SERMONE
DI
TERESA ALBARELLI VORDONI
AD
ANNA DE FRATNICH SALVOTTI.

VERONA
Dalla Tipografia Ramanzini
1831.

Anna, tempo è egli omai, che ti favelli Come ad amica, e a te d' un mio peccato Io mi confessi; e se mi allarga il freno Securtà troppa, tu gentil perdona. Or dove tende, penserai tu forse, Tale scusa non chiesta? e dove mai Tal esordio uscirà?—Dove? mi ascolta: Fino dal dì, che primo io nel tuo albergo Poneva il piede, e tu, qual sei cortese, Ad una ad una le diverse tele Di tua man pinte, a me mostrando andavi, Serpere in seno dell' invidia il tar lo, Donnesca pecca, io mi sentiva, e in core Così diceva: Quanto mai la sorte Fu a lei d' ingegno liberal, che in breve Giro di soli, con maestra mano I miglior vince in sì difficil arte! Meraviglia è il veder tanta ricchezza Di disegno e di tocco, altre conobbi Che pingeano a diletto, ombrati e schizzi Dette lor opre avresti, o, se compiute, Crudo, legnoso, ammanierato il modo, Era disgusto, e non piacere agli occhi. Qui ben altro si scorge, a' luoghi loro Le tinte sono, il colorito fresco, Bella sempre la macchia, e le figure Di colpi fatte, non sfumate, o stanche. Qual di teste arieggiar! qual morbidezza Nel passaggio, che fan muscoli, e membra Dolce così come nel ver si ammira! Ecco lasciva, e d' ogni veste spoglia, Giacèr d' Acrisio la figliuola: viva Donna ti sembra, ed uopo è ben che celi Modesto panno a giovanetto sguardo Beltà, che accende d' amorose voglie. In mezzo a' due vecchiardi, ecco là ignuda Di Gioachin la sposa: or, qual pennello Ardito più muscoleggiar potrebbe, O risentito più, gl' interni affetti Dipingere ne' volti? ira, vergogna Stanno a lei nello sguardo, agl' impudichi Libidine, furor negli occhi espressi. Questi del buon Rossetti, a lei congiunto Co' lacci dell' amor, con quei del Sangue, I lineamenti sono: oh vedi come Al vivo è pinto, e della mente il seno, Dell' anima il candor gli appare in fronte! Te avventurosa, che col tuo valore Fama ti merchi, e sai de' tuoi più cari Le immagini eternar, quasi arrogando Alla tua mano la superna possa. Tai cose per lo petto, a te invidiando, Io volger mi sentiva, e da quel giorno Venni a me stessa in pregio assai minore. Perchè, dirammi alcun, tu pur l' arringo Non corresti d' Apelle? E tu, che parli, Tutto che brami puoi? Molti san molto, Ma se stessi non sanno, io seppi almeno Di non tentar, quel che natura niega. Seguii l' arte del canto, e roco augello Feci mio verso anch' io, ma stato fosse Dolce più assai di quel di Filomena, Qual pro me ne avria il mondo? Andò quel tempo Che, d' un cieco al cantar, traevan mille Inarcator di ciglia, e apriano i cori Al desio d' emular nelle battaglie I Pelidi e gli Ettorri: or più non odi Turbe artigiane ir per le vie cantando Di Beatrice la gloria, e di Francesca L' eterna pena, onde apprendeano i figli Che v' à premj, e castighi oltre la tomba. L' età nostra saputa odia i poeti Delle menzogne amici, e, s' altri detta, Detti a sua posta pur, le tarme, e i topi Grado gliene sapran; ma chi ha cervello Pianta non compra, che non meni frutto. Diverso è il fatto di chi pinge, a lui Farsi maestro dell' umana razza Chi mai contende? Quei che parla agli occhi, Trova sempre chi ascolta, e ratto scende Il cammino che va dagli occhi al core. Comun sirocchia è la pigrizia, e annoja Lungherìa di dottrine: udita cosa, Lampo è che passa; la veduta, impressa Negli animi riman, e a se li tragge. Chi la plebe addottrina? e dove apprende Ogni grosso villano i santi augusti A venerar? Non dalla voce sola Dei Pastori, e de' padri, ma guardando Le muraglie de' tempj, e suvvi pinte Meraviglie, e miracoli dei santi. Anna, or a te ritorno, e poichè il fato Ti diede un figlio, che da te ritrasse Lo splendor di bellezza, e tu con l' arte, Che sì t' onora, fa che il cor gl' informi All' amor di virtù, sapor di quello, Onde prima fu pieno, il rozzo vaso Sempre conserva; ed indelebil resta Ne' nostri petti quel ch' altri vi stampa Come schiudiamo alla ragione i lumi. Non battaglie, non fiamme, non ruine Gli pingi e mostra, ma le imprese, i fasti De' magnanimi, e dotti; immenso campo T' offre la storia; e se il paterno ingegno Consente a lui fortuna, e tu lo infiammi Alle bell' opre, lo farai felice Sarai felice; e, s' io t' invidio adesso, T' invidieran le madri tutte, allora.