Isotta Brembati Grumelli:

MISCELLANEOUS POEMS





Assembled by
The Italian Women Writers Project


The University of Chicago Library

Chicago
2006

Ed. Sammarco, Ottavio, Il tempio della divina Signora Donna Geronima Colonna d'Aragona (Padova: Lorenzo Pasquati, 1568), p. 6.

Amore, à cui quel foco ardente meno Rende inuida Giunon; quel che ne l'onde Del gran padre Ocean s'accese, ed onde Venere apparue pria nel suo bel seno; Per ristaurar sua fiamma entro al sereno Raggio diuino, e di uirtù feconde L'alme inalzar là, ue ogni ben s'asconde, Da questo basso, e uil carcer terreno: Soura questa gentil COLONNA hor prende, Suo seggio, e quinci ogn'alma incende e falle D'alto sentir le sue fauille sante. Di che noi bea; splendor, ch'ella n'apprende: E qual nouo Israel, per miglior calle Ne scorge a contemplar l'eterno Amante.

Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 1, p. 237-241.

AVea già sparsi all' aria i bei crin d' oro La vaga Aurora, e con spedito corso In verso il Ciel salia l' aurato Apollo, Seguendo nel suo antico alto lavoro; Quando allor, che la mente in sè ritorna, Sciolta d' ogni terreno uman discorso, Donna vid' io fuor, che il bel viso, e il collo Tutta di varj fior cinta, ed adorna, Cui cantando facean lieta corona Ninfe leggiadre, e pargoletti Amori: Tra quei soavi fiori, Come l' api volando, ogni persona Empian di non usato, alto diletto l' abito vago in mille guise, e schietto Vaga d' udir sua condizion qual' era, Oltra mi trassi, e di veder s' alcuna Riconoscessi della bella schiera, D' amoroso piacer non mai digiuna; Ma poco ancor del suo divin comprese Il mio mortal, cui troppo lume offese. Così di desir colma, e di dolcezza, Volgo dal proprio fin gl' incerti passi, Ove il mio bel piacer misprona, e inchina. Indi costei, la cui vaga bellezza, Or tien l' uman voler cieco, ed oppresso, Or lo solleva al Ciel da pensier bassi, Dissemi in voce angelica, e divina: Tu, che seguendo il ben, ch' è quì da presso, Onde il mortal affetto ignudo, e infermo Cerchi' l principio, e il fin della mia sorte, Sotto mie fide scorte Seguil' erto pensier solingo, ed ermo, Ch' uom scorge al vero fin d' ogni sua gloria. E perche forse a te sarà gran noja Il consumar molt' anni, e giorni, ed ore Dietro a' miei passi, questi sagri vanni, Che di Dedalo fur, con alto core Spiega felice, che a sì dolci affanni Te, favor chiama di benigna stella, Disposta a farti ancor beata, e bella. Come il timido augel, che il primo volo Tenta, dubbioso ancor del proprio peso, Scossi le nove piume, e il corso presi, Che dietro al Sol, tra l' uno, e l' altro Polo Tenea questa gentil Donna, che sciolse. Ver me novo parlar da pochi inteso. Prima, che il Sol girasse, e gl' anni, e i mesi In ombra oscura, come il Fattor volse, Ignuda nacqui, e di bellezza priva; Ma desiando il bel raggio divino, Seguendo il mio destino, Mi volsi, e la sua luce altiera, e diva S' impresse nel mio sen la varia forma, Che il concavo del Ciel dipinge, e informa. Questo è del vero ben la minor parte: Vedrailo appien, se le vestigie sante Di quelle, a cui n' andiam, tu segui, e l' arte. Così dicendo, i termini d' Atlante Lasciamo adietro, i novi regni, e il Gange, Scendendo v' l' Ipocren mormora, e frange. Poscia, che del Monton l' aurate spoglia Da Colchi riportò il superbo legno, Tra l' Idra, e il maggior Can di stelle adorno l' affisse Giove in Cielo, alla sol voglia Delle Muse or si move. Ivi entro allora Pellegrina m' accolser nel suo regno, Preste a condurmi al bell' alto soggiorno, V' l' alma in sè giojendo s' innamora; Quivi obbliando la primiera scorza, Poggiamo verso il Ciel con lunghi giri, E alzando i miei desiri, Così del proprio ben la mente accorta Feron con divin canto, e con parole Le Dive, cui Parnaso onora, e cole: E riguardando dall' ardente giro Il picciol globo v' il Sol si chiude, e serra Terrena gloria, e folle uman desiro, Il lungo affaticar sdegnai, che in terra Ne afflige, e dove è il Sol più freddo, e basso Si mostra, entrammo in Ciel con lieto passo. Mentre, che presa d' alta meraviglia, Miro gli eccelsi lumi, e dal suo moto Raro, e divin concento uscir mi accorgo, A cui nullo mortal canto simiglia, d' una delle mie nobili compagne Udì: Quì non s' arresti ' l tuo devoto Desio di gir al bene ov' io ti scorgo, Ma amando il lor Fattor nell' opre magne Con noi sino al supremo giro aspira, Così di cerchio in cerchio, il Ciel salendo Lo spirto mio, perdendo Giva i terreni affetti, ond' or si adira Contro l' impeto lor superbo, e fiero: Del calle obliquo, onde cadeo Fetonte, Per l' orribil' aspetto de' suoi mostri, E donde Apol comparte o salga, o smonte. A più lontani, ed à Paesi nostri Eguali i raggi suoi per tutto sparsi, Stupida sopra il Ciel m' alzai, ed arsi. Or voi stillate in me, cortesi Dive, l' almo liquor, che già il destrier alato Trasse dal monte avventuroso, e santo; Acciò dell' alto obbietto, che prescrive Il saper nostro quella parte io canti, Che già compresi, mentre in quello stato Vidi, vostra mercè, l' eterno manto Di lui, che infonde in voi concetti santi. Nove cerchj di vive fiamme ardenti Cingean qual proprio cerchio, qual gran lume, Che come fonte, o fiume Senza arrestarsi mai chiari, e lucenti, Rotando i raggi suoi trà spirti eletti, Rischiara il lume loro, onde perfetti Scorgon nel proprio fin la bella stampa Dell' ineffabil Re, che solo è eterno: Al cui possente sguardo, ch' anco avvampa Nel mio pensiero ogni vigor interno Si sciolse, e mi cadei, bramando sempre Starmi in sì care, e sì felici tempre. Canzon, che al santo obbietto umana forza Senti mancar ardendo, benche io torne, Qual novella fenice all' alta prova; Se gran fiamma d' amor mercè ritrova Nel Ciel, m' impetra, che mie luci adorne Dello splendor, che alla primiera scorza Die lume, ond' or il suo poter si sforza Veggan nel mio pensier con chiaro esempio Il vero Dio abitar, che è pur suo tempio.

Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d'ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 1, p. 241.

L' Alto pensier, ch' ogn' altro mio pensiero Dal cor mi sgombra ogn' or, come far suole Oscura nube chiaro, e ardente Sole, Di gir al Ciel mi mostra il cammin vero. Questo sol tien del petto mio l' impero, Ed in me cria desir, forma parole, Come suol vago april rose, e viole Con la virtù del Re de' lumi altero. Dunque, se il Ciel concorde alla Natura Consente, e vuol, che sol ei meco stia, Chi fia possente indi levarlo mai? Siami pur quanto puo fortuna ria Contraria ognor; che alla celeste cura Non potrà contrastare ella gia mai.