INNI
AI CADUTI
NELLE
PATRIE BATTAGLIE
dall'anno 1848 al 1870

DI FRANCESCA ZAMBUSI DAL LAGO.

VERONA, PREM, TIP. G. FRANCHINI.



INNI
AI CADUTI
NELLE
PATRIE BATTAGLIE
DI
FRANCESCA ZAMBUSI DAL LAGO

Verona—Prem. Tipografia di G. Franchini—1871.

Chi son essi que' figli gagliardi Pronti in arme a uno squillo di guerra? Come l' alme han di foco gli sguardi, Cittadin son dell'itala terra! Oh, per essa i pacifici lari, Ogni cosa più cara lasciàr, E di Mantua dagli ardui ripari Il Tedesco volàro a scacciar. Nudo il petto e la fronte, gl'inermi Rude un ferro han per sola difesa, Non han leggi di guerra, nè schermi Per oppor del nemico all' offesa; Pochi son, ma son giovani ardenti Che con l' Arno il Sebèto educò: Santo amore ne infiamma le menti Gloria o morte ognun d' essi giurò! Come l'aquila il nido, copriro Curtaton, Montanara che invano I nemici due volte assalìro, Morti e morti lasciando sul piano: Ma, oh l' orror dell' estrema tenzone Contro un oste sei volte maggior!… Non raggiunge la mesta canzone, Di que' prodi il cimento, il valor. Chi cadea come agnella sgozzata Senza un lagno mandare, un sospiro; Chi spegneasi con ansia affannata Fra un orribil di morte deliro; Chi fra grandin di palle, tra un flutto D' armi e armati furente si fè, Contro mille pugnando, ahimè! tutto, Tutto tranne l' onore perdè! Non la penna, ma il pianto può solo Di questi egri ritragger le pene, Quando stretti fra armigero stuolo Lor fu tolta fin l' ultima spene!… Quando in fiero cipiglio intimata Fu la resa del libero acciar, E con ansia d' amor disperata Si prostràro e quell' arma baciàr. Era il bacio d' un padre che muore E a stranieri abbandona il suo nato, D' un amante pareva il furore Se il suo bene gli venga strappato!… Oh, a quell' arma ogni cosa più cara Il garzone quel giorno immolò, Quando a correr la nobile gara, Della madre ai sospir s' involò! Pari ad uom che dall' alto cadendo Ogni senso di vita ha perduto, E con vitree pupille scoprendo Va il passato per esso già muto: Così inconscio quest' italo figlio Trascinato è per via di dolor, Nè gli parlan di patria, d' esiglio, Le memorie sopite nel cor. Infelici, ohimè, quanto mutati! Chi in lor scerne degl' itali il fiore, I garzoni da ognun desïati, Di donzelle leggiadre l' amore?… Fra gli studi, fra gli ozi cresciuti. Un sorriso la vita lor fu, Ed or van dalla sferza battuti A languire in umil servitù. Fra gli stenti del lungo cammino Non han letto ove posin la testa, Poca paglia… e là ritto vicino Il Croato in assisa funesta! Seminudi, egri, scarni, cruenti, Chi li mira è costretto a gemir: Qual furore le giovani menti, Ahi, condusse a sì crudo martir? Veste a lutto la terra de' fiori, E con essa Partenope bella, Delle madri agonizzano i cori All' udire l' infanda novella!… Congiurati i Potenti, governo Di tiranni più turpe si fè, E tra voci nefande di scherno, Di flagelli spettacol si diè. Oh, martiro di gloria fecondo! Dalle scuri risorser gli eroi, Finchè Italia mostravasi al mondo Non più serva di regi non suoi!… Parve febbre d' ardenti leoni Curtaton, Montanara, Belfior… Ma diran le venture canzoni Che principio ebbe Italia da lor! Benedetti, o Voi prodi, serbati Al trionfo d' un giorno sì bello, Nel sospiro del cor qui tornati A cercar dell' estinto fratello! Se, ahimè, sparso per l' ampia pianura Un ricetto il suo cener non ha, Su quest' urna d' eletta fattura Il suo nome col vostro vivrà. Tutti, tutti baciam queste zolle, E quest' orme di sangue bagnate, Da cui fiera una voce s' estolle Che agl' imbelli, alto grida, mirate!… Tanto sangue l' Italia a far Una, Tanto sangue doveasi versar!… Vil di noi chi il sentiero le impruna, Chi a lei tenta la veste squarciar!

SULLA TOMBA
DI
CURIO NUTI
FERITO A CURTATONE
morto a Pistoja il 21 Marzo 1869

Corsero poche lune da quel giorno Ch' io ti conobbi, e fra accoglìenze liete, La tua viddi e ammirai bella Pistoja. Ma se del volto eri a me novo, appieno Di Te, o Curio, io sapeva il cor gagliardo, E quella nel patir virtù sublime Che fa un eroe del martire! L' assiduo Tuo patimento, e quel lottar costante, Con l' animo che vince ogni battaglia, Noi ciechi fea sul tuo periglio! Innanzi Sempre mi stà quel pallido tuo viso, Il pietoso occhio tuo, dove scolpita Era l' interna ambascia, che solevi D' un sorriso velar, simile a raggio Di sol che asconde la tempesta. E quattro Lustri di pene non strapparo al tuo Labbro un lamento, nè giammai siccome Queruli fan per sacrificio lieve Tanti e pur tanti, maledivi a questa Terra che impose immensurabil carco Al tuo debile fral! Sui campi un giorno Di Montanara e Curtaton fra pochi Eletti spirti, l' oste poderosa Dell' oppressor sfidavi!… e più infelice Di chi spento vi giacque, o lunge tratto Fu tra insulti prigion, tu da una palla Forato il petto, sorvivevi a cruda Vita di stenti! Per volar coi prodi Dell' Italia all' appello, abbandonavi Patria, parenti, ogni più cara cosa; E ritornando ai dolci lari, affranto D' insanabil ferita, col bisogno Ti fu forza lottar!,.. Ma il duro pane Dell' esistenza non mercasti a prezzo Mai di viltade; il richiedevi a quella Arte del pinger, che allegrava un die I tuoi ozì beati, e il solo appoggio Fu del martire! Ed or perchè l' asilo Tuo solitario, ferve delle cure Assidue d' amistà?… D' alme pietose Una corona t' è d' intorno, e in tutti è un muto interrogarsi, un affannoso Cercar sul volto tuo qualche di speme Aura consolatrice! Acuto morbo Tormento aggiugne ai tuoi tormenti; invano Gli amici a te più stringonsi: segnata è l' ultima tua ora! Ad' ogni istante Cresce lo spasmo; il travagliato petto Batte in sussulto; dalla tua ferita Ribocca il sangue, e nelle fauci, ahi misero, Ti soffoca il respiro!… Oh raccapriccio! Cadavere sei fatto, e più non sei! Attoniti gli astanti, ognun raccoglie Dalle morte tue labbra il bacio estremo; Ma niun s' attenta di turbar col pianto, Chi sè col pianto non vilì giammai! Tutto è silenzio: la funerea stanza Pare in tempio conversa, ove il solenne Transito a reverenza i cor consiglia. La gloria, dal martìr purificata, Batte l' ali d' intorno, e all' immortale Spirto s' abbraccia a perdurar con ello! Ma chi d' ululi mesti ora commove Questa che regna aura di morte?… Jago, Il fido cane, il confidente, o Curio, Delle lunghe tue pene! A forza tratto Dall' esangue tua spoglia, ei più non volle Lasciar l' attigua stanza, quasi aspetti La tua voce d' udirvi, o viver sdegni Nell' amaro abbandon!… Salve, o Campione, Su cui tanta stampava orma di sangue L' Itala libertà! Di quattro lustri La penosa agonia, valgati adesso La pace del sepolcro, e la corona Dei martiri: ed onore abbi di pianto, Dall' età nostra e dall' età venture!

A VICENZA
CHE ONORA I SUOI MARTIRI
del 1848
NELL' ANNIVERSARIO 10 GIUGNO 1867

Perchè le genti qui raccolte, e il mesto Inceder di chi a schiusa urna s' appressa?… E gli occhi lagrimosi, e il manifesto Ardor che cerca sfogo all' alma oppressa? Perchè squillano i bronzi in suon funesto, E ondeggiano i vessilli? Onde il far ressa Ver la devota via del colle, e il presto Cercar col guardo ove una croce è messa? T' intendo sì, Vicenza mia, chè parte Ebbi anch' io sacra ne' dolori tuoi, Quel dì che andàr l' itale membra sparte!… E a mille a mille caddero fra noi Al ferro, al foco di nemica arte, Sante primizie di novelli eroi!

TRASPORTO DELLE CENERI
DI
DANIELE MANIN
da PARIGI a VENEZIA
il 22 Marzo 1868

ètrionfo, o feral rito, il pietoso Affoltarsi d' un popolo ch' io miro, Fra tante braccia stese in affannoso D' amor sospiro? Non è festa: chè cinte di gramaglia Son le vie, son le case, e son le navi; Non è duolo, sebben dentro travaglia, E i cor fa gravi. Mesta è una gioia che si scioglie in pianto, All' approdar d' una funerea barca… Del pietoso di Lui che ci amò tanto, Cenere carca!… O Manin, ti spegneva il duro esiglio, Noi, noi liberi siam, ma di te privi; Di te, che la costanza nel periglio A noi largivi. Tu prigionier, Tribuno, Dittatore… Tu, più che duce, di Venezia padre, Il senno le infondesti, ed il valore Alle sue squadre. Non ti domò l' avversa sorte, il vano Supplicare ai Potenti, o il morbo atroce, A cui la fame inasprìa l' inumano Genio feroce. Viva Manin, gridava fra gli stenti, Egro, lacero, esangue un popol tutto… Ed al foco, ai più duri patimenti Cadea distrutto! Case, templi, trofei, quanto di bello Era alla gloria ed alla fè sacrato, Tutto il furore inceneria del fello Barbaro odiato! Vano il patir: di tanto sangue intriso, Il nostro suol, cadeva servo ancora; E tu proscritto, tu da noi diviso Fosti in quell'ora! Esul, ramingo, colla patria in core Chiedevi a Francia asilo, e là costretto Fu di mercarti il pane del dolore Lo tuo intelletto. Sola compagna a' mali tuoi la Sposa Morte pur fura, e in vedovil mestizia, D' un figlio e d' una parvola vezzosa Fai tua delizia: Soffrente ognor, parea quest' angioletta Celeste cosa da venirti tolta; E tu più al seno la tenevi stretta, E a lei rivolta Era ogni cura tua: con te faceva Un' alma sola; la patria lontana, Nella mesta sua faccia ti pingeva, Lusinga vana!… E vederla languir di strazio lento, Senza mai tregua, nè speranza mai!… Per poco, ahi pur, tu non cadevi spento Co' suoi bei rai! Alme felici, che mai non provaste D' un caro oggetto l' abbandon; quel vuoto Cui par tutto il creato a empir non baste!… Oh, non v' è noto Quel paterno soffrir!… perfin le pene Ultime al letto d' agonia durate, Da quel deserto padre eran qual bene Invidïate!… Alfin, più che il dolor potea l' affetto Della patria in quel cor, che si fe' incarco, Tutto a Italia immolar, fino il concetto Del suo S. Marco (1) Per l' unità d' Italia rinunciò alla Repubblica.! Ahi, le vicende angoscïose e crude Di speranze e timor, crebber malore Atro così, che al suo respir preclude La via del core! Povero cor! finch' egli batte, in esso Di sua terra il desìo ferve: predice Alla Venezia sua l' italo amplesso, E muor felice!… Tanta virtù di sacrificio sia Scola ad ognun di noi, che grande brama La patria sua: per vani lài non fia Che salga in fama! —O barca bruna, che in funeree bende Più ricca sei che tra pomposo ammanto, T' ossequia ognun, le braccia a te distende, E scioglie in pianto. Del maggior tempio fra l' augusta pace, Onorerem del Cittadino l' ossa, E ogni gente a pregar verrà ov' e giace, D' amor commossa! Più lieve a fargli la sua dolce terra, Gli unirem di sue Care il frale amato: Esulterà il suo cenere sotterra Racconsolato! —Manin, che stai del popol tuo nel mezzo, Qual fosti un giorno ne sii mente e core: Deh, qui non regni libertade a prezzo Del disonore!

CARLO MONTANARI
DI VERONA
DALL' AUSTRIA SACRIFICATO A BELFIORE
IL 1853
E TRASPORTATO IN PATRIA
IL 1867

Era amor di sua gente!… ed a Belfiore Del capestro egli volle il disonore! Quando l' Italia gemeva in catene, Sacrificava ad essa ogni suo bene: Madre, fratelli, e la scïenza e tutto, Volle immolare di sua patria al lutto. Alma sdegnosa, correva al periglio, E cadde in ceppi di nemico artiglio. Fra inganni e ingannatori alza la voce, Salva i compagni, e sè pone alla croce. Al patibolo va senza un lamento!… Addio dice, a' suoi cari… e cade spento! Spento!… ma dai capestri di Belfiore Un popolo sorgea vendicatore! Spento!… ma il nome suo fatto immortale, Vola alle genti dell' amor sull' ale!

IL
VOLONTARIO DELLA VENEZIA
DEL 1859
ALL' OSSARIO DI SAN MARTINO
il 24 Giugno 1870

Undici anni or son che io qua venía Col mio minor fratello, Addio, dicendo ad una madre pia, Che scese nell' avello; Or qui torno, ma solo e mutilato, Chè tutti ho perso, e son d' un membro orbato. O Italia, Italia! Non mi duol se tutto In terra, ohimè, perdei; E benedico di mia casa il lutto, Perchè salva tu sei, Perchè rallegra ogn' italo confino Il vessil dispiegato a San Martino! Era il tramonto: Solferino avea Vinto il Franco alleato, Ma San Martino ancora resistea All' urto disperato Dell' armi nostre, e per tre volte invano Vincemmo l' erta, e fummo spinti al piano. Pochi eravam contro assiepate schiere, Ma quai leoni ardenti: Fra scatenate folgori, il dovere Ci rispingea furenti!… Cadeano a mille i miseri fratelli, Ed ahi meschini, noi salir sovr' elli! Ma qual vista mi fère!… Arturo mio, Di mia madre l' amore, Boccheggiante ravviso…. e quasi, oh Dio, Tradivami il dolore!… Ma Quei lo sguardo a San Martin levato, Segnò la meta all' italo soldato. Innanzi andava il piè, ma fisso il guardo Al Fratel che moria!… Quando curvo su lui vidi un vegliardo, Che periglio vincia, Per prodigargli, unico suo tesoro, Un sorso d' acqua ad ultimo ristoro. Salve, uom benedetto! sulla terra Passerai sconosciuto; Ma il guerriero che un cor grato rinserra, Ti manda il suo saluto: Le poche stille, che a talun fur vita, Premio fieno alla tua pace romita. San Martino fu nostro!… ma fra il sangue, E la polve, e gli estinti, Invan cercai del mio fratello esangue, Calpestato dai vinti; E la madre che morti ambo credea, All' orribile colpo soccombea. Povera madre!… Oggi che alfin raccolti In mesto asilo pio Sono i caduti, e dai marmorei volti Sembrano dirci, addio!… E vinti e vincitor confusi stanno, Deposta ogn' ira del sofferto danno: Oh, ch' io potessi fra que' scheltri almeno Il fratel rinvenire, E ancor serrarne i freddi avanzi al seno. Dopo il lungo desire!… Ahi, ch' io mi sento sollevar le chiome. Pender mirando da que' teschi un nome. Leggo, ma il suo non è!… qui un nome ancora, Ma, ohimè, che non è desso!… Nè il terzo, ahi pur!… la speme si scolora Nel cor dal dubbio oppresso!… Ma non traveggo, Arturo, Arturo miro, E l' ambascia mi soffoca il respiro! Prova secura, a lui trovata fue, Qual talisman sul petto, Santa immago che diede ad amendue, Pegno d' immenso affetto, La madre!… e nulla cancellar potea, Quel nome che una madre impresso avea! Oh, finch' io viva, pellegrin d' amore, Mi vedrai San Martino, In questo giorno sacro di dolore, Al mio fratel vicino, Qui pregare fra i teschi aridi, algenti, Pace ai fratelli, ed ai nemici spenti. Addio patri vessilli, inalberati Nel giorno glorïoso; Addio cipressi, a crescere piantati Sul suol fatto ubertoso Per tanto sangue!… No, giammai non fia, Che a voi non venga la preghiera mia! Morti dei tre Paesi, i genì siate Che in vincolo fraterno Stringan le genti; e se voglie sfrenate, Mal facciano governo Di popoli e di re, dal loco santo Le scarne braccia distendete in pianto!! Che se, un dì, dubbia penda o pace o guerra Su bilancia fatale, E per mercato vil di poca terra, Che sangue uman non vale, Sangue si chieda!..: oh, nel feral consesso Venga alle madri di seder concesso!

A
BALDASSARE FAGGIOLI
DEI MILLE DI MARSALA
caduto nella guerra del 1866

LA MADRE SUA

Figlio, o mio figlio!… le materne braccia Invano a te distendo, e invan ti chiamo, E cerco angoscïosa la tua faccia Fra chi più amo! Scendi a noi cara visïone, e mira Il mio duol, mira il tuo padre gemente, Che stretto ai minor figli, ohimè, sospira Amaramente! Muta è la stanza tua, ma ell' è per noi Quasi sacro delùbro prezïosa: Ivi è la culla, e con i libri tuoi Ogni tua cosa. Qua i primi accolsi tuoi vagiti, il biondo Capo t' accarrezzai con dolce amore, La prece ti apprendea che moribondo T' uscia dal core. Tutto m' è sacro, ma la veste intrisa Di glorïoso sangue, qui, qui ognora Sul sen mi sta!.. pria d' esserne divisa, Oh, fia ch' io mora! Al rimirarla sgorgami dal petto Uno sfogo ineffabile di pianto; Ella ritempra il desolato affetto D' orgoglio santo! Par che in mesto linguaggio ci ripeta L' amarissimo addio del giorno in cui, Di quest' itala terra e zelo e pieta Ti tolse a nui; E con libero vol seguisti l' ala Del gran Nizzardo, fra que' Mille brandi Che han vinto un regno, e i liti di Marsala Fean memorandi! Tra il ferro, il foco, i bellici ardimenti Salvo ti scòrse la materna prece, E già tornavi ai tuoi lari redenti!… Ma di te invece Ci sta dinante un frale inanimato, Che aspra ferita fra i martir struggea; In cipresso l' allôr t' ebbe mutato La sorte rea! Ma quel serto che amore t' intrecciava, Coronerà la tua pallida croce, E la chiesetta ov' io per te innalzava A Dio la voce, Raccorrà le tue ceneri, e di pianto A bagnarle verremo in tutte l' ore, E tu aleggiante ci starai d' accanto, Spirto d' amore. Per quel misterîoso anel che stringe Gli abitator celesti a noi mortali, Pel desio che le meste alme sospinge Al ciel sull' ali! O figlio io ti ravviso!… oh, egli è pur desso Quel tuo dolce cilestro occhio pietoso: Già tu m' apri le braccia, ed il tuo amplesso Quant' è amoroso! Pietà, caro, di me; cessi la guerra D' un cor che langue dal tuo cor diviso, E s' io ti fui vigile scorta in terra, Tu in paradiso Chiamami teco, e deh, ch' io sospirosa Fra tante itale madri consolate, Qui non rimanga a contemplar gelosa Le avventurate! Chiamami, tel chied' io per quel supremo Dalla tua morte a mezzo tronco addio!… Quell' abbraccio lassù rannoderemo In seno a Dio! Oh, là ti rivedrò, dove misura Dal patire ha il gioir! Non più divisa Sarò da te!… l' alma in tal fè secura, S' imparadisa!

GLI ULTIMI ISTANTI
DI
STANISLAO BECHI
COLONNELLO TOSCANO
fueilato in Polonia l' anno 1863

«Povera Giulia! Allor che questo scritto, «Molle del pianto mio, legger potrai, «Dalle Cosacche palle, ahimè, trafitto «Il tuo Lao piangerai! «Non mi duole il morir, che per voi soli, «O mia sposa, o mia figlia, o figlio mio, «Senza che un bacio, un bacio sol consoli «Il nostro ultimo addio! «Per sempre v' abbandono!… Perdonate «A un marito, ad un padre s' egli muore «Per la terra non sua; voi pur l' amate «La mia patria d' amore! «In questa ciocca de' capelli miei «Bagnata, o cari, dal sudor di morte, «Darvi me tutto, tutto si vorrei, «Miei figli e mia consorte! «Vi benedico, e addio; chè tre, tre sole «Mi rimangono ancora ore di vita, «Poi come pellegrin col novo sole «Farò di qui partita. «Il ciel m' accoglierà!… Poveri in terra, «Sol retaggio vi lascio il nome mio, «L' amor d' un popol per cui caddi in guerra, «Addio, per sempre addio!…» —Tai manda accenti dal profondo petto, Stanislao Bechi, l' italo soldato, Che al grido degli oppressi, ogn' altro affetto Del cor volle immolato. E si schierava fra i Polacchi eroi, Qual leone affamato di vittoria: Sprezzator del periglio, e duce a' suoi Cadde, e il cader fu gloria! Dannato è a morte!… Invan con ansio ardore E madri, e spose supplicàr per esso; Nulla potea strapparlo al rio furore D' un barbaro consesso! Chi gli spasmi diria di quella notte Ultima, quando in desolata voce Chiamava i suoi, fra lagrime dirotte Stringendosi alla Croce? Oh, l' agonia di amante cor!… pietosa Parve sonasse del supplizio l' ora, E securo movea fra una pensosa Gente che plora! Sposo, padre, eroe, martire, pareva Sovrumana ad ognun la sua persona, Ognun volea vederlo, ognun voleva Mesta a lui far corona. Giulia, Elisa, mio Guido irruppe, addio, E tu Polonia, mio secondo amore!… Qui un turbine di palle il sen gli aprio, Stramazza al suolo, e muore!… Cadde siccome glorïosa palma Cui schianti irato folgore la testa: Fra un silenzio mortal fremette ogn' alma, Come mare in tempesta. —Non v' uccida il cordoglio, o poveretti, S' egli è spento per voi, l' eroe sorvive, E veglierà dal ciel co' suoi diletti, Queste piaggie mal vive! Ei prega: al suo, deh, il vostro priego unite, Nel gemito del cor che il ciel disserra, E sposo, e padre in sagrificio offrite Per la Polacca terra. O Dio! Ella conta dalle mille anella Di sua catena i giorni del dolore, E suda e piange vilipesa ancella In pugno all' oppressore! Con la sferza ei la batte, e nuda il piede La trascina per suol di sangue intriso Entro alle mine, ove a schernirla vede, Del barbaro il sorriso. Deh!… col martello ch' ei le ha posto in mano Scavi il sepolcro a lui che la percote!… Ed ella sia del Tartaro inumano, Vittima e sacerdote! Oh, il dì che alla Polonia si ritorni Il diadema per lunghi anni conteso!… Quel dì parrà che il martire e Lei torni, Sia il padre ai figli reso!

I FERITI
DI CUSTOZA
il 24 Giugno 1866

Frena i battiti, o cor: dai lunghi spasmi, Da lunga di speranze, e di timori Atra vicenda, a libere dischiudi Aure l'accento! E come dir di questa Itala terra, dolor, fasti, ed onte Con poveretto stil, se il patrio amore Alcun che ha d' immortal, che a rivelarlo Degna pur non saria lingua, nè penna? Aquila ardita al Sol s' appunta, e i venti Sfidando mette sulle cime il nido; Rondine pellegrina a posar viene Sotto d' ospite tetto i cari nati, Portata dal desio; sì quella e questa Mirabil di natura ordin compiendo. Valga il paraggio: e se infacondo ho il labbro, Nè ad arduo vol sortii le penne, a merto Giovimi, o patria, un indefesso amore. Chi mai non vide di morente intorno Palpitante famiglia, che non osa Di pur col guardo interrogarsi, e in petto Frena i sospiri, e dubbïosa spia Sul sembiante adorato un fatal vero, Che in suon funereo al cor si ripercote? Così all' ora che il dì cede alla sera, Di Custoza il gran giorno, affaticati Dal lungo indugïar, sorgeano a frotte I cittadin della città turrita, Di Verona la forte, e pel sentiero D' onde echeggiar s' udia lontan lontano Il fragore de' bronzi, apriansi un varco Cogitabondi in funeral corteo!… Chè de' fratelli il sangue, ohimè, scorreva Sovra i bellici campi; esso per noi Propiziator scorreva, e nelle vene Ribollir sentivamo il sangue istesso! Di trionfo e sconfitta i suon confusi Ansia giugneano ai cori, a quel tumulto De' concitati affetti, che precede Agli istanti solenni, ed in funesto Presagio stillar fea lagrime amare! Dall' asserto dei molti, si raccoglie Ciò che più ne addolora: il conquistato Arduo terren di tanto sangue a prezzo, è campo agli oppressor! Grandin di palle Fulminò dalle alture il valoroso Esercito de' nostri, che lungh' ore L' ostinata opponea virtù de' forti. Ogni valle e collina, è fatta scena Di pietosa catastrofe: su ameni Poggi s' innalzan di vittime umane Cumuli sanguinenti! Ohimè, quai belve Sitibonde di sangue, a brani a brani Si laceràr gli armigeri, e se a caso Venien l' arme a mancar, spietatamente L' uno l' altro inimico e graffia, e morde! E più crudo a far danno, su cotanta Ecatombe di forti, ecco piombare Cavalli scalpitanti, igniti bronzi, Rotanti incarchi, e far di quelle membra Lacere, turbinio, qual degli spirti Farà un di la incitata ira Divina! Sotto stellata azzurra vòlta, in vista Di quell' onda (1) Il Mincio. che crebbe al nostro pianto, Dal di esecrato che fatal barriera Si ergea tra i figli d' una terra istessa: Varî di suolo e d' indol, ma d' affetti E d' ardire concordi, a mille a mille, Dalla fiamma schiarati del bivacco Ieri pur serenavano fidenti Gl' itali figli, ad un diman guardando Che al baldo giovin cor tardo parea! Or, che divenne quell' ebbrezza santa, Quella di gloria voluttà che il forte Spinge al periglio, qual nube cacciata Dalla tempesta, e al fiammeggiar degl' ignei Strali virtù gli addoppia, ond' ei deliro Siccome a festa al precipizio corre? —Alta è la notte, e sol ne rompe il fitto Tenebrore il guizzar de' lampi; a scroscio Cade la pioggia, e mugge il tuono, e tutto Giunge a orror di natura orror di morte! Là dove il suolo in tre si parte, e forma Tre vaghi paeselli, a nome detti Sommacampagna, Ganfardino, e quella, Che ricordanza avrà peggior, Custoza: Qual degli estinti alla dimora stanno Seminate le croci, e ossa sovr' ossa; Così in laco di sangue insiem commisti Giaciono i difensor cogli oppressori, Coi morti i vivi! E se più affiggi il guardo, Vi scerni alcun contorto per gli spasmi D' una lunga agonia; tal più felice, Chè d' un colpo perì, calmo all' aspetto; E qual spaccato in guisa atroce il cranio, Quale affranto le membra, e vi ha taluno Spento alla luce ed al patir sol vivo!… Difformati al dolor così, che in vano Ravvisarli sapria cor di parenti! Rompe l' orror di que' silenzî un fioco Indistinto gemir; pietosamente Stille d' acqua implorar sembran le fauci Di que' meschini, a cui l' avida sete, Delle ferite è struggitor vampiro! Dal colle al piano, per quanto si stende Cupido l' occhio, del crudel macello Appaion le vestigia. Esangui spoglie Di cavalieri e di cavalli, infrante Carra, e d' ogn' arme e vestimenta avanzi: Ambita preda d' ingordo villano Che piomba là come sui morti il corbo! (2) Pietro Caliari di Verona. Qui, Pietro, tu pur langui?… e sul tuo viso Venti april non fioriro! Oh, tu l' amore D' anelante famiglia, e speme, e vita D' una madre che conta dalle angosce I dì dell' abbandon, da quell' istante Che disertasti i natii lari, a torti Da servaggio abborrito!… Ella delira Nel sospiro dell' alma il dì già presso In cui venir ne' baci tuoi redenta!… Ahi, d' uman core antiveder bugiardo! Fuggi, o madre, il crudel del figlio aspetto: Sulla polve egli sta, di sangue brutto, Senza un sen dove esali il fiato estremo, Dell' agonia fra i crudi spasmi! Stringe Fra le gelide man cara una imago, La tua, e spira!… Nol copre, ahi, poca terra Dai carnivori augei, nè a ricercarlo Verrai tu pur, chè amor di madre il vieta! (3) Giovane veneto, di cui s'ignora il nome. All' impeto accanito, a quel dispetto Di patrio onore conculcato, un altro Veneto eroe discerno: infissa l' asta Entro il petto inimico, come vivo Spento nell' ira attortigliato giace Al suo uccisor dintorno, atrocemente L' un dal ferro dell' altro trapassati! —Disperato è il valor di chi pel proprio Cielo combatte, e sogna del suo nido I placidi ritrovi, ove ogni bene Pose natura, e dei dolci parenti I caldi baci in cui si stempra il core; E di vergine il riso, e amico petto In cui l' alma versar, e il poter dire: Anch' io languia dell' esul nel sospiro, Pugnai coi forti, côlsi allòri, e il mio Suol più non geme in orrido servaggio! E i cittadin? De' cittadini il labbro Muto si stava!… Era un silenzio cupo, Qual di saetta impor lo scroscio suole. Chè ove tropp' alto parlano gli affetti, Soffocata è ogni voce!… Ed, ahi, lo schianto Delle lunghe speranze! oh, il desolato Terror di tanti abbandonati corì!.,. —Rosse strisce di sangue, il Sol cadente Fean di sventura messaggier; crudele, Siccome al guardo, è di ritrarre al detto Tanta orribile vista!… Fra una schiera D' odio briaca e di vittoria, i nostri Figli cruenti, laceri, captivi, De' martiri il pietoso inno levando, All' Adige fur tratti!… Oh, vedi al grido De' fratelli volar quanti avean core, Fraterno cor nel nostro ospite suolo, L' invido del Tedesco occhio sfidando! Torrente è amore che argini travolve, Se dal desio portato! Oh, de' celesti Spettacol degno, è quello d' una gente Che fa ressa, e s' incalza a correr dove La richiama il periglio, ove le piaghe Più mandan sangue, ov' è il patir più crudo, Più strazievole il gemito, e con santa Gara d' affetto si contende quei Miserandi fratelli, ospiti cari All' amico suo tetto! Quanti sono Palagi sontuosi e stanze umili, Templi, edificii, i più vasti ricetti, Tutto s' apre al dolor. Qual per incanto, Da misero giaciglio sorger vedi Soffice letto, in cui braccia amorose Posan que' miserandi; e a lor d' appresso, Fatta madre ogni donna, attenta veglia Con la patrizia insiem la femminetta Industrïosa in apprestar ristori A que' languenti, e con soave affetto Lenirne ogni dolor, tornar vigore Agli spirti abbattuti, e senza posa Gemere, palpitar, soffrir con elli! Ahi, tutta l' ange una mestizia santa Se degli strazì alcun soggiace al pondo!… E le fredde ossa ne compone in pace, Funebri col Levita inni gemendo! Stupor non desti, chè alla donna spetta In amare e patire il primo dritto: Nè un sol di voi languia d' amor deserto, Martiri glorïosi! Ah! non il cruccio De' vostri lài, o mefitico di morbi Minaccioso contagio, o di fatica Carco soverchio, allontanar potea Lei, che in amare al sagrificio aspira! Oh! noi quante qui siam, cui diè il dolore. Di madri affetto e di sorelle, noi All' ora mesta che la squilla invita Pei defunti a pregar, pregherem pace A que' spirti amorosi: e nel dì sacro All' urne degli estinti, allor che pare Ridestarli dal tumulo il compianto De' memori parenti, in un sospiro Confonderemo ai nostri cari, questi Martiri della gloria! A tanto amore Esulteranno de' gagliardi l' ossa. E fuor da quelle membra lacerate Voce uscirà che ai posteri ridica, Che se l' italo cadde, ei fu un eroe! V' inorgoglite, Itale madri, o voi Che da Scilla stendete all' Alpe invano Anelanti le braccia, e non vi resta Che una memoria glorïosa e cara!… Un petto qui non v' ha che non sia vostro, Un figlio che non voglia esservi figlio! Deh! l' alba a inaugurar di questo giorno Sospirato dai secoli, mutiamo Il pietoso dei cor senso plorante, In una ebbrezza di virtù feconda! E dal cospicuo ostel, dal casolare, Lauri spargiamo e fior sulle gemmate Divise, al par che sovra quanti sono Del vessil nostro i difensori! E tratti Da uno slancio d' amor, baciam le crude Piaghe di que' che in mutilato frale Trascinan nel patir la giovinezza! E fuor s' evòchin dalle tombe i morti Al gran convegno; quegli spirti eletti, Che fùr quai lampi schiarator per l' ombre Di lunga servitù, che ci addormia Ai molli vezzi e al carolar de' mimi! Ma non alziam di fatua gloria altari Ad idoli bugiardi, ed un procace Orgoglïar, virtude non ci infiacchi, Or che il nembo passò!… Troppo, di spine Libertà e gloria ebber corona; il dica Di Custoza la strage, e la più acerba Catastrofe di Lissa! In un amplesso Stringansi i figli dell' Italia tutta, Per lunghi di servaggio anni divisa. Sepolto ogn' odio, e l' invido di parte Secolar cozzo, senno e brando l' uomo Sacri alla patria; e noì, noi donne cui è la prima de' figli età commessa, Cresciam, cresciam la tenerella prole, Itala prole, alla virtù Latina!

PER IL TRASPORTO A MILANO
DELLE CENERI
DI
PIETRO GABBA MORTO DI FERITE A VERONA
IL 1866

Dunque ci lasci, amabil giovinetto, E torni al bacio del materno affetto? Dunque il supremo palpito del core Puoi consolar nel filïale amore? Ferito, egro, languente, ansio, deliro, Era sol per la madre il tuo sospiro. Ne' tuoi sogni schiudevi a lei le braccia, E desïoso la baciavi in faccia. «Non pianger, le dicevi, o madre cara, L' avvenir nuove gioje a noi prepara». E pietosi iterando atti soavi, Più al suo sen ti stringevi e la baciavi. —Poveretto! alla madre fai ritorno, Ma per essa di morte è questo giorno!… Da lei partivi di salute bello, Or ti copre il pallore dell' avello. In un panno funereo s' è mutato Il vestir glorïoso del soldato; Invece dell' alloro a te promesso, Avrai serto di squallido cipresso. Non più i materni avrai baci infocati, Ma gemiti e sospiri desolati!… Ahi, tristissimo giorno che ci toglie, Di mai più lagrimar sulle tue spoglie! O Pietro, se ti fea nostro il dolore, Porta con te de' Veronesi il core!

MENTANA E VILLA GLORIA
IL 1867

I
FRATELLI GAIROLI

A DONNA
ADELAIDE CAIROLI BONO

Donna, il cui nome sonerà famoso, Fin che di patria il bello amore infiammi Gl' Itali petti: deh, m' assenti il chiuso Entrar ricetto de' tuoi lari, e dove L' orme prime stampâro i Figli tuoi, Que' tuoi martiri e nostri, palpitante M' accosti a disfogar l' interno affetto: Quelle effigie io contempli, e baci quelle Relique di lor ossa, prezïose Gemme al tuo collo, dove imperitura Di glorie e di dolor tutta è una storia. Allor che sorse di novella etade (1) Il 1818. Nunzia l' aurora, ed a balen simile Folgorava dall' Alpe all' Etna il primo Raggio di libertà, ciascun che in petto Nodria di patria il santo amore, corse All' Italia offerire il brando e il senno. Così, Donna, il tuo sposo, alma di foco, Che il disinganno crudelmente spense!… Cinque lasciava all' amor tuo commessi Orfani figli. Tu, ben conscia quale Fosse il tesoro a Te fidato, al seno Que' diletti stringendo, ora parevi Far loro scudo di tue braccia, ed ora Ubbidir generosa a un grido arcano, Che così prorompeva: Itala madre, Son d' Italia pur figli i figli tuoi! —Non io di madre assoporai le sante Dolcezze, ma se al cor fosse pur dato Di sazïarsi in questo amore immenso, Potrei, chiedo a me stessa, il tuo cruento Sacrificio imitar?…. Oh, a questa patria, Che m' è sì cara il sangue mio, la vita, Tutto, tutto darei!… ma i figli, ahi lassa, I dolci figli?…. Benedetto, il solo Maturo all' armi, fra i campion si schiera Dell' Ilïon novello; e quando cadde Ogni ferro spuntato, esul, divelto Dal sen materno, infaticabil veglia Sulla patria infelice: e se ritorna Ai dolci lari, è perchè torni seco Il fremito de' forti, il glorïoso Squillo di guerra!…. Ed ecco sorge alfine (2) Il 1849. Il dì che Italia: armi, armi! grida. Ed egli, Che il sospiro de' secoli affrettava Col genio dell' eroe, libero vola Al fianco di Colui che ha sul vessillo: Vittoria o morte! Dove più accanito Ferve il periglio, ivi è il suo braccio, e vuole Del soldato serbar l' umile assisa, Perchè onori non cerca il vero merto! Di Varese sul campo ecco apparire Due novelli garzon: Ernesto è l' uno, Enrico l' altro, ed ambo in quell' etade, Cui tutto in roseo tinge la speranza. Tu fosti, o madre, l' inclita Cornelia, Che con lo zel che sè medesmo oblìa, Scorto appena de' figli il bellicoso Ardir, li hai benedetti, e con eroico Slancio guidati al vincitor Nizzardo. Ernesto indole avea soave e mesta, D' una mestizia che parea presagio Del suo breve cammin; fior si direbbe, Che niega all' aure molli i suoi profumi, Per tristamente olir sovra un avello. Quest' alma gemebonda arde più forte Di patria carità; chè il dar la vita Pel natio suolo, è il voto suo più ardente: Primo è tra i primi, e in singolar certame, Colpito da igneo stral vittima cade! —Povera Madre! Tu col desir ansio, Che pregustar ne fa il contento, omai Sogni reduci i figlio, ed anelante Lor protendi le braccia!… ma due soli Rivoleranno al tuo materno amplesso! Or l' acceso pensier tutto di nubi T' infosca l'avvenir: di tua famiglia L' albero vedi illanguidirsi, e tutte Ad una ad una giù cader le foglie, Finchè Te miri derelitta e sola Sotto l' arida pianta del tuo amore! Ecco squillar della Sicilia i bronzi L' agonia dei tiranni! Mille brandi, Come dal nembo folgori portate, Assalgono de' Vespri il suol fiammante! Impresa di giganti, onde non conta L' egual Grecia nè Roma. Ei di Palermo Entran le mura; ed un gridar di gioia, Un accorrer di popolo festoso, Un mescere di pianto, un abbracciarsi D' assalitori ed assaliti!… Oh, tutti, Tutti son figli della patria istessa! Ahi, presso a coglier de' suoi stenti il frutto, Da crudo telo a Benedetto è tolta L' ebrezza del trïonfo: egli vacilla, E sovra il franto piè stramazza!… Enrico Invido del fratel, più d'ira avvampa; E scorto donde grandine di foco Piombava i nostri a fulminar, pei tetti Schiudesi un varco, e il loco assal; già un grido Di plauso echeggia!… Ohimè, grido fallace, Che in un sospir morìa! L' altera fronte Da più palle è forata, il suo cerébro Barbaramente discoperto, il sangue Ne sgorga, e par la vita uscir con ello!… Ahi, risparmia la morte chi a più crudo Giorno è serbato!… Ambo i fratei feriti Pietose cureran Sicule donne: E a te, Madre infelice, ahi, fia niegato Di addolcirne gli spasmi, ed ogni strazio Dell' egre membra, ohimè, si ripercote Nel piagato tuo cor col diro strale Del dubbio angoscïoso!… Oh, ell' è pur bella La virtù, che ti fa del dolor scala A più alto salir; quasi non basti Di tre Figli l' offerta, e già novello Maturi sagrificio! Chè non deve Il conflitto durar senza che un brando De' Cairoli il combatta! Or vien Luigi, L' alma gentil d' ogni bell' arte amica, L' amoroso cultor della scïenza, Che dall' Ingegno ha il nome. Ei ritraeva Col materno sorriso il core ardente: Colomba al far soave, aquila ai voli; Cinto di dotta fronda, coglier vuole Bellici allori. Se di Villafranca L' infanda pace gli niegò scontrarsi Coll' inimico, a ricercarlo viene Col diritto de' prodi! Al bramar ansio Tutto sorrider pare, e la vittoria Esca più aggiugne al marzial foco. Misero! Il troppo anelo spirto, in delicata Tempra, gli è morte. Chè il lungo cammino, E i disagi, e l' arsura d' infocato Cielo, letal morbo causàro, ond' ei In lunghi d' agonia giorni fu spento! Ma nell' ore supreme, allor che piue Il ver ci si rivela, al suo intelletto Ecco apparir dagli oppressori sciolta L' Itala terra, e come la pupilla Si volge a ricercar l' ultimo raggio, Ei d' Italia col nome a Dio ritorna. —Madre, che amavi il tuo Luigi, come Più s' ama cosa che ne rassomiglia, Sorvivergli potrai?… Si, del tuo Caro Dirai le gesta, il cor soave, e quella D' affetti e di desir dolce armonia, Che fea di due bell' alme un' alma sola! Uno restava a consolar le tue Angosce, o abbandonata! Egli è Giovanni, Ma al suo giorno di gloria ei pur sospira. Di Luigi redò l' ingegno a eguale Meta rivolto, e l' indomabil brama Che feconda gli eroi! Mentre i fratelli. Quai due leoni che la febbre han scossa, Moveano a vendicar l' onte sui campi Di Condino e Bezzecca, egli incomincia Nel triste fato della Patria. Dove A Custoza è peggior la strage, pugna Col valor che del suo sangue è retaggio! Impietosirsi le nemiche palle Parvero a tanto cuor di madre, a tanto Esterminio di forti, e i Tre tornàro, Qual per prodigio alle materne braccia! Ahi, sventura, sventura! Ohimè, rifugge Atterrito il pensier da te, o crudele Ecatombe d' eroi, fatal Mentana!…. Quanta col sangue seppellisti speme Di concordia avvenir!…. Oh, Villa Gloria, Oh, Cairoli, oh, dolor! Non io discerno, Se audace o eroico fu il desio che spinse Soli settanta a valicar le sponde Del Tebro formidabili!…. Ciò solo Sento, che il cor mi sanguina per essi, E fo come colui, che piange e dice: Della giovine squadra Enrico è il duce, Al suo fianco è Giovanni. Alta è la notte; Per l' ombre van, l' ausilio sospirando Dell' eterna Città!…. Ma l' alba sorge, Nè più dato lor fia che a palmo a palmo Ceder l' arduo terren, per una sola Molte vite spegnendo!…. Ohimè, qual grido Tremar fea l' aure, e di tutti lo sguardo Ansio converte a un punto solo?…. Enrico, Fatto bersaglio alla nemica offesa, Mentre rôta l' acciaro a dritta e a manca, Cade e nel sangue affoga!…. ahi, par d' annosa Quercia lo scroscio, che dall' imo al sommo Tutto commova al suo cader!…. Giovanni Vorria correre a lui, vorria d' un bacio Consolargli il morir: ma ancor più forte Del fraterno desio parla il dovere Dell' italo soldato!…. oh, ei pure, ei pure Piagato e in ceppi sconterà la bella Eredità di gloria!…. Un velo, un velo Pietosamente il resto asconda!…. Madre, Qual ti rimane uman conforto?…. Sola L' àncora degli eroi, la patria fede!…. —O d' una gente, o d' un' etade onore! A che inneggiarti, se non avvi petto Che non batta per Te, madre non avvi Che a' tuoi non mesca i suoi sospiri? O cara, Se basti amor di cittadini a tanto Deserto core, abbiti il nostro!…. Tutto Tu ci desti il tesor del sangue tuo; Noi ne' marmi eternar (3) È desiderio degli Itaiiani di erigere monumento di gloriosa ricordanza alla famiglia Cairoli. vogliamo quella Impassibil corona, che ricinge La tua fronte di Martire!…. Oh, quei fiori Crebber sui campi di Varese, ai liti Fervidi di Palermo, sulle zolle Di Mergellina, e del Tevere all' onde!…. Ma, ohimè, quante a que' fior spine commiste, E quanto acerbe!…. —Oh ch' io mi prostri a Voi, Cinque fratelli, e a voi tutti o gagliardi, Che il sangue deste per la patria terra! Lo spirto vostro di virtù fecondo Sempre intorno ci aleggi, e a Voi guardando, Libertà, libertà, che ancor di tanto Sangue pur gronda, deh, non sia mai fatta Cieco strumento di licenza ria! —E tu, che donna dir non oso, e sembri A me, più che mortal, cosa divina, Nel sesso nostro il tuo gran core infondi! Possa ognuna di noi, dai molli affetti Col desiro appuntarsi all' alte sfere Delle virtudi tue, dove rapita Alla luce che tutta ti circonda Di un' aureola immortal, s' inspiri al vero Amor di patria, e cresca nuova prole Alla gloria più bella: al sagrifizio!

IN MORTE
DI
GIOVANNI CAIROLI
ferito a Villa Gloria il 1867
morto a Belgirate il 1869

ALLA MADRE SUA

Donna, eroina, martire, o con quale Nome chiamarti?… Tu che cinque figli, Quanti amore ti diè tutti sacravi All' italo riscatto, e tre sul campo Caddero, e due fùro al patir sol vivi!…. Un d' essi, il fior della famiglia, il caro Più giovinetto eroe, dai lunghi spasmi, «Come face al mancar dell' alimento,» Oggi spirava fra le braccia tue! Madre, sei tanto grande, il tuo dolore è di tal tempra, che in pensarvi resta Attonita la mente, e la man cade Sovra la mesta pagina, su cui Dall' anima mi sgorga onda dì pianto! Sul cor mi posa, e poserà quel tuo Ultimo scritto, onde ogni accento gronda Nonchè lagrime, sangue!…. Oh, mi dicevi Con desolato amor materno, come Pingerti il duol che mi consuma al letto Del Giovannino mio, di lui che debbo Orgogliosa chiamar martire eroe? Dalle viscere sue dilanïate Per ferita crudele, un solo, un solo Ei non manda lamento, e par che tema L' itala offender patria sua, cui sacra Ebbe la vita!… Oh, quel contar gli spasmi Di quest' angiolo mio, la ria vicenda Di terror misti a poca speme, affranta Ha questa vita misera, che piega Ahi, sotto il pondo di mia croce immane! Ma che può l' agonia di questo frale Al paragon di quel che l' alma strugge Inenarrabil strazio?… Oh, sul cor mio, Come lava infocata a goccia a goccia Cade ogni stilla del sangue che geme Dalle ferite del mio infermo!… In quelle Piaghe cruente tutta mi si affaccia De' figli miei l' orrida strage!… Veggo Ernesto, il primo d' ignea palla ucciso, E Luigi languir sul campo… e apparmi Il ferro ancor fumante, il sen squarciato D' Enrico mio, che tien le vitree luci Converse nel fratello, esangue ei pure, E che al ciel par seguirne il volo!… Ahi misera, Qual mi ferisce mortal grido?… Oh madre Fuggi a tal vista!… e ove fuggir se strazio Peggior t' aspetta di Giovanni al letto?… Curva al giaciglio suo quella tua fronte Su cui tanta stampava orma il dolore, Tu invan chiedi al suo labbro il bacio usato; In quel volto di pallida vïola Cerchi invano una speme, invan vorresti Fra le tue man scaldar la sua di gelo!… Disperata lo fissi, al sen lo stringi, E delira ti stringi a fredda salma! —Qual chi a (1) Belfiore, presso Mantova, ove l'Austria sagrificava generosi patriotti. Belfiore in prigionia scontava Il patrio zelo, e in sua virtù securo, Iva sognando il natio loco… e invece, Di morte udia sentenza, e sul suo capo Vedeva del carnefice la scure: Tal ti affiguro, o Donna, or che tua mente Qual da sogno crudele si ridesta! —Stolta che dico? Dal mio cor misuro Il tuo gran core, e con infermo sguardo. La madre sol vegg' io non l' eroina. A ritemprarmi nel tuo aspetto io vengo. Entro, la soglia tua romita, e parmi Il tempio della gloria. Ivi tu stai Madre e regina, e in bruno vel risplendi Di luce tal cui non offusca il pianto. Cinge il tuo capo un serto di fior côlti Sui campi sanguinosi, nè giammai Regal testa fregiò serto più bello. Gemme al tuo collo, alle tue braccia, l' ossa Son de' tuoi figli!… La lor cara imago Orna ogni tua parete; e non i marmi Istorïati narrano di loro Glorie e sventure, que' martiri sono Monumento a sè stessi! E qua li vedi Sempre d' intorno a te; l' aura che spiri, Vien coi lor baci a carezzarti il viso, E ne mormora i nomi, che ripete Ogni piaggia d' Ausonia in suon di pianto! Oh, i rapimenti del materno core, Che qual naufrago tratto alla scogliera, Vorria que' cari spiriti aleggianti Strignere in un amplesso, e l' infinito Spazio il contende!… In quel desio si strugge La tua povera vita, omai sospesa Fra la terra ed il ciel!… Deh, affrena il volo, Per quest' Unico tuo che ai Quattro schiuse Il sentier della gloria: Ei per te vive, Tu per lui non morir!… Chè se altro affetto Brami, hai di tutto un popolo l' amore, Nè un solo cor qui v' ha che tuo non sia, Un figlio che non voglia esserti figlio! Se più di pianto ami conforto, ascolta Venir concorde a te per l' aure un grido Dalle cento Città, dove ogni madre Serrando i nati tremebonda al seno, Te guarda e piange, e religiosamente T' apre le braccia! Mira, Italia mira, Di te madre più misera, oltraggiata Dagli stessi suoi figli!… Essa ti chiede, Non più sangue, ma tregua al rio dolore!… Fra la pace de' tuoi sepolcri, cerca Pace al deserto cor; quando la squilla Della sera con noi plora gli estinti, Innalza il guardo, e refrigerio avrai Di speranze ineffabili!… chè l' occhio D' una madre, in ciel mira i figli suoi!… Circondata di croci… tu non sembri Cosa pur di quaggiù. Nel tuo cospetto Si sente ognun qual da terror compreso, E rifuggir da sè medesmo pare. Noi, se oggi spenti non vivrem domani, Che forse in qualche cor: tu, i figli tuoi Vivrete finchè Italia, Italia fia! De' Caïroli il nome, ovunque suona E patria e libertà; le loro geste Son la storia dell' italo riscatto: I lor cipressi, i còlti allòr son nostri, Martiro e gloria, amor speranze e tutto! —Madre, se come narri tu, quel duolo Muto, profondo, che seguia lo scroscio Di sciagura crudel, seccava il fonte Delle lagrime tue, che intorno al core Più crescono l' ambascia, oh, noi vogliamo Pianger per Te! Chè s' e' il patir men crudo Fra meste alme diviso, possa il pianto Di tante itale figlie e spose e madri, Cader siccome balsamo sul tuo Sen lacerato, e vi destar l' orgoglio D' aver la vita accesa in cinque Eroi!

FATE LA CARITÀ
PER I FERITI

AL RENO

Donne siam dall' Italia qui venute A ricercar dei feriti fratelli: Poverette noi siam, che Dio ci ajute! E cercherem la carità per elli, Perchè il lor sangue, un di, ci fu salute, Nè il sangue sarà mai che si cancelli. Portò la fama con le rapide ale, Che sien feriti ed abbian molto male I figli della Senna e della Sprea, Che l' uno all' altro il seno trafiggea; E noi che gl' infelici amiamo tanto, Corse qui siam per asciugarne il pianto. Si rccontava in pria che come a festa Dai lor paesi fosser qui venuti, E con una letizia manifesta Per la lor terra si sieno battuti; Ma che un turbin di palle, una tempesta Come del campo i fior gli abbia mietuti. Vogliam vederli, e di cure e d' amore Addolcirne l' asprissimo dolore: Ahimè, son questi? si mutati in faccia, E di catene carco alcun le braccia?… Brutti di sangue e polve, e flagellati Da carri e cavalier su lor passati! Chi il cranio ha fesso, chi degli occhi è scemo, Chi senza il mento orribil suono manda, Qual si dibatte fra lo spasmo estremo, E chi arso vivo, dell' acqua domanda; Chi frante ha le ossa, e con sforzo supremo D' infra i morti esser tolto raccomanda. E fu la guerra che così gli ha resi, Questi giovani eroi dei due paesi? Essi che a Solferino ed a Sadova Han dato di valor sì bella prova?… E può chi è padre comandar la guerra Che tanti figli strugge e tanta terra? Qui dove uno spitale è improvvisato Vegliar vogliamo ai mesti lor giacigli, Curare le ferite del soldato, Dividerne le angosce ed i perigli, Fra un esalar mefitico che il fiato Toglie, e morir li fa, poveri figli! Esule della Senna, ti consola Che la tua madre là non piange sola; Piangon con lei quante di madre han core, E piagne Italia di più vivo amore, Perchè, i torti oblïando, a Solferino Cadeva il Franco all' Italo vicino. Noi sarem teco se le tue pupille Ricercheran de' tuoi parenti invano, O le riempie di più amare stille Il desiderio del tuo suol lontano, Quando a un messaggio, allegrator dei mille, Invano stenderai la scarna mano. Fra i vari scritti chiamar s' ode un nome, Ed il silenzio fa rizzar le chiome!… Ahimé, che di quel foglio nel desiro, Un ferito esalò l' ultimo spiro!… Quella pagina, oh Dio, di madre cara, Forse a lei torna… di sua sorte ignara! Tu della Sprea men sventurato figlio, Che langui sì, ma vincitor fra i tuoi, Perchè ci guardi con severo ciglio, Ed infelice meno esser non vuoi?… Dimmi, voi tutti all' ora del periglio La patria richiamò fra i prodi suoi? (1) Per le leggi della Prussia ogni cittadino è soldato. Miseri!…, e padre, e figli abbandonàro Quanto essi al mondo avevan di più caro; Nè da quel dì che vi colpìa la sorte, Nunzio a te venne… e il primo fia di morte!… Di tre che voi partiste per la guerra, Tu solo rivedrai la patria terra! E jeri ancora sotto ciel stellato, Fra il romorio delle accampate genti, Alle sponde del Reno invidïato, Causa fatal di più fatali eventi, Desïoso di gloria ogni soldato Cantava la canzon dei combattenti. Poi come nubi da uragan portate Si scatenàr le schiere forsennate; Foco era l' aere dei cannoni al lampo, E in cimitero fu converso il campo!… Poveri figli di nemiche squadre, Fu la patria con voi barbara madre! Italia che ben sa come si piange I suoi campioni, e il proprio onor ferito, O voi Francesi, ella ben più compiange, E il vostro esizïal, vedovo lito!… D' un incerto domani ella pur s' ange, Chè il latino valor vede avvilito! Prodi Alemanni, ogn' Italo vi guarda, Vi ammira, e a voi simile esser gli tarda: Ma col rispetto gli fate paura, Siccome all' egro, che spettri affigura!… Fida Italia in quel dritto delle genti Che a voi fu scola per oprar portenti.