La mattina è fresca e chiara; su pei rami è un gran bisbiglio, una divina esultanza. Bianca e fine come un giglio, la mia semplicetta cara giubila a un'aria di danza. Batte il piede, alza la cocca del grembiule con la mano, scuote i suoi riccioli belli, e gorgheggia piano piano. Trema il riso sulla bocca, luce il sole nei capelli. E si muove, ecco, e si volge ella, trepida di grazia, tra il candore della gonna. Freme, ondeggia, è tutta sazia già del ritmo che travolge: oh fior piccolo, già donna! Oh fior piccolo, d'intorno ti venissero le fate, che tu sai, della foresta; oh le libellule alate con il lor vestito adorno ti venissero a far festa! Oh gli uccelli, che pei rami si nascondon paurosi, ti venissero a vedere, volitando curiosi dei gorgheggi onde li chiami e di tue mosse leggère, prima ch' ebbra e stanca e folle d'un tuo lungo giro tondo, tese l'aperte manine verso il vacillante mondo, cada tu sull'erba molle con un riso senza fine! Vanno sentieri abbandonati, invasi d'erbe e di musco, in mezzo alla foresta; sentieri dove l'orma più non stampano i bruti, sentieri non battuti che lentamente il bosco riconquista. Io li scopersi e li conosco. Oh mio vagare tra la macchia, ove la fronte rompe le fila della ragnatela lucente, ove la mano s'inumidisce al bacio delle felci! Se smarrisco la via d'un tratto, in mezzo ad un viluppo d'erbe, m'è così caro ricercarla un poco! La ritrovo fra il verde come una lieta guida che si celò per gioco. E nel rado e nel folto, all'ombra, al sole, vado così come il sentiero vuole, e sono incerta, e sono solitaria com'esso. Cerco l'orme mie di ieri, cerco i vaghi pensieri e il fiore che smarrii lungo il cammino, cerco la nube che seguii, nel cielo… E mormora la voce del mio cuore: — Nè tu ritroverai oggi quei tuoi pensieri sì soavi di ieri! Era ben questo il luogo e l'ora, e questa la solitaria pace senza fine della verde foresta. Era così l'anima tua, turbata di dolcezza di morte. Ma quel reciso fiore oggi marcisce presso i fratelli vivi. Sull'azzurro che lento impallidisce in rugiada vanì forse la nube; anche sfiorì la lieve tua fiorita di pensiero! Non senti in vetta all'anima un'eco, un soffio, un palpito di vita? Godine. E' il seme di quella fiorita. — Or io siedo sull'erba, ed è silenzio dentro il mio cuore. Lentamente giunge (l'odo, lo vedo già venir di lunge) un buono amico, e vuol parlare: il vento. La sua parola è il moto delle fronde. L'un dopo l'altro, a onde, regalmente i grandi alberi consentono, persuasi dal suo tocco soave. L'uno s'abbassa grave, quasi tutto si muova a consolarmi; l'altro scuote le chiome con un fremito lungo, e dice: — come! giunge fino quassù tanta tristezza? — poi mormorano tutti, i vicini, i lontani, mentre tendon le rame (oh puri abbracci, oh gesti di freschezza!) e dànno un'armonia così piena e profonda, che l'anima s'affonda in lor bellezza. Così l'ore si seguono, e il sole s'invermiglia scendendo al suo tramonto; ed ogni foglia è quasi un fior di fiamma. Pei declivi una gamma di verdi tenui giù digrada a valle, e le querce lontane hanno colore glauco e forma di gran flutti marini. E mentre in rosso lume e azzurra nebbia la foresta si perde e si confonde, viene dalle profonde bassure un gemer lungo di colombi. Dove hanno il nido? Nel vallone oscuro per cui, d'inverno, rimugghiò il torrente? o su la costa che odorò, nel sole, di nèpeta e viole? E sanno tutto il bosco, anche dov'è più fosco, anche dov'è più raro? E sanno una radura verde e lontana, dove sul masso spòrto in forma di sedile riposò forse un vïandante solo? La foresta divina canta, odora, fiorisce, e si profonda in laberinti d'ombra e di chiarezza. L'uomo contempla; e non sa donde venne. L'anima tutta gli sommerge e placa questo incanto perenne come i fonti dei boschi. Ma i fonti vanno ai fiumi, e i fiumi vanno al tempestoso mare. E il viandante si rimette in via, ed erra, e piange per le vie del mondo. Pure gli resta in cuor, come rifugio celato, la memoria della verde foresta alta e lontana, dove il masso lo attende (oh attesa vana!) e l'ora lo richiama… e nessun solitario è che riposi. I rosignoli e i passeri, tranquilli tessono i nidi ed amano, mescono voli e trilli tra la radura e la foresta enorme. Nè li turbano l'ombre dei pensieri dolenti che ritornano al luogo di quel tacito riposo, come delusi stanchi pellegrini ritornano alle lor case deserte, tentan le chiuse porte, bacian le soglie che toccò la morte. Tra odor di mare e odor di gelsomino a lunghi buffi lo scirocco venta; e piange il mare e mormora il giardino, e per le calde vie la gente a frotte va, per la notte, al suo riposo lenta. Si spegne intorno a poco a poco l'onda di tutti i suoni: tale il sonno invade l'anime umane. Un'ultima gioconda voce di violino ancora spande dolcezza grande alle deserte strade. Ebbe ogni casa il lume suo, la sua musica, le sue donne sui balconi. Si parlavan, le case. E questa tua finestra non s'aprì che ad ascoltare il vento, il mare, e risa e canti e suoni. Ora tu siedi; e cerchi la parola che dica questa lenta ora di pace. Oh, basti a te la pura gioia sola d'accompagnarti ai passi della via, di ripensar la melodia che tace. Spegni il tuo lume, perchè splenda meglio alla tua vista il raggio degli altrui; conta e saluta, col tuo cuore sveglio, ad una ad una l'ultime fiammelle. Guarda le stelle, poi, nei cieli bui. Tempo è che tu accenda la lampa, Fiorenza, e che lasci la tomba. Non odi una romba lontana? non vedi un riflesso di vampa? Ascolta. E' l'immensa marea degli uomini in lotta, che mugge. L'incendio è, che rugge sì come (ricorda, Fiorenza!) in Crimea. Raccogli la candida vesta, cammina sui campi di sangue: un popolo langue fra i morti mal vivo, e solleva la testa. Perchè ti smarrisci? Oh, sul cuore la mano, tu cadi a ginocchi; e cerchi con gli occhi fin dove si perda la vista d'orrore. Ma tutta un deserto è la terra! non campi di zolle feconde, non case gioconde, non vive officine. V'è solo la guerra. Il campo di sangue è infinito! Al passo dell'esile fiamma, si mormora: — mamma!… — dai mucchi, con voce che pare vagito. Fiorenza, ti cadono i lini che offrivi con mani soavi? Ah, tu non pensavi tra i morti di guerra trovare bambini. Son mutili bimbi, son vecchi, son donne… Oh, l'atroce parola che serrano in gola se al loro lamento tu accosti gli orecchi! Ma lèvati, guarda e prosegui. Per boschi, per valli, per monti, sui foschi orizzonti la fiamma tua vigile appaia e dilegui. Tu novera morti, ed ascolta morenti, e risali e discendi pei solchi tremendi che coprono seme di gente sepolta. Tu novera morti, e cammina. Se il pallido lume t'è spento da neve o da vento, v'è bragia che cova sott'ogni rovina. Là dove pei cieli saliva la gloria di Nostra Signora, v'è fuoco tuttora, cui possa raccender la lampa votiva. Tu cerca fra i rotti trafori, le guglie, le nicchie, le rose scheggiate e corrose, le statue vermiglie di brevi bagliori… Oh, queste, se alcuno le tocchi, non chiedono lini e conforti; è un mucchio di morti che veglia e non può, non può chiudere gli occhi. Tu accendi, e trascorri leggierahellip; Ma i morti, gli antichi, destati da scoppi e boati, ti piangon, dal suolo, una loro preghiera: che levi la lampa al portale, che dica se ancora vi sia Giovanni e Maria tra gli uomini e Cristo, nel giorno finale.

Angelina Lanza.

Florence Nightingale, inglese, audò in Crimea, durante la guerra, per raccogliervi e curarvi i feriti. Essi la chiamarono « the lady of the lamp » poichè di notte, con una lampada in mano, andava in giro fra loro, e li vigilava. In questo atto è rappresentata sul suo monumento in Santa Croce, a Firenze. Fu essa la fondatrice delle scuole d'infermiere, in Inghilterra.

Nel timpano del portale di molte chiese gotiche francesi è figurato il giudizio finale. Quello di Notre-Dame di Reims ha (o aveva) il particolare di S. Giovanni e della Vergine, ritti ai due lati del Giudice (come furono ai lati del Crocifisso) nell'atto d'intercedere per gli uomini.