sera, dunque (esce da destra).

Leonardo. Buona sera (si alza dalla seggiola e comincia a passeggiare. A Camillo). Ricordatevi che da domani tornerò alle udienze in cassazione. Disponete perchè tutto sia pronto pel mezzogiorno.

Camillo (portando una poltrona ricino al tavolo centrale). Sissignore.

Leonardo. E non mancate di ordinarmi un "coupé".

Camillo. Sarà mia cura, signor commendatore (pausa). Comanda altro?

Leonardo. No. andate.

Camillo (esce dal fondo).

Leonardo poi Clara.

Leonardo (a capo chino, a passi lenti, con le mani dietro il dorso, percorre due volte la scena da sinistra a destra. Dopo di che siede nella poltrona preparata da Camillo e rimane un istante a fregarsi le ginocchia con gesto automatico, tenendo lo sguardo fisso davanti a sè. Prende poscia dal tavolo la rivista, ne taglia alcuni fogli col tagliacarte, distrattamente, e rimane di nuovo sopraffatto dal peso di una idea dominatrice. A un tratto si scuote. Battendo il pugno sul tavolo e parlando fra sè a bassa voce, ma con accento di volontà imperiosa e concentrata). Basta! Basta! Questa ossessione deve cessare. (si distende nella poltrona, apre la rivista e comincia a leggere. Di nuovo il fascìcolo gli cade sulle ginocchia e di nuovo l'occhio si apre a guardare nel vuoto).

Clara (entra dal fondo a passi leggeri e precipitosi. È in ricco costume W'atteau con alta pettinatura incipriata. Sul costume un mantello di raso lilla pastel foderato di pelliccia bianca. Fermandosi in mezzo alla scena e comprimendosi il petto con le mani. A voce bassa e soffocata). Finalmente eccomi qui.

Leonardo (Scuotendosi con un sussulto). Chi è?

Clara (affannosa). Sono io.

Leonardo (ricomponendosi). Sei già tornata dal ballo?

Clara (sempre smarrita). Sì, sono tornata. Eccomi qui.

Leonardo (stupito). Perchè così sconvolta? E tuo marito dov'è?

Clara (sgualcendo con dita convulse il piccolo fazzoletto a ricami) Meno male. Meno male! — Dunque non è tornato ancora?

Leonardo (alzandosi, sempre più stupito). Ma di chi parli?

Clara (con Voce rotta dall'affanno). Di lui, di Claudio. Non è tornato ancora? Sei certo?

Leonardo (al colmo della meraviglia). Non so… Non credo… Adesso sentiremo (fa per suonare)

Clara (impetuosa, fermandolo col gesto). No, no, non chiamare. Bisogna che io ti parli prima. (abbandonandosi sopra una seggiola nel centro della scena. Disperata) Come gli spiegherò, Dio mio! Come farò a spiegarglì… Ombroso come è… Già preso da mille sospetti. (morde il fazzoletto, piangendo sottovoce)

Leonardo (irritato). Ma insomma. Si può sapere cosa ti succede?

Clara (asciugandosi il viso). Hai ragione. Ti chiedo scusa. Io sono venuta da te per istinto. Tu sei il padre di mio marito e ti so implacabile contro tutte le debolezze. Eppure, nel mio smarrimento, sono venuta da te per istinto. (giungendo le mani in atto supplice) Aiutami! Salvami!

Leonardo (freddo). Spiegati e vedrò cosa mi convenga di fare.

Clara (abbandonandosi col busto sullo schienale della seggiola). Ma come spiegarti? Come posso raccontarti? Tu mi dai tanta soggezione. Eppure a te solo mio marito crederà, se vorrai dirgli che sono venuta in casa chiamata da te. A te solo crederà.

Leonardo (freddamente, appoggiando la mano alla spalliera della seggiola di Clara). E perchè dovrei dire a mio figlio, proprio io, questa menzogna?

Clara. Oh! se tu fossi pietoso! (torcendosi le mani) Su tu fossi generoso!… Se tu volessi difendermi con la tua parola, senza interrogarmi… Saresti misericordioso come Iddio!

Leonardo. Io non sono misericordioso. Tu lo sai.

Clara (disperata). Sono stata pazza… pazza…

Leonardo (con accento di giudice). Tu sei colpevole di tradimento contro tuo marito e sei caduta in qualche tranello che ti sei teso tu stessa. Da ciò nasce la tua disperazione, non è vero?

Clara (rompe in singhiozzi sommessamente).

Leonardo (austeramente glaciale). Nulla di abietto che io scopra nel cuore umano mi stupisce; ma in te non sospettavo la colpa. (abbassando la voce) Da quando?

Clara (a bassa voce anche lei). Abbi pietà, abbi compassione.

Leonardo (imperioso, chinandosi appena verso di lei). Da quando?

Clara (come alla tortura). Dall'estate scorsa.

Leonardo (curvandosi ancora più verso di lei). E tu, così giovane, hai saputo portare il tuo secreto per tanti mesi? Come hai fatto a poter mentire, sotto gli occhi scrutatori di lui, di tuo marito?

Clara (sottovoce, piangendo). Egli sospetta.

Leonardo (concitato). Ah! dunque egli sospetta? E come hai fatto allora tu, per deluderli i suoi sospetti? Voglio saperlo! (scuotendola ruvidamente) Voglio sapere come si fa a deludere i sospetti di mio figlio, che fruga negli occhi con gli occhi aguzzi, che pesa ogni parola, che valuta ogni gesto, che vorrebbe poter misurare nell'altrui petto i palpiti del cuore. Voglio sapere come si fa… (imperioso) Parla…

Clara. Cosa dirti? Non mi ha mai interrogata.

Leonardo (con improvviso scatto). Oh! lui non interroga! Lui osserva ed aspetta!

Clara (alzandosi in piedi decisa e lasciandosi scivolare il mantello sulle spalle). Guarda, io sento che se quando egli tornerà, fra pochi minuti, mi domanderà perchè non mi ha trovata all'ambasciata inglese, io gli dirò tutto. Sarà per me peggio del a morte. Io lo conosco. Non vorrà lo scandalo e mi obbligherà a vivere accanto a lui, odiandomi e disprezzandomi. Sarà il supplizio di ogni minuto. — Eppure, se mio marito m'interrogherà con quella sua voce fredda, con quella sua logica di acciaio io gli dirò tutto.

Leonardo (fissandola). Tanto egli può, "anche" sopra di te?

Clara (fremente). Sì, la sua volontà che io sento intorno a me, sopra di me, come una cosa tangibile, la sua volontà mi annichila. Ed è stata appunto questa ossessione che mi ha spinta, perchè io lo amavo, io volevo amarlo mio marito.

Leonardo (quasi anelante). So, so bene. — Senza rendertene conto hai ceduto a un bisogno di ribellione.

Clara (affannosa). È vero.

Leonardo. Hai voluto sentirti libera dall'incubo.

Clara. È vero. È così!

Leonardo (sempre misterioso). E hai gioito, hai trionfato in te stessa nel dirti: egli mi tiranneggia, mi tortura lo spirito e io lo inganno.

Clara (quasi con terrore). Come leggi nella mia anima!

Leonardo (ardente nella voce, ma rigido nella posa e nel gesto). Cos'hai fatto questa sera?

Clara (con parola breve, affannosa). Parte per sempre, torna in Francia, nel suo paese, e io non lo vedrò più.

Leonardo (rigido). Non ti chiedo le tue confidenze. Voglio che tu mi dica cos'hai fatto questa sera.

Clara. Sapendo che mio marito sarebbe venuto assai tardi all'ambasciata, mentre io, con mia sorella, ci dovevo andare alle undici…

Leonardo (imperioso). Avanti…

Clara (parlando a scatti, fra il pianto). Ho telefonato oggi di farmi trovare un "coupé" a pochi passi dal portone dell'ambasciata, alle undici. E poi di aspettarmi per trascorrere, follemente, un'ultima ora insieme.

Leonardo. Ebbene?

Clara. Sono andata alle undici all'ambasciata e, dopo pochi minuti, confusa tra la folla degl'invitati, travolta nella suggestione della mia follia, sono scesa di nuovo. (con voce breve e spezzata) Ho trovato il "coupé"… (fermandosi come per riacquistare fiato)

Leonardo (imperioso). Ebbene?

Clara (precipitosa). Io spiavo la strada cautamente dallo sportello. All'angolo della via ho riconosciuto la voce di mio marito, che, certo, si avviava con qualcuno all'ambasciata. Mi sono gettata nel fondo del "coupé"… Ho perduto la testa… Non sono più andata all'appuntamento… Non ho avuto la presenza di spirito di tornare al ballo… Eccomi qui… Ora sai tutto… Puoi salvarmi… Puoi perdermi… Puoi aiutarmi a custodire il mio secreto… Ti giuro… Ti giuro che lui non lo vedrò più… Non gli scriverò mai più… Il mio secreto resterà morto fra te e me.

Leonardo (come parlando a sè stesso lentamente). Un secreto può anche per anni rimanere sepolto e morto nel fondo della nostra coscienza. (rivolgendosi a Clara, minaccioso) E invece conserva in sè i germi di una vita implacabile. Può bastare l'espressione fugace di un sorriso rievocatore di altri sorrisi, a farlo rivivere. Una qualsiasi parola, già abituale su labbra spente, e che, ad un tratto, risorga su labbra vive, con quella data inflessione, quel dato accento, ed ecco che il nostro secreto si muove dentro di noi, ci martella, si divincola, balza fuori dal nostro petto, e noi lo vediamo davanti a noi, di giorno, di notte, sotto i raggi del sole e tra lo spessore delle tenebre. Hai capito? Capisci tu cosa succede, quando si porta un secreto dentro di sè?

Clara (indietreggiando di un passo). Sei terribile… Mi fai paura…

Leonardo (veramente terribile). Paura? Cosa significa questa parola? Chi osa pronunciarla davanti a me questa parola? La paura non esiste. Siamo noi a crearci questa larva con la nostra fantasia, per poi farci schiacciare… Ma io no… Io no… (dopo un istante di pausa, tendendo l'orecchio) Sento dei passi…

Clara (palpitante tendendo l'orecchio). È lui… È Claudio… (smarrita) Gli dirò che mi sono sentita male… Sì, questo gli dírò.

Leonardo (sprezzante). È menzogna troppo semplice… troppo sfruttata… Non ti crederebbe… (beffardissimo) Mentire è arte, è scienza… E tu sei una femminetta… Vai nella tua stanza…

Clara (supplice, a bassa voce). Abbi misericordia. Pensa cosa sarebbe di me, fra un'ora, se egli sapesse…

Leonardo (impaziente). Vai nella tua stanza. Ti salverò. Non per te; ma per misurare le mie forze.

Clara (esce in fretta da sinistra).

Leonardo e Claudio.

Leonardo (riprende posto nella sua poltrona e rimane col capo eretto, i due pugni chiusi appoggiati sull'orlo del tavolo, in atteggiamento di sfida).

Claudio (dal di fuori, spingendo appena il battente dell'uscio). È permesso?

Leonardo (cambiando subito attitudine e fingendo di leggere). Avanti!

Claudio (dal fondo. Egli è alto e snello. Ha la faccia completamente rasa; folti scuri capelli ricciuti rialzati sulla fronte ampia. È in frack. Rimane fermo presso il fondo), Buona sera.

Leonardo (senza sollevare il ciso dalla rivista). Buona sera.

Claudio. Camillo mi ha detto che Clara era qui con te.

Leonardo (sempre apparentemente assorto nella sua lettura). Sì, era qui.

Claudio (guardando con gesto rapido il proprio orologio). Vorrei sapere da quanto tempo è tornata mia moglie, se non ti dispiace.

Leonardo (con indifferenza). Da circa un'ora… da tre quarti… Non so…

Claudio (avanzandosi di un passo). Ti prego di scusarmi, se insisto … Ma Camillo mi ha detto che Clara è tornata appena da un quarto d'ora.

Leonardo (deponendo la rivista sul tavolo e sollevando il capo. Freddissimo). Se hai già fatto subire un interrogatorio al domestico, mi pare sia inutile farne subire uno anche a me.

Claudio (avanzandosi ancora di un passo). Conoscere l'ora precisa in cui mia moglie è rincasata, è per me d'importanza capitale.

Leonardo (freddamente). Allora torna in anticamera dal domestico e interrogalo di nuovo. Io non amo di asserire due volte inutilmente la stessa cosa.

Claudio (dopo una pausa). Forse tu sai che alle dieci, io ho accompagnato mia moglie in casa di sua sorella, con la quale è poi andata al ballo in costume dell'ambasciata inglese?…

Leonardo. Lo so. (con indifferenza) Ed è appunto in casa di sua sorella che io le ho telefonato.

Claudio (avanzandosi ancora di un passo). Tu le hai telefonato in casa di sua sorella? Scusami, per dirle che cosa?

Leonardo (freddissimo). Per dirle che avevo bisogno da lei di un favore.

Claudio. Ossia?

Leonardo. Ossia che tornasse a casa per tradurmi subito un articolo della "Juristen Zeitung", articolo che deve servirmi di base per la mia requisitoria di domani all'udienza.

Claudio (assai freddo, anche lui). Ti chiedo scusa ancora, ma questo glielo potevi dire prima che noi si uscisse.

Leonardo (senza ombra d'impazienza). Prima non sapevo d'averne bisogno; solo ritirandomi nel mio studio, dopo il pranzo, ho veduto che la traduzione di quell'articolo m'era assolutamente necessaria.

Claudio (con qualche impazienza). Scusami… Tu devi scusarmi se insisto… Mi pare peraltro che tu potevi lasciar detto a Clara, dal domestico, di tenerti pronta la traduzione per domattina.

Leonardo. No, perchè io volevo ordire la mia requisitoria questa sera. Si tratta per me, domani, di tener fronte a un difensore, che è una celebrità del nostro foro.

Claudio. Ma non pare strano anche a te che una giovane signora rinunci al divertimento di un ballo in costume, per correre a tradurre dal tedesco un breve studio d'indole giuridica?

Leonardo (severo). A me pare più strano che il marito di questa giovane signora stupisca tanto nel constatare in lei un senso, pur cosi doveroso, di cortesia verso il capo della famiglia.

Claudio (Dopo un momento d'incertezza). il contegno di Clara, in questa occasione, sarebbe stato veramente assai meritorio… Se non che…

Leonardo. Se non che?…

Claudio (avvicinandosi al tavolo e rimanendo in piedi di fronte a Leonardo). Quando io sono entrato nella sala da ballo mia cognata ignorava completamente che Clara ne fosse uscita. Ora è logico che Clara avrebbe dovuto prevenir la sorelia, perchè a sua volta me ne prevenisse.

Leonardo (freddo). Non sempre ragionare a fil di logica significa ragionar bene.

Claudio (con uno scatto). Ma i fatti ragionano, per conto loro… Io dovevo trovarmi all'ambasciata al tocco. Vi giungo invece alle undici e un quarto e mia moglie non c'è più.

Leonardo (sempre freddo, ma facendo girare il cordoncino del pince-nez). Ciò non mi riguarda. Mi hai rivolto delle interrogazioni e ti ho risposto. Il resto non mi riguarda.

Claudio (abbassando la voce). E se io nutrissi dei sospetti sul conto di mia moglie?

Leonardo (con astio mal dissimulato). Sospetti troppo, sospetti sempre tu… In questo momento. per esempio, sospetti anche della mia veridicità.

Claudio. La mia fede in te è assoluta e non vorrei dubitare delle tue parole, ma…

Leonardo (alzandosi). Questo interrogatorio mi umilia.

Claudio. Dammi la tua parola e io non mi permetterò più l'ombra d'un dubbio.

Leonardo (fieramente). Io ho il diritto di essere creduto da tutti, e sopra tutti da te, senza spendere la mia parola. (rigido, altero). Quando ti ho offerto occasione di disistimarmi, perchè tu venga qui ad esigere la mia parola in appoggio di una mia asserzione?

Claudio (diritto davanti a suo padre). Mai, mai… Questo mai. Ti ho trovato rigido e, in questi ultimi tempi, quasi ostile verso di me. Ma di una equità austera, assoluta… (dopo una pausa) Eppure il mio raziocinio si ribella ad accettare l'inverosimile.

Leonardo (con arroganza). Asserito da me anche l'inverosimile diventa vero. (dopo una pausa durante cui i due si misureranno con lo sguardo) È inutile che tu mi fissi, è inutile che tu voglia scrutarmi nel pensiero. La tua volontà non è ancora più forte della mia. Anche supposto che io ti mentissi, guarda, cosa ti dico, anche supposto che io mentissi, saprei obbligarti a credermi.

Claudio (ribellandosi). Non prima di avere interrogato mia moglie.

Leonardo (sarcastico). Un confronto in tutta regola dunque… Quasichè tu fossi un giudice e io fossi un criminale… Sta bene…

Claudio (aprendo la porta di sinistra, con voce imperiosa). Clara!

Leonardo (rimane in piedi appoggiato con la mano alla spalliera della seggiola. L'espressione del viso è alteramente beffarda).

Detti e Clara.

Clara (da sinistra. Si è spogliata del costume e indossa un elegante accappataio, ma la pettinatura è ancora intatta. Rimane ferma presso sinistra).

Claudio (è nel centro della scena fra Clara e Leonardo).

Clara (dopo una lunga pausa). Cosa vuoi? Mi stavo spogliando.

Leonardo (sarcastico). Vuole sottoporti a un interrogatorio. La tua scomparsa dall'ambasciata gli sembra misteriosa. (a Claudio, anche più beffardo) Mi permetto di osservarti che se tu fossi un magistrato faresti poca carriera. Anzitutto dovevi interrogare tua moglie separatamente. E poi, bada, che se ella t'inganna e se io ho creduto opportuno farmi suo complice, noi dobbiamo già esserci messi d'accordo. O io devo avere suggerito a lei il suo piano di difesa o lei stessa deve averlo suggerito a me.

Clara (a queste ultime parole di Leonardo erge il capo e resta immobile in atteggiamento di quieta passività).

Leonardo (sempre col medesimo tono). Dunque voglio aiutarti con la mia esperienza. L'importante per te non è tanto interrogare tua moglie per vedere se le nostre risposte sono identiche. L'importante per te è d'indagare quali ragioni io potrei avere di coprire con la mia parola una supposta menzogna di tua moglie.

Clara (istintivamente con un grido misto di terrore e speranza. Papà!…

Leonardo (freddissimo a Clara). Ti chiedo scusa. La supposizione non è mia, è di tuo marito.

Claudio (iroso a Clara). Perchè sei uscita sola dall'ambasciata senza lasciare per me a tua sorella nemmeno una parola di spiegazione?

Clara (dopo un momento d'esitazione). Mia sorella mi avrebbe trattenuta a ogni costo. E io non volevo scontentarlo (indicando Leonardo).

Claudio (scosso, quasi convinto). Potevi allora tornare a casa direttamente, senz'andare all'ambasciata.

Clara (più franca). Volevo vedere, per un momento, le sale (dopo una pausa, sorridendo) e far vedere, per un momento, il mio costume.

Leonardo (intervenendo, iroso e beffardo). La tua smania di coglierci in contraddizione è puerile. Ti dico che avremmo già avuto il tempo di metterci d'accordo. (più calmo) Se vuoi uscire dal labirinto devi seguire il filo del mio ragionamento. Credi tu che io sia tale da mentire per pietà di te?

Claudio (deciso, convinto). Ah! no!

Leonardo. Quanto a lei (indicando Clara) io non vorrei mancare di cortesia verso una signora… Ma debbo confessarti che tua moglie rappresenta ben poco nella mia vita.

Claudio (irritato). Lo so… Lo so…

Leonardo (freddo). Dunque?

Claudio (dopo una pausa di riflessione). Dunque sta bene. (a Clara, quasi con dolcezza) Andiamo, Clara. Lasciamo tranquillo papà. (si avvia per uscire da sinistra, presso la porta si ferma, cedendo il passo alla moglie).

Clara (uscendo da sinistra, con umile e dolce voce a Leonardo). Buona notte, papà.

Claudio (seguendo Clara). Buona notte.

Leonardo, poi Camillo.

Leonardo (risponde ai saluti con lieve cenno del capo e rimane immobile per qualche tempo, in piedi, con le due mani aggrappate alla spalliera della seggiola e lo sguardo fisso verso il punto di dove Claudio è uscito. Gradatamente la maschera altera e volitiva gli si scompone ed il viso gli assume una espressione quasi folle d'ilarità trionfante. Col busto curvo e proteso, i denti stretti, quasi in delirio, ridendo piano fra sè). Come un topolino… Come un topolino, nelle zampe del gatto, io l'ho giuocato… (buttando la testa indietro e traendo un ampio respiro di giubilo) Ah! quanto sono ancora forte ed astuto (si calma, si riprende, si liscia a più riprese la barba, poi suona il campanello).

Camillo (dal fondo). A'suoi ordini, signor commendatore.

Leonardo. Domani mattina svegliatemi alle nove.

Camillo. Sarà ubbidito. Buona notte, signor commendatore.

Leonardo. Grazie (esce con andatura pacata da destra, facendo però girare il pince-nez con rapidità). (Camillo appena uscito Leonardo gira la chiavetta della luce elettrica e la scena rimane al buio. Cade la tela).

La scena rappresenta lo studio di Leonardo Gassile. A destra la comune; a sinistra una porta che mette nell'interno dell'appartamento. Nel centro della parete di fondo una finestra. Ai due lati della stessa parete scaffali ampi ed alti pieni di grossi volumi. Di fronte alla finestra un tavolo massiccio su cui stanno libri, giornali e fascicoli. Molti numeri della "Rivista giuridica" gettati alla rinfusa. A sinistra della scena, verso il davanti è collocata trasversalmente una grande scrivania. Sul piano di essa stanno pratiche giudiziarie, memorie a stampa, un grosso calamaio di metallo e l'apparecchio telefonico. Davanti alla scrivania una poltrona a braccioli. A destra, sul davanti, un divano e poltrone ricoperte di cuoio. Alcune seggiole di accompagno e qualche scaffale portatile pieno di libri. Tutto l'arredo è di eleganza anstera.

Clara e Giorgetta.

Clara (in elegante abito da casa, diritta presso il tavolo di fondo, prendendo un fascicolo della "Rivista giuridica" e unendolo ad altri cinque). Ecco i dodici fascicoli del primo semestre. Lì, nello scaffale di sinistra, c'è del cordoncino rosso… Prendetelo, Giorgetta.

Giorgetta (vestita di nero, in grembiale bianco, smette di accomodare i cuscini sul divano ed eseguisce l'ordine di Clara). Ecco, signora.

Clara. Legate questi sei fascicoli e metteteli in disparte.

Giorgetta (eseguisce).

Clara (seguitando ad ordinare altri fascicoli). Quando avrò messo in ordine tutti i ventiquattro fascicoli dell'annata, direte a Camillo di portarli al legatore. (dopo una pausa) È venuta la seconda posta del mattino?

Giorgetta. Suppongo di si. Manca poco a mezzogiorno.

Clara. Chi l'ha ricevuta?

Giorgetta. Non saprei. Forse Camillo. Di solito è lui che sceglie la posta del signor commendatore, poi distribuisce il resto.

Clara (dopo una esitazione). Allora andate e vedete un po'se…

Giorgetta. Se c'è posta per la signora?

Clara (con vivacità). No, no, niente (dopo una pausa). Volevo dirvi di guardare se, per caso, sopra la scrivania ci fosse un fascicolo simile a questo. Mi manca il numero del 16 giugno.

Giorgetta (eseguendo l'ordine). Non c'è nulla, signora… E frugare tra le carte non oso…

Clara (con leggera impazienza). Guardate negli scaffali. Il fascicolo ci dev'essere.

Dette e Luigi.

Luigi (da sinistra, con un pacco di giornali in mano). È permesso d'installarsi, per una mezz'ora. nel "Sancta-Sanctorum" a leggervi i giornali?

Clara. Veramente non sarebbe permesso.

Luigi. E allora come va che io ci trovo spesso una bella signora di mia conoscenza?

Clara (seguitando nella sua occupazione). Perchè io ho assunto incarico di tenere in ordine la biblioteca. Ma mio suocero dice che l'appartamento è vasto e non c'è bisogno per gli altri del suo studio.

Luigi. Va bene (ridendo). Siccome però suo suocero è contemporaneamente mio genero, cosi avrà con me un pochettino di tolleranza. Questa è la camera più appartata della casa e mi ci trovo bene. Finìsco sempre con l'addormentarmi.

Giorgetta (che frattanto ha cercato negli scaffali portatili, dando un fascicolo a Clara). Forse è questo il fascicolo che la signora cercava.

Clara. Precisamente.

Luigi (allegro e bonario). Se al mondo si dovesse far sempre quello che gli altri vogliono e mai quello che vogliamo noi, allora sarebbe più divertente sequestrarci ciascuno, per conto nostro, dentro una gabbia.

Clara. Sequestrati più o meno ci stiamo tutti. Se si fosse liberi… Allora… (a Giorgetta) Legate questi altri sei fascicoli e poi, intanto, consegnate questi due pacchi a Camillo.

Giorgetta. Sissignora (eseguisce e poi esce da destra coi due pacchi).

Luigi (sdraiandosi con voluttà in una poltrona). Oramai mi sono abituato a leggere qui i miei giornali e bisogna lasciarmi fare (gioviale). Io sono di testa dura, sa! Un vecchio provincialone ostinato nelle sue abitudini. Dove vuol mai cercare cosa più bella dell'a bitudine lei?

Clara. Può darsi; ma l'abitudine ci rende schiavi di noi stessi e io la trovo fastidiosa.

Luigi. Alla sua età, non alla mia. Quando il tempo consumato è molto e quello da consumarsi è poco, si ama di rimanersene quieti quieti, nella speranza che Madama si ricordi di noi il più tardi possibile (ridendo giocondamente). Ha capito lei chi è Madama?

Clara. Sì, sì, ho capito.

Luigi (ridendo). Illogica e capricciosa anche quella là, come tutte le donne, del resto. Passeggia su e giù pel mondo, armata della sua falce, e qualche volta basta uno sgambetto eseguito a tempo per lasciarla con le unghie vuote. Quanto a me spero di prenderla in giro per parecchi anni ancora.

Clara (con amarezza). Crede lei che davvero ne valga la pena?

Luigi. Ih! che discorsi alla sua età! Ma cosa avete nel sangue in queste maledettissime città grandi voialtri? Santo Iddio (accalorandosi). Ci sono tante belle cose da fare e da vedere a questo mondo! Un buon pranzetto, un buon sonnetto… Si passeggia… Si chiacchiera… Qualche pazzia a tempo debito… (ridendo). Il guaio è che alla mia età bisogna essere saggi per forza.

Clara (andando a sedere sul divano). E, secondo lei, questo si chiamerebbe vivere?

Luigi (bonariamente ironico). Allora, secondo lei, si chiamerebbe vivere quello che fa mio genero o quello che fa suo marito. Sempre accigliati, sempre scontrosi, quasichè tutta l'umanità stesse lì contro di loro, a prenderli di mira col fucile spianato.

Clara (coi gomiti appoggiati alle ginocchia e il viso sorretto dalle palme). Mio marito dice che in ogni persona bisogna presupporre un nemico.

Luigi. Magnifica teoria per abbeverarsi di fiele.

Clara (sempre nella stessa posa). Lui dice che ogni individuo è solo nel mondo, solo come se si trovasse in mezzo al mare.

Luigi (indignato). E queste belle favole viene a raccontarle proprio a lei? (tra malizioso e bonario). Perbacco! Ma se io fossi giovane e con una mogliettina come lei avrei altro pel capo che raccontarle di simili melanconie.

Clara (dopo una pausa, sempre nella stessa posa). Come ha conosciuto mio suocero lei?

Luigi. Al mio paese. A Lucera, quando lui stava là come giudice.

Clara. Era anche allora tanto serio mio suocero?

Luigi. Ah! sempre molto rispettabile. Economo, lavoratore, metodico. Pieno d'ingegno e decoro. Viveva meschinamente del suo magro stipendio, ma senza un centesimo di debito. Un uomo impeccabile, impareggiabile. Io glielo dicevo spesso ridendo: « Vede, caro giudice, io la stimo tanto, ho tanta fede nel suo talento e nel suo avvenire che se lei non fosse già il marito della sua brava signora, io le darei la mia unica e bella figliuola ». (ridendo) L'ho detto e l'ho fatto. E non me ne pento.

Clara. Sicchè lei ha conosciuto anche la madre di Claudio?

Luigi. Abbastanza. Non molto. Si vedeva poco. Era malaticcia e scorbutica. Una brava signora, senza dubbio; ma doveva avere il caratteraccio di suo figlio. (ridendo) Scusi tanto, sa.

Clara (ridendo anche lei). Oh! no, no, anzi, dica pure.

Luigi (battendole la mano sul ginocchio). Monelluccia, monelluccia. (tornando al suo discorso) A parlarle schietto, io credo che l'idea più geniale di quella bravissima signora, sia stata l'idea di andarsene al mondo di là.

Clara (pensosa). A giudicarne dal ritratto non doveva essere brutta.

Luigi. Non brutta. Tutt'altro. Somigliava a Claudio. Ma era più anziaua del marito. Una grossa pietra che Leonardo si era attaccata al collo nella prima gioventù e, francamente, mi pare che la pietra gli pesasse.

Clara. Claudio non ama parlare di sua madre.

Luigi. E nemmeno Leonardo. Nessuno ama rileggere le pagine dolorose della propria vita. Claudio allora aveva dieci anni e, certo, dovette subire una brutta scossa. Fu lui che scese a chiamare il padre, quella sera, pochi minuti prima.

Clara. Lei si trovò presente, è vero?

Luigi. Quasi. Leonardo teneva in affitto un piccolo appartamento nel mio palazzo. E io, la sera della catastrofe, stavo appunto prendendo il fresco in giardino con lui ed altri amici. Eh! fu un momentino assai brusco. E devo dire che Gassile in quella circostanza si mostrò veramente uomo di cuore. Senza pianti, senza gridi, ma il vero dolore muto e profondo (si sente suonare l'apparecchio telefonico).

Clara (si alza e va alla scrivania portando il tubo all'orecchio). Pronto (pausa). Lei parla con casa Gassile. No, in questo momento mio marito è fuori. La mattina difficilmente sta in casa (pausa). Ma tarderà poco (pausa). Dopo mezzogiorno non saprei. Il venerdì, dalle quattordici alle quindici, dà lezione all'università. Benissimo. Arrivederci (toglie la comunicazíone e torna a sedere).

Luigi (indicando il telefono). Altra bella diavoleria per mistificare il prossimo.

Clara. Perchè? È una cosa molto comoda.

Luigi. Lei dica a uno de' nostri contadini, laggiù nelle Puglie, di trattare gli affari suoi per telefono, e poi sentirà. Due che parlano devono potersi guardare in viso… Il giuoco di un muscolo facciale può dirmi di più di centomila parole. No, no, si stava meglio quando si stava peggio.

Detti e Giorgetta.

Giorgetta (da destra). Un telegramma per lei, signora.

Clara (alzandosi con vivacità quasi impetuosa). Date (prende il telegramma, lo apre, lo percorre con l'occhio rapidamente).

Luigi (frattanto spiega un giornale e legge).

Clara (in preda a una commozione, che si studia di vincere). Mio marito è tornato?

Giorgetta. Sissignora, proprio in questo momento.

Clara (percorre di nuovo con l'occhio il telegramma, poscia lo piega e lo tiene chiuso in pugno. Esitando, dopo avere cercato le parole). Allora mio marito si sarà incontrato col fattorino telegrafico.

Giorgetta. Forse. Ho sentito che domandava a Camillo per chi era il telegramma.

Clara (rimane per un momento incerta, come tentata di rivolgere altre domande, poi, vincendosi). Benissimo. Andate pure.

Clara, Luigi, Romeo, Camillo. (Mentre Giorgetta esce da destra, Camillo vi entra introducendo Romeo).

Camillo (a Romeo). Abbia la compiacenza di attendere. Non saprei se il signor commendatore riceve. Ha udienza questa mattina.

Romeo (elegante, disinvolto, cortesissimo). Lo so, ma fatemi la gentilezza di passargli il mio biglietto, e dirgli che non mi permetterei disturbarlo se non fosse per cosa di grave urgenza.

Camillo (s'inchina ed esce da destra).

Romeo (avanzandosi e inchinandosi profondamente a Clara). I miei complimenti, signora Gassile!

Clara (nervosa, distratta). Buongiorno, avvocato.

Luigi (alzandosi). Ah! è lei, avvocato Vietti? Come sta?

Romeo. Benissimo. E lei?

Luigi (con una fregatina di mani). Si campa. Si campa. Lei forse è venuto per mio genero?

Romeo. Sì. Mi sarebbe proprio urgente di parlargli.

Luigi. Ma questa mattina ha udienza e allora, sa, non è molto abbordablle. (bonario) Ma lei è un po' anche amico di famiglia.

Romeo. Ed è appunto a questo titolo che mi sono permesso d'insistere. (volgendosi a Clara) Come mai lei ieri sera non era al Costanzi, signora?

Clara (che ha, frattanto, molto visibilmente strappato il telegramma e ne ha gettati i minuzzoli dalla finestra; sempre agitata e distratta). Non mi sento bene. Sono rimasta in casa. (dopo una pausa, avviandosi verso sinistra) Se lei permette, avvocato…

Romeo (inchinandosi profondamente). Prego, signora.

Clara (fa un cenno di saluto chinando il capo, ed esce da sinistra).

Luigi, Romeo poi Camillo.

Luigi (indicando una poltrona a Romeo). Resti servito intanto.

Romeo (sedendo). Ma lei non si disturbi. Seguiti pure nella sua lettura.

Luigi (piegando meticolosamente il giornale). Per carità. Da bravo sfaccendato m'intrattengo spesso coi giornali. (ridendo) Ma, sa, i giornali hanno sempre ragione loro, perchè quelli che scrivono le corbellerie non stanno poi lì a sentirsele confutare. Mentre chiacchierando, è un'altra cosa.

Romeo. Già, già. Se l'interlocutore (indicando sè stesso) dice delle corbellerie…

Luigi. (interrompendo, cordiale). Per carità, non mi tenda tranelli col suo spirito Lei. Io non volevo dir questo. Volevo dire che preferisco parlare anzichè leggere. Cosa vuole? Sono vecchio, non ho niente da fare e trovo che la conversazione, sia pure accademica, è il mezzo migliore per ammazzare il tempo.

Camillo (da destra, a Romeo). Il signor commendatore la prega di attendere qualche minuto.

Romeo. Non ho nessunissima fretta.

Camillo (s'inchina ed esce).

Luigi (allegramente). Sa che lei è una mosca bianca, avvocato?

Romeo (inchinandosi scherzoso col busto e ridendo). Mille grazie. Ma perchè?

Luigi. Perchè non ha fretta, corpo di Bacco! Nelle grandi città hanno sempre tutti una fretta indiavolata.

Romeo (ridendo) Ma, sa, era una bugia. Invece ho fretta molto. Si figuri che prima di andare in Cassazione ho due appuntamenti.

Luigi. Ha una causa da difendere in Cassazione oggi?

Romeo. Appartengo al collegio di difesa nel famigerato processo Arvelli.

Luigi. Io non capisco. Cosa cerca quell'uomo? Appena dicitotto anni di reclusione per avere assassinata la moglie. E non è contento? Ma cosa vuole di più?

Romeo (ridendo) Oh! di più niente. Anzi di meno.

Luigi. Sicchè uno deve poter assassinare il prossimo e poi dire alla giustizia: « Non starmi a rompere le scatole e lasciami andare pei fatti miei ».

Romeo (ridendo). Se i delinquenti non avessero anche loro la loro logica, noi avvocati che cosa ci si starebbe a fare?

Luigi. A far pesare le ragioni pro e contro; non quando il delitto è chiaro.

Romeo. Chiaro per lei, non per l'interessato. Per l'interessato è chiaro solamente che diciotto anni sono lunghi.

Luigi. ma lei, in confidenza, cosa ne pensa?

Romeo (celiando). Capirà. dal momento che io presenterò a suo tempo la mia parcella, sono obbligato a pensarne bene. (direntando serio) Del resto, creda, sa, il processo è stato più che altro indiziario.

Luigi (spazientito). Macchè indiziario! L'opinione pabblica non ha avuto un attimo di esitazione. Parenti, amici, domestici, tutti hanno detto: « Nossignori; non si è avvelenata. L'ha avvelenata il marito ».

Romeo. Però lei deve convenire che, se per ogni suicida, le famiglie dovessero andare in galera, si starebbe freschi!

Luigi (accalorandosi). Niente affatto. Se io guardo attraverso un bicchier d'acqua limpida io ci vedo chiaro da una parte all'altra. (abbassando un poco la voce) Perchè, quando si è suicidata, con un colpo di rivoltella alla tempia, la prima moglie di mio genero, a nessuno è venuta in testa l'ombra di un dubbio sul conto del marito?

Romeo. Perchè le circostanze non saranno state tali da provocare il dubbio.

Luigi. D'accordo, ma sopra tutto perchè mio genero godeva della universale considerazione. Tutti sapevano ch'era padre di famiglia modello, che faceva sacrifici enormi per curare la moglie ammalata, che era probo, di una onestà infles sibile.

Romeo. Ebbene, da quanto io so in confuso, il commendator Gassile, nella sua sventura, è stato fortunato. Sarebbe bastato un malevolo, per tirargli addosso un cumulo di seccature.

Luigi (spazientito). Macchè seccature d'Egitto! Di fronte alla verità lampante non ci sono nemici, non ci sono malevoli. Quando mio genero, spalancò la finestra e urlò: « Aiuto! Aiuto! » Tutti accorsero, me compreso! La verità stava sulla faccia della moglie morta e sulla faccia del marito vivo. Quanto a me, spero che la Cassazione questa mattina confermi la sentenza per il suo ottimo signor Arvelli.

Romeo (tra serio e faceto). Ma sa che lei è feroce?

Luigi. Con le canaglie sempre.

Detti, Leonardo e Camillo.

Camillo (annunziando da sinistra). Ecco il signor commendatore.

Romeo (si alza subito).

Leonardo (entra da sinistra. Correttissimo, ma di una freddezza glaciale. A Camillo, che vorrebbe ritirarsi). No, aspettate (si colloca tra la sedia e la scrivania, rimanendo in piedi).

Romeo (si è avanzato ed è rim isto in piedi dal lato opposto della scrivania, in attitudine piena di rispetto). La prego di sousarmi, signor procuratore generale, se ho insistito per aver l'onore di parlarle qualche minuto.

Leonardo (con fredda cortesia). In che posso servirla?

Romeo. I miei colleghi nella difesa della causa Arvelli mi hanno affidato l'incarico di consegnarle di persona una copia della nostra ultima memoria a stampa (depone la memoria sulla scrivania).

Leonardo (sempre in piedi, con le palme appoggiate sull'orlo della scrivania). Ne ho già ricevuta un'altra copia e, naturalmente, ne ho preso visione.

Romeo (sempre con ossequio). Mi permetto di osservarle, signor procuratore generale, che questo è (indicando la memoria) un breve supplemento redatto in base all'ultima riunione del collegio difensionale, riunione che ebbe luogo ieri mattina. È per noi di estrema importanza che il signor procuratore generale, si compiaccia dargli una scorsa prima dell'udienza. Si tratta appena di poche pagine.

Leonardo (prendendo la memoria). Sta bene. Leggerò.

Romeo. E giacchè ho avuto la fortuna di vederla, oserei aggiungere…

Leonardo (interrompendolo). Lei si era assunto l'incarico di rimettermi di persona il supplemento, poichè il supplemento è nelle mie mani, suppongo che lei non abbia più nulla da dirmi e io non abbia più nulla da ascoltare su tale materia. (con cortesia mitigatrice) In altra occasione e su altro argomento, io sarò a' suoi ordini.

Romeo (inchinandosi profondamente). Grazie, signor procuratore generale. (si avvia per uscire da destra, accompagnato da Camillo, ch'era rimasto immobile presso la porta di sinistra).

Romeo (passando davanti a Luigi e salutando). Complimenti, signor Paccina.

Luigi (alzandosi). Riverisco, avvocato.

Detti e Claudio.

Claudio (da destra, fermandosi vicino alla porta). Pardon. Credevo che mio padre fosse solo.

Romeo (strigendogli la mano con cordialità). Buongiorno Gassile.

Claudio. Buongiorno, Vietti.

Romeo. Ci vedremo questa sera al Circolo giuridico?

Claudio. Può darsi.

Romeo (si volge, fa un altro inchino a Leonardo ed esce da destra accompagnato da Camillo).

Claudio (a Leonardo). Se non ti dispiace, papà, vorrei chiederti un favore prima che tu vada all'udienza.

Luigi (che era rimasto in piedi, si avvia per uscire da destra).

Leonardo (a Luigi, con una certa vivacità). Puoi restare. Non credo che mio figlio debba confidarmi dei segreti.

Claudio. Dei segreti no, certo; ma preferirei parlare con te solo.

Luigi (bonario). Benissimo. Allora io emigro in salotto (raccoglie i giornali ed esce da destra).

Leonardo e Claudio.

Leonardo (resta in piedi. Le mani appoggìate all'orlo della scrivania tremano un poco).

Claudio (in piedi al lato opposto della scrivania). Mi pare di averti accennato che un gruppo di elettori vorrebbe portarmi candidato al collegio di Lucera.

Leonardo. Ne ho sentito qualche cosa.

Claudio. Il collegio è rimasto vacante per le dimissioni forzate dell'on. Staldi. E io dovrei raccoglierne la successione politica.

Leonardo (facendo girare il cordoncino del pince-nez). Ma io credevo di averti a mia volta accennato all'inopportunità di cacciarti in tale ginepraio. Le lotte politiche in quei paesi assumono carattere di violenza. Si accendono polemiche aspre.

Claudio. Io dovrei rappresentare appunto una candidatura di conciliazione. E poi la violenza non mi fa paura. Quanto alle polemiche io non ho niente da nascondere o da temere.

Leonardo (freddo). C'è sempre da temere, se non da nascondere.

Claudio (ha un gesto di indifferenza). Io sono implacabilmente ambizioso. Tu lo sai, e dovresti comprendermi. Io ti somiglio in tutto nel morale, come nel fisico, somiglio in tutto alla mia povera madre.

Leonardo (aspro). Cosa c'entra la somiglianza con tua madre in questo?

Claudio. Per dirti che, giudicando le circostanze eccezionalmente favorevoli, intendo approfittarne.

Leonardo (facendo girare con più violenza il cordoncino). Anche se io ti pregassi, anche se io t'imponessi di desistere?

Claudio (con fermezza). Anche. Oramai credo mi sia lecito ragionare con la mia testa. A Lucera io faccio il mio giuoco quasi a colpo sicuro. Tuo suocero, che ha laggiù possidenze e aderenze mi aiuterà; tu stesso hai vissuto a Lucera parecchi anni, lasciando di te ottimo ricordo. Il sindaco e il consigliere provinciale, i quali sono di passaggio a Roma, verranno ad ossequiarti oggi.

Leonardo (quasi con impeto). Non li riceverò.

Claudio (stupito). Perchè? Quando io ero bambino, a Lucera, li vedevo spesso a casa nostra.

Leonardo (muovendosi dal suo posto). Ti dico che non li riceverò.

Claudio (con fredda irritazione). Sarebbe verso di loro uno sgarbo gratuito. Io conosco la suscettibilità di quei provinciali. Manderesti forse all'aria tutte le mie combinazioni.

Leonardo (iroso). Ed è per questo, per mandare all'aria le tue combinazioni che non voglio riceverli.

Claudio. Alla tua età e nella tua posizione non è lecito avere capricci.

Leonardo (fremente). Bada. Pare che tu voglia mancarmi di rispetto.

Claudio. La colpa sarebbe tua. Da qualche tempo il tuo contegno verso di me è inesplicabile.

Leonardo (avanzandosi di un passo). Inesplicabile in che cosa? Perchè inesplicabile?

Claudio. Perchè si direbbe che basta la mia presenza ad irritarti.

Leonardo (fremente). Sì, m'irrita. Tu mi sorvergli, mi segui con l'occhio in ogni gesto…

Claudio (freddissimo ed immobile). Temo che i tuoi nervi siano ammalati, ma non deviamo; ti prego in cortesia, di ricevere oggi quei due signori. Ci tengono.

Leonardo (scattando). Ma dunque non capisci? Non capisci o non vuoi capire? Hai il cuore anche più implacabile del tuo sguardo. Non capisci nulla tu.

Claudio (dopo una pausa). Capisco perfettamente il tuo stato d'animo. Ogni persona di Lucera ti ricorda la tragedia della nostra famiglia; ma io non vedo perchè, lasciandomi portare candidato nel paese dove la mia povera madre si è uccisa, mancherei di rispetto alla sua memoria, che m'è sacra, te lo assicuro.

Leonardo (rimane affascinato, immobile, sotto l'occhio freddo di Claudio. Quasi balbettando). Perchè mi parli tanto di tua madre oggi?

Claudio (con calore). Perchè non dovrei parlarne? Io la porto sempre nel mio pensiero quella misera creatura, che non deve essere stata felice. Tu invece ti sei fatto e ti fai uno studio minuzioso per dimenticarla.

Leonardo (con impeto). È assurdo quello che dici.

Claudio. Mi hai trascinato tu su questo argomento doloroso. Esso è bruciante. Lasciamolo. (dopo una pausa) Per concludere, ti dico che intendo accettare a ogni modo la candidatura. Col mio temperamento si ammette il sentimento non si ammette la sentimentalità.

Leonardo (che era rimasto sopraffatto alle ultime parole di Claudio, si scuote. Ad alta voce concitatamente). Nessuna sentimentalità. L'hai detto tu stesso, nessuna sentimentalità. (dominatore) Ed ecco perchè non voglio subire il tuo dominio. Non li riceverò quei signori. Per il resto agisci come tu credi (guarda rapidamente l'orologio, poi suona il campanello).

Detti, Camillo, poi Maria.

Camillo (subito da destra).

Leonardo (con accento reciso). Il coupè?

Camillo. Già aspetta, signor commendatore.

Maria (da sinistra). È quasi la mezza, sai, Leonardo?

Leonardo. Vado. (a Camillo) Portatemi subito pelliccia e cappello nell'anticamera.

Camillo. Subito (esce in fretta da destra).

Maria (accompagnando Leonardo fino alla porta di destra). Appena finita l'udienza torna a casa. Pensa che sei ancora debolissimo.

Leonardo (fa un cenno di assentimento col capo ed esce da destra).

Claudio, Maria, poi Clara.

Maria (accennando dalla parte donde è uscito Leonardo). Mi sembrava irritato. Cosa è successo?

Claudio. Una discussione penosa, che sarebbe stato forse meglio evitare.

Maria. Non bisognerebbe irritarlo. Qualche volta tu sei troppo ruvido con lui.

Claudio. È il mio carattere. D'altronde mi pare che, nemmeno lui sia tenero verso di me. Non lo è stato mai e molto meno adesso.

Maria (dolcemente). Non essere ingiusto, Claudio. Tuo padre ha preso grande cura della tua educazione.

Claudio. Non lo disconosco; ma se una parola buona mi giungeva, quando ero in collegio, mi veniva da te, non da lui.

Maria. Ha dovuto tanto lavorare nella sua vita per giungere in alto.

Claudio. Ammiro le sue buone qualità e ti assicuro che avrei potuto amarlo tanto per quanto lo stimo. Non ha voluto lui.

Maria. Siete troppo orgogliosi tutti e due.

Claudio. Eppure quando ero più giovane, ho spesso tentato di avvicinarmi al suo cuore. Mi ha sempre respinto.

Maria (conciliante). Bisogna guardare i fatti! Tuo padre ti tiene con tua moglie nella sua casa, usandoti ogni sorta di riguardi e permettendoti una vita quasi lussuosa.

Claudio (pronto). Anche questo lo devo a te. Sei buona e puoi molto sull'animo di mio padre.

Maria. Allora, per farmi piacere, evita le discussioni. Dopo quest'ultima malattia tuo padre ha dato un forte crollo nel fisico e nel morale.

Clara (da sinistra a Maria). Quando si va a colazione?

Maria. Al solito, fra una mezz'ora. Vieni tu oggi al "five-o'klok" in casa Melzi?

Clara. Dal momento che ci vai tu potrei dispensarmene io.

Claudio. No. È bene che anche tu ci vada. La signora Melzi ci tiene a vedersi il salotto affollato e l'on. Melzi può riuscirmi assai utile in questi giorni.

Clara. Ci si annoia tanto in casa di quella signora!

Claudio. Annoiati un poco nel mio interesse, che è, del resto, anche il tuo.

Clara (con lieve gesto di assenso). Tu lo desideri e basta.

Maria (a Clara). Sono pronti i fascicoli per mandare in legatoria?

Clara. Il primo semestre sì; anzi, giacchè mi ci trovo, disporrò gli altri dodici (si avvicina al tavolo di fondo).

Maria. Mi farai piacere. Non vorrei che Leonardo li cercasse senza trovarli pronti (esce da destra).

Claudio e Clara.

Clara (volgendo le spalle al pubblico e occupata nell'adunare i fascicoli). Poco fa hanno telefonato, domandando di te.

Claudio (in piedi nel centro della scena). Chi?

Clara (sempre volgendo le spalle al pubblico). Un signore di Lucera. credo. Telefonava dal Grand-Hôtel per dirti che sarebbe venuto oggi qui, dopo le tre.

Claudio. Sta bene.

Clara (volge il capo, quasi furtiva, per redere che cosa fa Claudio: poi torna alla sua occupazione).

Claudio (all' improvviso). Chi ti ha telegrafato?

Clara (colta di sorpresa e volgendosi di scatto). A me?

Claudio. Sì, a te; ho veduto il telegramma, quando la cameriera te lo portava.

Clara (con indifferenza ben dissimulata). Sì, Sì, infatti.

Claudio (con falsa noncuranza). Era un telegramma di cittè, mi pare.

Clara (tornando ad ordinare i fascicoli, ma collocandosi di fianco presso il tavolo). Si, un telegramma di città. C'è della gente che ha la mania di telegrafare senza scopo.

Claudio. Forse la signorina Hütler?

Clara (sollevando il viso che teneva chino). Precisamente. Per dirmi se voglio andare oggi con lei a Villa Pamphily. Ma io non ci andrò.

Claudio (con sottile iroma). Come mai?

Clara (rinfrancata). Tu mi hai pregata di andare invece dalla Melzi.

Claudio (sempre più ironico). Sicchè ti sacrifichi; ma se, com'è naturale, preferisci di andare a passeggio con la tua amica…

Clara (con vivacità). No, no, figurati.

Claudio (dopo una pausa). Allora sarà bene prevenire la signorina Hütler.

Clara (un po' nervosa, scendendo sul davanti). Come sei formalista!

Claudio (sempre più apertamente ironico). Un po' di cortesia non guasta. (andando verso il telefono) Il numero della sua pensione?

Clara (mal frenando l'orgasmo). Non ricordo.

Claudio (prendendo di sul tavolo l'elenco degli abbonati). Vediamo.

Clara (quasi con impeto). Non vale la pena, ti dico. Ely, a quest'ora, forse non c'è.

Claudio (freddissimo, deponendo il libro). Ti sei affogata in un mare di bugie.

Clara (con falsa audacia). Di bugie, perchè?

Claudio. Perchè quel telegramma non era di città e la signorina Hütler è da stamani fuori di Roma. (con riso breve) E poi perchè ora sei smorta e bianca e poco fa eri di fiamma.

Clara (con forza). Ma cosa supponi di me?

Claudio. Supporre? Io sono certo invece che tu mentisci.

Clara (come sfidandolo). Avresti potuto aprire e leggere quel telegramma.

Claudio. Ne ho avuta la tentazione; ma chiederlo alla cameriera mi ripugnava. Adesso però voglio vederlo. Dammelo.

Clara. Non l'ho più; l'ho strappato.

Claudio. Ah! l'hai strappato? Dovevo immaginarlo. D'altronde non ho bisogno di prove materiali per conoscere la verità. Da mesi ti scruto e in questi ultimi giorni i miei sospetti sono diventati certezza.

Clara (aggressiva, eccedendo in audacia). Certezza di che? Parla chiaro. Le frasi ambigue non valgono.

Claudio. Sei spavalda come tutti i deboli.

Clara. Di chi la colpa? Mi hai schiacciata, schiacciata e annichilita sotto la tua gelida inflessibilità.

Claudio (con ira sorda). Ti disistimo, ecco.

Clara (con grido di ribellione). Allora non dovevi sposarmi!

Claudio. Rimasi abbagliato dalla tua bellezza; ingannato dal tuo candore. Credevo che avresti portato un raggio nella mia tetra vita e invece da tre anni mi vivi accanto come un automa.

Clara (con impeto). Tu parli di te, sempre di te, quasiché io non esistessi. Il tuo disprezzo di uomo che si giudica superiore è stato per me in questi tre anni come una cappa di piombo. Mi ha impacciata, schiacciata; mi ha impedito di formarmi una coscienza. Anche quando mi stringi furiosamente nelle tue braccia. ti sento quasi vergognoso del tuo amore e questo mi umilia, m'irrita.

Claudio. Troppe illusioni io avevo nutrito su di te. Le hai tradite tutte. È naturale che io ti serbi rancore.

Clara (con voce subitamente mutata). E allora, Claudio, compiangiamoci a vicenda. perchè il tuo rancore ha suscitato il mio. (sincerissima) Io avrei voluto amarti: ti giuro, Claudio, che avrei voluto amarti, perchè io so quanto vali; ma tu sei stato senza nessuna indulgenza per la mia giovinezza inesperta.

Claudio (reciso). La compagna da me prescelta non avrebbe dovuto aver bisogno d'indulgenza.

Clara (con dolcezza accorata). Tutti ne abbiamo bisogno. Quando mi hai sposata ero una bimba ignara: sono quasi una bimba anche oggi. Avresti potuto essere per me un Dio; avresti potuto crearmi una volontà e un raziocinio; invece tu mi hai respinta dal tuo cuore.

Claudio (con astio). Cosa ne sai tu del mio cuore?

Clara (pronta). Quello che tu sai del mio; niente, niente. (con rammarico angoscioso) Non ci siamo intesi. Ma giacchè il momento delle spiegazioni è venuto, voglio spiegarmi anch'io.

Claudio. Finalmente. Che io senta una volta almeno la verita dalle tue labbra.

Clara (con forza). Giacchè mi sfidi e m'insulti, sentirai la verita tutta intera. Sì, hai ragione, basta di fingere e di mentire. La creatura di sincerità che sta adesso per rivelarsi a te, devi comprenderla e compatirla, perchè è opera tua.

Claudio (imperioso). Tu divaghi.

Clara. (già sgomenta). Non interrompermi, non intimorirmi soprattutto.

Claudio (sempre più minaccioso). Tu divaghi.

Clara (umile all'improvviso). In questi ultimi tempi ho mentito con la voluttà di chi si vendica; ma, così facendo, colpivo me stessa. Ad ogni mia nuova menzogna io mi sentivo più misera e ti sentivo più forte. (con impeto irriflessivo) In certi giorni avrei voluto prosternarmi davanti a te nella polvere, tanto mi sentivo spregevole al tuo cospetto!

Claudio (alzando la mano con moto istintivo). Ah! dunque confessi, confessi?

Clara (indietreggiando, con le mani giunte, supplice, umile). Non cosi. Mi toglieresti il coraggio di proseguire.

Claudio (col respiro affannoso). Ah! indegna, indegna.

Clara (torcendosi le mani). Indegna, sì, indegna; ma pensa che avrei potuto tacere; pensa che in questi casi una donna nega, sempre nega per salvarsi. E io invece parlo per riprendermi e purificarmi. (dopo una pausa, con voce rotta) In questi ultimi tempi io mi sono sentita cosi miserabile, cosi lontana da me stessa che mi pare di aver sognato un sogno orribile. Provavo un tale smarrimento, una tale ansia che qualcuno mi afferrasse e mi scuotesse dall'incubo! E ti ho odiato, pensando che se tu fossi stato diverso da quello che sei, io avrei potuto amarti ed essere felice. (coprendosi il volto con le mani) Mentre adesso cosa sarà di me?

Claudio (andandole vicino, parlandole quasi sul viso a bassa voce). Cosa sarà di te? E di me, dimmelo tu, di me cosa avverrà? Ti disprezzo e ti amo: mi fai pietà e mi fai orrore. Dimmelo tu dunque, cosa posso fare?

Clara (sconsolata). Me ne andrò. Come vuoi risolvere altrimenti? Me ne andrò!

Claudio (con ira in cui freme la gelosia). Dove? Da chi?

Clara (pronta). No, no, non credere questo. Piuttosto morirei. (con accento d'irresistibile rerità) Mi faccio orrore, ti giuro che mi faccio orrore. Tutto quello che tu imporrai io farò. Andrò lontana a piangere o resterò a spasimare di vergogna accanto a te. Tutto quello che tu imporrai io farò.

Claudio. Cosa accadde lunedì sera?

Clara (a capo chino, a voce bassa). Tuo padre sa.

Claudio (colpito come in pieno petto). Mio padre?

Clara. Egli mi vide arrivare sconvolta e, nel mio smarrimento, mi rivolsi a lui perchè mi aiutasse a salvarmi.

Claudio (stordito per lo stupore). Mio padre? L'austerità in persona? Di ghiaccio contro tutti? (in uno scatto di ambascia, gettando la testa all'indietro) Quale maledizione pesa dunque sopra di me dal giorno in cui mia madre è morta? (dominandosi subito) Che giova imprecare? Chi si trova circondato da nemici non impreca, combatte. (a Clara) Ancora non so cosa farò di te! per il momento io voglio sapere perchè mio padre si è fatto tuo complice a mio danno. (avvciandosi per uscire da sinistra) E crollasse il mondo io lo saprò. (Mentre Claudio esce da sinistra e Clara si abbandona ricersa sul divano, quasi svenuta, cade la tela).

La stessa decorazione dell'Atto primo

Luigi, Maria e Camillo.

Luigi (sdraiato in una poltrona, verso il davanti, dorme saporitamente; un giornale aperto giace a terra presso di lui).

Maria (entra da destra. A Luigi, senza accorgersi ch'egli dorme). Non pare anche a te, papà, che Leonardo dovrebb'essere già tornato?

Luigi (non risponde).

Maria (suona il campanello. Sempre parlando a Luigi). L'invito in casa della signora Melzi è per le cinque. Non vorrei uscire senza prima aver veduto come sta Leonardo.

Camillo (dalla porta di fondo) Comandi, Signora.

Maria. Telefonate alla Cassazione per sapere a che punto è l'udienza.

Camillo. Sissignora.

Maria. Domandate se il signor Procuratore Generale ha già fatto la sua requisitoria.

Camillo. Sissignora (esce dal fondo).

Maria (avvicinandosi alla poltrona di Luigi). Papà? Ah! dorme. (scuotendolo dolcemente) Svegliati dormiglione.

Luigi (svegliandosi di soprassalto). Che c'è?

Maria (scherzosa). Ladri.

Luigi (svegliandosi completamente). Ah! sei tu, Maria? (stirandosi appena le braccia) Quasi, quasi, mi ero addormentato.

Maria (ridendo). Senza quasi, papà. Dormivi come un ghiro.

Luigi (sollevandosi sul busto). Vuol dire che lo stomaco funziona bene, e la coscienza anche. D'altronde questo giornale (piegando il giornale e mettendoselo in tasca) non mi ruba i miei dieci franchi dell'abbonamento. Bastano cinque righe a conciliarmi il sonno.

Maria (sedendogli accanto). Che giornale è?

Luigi. La « Gazzetta Agricola ». In questo numero di oggi c'è un articolone che non finisce mai sui concimi chimici. (impaziente) Si vorrebbe che la terra moltiplicasse i suoi prodotti, visto che noi moltiplichiamo le nostre esigenze.

Maria. Il mondo cammina, caro papà.

Luigi (seccato). Macchè cammina. Possiamo correre finchè ci pare, ad ogni modo la crosta della terra è sempre una. E noi siamo sempre quelli. Rinnoviamo, inventiamo, facciamo il diavolo a quattro. Vapori, automobili, elettricità, ira di Dio, e poi, alla fine dei conti, si nasce e si muore, tal quale come ai tempi di Adamo ed Eva.

Maria (sorridendo). Ci siamo svegliati di cattivo umore oggi.

Luigi. Mi annoio. Te lo confesso francamente. In questa santissima casa mi annoio. Ci passo i mesi dell'inverno per farti contenta, ma, santo Iddio! Leonardo pare che abbia sempre una cassa da morto davanti agli occhi. La faccia di Claudio oggi, a colazione, era lunga un metro più del bisogno. Perfino la sposina da un po'di giorni è diventata tetra.

Maria. Credo che non si senta bene.

Luigi. Sfido io. Con un marito simile! Quello non è un marito. Quella è una pietra sepolcrale sulla bocca dello stomaco. Ah! ma un altro anno non mi ci prendi.

Maria. Un altro anno mi farai contenta come sempre.

Luigi. Invece di obbligare me a passare qui l'inverno, venite voialtri a passare l'estate laggiù a Lucera.

Maria. Non chiederei di meglio io! Ma Leonardo non vuole. Dice che l'aria di laggiù non gli fa bene.

Luigi. Altra bella fisima! Con una villa magnifica a Lucera, nossignore. La villa deve restar chiusa, e intanto si spendono quattrini negli alberghi. Mah! voialtri avete un gran cervello, questo è fuori dubbio, ed io sono un imbecille. Ma, quando siamo al dunque, è ancora da decidersi chi di noi ragiona meglio.

Camillo (dal fondo). Ho telefonato alla Cassazione, signora.

Maria. Ebbene?

Camillo. L'udienza è finita proprio in questo momento.

Maria. Benissimo. Andate pure.

Camillo (esce dal fondo).

Maria. Stavo in pensiero. Leonardo ha vegliato tutta la notte per prepararsi all'udienza di oggi. Questa mattina era esausto E pallido poi da far pietà.

Luigi. Sono impazientissimo di sapere com'è finito il processo Arvelli.

Maria. La Cassazione confermerà la sentenza senza dubbio. Almeno Leonardo pensa così.

Detti e Clara.

Clara (da sinistra, in ricco abito da visita, ma senza cappello. È pallidissima e abbattuta nell'aspetto). Io sono pronta per andare dalla Melzi.

Maria (co'gendosi). Ah! ci vieni dunque?

Clara (con rassegnazione). Sì, sì. Perchè non ci dovrei venire?

Maria. Avevi l'aspetto tanto sofferente a colazione.

Clara. Infatti non mi sentivo bene; ma adesso sto meglio (siede sopra una seggiola e rimane assorta).

Maria. Allora io andrò a vestirmi. Speriamo che intanto Leonardo ritorni. (a Luigi) E tu, papà, esci con noi?

Luigi. Per forza. Cosa vuoi che io faccia sino all'ora del pranzo. Vi accompagnerò al posto di questo seccantissimo rinfresco delle cinque, e poi me ne andrò a fare una giratina.

Maria (avviandosi per uscire da destra). Potresti salire anche tu dalla signora Melzi.

Luigi (alzandosi). Tante grazie! Preferisco spendere due soldi al "bar". io!

Maria (ridendo). Vedo che vuoi darti alla dissipazione (esce da destra).

Clara e Luigi.

Luigi (ridendo anche lui). Una volta ogni tanto è bene non mostrarsi taccagni. (a Clara, scherzoso) Che ne dice la nostra sposina?

Clara (come scuotendosi da un suo pensiero). Di che? Scusi, pensavo ad altro.

Luigi (fermandosi davanti a Clara). Ma se lei, invece di andare a spasso, se ne andasse a riposare, non farebbe meglio?

Clara (passandosi la mano sulla fronte). Farei meglio certo. Ho un mal di testa!

Luigi. Si vede. Basta guardarla. Dia retta a me, vada a riposare.

Clara (con molto sgomento). No, no, non posso. Debbo andare dalla Melzi.

Luigi (arrabbiandosi). Vi fabbricate certe necessità voialtri del bel mondo. Il tè è diventato obbligatorio come l'istruzione elementare, adesso.

Clara. Mio marito vuole che io ci vada. Me lo ha ripetuto anche poco fa.

Luigi (sempre più irritato). Queste sono tirannìe! Al suo signor marito bisognerà far capire la ragione. Che diamine!

Clara (supplice). No, no, per carità. Lo lasci stare. Del resto è bene anzi che io mi distragga.

Luigi (con affettuosità bonaria). Lei ha qualche fortissimo dispiacere.

Clara (abbandonando la testa sul petto). No, no. Quali dispiaceri devo avere?

Luigi (sollerandole il mento). Non dica storie! Lei ha sul cuore qualche grossissimo macigno.

Clara (con subito scoppio di pianto, immediatamente represso). Sono tanto disgraziata. Se lei sapesse quanto sono infelice.

Luigi (commosso). Vede? Vede? Ho buon naso io.

Clara (stringendo le mani). Soffro! Soffro!

Luigi (prendendole le mani, paternamente, nelle sue). Qualche malinteso con suo marito. Cose che passano. Claudio, in fondo, è una bravissima persona.

Clara (tornando rassegnata). Non mi lamento di lui. Non mi lamento di nessuno.

Luigi. Vuole che dica io due parolette all'illustrissimo signor professore?

Clara (alzandosi). No, glielo chiedo per piacere. Non dica nulla a nessuno, nemmeno a Maria.

Luigi. Mi fa pena vederla così afflitta! Glielo dico francamente, mi fa pena.

Clara. Ciascuno ha quello che si merita. Ma quando penso che sarà così per anni, forse per sempre. (impensatamente) La generosità è più crudele del castigo, qualche volta.

Luigi (stupito). Ma cosa va succedendo?

Clara (pronta). Nulla. Nulla. Non dia troppo gran peso alle mie parole. Noi signore siamo fatte apposta per esagerare. (dopo una pausa lunga) Se vuol darmi una prova di affezione non alluda con nessuno a questo mio sfogo di oggi.

Luigi. Come lei comanda. Era per bontà di cuore. Non altro.

Detti, Leonardo e Camillo.

Leonardo (dal fondo, a Camillo che lo accompagna). Ma perchè non tenete aperti i caloriferi? Ho freddo (è in preda ad una irritazione sorda).

Camillo (aiutando Leonardo a togliersi la pelliccio). Mi pareva che la temperatura fosse abbastanza alta. Riscalderò subito.

Clara (esce inosservata da sinistra).

Leonardo (a Camillo). Fatemi portare qui il tè con sollecitudine, se è possibile.

Camillo. Immediatamente, signor commendatore (esce dal fondo, portando via la pelliccia e il cappello di Leonardo).

Leonardo, Luigi, poi Giorgetta.

Leonardo (a Luigi, sedendo vicino al tavolo centrale). Dov'e Maria?

Luigi (sedendo nella poltrona). È andata a vestirsi per uscire.

Leonardo. Mi hanno detto alla Cassazione che qualcuno ha telefonato da casa mia. È stata mia moglie?

Luigi. Credo di sì.

Leonardo (sempre con irritazione concentrata). Che bisogno c'era? Per lasciar credere ai colleghi che io sono moribondo.

Luigi (conciliante). Per premura. Per eccesso di affezione, caro Leonardo.

Leonardo. A me non piace che si ecceda mai, nemmeno nell'affezione.

Giorgetta (entra dal fondo, portando il necessario per il tè già preparato. Deponendo il tutto sul tavolo). Ecco, signor commendatore (resta un momento in attesa d'ordini, poi esce dal fondo).

Leonardo (Si mesce tè e latte).

Luigi (sempre seduto nella poltrona). È stata lunga oggi l'udienza?

Leonardo (con irritazione, sorbendo). I difensori non finivano mai di parlare.

Luigi. Sicchè tutta l'udienza è stata occupata dal processo Arvelli?

Leonardo (con impazienza). Già. Ma adesso non sentiremo parlarne più.

Luigi. Vuol dire che il ricorso è stato respinto, allora?

Leonardo (con vivacità soverchia). Respinto. Respinto. (dopo una pausa) Questo io ho domandato alla Corte, e questo la Corte ha fatto.

Luigi (con una fregatina di mano). Benissimo! Il degno galantuomo starà in galera i suoi 18 anni, se Dio vuole!

Leonardo (beffardissimo). In galera! Quando la brava gente ha detto in galera, crede di aver detto tutto. (smettendo di sorseggiare e posando la tazza sul tavolo) Anche una reggia può diventare una galera.

Luigi. Sarà come tu dici, ma intanto. per questa volta, la giustizia ha fatto il suo corso.

Leonardo (prima ha una risata secca, sardonica, poi, sempre più beffardo e assai lentamente). L'hai incontrata qualche volta per istrada la giustizia tu? Saresti capace di riconoscerla? Dimmi, tu che sei onesto! (quasi con astio) Tu che ti sei riposato sempre nella tua onestà come ti riposi adesso nella tua poltrona? (dopo una pausa) Credi tu che la giustizia, perchè ha la bilancia in mano, non sappia frodare sul peso? E sai tu cosa butta sui piatti della sua bilancia per farli alzare o calare? Butta l'astuzia. l'ipocrisia, la serenità del sorriso, la sicurezza della parola… Ma il fondo del nostro spirito, l'essenza del nostro pensiero sono imponderabili e la giustizia non si occupa di pesarli.

Luigi (alzandosi). Io, per conto mio, rispetto la giustizia così com'è e buona notte. Io non ho il tuo ingegno. Io prendo le cose per il loro verso. Tu sei un magistrato. Punisci dunque le canaglie, tutela me che sono un galantuomo e poi denigra la giustizia quanto ti pare.

Leonardo (alzandosi anche lui). Hai ragione tu.

Detti, Maria, poi Clara.

Maria (da destra, in abito da visita, cappello e manicotto; a Leonardo). Meno male che sei tornato! Mi dispiaceva di uscire senza averti visto.

Luigi (bonario e un po ironico, a Maria, indicando Leonardo). È tornato… Ha già preso il suo tè… Ha già detto male della giustizia, ossia di sè stesso. Insomma le cose vanno bene.

Maria (a Leonardo) Ti senti stanco?

Leonardo. No, no, grazie.

Clara (entra da sinistra. pronta per uscire). Eccomi.

Maria. Andiamo allora! (porgendo la mano a Leonardo) Addio Leonardo.

Leonardo (stringendole la mano). Addio.

Luigi. Io accompagno le signore.

Leonardo (fa un cenno del capo, come per dire che va bene).

Luigi (esce dal fondo con Maria).

Leonardo. Clara, poi Camillo.

Clara (si avvia, più lentamente, verso il fondo, poi, quando Luigi e Maria sono usciti, torna indietro frettolosa. A voce bassa e concitata). Debbo avvisarti che Claudio sa tutto.

Leonardo (alzando il capo vivamente). Tutto di che?

Clara. Di quello che accadde lunedi sera.

Leonardo. Ma come?

Clara. C'è stato di mezzo un telegramma, che hanno commesso l'imprudenza di spedirmi. Allora lui mi ha stretta d'interrogazioni, ed io gli ho confessato.

Leonardo (con impeto). E gli hai anche detto che io sapevo?

Clara. Sì, anche questo ho dovuto dirgli.

Leonardo (iroso). Perchè dovuto?

Clara. Egli ha insistito con la violenza.

Leonardo. Dovevi negare.

Clara (con affanno). Non mi è stato possibile, credi, non mi è stato possibile.

Leonardo (come parlando fra sè). E adesso? Adesso? Vorrà sapere, vorrà indagare.

Clara. È restato in casa ad aspettarti. Io vado. Non vorrei che mi trovasse qui (esce in fretta dal fondo).

Leonardo (dopo un istante di riflessione profonda, suonando il campanello con violenza). Subito. È meglio finirla subito.

Camillo (appare immediatamente da' fondo).

Leonardo. Mio figlio sta in casa, non è vero?

Camillo. Sì, signor commendatore. Anzi, ha chiesto più volte se lei era tornato.

Leonardo (con decisione). Ditegli che io sono qui.

Detti e Claudio.

Claudio (da sinistra, a Leonardo). Devo parlarti.

Leonardo (deciso). Anch'io. Avevo già detto a Camillo di venirti a chiamare.

Claudio (a Camillo). Lasciateci tranquilli. Ma se vengono due signori a cercarmi, allora avvertitemi.

Camillo (s'inchina ed esce dal fondo).

Leonardo e Claudio.

Claudio (chiude accuratamente la porta di fondo e scende sul davanti).

Leonardo (in piedi, a destra della scena, volendo celare l'orgasmo sotto l'apparenza di un'altera freddezza). So cosa vuoi domandarmi, e ti rispondo subito. Vuoi domandarmi se io sapevo lunedi sera. Sì, tutto sapevo. E adesso basta, mi pare.

Claudio (in piedi, a sinistra. Implacabilmente freddo). No, non basta; tutt'altro.

Leonardo (iroso). Cosa ci guadagni a torturarti, se tu hai già perdonato a tua moglie?

Claudio (con fredda collera). E chi ti dice che io abbia perdonato?

Leonardo. Dovevi cacciarla, allora.

Claudio. Io solo sono giudice delle mie azioni e so quanto mi convenga di fare. Non si tratta di questo.

Leonardo (beffardo). Dunque di che, se è lecito?

Claudio. Voglio sapere il perchè del tuo contegno di lunedi sera.

Leonardo (facendo girare il cordoncino del pince-nez). Ah! tu vuoi sapere? Ma non è bastante che tu voglia. Dovrei volere anch'io.

Claudio (avanzandosi di un passo). Fra te e me c'è un secreto. Lo so, lo sento. In questi ultimi tempi ne ho avuta la sensazione precisa.

Leonardo (a denti stretti). Ed ecco perchè mi fissi con gli occhi aguzzi, quando credi che io non ti osservi.

Claudio (fremente anche lui, ma più rigido). Ed ecco forse perchè tu li schivi i miei occhi. Li schivi con un senso di paura. (dopo un silenzio) Quando eri ammalato, poche settimane fa, entrai una sera nella tua stanza e rimasi in piedi vicino al tuo letto. Tu sonnecchiavi, e, destandoti all'improvviso, cacciasti un urlo nel vedermi.

Leonardo (impetuoso). Avevo la febbre altissima e deliravo.

Claudio. Così io credetti; ma da stamattina ho riflettuto. Ho raccolte e collegate tutte le minime circostanze della tua condotta a mio riguardo, e ne ho tratta la convinzione incrollabile che io ti sono odioso.

Leonardo (smarrito). Sì, è vero; ma solo quando ti ho di fronte. Quando non ti vedo, ti adoro. Quando non ti vedo sei mio figlio, sei il mio sangue. In te rivive la mia volontà, rivive in te la mia sete di dominio. Ti sento mio pari, forse mio superiore nell' intelletto, e il cuore mi si dilata di orgoglio paterno. Quando tu eri in collegio, io palpitavo di ansia all'epoca dei tuoi esami.

Claudio. E, durante le vacanze, non mi volevi con te.

Leonardo (pronto). Per non avvelenare la fonte della mia tenerezza. (con passione) Di che cosa puoi lagnarti? Hai avuto l'educazione di un milionario. Ti ho fatto istruire, ti ho fatto viaggiare, ti ho sorvegliato da lontano. (con impeto crescente) Ricordi quando dovevi avere un duello a Zurigo e tutto si accomodò per incanto, a tuo vantaggio? Fui io, io fui, e senza che tu nemmeno lo sospettassi. (quasi fuori di sè) Purchè io non ti veda. Tutto quello che vuoi. Denaro… protezione. (con amore selvaggio) Vuoi la mia vita? Eccola… Ma che io non ti veda. (fuori di sè) Vattene, vattene lontano. Non guardarmi. No, non mi devi guardare (si lascia cadere ansante sopra una seggiola).

Claudio (avvicinandosi a lui e restandogli vicino, in piedi). Io so la ragione di questo.

Leonardo (solleva il viso e lo guarda con occhi sbarrati). Cosa dici?

Claudio (lentamente). Dico che la mia vicinanza ti ricorda mia madre. Nel mio viso rivedi il viso di mia madre, e ciò ti sconvolge.

Leonardo (con violenza, alzandosi). Non è vero! Non è vero.

Claudio (posandogli una mano sopra la spalla e obbligani'olo a sedere di nuovo) È vero! Il tuo stesso diniego me lo conferma.

Leonardo (supplice). Per pietà di noi tutti, cessa, Claudio. Sei ancora in tempo. (tremando) Guarda, stiamo sull'orlo di un abisso io e te. L'abisso è senza fondo. Mi dà le vertigini. Provo la voluttà di buttarmici dentro. (stringendo i pugni) Tienimi fermo, Claudio, tienimi fermo, o noi precipiteremo insieme.

Claudio (curvo verso di lui, sempre con la mano fremente sulla spalla di Leonardo). Anch'io provo la voluttà dell'abisso in questo momento.

Leonardo (ridendo di riso stridulo). Anche tu? Dunque è inevitabile. (tendendo l'orecchio e fissando Claudio) Senti? Senti?

Claudio (curvo verso di lui con la faccia presso la faccia). Cosa?

Leonardo (anelante). Laggiù, in fondo. Nel fondo dell'abisso.

Claudio (anche lui anelante). È l'abisso della tua coscienza. Parla cosa senti?

Leonardo (con terrore). La sua voce che grida, sempre più forte grida.

Claudio (affannoso) È la voce di mia madre.

Leonardo (con mistero). Sì. Da tanto tempo taceva. Io la credevo muta nell'eternità. E invece ha ricominciato a gridare. Cominciò nel delirio della mia febbre, e adesso grida, sempre più forte grida. Non la senti tu?

Claudio (suggestionato). Sì, sSì. Mi romba nel cervello.

Leonardo (quasi in delirio). Ella vuole ohe gridi anch'io. (alzando la voce) Ecco che io grido forte. (apre le braccia) Voglio gridare.

Claudio (minacciosamente, a bassa voce). Sta zitto, sta zitto.

Leonardo. No, no, non posso più. Il secreto mi soffoca. Mi dilania il cuore.

Claudio (a denti stretti). Assassino. Assassino di mia madre.

Leonardo (con urlo di liberazione). Ah! finalmente posso gridarlo anch'io. Assassino. Assassino.

Claudio (afferrandolo per le spalle e squassandolo). Sta zitto! Sta zitto! Se gridi ancora non mi uscirai dalle mani.

Leonardo (con voce strozzata). Sì, ammazzami. È lei che ti comanda. Ammazzami.

Claudio (lasciando Leonardo e indietreggiando). Dio! Dio! (stringendosi la testa nelle mani) Che la pazzia non mi prenda (va alla porta di fondo, si assicura che sia ben chiusa, poi torna sul davanti, cade sopra una seggiola e rompe in singhiozzi convulsi sommessamente).

Leonardo (come destandosi dall'incubo, con voce mutata e profonda, dopo una lunga pausa). Chi piange così? Chi può trovare ancora delle lacrime? I miei occhi sono aridi. Aridi come il mio cuore. (lentissimamente, rievccando) Ero povero! L'ambizione mi chiamava in alto e la miseria m'inchiodava giù. (ripetendo, come una eco) « Vi darei la mia unica e bella figlia, se foste libero ». (cogli occhi fissi davanti a sè) Una frase detta scherzando, un sassolino gettato nel mio pensiero, e la mia coscienza s'intorbidò. Non ebbi più pace. Rassegnarmi al mio stato mi parve una cosa vile. Ogni sera, addormentandomi, io cacciavo da me il mio pensiero… Ogni mattina, destandomi, io lo ritrovavo ingigantito. (verso Claudio, con terrore superstizioso) Era una bestia immonda che io portavo dentro di me. Ne avevo ribrezzo, ne avevo spavento, e intanto tremavo che mi fuggisse.

Claudio (con voce spezzata) Che orrore! Che orrore!

Leonardo. Più la mia coscienza diventava oscura e più la mia volontà diventava lucida. Non forzai le circostanze. Le attesi. (improvvisamente, a Claudio, con voce di strazio) Ti giuro, Claudio, ti giuro che quella sera non premeditai nulla.

Claudio (con accento di ribellione). E fu lei stessa a mandarti a chiamare, e fui io che ti cercai.

Leonardo (a voce bassa e velata). Entrai nella camera senza supporre l'agguato del mio destino. Ella mi chiese da bere incollerita per la mia assenza. Tentai placarla. S'inviperi e m'insultò. Allungai la mano per prendere il bicchiere ed afferrai invece la rivoltella che stava sul tavolo.

Claudio (protendendo le mani, quasi a scongiurare la catastrofe). No… No…

Leonardo (proseguendo). Ella si accorse che io avevo afferrato l'arma. Urlò. Mi chiamò assassino… E io sparai.

Claudio (stringendosi di nuovo la testa nelle mani). Dio! Dio!

Leonardo (dopo una pausa, con voce mutata). Strana cosa… Un impulso cieco… un moto del pollice… E tutte le forze dell'universo non sarebbero più bastate a cambiar la mia sorte!

Claudio (alzandosi e puntandogli contro l'indice minaccioso). Ma la povera morta rimase con te… Non hai potuto liberartene.

Leonardo (con umiltà desolata). No, non ho potuto liberarmene. Avevo mal misurato le mie forze. Fui capace di commettere il delitto, non fui capace di soffocare il rimorso.

Claudio. Il tuo rimorso è il tuo castigo. Portalo…

Leonardo. Ogni giorno una porzione della mia volontà si esauriva nell'imporre a me stesso il silenzio… Ma in questi ultimi tempi il silenzio mi diventò tortura insostenibile. Lunedi sera con te, oggi all'udienza, ho voluto sperimentarmi. L'altra sera mentendo, oggi accanendomi contro l'uxoricida (si abbandona di nuovo a sedere, accasciato, verso destra).

Claudio (in piedi, lontano da lui, con la testa abbandonata sul petto, dopo lunghissima pausa). Perchè non hai avuto la misericordia di mentire ancora?

Leonardo (con gesto vago). Tu mi assalivi coi sospetti ed io ero stanco di difendermi.

Claudio (dopo un'altra lunga pausa). È necessario che tu riprenda la tua maschera.

Leonardo (sempre più accasciato). A che vale? Poichè tu sai?

Claudio (imperioso, ma senza collera). Tu hai commesso un delitto per edificare la tua vita; non devi commetterne un altro portando in questa casa la vergogna e la desolazione. Sarebbe una ingiustizia assurda.

Detti e Camillo.

Camillo (bussa leggermente alla porta di fondo).

Claudio (ruvido). Avanti.

Camillo (entra dal fondo).

Claudio (andandogli incontro e fermandolo presso l'uscio). Cosa o'è?

Camillo (porgendo a Claudio due biglietti da visita sopra un vassoio). Questi due signori domandano di lei e del signor commendatore.

Claudio (prendendo i biglietti). Fateli passare nello studio di mio padre.

Camillo (esce dal fondo).

Claudio (richiude la porta e ridiscende verso il davanti, ma rimanendo lontano da suo padre).

Leonardo (sollevando il viso e guardando Claudio con occhio spento). Cosa vuoi ancora da me?

Claudio. Io rifiuterò la candidatura, sono annichilito. Mi riprenderò, forse. Almeno spero. Ma, per il momento, sono annichilito. Ma io avevo accettato, e il mio rifiuto improvviso sembrerà strano. È dunque necessario che parli tu stessò con quei due. Dirai che le condizioni della tua salute non ti permettono, in questo momento, le emozioni di una battaglia sul nostro nome.

Leonardo (rimane un istante anche più accasciato, poi, facendo uno sforzo evidente della volontà, si alza, si abbottona con molta lentezza la "redingote" e resta in piedi, con la mano appoggiata alla spalliera della seggiola. Con voce roca, ma calma). È giusto. Farò come tu vuoi.

Claudio (dopo un'altra pausa). Stanno di là, nel tuo studio.

Leonardo (esita ancora. poscia, lentamente, curvo, disfatto, invecchiato, trascinando il passo, si avvia per uscire da destra. Vicino alla porta si ferma, si erge sulla persona e irrigidisce il viso. Con accento di rassegnazione amara). Avanti ancora, dunque. E sia cosi. (Mentre Leonardo esce da destra con passo d'automa e Claudio resta immobile al suo posto cade la tela.)