DEI MODERNI ROMANZI
MEMORIA
DI COSTANZA MOSCHENI
SOCIA ORDINARIA DELLA R. ACCADEMIA LUCCHESE
LETTA NELLA STESSA R. ACCADEMIA
IL GIORNO 19 LUGLIO 1828.

Inserita nel Tomo secondo della Pragmalogia Cattolica.

LUCCA
TIPOGRAFIA DI JACOPO BALATRESI
1828

Signora

Un pubblico attestato di stima e di venerazione, proveniente da una che Voi onorate col titolo di vostra amica, non vi può, o Signora, recar meraviglia. Avvezza, come io sono da lungo tempo, a dividere l' ammirazione che nutrono per Voi tutti gli animi gentili e bennati, incontro con gioia l' occasione di testificarvela con un' offerta, che sebben tenuissima, non sarà, pel suo argomento, immeritevole della vostra attenzione, e che a Voi precisamente è dovuta. Voi, ricca di talenti e di lumi superiori d' assai al vostro sesso; Voi, moglie ottima, madre saggia ed illuminata, pervertita non siete da quelle moderne perniciose massime contro le quali io scrivo; ed è per questo, che il mio lavoro debb' esservi consacrato. Esso ha un valido titolo alla cortese vostra accoglienza nell' approvazione di S. E. il Signor Marchese Cesare Lucchesini, al cui esame lo sottoposi, e del quale è mia vera ambizione seguire i suggerimenti. Esso mi ha incoraggita, riputandolo non inutile, e degno della pubblica luce. Ciò mi assicura del gradimento dei Saggi, e mi da forza onde aspettare, senza turbarmi, le critiche di coloro che altrimenti pensassero.

Il momento in cui il mio cuore vi dà una prova de' rispettosi veracissimi suoi sentimenti, è per me un momento di verà esultanza, nè sarà eguagliato se non da quello in cui vedrò, e spero che ciò sarà in breve, pubblicati i vostri bei versi, e il Vostro Nome posto accanto di quelli del Caro e del Beverini.

Di Voi, o Signora

Devot. Obbl. Serva ed Amica
Costanza Moscheni.

La moltitudine dei Romanzi, che qual fiume riboccante, dalle oltramontane nazioni, è venuto ad inondare ai giorni nostri l' Italia; la seduzione che proviene dalla massima parte di questi libri, a danno gravissimo della gioventù, e a notabile decadimento del buon costume, e di quelle massime austere, di che fregiaronsi i nostri Padri, mi ha determinato a fare, per quanto concedono gli scarsi miei lumi, accurata indagine, primamente sul veleno che sotto il manto di virtù ascondesi in tali scritti, e sugli effetti da questo produtti, quindi a ricercare qual ragione movesse alcuni scrittori ad intrecciare il favoloso col vero, scegliendo a loro subietto personaggi e avventure istoriche, benchè romanzescamente foggiate, e di questi pure sovra i difetti e sovra il danno discutere, e veder quindi se toglier debbansi di mano alla gioventù, e di qual mezzo sia utile valersi per giungere a tanto scopo.

Non dirò già che non vi sieno romanzi la cui lettura riuscir possa piacevole ed innocente, ed alcuni ancora che in molte cose vagliano ad istruirci, benchè il Sapere a fonti più certe attinger si debba, ma il numero di questi è si scarso, che posti a confronto della moltitudine degl' inutili e pericolosi, rassomigliar si possono a poche stille di acqua, gittate nella piena di un fiume. Fenelon, e Barthelemi, uomini grandissimi, uno con le avventure di Telemaco, l' altro coi viaggi di Anacarsi, hanno saputo, dilettando, profondamente istruire. Ma troppo dissimili da queste loro opere, e da pochissime altre, sono quei libri, che sopra oggetti affatto immaginarj, prendendo ad argomento la vita privata degli uomini, e penetrando nè più segreti nascondigli del cuore, tessono veramente la storia delle passioni, raggirandosi principalmente intorno ad amori, e col dilicato maneggio della più seducente e pericolosa fra le tendenze del cuore umano, trascinano i leggitori in massime erronee, ed al buon costume fatali. Ognun vede da quanto ho detto, che non penso io già di comprendere fra i romanzi ogni sorta di favolosa invenzione, come quelle che furono dai poeti innalzate all' onore dell' epica tromba, e di manto eroico vestite, o che al tragico teatro han dato argomento. Nessuna, in somma, di quelle che non sono generalmente conosciute sotto il titolo di Romanzo.

Se a prima giunta in tutta la sua difformità il Vizio si appalesasse, rifuggirebbe da lui non solamente l' uom virtuoso, ma addietro rabbrividiti balzerebbero i pessimi; quindi è che quasi minor male è da temersi da que' libri, manifesti predicatori del vizio, che da que' tali altri che vestiti del manto della virtù oppressa e infelice, hanno poi per vero, ed unico scopo, il trovar modo di scusare la colpa. Il Vizio, per quanto vestasi di vaghissime spoglie, non può mai diventar virtù. E per virtù intender debbesi quel nobile sentimento che inspira l' uomo a regnare sulle proprie passioni, ad anteporre l'Onesto all' Utile, e siasi pur questo grandissimo, che fa tener sacrosanti i proprj doveri. Quello, infine, che ci porta spontaneamente a detestare la crudeltà di un Nerone, i misfatti di un Caligola, di un Eliogabalo, ad ammirare ed amare un Tito, un Antonino, benchè nulla, nè da quelli temere, nè da questi sperare possiamo. E che a sviluppare e ad alimentar la virtù nel cuore dell' uomo, sieno sovra ogni altra cosa valevoli i familiari domestici insegnamenti, le gesta di uomini virtuosi, vedute, lette, o udite narrare, chiaro lo mostra l' esempio dell'Antichità e la moderna nostra esperienza. Guidavano i Greci al tempio i loro giovani figli ad adorare viziose Deità, ma sempre, parlando loro, vituperavano il vizio, divina cosa dicevano la virtù. Tacevano sulle colpe dei loro Numi, e la giustizia d' un Aristide, la continenza d' un Socrate, l' amor patrio d' un Epaminonda, eran subietto dei loro trattenimenti; quindi ne sursero popoli virtuosi. Lo stesso dicasi dei Romani, cui non mancarono in ogni tempo modelli sublimissimi; onde ne vennero quelle Virginie, quelle Tuzie, quelle Calfurnie, che porgevano incensi a Venere, perchè ciò era per esse dovere di religione, ma custodivan magnanime, il tesoro di donna, la castità. Quindi quei figli, che taciti porgevano il collo alla scure vibrata dalla mano paterna, e che pur fede riponeano in Giove, oltraggiatore del proprio Padre. Gl' intrepidi conquistatori del mondo sacrificavano al Dio Timore, ma prestando culto a quanto loro imponea la religiosa credenza, cercavano lungi dall' are esempj all' oprar loro. Questa stessa verità chiara si scorge fra noi; noi veneriam la Virtù sugli altari, eppure siam costretti a piangere frequentemente su i funesti effetti di educazion trascurata, di perniciosi insegnamenti, di libri scorretti.

Ma se la Virtù è ciò che primamente negli uomini debbesi bramare, e se, come vedemmo, abbisogna essa di stimoli e di esempio, questi, dal Saggio, debbonsi sovra ogni altra cosa alla gioventù procurare. Veggiamo adesso se la lettura dei romanzi possa a tanto importantissimo scopo giovarne, o almeno non essere di nocumento. Havvene di questi grandissimo numero, che, dopo aver mostrato contrasto di passioni, alternare di virtù e di debolezza, presentano poi delle catastrofi, delle quali la buona morale insegna a rifuggire ogni immagine. Non mi diffonderò sopra questi, non essendo mio divisamento di convincer coloro che dansi ad intendere legger quei libri per istruirsi, mentre non cercano in verità che il loro diletto, e mentiscono a loro stessi quando dicono di trovar utile quella lettura; sono le loro passioni che parlano, non il vero lor sentimento, e gittata opera è quella, intesa a convincere la volontà. Risponderò solo ad una proposizione, che essi tutti gridano ad una voce, cioè; che se incontransi in que' libri cose inutili o pericolose, vi si incontrano eziandio massime di squisita morale, sentenze meravigliose, delle quali sol' una basta a compensar molte pagine che vote ne siano. Io risponderò loro; essere impossibile alla gioventù, che è quanto dire a coloro che più di tai romanzi dilettansi, lo scegliere fra la moltitudine di cose che commuovon gli affetti, seducono, affascinano l' animo, quelle poche, che esser vi possono, sparse quà e là, utili massime e dirette all'Onesto. Uomini illuminati da lunga esperienza, dottrina profonda, e radicata virtù, possono soli trarre a profitto la lettura dei cattivi libri, e, come quell' Antico, sceglier le perle tra le fecce di Ennio. Non esservi stato mai uom così pessimo, che non avesse qualche virtù morale. Gli Epicurei fra gli antichi, Voltaire e Rousseau fra i moderni, furono di questo numero. Pure, qual padre, qual saggio padre affiderebbe alla custodia di questi i suoi giovani figli? Si appagherebbe egli di quelle poche virtù, o non temerebbe piuttosto gl' irreparabili danni, che da tanta falsità di principj son minacciati? Non per questi adunque, ma per coloro io parlo, che con reto animo, ottima riuscita bramando alla gioventù, portano opinione che il legger romanzi, purchè in essi nulla di indecente si trovi, sia lodevole cosa. Questa classe di uomini, e per le eccellenti intenzioni sue, e per lo fatale inganno in che giace, io vorrei persuadere.

È opinione adunque che gli onesti romanzi possano utilmente leggersi, perchè in essi si scorge sino a quali infortunj porti sovente l'eccesso delle passioni; perchè vi è di frequente intrecciata la religione; perchè si impara sino a qual punto giunger possa talvolta l' umana scelleratezza, e finalmente, perchè con vaghissime descrizioni, col dipinger sì al vivo il cuore dell' uomo e le bellezze della natura, danno innocente diletto, ed istruiscono al tempo stesso.

Affinchè il leggitore pervenga a vedere i funesti effetti delle sregolate passioni, che ne sono la punizione, conviene che egli accompagni l' Eroe del romanzo nella carriera che esso percorre. Le virtù più brillanti e più care, i più dilicati pregi del cuore, sono la ordinaria dote del protagonista d' ogni romanzo. Quindi è che il leggitore comincia sin dalle prime pagine a innamorarsene tanto, che veggendolo poi abbandonarsi a seduttrice passione e divenir delinquente, non può cessar dall' amarlo, non può a meno di non compatirne la debolezza, di non iscusarne la colpa, cosicchè ancor questa a poco a poco gli diviene amabile, e ciò che in altri compianse e compatì, finisce poi col compatirlo assai più facilmente in se stesso. Gittiam lo sguardo per un momento sulla Matilde di Mad. Cottin. Io scelgo questo, perchè onesto, perchè in esso non trionfa il delitto, perchè è nelle mani di tutti, e perchè nella parte sentimentale ne ha moltissimi di somiglianti. Non può una Donzella essere immaginata, nè più pia, nè più virtuosa; santo è il fine per cui ella va in Siria, decoroso il modo, perchè col Re e con la Regina d' Inghilterra, fratello e cognata sua; riservata è nel contegno, innocentissima di costumi; degna insomma di que' sacri veli ne' quali si avvolge, come già iniziata nella vita monastica. Un principe Turco se ne innamora; essa internamente gli corrisponde; ma, come virtuosa, soffoca lungo tempo la sua passione. Il caso poi, la guerra, stranissime circostanze, congiurando contro di lei, eccola alfine, onesta sì, ma palese, ma perduta amante di Malek-Adel. La venustà dello stile, la vaghezza delle descrizioni, e quel ch'è più, l'espression vivissima de' più teneri sentimenti del cuore, sono un fascino così potente, che leggendo quel libro, noi siam costretti a confessare con Mad. Cottin, che colpa no, ma disgrazia, è l' esser preso da simili lacci, e che quando la passione è sì forte come quella fu di Matilde, non vagliono le armi della ragione per esserne vincitori. Ecco il primo frutto della lettura di un tal romanzo. Ammessa una volta l' onnipotenza delle passioni, menomata contro di esse la forza della ragione, eccole tutte giustificate, ecco tolto il rimorso a chi ad esse si abbandona. Ognuno, che posto sia in simile caso, riguarderà sè come disgraziato, e, ponendo la sua passione nel numero delle invincibili, deporrà ogni pensiero di sradicarla. Si dirà adesso, che se il cuor di Matilde fu vinto, l' uom che a lei piacque, benchè Barbaro di nazione, benchè a lei opposto di religione, era però veramente un eroe. E per vero dire, nel carattere di Malek-Adel ha saputo Mad. Cottin unir tanti e sì rari pregi da renderlo ammirabile a' suoi stessi nemici; e siccome è difficilissimo trovare un uom simile, così è quasi impossibile trovar chi sia, nella sua debolezza, al par di Matilde giustificato. Ma non è forse vero che le passioni, simili a vetri colorati, comunicano il lor colore a qualunque oggetto che a traverso di essi mirare si voglia, e che quando impadronite si sono del cuor dell' uomo fanno ch' egli non veda più le cose quali esse sono realmente, ma sibbene quali ei le vorrebbe? Coloro che, posti nel caso, leggano la Matilde, riguardando poi a traverso quei vetri l' oggetto de' lor pensieri, lo troveran virtuoso e degno d' amore, quanto Matilde e Malek-Adel il fossero, se non più ancora, e terranno sè pienamente giustificati. Matilde però è donzella onestissima, e invano congiurano contro di lei gli avvenimenti più strani e pericolosi. Fuggitiva con Malek-Adel, smarrita per i deserti, essa è sempre la virtuosa Matilde. Imparar si dovrebbe da questo a rendersi forti nella virtù, per valersene all' uopo; ma siccome ciascuno si erede di questa abbondantemente provvisto, così è assai più facile che i leggitori imparino a rendersi temerarj, senza riflettere che Matilde è personaggio immaginario, e che tutto quanto le avvenne fu studiato dall' autrice per dar risalto alla sua virtù. Non avendo nella condotta di Matilde e di Malek-Adel ammessa colpa veruna, la morte di quest' ultimo, che s' incontra sul finir del romanzo, e che tenuta esser dovrebbe per una punizione di quell' acciecamento, non fa che interessar maggiormente a loro favore, poichè dove non è colpa non può esser pena, o questa sarebbe ingiustissima. Ciò che quel romanzo, e moltissimi a lui somiglianti, lasciano nel cuore di chi gli legge, è un' agitazione di affetti, che congiunta ad infiammata immaginazione, alla imitazion prepara di quelle deliziose follìe. Nè a togliere questo effetto bastanti sono quelle poche pagine di snervata morale, con le quali han fine spesse volte i romanzi, poichè troppo forte è la prima impression ch' essi han fatto. E che ciò sia vero, lo prova il plauso stesso che que' libri, e segnatamente la Matilde hanno riscosso da tanti. Poichè, se i leggitori ne avessero giudicato con la guida della fredda ragione, sdegnati sarebbonsi, anzichè interessati a favore di una donzella cristiana, di regio sangue, qual' è Matilde, che, spontanea già dedicatasi alla vita del chiostro, dimentica poi il dovere impostole dalla religione, la dignità dello stato che già si elesse, e, poichè non potè difendersi dalla sorpresa di una prima impressione, invece di soggiogar nel suo nascere quella passione illecita, si lascia trascinare da un Barbaro, se non nel precipizio, almen sugli orli di esso; e conosciuto avrebbono qual funesto esempio può esser quel di Matilde. Assai più vi sarebbe che dire, ma tanto basti contro la prima proposizione.

Veggiarno adesso qual effetto produca nei romanzi l' essere ad essi intrecciata la Religione. Dubbio non havvi, che ove la religione, anco nei favolosi componimenti, venga opportunamente applicata, comparir non possa con suo decoro e produrre grandi ed utilissimi effetti; ciò si riscontra particolarmente nelle composizioni di genere eroico. Ma, se la religione frammischiata venga a basse familiari avventure, a ciò che i moderni chiamano intrighi, o raggiri di società, a giovenili vaneggiamenti, a stranissime fole, conserverà essa sempre il suo maestoso contegno, sarà sempre intatto quel suo augusto carattere di verità? Non venga il Nume, diceva il Venosino maestro, non venga il Nume a sciogliere un nodo che di lui non e degno. Troppo è da temersi che la religione, abbandonata alla fantasia del romanziere, invece di sollevare a maggiore altezza il romanzo, non vegga posta a repentaglio la propria sua dignità, e divenga oggetto men venerando, se non pur languido e indifferente. A me pare, che gli stessi più decantati romanzi provino che quasi sempre questo è l' effetto prodotto da un tal miscuglio. Io non oserei giammai proferire, se non con senso di venerazione, il nome celeberrimo del Pindaro dell' Italia. Ma poichè altri, molto maggiore di me, lo ha proferito facendo l' analisi critica del suo romanzo « I Promessi Sposi » io, applicando qui l' altrui, già pubblico sentimento, oserò dire che il suo D. Abbondio e una prova di quanto dissi finora. Le particolarità della sua figura, del suo colloquio coi Bravi, della confidenza ch' ci ripone nella fedele Perpetua, del suo timore, sono maestrevolmente descritti; ma il suo carattere ci presenta egli l' idea di un venerando membro dell' Ecclesiastica Gerarchia, o non piuttosto quella d' un uomo abiettissimo, che giunge perfino a chiamare stolti coloro che per difendere l' innocenza all' ira si espongono dei potenti? Taluno ha voluto credere che abbia pensato l' autore di dare in D. Abbondio un soggetto di riso, e che sia fors' anche il ritratto fedele di qualche misero uomo; ma lo scrittor di quel libro è troppo al di sopra di così basso pensare; egli non avrebbe giammai scelto ad argomento di ridicolo un ministro della religione. Il difetto sta nella natura della cosa medesima, cioè che la religione addomesticarsi non può giammai con frivole cose. Nè giova che in altri casi incontrinsi ne' romanzi dei sacerdoti posti sotto decorosissimo aspetto e che edificar possano e servire di utile esempio. Un sol motteggio, che provocato venga a danno della religione, non può essere riparato da mille encomj dei romanzieri. Il signore di Chateaubriand, con una immaginazione la più ricca e feconda, con uno stile che forse non ha l' uguale, imprese a provare la verità della religione cristiana, e vi intrecciò delle favole, da lui espressamente composte per contribuire al suo scopo; e scrisse un lungo poema ad apologia della religione medesima. Ma osservar si potrebbe che sebbene il suo Renato, la sua Atala, i suoi Martiri ornati sieno delle più meravigliose bellezze non ottennero forse tutta l' approvazione dall' oracolo del Vaticano, benchè nulla pronunziato fosse contro di essi. Essa è troppo al di sopra di ogni invenzione di questo genere.

Osserviam poi se i romanzi sieno essi utili, perche mostran sovente sino a qual punto giunger possa l' eccesso dell' umana scelleratezza. Io già dissi, fin da principio, che l' uomo è portato ad aborrirla naturalmente. Se utile poi si suppone a raffrenare il vizio, consideriamo qual effetto producono sugli spettatori certi orribili fatti che sul teatro si veggono, come sarebbono, Medea che trucida i figli, Clitennestra che trafigge il marito. Orazio fu di parere che il primo di questi sbandir si dovesse dalle pubbliche scene; i critici moderni hanno rimproverato al Sofocle Astigiano il secondo. E, veramente, sia pur malvagia l' umana stirpe, convenir dovremo che tai delitti sono ai tempi nostri rarissimi, e però rarissimo debbe essere che lo spettatore trovando se stesso copiato in quel perfido personaggio, si trattenga dal porre ad effetto le sue criminose intenzioni per l' orrore che allora ne concepì. Ma se non vi assistono, nè Medee, nè Clitennestre, femmine essere vi potrebbono, che dei loro doveri facciansi l' ultimo loro pensiero, e queste, veggendo che donne vi furono capaci di tanto peggio, partono dal teatro contentissime di sè medesime. Lo stesso dicasi di una lettura, e di ogni genere di delitti. Di tutto ciò non rimane che un terrore, una interna commozione che a nulla giova. Se poi si reputano vantaggiosi, perchè da essi impareremo a vigilare ed a guarentirci dalla perfidia de' nostri simili, supposto ch' essi sien tali, quai sovente nei romanzi s' incontrano, noi potrem giungere a diffidar d' ogni amico, d' ogni congiunto; ad accostar tremando ad ogni tazza le labbra, a vivere insomma più tormentati di Damocle, ma non sarem più sicuri di quel che prima lo fossimo. In troppe maniere posson nuocere gli scellerati, ed è quasi impossibile trovar due delitti perfettamente compagni. Se però discorde fu sin quì il parer mio da quel di coloro che i romanzi difendono, trovomi ora costretta a confessare che per un lato essi han ragione. Quelle descrizioni fatte sì al vivo di quanto di bello, di meraviglioso può offerire all' uomo lo spettacolo della natura, sia nell' aspetto suo più ornato e ridente, sia nella sua più grande magnificenza, nuocer non possono in modo alcuno, anzi or una, or altra cosa ivi si impara, e un diletto ne proviene tutto innocente. Lo stesso dicasi di que' costumi di antichi o remoti popoli, di quei caratteri, di quelle moralità, di quelle tempeste di spirito dipinte sì al vivo e con sì maestro pennello, che siam tentati di non più dar fede alla parola romanzo, ma di crederle vere. Cose son queste sommamente pregevoli ed utili; non son però bellezze proprie di questo genere di composizione, che anzi è deplorabile a considerarsi, come siasi logorato l' ingegno di tanti per innestare idee sublimi, immagini meravigliose, alle più misere fole. Il Romanzo non ha di suo proprio che il favoloso intreccio, ove, più o meno copertamente, si tratta l' amore con arte e per magistero, ove i trasporti, le stravaganze, le gelosie, i raggiri d' amore sono ingegnosamente rappresentati. Tutto ciò che vi è di istruttivo è cosa straniera a lui, ch' ei prende da altri per abbellirsene, e ad altri adunque, e non a lui, ricorrer si deve per esserne addottrinati. Oltre di che sono esse nozioni incerte, staccate, non di rado ancor false, e, per dir così, tanto mescolate tra i fiori, che, lungi dall' istruire, rendono il leggitore nauseato d' ogni studio men dilettevole. In fatti osserviamo che coloro che piaccionsi di romanzi, son pure d' ordinario parteggiatori dei nuovi metodi, che accorciano, o cangiano in oggetto di passatempo la via del Sapere, come sarebbono i Compendj, le Analisi, i Dizionarj e tanti libri ed opuscoli, che promettono assai più di quel che mantengono, e dai quali, moltissima presunzione diriva, ma poco o nulla s' impara. Quanto poi ad ammirarne la verosimiglianza, e a trovar pregevoli e care le cose che essi contengono, appunto perchè sembrano vere, io dirò che il linguaggio di chi parla così, è il linguaggio dell' uomo, che involontariamente e senza pure avvedersene, confessa che il Vero, il Vero soltanto è quello che più d' ogni fola diletta. Questo amore di verità, questa soddisfazion che si prova nell' incontrarla anche in mezzo alle favole, fu conosciuto da persone d' ingegno, ma non ne fu dedotta la conseguenza che dedurre se ne doveva. Poichè, se brama di conoscere i costumi, gli usi, la religione di antichi, o lontani popoli, il carattere degli uomini posti nelle diverse condizioni della vita, gli effetti che producono sul loro spirito, l' odio, l' ambizione, l' amore; a quai pericoli esponga la prosperità, a quali altri lo avvilirsi negl' infortunj; qual sia ne' difficili casi il partito cui l' uom saggio deve attenersi; se questo, io dico, è ciò che anima la miglior porzion di coloro che leggon romanzi, perchè non doveasi tentare ogni mezzo onde convincerli, che l' Istoria è quella che sola può essere di ciascuna di queste cose perfetta maestra? E quindi suscitare scrittori di vite d' uomini illustri, di Storie, che per la loro lunghezza non isgomentino chi imprende a leggerle, e nelle quali alla istorica fedeltà, al criterio, alla buona filosofia, si trovin congiunte ricchezza di erudizione ed eleganza di stile? e a coloro che di varietà sono amanti, perchè non piuttosto la lettura insinuar di Viaggi, che istruiscano e dilettino al tempo stesso? Ciò non fu fatto: non si osò presentare alla Gioventù un nappo, i di cui orli fossero meno aspersi di miele, e, disperando di poter giovare se si escludevan le favole, per la temuta opinione che dominava a favor dei romanzi, fu giudicato miglior consiglio il blandirla, e non togliere i romanzi, ma sibbene avvicinarli al vero, scegliendo ad argomento personaggi istorici, e intrecciando poi alle loro avventure, favolose invenzioni. Di quì vennero i romanzi storiei. Ma questi, lunge dal giovare, nocquero più che mai, poichè, pel favoloso intreccio che gli sostiene, vanno soggetti a tutti gl' inconvenienti degli altri romanzi, e gettano poi sull' Istoria un' incertezza sommamente dannosa. Infatti, tra quella confusion di fole e di verità, chi può discernere sin dove giunga la fedeltà dell' istorico, ove le fantasie comincino del romanziere? e fra tanti che ve ne sono, quali sono i veri, quali gl'immaginarj. Già i dotti condannarono altamente questo genere di miscuglio; ma intanto i romanzi storici sono avidamente letti, acquistan fama, se ne moltiplican gli scrittori. E se già d' ora essi sono dannosi, ora, che per la vicinanza dei tempi, possiamo per altra via rintracciare la verità quanto non saranno essi dannosi alle venture generazioni? Chi involse in tanto ingombro di favole la storia di Carlomagno, se non coloro che celebrar vollero ed abbellire le eroiche gesta dei Paladini di Francia? e chi fra tanto cumulo di stravaganze, potrebbe oggi rinvenir pura la verità? Lo stesso effetto produr debbon col tempo i nostri romanzi storici. E ciò che havvi di più singolare e funesto si è, che i più ingegnosi, più ornati, quelli scritti da più celebri autori, maggiore cagioneran questo danno. La vaghezza del loro stile, la più ricca supellettile di erudizione, vivere gli farà maggiormente, farà che sieno più letti, e la fama di chi gli compose acquisterà loro fede maggiore.

Altra ragion che si adduce a favor dei romanzi è, che, essendo pur necessaria un' amena lettura la quale diverta l' animo di coloro, che da faticosi studj, da gravi affari, han talvolta bisogno di ricrearsi, poichè fa d' uopo rallentar l' arco quando per lunga pezza ei fu teso, e che questa sorta di lettura piacendo generalmente, non si può escludere, senza essere troppo severi.

Su questo punto io osserverò, che non la gente operosa, non coloro che immersi sono in istudj profondi, non coloro, cui circonda e tedia moltitudin di brighe e di pensieri, ma gli oziosi bensì, e i più amanti di molle vita, son quelli, che più degli altri, in ogni tempo, alla lettura dei romanzi si abbandonarono. I Greci non gli conobbero che sotto il regno dei successori di Alessandro, ove però si escluda la Ciropedia di Senofonte, opera disputata cotanto, ma che, posta ancor fra i romanzi, non è certo del genere di quei moderni che io tolsi ad esaminare, ma collocar si deve fra quei pochi ed ottimi che io misi a parte sin da principio. Antonio Diogene, che scrisse gli amori di Dinia e Dercille, fu posteriore ad Alessandro. Ebbero bensì delle favole, ma queste, e per la loro brevità, e per tanti altri capi, troppo differiscono dal Romanzo. Dunque la Grecia per più di diciotto secoli, che quelli comprendono della sua gloria, delle sue fatiche, non n' ebbe alcuni. E ne' più bei tempi della Greca letteratura, quando lo spirito di emulazione facea che tutti studiassero di trionfare con la novità, non trovò applauso il Romanzo, nè gloria fu creduta quella di divenirne autore. Le Favole Milesie e le Jonie, che, nate fra popoli voluttuosi, di amori e di piacevoli oggetti trattavano, furono le prime cose in questo genere, che dai Romani fossero conosciute: e ciò avvenne a tempo di Silla, quando Sisenna presentò loro le prime di queste, trasportate nell' idioma del Lazio. Se esse non erano romanzi, ne erano però, in certo modo un' immagine, e i molli Sibariti le accolsero con tanto entusiasmo, che divennero ben presto essi medesimi autori di licenziose ed oscene Favole, che distinte furono col nome di Sibaritiche. Divenuta la Grecia provincia romana, quando le Greche lettere ornamento furon di Roma, e nei successivi tempi, e, segnatamente sotto gl' Imperatori, uomini distinti nelle lettere a questo genere di composizione si dedicarono. Tre successivamente, lavorarono intorno alla famosa favola dell' Asino d' oro. Jamblico Siro scrisse gli amori di Rodane e Sinonide; Eliodoro, quelli di Teagene e Cariclea; Achille Tazio, que'di Clitofonte e Leucippe; Longo, celebrò Dafni e Cloe. Senofonte Antiocheno, gli Amori, sotto il titolo di cose Babilonesi; Senofonte Efesio, scrisse le avventure di Abrocome e di Anzia, e il terzo Senofonte, cioè quel di Cipro, sotto il titolo di Cose Ciprie narrò le vicende di Cinira, Mirra e Adone. Caritone, Eumasio, Niceta e qualche altro batterono la carriera medesima. Ma tutti questi romanzi, e per lo stile e per l' invenzione, fanno vedere la decadenza in cui erano venute le lettere nelle due più dotte nazioni del mondo.

Obiettare adesso mi si potrebbe, che, convenendo ancora essere inutili e pericolosi i romanzi, quando un male è sì esteso, difficilmente dà luogo a rimendio. A me pare che due mezzi vi sieno da tentarsi per ottener tale scopo. Il primo si è, provare la necessità di escludere questa lettura; il secondo, l' osservazion del passato. Quando si è convinti essere una cosa di assoluta necessità, non havvi ostacolo che vincere non si sappia. Su questo punto io mi varrò di quanto ne lasciò scritto il Conte Roberti, religioso dottissimo della compagnia di Gesù. Egli, nel suo trattato dei libri di divertimento, dopo aver paragonato la indole fiera e laboriosa dei nostri Antichi, con la elegante mollezza del nostro secolo, dopo aver trattato il problema, se più vantaggio, o più danno abbia recato la stampa, viene a ragionar dei romanzi. Gli divide egli in due classi; nella prima comprende i licenziosi, nella seconda i vani; dei primi asserisce doversene affatto proscrivere la lettura; dei secondi non doversi leggere che parcamente; per vani però ei non intende già quelli che risvegliano ed accendono le passioni; e quelli ch' ei dice vani permette che leggansi in qualche breve momento di ozio, purchè questa sorte di ozio non divenga un' occupazione, e non sia mai che l' animo si snervi per tali blandizie, o che un solo istante venga rapito all' adempimento de' propri uffici. Egli concede questo pei romanzi vani, pei licenziosi non mai. Imperocchè questi con l' ornata pittura dei delitti, ma di delitti piacevoli, ingenerano e nutrono l' effeminatezza, risvegliano le passioni, avvivano la facoltà del reo immaginare, diminuiscon la forza del virtuoso resistere; e più dannosi sono di assai delle indecenti pitture, poichè non v' è recondito nascondiglio ove non penetrino, ed esagerando la felicità proveniente dalle molli passioni, fanno dimenticare le amarezze, i rimorsi che ne sono inseparabili. Peggiori, ei gli dice, dei malvagi compagni, poichè questi, nè sempre aver si possono seco, e perchè, in mezzo ai loro stessi disordini, capaci son pur talvolta di onorata vergogna della loro stessa licenza, sia perchè mossi dall' altrui buon esempio, o dai principj di educazion costumata. Perchè infine esser non possono nè sì eloquenti, nè sì ingegnosi a persuadere il male, siccome un libro lungamente studiato da chi lo scrisse. Prova poi la falsità di quell' obiezione che si fa dagli uomini di mondo, dedotta dalla propria insensibilità a certe lusinghe, prova pur l' incoerenza del discorso tenuto da alcuno di questi. Quanto ai secondi, vale a dire ai vani, confuta maestrevolmente l'Apologia che altri ne ha fatto; mostra quai fossero veramente coloro che sì decantano per grandi uomini, e insieme scrittori di romanzi; confessa darsene alcuni di utili, ma in piccolissimo numero; darsene altri dilettevoli e non perniciosi, ma che pure legger si debbono parcamente, perchè se è lecito sollevar l' animo, lecita non è mai, nè la perdita del tempo, nè la dissipazion degli affetti. Dopo aver tenuto il linguaggio di uomo dottissimo, egli assume quel di Cristiano, condannandogli in generale come dannosissimi alla religione. Sin quì il padre Roberti.

La necessità di togliere affatto i romanzi di mano alla gioventù si può dedurre eziandio dall' esaminare ciò che essa vi può imparare. Per veder questo, immaginiam di raccogliere tutti insieme quanti romanzi sono in voga ai dì nostri. In questa Biblioteca, che riuscirebbe vastissima, ponghiamo un giovine, onde a suo bell' agio vi si erudisca. Quando egli sarà pervenuto a leggerli tutti, facciam ricerca di ciò che vi apprese. Certo che noi lo troveremo più gajo, più disinvolto di quel che vi entrò, non più rozzo ne timido, ma pronto ed atto a brillare nella gentil società di giovani e vivaci persone, aver già scossa da se la polvere del Collegio, aver apprese massime di amore, di galanteria, conoscere per teorica le bizzarrie tutte di amore, che il fan voglioso di riscontrare se sia vero quanto ne lesse; ma per le cognizioni, che ornamento e dote son dello spirito, avrà qualche idea di Storia, di Cronologia, di Geografia, o d' altre scienze, ma queste imperfette, sconnesse; spesse volte non giuste, ed atte ad infonderli pretension di sapere, e a persuaderli che più non abbisognano a lui gli studj lunghi e faticosi, ma non a renderlo colto giammai. Oppresse dalla moltitudine delle cose lusinghiere e piacevoli, resteran pure quelle poche lezioni di fredda morale che, leggendo, di tanto in tanto incontrò. In somma, tra una folla di frivolissime leggiadrie, convenir dovrassi che contraffatta è la sua ragione, guasta la mente, corrotto il cuore, poste in tumulto le sue passioni, e che altro non gli manca che appagar la sua avida brama di porre in pratica quella pericolosa dottrina, abbandonarsi alle sue passioni, scusandole sempre, ed esser fatale ad altri e a se stesso.

Funesto esempio di questa verità è l' orribile fatto accaduto recentemente in Milano. Benchè sia esso noto abbastanza per varj scritti resi di pubblica ragione, io credo utile il ricordarlo, onde inspirare ai padri e alle madri un orror salutare, e renderli vigilanti sulle letture dei proprj figli. Que' due sciagurati amanti che contemporaneamente commisero l' orribil suicidio, non per altra ragione giunsero a quell' eccesso, che per una violenta esaltazione di mente prodotta dai romanzi, loro favorita lettura. La loro condotta, la storia dei loro amori, la epistolare corrispondenza, le circostanze della lor morte, e fin le lodi, lodi obbrobriose, che hanno ottenuto da pochi, simili a loro, tutto è prova di questo. Claudina Mariani, che così chiamavasi quella traviata femmina, sarebbe ancora sposa e madre amatissima, se dai romanzi non avesse imparato esser l' amore una fatalità; essere innocente una passione, quando per essa non si scende ai più vili delitti, e molte altre infernali massime, che insensibile la resero al grido della coscienza, alle minacce della religione. Trascinata da questi falsi avvelenati principj, essa ascoltò, e corrispose coll' entusiasmo tutto del cuore, l' illecito amore di un giovine, che, appassionato anch' egli per le romanzesche letture, tutto crede che sia permesso, ciò che vien comandato da una irresistibil passione. Il titolo di moglie per Claudina non è più sacro; essa chiama sposo l' amante suo, e n' è in contraccambio chiamata sposa. Il romanzesco loro delirio prova la depravazione dei loro principj. La donna si crede e si vanta pura e innocente, mentre confessa che ottimo è il suo consorte e infelice unicamente per cagion sua; invita l'iniquo amante a celesti nozze nel Cielo, e crede che Iddio benedirà questo amore così illibato. L'uomo accetta l'invito, e si prepara a tali nozze con festa. Nè per meditar posatamente e preparare il delitto, si diminuisce l' orribile frenesia. Non è possibile considerar senza fremere la gioia e la tranquillità con cui si avvicinano ad una morte che toglier dovea loro sin l' onor del sepolcro, e condannar doveva la loro memoria ad infame celebrità. Assistono prima ad un Dramma allusivo alle loro stesse passioni, indossano i respettivi lor doni, si invitano alle beate nozze, si abbracciano e muojono.

Io non so qual madre, qual padre, non debba rabbrividire ad esempio così funesto. Questo dovrebbe bastare per far, non solo proibire affatto i romanzi alla gioventù, ma, come vorrebbe il Padre Roberti, purgarne le case, le biblioteche, e gittarli animosamente alle fiamme.

Vista in questo modo la necessità di non legger romanzi, nè volendo essere tanto austeri con la Gioventù, da interdirle ogni onesto sollievo, a me pare che nella osservazion del passato, rinvenir si possa un raggio di luce, capace di additarne ciò, che escludendo ogni pericolo, riesca dilettevole ed utile. E perchè, quando allegar si vuole un esempio conviene sceglierlo luminoso, così io osserverò che la gioventù greca, dopo l' applicazione di studj gravissimi, cercava sollievo, è vero, ma nelle cacce, nelle giostre, negli esercizj gimnastici, e la brama di addestrarsi vie meglio onde ottenere la palma, or nell' Olimpica, or nella Pitia, or nell' arena Nemea, or sull' Istmo Corintio, facea sì che trovavano deliziosissimi, trovavan preziosi tutti i momenti che in tali esercizj impiegavano. E a chi tanto non avea di forza corporea, la Poesia, la musica, la danza, il disegno, tenea luogo della lotta e del pugilato. E Gioventù, avvezza sin dalle fasce a pregiare nell' uomo sol la virtù, riempiuta di tali pensieri, animata da così nobil brama d' onore, gittato avrebbe da sè lontano, se capitato fossegli fra le mani, qualunque siasi de' nostri moderni romanzi. Rendasi operosa la Gioventù, abbia vitupero la mollezza de' Sibariti, e il gusto degl' Italiani, tornerà ad esser quello di Roma dotta.

FINE