LETTERE INEDITE
DI
ISABELLA ALBRIZZI
A
GIOVANNI ROSINI
PUBBLICATE
DA TITO NISTRI

PISA
XVII DECEMBRE
MDCCCLXXXII

Della parte grandissima che io prendo alla gioja vostra mi premeva darvi una testimonianza non indegna di Voi e capace di manifestarvi i sentimenti del mio cuore.

Dentro me pensavo già di offrirvi qualcosa in cui, se non altro, io avessi il merito della fatica; ed ogni mattino nasceva per me apportatore di una buona intenzione e del proposito di tosto mettermi all' opera.

In grazia del mio naturalaccio, mi son ridotto all'ultimo momento senza over raccapezzalo cosa che valga.

Ho finito per prendere il mio coraggio a due mani — come dicono i francesi — ed ho piegato all'uso ormai troppo comune di pubblicare roba d'altri.

Scelte alcune lettere, dirette dalla saggia Isabella Albrizzi a Giovanni Rosini, le mando ora alla stampa, e Ve le offro, lusingandomi che in un giorno si lieto la parola della Staël veneziana possa essere opportunamente evocata.

Alla culta donzella, che vede oggi compiuti i voti più cari dell'animo suo gentile, spero non debba tornare sgradito il ricordo di una donna illustre, celebrata dal Pindemonte, dal Foscolo, dal Cesarotti, dal Byron, dal Canova, e da quanti letterati ed artisti vissero sul principio del secolo e frequentarono in Venezia la sua casa, che fu ritrovo della più culta società nostra e forestiera.

Ad ogni modo, Sposi cortesi, se piccolo è il dono, metteteci per giunta la buona intenzione; nella quale si compendiano i miei più caldi auguri per la vostra felicità.

Pisa 17 Dicembre 1882

TITO NISTRI.

Sento con sorpresa dalla vostra dei 15, che non avete ricevuto l'Azara che vi ho mandato il 25 Agosto per la posta unitamente alla Lucrezia d' Este. Siccome però avete ricevuto questa e non quello, conviene dire, che ve li abbia spediti in due lettere separate, e che una di queste sia andata smarrita. Buono che ne ho tenuto copia, ed eccovelo di nuovo. Avete ragione in quanto alla vita del Canova, ma certamente è un grande peccato, che o voi non abbiate avuto le opportunità di chi la scrisse, o egli la vostra penna. In ogni modo voi farete una bella cosa, ne sono certa, ma vi animo a farla quanto più sollecitamente potete, perchè, meglio di me conoscete che anche le più forti commozioni si calmano, nella perpetua ruota degli umani affetti, Ricevo in questo momento da Ippolito una canzone in morte del Canova, composta, come sembra, fino da quel disgraziato momento, ma ora solo data alle stampe: mi pare bella molto (1) Vedila a pag. 422 delle Poesie del Pindemonte, ediz. Barbèra.. Mi ha sorpreso la proibizione della storia di Botta nella liberissima Toscana. Dico questo, perchè quì, è vero che non è vendibile pubblicamente, ma si può averla, ciò che mi prova che non ci sono forti eresie. Piuttosto si trova che l'eresia sta nel prezzo di 40 franchi per cui trova pochi compratori. Io non ho ricevuto la lettera che m'indirizzaste a Verona: ma perchè dirigermi una lettera a Verona? Io non ci doveva stare, e non ci stetti che due soli giorni. Dopo l'Apollo di Darù ci abbiamo altro? Aspetto le due copie del Busto di m.e Murat delle quali vi ho pregato. Addio, custoditevi, e non trascurate le picciole indisposizioni che possono divenir gravi. Se Byron si fosse lasciato levar sangue non sarebbe perito. È falsa la notizia dell' eccessivo Rum che ha bevuto, e che fu cagione della sua morte. Leggete la storia della sua breve malattia, e della sua morte nei fogli Inglesi, scritta con ingenuità dal suo cameriere. E l'elogio che gli scrisse Walterscott lo avete letto? mi parve bello. Fece come il pittore di Filippo: lo presentò di profilo. Franceschinis, Soranzo, ed il mio Giuseppino (2) Il figlio dell'Albrizzi rammentato insieme colla madre, da Lord Byron, in una nota al Marin Faliero. ricambiano a cento doppi i vostri saluti. Io vi prego de'miei presso tutta l'egregia vostra famiglia.

Altro non si trova negli storici Veneti, se non che Foscarini è stato decapitato, ma il motivo non è detto chiaramente. Bensì pare che essi vogliano alludere a delitti di stato, che gli furono apposti, e che dopo alcuni anni, scopertane l'innocenza, venisse la di lui memoria reintegrata. Parvemi, dai pochi e bei versi litografici (3) Prima che si pubblicasse l'intiera tragedia, dice il Vannucci (Ricordi del Niccolini, 1, 305) ne erano comparse alcune scene litografate in un libretto intitolato: La sera del di 8 febbraio 1827. che ho veduto, che il valente Signor Niccolini abbia tratto l'argomento della sua tragedia dal romanzo francese intitolato Foscarini della Signora Mitaù Salme, al quale diedero gran voga, se mal non mi appongo, alcune descrizioni brillanti, e l'inesausto misterioso argomento del Governo e dei costumi veneti (4) Il Niccolini nelle sue Lettere ricorda soltanto le ingiuste accuse di plagio che gli si fecero dalla Bianca el Moncassin di Arnault e dallo Steno e Contarena del De Lugnani. In una lettera al Mustoxidi scrive: "Mi si dice che la contessa Albrizzi abbia in animo di farmi una critica: in non posso che tenermene onorato, e dalla sua penna non può uscir cosa, che non sia onesta e gentile.". Appunto dopo aver letto quei pochi versi, benchè affatto fuori di luogo, già che quelli del l'atto terzo eran primi, e del primo terzi, mi è a cento doppi cresciuto il desiderio di leggere tutta intera la tragedia, che sento già vicina a pubblicarsi.

Parmi che abbiate intrapreso opera grande e difficile, se pure per l'ingegno vostro v'ha cosa difficile. Se tutto o molto sarà pari al saggio che vi siete compiaciuto di mandarmi, spero che ne avrete molto onore. Voi ben sapete quanta io sia a parte di tutto ciò che riguarda i miei amici. Il vostro, o presso che vostro Principe di Lucca (5) Carlo Lodovico tuttora vivente, che dopo esser stato Infante di Parma, Re presuntivo d'Etruria, Duca di Lucca e Duca di Parma, è ora Conte di Villafranca., passò una serata in casa mia, con ristretta ma scelta compagnìa. Fu amabilissimo. Rividi con placere il marchese Montecatini, che mi parea l'inverno allorchè si trova, per un istante, unito alla sorgente primavera: già che tutto è fiore primaticcio in quella corte brillante.

Addio amico, state bene, accogliete i saluti del mio Giuseppino, recate i miei alla vostra amabile famiglia e credetemi sempre ugualmente

La vostra

Albrizzi.

Avete veduto la bella e valorosa madamigella Delphine Gay? (6) La Delfina Gay poi Mad. de Girardin, autrice di lodati drammi e romanzi. qui l'avremo fra poco. I francesi dicono, che essa divide con m.e Tastu gli onori del Parnaso francese.

Voi mi tantalizzate con quelle vostre bellissime ottave. Vorrei pur vedere terminato un lavoro, che mi sembra riuscire debba assai bene (7) Non sappiamo a quali ottave qui alluda la scrittrice: forse a qualche saggio della Guerra di Russia, poema ancora inedito del Rosini?. Conoscendo la vostra sorprendente attività, credo che non dovrò aspettarlo a lungo. Mille grazie dei versi recitati in onore del Niccolini (8) Allude certo ai Versi (di Giov. Rosini e N˙ Severi) recitati al pubblico pisano da Isabella Belloni prima attrice, chiudendo la sera del 7 aprile 1827 colla terza recita d'Antonio Foscarini, la stagions della Quaresima, Pisa, Nistri. Vedi anche VANNUCCI, Ricordi del Niccolini, Il, 50.. Sospiro di vedere la tragedia tutta intera. Qui se ne dispensano de'brani, ciò che è propriamente fare a brani il povero autore. Datela pure a M˙r La Martine, perchè la mandi qui al Console di Francia, che è mio amico, e che ho già prevenuto. Avete mille ragioni. L'Italia tutta in quei tempi era barbara e crudele, e non erano certamente i soli Veneziani che lo fossero, quando la loro politica lo esigeva: giacchè dal dire impiccatelo, al dire gettatelo nel gran Canale, come racconta tratto tratto Darù, non so in vero quale differenza ci sia, se non che questa seconda maniera è più sbrigativa, più pulita, e più dolce. A Darù fu risposto da un nostro Patrizio, fino da presso che due anni (9) Probabilmente accenna ai discorsi in confutazione del Daru, di Domenico conte Tiepolo, la cui sostanza trovasi in forma di note nella traduzione italiana (Capolago, 1832) della Storia della Repubblica di Venezia.: ma sono diciotto mesi, che il manoscritto giace alla Censura di Vienna, senza che l'autore ne sappia di più. La censura, la quale se nol sapeste, giudica sempre bene, avrà trovato, chi sa quali e quante eresie in quel povero scritto. Intanto prevale l'opinione, che tutto quello che disse lo storico francese sia vero, poichè nessuno lo confutò.

Addio e mille cose alla vostra cara e amabile Famiglia. Il mio Giuseppino vi saluta caramente.

Se mi manderete due copie della tragedia, darò l'una, come mi dite, a Missaglia, ma fate di spedirle sollecitamente.

In qual parte di terra in quale idea io mi trovi, voi chiedete, amico mio gentilissimo. Nella terra Lombarda e nell' idea di ritornarmene al più presto nelle tranquille mie lagune, il che però non sarà piu presto, io temo, del venturo febbrajo. Passai sette mesi, nello scorso anno, fra la Reale Monza e la ricca Milano, ed altrettanti in questo, per non istaccarmi dall'amatissimo mio figlio. Ho conosciuto con piacere il vostro Sig. Professore Sinner, (10) Il prof˙ L˙ De Sinner di Berna, insigne filologo, amico e depositario dei manoscritti del Leopardi. che mi parve dotto uomo e cortese, e vi ringrazio di avermelo indirizzato. Non si trattenne quì che soli tre giorni, ne' quali fui lieta di potergli procurar cosa che molto desiderava. Aveva egli una lettera del Sig˙ Negro di Genova (11) Giancarlo di Negro, poeta e possessore della celebre villetta dell'Acquasola. per l'illustre Bellotti, nella quale era anco pregato di fargli conoscere Alessandro Manzoni: ma Bellotti era a Venezia, sicchè potei sostituirmegli (già non si trattava di tradurre Eschilo o Sofocle), e pregare l' egregio ma difficile Manzoni di riceverlo, il che fece con la gentilezza e soavità, che gli son naturali, e tutti e due rimasero, com' era ben da presumere l'uno dell'altro contenti. La madre di Manzoni, ch' è appunto la figlia di Beccaria di cui mi parlate, conserva tutt' ora la sua vivacità, e gode di prospera salute; non così la moglie, (12) Enrichetta Blondel, prima moglie del Manzoni. che essendo delicata assai, ed avendo ormai otto figli, trovasi alquanto indebolita. Io vorrei che il Sig˙ Manzoni ci fosse piuttosto generoso di opere d' altra fatta. Al Sig˙ Sinner potete credere, quante richieste io feci intorno a voi. Sta egli bene? cosa sta ora scrivendo, e quando ammireremo qualche sua nuova produzione? e le sue risposte furono quali io le bramava. Addio amico dilettissimo, coltivate la bella e rigogliosa vostra salute, e con essa il felice ingegno ed aggradite gli affettuosi saluti del mio Giuseppino. Ricordatemi alla vostra famiglia, e credetemi con tutto l'animo

Isabella